dossier MAPPE e/o SCHEDE CATASTALI (valore probatorio
o meno) |
anno 2020 |
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EDILIZIA PRIVATA:
Il volo aereo (del 09.05.1955)
certificato dall’Istituto Geografico di
Milano e la mappa catastale dell’immobile
risalente al 1967 non hanno alcuna valenza
probatoria circa l’esistenza di un titolo
abilitativo per l’immobile interessato dalle
opere in esame.
L'accatastamento costituisce, infatti, un
adempimento di tipo fiscale-tributario, che
fa stato a quegli specifici fini, senza
assurgere a strumento idoneo –al di là di un
mero valore indiziario– per evidenziare la
reale destinazione d’uso di singole porzioni
immobiliari e per attestare la relativa
regolarità urbanistico-edilizia, né tanto
meno produce alcun effetto di
regolarizzazione degli interventi eseguiti
sine titulo.
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Ugualmente il volo aereo del 09.05.1955
certificato dall’Istituto Geografico di
Milano e la mappa catastale dell’immobile
risalente al 1967 non hanno alcuna valenza
probatoria circa l’esistenza di un titolo
abilitativo per l’immobile interessato dalle
opere in esame. L'accatastamento costituisce
infatti un adempimento di tipo
fiscale-tributario, che fa stato a quegli
specifici fini, senza assurgere a strumento
idoneo –al di là di un mero valore
indiziario– per evidenziare la reale
destinazione d’uso di singole porzioni
immobiliari e per attestare la relativa
regolarità urbanistico-edilizia, né tanto
meno produce alcun effetto di
regolarizzazione degli interventi eseguiti
sine titulo (TAR Lecce, sez. III, n.
2615 del 13/08/2015 e questa Sezione n. 1954
del 20/03/2009).
Anche la richiesta presentata dal Sig.
El.De. nel 1971 per ottenere
l’autorizzazione ad aprire una finestra sul
cortile –opera non realizzata perché
l’autorizzazione non è mai stata rilasciata–
si presenta inidonea a provare la
preesistenza di un titolo edilizio,
evidenziando solo che l’immobile era stato
realizzato in data antecedente al 1971.
Neppure valgono a scalfire la legittimità
del diniego le considerazioni introdotte dai
ricorrenti, relative alla vicinanza
dell’immobile alla sede del Comune e ad una
sorta di “accettazione” degli abusi
da parte dell’Amministrazione. Ciò che è
decisivo è che non sono emersi elementi
certi circa il formale assenso alla
realizzazione di quelle opere, sì da
presentarsi incensurabili le conclusioni
dell’Amministrazione: “La constatazione
secondo cui dovrebbe ipotizzarsi
l’intervenuto rilascio di un titolo non è
sufficiente a dimostrarne la sussistenza, in
mancanza di elementi documentali concreti
che ne attestino, almeno indirettamente,
l’esistenza, facendo riferimento, ad
esempio, a protocolli e date” (così il
provvedimento di diniego impugnato) (TAR
Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 15.04.2020 n. 634 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
I dati catastali non sono decisivi ai fini dell'accertamento
della legittimità urbanistico-edilizia di un immobile, perché il catasto viene
implementato a seguito di comunicazioni e dichiarazioni dei soggetti
interessati, sulle quali l'amministrazione finanziaria può, al più,
esercitare un riscontro formale ab externo.
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Considerato, infine, che:
- i dati catastali non sono decisivi ai fini dell'accertamento della
legittimità urbanistico-edilizia di un immobile, perché il catasto viene
implementato a seguito di comunicazioni e dichiarazioni dei soggetti
interessati, sulle quali l'amministrazione finanziaria può, al più,
esercitare un riscontro formale ab externo (cfr. Cons. Stato, sez. VI, n.
631/2015; TAR Puglia, Lecce, sez. III, n. 2615/2015; TAR Marche, Ancona, n.
664/2017);
- conseguentemente, la circostanza –enfatizzata dal Comune di Atrani– che,
in data 26.03.1991, l’immobile controverso abbia subito una variazione di classamento catastale dalla categoria C/4 (Fabbricati e locali per servizi
sportivi) alla categoria A/4 (Abitazioni di tipo popolare) non sta, di per
sé, a significare anche che esso abbia subito un corrispondente mutamento di
destinazione d’uso urbanisticamente rilevante rispetto alla sua originaria
legittimazione
(TAR Campania-Salerno, Sez. II,
sentenza 09.03.2020 n. 352 - link a www.giustizia-amministrartiva.it). |
anno 2017 |
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EDILIZIA PRIVATA:
L’accatastamento assume rilievo soltanto ai fini
fiscali, oltre ad essere rivolto all’Autorità Amministrativa
Statale e non può in alcun modo surrogare i titoli
abilitativi edilizi di spettanza dei Comuni (cfr. TAR
Lombardia, Milano, sez. II, 20.03.2009, n. 1954, per cui
<<…l’accatastamento svolge una funzione di certificazione
dello stato di fatto, ma non produce alcun effetto di
regolarizzazione degli immobili>>).
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Ciò premesso, non sembra che possa seriamente essere messo
in discussione il carattere abusivo delle modificazioni in
corso d’opera realizzate sul progetto originario assentito
nel 1952 a favore dei Fratelli Re., danti causa degli
attuali ricorrenti.
Questi ultimi ammettono anche nel gravame di avere
realizzato delle modifiche in corso d’opera, che qualificano
come “di modesta entità” (cfr. pag. 3 del ricorso), anche
se in realtà tali variazioni hanno determinato una modifica
della sagoma, della superficie lorda di pavimento (slp),
delle aperture in facciata ed un incremento della volumetria
oltre gli indici di zona (cfr. ancora la relazione tecnica
del 25.07.2012, doc. 2 del resistente).
Si tratta di interventi edilizi necessitanti di apposito
titolo e non può essere ritenuta equipollente a
quest’ultimo, come sembrano invece sostenere i ricorrenti,
la mera presentazione della documentazione catastale.
L’accatastamento, infatti, assume rilievo soltanto ai fini
fiscali, oltre ad essere rivolto all’Autorità Amministrativa
Statale e non può in alcun modo surrogare i titoli
abilitativi edilizi di spettanza dei Comuni (cfr. TAR
Lombardia, Milano, sez. II, 20.03.2009, n. 1954, per cui
<<…l’accatastamento svolge una funzione di certificazione
dello stato di fatto, ma non produce alcun effetto di
regolarizzazione degli immobili>>).
La circostanza che le opere abusive fossero conformi alla
normativa urbanistica ed edilizia esistente, quand’anche
fosse veritiera, non esclude la necessità di un titolo
abilitativo a sanatoria, sempre da rilasciarsi da parte del
Comune
(TAR Lombardia, Sez. II,
sentenza 30.03.2017 n. 857 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
anno 2016 |
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ATTI AMMINISTRATIVI - EDILIZIA PRIVATA: La
Sezione osserva come il principio di buon andamento impegni
la P.A. ad adottare gli atti il più possibile rispondenti ai
fini da conseguire ed autorizzi quindi anche il riesame
degli atti adottati, ove reso opportuno da circostanze
sopravvenute ovvero da un diverso apprezzamento della
situazione preesistente.
In particolare, mentre l’annullamento
“guarda al passato”, nel senso che costituisce un rimedio
volto alla rimozione di un errore commesso nell’esercizio
della funzione di primo grado e quindi opera in una logica
essenzialmente correttiva dell’azione pubblica, la revoca
assume una funzione più propriamente adeguatrice, intesa in
termini di attualizzazione delle modalità di perseguimento
dell’interesse pubblico specifico di cui occorre seguire la
costante dinamica evolutiva.
Pertanto entrambi gli istituti
hanno come oggetto immediato del provvedere l’eliminazione
di un precedente atto o provvedimento di primo grado cui
coniugare l’esigenza di un’azione amministrativa che si
ponga pur sempre come cura attuale dell’interesse pubblico:
esigenza che, in termini funzionali, nelle ipotesi di
annullamento si caratterizza come momento valutativo
ulteriore rispetto al mero accertamento dell’illegittimità
del provvedimento di primo grado, mentre nei casi di revoca
discende proprio dalla necessità di adeguare per il futuro
scelte ormai non più idonee ed efficaci, con inevitabile
eliminazione dei provvedimenti formali che le contenevano.
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Il potere di autotutela decisoria in capo
all'Amministrazione non ha in verità come unica finalità il
mero ripristino della legalità, costituendo una potestà
discrezionale che deve contemplare la verifica di
determinate condizioni, previste dall'ordinamento e
concernenti l'opportunità di correggere l'azione
amministrativa svoltasi illegittimamente.
L'annullamento è stato, pertanto, connotato dall’art.
21-nonies, come modificato da ultimo dalla Legge 07/08/2015,
n. 124, in termini di rinnovata manifestazione, entro un
termine ragionevole, della funzione amministrativa.
In tale ambito rilevano, oltre all'attualità di un interesse
pubblico distinto ed ulteriore rispetto al mero ripristino
della legalità violata, anche gli interessi di tutte le
parti coinvolte e il tempo trascorso dalla determinazione
viziata.
Per effetto dell'art. 21-nonies, l'esercizio della potestà
di autotutela decisoria richiede non solo l'esistenza di un
vizio dell'atto da rimuovere, ma anche la sussistenza di un
interesse pubblico e la sua comparazione con gli interessi
dei destinatari e dei controinteressati, quando, per effetto
del provvedimento reputato illegittimo, siano sorte
posizioni giuridiche qualificate e consolidate nel tempo.
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Circa la asserita “non ragionevolezza del termine" per
l'annullamento della DIA (8 anni), la Sezione è dell’avviso
che, nel caso di annullamento in autotutela di provvedimenti
autorizzativi come i permessi di costruire, deve ritenersi
sicuramente ragionevole un termine di intervento che non
superi, come nella fattispecie, il termine decennale
assegnato in generale all’Amministrazione regionale -ex art.
39 del D.P.R. n. 380/2001- per disporre l’annullamento dei
titoli edilizi comunali contrastanti con la normativa
urbanistico-edilizia vigente al momento della loro adozione.
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Il Catasto nel nostro ordinamento non ha valenza probatoria,
perché non costituisce prova né dei diritti reali in esso
riportati, né della posizione né della regolarità edilizia.
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...
per l'annullamento, previa sospensione dell'efficacia,
del provvedimento n. 16578 del 27/07/2015 di annullamento in
autotutela della DIA n. 16065 del 19/09/2007 per l’immobile in Arzano di cui al fl. 5, p.lla 488; dell’ordinanza di
demolizione n. 17455 del 06/08/2015; del provvedimento n. 1830
del 19/08/2015 di improcedibilità della SCIA n. 3897 del
20/02/2015.
...
1. Con il ricorso in esame parte ricorrente deduce la
violazione degli artt. 3, 7, 8, 10, 21-quinquies e 21-nonies
della Legge n. 241/1990, dell’art. 97 Cost., dell’art. 9 NTA,
degli artt. 9 e 27-ter del DPR n. 380/2001, dell’art. 2 della L.R. n. 19/2001, nonché il difetto di istruttoria.
2. La Sezione in via preliminare osserva come il principio
di buon andamento impegni la P.A. ad adottare gli atti il
più possibile rispondenti ai fini da conseguire ed autorizzi
quindi anche il riesame degli atti adottati, ove reso
opportuno da circostanze sopravvenute ovvero da un diverso
apprezzamento della situazione preesistente (TAR
Calabria, Reggio Calabria, 24.10.2007, n. 1077; Cons. Stato,
V, n. 508/1999; n. 1263/1996; VI, 29.03.1996, n. 518;
30.04.1994, n. 652).
In particolare, mentre l’annullamento
“guarda al passato”, nel senso che costituisce un rimedio
volto alla rimozione di un errore commesso nell’esercizio
della funzione di primo grado e quindi opera in una logica
essenzialmente correttiva dell’azione pubblica, la revoca
assume una funzione più propriamente adeguatrice, intesa in
termini di attualizzazione delle modalità di perseguimento
dell’interesse pubblico specifico di cui occorre seguire la
costante dinamica evolutiva.
Pertanto entrambi gli istituti
hanno come oggetto immediato del provvedere l’eliminazione
di un precedente atto o provvedimento di primo grado cui
coniugare l’esigenza di un’azione amministrativa che si
ponga pur sempre come cura attuale dell’interesse pubblico:
esigenza che, in termini funzionali, nelle ipotesi di
annullamento si caratterizza come momento valutativo
ulteriore rispetto al mero accertamento dell’illegittimità
del provvedimento di primo grado, mentre nei casi di revoca
discende proprio dalla necessità di adeguare per il futuro
scelte ormai non più idonee ed efficaci, con inevitabile
eliminazione dei provvedimenti formali che le contenevano.
2.1 Con riguardo a quanto reclamato da parte ricorrente, il
potere di autotutela decisoria in capo all'Amministrazione
non ha in verità come unica finalità il mero ripristino
della legalità, costituendo una potestà discrezionale che
deve contemplare la verifica di determinate condizioni,
previste dall'ordinamento e concernenti l'opportunità di
correggere l'azione amministrativa svoltasi
illegittimamente. L'annullamento è stato, pertanto,
connotato dall’art. 21-nonies, come modificato da ultimo
dalla Legge 07/08/2015, n. 124, in termini di rinnovata
manifestazione, entro un termine ragionevole, della funzione
amministrativa.
In tale ambito rilevano, oltre all'attualità
di un interesse pubblico distinto ed ulteriore rispetto al
mero ripristino della legalità violata, anche gli interessi
di tutte le parti coinvolte e il tempo trascorso dalla
determinazione viziata. Per effetto dell'art. 21-nonies,
l'esercizio della potestà di autotutela decisoria richiede
non solo l'esistenza di un vizio dell'atto da rimuovere, ma
anche la sussistenza di un interesse pubblico e la sua
comparazione con gli interessi dei destinatari e dei controinteressati, quando, per effetto del provvedimento
reputato illegittimo, siano sorte posizioni giuridiche
qualificate e consolidate nel tempo.
3. Ora, con riguardo alla fattispecie in esame, si ritiene
di rimarcare che -come evidenziato in sede di consulenza
tecnica dalle cui conclusioni non sussistono motivi per
discostarsi– il fabbricato di cui fa parte l'immobile in
contestazione è stato realizzato con licenza edilizia n.
654/1968 che prevedeva la realizzazione di un fabbricato di
sette piani fuori terra oltre il piano cantinato; con
successiva variante n. 11/1969 si richiedeva la riduzione
del fabbricato nei limiti di altezza e volume con
realizzazione di un piano terra destinato all'industria del
proprietario e n. 4 piani superiori ad uso residenziale.
Premesso che l’ausiliario non ha potuto visionare le piante
allegate alla variante n. 11/1969 che sarebbero state di
fondamentale importanza per verificare la corrispondenza con
l'attuale stato dei luoghi, si è appurato che non sono
state, poi, realizzate altre opere finché il 19/09/2007 con prot. 16065 è stata presentata una D.I.A. per il "cambio di
destinazione d'uso del piano ammezzato adibito ad uffici in
locali da adibire a scuola media secondaria, il tutto senza
opere".
3.1 Dall’esame della documentazione è stato accertato che il
piano dove ha sede la scuola –e dunque interessato dalla
DIA per cambio di destinazione d’uso- risulta essere il
primo del fabbricato, e non l’ammezzato; dalle sezioni della
richiamata variante risulta che il piano ammezzato è parte
integrante del piano terra in quanto sono visibili il solaio
e le scale che consentono l'accesso al detto piano
ammezzato, mentre il piano primo, che come risulta
dall'autorizzazione di abitabilità presentava solo tre vani
destinati a deposito, dalle sezioni sembrerebbe avere una
parte destinata ad abitazione con la stessa distribuzione
interna dei piani superiori ad uso residenziale.
Quanto a strumentazione urbanistica, nel Comune di Arzano è
ancora vigente il Programma di Fabbricazione approvato con
D.P.G.R.C. n. 361 del 04/02/1977, ai sensi del quale il suolo
su cui ricade l'immobile in oggetto, identificato in Catasto
al fl.5 p.lla 448, ha la destinazione d'uso "zona I2 - zona
industriale esistente"; in realtà in sede di consulenza
tecnica si è accertato che l'immobile per cui è controversia
è inserito in un contesto vario e non prettamente
industriale, ove sono ubicati numerosi immobili con diversa
destinazione a prevalenza residenziale oltre che commerciale
e terziaria (es. negozi, bar e alimentari).
4. Ciò premesso, con riguardo ai quesiti posti dal Tribunale
il consulente tecnico ha concluso che l'immobile in oggetto
ha la destinazione d'uso "zona I2 - zona industriale
esistente" del vigente Programma di Fabbricazione; il cambio
di destinazione d'uso ha poi determinato una variazione dei
carichi urbanistici e, quindi, la necessità di adeguamento
degli standard urbanistici previsti dal decreto ministeriale
n. 1444/1968, perché lo stesso è avvenuto tra categorie
funzionali tra loro non compatibili (da uso
deposito/abitazioni a scuola), ragion per cui detto cambio
di destinazione d'uso poteva essere rilasciato solo con un
Permesso di costruire ma non con una semplice DIA.
4.1 Il Collegio ritiene in definitiva che, contrariamente a
quanto pure asserito diffusamente da parte ricorrente
nell’ultima memoria in previsione dell’odierna udienza
pubblica, sia stato del tutto legittimo l’operato
dell’Amministrazione che -accertata fra l’altro la mancanza
agli atti del certificato di agibilità rilasciato al sig.
Bi., ritenendo che il silenzio-assenso del Comune non si
era perfezionato in maniera amministrativamente corretta e
presumendo che alla data della presentazione della DIA i
locali in questione erano stati già destinati a scuola- si
determinava con il provvedimento impugnato all’annullamento
in autotutela della DIA del 19/09/2007.
Effettivamente un
cambio di destinazione per un’attività funzionale, peraltro
incompatibile con la strumentazione urbanistica e le NTA
vigenti all’epoca dei fatti, avrebbe richiesto un apposito
Permesso di costruire; ai sensi delle citate NTA, infatti,
in zona I2 non sarebbe stato possibile realizzare alcuna
scuola privata, né mutare la destinazione d’uso di un
opificio industriale in una scuola secondaria, cioè in una
attività commerciale, che peraltro richiede la realizzazione
di parcheggi privati.
Sotto altro profilo, circa la asserita “non ragionevolezza
del termine" per l'annullamento della DIA (8 anni), la
Sezione è dell’avviso che, nel caso di annullamento in
autotutela di provvedimenti autorizzativi come i permessi di
costruire, deve ritenersi sicuramente ragionevole un termine
di intervento che non superi, come nella fattispecie, il
termine decennale assegnato in generale all’Amministrazione
regionale -ex art. 39 del D.P.R. n. 380/2001- per disporre
l’annullamento dei titoli edilizi comunali contrastanti con
la normativa urbanistico-edilizia vigente al momento della
loro adozione (cfr. Cons. Stato, IV, 03.08.2010, n. 5170; TAR
Campania, Napoli, I, 16.09.2015, n. 4553; VIII, 02.07.2014,
n. 3608).
4.2 Con riguardo ai rilievi mossi da parte ricorrente alla
relazione del CTU, il Collegio evidenzia –se necessario-
che il Catasto nel nostro ordinamento non ha valenza
probatoria, perché non costituisce prova né dei diritti
reali in esso riportati, né della posizione né della
regolarità edilizia.
Ora parte ricorrente nella fattispecie
allega le planimetrie catastali del piano terra e
dell’ammezzato come presentate dopo le variazioni del 1994,
nonché quella attuale del piano primo presentata nel 2014,
ma non anche le planimetrie originarie con la consistenza
del piano primo che consentirebbero un raffronto con lo
stato attuale.
Non possono ritenersi smentite le circostanze
che parte del piano primo era destinata ad abitazione con la
stessa distribuzione interna dei piani superiori ad uso
residenziale e che, pur volendo considerare solo le
destinazioni d'uso assentite con l'Abitabilità n. 39/1973, al
primo piano sede della scuola risultavano solo n. 3 vani per
deposito e dunque, per adibire detti 3 vani a scuola,
occorrevano delle opere anche rilevanti che necessitavano di
Permesso di costruire.
In ogni caso, ove fossero stati
presenti solo vani deposito, è indubbio che la nuova
destinazione d'uso impressa all'immobile -ovvero di una
scuola con la presenza di ben 160 studenti e 32 dipendenti–
ha comportato una variazione del carico urbanistico rispetto
alla precedente destinazione d'uso, con aggravio in termini
di viabilità, trasporto pubblico e fognature, con necessità
di presentare una richiesta di Permesso di costruire.
In
definitiva, la carenza della specifica destinazione
urbanistica del fabbricato -carenza derivante dalla
riscontrata correttezza del provvedimento di annullamento
della DIA- è, appunto, ostativa allo svolgimento della
predetta attività per come estranea alla sua destinazione.
Quanto, poi, all’obiezione della difesa del Comune circa la
tipologia del Permesso di costruire che si sarebbe dovuto
richiedere, va ricordato che costituiva oggetto del mandato
il quesito circa la compatibilità dell’opera con una DIA
ovvero con un Permesso di costruire, senza specificarsi se
quest’ultimo dovesse essere ordinario, in deroga o in
sanatoria; in ogni caso il Collegio ritiene che, anche per
le lacune presenti nella documentazione tecnica reperita,
sono state sicuramente realizzate opere non autorizzate
precedentemente e, pertanto, non è possibile avvalorare
l'ipotesi di un Permesso di costruire in deroga ai sensi
dell'art. 14 DPR n. 380/2001.
5. In conclusione, per le ragioni esposte il ricorso deve
essere rigettato per come infondato
(TAR Campania-Napoli, Sez. II,
sentenza 05.07.2016 n. 3335 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
anno 2015 |
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EDILIZIA PRIVATA: Secondo
la giurisprudenza le risultanze catastali costituiscono
sempre un elemento probatorio generico e di carattere
sussidiario, al quale si può ricorrere solo nei casi di
obiettiva e assoluta mancanza di altri elementi e che non
può assumere una rilevanza probatoria assoluta, quale è
quella che, invece, illegittimamente ha inteso attribuirgli
il Comune.
E nel caso di specie, a supporto dell’ordinanza di
demolizione gravata il Comune ha indicato il mero confronto
tra mappe catastali da cui risulterebbero incongruenze che
secondo il Comune stesso testimonierebbero l’esecuzione di
opere abusive oltre che su di una CTU dalla quale
emergerebbe la natura abusiva delle opere realizzate sui
lotti in questione.
Il Comune, tuttavia, non ha ritenuto di effettuare nemmeno
un sopralluogo per verificare la situazione di fatto ed
accertare se la differenza tra le mappe catastali osservate
fosse effettivamente dovuta ad un intervento abusivo ovvero
ad un’imperfetta rappresentazione operata in sede di
redazione grafica delle tavole catastali.
---------------
Nella relazione del CTU, depositata nel giudizio pendente
innanzi al Tribunale civile, si afferma che all’esito del
sopralluogo compiuto dal CTU in data 10.03.2014: <<si è
osservato, oltre allo stato dei luoghi in riferimento alle
planimetrie catastali in possesso finora descritto e
graficizzato, anche lo stato delle murature che
costituiscono i fabbricati oggetto di causa per riuscire a
fare un’esatta analisi storica. Si è riscontrata l’antichità
della costruzione che presenta pareti in muratura formate da
ciottoli e si può affermare, pertanto, che data l’antica
tipologia costruttiva il fabbricato è sicuramente precedente
al 1967>>.
Nella successiva relazione depositata in data 01.12.2014 nel
medesimo giudizio civile, lo stesso CTU rileva inoltre la
scarsa affidabilità delle planimetrie catastali, ribadendo
che l’edificio non ha subito ampliamenti negli ultimi 50
anni.
Il presupposto del gravato provvedimento consistente nella
realizzazione di interventi non autorizzati in epoca
successiva al 1967 risulta contraddetto in modo convincente
e circostanziato nella ripetuta relazione di CTU che ha
posto in evidenza taluni elementi fattuali (stile
architettonico e materiali adoperati) che depongono
univocamente per la conclusione ivi raggiunta dal CTU,
secondo cui gli ultimi interventi sul fabbricato di
proprietà del ricorrente risalgono ad oltre 50 anni fa.
---------------
La giurisprudenza consolidata evidenzia che l'obbligo di
richiedere la licenza edilizia (ora permesso di costruire)
per realizzare nuove edificazioni è stato introdotto
dall'art. 31, legge urbanistica n. 1150 del 1942
esclusivamente per gli immobili situati nei centri urbani.
Solo a seguito dell'approvazione della c.d. legge ponte n.
765 del 1967, tale obbligo di munirsi del titolo abilitativo
ad edificare è stato esteso all'intero territorio comunale.
... per l'annullamento dell’ordinanza del Responsabile del
Settore Urbanistica del Comune di Bojano n. 8 del
22.01.2014, successivamente notificata in data 27.01.2014
con cui viene ingiunta al ricorrente la demolizione e
rimessa in pristino di una parte del fabbricato di proprietà
e di ogni ulteriore atto presupposto, consequenziale e
comunque connesso;
- nonché per la condanna del Comune di Bojano al
risarcimento dei danni subiti e subendi dal ricorrente per
effetto dei provvedimenti impugnati e della condotta
gravemente colposa dell'Amministrazione.
...
Il motivo di ricorso è meritevole di accoglimento alla
stregua delle puntualizzazioni che di seguito si espongono.
In effetti a supporto dell’ordinanza gravata il Comune di
Bojano ha indicato il mero confronto tra mappe catastali da
cui risulterebbero incongruenze che secondo il Comune
testimonierebbero l’esecuzione di opere abusive oltre che su
di una CTU dalla quale emergerebbe la natura abusiva delle
opere realizzate sui lotti in questione.
Il Comune, tuttavia, non ha ritenuto di effettuare nemmeno
un sopralluogo per verificare la situazione di fatto ed
accertare se la differenza tra le mappe catastali osservate
fosse effettivamente dovuta ad un intervento abusivo ovvero
ad un’imperfetta rappresentazione operata in sede di
redazione grafica delle tavole catastali.
A tale proposito il Collegio rileva che secondo la
giurisprudenza le risultanze catastali costituiscono sempre
un elemento probatorio generico e di carattere sussidiario,
al quale si può ricorrere solo nei casi di obiettiva e
assoluta mancanza di altri elementi e che non può assumere
una rilevanza probatoria assoluta, quale è quella che,
invece, illegittimamente ha inteso attribuirgli il Comune di
Bojano (cfr. ex multis TAR Basilicata, 14.09.2014, n.
584).
Vero è che l’ordinanza richiama anche una relazione
peritale, ma dalle risultanze ivi rassegnate il Collegio
ritiene non potersi giungere ad alcuna conclusione che
avvalori la pretesa natura abusiva delle opere indicate nel
gravato provvedimento.
Diversamente la relazione del medesimo CTU, depositata nel
giudizio pendente innanzi al Tribunale civile di Bucarest
(RG n. 1111/2010) depone per la conclusione esattamente
opposta. Nella relazione si afferma che all’esito del
sopralluogo compiuto dal CTU in data 10.03.2014: <<si è
osservato, oltre allo stato dei luoghi in riferimento alle
planimetrie catastali in possesso finora descritto e
graficizzato, anche lo stato delle murature che
costituiscono i fabbricati oggetto di causa per riuscire a
fare un’esatta analisi storica. Si è riscontrata l’antichità
della costruzione che presenta pareti in muratura formate da
ciottoli e si può affermare, pertanto, che data l’antica
tipologia costruttiva il fabbricato è sicuramente precedente
al 1967>>. Nella successiva relazione depositata in data
01.12.2014 nel medesimo giudizio civile, lo stesso CTU
rileva inoltre la scarsa affidabilità delle planimetrie
catastali, ribadendo che l’edificio non ha subito
ampliamenti negli ultimi 50 anni.
Il presupposto del gravato provvedimento consistente nella
realizzazione di interventi non autorizzati in epoca
successiva al 1967 risulta contraddetto in modo convincente
e circostanziato nella ripetuta relazione di CTU che ha
posto in evidenza taluni elementi fattuali (stile
architettonico e materiali adoperati) che depongono
univocamente per la conclusione ivi raggiunta dal CTU,
secondo cui gli ultimi interventi sul fabbricato di
proprietà del ricorrente risalgono ad oltre 50 anni fa.
Ciò sottrae eventuali ampliamenti realizzati sul corpo di
fabbrica del ricorrente alla disciplina edilizia
autorizzativa introdotta a partire dalla l. n. 765/1967.
E infatti, la giurisprudenza consolidata evidenzia che
l'obbligo di richiedere la licenza edilizia (ora permesso di
costruire) per realizzare nuove edificazioni è stato
introdotto dall'art. 31, legge urbanistica n. 1150 del 1942
esclusivamente per gli immobili situati nei centri urbani.
Solo a seguito dell'approvazione della c.d. legge ponte n.
765 del 1967, tale obbligo di munirsi del titolo abilitativo
ad edificare è stato esteso all'intero territorio comunale
(TAR Umbria, Sez. I, 10.05.2013, n. 281; TAR Campania, sez.
VI, 15.09.2010, n. 17416; TAR Umbria, sez. I, 14.07.1981, n.
250).
Tali rilievi, unitamente all’evidenziato deficit
dell’istruttoria comunale sottesa al gravato provvedimento
conducono all’accoglimento del gravame, non potendosi
riscontrare alcuna mancanza di titoli abilitativi, come
invece ritenuto nell’impugnato provvedimento.
Né potrebbe disporsi la sospensione del presente
procedimento, come richiesto da parte resistente, atteso che
esso non “dipende” in alcun modo da quello pendente
innanzi al Tribunale civile di Campobasso.
Nel presente giudizio, assume rilievo la CTU predisposta nel
procedimento pendente innanzi al Tribunale di Campobasso
limitatamente all’analisi e descrizione della situazione di
fatto, senza che assuma rilievo l’esito di quel giudizio del
tutto distinto ed autonomo dal presente.
Peraltro, la ragionevolezza degli argomenti impiegati e
l’assenza di evidenti vizi logici, consentono al Collegio di
utilizzare le medesime risultanze anche per fondare il
proprio convincimento, senza la necessità di esperire un
analogo accertamento sulla datazione delle opere oggetto di
causa anche nel presente giudizio.
Il ricorso deve pertanto essere accolto e il diniego
impugnato dichiarato illegittimo ed annullato
(TAR Molise,
sentenza 04.05.2015 n. 186 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
anno 2014 |
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EDILIZIA PRIVATA: La
l. 06.08.1967 n. 765, come noto, ha esteso all’intero
territorio comunale l’obbligo di munirsi di titolo
abilitativo ad edificare, con ciò innovando l’art. 31 della
L. 17.08.1942 n. 1150 (c.d. legge urbanistica) che, in
precedenza, circoscriveva tale obbligo esclusivamente agli
immobili situati nei centri urbani.
---------------
Le risultanze delle mappe catastali non sono idonee a
comprovare l’epoca di realizzazione dei manufatti,
occorrendo, evidentemente, idonea visura catastale
riportante gli immobili o altra prova documentale
sufficiente al conseguimento di siffatta prova (ad esempio,
un contratto notarile che faccia menzione delle opere,
indicandone una data certa di preesistenza e fornendone una
adeguata descrizione, un contratto agrario debitamente
registrato che menzioni i manufatti, etc.).
---------------
Nessuna valenza probatoria può essere attribuita
all’affermazione del ricorrente, resa nella forma della
dichiarazione sostitutiva di atto notorio, trattandosi di
dichiarazione testimoniale proveniente dalla stessa parte
che intenderebbe giovarsi delle sue risultanze e quindi in
contrasto col tradizionale principio processuale nemo testis
in causa propria cui si ispira l'art. 246 c.p.c..
Né d'altra parte sarebbe consentito al Collegio di porre a
fondamento della decisione le dichiarazioni sostitutive
rese.
Ciò in quanto la dichiarazione sostitutiva di atto di
notorietà non è utilizzabile nel processo amministrativo,
trattandosi in sostanza di un mezzo surrettizio per
introdurre in quest'ultimo una prova testimoniale atipica:
essa quindi non ha alcun valore probatorio e può costituire
solo un mero indizio che, in mancanza di altri elementi
gravi, precisi e concordanti, non è idoneo a scalfire
l'attività istruttoria dell'amministrazione.
Invero, secondo il prevalente indirizzo giurisprudenziale,
l’onere di dimostrare l’epoca di realizzazione di un’opera
edilizia ai fini dell’ottenimento del condono o
dell’esenzione ratione temporis della necessità di un titolo
edilizio grava sul privato richiedente e comporta che anche
la dichiarazione sostitutiva di atto notorio non è
sufficiente a tale fine, essendo necessari ulteriori
riscontri documentali, eventualmente anche indiziari, purché
altamente probanti. Tale onere può ritenersi a sufficienza
soddisfatto soltanto quando le prove addotte risultano
obiettivamente inconfutabili sulla base di atti e documenti
che, da soli od unitamente ad altri elementi probatori,
offrono la ragionevole certezza dell’epoca di realizzazione
del manufatto, mentre la semplice produzione di una
dichiarazione sostitutiva non può in alcun modo assurgere al
rango di prova, seppure presuntiva, sull’epoca di
realizzazione dell’abuso.
La censura è destituita di giuridico fondamento.
In punto di fatto, è priva di riscontro probatorio la
pretesta vetustà dei manufatti e, in specie, la loro
risalenza al periodo antecedente all’entrata in vigore della
L. 06.08.1967 n. 765 che, come noto, ha esteso all’intero
territorio comunale l’obbligo di munirsi di titolo
abilitativo ad edificare, con ciò innovando l’art. 31 della
L. 17.08.1942 n. 1150 (c.d. legge urbanistica) che, in
precedenza, circoscriveva tale obbligo esclusivamente agli
immobili situati nei centri urbani.
E’ chiaro che parte ricorrente sostiene tale posizione al
fine di contestare la natura abusiva dell’opera, ritenendo
che il manufatto non richiedesse il previo rilascio del
titolo concessorio: tuttavia, trattasi di asserzione
contestata dalla difesa dell’amministrazione e non
sufficientemente comprovata dal ricorrente.
Né tale conclusione appare smentita delle conclusioni rese
nella relazione tecnica di parte.
Sotto un primo profilo, le risultanze delle mappe catastali
non sono idonee a comprovare l’epoca di realizzazione dei
manufatti, occorrendo, evidentemente, idonea visura
catastale riportante gli immobili o altra prova documentale
sufficiente al conseguimento di siffatta prova (ad esempio,
un contratto notarile che faccia menzione delle opere,
indicandone una data certa di preesistenza e fornendone una
adeguata descrizione, un contratto agrario debitamente
registrato che menzioni i manufatti, etc.). Viceversa, la
produzione documentale esibita in giudizio non è idonea a
conseguire lo scopo probatorio perseguito da parte
ricorrente in quanto inidonea a dare certezza sulla
preesistenza del manufatto rispetto al 1967 e in ordine alla
reale consistenza e caratteristica costruttiva del bene.
Si aggiunga che nelle mappe catastali in questione vi è
riportato un unico manufatto mentre nel caso in esame si
discorre di due distinte costruzioni, con la conseguenza
che, in mancanza di ulteriori elementi probatori, non è
possibile appurare la presunta vetustà di entrambe le opere
delle quali, pertanto, va ribadita la natura abusiva.
Quanto poi alle dichiarazioni sostitutive valgano le
seguenti considerazioni.
Nessuna valenza probatoria può essere attribuita
all’affermazione del ricorrente, resa nella forma della
dichiarazione sostitutiva di atto notorio, trattandosi di
dichiarazione testimoniale proveniente dalla stessa parte
che intenderebbe giovarsi delle sue risultanze e quindi in
contrasto col tradizionale principio processuale nemo testis
in causa propria cui si ispira l'art. 246 c.p.c., (TAR
Lecce, 07.02.2007 n. 328).
Né d'altra parte sarebbe consentito al Collegio di porre a
fondamento della decisione le dichiarazioni sostitutive rese
dai Sig.ri A.F. e E.C..
Ciò in quanto la dichiarazione sostitutiva di atto di
notorietà non è utilizzabile nel processo amministrativo,
trattandosi in sostanza di un mezzo surrettizio per
introdurre in quest'ultimo una prova testimoniale atipica:
essa quindi non ha alcun valore probatorio e può costituire
solo un mero indizio che, in mancanza di altri elementi
gravi, precisi e concordanti, non è idoneo a scalfire
l'attività istruttoria dell'amministrazione (Consiglio di
Stato, Sez. IV, 07.08.2012 n. 4527; Sez. IV, 03.05.2005 n. 2094; TAR Puglia, Lecce, 10.10.2013 n.
2116).
Secondo il prevalente indirizzo giurisprudenziale, l’onere
di dimostrare l’epoca di realizzazione di un’opera edilizia
ai fini dell’ottenimento del condono o dell’esenzione
ratione temporis della necessità di un titolo edilizio grava
sul privato richiedente e comporta che anche la
dichiarazione sostitutiva di atto notorio non è sufficiente
a tale fine, essendo necessari ulteriori riscontri
documentali, eventualmente anche indiziari, purché altamente
probanti. Tale onere può ritenersi a sufficienza soddisfatto
soltanto quando le prove addotte risultano obiettivamente
inconfutabili sulla base di atti e documenti che, da soli od
unitamente ad altri elementi probatori, offrono la
ragionevole certezza dell’epoca di realizzazione del
manufatto, mentre la semplice produzione di una
dichiarazione sostitutiva non può in alcun modo assurgere al
rango di prova, seppure presuntiva, sull’epoca di
realizzazione dell’abuso (TAR Umbria, 30.08.2013 n.
462; TAR Liguria, Sez. I, 04.12.2012 n. 1565; TAR
Campania, Napoli, Sez. III, 18.01.2011 n. 280)
(TAR Campania-Napoli, Sez. VII,
sentenza 14.11.2014 n. 5894 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
anno 2013 |
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EDILIZIA PRIVATA:
L’accatastamento costituisce adempimento di tipo
fiscale-tributario che fa stato ad altri fini, non
atteggiandosi a strumento idoneo ad evidenziare una
situazione di conformità edilizia.
Le condizioni di uno stato dei
luoghi modificato rispetto a quello originario quanto alla
loro esistenza e consistenza sono state verificate dai
competenti uffici comunali, inverandosi nei rilievi mossi a
carico dell’appellante i presupposti di fatto e di diritto
per un intervento del Comune volto a ripristinare una
situazione dei luoghi alterata rispetto a quello in origine
autorizzata, con il conseguente doveroso operato
dell’Amministrazione volto a porre fine ad una accertata
situazione di non conformità urbanistico-edilizia: di qui la
legittimità del potere repressivo-ripristinatorio esercitato
dal Comune con i provvedimenti de quibus con cui si è
doverosamente e correttamente intimato il ripristino in
favore della sig.ra G. dell’accesso da via del Leone
con contestuale chiusura dell’accesso dal sentiero pedonale
da via Saturno.
Assume parte appellante che la conformità dello stato dei
luoghi (con speculare illegittimità dei provvedimenti
comunali) sarebbe rilevabile dagli esiti del contenzioso
civilistico e dall’ accatastamento effettuato nel 1975, ma
l’argomentazione difensiva non appare condivisibile, in
quanto:
a) le statuizioni recate dal decisum in sede civile
servono a definire l’assetto dei rapporti tra i privati e i
loro diritti secondo le regole dello jus privatorum
senza che ciò possa incidere sulla validità delle
determinazioni amministrative emanate per assicurare
l’osservanza della disciplina urbanistica ;
b) l’accatastamento costituisce adempimento di tipo
fiscale-tributario che fa stato ad altri fini, non
atteggiandosi a strumento idoneo ad evidenziare una
situazione di conformità edilizia (Consiglio
di Stato, Sez. IV,
sentenza 04.02.2013 n. 666 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA - TRIBUTI: Il catasto è
gratis.
Banca dati aperta per i comuni.
Corte conti Emilia: da pagare solo i servizi extra.
L'accesso dei Comuni alla banca dati catastale deve essere
totalmente gratuito. All'amministrazione richiedente deve
restare a carico solo l'eventuale costo collegato alla
richiesta di servizi specifici e prestazioni straordinarie.
È quanto ribadisce la sezione regionale di controllo della
Corte dei Conti per l'Emilia Romagna, nel testo del
parere
31.01.2013 n. 37.
Nei fatti, il Comune di Anzola dell'Emilia comunicava che,
per necessità di implementare il proprio sistema informativo
territoriale, per l'esecuzione di controlli in materia di
tributi comunali e per attuare le disposizioni in materia di
partecipazione dei comuni alle attività di accertamento
fiscale, richiedeva all'ufficio provinciale dell'Agenzia del
territorio l'accesso alla banca dati catastali, ricevendo il
nulla osta subordinato alla richiesta di un corrispettivo.
Pertanto, il primo cittadino del comune istante ha sollevato
dubbi sulla legittimità dei corrispettivi pretesi in tal
senso dall'ufficio del Territorio.
La Corte rispondeva rilevando che, sul punto, soccorrono
numerose disposizioni legislative. In primo luogo,
l'articolo 50, comma 2, del dlgs n. 82/2005, ove si prevede
che qualunque dato trattato dalle pubbliche amministrazioni,
nel rispetto delle norme sulla privacy, è reso accessibile e
fruibile alle altre amministrazioni, qualora l'utilizzazione
del dato sia necessaria per lo svolgimento di compiti
istituzionali delle amministrazioni richiedenti.
In più, ha rimarcato la Corte nella sua attenta disamina,
nel testo del decreto legge n. 78/2010 (artt. 18 e 19), che
disciplina la collaborazione dei comuni all'accertamento
tributario e contributivo, è espressamente sancito che ai
comuni viene garantito l'acceso gratuito all'Anagrafe
Immobiliare, così da permettere alle stesse amministrazioni
comunali la «piena accessibilità e interoperabilità»
con le banche dati dell'Agenzia del territorio.
Pertanto, da questo corollario normativo, si legge nel
parere della Corte, emerge inequivocabilmente un generale
principio di gratuità per l'accesso dei comuni alla banca
dati catastale.
A carico del comune richiedente può ricadere soltanto il
costo legato all'effettuazione di servizi connessi a
particolari e straordinarie esigenze
(articolo ItaliaOggi del 16.02.2013
- link a www.ecostampa.it). |
anno 2012 |
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EDILIZIA
PRIVATA: Le
mappe catastali costituiscono sempre un elemento probatorio
di carattere sussidiario, al quale si deve ricorrere “in
caso di obiettiva e assoluta mancanza di prove idonee a
determinare il confine in modo certo”, o quando i diversi
elementi prodotti (per la loro consistenza, o per ragioni
attinenti alla loro attendibilità) risultino comunque
inidonei alla determinazione certa dei confini.
Le argomentazioni
sviluppate dal ricorrente con il primo motivo -volte a
sostenere che a causa della non perfetta corrispondenza tra
la situazione dei luoghi descritta nelle mappe urbanistiche
del Comune e catastali, per un verso, e la situazione reale
da altro verso, egli avrebbe dovuto individuare i confini
della zona B5 sulla base di punti fiduciali riscontrati in
loco in sede di progettazione e, precisamente, con la già
menzionata tavola DTA.1.01- sono quindi infondate in punto
di fatto e, precisamente, sulla base di quanto egli aveva
già accertato in sede di frazionamento.
In particolare: il confine nord, tracciando una linea retta
originata dagli spigoli 651 e 652 dell’edificio 1015 e che
passa per il punto battuto 539; il confine est, tracciando
un’altra linea retta originata dai punti 824 e 765
dell’edificio 973. Cosicché in sede di progettazione era
obbligo utilizzare la planimetria allegata al frazionamento
e utilizzare i punti battuti in precedenza individuati con
coordinate certe, anziché redigerne una nuova, che prescinde
dai capisaldi stabiliti e che sarebbe invece basata su
asseriti “punti fiduciali” del tutto innovativi e
soggettivamente “desunti”, quali la successivamente dedotta
“linea tendenzialmente curvilinea di demarcazione tra le
aree B1 ed il centro storico”.
Né torna utile al ricorrente sostenere di avere utilizzato
in sede di progettazione la mappa catastale. Infatti:
- oltre a dover sapere, sia in linea generale ma soprattutto
per la professione che egli esercita, che le mappe catastali
costituiscono sempre un elemento probatorio di carattere
sussidiario, al quale si deve ricorrere “in caso di
obiettiva e assoluta mancanza di prove idonee a determinare
il confine in modo certo”, o quando i diversi elementi
prodotti (per la loro consistenza, o per ragioni attinenti
alla loro attendibilità) risultino comunque inidonei alla
determinazione certa dei confini (cfr., ex multis, Cass.
Civ., sez. II, 02.11.2010, n. 22298 e TRGA Trento,
22.06.2011, n. 177)
(TRGA Trentino Alto Adige-Trento,
sentenza 22.11.2012 n. 343 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
anno 2011 |
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EDILIZIA
PRIVATA: Alle
risultanze catastali non può riconoscersi decisivo valore
probatorio in ordine alla proprietà del bene, ma la
giurisprudenza riconosce che dalle mappe possono desumersi
degli indizi, giacché quello catastale è un sistema
secondario sussidiario rispetto all'insieme degli elementi
acquisiti attraverso l'indagine istruttoria.
Se il quadro probatorio si esaurisse qui, la questione
nodale dell’esistenza o meno di un diritto della ricorrente
all’utilizzazione dell’area dovrebbe decidersi in base al
principio dell’onere della prova.
E ciò, tenendo conto, da un lato, che alle risultanze
catastali non può riconoscersi decisivo valore probatorio in
ordine alla proprietà del bene, ma la giurisprudenza
riconosce che dalle mappe possono desumersi degli indizi,
giacché quello catastale è un sistema secondario sussidiario
rispetto all'insieme degli elementi acquisiti attraverso
l'indagine istruttoria (cfr. Cass. civ., II, 03.03.2009, n.
5131; TAR Calabria, Catanzaro, II, 08.03.2011, n. 342)
(TAR Umbria,
sentenza 21.12.2011 n. 408 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA: Il
Collegio è consapevole della valenza probatoria non assoluta
delle mappe catastali; tuttavia ciò che viene in esse
rappresentato costituisce un riferimento importante, e
comunque sufficiente, qualora non vi siano elementi
ufficiali di carattere oggettivo a smentirlo.
Il Collegio è consapevole della valenza probatoria non
assoluta delle mappe catastali; tuttavia ciò che viene in
esse rappresentato costituisce un riferimento importante, e
comunque sufficiente, qualora non vi siano elementi
ufficiali di carattere oggettivo a smentirlo.
E tali non possono certo considerarsi le indicazioni della
mappa del Catasto Gregoriano, anche considerate le
significative modificazioni intervenute nel tessuto urbano
(all’epoca ancora caratterizzato da un’edificazione assai
limitata, come evidenzia detta mappa) nel lungo periodo
intercorrente fino alla elaborazione del nuovo Catasto.
Tanto, a prescindere dalla interpretazione che il tecnico
dei ricorrenti dà della mappa storica (la cui comprensione
richiederebbe un supplemento istruttorio)
(TAR Umbria,
sentenza 11.07.2011 n. 199 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA: Non
è corretto sostenere che i confini segnati sulle mappe
catastali non sono attendibili ma è invece esatto affermare
che le mappe catastali costituiscono un elemento probatorio
di carattere sussidiario al quale si deve ricorrere “in caso
di obiettiva e assoluta mancanza di prove idonee a
determinare il confine in modo certo”, ed anche quando i
diversi elementi prodotti (per la loro consistenza, o per
ragioni attinenti alla loro attendibilità) risultino
comunque inidonei alla determinazione certa del confine.
A ciò consegue che la parte che si dolga del ricorso al
mezzo sussidiario di prova dei confini catastali “ha l'onere
di indicare gli specifici elementi alla cui stregua
andrebbe, invece, difformemente accertata la linea di
confine controversa”.
Non è peraltro corretto sostenere che i confini segnati
sulle mappe catastali non sono attendibili ma è invece
esatto affermare che le mappe catastali costituiscono un
elemento probatorio di carattere sussidiario al quale si
deve ricorrere “in caso di obiettiva e assoluta mancanza
di prove idonee a determinare il confine in modo certo”
(cfr., ex multis, Cass. Civ., sez. II, 02.11.2010, n.
22298), ed anche quando i diversi elementi prodotti (per la
loro consistenza, o per ragioni attinenti alla loro
attendibilità) risultino comunque inidonei alla
determinazione certa del confine.
A ciò consegue che la parte che si dolga del ricorso al
mezzo sussidiario di prova dei confini catastali “ha
l'onere di indicare gli specifici elementi alla cui stregua
andrebbe, invece, difformemente accertata la linea di
confine controversa” (cfr., Cass. Civ., sez. II,
30.12.2009, n. 28103)
(TRGA Trentino Alto Adige-Trento,
sentenza 22.06.2011 n. 177 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA: Dalle
mappe possono desumersi degli indizi, giacché quello
catastale è un sistema secondario sussidiario rispetto
all'insieme degli elementi acquisiti attraverso l'indagine
istruttoria.
D’altra parte, ed a titolo di esempio, che in tema di azione
di regolamento di confini è la stessa norma (l’art. 950,
secondo comma, cod. civ.) ad attribuire rilevanza probatorio
alle mappe catastali, in mancanza di altri elementi.
Il ricorrente contesta con forza le conclusioni cui è
pervenuto il CTU, sottolineando che, nel sistema Italiano,
ai dati catastali non può essere attribuita alcuna valenza
probatoria e che il CTU si è limitato ad accertare i dati
del catasto fabbricati, senza esaminare il catasto terreni.
Ritiene il Collegio che non sia condivisibile l’assunto del
ricorrente che nega alle risultanze catastali ogni valore
probatorio.
È vero che a tali risultanze non può riconoscersi decisivo
valore probatorio in ordine alla proprietà del bene, ma la
giurisprudenza riconosce che dalle mappe possono desumersi
degli indizi, giacché quello catastale è un sistema
secondario sussidiario rispetto all'insieme degli elementi
acquisiti attraverso l'indagine istruttoria (Cass. civ.,
sez. II, 03.03.2009 n. 5131).
I principi testé richiamati sono stati affermati in tema di
rivendicazione, che soggiace, com’è noto, ad un regime della
prova estremamente rigoroso, per il quale base primaria
dell'indagine del giudice di merito è costituita dall’esame
e dalla valutazione dei titoli di acquisto delle rispettive
proprietà.
Da notare che, d’altra parte, ed a titolo di esempio, che in
tema di azione di regolamento di confini è la stessa norma
(l’art. 950, secondo comma, cod. civ.) ad attribuire
rilevanza probatorio alle mappe catastali, in mancanza di
altri elementi.
Non può, pertanto, disconoscersi che le mappe catastali
possano costituire indizio che può essere utilizzato ai fini
dell’accertamento della proprietà del bene immobile
(TAR Calabria-Catanzaro, Sez. II,
sentenza 08.03.2011 n. 342 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
anno 2010 |
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EDILIZIA
PRIVATA:
Non è vero che le
risultanze catastale non abbiano rilevanza probatoria: tale
affermazione attiene al differente contesto del giudizio
civile e tributario (infatti, nel giudizio di regolamento di
confini, che ha per oggetto l'accertamento di un confine
obiettivamente e soggettivamente incerto tra due fondi, il
giudice ha un ampio potere di scelta e di valutazione dei
mezzi probatori acquisiti al processo, in ordine ai quali il
ricorso alle indicazioni delle mappe catastali costituisce
un sistema di accertamento di carattere meramente
sussidiario, al quale, cioè, si pone riferimento solo in
assenza di altri elementi idonei alla determinazione del
confine).
In ogni caso, non è vero che le risultanze catastale non
abbiano rilevanza probatoria: tale affermazione attiene al
differente contesto del giudizio civile e tributario (cfr.
Cassazione civile, Sez. II, 29.12.2009 n. 27521, nella quale
si precisa che: nel giudizio di regolamento di confini, che
ha per oggetto l'accertamento di un confine obiettivamente e
soggettivamente incerto tra due fondi, il giudice ha un
ampio potere di scelta e di valutazione dei mezzi probatori
acquisiti al processo, in ordine ai quali il ricorso alle
indicazioni delle mappe catastali costituisce un sistema di
accertamento di carattere meramente sussidiario, al quale,
cioè, si pone riferimento solo in assenza di altri elementi
idonei alla determinazione del confine)
(TAR Lombardia-Brescia, Sez. I,
sentenza 09.12.2010 n. 4808 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
anno 2008 |
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EDILIZIA
PRIVATA:
Mappe catastali - Valore probatorio - Limiti.
Le mappe catastali costituiscono un sistema secondario e
sussidiario rispetto all'insieme degli elementi acquisiti
attraverso l'indagine istruttoria (tant'è che te risultanze
di esse possono assumere rilevanza probatoria solo se
espressamente richiamate nell’atto di acquisto o se non
contraddette da specifiche determinazioni negoziali delle
parti), (Cass. civ. sez. 3 n. 711 dei 26.01.1998; Cass. civ.
sez. 2 n. 6885 del 03.07.1999; n. 9091 del 24.08.1991).
Sicché, le risultanze catastali non possono avere, di per
sé, decisivo valore probatorio per l'ovvia considerazione
che non vi è alcuna certezza in ordine alla correttezza
della indicazione.
E' ben possibile, invero, che siffatta indicazione risulti
ab origine frutto di errore o che abbia subito
modificazioni in relazione alle successive vicende del bene
(alienazione parziale o acquisto di terreno contiguo), pur
non essendo state queste oggetto di tempestiva e corretta
annotazione (Corte di Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 06.10.2008 n. 38044 - link a
www.ambientediritto.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
Mappe catastali.
Le mappe catastali costituiscono un sistema secondario e
sussidiario rispetto all'insieme degli elementi acquisiti
attraverso l'indagine istruttoria (tant'è che le risultanze
di esse possono assumere rilevanza probatoria solo se
espressamente richiamate nell’atto di acquisto o se non
contraddette da specifiche determinazioni negoziali delle
parti.
Le risultanze catastali non possono avere, di per sé,
decisivo valore probatorio per L’ovvia considerazione che
non vi è alcuna certezza in ordine alla correttezza della
indicazione. E' ben possibile, invero, che siffatta
indicazione risulti ab origine frutto di errore o che abbia
subito modificazioni in relazione alle successive vicende
del bene (alienazione parziale o acquisto di terreno
contiguo), pur non essendo state queste oggetto di
tempestiva e corretta annotazione (Corte di
Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 06.10.2008 n. 38044 -
link a
www.lexambiente.it). |
anno 2007 |
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EDILIZIA
PRIVATA:
DEMANIO MARITTIMO – Perimetrazione – Assenza di
situazione di oggettiva incertezza – Emergenze catastali –
Idoneo supporto istruttorio - Circostanze che rendono
incerto il confine tra beni privati e beni demaniali –
Esempi.
In assenza di situazioni di oggettiva incertezza, le
emergenze catastali possono costituire idoneo supporto
istruttorio per individuare casi di illegittima occupazione
dei beni demaniali, atteso che, a termini dell’art. 950
c.c., le mappe catastali rappresentano comunque mezzi di
prova dotati di sufficiente grado di attendibilità.
La situazione di obiettiva incertezza, che impedisce il
ricorso sic et simpliciter alle mappe catastali ed
obbliga l’amministrazione all’espletamento della procedura
di delimitazione in contraddittorio di cui all’art. 32 cod.
nav., può scaturire da diversi fattori consistenti in
circostanze di fatto o di diritto che rendono scarsamente
percepibile il limite della linea confinaria, creando
confusione fra le rispettive estensioni dei beni privati e
di quelli demaniali.
Si rammentano, come esempi, le contestazioni dei confini
effettuate sulla base dei titoli di acquisto o delle
sentenze dei tribunali, l’obsolescenza delle mappe catastali
a fronte dell’avvenuta antropizzazione del territorio o
dell’assetto mutevole delle coste originato dalla continua
azione dei marosi e delle correnti (cfr. TAR Calabria
Catanzaro, Sez. II, 20.06.2005 n. 1116), la
contraddittorietà delle risultanze catastali ed, in genere,
l’emersione di seri elementi documentali comprovanti la
natura non demaniale dell’area interessata (cfr. C.G.A.
Sicilia, 25.06.1990 n. 205) (TAR Calabria-Catanzaro, Sez. II,
sentenza 04.06.2007 n. 675 - link a
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anno 2004 |
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EDILIZIA
PRIVATA:
Concessione di costruzione - Proprietà di un’area
- Dati catastali - Valore meramente indiziario - Specifiche
determinazioni negoziali - Accertamento - Salvaguardare gli
eventuali diritti dei terzi.
Ai fini dell’accertamento della proprietà di un’area, i dati
catastali hanno valore meramente indiziario e ad essi può
essere attribuito valore probatorio soltanto quando non
risultino contraddetti da specifiche determinazioni
negoziali delle parti o dalla complessiva valutazione del
contenuto dell’atto al quale deve farsi risalire la
titolarità dell’area medesima, da cui emerga l’effettiva,
diversa estensione e delimitazione dell’oggetto del
contratto stesso; di tali principi deve essere fatta
applicazione anche in materia di concessione di costruzione,
per la cui decisione, le riserve apposte alle variazioni
catastali conformi ai titoli (per salvaguardare gli
eventuali diritti dei terzi) non sono di per sé idonee a
produrre alcun effetto ostativo, né a ritardarne il
rilascio.
Dati catastali - Valore meramente
indiziario.
Il dato catastale, non incide sulla titolarità della
proprietà e non è idoneo a smentire né ad annettere
carattere di provvisorietà ai titoli di acquisto o alle
verificazioni ed attestazioni dell’UTE (Consiglio di Stato,
Sez. V,
sentenza 29.03.2004 n. 1631 - link a
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