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62-INCARICHI PROFESSIONALI E PROGETTUALI
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69-LICENZA EDILIZIA (necessità)
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71-LOTTO INTERCLUSO
72-MAPPE e/o SCHEDE CATASTALI (valore probatorio o meno)
73-MOBBING
74-MURO DI CINTA/RECINZIONE, DI CONTENIMENTO/SOSTEGNO, ECC.
75-OPERE PRECARIE
76-PARERE DI REGOLARITA' TECNICA, CONTABILE E DI LEGITTIMITA'
77-PATRIMONIO
78-PERGOLATO e/o GAZEBO e/o BERCEAU e/o DEHORS e/o POMPEIANA e/o PERGOTENDA e/o TETTOIA
79-PERMESSO DI COSTRUIRE (annullamento e/o impugnazione)
80-PERMESSO DI COSTRUIRE (decadenza)
81-PERMESSO DI COSTRUIRE (deroga)
82-PERMESSO DI COSTRUIRE (legittimazione richiesta titolo)
83-PERMESSO DI COSTRUIRE (parere commissione edilizia)
84-PERMESSO DI COSTRUIRE (prescrizioni)
85-PERMESSO DI COSTRUIRE (proroga)
86-PERMESSO DI COSTRUIRE (verifica in istruttoria dei limiti privatistici al rilascio)
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PERMESSO DI COSTRUIRE (volturazione)
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90-PIANI PIANIFICATORI ED ATTUATIVI (aree a standard)
91-PIF (Piano Indirizzo Forestale)
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93-PUBBLICO IMPIEGO
94-PUBBLICO IMPIEGO (quota annuale iscrizione ordine professionale)
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96-
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97-RUDERI
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dossier CANNE FUMARIE e/o COMIGNOLI
anno 2019

EDILIZIA PRIVATAAl fine di valutare l’incidenza sull’assetto del territorio di un intervento edilizio, consistente in una pluralità di opere, va compiuto un apprezzamento globale delle opere medesime, atteso che la considerazione atomistica dei singoli interventi non consente di comprendere in modo adeguato l’impatto effettivo degli interventi compiuti.
I molteplici interventi eseguiti non vanno considerati cioè in maniera “frazionata”.
---------------
Di seguito si formulano talune considerazioni specifiche sulle opere realizzate anche “singolarmente considerate”, in particolare circa la modifica di alcuni vani porta-finestra in finestra, e viceversa e sulle canne fumarie.
Sul primo aspetto, relativo alla modifica dei prospetti, occorre operare una distinzione tra i concetti di sagoma e prospetto.
Il primo, riguarda la conformazione planivolumetrica della costruzione e il suo perimetro, considerato in senso verticale e orizzontale, ovvero il contorno che viene ad assumere l’edificio, ivi comprese le strutture perimetrali con gli oggetti e gli sporti; il secondo individua gli sviluppi in verticale dell’edificio e quindi la facciata dello stesso, rientrando nella fattispecie anche le aperture presenti sulle pareti esterne. Attengono al prospetto gli interventi che modificano l’originaria conformazione estetico architettonica dell’edificio, realizzati sulla facciata o sulle pareti esterne del fabbricato, senza superfici sporgenti.
La modifica dei prospetti, pertanto, deve considerarsi quale intervento edilizio autonomo, riconducibile (sempre avendo riguardo alla disciplina applicabile applicando il principio “tempus regit actum”), al “genus” della ristrutturazione edilizia, riscontrabile in fattispecie quali apertura di nuove finestre, chiusura di quelle preesistenti e loro apertura in altre parti; nella apertura di una nuova porta di ingresso sulla facciata dell’edificio o comunque su una parete esterna dello stesso; nella trasformazione di vani finestra in altrettante porte–finestre..
Al contrario, non sarebbe da ricondursi a tale tipologia di intervento tutto ciò che, pur riguardando la facciata dell’edificio, non ha rilievo edilizio, o si concretizza nel rinnovamento o nella sostituzione delle finiture dell’immobile, nell’integrazione o nel mantenimento in efficienza degli impianti tecnologici esistenti, o che si sostanzia in interventi interni al fabbricato.
Dunque, gli interventi comportanti modifiche dei prospetti descritti nella fattispecie rientrano nella tipologia, applicabile “ratione temporis”, della ristrutturazione edilizia e, in quanto tali, richiedono il rilascio del permesso di costruire.
---------------
Sul tema “canne fumarie”, e sulla necessità di un permesso di costruire qualora l’impatto sia significativo, va rammentata la giurisprudenza amministrativa formatasi sul punto.
Invero, è necessario il previo rilascio del permesso di costruire, rientrandosi nella categoria dei lavori di ristrutturazione edilizia di cui all'articolo 3, comma 1, lettera d), del d.P.R. n. 380 del 2001, realizzati tramite inserimento di nuovi elementi ed impianti, qualora tali strutture non si presentino di piccole dimensioni, siano di palese evidenza rispetto alla costruzione e alla sagoma dell'immobile e non possano considerarsi un elemento meramente accessorio, ovvero di ridotta e aggiuntiva destinazione pertinenziale, come tale assorbito o occultato dalla preesistente struttura dell'immobile.
Si ritiene occorrente il permesso di costruire tutte le volte in cui venga in rilievo un intervento il quale, per dimensioni, altezza e conformazione, risulti incidere in modo significativo sul prospetto e sulla sagoma della costruzione sulla quale la canna fumaria è installata; mentre soltanto l’intervento di mera sostituzione di una canna fumaria (ma non è questo il nostro caso), con le stesse dimensioni e identica localizzazione rispetto alla precedente, va considerato di manutenzione straordinaria, ai sensi dell’art. 3, comma 1, lett. b), del d.P.R. n. 380 del 2001.
---------------

4.2. Sulla qualificazione da dare agli interventi eseguiti, inerenti, giova rammentarlo, alla realizzazione di:
   - “manufatto in legno di mt. 3,00 x 4,00 adibito a deposito attrezzi, legnaia in muratura di mt. 3,00 x 0,67,
   - modifica di alcuni vani porta-finestra in finestra e viceversa,
   - sul prospetto ovest due canne fumarie di cui una in muratura e l’altra in rame,
   - sul prospetto est una struttura orizzontale in legno di mt. 7,40 x 4,30 su un lato e mt. 3,40 x 1,40 sull’altro adibita a tettoia e terrazza,
   - strada di mt. 135 circa, piazzale in betonelle, marciapiede lungo il perimetro dell’edificio
“,
in termini generale va ricordato che l’art. 3, comma 1, lett. d), del d.P.R. n. 380 del 2001, nel testo applicabile “ratione temporis” alla fattispecie in esame, dispone che "interventi di ristrutturazione edilizia" (sono) gli interventi rivolti a trasformare gli organismi edilizi mediante un insieme sistematico di opere che possono portare ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente.
Tali interventi comprendono il ripristino o la sostituzione di alcuni elementi costitutivi dell'edificio, l'eliminazione, la modifica e l'inserimento di nuovi elementi ed impianti. Nell'ambito degli interventi di ristrutturazione edilizia sono ricompresi anche quelli consistenti nella demolizione e (ricostruzione con la stessa volumetria e sagoma di quello preesistente), fatte salve le sole innovazioni necessarie per l'adeguamento alla normativa antisismica.
L’art. 10 del t.u. edilizia, nel testo applicabile “ratione temporis”, stabilisce a sua volta che “costituiscono interventi di trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio e sono subordinati a permesso di costruire: a) gli interventi di nuova costruzione; b) gli interventi di ristrutturazione urbanistica; c) gli interventi di ristrutturazione edilizia [che portino ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente e)] che comportino aumento di unità immobiliari, modifiche del volume, della sagoma, dei prospetti o delle superfici, ovvero che, limitatamente agli immobili compresi nelle zone omogenee A, comportino mutamenti della destinazione d'uso”.
Ciò premesso sul piano normativo, sempre in via preliminare va considerato che il TAR ha correttamente preso in esame dette opere, realizzate su un’area assoggettata a vincolo paesistico, nel loro “insieme sistematico”, che porta “ad un organismo in tutto od in parte diverso dal precedente” incidendo in modo tutt’altro che irrilevante sulla consistenza volumetrica, sulla sagoma e sui prospetti dell’edificio preesistente, confermando nella sostanza la qualificazione che ne aveva dato l’Amministrazione comunale.
Questo perché, prima di tutto, al fine di valutare l’incidenza sull’assetto del territorio di un intervento edilizio, consistente in una pluralità di opere, va compiuto un apprezzamento globale delle opere medesime, atteso che la considerazione atomistica dei singoli interventi non consente di comprendere in modo adeguato l’impatto effettivo degli interventi compiuti.
I molteplici interventi eseguiti non vanno considerati cioè in maniera “frazionata”.
Essi, al contrario, nel –peculiare, invero- contesto qui in discussione, debbono essere vagliati in un quadro di insieme, e non segmentato.
Ciò non toglie che si possano, qui di seguito, formulare talune considerazioni specifiche sulle opere realizzate anche “singolarmente considerate”, in particolare circa la modifica di alcuni vani porta-finestra in finestra, e viceversa, profilo sul quale sembra appuntarsi l’attenzione degli appellanti, specie in memoria, e sulle canne fumarie.
Sul primo aspetto, relativo alla modifica dei prospetti, occorre operare una distinzione tra i concetti di sagoma e prospetto. Il primo, riguarda la conformazione planivolumetrica della costruzione e il suo perimetro, considerato in senso verticale e orizzontale, ovvero il contorno che viene ad assumere l’edificio, ivi comprese le strutture perimetrali con gli oggetti e gli sporti; il secondo individua gli sviluppi in verticale dell’edificio e quindi la facciata dello stesso, rientrando nella fattispecie anche le aperture presenti sulle pareti esterne. Attengono al prospetto gli interventi che modificano l’originaria conformazione estetico architettonica dell’edificio, realizzati sulla facciata o sulle pareti esterne del fabbricato, senza superfici sporgenti.
La modifica dei prospetti, pertanto, deve considerarsi quale intervento edilizio autonomo, riconducibile (sempre avendo riguardo alla disciplina applicabile applicando il principio “tempus regit actum”), al “genus” della ristrutturazione edilizia, riscontrabile in fattispecie quali apertura di nuove finestre, chiusura di quelle preesistenti e loro apertura in altre parti; nella apertura di una nuova porta di ingresso sulla facciata dell’edificio o comunque su una parete esterna dello stesso; nella trasformazione di vani finestra in altrettante porte–finestre (in tema di modifiche di prospetti e necessità di permesso di costruire v. Cass. pen. nn. 921/2017, 20846/2015, 30575/2014, 38338/2013, 834/2008).
Al contrario, non sarebbe da ricondursi a tale tipologia di intervento tutto ciò che, pur riguardando la facciata dell’edificio, non ha rilievo edilizio, o si concretizza nel rinnovamento o nella sostituzione delle finiture dell’immobile, nell’integrazione o nel mantenimento in efficienza degli impianti tecnologici esistenti, o che si sostanzia in interventi interni al fabbricato.
Ma non è questo il nostro caso e, sotto detta angolazione, come rilevato sopra al p. 1., in tema di opere interne e impianti tecnologici (alloggiamento dell’autoclave e della caldaia), il TAR ha accolto in parte i ricorsi, con statuizioni sulle quali è sceso il giudicato.
Dunque, gli interventi comportanti modifiche dei prospetti descritti nella fattispecie rientrano nella tipologia, applicabile “ratione temporis”, della ristrutturazione edilizia e, in quanto tali, richiedono il rilascio del permesso di costruire, sicché le sentenze impugnate, sul punto, sono corrette e vanno confermate.
L’intervento di modifica di alcuni vani porta–finestra in finestra e viceversa, già di per sé qualificabile come intervento di ristrutturazione da assoggettare a permesso di costruire, è stato accompagnato, come si è detto sopra, da una serie di opere ulteriori che, come si è anticipato, il TAR ha correttamente considerato nel loro insieme.
In relazione al principio “tempus regit actum” non può quindi trovare applicazione la sopravvenuta “normativa mitigatrice” di cui al d.P.R. n. 31/2017, salve rimanendo ovviamente eventuali iniziative autonome che parte appellante riterrà di assumere alla luce della normativa sopravvenuta più favorevole.
Sul tema “canne fumarie”, e sulla necessità, sempre “ratione temporis”, di un permesso di costruire qualora l’impatto sia significativo, va rammentata la giurisprudenza amministrativa formatasi sul punto.
Per Cons. Stato, VI, n. 553 del 2016, è necessario il previo rilascio del permesso di costruire, rientrandosi nella categoria dei lavori di ristrutturazione edilizia di cui all'articolo 3, comma 1, lettera d), del d.P.R. n. 380 del 2001, realizzati tramite inserimento di nuovi elementi ed impianti, qualora tali strutture non si presentino di piccole dimensioni, siano di palese evidenza rispetto alla costruzione e alla sagoma dell'immobile e non possano considerarsi un elemento meramente accessorio, ovvero di ridotta e aggiuntiva destinazione pertinenziale, come tale assorbito o occultato dalla preesistente struttura dell'immobile.
Si ritiene occorrente il permesso di costruire tutte le volte in cui venga in rilievo un intervento il quale, per dimensioni, altezza e conformazione, risulti incidere in modo significativo sul prospetto e sulla sagoma della costruzione sulla quale la canna fumaria è installata; mentre soltanto l’intervento di mera sostituzione di una canna fumaria (ma non è questo il nostro caso), con le stesse dimensioni e identica localizzazione rispetto alla precedente, va considerato di manutenzione straordinaria, ai sensi dell’art. 3, comma 1, lett. b), del d.P.R. n. 380 del 2001.
Data l’incidenza delle canne fumarie e l’esigenza di valutare gli interventi nell’insieme, dunque, la statuizione del TAR sul punto risulta corretta (Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 06.02.2019 n. 902 - link a www.giustizia-amministrartiva.it).

anno 2017

EDILIZIA PRIVATA: Canne fumarie, la Cassazione sulla presunzione di pericolosità.
La presunzione assoluta di nocività e pericolosità prescinde da ogni accertamento concreto nel caso in cui vi sia un regolamento edilizio comunale che stabilisca la distanza.
Il rispetto della distanza prevista per fabbriche e depositi nocivi e pericolosi dall'art. 890 del Codice civile, nella cui regolamentazione rientrano anche le canne fumarie, è collegato ad una presunzione assoluta di nocività e pericolosità.

Lo ha precisato la II Sez. civile della Corte di Cassazione nella sentenza 24.08.2017 n. 20357.
La suprema Corte ha evidenziato che la suddetta presunzione assoluta di nocività e pericolosità “prescinde da ogni accertamento concreto nel caso in cui vi sia un regolamento edilizio comunale che stabilisca la distanza medesima; mentre, in difetto di una disposizione regolamentare, si ha pur sempre una presunzione di pericolosità, seppure relativa, che può essere superata solo ove la parte interessata al mantenimento del manufatto dimostri che mediante opportuni accorgimenti può ovviarsi al pericolo od al danno del fondo vicino”.
Sempre nella sentenza n. 20357/2017, la Cassazione ha ricordato che “rappresenta ormai principio consolidato in seno a questa Corte, dal quale non v'è ragione di discostarsi, quello secondo cui, in tema di distanze legali nelle costruzioni, qualora sopravvenga una disciplina normativa meno restrittiva, l'edificio in contrasto con la regolamentazione in vigore al momento della sua ultimazione, ma conforme alla nuova, non può più essere ritenuto illegittimo, cosicché il confinante non può pretendere l'abbattimento o, comunque, la riduzione alle dimensioni previste dalle norme vigenti al momento della sua costruzione. Tale effetto non deriva dalla retroattività delle nuove norme, di regola esclusa dall'art. 11 delle preleggi, ma dal fatto che, pur rimanendo sussistente l'illecito di chi abbia costruito in violazione di norme giuridiche allora vigenti e la sua responsabilità per i danni subiti dal confinante fino all'entrata in vigore della normativa meno restrittiva, viene meno però l'illegittimità della situazione di fatto determinatasi con la costruzione, essendo questa conforme alla normativa successiva e, quindi, del tutto identica a quella delle costruzioni realizzate dopo la sua entrata in vigore”.
Da tali considerazioni consegue “la inammissibilità dell'ordine di demolizione di costruzioni che, illegittime secondo le norme vigenti al momento della loro realizzazione, tali non siano più alla stregua delle norme vigenti al momento della decisione, salvo, ove ne ricorrano le condizioni, il diritto al risarcimento dei danni prodottisi medio tempore, ossia di quelli conseguenti alla illegittimità della costruzione nel periodo compreso tra la sua costruzione e l'avvento della nuova disciplina” (commento tratto da www.casaeclima.com).
---------------
MASSIMA
4.1. Rappresenta ormai principio consolidato in seno a questa Corte, dal quale non v'è ragione di discostarsi, quello secondo cui, in tema di distanze legali nelle costruzioni, qualora sopravvenga una disciplina normativa meno restrittiva, l'edificio in contrasto con la regolamentazione in vigore al momento della sua ultimazione, ma conforme alla nuova, non può più essere ritenuto illegittimo, cosicché il confinante non può pretendere l'abbattimento o, comunque, la riduzione alle dimensioni previste dalle norme vigenti al momento della sua costruzione.
Tale effetto non deriva dalla retroattività delle nuove norme, di regola esclusa dall'art. 11 delle preleggi, ma dal fatto che, pur rimanendo sussistente l'illecito di chi abbia costruito in violazione di norme giuridiche allora vigenti e la sua responsabilità per i danni subiti dal confinante fino all'entrata in vigore della normativa meno restrittiva, viene meno però l'illegittimità della situazione di fatto determinatasi con la costruzione, essendo questa conforme alla normativa successiva e, quindi, del tutto identica a quella delle costruzioni realizzate dopo la sua entrata in vigore
(Sez. 2, Sentenza n. 1368 del 22/02/1996; Sez. 2, Sentenza n. 5173 del 06/04/2001; Sez. 2, Sentenza n. 8512 del 28/05/2003; Sez. 2, Sentenza n. 22086 del 22/10/2007; Cass. civ., sez. II, 02/11/2010, n. 22288).
Ne consegue la inammissibilità dell'ordine di demolizione di costruzioni che, illegittime secondo le norme vigenti al momento della loro realizzazione, tali non siano più alla stregua delle norme vigenti al momento della decisione, salvo, ove ne ricorrano le condizioni, il diritto al risarcimento dei danni prodottisi medio tempore, ossia di quelli conseguenti alla illegittimità della costruzione nel periodo compreso tra la sua costruzione e l'avvento della nuova disciplina (Sez. 2, Sentenza n. 14446 del 15/06/2010).
Analoghe considerazioni valgono per il caso in cui, in presenza di una successione nel tempo di norme edilizie, la nuova disciplina sia meno restrittiva (Sez. 2, Sentenza n. 4980 del 02/03/2007).
Orbene, non è revocabile in dubbio, nella fattispecie in esame, che, a voler accedere all'impostazione seguita dalla corte di merito, la normativa regolamentare sopravvenuta (vale a dire, l'art. 11r della normativa collegata al PUC) sarebbe più favorevole rispetto a quella precedente (rappresentata dall'art. 20-bis delle NTA del P.F.), in quanto la prima prevedrebbe una distanza minima delle costruzioni dai confini di metri tre, in luogo della distanza minima di metri sei in precedenza prescritta (cfr. pag. 9 del controricorso).
Da ciò consegue che il terzo motivo del ricorso, nella sua prima parte, è fondato, nella prospettazione con la quale censura la sentenza d'appello per aver ritenuto applicabile la normativa vigente al momento della costruzione dell'opera (cfr. pag. 8 della sentenza).
In quest'ottica, restano assorbite le ulteriori censure, sollevate con il medesimo terzo motivo, concernenti l'applicabilità in concreto dell'art. 20-bis, nonostante si riferisca solo agli interventi edilizi incidenti sull'"indice di fabbricabilità fondiario" e, comunque, tenuto conto che trattasi di impianti termici (caldaia) e, quindi, di volumi tecnici indispensabili (cfr. pagg. 32-36 ricorso).
...
6. Con il quinto motivo la ricorrente denuncia la violazione, la falsa e/o l'errata applicazione degli artt. 873 e 890 c.c., con riferimento all'art. 360, co. 1, n. 3, c.p.c., per aver la corte territoriale ritenuto la canna fumaria alla stregua di una costruzione ed applicabile, ai fini delle distanze, l'art. 873 c.c., laddove avrebbe dovuto trovare applicazione l'art. 890 c.c., con la conseguenza che, avendo il ctu rilevato la "buona qualità dell'aria", non si sarebbe dovuto ordinare la sua demolizione.
6.1. Il motivo si rivela inammissibile, in quanto, non essendovi cenno della questione nella sentenza impugnata, la ricorrente avrebbe dovuto indicare con precisione in quale fase e con quale atto processuale l'avesse sollevata.
In proposito, occorre, peraltro, ricordare che
il rispetto della distanza prevista per fabbriche e depositi nocivi e pericolosi dall'art. 890 c.c., nella cui regolamentazione rientrano anche le canne fumarie, è collegato ad una presunzione assoluta di nocività e pericolosità che prescinde da ogni accertamento concreto nel caso in cui vi sia un regolamento edilizio comunale che stabilisca la distanza medesima; mentre, in difetto di una disposizione regolamentare, si ha pur sempre una presunzione di pericolosità, seppure relativa, che può essere superata solo ove la parte interessata al mantenimento del manufatto dimostri che mediante opportuni accorgimenti può ovviarsi al pericolo od al danno del fondo vicino (Sez. 2, Sentenza n. 3199 del 06/03/2002; conf. Sez. 2, Sentenza n. 22389 del 22/10/2009). In quest'ottica, non sarebbe comunque sufficiente invocare l'applicabilità alla fattispecie concreta dell'art. 890 c.c..
D'altra parte, la ricorrente, in violazione del principio di autosufficienza, omette di trascrivere l'ordinanza emessa dalla corte d'appello in data 19.06.2007, con la quale la stessa avrebbe anticipato (senza, peraltro, vincoli sulla successiva decisione finale) la necessità di applicazione dell'art. 890 c.c. per la canna fumaria.
In ogni caso, sempre in violazione del principio di autosufficienza, non vengono riportati i passaggi salienti della c.t.u. svolta in primo grado, dalla quale si sarebbe dovuto evincere che l'attuale distanza preserva il fondo dei resistenti da ogni danno alla salubrità ed alla sicurezza.

anno 2016

EDILIZIA PRIVATAPer costante giurisprudenza, la canna fumaria deve ritenersi ordinariamente un volume tecnico e, come tale, un’opera priva di autonoma rilevanza urbanistico-funzionale, per la cui realizzazione non è necessario il permesso di costruire, senza essere conseguentemente soggetta alla sanzione della demolizione, a meno che non si tratti di opere di palese evidenza rispetto alla costruzione ed alla sagoma dell’immobile, occorrendo solo in tal caso il permesso di costruire.
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Quanto ai profili igienico-sanitari, colgono nel segno le ineccepibili doglianze della ricorrente secondo cui la violazione regolamentare di norme preordinate alla salvaguardia della salubrità ambientale avrebbe dovuto trovare rimedio –nel caso di canne fumarie- non già nell’ordine di demolizione, bensì nella diversa intimazione a ricondurre tali opere alle altezze e distanze prescritte, tanto più nel caso di specie ove –secondo puntuali argomentazioni della ricorrente che il comune, neanche costituito, non ha inteso evidentemente confutare- sarebbero bastati piccoli accorgimenti tecnici per una piena conformazione agli statuti del vigente Regolamento Edilizio.

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... per l'annullamento DEL PROVVEDIMENTO N. 01 DEL 27/01/2010 EMESSO DAL RESPONSABILE DEL SERVIZIO TECNICO DEL COMUNE DI AIELLI CON IL QUALE VIENE INGIUNTO ALLA RICORRENTE DI PROVVEDERE ALLA DEMOLIZIONE DI DUE CANNE FUMARIE ED A RIPRISTINARE LO STATO DEI LUOGHI.
...
Visti i motivi di ricorso con i quali si lamenta:
   i) la violazione delle regole sul contraddittorio e sul giusto procedimento (anche mediante gravi ritardi del comune nella consegna degli atti presupposti di indagine e di sopralluogo, avvenuta -dopo molte insistenze- ben dopo l’adozione dell’atto impugnato);
   ii) la grave superficialità istruttoria, con particolare riguardo alla erronea riconduzione temporale delle opere a periodi recenti “intorno” al 2008 (con conseguente applicazione del nuovo più severo regime sanzionatorio introdotto dal 1998 con l’art. 32 del Regolamento Edilizio e con gli artt. 34 e 31 del DPR 380/2001), periodo desunto esclusivamente dal fatto che i confinanti autori dell’esposto –proprietari fin dal 2007- si sarebbero lamentati delle presunte immissioni nocive solo nel corso degli anni 2008 e 2009, senza considerare l’esistenza di documentazione ben più significativa, che dimostrerebbe la risalenza delle opere de quibus al 1988 (come da planimetria del 12.09.1988 allegata alla denuncia di variazione depositata all’Ufficio Tecnico Erariale di L’Aquila l’08.02.1989, ove risulterebbero entrambe le canne fumarie oggetto di causa, con l’ulteriore precisazione che proprio tale denuncia al catasto era stata prodotta anche al comune di Aielli, che l’aveva espressamente citata nelle premesse dell’autorizzazione di sindacale di abitabilità dell’immobile rilasciata il 18.08.1989); ulteriore circostanza che smentirebbe la superficiale asserzione del comune in ordine al tempo di realizzazione delle due canne fumarie, emergerebbe poi dal contratto di transazione del 25.09.1993 sottoscritto dai proprietari confinanti pro tempore, ove si sarebbe dato atto della preesistenza di tali opere;
   iii) in ogni caso la sanzione demolitoria sarebbe sproporzionata, trattandosi opere pertinenziali poste a servizio di un camino domestico, per le quali –a tutto concedere, nel caso in cui non si ritenesse attività libera nei sensi puntualizzati da autorevole giurisprudenza- la normativa edilizia imporrebbe una sola sanzione pecuniaria, fermo restando che la misura demolitoria –anche ai sensi dell’art. 34 TUE- risulterebbe inapplicabile nella specie, perché la sua attuazione pregiudicherebbe la statica dell’intero edificio;
   iiii) per le ragioni prima esposte a proposito del tempo di realizzazione delle opere, non sarebbe applicabile ratione temporis l’art. 32 del vigente regolamento edilizio sul regime regolatorio riservato alle canne fumarie; in ogni caso tale norma -nello stabilire l’altezza delle canne fumarie e la distanza dalle finestre- presidierebbe interessi di carattere igienico-sanitario, ma in tal caso il Comune avrebbe dovuto adottare misure di polizia sanitaria (es. art. 54, comma 4, d.leg.vo 267/2000) per l’eliminazione delle presunte immissioni, e non già l’impugnato provvedimento edilizio, per di più in presenza di agevoli possibilità di adeguare le due canne fumarie –mediante semplici accorgimenti tecnici, con prolungamento della canna fumaria di un metro oltre il colmo del tetto- alla normativa introdotta dal citato art. 32 del RE, senza alcuna necessità di misure demolitorie (adeguamento che la ricorrente non avrebbe effettuato, solo perché a suo tempo rassicurata dal consenso scritto dei vicini sullo stato attuale delle canne fumarie);
   iiiii) gli esposti, che il comune avrebbe superficialmente posto a base del provvedimento impugnato, sarebbero in ogni caso del tutto infondati e fuorvianti, “anche perché da diversi anni le due canne fumarie non vengono più utilizzate e quindi non arrecano nessun fastidio ai vicini ed ai loro ospiti” (sic, pag. 18 del ricorso); piuttosto sarebbero proprio i coniugi denuncianti (peraltro privi di un titolo di proprietà sull’immobile di loro residenza) a molestare la ricorrente con immissioni di fumo prodotte da un loro forno abusivo, privo dei requisiti di idoneità, come da comunicazione ASL del 10.07.2008; da qui emergerebbero ulteriori elementi del grave sviamento istruttorio, in cui sarebbe incorsa l’amministrazione;
Preso atto della mancata costituzione in giudizio del Comune intimato;
Ritenuto che il ricorso va accolto per le seguenti decisive argomentazioni:
- quanto ai profili edilizi, la misura demolitoria delle due canne fumarie si manifesta priva di adeguata istruttoria e motivazione:
   i) in relazione alla frettolosa stima circa il tempo di realizzazione delle opere (riportate al 2008, basandosi solamente sulle lamentele dei proprietari finitimi, mentre la ricorrente ha dedotto ben altre più significative circostanze –illustrate in precedenza e comunque mai prese in considerazione dal Comune, nonostante vari tentativi di interlocuzione da parte della medesima ricorrente- che portano a ritenere le opere risalenti al 1998, con tutte le conseguenze derivanti –oltre che dalla maturazione di aspettative di sorta- dall’applicazione di una norma edilizia allora non in vigore),
   ii) ma soprattutto –e più in radice- per la mancata valutazione dell’impatto visivo e dell’ingombro delle due canne fumarie, atteso che per costante giurisprudenza, la canna fumaria deve ritenersi ordinariamente un volume tecnico e, come tale, un’opera priva di autonoma rilevanza urbanistico-funzionale, per la cui realizzazione non è necessario il permesso di costruire, senza essere conseguentemente soggetta alla sanzione della demolizione (ex multis, Tar Campania NA sez. VII 15.12.2010 n. 27380), a meno che non si tratti di opere di palese evidenza rispetto alla costruzione ed alla sagoma dell’immobile, occorrendo solo in tal caso il permesso di costruire (TAR Campania–Napoli, 3612/2015, Sez. VI 3039/2009); nel delineato contesto il Comune ha completamente omesso qualsiasi indagine, dando per scontata la misura demolitoria, senza alcuna motivazione sul punto e comunque nell’implicito erroneo assunto che le canne fumarie debbano tout court ricondursi ad opere sottoposte a permesso;
- quanto ai profili igienico-sanitari: colgono nel segno le ineccepibili doglianze della ricorrente in precedenza illustrate, secondo cui la violazione regolamentare di norme preordinate alla salvaguardia della salubrità ambientale avrebbe dovuto trovare rimedio –nel caso di canne fumarie- non già nell’ordine di demolizione, bensì nella diversa intimazione a ricondurre tali opere alle altezze e distanze prescritte, tanto più nel caso di specie ove –secondo puntuali argomentazioni della ricorrente che il comune, neanche costituito, non ha inteso evidentemente confutare- sarebbero bastati piccoli accorgimenti tecnici per una piena conformazione agli statuti del vigente Regolamento Edilizio;
Considerato pertanto che il ricorso trova accoglimento per le suesposte ragioni, con conseguente annullamento dell’impugnata determinazione del 27.01.2010 (TAR Abruzzo-L'Aquila, sentenza 07.04.2016 n. 209 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAE’ necessario il previo rilascio del permesso di costruire per le canne fumarie, rientrandosi nella categoria dei lavori di ristrutturazione edilizia di cui all’articolo 3, comma 1, lettera d), del d.P.R. n. 380 del 2001, realizzati tramite inserimento di nuovi elementi ed impianti, qualora tali strutture non si presentino di piccole dimensioni, siano di palese evidenza rispetto alla costruzione e alla sagoma dell’immobile e non possano considerarsi un elemento meramente accessorio, ovvero di ridotta e aggiuntiva destinazione pertinenziale, come tale assorbito o occultato dalla preesistente struttura dell’immobile.
Mentre l’intervento di mera sostituzione di una canna fumaria, con le stesse dimensioni e identica localizzazione rispetto alla precedente, va considerato di manutenzione straordinaria, ai sensi dell’art. 3, comma 1, lett. b) del d.P.R. n. 380 del 2001, soggetto quindi a dia ai sensi dell’art. 22, comma 1 del d.P.R. n. 380 del 2001.
E’ anche vero peraltro che in taluni casi, avuto riguardo all’entità, minima, dell’intervento, si può rientrare nel campo di applicazione di cui all’art. 3, comma 1, lett. a), d.P.R. n. 380 del 2001, secondo cui sono interventi di manutenzione ordinaria gli interventi edilizi che riguardano le opere di riparazione, rinnovamento e sostituzione delle finiture degli edifici e quelle necessarie ad integrare o mantenere in efficienza gli impianti tecnologici esistenti.
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3. L’appello è fondato e va accolto con riferimento ai motivi sub 2) e 5).
In via preliminare e in termini generali è esatto che nel caso delle canne fumarie la giurisprudenza considera necessario il previo rilascio del permesso di costruire, rientrandosi nella categoria dei lavori di ristrutturazione edilizia di cui all'articolo 3, comma 1, lettera d), del d.P.R. n. 380 del 2001, realizzati tramite inserimento di nuovi elementi ed impianti, qualora tali strutture non si presentino di piccole dimensioni, siano di palese evidenza rispetto alla costruzione e alla sagoma dell'immobile e non possano considerarsi un elemento meramente accessorio, ovvero di ridotta e aggiuntiva destinazione pertinenziale, come tale assorbito o occultato dalla preesistente struttura dell'immobile; e che ritiene occorrente il permesso di costruire tutte le volte in cui venga in rilievo un intervento che, per dimensioni, altezza e conformazione, risulti incidere in modo significativo sul prospetto e sulla sagoma della costruzione sulla quale la canna fumaria è installata; mentre l’intervento di mera sostituzione di una canna fumaria, con le stesse dimensioni e identica localizzazione rispetto alla precedente, va considerato di manutenzione straordinaria, ai sensi dell’art. 3, comma 1, lett. b) del d.P.R. n. 380 del 2001, soggetto quindi a dia ai sensi dell’art. 22, comma 1, del d.P.R. n. 380 del 2001, con conseguente perseguibilità dell’intervento compiuto in assenza di titolo in base a quanto prevede l'art. 19 della legge della Regione Lazio 11.08.2008, n. 15 -interventi eseguiti in assenza o in difformità dalla denuncia di inizio attività, in base al quale in casi come quelli suindicati si applica una sanzione pecuniaria da un minimo di millecinquecento euro ad un massimo di 15 mila euro, in relazione alla gravità dell'abuso.
E’ anche vero peraltro che in taluni casi, avuto riguardo all’entità, minima, dell’intervento, si può rientrare nel campo di applicazione di cui all’art. 3 comma 1, lett. a), d.P.R. n. 380 del 2001, secondo cui sono interventi di manutenzione ordinaria gli interventi edilizi che riguardano le opere di riparazione, rinnovamento e sostituzione delle finiture degli edifici e quelle necessarie ad integrare o mantenere in efficienza gli impianti tecnologici esistenti.
Questo è senz’altro vero in termini generali.
Peraltro, la giurisprudenza sulla necessità di un titolo edilizio in materia e sulla conseguente legittimità di un’ingiunzione di pagamento di una sanzione pecuniaria nel caso d’intervento effettuato in assenza o in difformità dal titolo edilizio previsto, non sembra poter trovare applicazione nel caso –per vero del tutto peculiare- sottoposto all’esame del collegio.
3.1. Nella fattispecie, riconosciuta, in via preliminare, e doverosamente, la non piena perspicuità della situazione di fatto quale emerge dagli atti e dai documenti di causa, con riferimento alla data dell’adozione del provvedimento impugnato (giugno 2009) sembra(va) venire in questione, come del resto era stato rilevato dal Tar nella fase cautelare (v. sopra, p. 1.), non la già avvenuta realizzazione, sine titulo, di due canne fumarie in acciaio in sostituzione delle preesistenti, quanto invece la mera sostituzione temporanea della parte terminale di una delle due canne fumarie, finalizzata a migliorare la funzionalità della stessa, e ciò in adempimento al provvedimento emesso dal Tribunale civile di Roma in data 03.03.2008 nell’ambito della controversia tra vicini cui si è fatto cenno sopra, al p. 1.; con conseguente ricaduta dell’intervento, diversamente da quanto sostiene la difesa civica, nel campo di applicazione di cui all’art. 3, comma 1, lett. a), e di cui all’art. 6 del d.P.R. n. 380 del 2001, vale a dire nell’àmbito dell’attività libera.
Più in particolare, la descrizione, oggettivamente generica, dell’intervento sanzionato –posa in opera di elementi modulari in acciaio per la sostituzione di una preesistente canna fumaria presumibilmente in eternit, non chiarisce con sicurezza se si tratta della sostituzione e della rimozione delle canne fumarie per intero o se, invece, ci si riferisca soltanto all’intervento sulla parte terminale –a quanto consta- di una delle due canne fumarie, quella “fessurizzata”, in esecuzione dell’ordine del giudice civile, “essendo in corso di perfezionamento la dia per la sostituzione definitiva delle canne fumarie”. Intervento temporaneo rivolto come detto al miglioramento della funzionalità dell’impianto, in attesa della successiva sostituzione definitiva di ambedue gli impianti.
In questo contesto d’incertezza interpretativa sull’oggetto dell’ingiunzione impugnata, incertezza che la scarna documentazione in atti non fa venire meno, non sembrando d’altronde risolutiva la documentazione fotografica prodotta, appare improprio il richiamo operato dalla difesa civica all’orientamento giurisprudenziale, pacifico, per cui il verbale della polizia municipale fa piena prova, fino a querela di falso, della provenienza dell’atto dal pubblico ufficiale che lo ha formato, delle dichiarazioni delle parti e degli altri fatti che il pubblico ufficiale attesti come avvenuti in sua presenza o da lui compiuti.
Qui infatti viene in rilievo la diversa questione dell’interpretazione da attribuire all’ingiunzione impugnata, se cioè essa riguardi solo la parte terminale o la canna fumaria per intero.
Se dunque, come affermano gli appellanti, la posa in opera di elementi modulari in acciaio era da intendersi riferita non alla sostituzione integrale delle canne fumarie ma più limitatamente alla manutenzione della parte terminale della canna fumaria a scopo temporaneo di mantenimento in efficienza e di miglioramento della funzionalità dell’impianto; intervento eseguito nel 2008 in attesa dell’intervento “risolutivo” di cui alla dia del 07.09.2009 e alla comunicazione 31.08.2010 di fine lavori e certificato di collaudo; ne consegue che si fuoriesce dal campo di applicazione di cui all’art. 19 della l.r. n. 15 del 2008. E invero, diversamente da quanto sostiene la difesa civica in memoria, l’intervento sulla parte terminale della canna fumaria non può essere equiparato alla sostituzione integrale della stessa e ben può essere fatto rientrare nella manutenzione ordinaria –attività libera ex art. 6 del d.P.R. n. 380 del 2001.
Ben altra cosa, rispetto all’intervento sulla parte terminale della canna fumaria, risulta essere la rimozione e la successiva installazione delle due nuove canne fumarie, che risulta essere stata eseguita nel 2009 previo rituale deposito, presso il competente ufficio comunale, della dichiarazione di inizio di attività (cfr. comunicazione di fine lavori del 31.08.2010).
Di qui l’accoglimento del secondo motivo d’appello, imperniato sui vizi di travisamento dei fatti e violazione degli articoli 3 e 6 del d.P.R. n. 380 del 2001.
3.2. Nonostante il carattere risolutivo delle osservazioni esposte sopra, non pare superfluo rilevare come sia inoltre fondato e vada accolto anche il quinto motivo d’appello, imperniato sul difetto di motivazione circa le ragioni per le quali, tra un importo minimo di sanzione applicabile di 1.500 euro e un massimo di 15.000, l’Amministrazione ha stabilito di irrogare la sanzione pecuniaria nella misura –per vero più vicina al limite superiore che a quello inferiore- di euro 10.000.
In base all’art. 19 della l.reg. n. 15 del 2008, infatti, nel caso d’interventi eseguiti in assenza o in difformità dalla denuncia di inizio attività, la sanzione pecuniaria applicabile va da un minimo di € 1.500 a un massimo di € 15.000, in relazione alla gravità dell’abuso.
Nella fattispecie, non sono state minimamente spiegate le ragioni per le quali Roma Capitale ha deciso di applicare la sanzione nella misura di € 10.000; non risultano esplicitati i criteri utilizzati in concreto per quantificare la sanzione nella misura anzidetta. Anche il richiamo alla valutazione economica predisposta dal Servizio Urbanistica con nota n. 39613 del 04.06.2009 non spiega nulla, posto che la nota citata da ultimo si limita a richiamare la tipologia di lavori eseguiti –posa in opera di elementi modulari in acciaio per la sostituzione di una preesistente canna fumaria presumibilmente in eternit, da perseguire ai sensi dell’art. 19 della l.r. n. 15 del 2008, e si limita ad aggiungere in maniera del tutto immotivata importo € 10.000.
Sul punto la sentenza parla, in modo assai generico, di commisurazione della sanzione al valore di quanto abusivamente costruito.
Il difetto di motivazione appare in definitiva manifesto.
In conclusione l’appello va accolto e, per l’effetto, assorbiti gli ulteriori motivi dedotti e non esplicitamente esaminati, in riforma della sentenza impugnata il ricorso di primo grado va accolto e la determinazione impugnata annullata (Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 09.02.2016 n. 553 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

anno 2015

CONDOMINIO - EDILIZIA PRIVATAIl magazzino non può usare la canna fumaria. Impianti. Per la Cassazione occorre il legame di accessorietà dell’unità immobiliare.
Il ripristino dell’impianto di riscaldamento centralizzato non può essere rivendicato dalle unità immobiliari che per loro conformazione non sono servite da tale impianto.
La Corte di Cassazione, con sentenza 27.11.2015 n. 24296, ha affermato che il proprietario di un magazzino non servito dall’impianto di riscaldamento centralizzato, per ragioni di conformazione dell’edificio, non può legittimamente vantare un diritto di condominio sull’impianto medesimo, perché questo non è legato all’unità immobiliare da una relazione di accessorietà (che si configura come il fondamento tecnico del diritto di condominio), ossia da un collegamento strumentale, materiale e funzionale consistente nella destinazione all’uso o al servizio della medesima.
In sostanza, un condòmino agiva in giudizio chiedendo che fosse dichiarata la nullità della delibera con la quale l’assemblea condominiale aveva disposto la demolizione della parte finale della canna fumaria e la sua chiusura, con ciò pregiudicando il suo diritto all’utilizzo di tale impianto. In realtà, il condòmino la usava dal 1993 come canna fumaria del camino posto in un locale al piano terra di sua proprietà. Ma quella canna era stata abbandonata sin dal 1985, per effetto della trasformazione dell’impianto di riscaldamento centralizzato in autonomo. Il condominio aveva poi deciso la demolizione a causa del pericolo di crollo.
La Corte di cassazione, confermando la decisione del giudice distrettuale, ha evidenziato che il collegamento è stato operato tra la canna fumaria e il camino posto nel locale magazzino al piano terra di proprietà del ricorrente, sicché è irrilevante che all’interno dello stabile la parte istante fosse proprietaria di un’altra unità immobiliare.
Infatti, la relazione di accessorietà, che si configura come il fondamento tecnico del diritto di condominio, va considerata su base reale, in relazione a ciascun piano o porzione di piano in proprietà esclusiva, senza che a tal fine abbia rilievo il vincolo pertinenziale creato dal singolo condomino tra più unità immobiliari di sua esclusiva proprietà all’interno dello stesso edificio condominiale. Il presupposto per l’attribuzione della proprietà comune in favore di tutti i compartecipi viene meno se le cose, gli impianti, i servizi di uso comune, per oggettivi caratteri strutturali e funzionali, siano necessari per l’esistenza o per l’uso (ovvero siano destinati all’uso o al servizio) di alcuni soltanto dei piani o porzioni di piano dell’edificio.
Rispetto all’impianto di riscaldamento centralizzato, il proprietario del magazzino non può dunque rivendicare la natura condominiale del bene
 (articolo Il Sole 24 Ore dell'08.12.2015).
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MASSIMA
Va in primo luogo osservato che, contrariamente a quanto ritenuto dal ricorrente, non ha rilievo la titolarità, in capo al Do., anche di un appartamento (al quinto piano) nell'ambito dello stesso fabbricato condominiale, perché nella specie la controversia attiene all'utilizzo della canna fumaria per il tramite del collegamento operato con il camino posto nel locale magazzino al piano terra di proprietà del medesimo Do..
E la relazione di accessorietà, che si configura come il fondamento tecnico del diritto di condominio, va considerata, su base reale, in relazione a ciascun piano o porzione di piano in proprietà esclusiva, senza che a tal fine abbia rilievo il vincolo pertinenziale creato dal singolo condomino tra più unità immobiliari di sua esclusiva proprietà all'interno dello stesso edificio condominiale.
Occorre prendere le mosse dagli accertamenti compiuti dalla Corte d'appello:
(a) il locale magazzino di cui il ricorrente è proprietario e a tutela del quale ha agito per vedersi riconosciuto il diritto all'utilizzo della canna fumaria non era servito dall'impianto termico centralizzato quando questo era in esercizio;
(b) il Do. ha realizzato all'interno del locale un caminetto che ha provveduto a collegare alla canna fumaria.
Ritiene il Collegio, in conformità della propria giurisprudenza (Cass., Sez. II, 07.06.2000, n. 7730), che
il proprietario dell'unità immobiliare (nella specie, magazzino) che, per ragioni di conformazione dell'edificio, non sia servita dall'impianto di riscaldamento centralizzato, non può legittimamente vantare un diritto di condominio sull'impianto medesimo, perché questo non è legato alla detta unità immobiliari da una relazione di accessorietà (che si configura come il fondamento tecnico del diritto di condominio), e cioè da un collegamento strumentale, materiale e funzionale consistente nella destinazione all'uso o al servizio della medesima.
Il presupposto per l'attribuzione della proprietà comune in favore  di tutti i compartecipi viene meno, difatti, se le cose, gli impianti, i servizi di uso comune, per oggettivi caratteri strutturali e funzionali, siano necessari per l'esistenza o per l'uso (ovvero siano destinati all'uso o al servizio) di alcuni soltanto dei piani o porzioni di piano dell'edificio.
Correttamente, pertanto, la Corte d'appello ha escluso che l'utilizzazione della canna fumaria, per lo scarico dei fumi dal camino realizzato nel magazzino a piano terra, rientrasse in un'ipotesi di uso frazionato della cosa comune, non essendo l'impianto termico e la canna fumaria, per oggettivi caratteri strutturali e funzionali, a servizio di quel locale. Cade anche la premessa della censura di violazione degli artt. 1120 e 1136 cod. civ., prospettata sul presupposto di una condominialità rispetto a quel bene che invece non sussiste.

EDILIZIA PRIVATA: Non può configurarsi come elemento meramente accessorio dell'edificio, la realizzazione di una canna fumaria, che, pur non consistendo in opere murarie, in quanto realizzata in metallo od altro materiale, vada a soddisfare esigenze non precarie del costruttore, ciò comportando una modifica del prospetto e della sagoma del fabbricato cui inerisce, riconducendosi tale intervento nell'ambito delle opere di ristrutturazione edilizia di cui all'art. 3, comma 1, lett. d), del D.P.R. n. 380 del 2001 (T.U. Edilizia), realizzate mediante inserimento di nuovi elementi ed impianti, assoggettato al regime del permesso di costruire ai sensi dell'art. 10, comma 1, lett. c), dello stesso D.P.R.”.
Va peraltro aggiunto che la canna fumaria ha comportato anche opere murarie, essendo stata rivestita con mattoni in cotto.
Né peraltro, la costruzione di canne fumarie della specie è suscettibile di rientrare nella disciplina della c.d. SCIA o DIA, dovendo considerarsi che le stesse producono una modifica dei prospetti dell’edificio.
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Non appare rilevante, in favore del ricorrente, il tempo trascorso tra l’accertamento dell’abuso ed il suo compimento.
In simili ipotesi, la tutela dell'affidamento del privato è subordinata al rigoroso accertamento dei suoi presupposti giustificativi. A questo fine, non è sufficiente il decorso di un significativo intervallo temporale tra la realizzazione dell'abuso e l’intervento repressivo e sanzionatorio dell’amministrazione, ma è necessario anche che l’interessato adempia all’onere di rilevare in maniera ragionevolmente certa la colpevole inerzia dell’amministrazione.

Quest’ultimo aspetto è stato soltanto menzionato dal ricorrente, con riferimento ad una segnalazione, avvenuta nel 1996, per un intervento di manutenzione ordinaria sul piano seminterrato, ma di fatto risulta non dimostrato nei suoi certi contenuti.
A tacere la considerazione che la presenza dell'opera realizzata deve essere stata ritenuta, anche implicitamente, regolare dalla stessa amministrazione in occasione dell'esame di precedenti pratiche edilizie, o di altre attività amministrative, circostanza che, nel caso di specie, non può sostenersi essersi verificata.
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L’attribuzione all’opera (abusiva) contestata di un nome diverso da quello in concreto pertinente, non è da sola sufficiente per compromettere la legittimità dell’atto sanzionatorio, soprattutto laddove, al di là del profilo nominalistico, l’amministrazione ne individui esattamente la collocazione, la consistenza, i materiali e le caratteristiche. Nel caso specifico, non vi sono dubbi né contestazioni sull’esatta identificazione di questi elementi.
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La consistenza e la natura dei due manufatti difformi dalla licenza di costruzione non possono che risolversi nella loro rimozione, ciò in relazione all’accertata modifica dei prospetti e dei volumi preesistenti e di quelli autorizzati.
Tra l’altro, poiché è chiaro che la rimozione riguarda i soli manufatti abusivi e non il resto, le preoccupazioni del ricorrente in ordine alle ricadute sullo stabile appaiono obiettivamente destituite di fondamento.

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... per l'annullamento dell’ordinanza n. 21 del 28.11.2012 del Dirigente del settore, notificata il successivo 6 dicembre, con cui si intima la demolizione di opere asseritamente abusive.
...
6.- I tre motivi di censura possono essere trattati congiuntamente, in relazione agli evidenti profili di connessione argomentativa negli stessi presenti.
6.1.- Va, in primo luogo, smentita la premessa dalla quale poi generano le molteplici censure a vario titolo sollevate dal ricorrente, ossia le modeste dimensioni della canna fumaria.
Come rilevato dal sopralluogo dell’U.T.C., condotto in data 19.05.2012 –che si ritiene opportuno riportare integralmente- risultano i seguenti manufatti: “A margine dell'ala del piano seminterrato posta in aggetto alla facciata est del fabbricato per civile abitazione strutturato su quattro livelli, risulta ubicata una canna fumaria che si eleva per circa ml. 3,00 sul terrazzo a livello del piano rialzato, distante dalla facciata circa mt. 4,10. Su tale facciata risultano esposte ad altezza superiore rispetto alla sommità della canna fumaria ed in direzione della stessa, una finestra appartenente al primo piano ed un'altra appartenente al secondo piano. I piani seminterrato e rialzato costituiscono l'appartamento abitato dal sig. De Si. come sopra generalizzato.
La suddetta canna fumaria, rivestita con scaglie di pietra, si erge, come già accennato, a margine del terrazzo lato est del piano rialzato incastonata nel parapetto che delimita il terrazzo; ai lati della canna fumaria si elevano sul parapetto, due pilastrini rivestiti con mattoncini di cotto di altezza circa mt. 1,50 mentre altri due risultano posizionati ai margini ed in aderenza alla parete retrostante; sulla sommità dei suddetti pilastrini e nella parte alta della canna fumaria risulta ancorata tramite traverse, una tettoia di legno lamellare reticolare priva di copertura, costituente ingombro di superficie circa mq. 20
.”.
Quanto sopra lascia intendere che l’opera, per la superficie che occupa e per l’altezza che sviluppa non può essere minimizzata. In ogni caso, a prescindere dalle dimensioni, la stessa è conseguente ad una evidente intervento in difformità ad una licenza di costruzione.
6.2.- E’ quindi applicabile, al caso di specie, quell’orientamento giurisprudenziale (Tar Venezia, sez. II, 825/2013) secondo cui “
non può configurarsi come elemento meramente accessorio dell'edificio, la realizzazione di una canna fumaria, che, pur non consistendo in opere murarie, in quanto realizzata in metallo od altro materiale, vada a soddisfare esigenze non precarie del costruttore, ciò comportando una modifica del prospetto e della sagoma del fabbricato cui inerisce, riconducendosi tale intervento nell'ambito delle opere di ristrutturazione edilizia di cui all'art. 3, comma 1, lett. d), del D.P.R. n. 380 del 2001 (T.U. Edilizia), realizzate mediante inserimento di nuovi elementi ed impianti, assoggettato al regime del permesso di costruire ai sensi dell'art. 10, comma 1, lett. c), dello stesso D.P.R.” (cfr. anche, TAR Campania, Napoli, Sez. VIII, 4005/2012).
Va peraltro aggiunto che la canna fumaria ha comportato anche opere murarie, essendo stata rivestita con mattoni in cotto.
6.3.-
Né peraltro, la costruzione di canne fumarie della specie è suscettibile di rientrare nella disciplina della c.d. SCIA o DIA, dovendo considerarsi che le stesse producono una modifica dei prospetti dell’edificio.
Ciò è tanto più rilevante sotto il profilo urbanistico ove si consideri che il comune di Trecase è incluso nell’ambito del Piano Territoriale Paesistico dell’area Vesuvio, di cui al decreto ministeriale 14.12.1995, redatto ai sensi dell'art. 1-bis della legge 08.08.1985 n. 431.
Nello specifico, come emerge dalla stessa relazione peritale di parte, la proprietà del ricorrente ricade in zona R.U.A. (Recupero Urbanistico-Edilizio Restauro Paesistico-Ambientale), con possibilità di interventi di ristrutturazione edilizia e di adeguamento igienico-sanitario e tecnologico delle unità abitative.
Quest’ultima circostanza, tuttavia, non è comunque idonea a superare l’esigenza, anche ai fini del rispetto dei vincoli paesaggistico-ambientali, di ottenere il preventivo nullaosta, laddove, com’è accaduto, si verifichino alterazioni prospettiche e volumetriche rispetto al preesistente stato dei luoghi.
6.4.-
Né, in favore del ricorrente, appare rilevante il tempo trascorso tra l’accertamento dell’abuso ed il suo compimento.
In simili ipotesi, la tutela dell'affidamento del privato è subordinata al rigoroso accertamento dei suoi presupposti giustificativi. A questo fine, non è sufficiente il decorso di un significativo intervallo temporale tra la realizzazione dell'abuso e l’intervento repressivo e sanzionatorio dell’amministrazione, ma è necessario anche che l’interessato adempia all’onere di rilevare in maniera ragionevolmente certa la colpevole inerzia dell’amministrazione.

Quest’ultimo aspetto è stato soltanto menzionato dal ricorrente, con riferimento ad una segnalazione, avvenuta nel 1996, per un intervento di manutenzione ordinaria sul piano seminterrato, ma di fatto risulta non dimostrato nei suoi certi contenuti.
A tacere la considerazione che la presenza dell'opera realizzata deve essere stata ritenuta, anche implicitamente, regolare dalla stessa amministrazione in occasione dell'esame di precedenti pratiche edilizie, o di altre attività amministrative, circostanza che, nel caso di specie, non può sostenersi essersi verificata (TAR Umbria, Perugia, sez. I, 21.01.2010, n. 23).
6.5.- Non risolutiva appare poi la censura relativa all’erronea qualificazione che il comune avrebbe formulato sull’altro manufatto, indicato erroneamente come “tettoia”, in luogo del più appropriato “pergola pompeiana”.
L’attribuzione all’opera contestata di un nome diverso da quello in concreto pertinente, non è da sola sufficiente per compromettere la legittimità dell’atto sanzionatorio, soprattutto laddove, al di là del profilo nominalistico, l’amministrazione ne individui esattamente la collocazione, la consistenza, i materiali e le caratteristiche. Nel caso specifico, non vi sono dubbi né contestazioni sull’esatta identificazione di questi elementi.
Sicché la censura non può essere seguita.
7.- Infine, con il quarto motivo il ricorrente censura, in via subordinata, la violazione dell’art. 12 Legge n. 47/1985 e dell’art. 34 d.p.r. 380/2001; l’eccesso di potere per difetto di motivazione, lo sviamento nella forma sintomatica dell’ingiustizia manifesta.
Nell’ipotesi in cui si ritenga che le opere realizzate siano comunque soggette al controllo dell’amministrazione comunale, il ricorrente si duole del fatto che quest’ultima non avrebbe comunque valutato l’incidenza della disposta demolizione sull’intera struttura né avrebbe in alcun modo esaminato l’eventualità di applicare, in luogo della più invasiva misura demolitoria, una sanzione pecuniaria, come espressamente contemplato dall’art. 12 L. n. 47/1985, recepito dall’art. 34 d.p.r. 380/2001.
La censura non può essere presa in considerazione.
Come appurato in esito all’esame delle precedenti censure,
la consistenza e la natura dei due manufatti difformi dalla licenza di costruzione non possono che risolversi nella loro rimozione, ciò in relazione all’accertata modifica dei prospetti e dei volumi preesistenti e di quelli autorizzati.
Tra l’altro, poiché è chiaro che la rimozione riguarda i soli manufatti abusivi e non il resto, le preoccupazioni del ricorrente in ordine alle ricadute sullo stabile appaiono obiettivamente destituite di fondamento.

8.- Per quanto sopra, il ricorso va respinto (TAR Campania-Napoli, Sez. III, sentenza 23.11.2015 n. 5424 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: La canna fumaria installata in un palazzo di pregio va rimossa se altera l'estetica dell'edificio.
L’apposizione della canna fumaria e della struttura di copertura della stessa immuta lo stato della cosa comune eccedendo i limiti segnati dalle concorrenti facoltà dei compossessori ex art. 1102 c.c., impedendo un analogo uso da parte di questi ultimi ed anzi sottraendo al loro uso, assicurato dal possesso, il relativo beneficio derivante dalla libertà da ingombri della porzione del bene comune.
L’uso particolare che il comproprietario faccia del bene comune non può considerarsi estraneo alla destinazione normale dell’area, a condizione però che si verifichi in concreto che, per le dimensioni del manufatto o per altre eventuali ragioni di fatto, tale uso non alteri l’utilizzazione del cortile praticata dagli altri comproprietari, né escluda per gli stessi la possibilità di fare del bene medesimo un analogo uso particolare.
La sentenza impugnata da conto proprio della inesistenza di tale condizione ed in particolare della alterazione della destinazione naturale dell’area occupata con la struttura contenente la canna fumaria e per tale ragione ha ritenuto commettere molestia la società che aveva immutato lo stato di fatto degradando gravemente l’estetica dell’edificio ed alterando precedenti facoltà di utilizzazione da parte degli altri condomini
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Con il secondo motivo la ricorrente lamenta la violazione o falsa applicazione del combinato disposto degli artt. 1140, 1168 e 1170 c.c. per non avere la corte di merito considerato che si tratta di corte interna in stato di degrado e che tutti i muri perimetrali sono 'ornati' di tubature 'a vista'.
A conclusione del mezzo viene formulato il seguente quesito di diritto: "premesso che la Corte di merito ha omesso di considerare che l'uso dei muri perimetrali della corte interna del palazzo sito in via S. Stefano n. 35 da parte della ricorrente sia avvenuto, giusta diritto sancito ex art. 1102 c.c., per una esigenza di carattere primario (riscaldamento) della propria unità immobiliare, affermi la Suprema Corte, se, nei rapporti tra Condominio ed il singolo condomino di un edificio condominiale sull'uso delle cose comuni, in caso di contrasto tra le norme relative alle distanze legali e quelle relative all'art. 1102 c.c. sulla comunione, debbano prevalere queste ultime nel caso in cui il singolo condomino utilizzi le parti comuni per l'installazione di impianti qualificabili come indispensabili per un'effettiva abitabilità del suo appartamento, secondo le esigenze generali dei cittadini e le moderne concezioni di igiene, ed il rispetto delle norme sulle distanze non sia compatibile con la concreta struttura dell'edificio. Affermi la Corte se nella fattispecie concreta l'esigenza di riscaldare la propri unità immobiliare comporti una deroga alla normativa sulle distanze legali ai sensi e per effetti dell'art. 1102 c.c.".
Il mezzo non è fondato.
Nel condominio degli edifici le parti comuni formano oggetto, a favore di tutti i condomini, di un compossesso pro indiviso il quale si esercita diversamente a seconda che le cose siano oggettivamente utili alle singole unità immobiliari cui siano collegate materialmente o per destinazione funzionale (suolo, fondazioni, muri maestri, oggettivamente utili per la statica) oppure siano soggettivamente utili nel senso che la loro unione materiale o la destinazione funzionale ai piani o porzioni di piano dipende dall'attività dei rispettivi proprietari (portone, anditi, scale, ascensore ecc); nel primo caso l'esercizio del possesso consiste nel beneficio che il piano o la porzione di piano (e, per traslato, il proprietario) trae da tali utilità, nel secondo caso si risolve nell'espletamento della predetta attività da parte del proprietario.
Ciò posto,
il godimento delle cose comuni da parte dei singoli condomini assurge ad oggetto di tutela possessoria quando uno di loro abbia alterato e violato, senza il consenso degli altri condomini ed in loro pregiudizio, lo stato di fatto o la destinazione della cosa oggetto del comune possesso, in modo da impedire o da restringere il godimento spettante a ciascun compossessore pro indiviso sulla cosa medesima (Cass. 26.01.2000 n. 855; Cass. 11.03.1993 n. 2947; Cass. 21.07.1988 n. 4733; Cass. 18.07.1984 n. 4195).
La modifica di una parte comune e della sua destinazione ad opera di taluno dei condomini, sottraendo la cosa alla sua specifica funzione e quindi al compossesso di tutti i condomini, legittima di conseguenza gli altri condomini all'esperimento dell'azione di reintegrazione per conseguire la riduzione della cosa al pristino stato in modo che essa possa continuare a fornire quella utilitas alla quale era asservita anteriormente alla contestata modificazione, senza che sia necessaria la specifica prova del possesso di detta parte quando risulti che essa consista in una porzione immobiliare in cui l'edificio si articola (Cass. 13.07.1993 n. 7691).
Nella specie la corte di merito —premesso di avere verificato lo stato del fabbricato— ha accertato, con apprezzamento non censurabile in Cassazione, che
la canna in contestazione aveva dimensioni non trascurabili, rappresentata come era da una sovrastruttura apposta nella facciata del palazzo condominiale priva di qualsiasi collegamento dal punto di vista architettonico o funzionale con la parete esterna dell'edificio, per cui alterava notevolmente l'estetica dell'edificio, pure bisognevole di manutenzione, e costituiva un elemento di grave degrado.
Inoltre
sussisteva anche la lamentata turbativa al godimento della luce proveniente dalla finestra collocata proprio al di sotto della canna fumaria, evincibile dalle foto prodotte, in quanto l'ingombro della struttura provoca ombra sulla finestra dell'appartamento, diminuendone la luminosità.
Pertanto, la decisione di accoglimento della domanda di manutenzione nel possesso proposta dai condomini Collina e Berti si presenta corretta, incidendo detta struttura sull'estetica dello stabile, oltre a notevolmente ridurre la luce nella stanza che affaccia dalla finestra sottostante la canna.
Il giudice di merito, insomma, ha correttamente ritenuto che con la apposizione della canna fumaria e della struttura di copertura della stessa la condòmina aveva immutato lo stato della cosa comune eccedendo i limiti segnati dalle concorrenti facoltà dei compossessori ex art. 1102 c.c., impedendo un analogo uso da parte di questi ultimi ed anzi sottraendo al loro uso, assicurato dal possesso, il relativo beneficio derivante dalla libertà da ingombri della porzione del bene comune (massima tratta da http://renatodisa.com - Corte di Cassazione, Sez. II civile, sentenza 24.08.2015 n. 17072).

EDILIZIA PRIVATA: Il ricorrente sostiene che il manufatto in disamina (canna fumaria del diametro di 50 cm. e un’altezza di ben 19,20 mt.) costituirebbe volume tecnico, come tale privo di rilevanza urbanistica ed oltretutto non sarebbe particolarmente pregiudizievole per il territorio e che pertanto non occorrerebbe per la sua realizzazione premunirsi del permesso di costruire.
Tale doglianza è infondata alla luce della giurisprudenza pacifica, specie del Tribunale, che predica il principio secondo cui una canna fumaria di non trascurabili dimensioni necessita di permesso di costruire.
Il Tribunale ha infatti chiarito che “Per le canne fumarie sussiste la necessità del previo rilascio del permesso di costruire, qualora esse non presentino piccole dimensioni, siano di palese evidenza rispetto alla costruzione e alla sagoma dell'immobile e non possano considerarsi un elemento meramente accessorio ovvero di ridotta e aggiuntiva destinazione pertinenziale, come tale assorbito o occultato dalla preesistente struttura dell'immobile”.
Si era già, del resto, affermato in termini che “La canna fumaria, di palese evidenza rispetto alla costruzione e alla sua sagoma, non può considerarsi un elemento meramente accessorio ovvero di ridotta e aggiuntiva destinazione pertinenziale, come tale assorbito o occultato dalla preesistente struttura dell'immobile, occorrendo, pertanto, per la stessa, la concessione edilizia”.
Ebbene, l'intervento in esame, ad avviso del Collegio, è riconducibile ai lavori di ristrutturazione edilizia di cui all'articolo 3, comma 1°, lettera d), del D.P.R. n. 380/2001, realizzati tramite inserimento di nuovi elementi ed impianti, ed è quindi subordinata al regime del permesso di costruire, ai sensi dell'articolo 10, comma primo, lettera c), dello stesso D.P.R. laddove comporti, come nel caso di specie, una modifica del prospetto del fabbricato cui inerisce, come del resto chiaramente evincibile dalle riproduzioni fotografiche in atti.
Peraltro la necessità del previo rilascio del permesso di costruire può configurarsi anche in presenza di opere che attuino una trasformazione del tessuto urbanistico ed edilizio, anche se esse non consistano in opere murarie, essendo realizzate in metallo, in laminati di plastica, in legno od altro materiale, in presenza di trasformazioni preordinate a soddisfare esigenze non precarie del costruttore.

... Per l'annullamento del provvedimento n. prot. 21736, notificato il 07/08/2014 di abbattimento della canna fumaria a servizio del ristorante-pizzeria emesso dal Comune di Portici.
...
5.1. Con il terzo mezzo il ricorrente sostiene che il manufatto in disamina costituirebbe volume tecnico, come tale privo di rilevanza urbanistica ed oltretutto non sarebbe particolarmente pregiudizievole per il territorio e che pertanto non occorrerebbe per la sua realizzazione premunirsi del permesso di costruire.
5.2. Anche questa doglianza è infondata alla luce della giurisprudenza pacifica, specie del Tribunale, che predica il principio secondo cui una canna fumaria di non trascurabili dimensioni necessita di permesso di costruire.
Il Tribunale ha infatti chiarito che “Per le canne fumarie sussiste la necessità del previo rilascio del permesso di costruire, qualora esse non presentino piccole dimensioni, siano di palese evidenza rispetto alla costruzione e alla sagoma dell'immobile e non possano considerarsi un elemento meramente accessorio ovvero di ridotta e aggiuntiva destinazione pertinenziale, come tale assorbito o occultato dalla preesistente struttura dell'immobile” (TAR Campania–Napoli, Sez. VIII , 01.10.2012 n. 4005).
Si era già, del resto, affermato in termini che “La canna fumaria, di palese evidenza rispetto alla costruzione e alla sua sagoma, non può considerarsi un elemento meramente accessorio ovvero di ridotta e aggiuntiva destinazione pertinenziale, come tale assorbito o occultato dalla preesistente struttura dell'immobile, occorrendo, pertanto, per la stessa, la concessione edilizia” (TAR Campania–Napoli, Sez. VI , 03.06.2009 n. 3039).
Ebbene, l'intervento in esame, ad avviso del Collegio, è riconducibile ai lavori di ristrutturazione edilizia di cui all'articolo 3, comma 1°, lettera d), del D.P.R. n. 380/2001, realizzati tramite inserimento di nuovi elementi ed impianti, ed è quindi subordinata al regime del permesso di costruire, ai sensi dell'articolo 10, comma primo, lettera c), dello stesso D.P.R. laddove comporti, come nel caso di specie, una modifica del prospetto del fabbricato cui inerisce, come del resto chiaramente evincibile dalle riproduzioni fotografiche in atti.
Peraltro la necessità del previo rilascio del permesso di costruire può configurarsi anche in presenza di opere che attuino una trasformazione del tessuto urbanistico ed edilizio, anche se esse non consistano in opere murarie, essendo realizzate in metallo, in laminati di plastica, in legno od altro materiale, in presenza di trasformazioni preordinate a soddisfare esigenze non precarie del costruttore.
Come più sopra avvertito, invero, la canna fumaria la cui abusiva realizzazione è stata sanzionata con il provvedimento al vaglio del Tribunale, è posta all’esterno de fabbricato, come ha chiarito la relazione n. 7121 del 17.11.2014 a firma del competente Responsabile comunale, prodotta dalla difesa civica il 19.11.2014.
Di talché risulta contraddetta l’affermazione di cui alla narrativa in fato del ricorso a stare alla quale il manufatto sarebbe posizionato al’interno dell’immobile.
Inoltre le sue caratteristiche inducono ad affermarne la natura impattante sia l’ambiente che il territorio, avendo esso un diametro di 50 cm. e un’altezza di ben 19,20 mt..
Di conseguenza, alla luce dell’orientamento testé passato in rassegna, per la sua realizzazione occorreva il previo rilascio del permesso di costruire, non potendo esso annoverarsi tra gli interventi di mera manutenzione ordinaria.
Da ciò discende la legittimità dell’irrogata sanzione demolitoria (TAR Campania-Napoli, Sez. III, sentenza 03.07.2015 n. 3612 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: In materia di canne fumarie, l'esistenza di un regolamento comunale (di igiene) preclude in capo al Giudice di poter disporre discrezionalmente.
Il rispetto della distanza prevista dall'art. 890 del codice civile, nella cui regolamentazione rientrano anche i comignoli con canna fumaria è collegato a una presunzione assoluta di nocività e pericolosità che prescinde da ogni accertamento concreto nel caso in cui vi sia un regolamento edilizio comunale che stabilisca la distanza medesima.
Diversamente, in difetto di una disposizione regolamentare, si ha pur sempre una presunzione di pericolosità, seppure relativa, che può essere superata ove la parte interessata al mantenimento del manufatto dimostri che mediante opportuni accorgimenti può ovviarsi al pericolo o al danno del fondo vicino.

Col primo motivo si lamentano violazione degli arti. 890 cc, 57 r.e. e 42 reg. di igiene perché contrariamente a quanto reputa la sentenza disciplinano le distanze ed integrano l'art. 890 cc, con quesito.
Col secondo motivo si denunzia violazione dell'art. 2697 cpc, recte cc, perché erra la sentenza nel ritenere D. gravato della prova di nocività, con quesito. 
Col terzo motivo si deducono difetto di motivazione sulla sufficienza della prova offerta da Z. sulla innocuità della fabbrica e violazione degli artt. 111.6 Cost., 112 cpc, 132 cpc..
Col quarto motivo si denunzia insufficiente motivazione con indicazione del fatto decisivo non considerato nella nocività o pericolosità della canna fumaria.
Ciò premesso si osserva:
La Corte di appello ha dedotto che né l'art. 890 cc né l'art. 7 del r.e. prevedono distanze per le canne fumarie mentre quella di metri dieci era prevista nell'art. 6, comma 15, dpr 1391/1970, norma dichiarata inapplicabile dal primo giudice, senza censura sul punto di alcuna parte.
In ordine alla nocività o pericolosità il D. non aveva fornito alcuna prova mentre controparte aveva documentato l'esistenza di due provvedimenti giudiziari, in particolare ex art. 700 cpc, che avevano escluso conseguenze nocive per l'appartamento e la salute dell'appellato.
Ciò premesso, la prima censura afferma l'esistenza di una normativa sulle distanze esclusa dalla sentenza (si legge, invero, a pagina quattro che sia l'art. 890 cc che l'art. 57 del reg.ed. non contengono alcuna prescrizione in tema di distanze ed in particolare la norma regolamentare prevede solo una altezza dei comignoli di almeno un metro dal colmo delle coperture, in modo da evitare danni a terzi per i fumi).
Va tuttavia considerato che l'art. 890 cc rinvia alle norme locali e solo in mancanza demanda l'accertamento al Giudice.
Se è violata la norma locale, la nocività o pericolosità è presunta iuris et de iure, mentre se manca la norma locale la presunzione è iuris tantum.  Nel caso in esame la sentenza cita l'art. 42 del regolamento locale di igiene il quale prevede che lo sbocco superiore dei fumaioli... .dovrà elevarsi almeno di un metro sul tetto della casa più alta vicina, al momento della costruzione del camino stesso.
Una distanza, sia pure in verticale, è prevista e pertanto è integrato l'art. 890 cc ed il giudice non aveva alcun potere discrezionale al riguardo. Nel controricorso si sostiene che il regolamento edilizio del 1989 avrebbe abrogato quello di igiene del 1942 ma il rilievo è inesatto in quanto hanno oggetti diversi (l'uno lo sviluppo urbanistico, l'altro la tutela della salute).
La norma codicistica fa riferimento alle distanze stabilite dai regolamenti e, in mancanza, a quelle necessarie a preservare i fondi vicini da ogni danno alla solidità, salubrità e sicurezza.
Donde l'accoglimento del primo motivo con assorbimento degli altri (Corte di Cassazione, Sez. II civile, sentenza 26.05.2015 n. 10814).

anno 2014

EDILIZIA PRIVATA: Il comune non può bloccare la canna fumaria sgradita. Sentenza del Tar Brescia.
I vicini non possono bloccare la realizzazione della canna fumaria lungo la facciata dell'edificio che serve al ristorante di un loro condomino. A meno che, beninteso, il condotto non risulti in contrasto con il decoro architettonico del fabbricato. È così che il Comune non può negare l'autorizzazione alla società che chiede di installare la struttura da mettere al servizio del locale pubblico motivando sul mero dissenso espresso dagli altri condomini e non sull'impatto di natura antiestetica della struttura sul prospetto del palazzo.

È quanto emerge dalla sentenza 02.12.2014 n. 1308, pubblicata dalla I Sez. del TAR Lombardia-Brescia.
È accolto in base all'articolo 1102 Cc il ricorso del locale pubblico ha bisogno di convogliare i fumi più in alto possibile: deve essere annullato il provvedimento del dirigente del settore Attività produttive dell'ente locale.
Ciascun condomino può servirsi della cosa comune, a patto che non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto. E ognuno può apportare a sue spese le modificazioni necessarie per il miglior godimento della cosa.
Insomma: in astratto l'opera sulle parti comuni può essere realizzata da uno senza il consenso degli altri condomini, ma a condizione che non risulti pregiudicata l'armonia delle linee architettoniche che caratterizzano la facciata dell'edificio. E il diniego dell'amministrazione risulta illegittimo proprio perché motiva sulla «piena titolarità a intervenire».
Il Comune paga le spese di giudizio (articolo ItaliaOggi del 30.01.2015).

EDILIZIA PRIVATA: Sulla realizzazione di canna fumaria in facciata condominiale.
E’ noto che i titoli abilitativi edilizi, da un lato si rilasciano, ai sensi dell’art. 11, comma 3, T.U. 06.06.2001 n. 380, salvi i diritti dei terzi, e quindi dovrebbero in linea di principio prescindere dai titoli civilistici dei terzi stessi, anche se in astratto suscettibili di paralizzarne l’efficacia, come nel caso esemplare di un permesso di costruire rilasciato su un fondo che è inedificabile per causa di una servitù in tal senso. Dall’altro lato però, i titoli stessi impongono ai sensi dell’art. 11 citato, comma 1, all’amministrazione che le rilascia di verificare la legittimazione del richiedente, e con essa, si dovrebbe ritenere, anche la sussistenza di diritti di terzi che la escludano.
La contraddizione potenziale si compone applicando il principio di non aggravamento del procedimento. In tali termini, un titolo confliggente con i diritti di terzi sarà legittimo se l’amministrazione non poteva riconoscerne l’esistenza in base ai soli atti del procedimento forniti dalla parte interessata; sarà invece illegittima se dell’esistenza del vincolo l’amministrazione aveva motivo di sospettare.
Così nel caso di specie, dato che negli edifici in condominio per definizione a fronte dell’opera del singolo condomino vi sono i diritti degli altri condomini, e quindi correttamente il Comune li ha considerati.
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In generale, per l’art. 1002 c.c., comma 1, “ciascun partecipante può servirsi della cosa comune, purché non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto. A tal fine può apportare a proprie spese le modificazioni necessarie per il miglior godimento della cosa.”.
Nel caso particolare che qui rileva, di installazione di una canna fumaria che interessi anche la facciata in corrispondenza delle proprietà di altri condomini, costante giurisprudenza non nega a priori la possibilità di effettuare l’opera senza l’assenso di costoro; richiede però, perché se ne possa prescindere, che in concreto non siano pregiudicati l’armonia e il decoro della facciata in questione.
Di conseguenza, il provvedimento comunale impugnato, che motiva soltanto con riguardo alla mancanza della “piena titolarità a intervenire” derivante dal diniego degli altri condomini, e non apprezza l’impatto dell’opera sulla facciata interessata, risulta illegittimo e va annullato.

... per l’annullamento, previa sospensione, del provvedimento 16.07.2014 prot. n. 28344 del successivo 17 luglio, conosciuto in data imprecisata, con il quale il Dirigente del settore attività produttive e sviluppo economico del Comune di Mantova ha respinto la richiesta presentata dalla Borgo Immobiliare S.r.l. per la installazione di una canna fumaria esterna nell’immobile sito al locale corso ... , distinto al catasto al foglio ... mapp ...;
...
- che è infondato e va respinto anche il secondo motivo. E’ noto che i titoli abilitativi edilizi, da un lato si rilasciano, ai sensi dell’art. 11, comma 3, T.U. 06.06.2001 n. 380, salvi i diritti dei terzi, e quindi dovrebbero in linea di principio prescindere dai titoli civilistici dei terzi stessi, anche se in astratto suscettibili di paralizzarne l’efficacia, come nel caso esemplare di un permesso di costruire rilasciato su un fondo che è inedificabile per causa di una servitù in tal senso. Dall’altro lato però, i titoli stessi impongono ai sensi dell’art. 11 citato, comma 1, all’amministrazione che le rilascia di verificare la legittimazione del richiedente, e con essa, si dovrebbe ritenere, anche la sussistenza di diritti di terzi che la escludano.
La contraddizione potenziale -secondo la giurisprudenza, per tutte già TAR Liguria 11.07.2007 n. 1376- si compone applicando il principio di non aggravamento del procedimento. In tali termini, un titolo confliggente con i diritti di terzi sarà legittimo se l’amministrazione non poteva riconoscerne l’esistenza in base ai soli atti del procedimento forniti dalla parte interessata; sarà invece illegittima se dell’esistenza del vincolo l’amministrazione aveva motivo di sospettare.
Così nel caso di specie, dato che negli edifici in condominio per definizione a fronte dell’opera del singolo condomino vi sono i diritti degli altri condomini, e quindi correttamente il Comune li ha considerati;
- che è invece fondato e va accolto il terzo motivo. In generale, per l’art. 1002 c.c., comma 1, “ciascun partecipante può servirsi della cosa comune, purché non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto. A tal fine può apportare a proprie spese le modificazioni necessarie per il miglior godimento della cosa.”.
Nel caso particolare che qui rileva, di installazione di una canna fumaria che interessi anche la facciata in corrispondenza delle proprietà di altri condomini, costante giurisprudenza –Cass. civ. sez. II 11.05.2011 n. 10350, T. Roma sez. XII 28.07.2002, T. Milano 26.03.1992 e T. Trento 16.05.2013 n. 432- non nega a priori la possibilità di effettuare l’opera senza l’assenso di costoro; richiede però, perché se ne possa prescindere, che in concreto non siano pregiudicati l’armonia e il decoro della facciata in questione.
Di conseguenza, il provvedimento impugnato, che motiva soltanto con riguardo alla mancanza della “piena titolarità a intervenire” (doc. 10 Comune, cit.) derivante dal diniego degli altri condomini, e non apprezza l’impatto dell’opera sulla facciata interessata, risulta illegittimo e va annullato
(TAR Lombardia-Brescia, Sez. I, sentenza 02.12.2014 n. 1308 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA1. L'installazione di canna fumaria a servizio di attività di ristorazione va ricondotto nel novero dei lavori di ristrutturazione edilizia di cui all'articolo 3, comma 1, lettera d), del D.P.R. n. 380 del 2001, realizzati tramite inserimento di nuovi elementi ed impianti, e, dunque, soggetto al regime del permesso di costruire, ai sensi dell'articolo 10, comma primo, lettera c), dello stesso D.P.R. n. 380/2001 laddove comporti una modifica del prospetto del fabbricato cui inerisce.
2. In tema di installazione di canne fumarie, è necessario il previo rilascio del permesso di costruire, qualora esse non si presentino di piccole dimensioni, siano di palese evidenza rispetto alla costruzione e alla sagoma dell'immobile, e non possano considerarsi un elemento meramente accessorio, ovvero di ridotta e aggiuntiva destinazione pertinenziale, come tale assorbito o occultato dalla preesistente struttura dell'immobile.

Osserva il Collegio che l'intervento in esame deve ritenersi riconducibile ai lavori di ristrutturazione edilizia di cui all'articolo 3, comma 1, lettera d), del D.P.R. n. 380 del 2001, realizzati tramite inserimento di nuovi elementi ed impianti, e, dunque, soggetto al regime del permesso di costruire, ai sensi dell'articolo 10, comma primo, lettera c), dello stesso D.P.R. laddove comporti, come nel caso di specie, una modifica del prospetto del fabbricato cui inerisce, peraltro riscontrabile dalle riproduzioni fotografiche in atti.
Occorre inoltre sul punto ricordare che, nel caso delle canne fumarie, la giurisprudenza ha ravvisato la necessità del previo rilascio del permesso di costruire, qualora esse non si presentino di piccole dimensioni, siano di palese evidenza rispetto alla costruzione e alla sagoma dell'immobile, e non possano considerarsi un elemento meramente accessorio, ovvero di ridotta e aggiuntiva destinazione pertinenziale, come tale assorbito o occultato dalla preesistente struttura dell'immobile.
Nel caso di specie, dalle riproduzioni fotografiche depositate in atti, la canna fumaria installata sull'edificio in esame per dimensioni, altezza, relativa conformazione, risulta incidere notevolmente sul prospetto e la sagoma della costruzione su cui è installata.
D’altro canto non risulta dagli atti la prova che la canna fumaria in questione abbia sostituito –come sostiene il ricorrente- una canna fumaria precedente (della cui esistenza il ricorrente fa unicamente cenno nel ricorso, ma non nella domanda di condono), né risultano le dimensioni e la precisa localizzazione di quest’ultima.
In ogni caso, anche se se si trattasse effettivamente di sostituzione di una canna fumaria avente le stesse dimensioni e identica localizzazione rispetto alla precedente, l’intervento andrebbe considerato di manutenzione straordinaria, soggetto comunque anch’esso a sanatoria, come dispone l’allegato 1 del d.l. 269/2003 (massima tratta da www.ricerca-amministrativa.it - TAR Lazio-Roma, Sez. II-quater, sentenza 02.10.2014 n. 10134 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATASul piano urbanistico, la costruzione o il posizionamento di una canna fumaria costituisce un intervento che nella previgente normativa richiedeva un’autorizzazione edilizia (v. art. 7, comma 2-a, del DL 23.01.1982 n. 9) e attualmente è subordinato a DIA semplice (v. art. 4, comma 7-f, del DL 05.10.1993 n. 398; art. 22, commi 1 e 2, del DPR 380/2001).
Questo inquadramento si fonda sull’assimilazione delle canne fumarie ai volumi tecnici e sul collegamento funzionale tra le canne fumarie e gli impianti tecnologici. Ne consegue che l’esecuzione senza titolo di tali opere ricade nella disciplina sulla regolarizzazione di cui all’art. 37 del DPR 380/2001.
Più in dettaglio, sembra applicabile l’ipotesi prevista dal comma 4 dell’art. 37 del DPR 380/2001 (regolarizzazione in presenza di conformità urbanistica), in quanto la nota dirigenziale del 22.01.2010, con la quale sono stati comunicati i motivi ostativi al rilascio del titolo edilizio per il prolungamento della canna fumaria, non menziona impedimenti di natura urbanistica.
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Sul piano paesistico, parimenti, la canna fumaria è sanabile ai sensi dell’art. 167, comma 4, del Dlgs. 22.01.2004 n. 42, non essendo idonea a formare volume o superficie utile.
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Quanto è sanabile sul piano urbanistico e paesistico potrebbe però non esserlo in relazione alla normativa igienico-sanitaria. Questo è precisamente il problema nel caso in esame, in quanto la collocazione della canna fumaria al di sotto e in prossimità delle finestre degli appartamenti comunali si pone in diretto contrasto con gli art. 3.4.32 e 3.4.43 del titolo III del regolamento locale di igiene.
Il contrasto con una norma igienico-sanitaria può essere risolto in vari modi: con una deroga, con la modifica del manufatto non conforme, o con la rimozione dello stesso.
Esclusa l’ipotesi della deroga, che non è stata chiesta neppure dalla ricorrente, l’amministrazione è tenuta, per il principio di proporzionalità, ad applicare la misura meno afflittiva per il privato, a parità di beneficio per l’interesse pubblico.
La particolarità del caso in esame consiste nel fatto che la misura meno afflittiva, ossia la sopraelevazione della canna fumaria oltre il colmo dell’edificio di proprietà comunale, richiede anche un assenso di natura privatistica da parte del Comune. Quest’ultimo dovrebbe infatti concedere una servitù di appoggio del tubo al muro dell’edificio comunale.
Il rifiuto del Comune di concedere tale servitù non appare condivisibile. L’elemento privatistico si inserisce in realtà in una fattispecie amministrativa, e dunque viene attratto negli schemi pubblicistici applicabili a quest’ultima. Occorre infatti sottolineare che l’utilizzo privatistico dei propri beni da parte del Comune è comunque sottoposto ai principi generali di buona fede e di astensione dai comportamenti emulativi. Questi principi si trasformano in un obbligo rafforzato di collaborazione quando la concessione di un diritto marginale sui beni comunali potrebbe mettere il privato nella condizione di risolvere un problema che arreca danno all’interesse pubblico. A maggior ragione, l’obbligo di collaborazione si manifesta quando il problema che il privato potrebbe risolvere incide negativamente sugli stessi beni comunali.
Il Comune come autorità locale in materia igienico-sanitaria deve quindi imporre la sopraelevazione della canna fumaria che disturba gli appartamenti vicini, e come proprietario dell’edificio a cui può essere appoggiato il tubo è tenuto a permettere tale operazione attraverso la costituzione di un’apposita servitù. In questo quadro il diniego della servitù non è affatto insindacabile, e potrebbe giustificarsi solo in relazione a un prevalente interesse pubblico, che nello specifico non è stato indicato.
La servitù di appoggio non deve essere necessariamente a titolo gratuito, né incondizionata o perenne. Il Comune può infatti esigere un corrispettivo adeguato all’utilità concessa al privato, e allo stesso modo può stabilire prescrizioni o condizioni a tutela del proprio bene e delle future utilizzazioni.

... per l'annullamento:
- dell’ordinanza del responsabile del Settore Edilizia Privata n. 62 del 20.07.2010, con la quale è stata ingiunta la rimozione di una canna fumaria realizzata in assenza di titolo edilizio;
- della nota del responsabile del Settore Edilizia Privata prot. n. 1224 del 22.01.2010, nella quale sono esposti i motivi ostativi al rilascio del titolo edilizio per il prolungamento in altezza della canna fumaria;
...
Sulle questioni rilevanti ai fini della decisione si possono svolgere le seguenti considerazioni:
(a) un titolo edilizio che autorizzi la canna fumaria esistente non è stato rintracciato. Occorre quindi esaminare la vicenda contenziosa sul presupposto della mancanza di un titolo specifico;
(b) sul piano urbanistico, la costruzione o il posizionamento di una canna fumaria costituisce un intervento che nella previgente normativa richiedeva un’autorizzazione edilizia (v. art. 7, comma 2-a, del DL 23.01.1982 n. 9) e attualmente è subordinato a DIA semplice (v. art. 4, comma 7-f, del DL 05.10.1993 n. 398; art. 22, commi 1 e 2, del DPR 380/2001). Questo inquadramento si fonda sull’assimilazione delle canne fumarie ai volumi tecnici e sul collegamento funzionale tra le canne fumarie e gli impianti tecnologici (v. TAR Bari Sez. III 30.10.2012 n. 1859). Ne consegue che l’esecuzione senza titolo di tali opere ricade nella disciplina sulla regolarizzazione di cui all’art. 37 del DPR 380/2001 (v. TAR Brescia Sez. II 16.01.2013 n. 37);
(c) più in dettaglio, sembra applicabile l’ipotesi prevista dal comma 4 dell’art. 37 del DPR 380/2001 (regolarizzazione in presenza di conformità urbanistica), in quanto la nota dirigenziale del 22.01.2010, con la quale sono stati comunicati i motivi ostativi al rilascio del titolo edilizio per il prolungamento della canna fumaria, non menziona impedimenti di natura urbanistica;
(d) è vero che tale nota deve ancora essere seguita da un formale provvedimento di diniego, il quale almeno in astratto potrebbe anche argomentare sulla mancanza di conformità urbanistica. Tuttavia, considerato il tempo trascorso, si può ritenere che la posizione del Comune abbia ormai assunto un contenuto definitivo;
(e) sul piano paesistico, parimenti, la canna fumaria è sanabile ai sensi dell’art. 167, comma 4, del Dlgs. 22.01.2004 n. 42, non essendo idonea a formare volume o superficie utile. Del resto, circa il prolungamento della canna fumaria il Comune si è già espresso favorevolmente con l’autorizzazione paesistica dell’11.05.2009, e dunque non sembrano esservi ostacoli neppure alla regolarizzazione del manufatto esistente, che ha dimensioni più contenute;
(f) quanto è sanabile sul piano urbanistico e paesistico potrebbe però non esserlo in relazione alla normativa igienico-sanitaria. Questo è precisamente il problema nel caso in esame, in quanto la collocazione della canna fumaria al di sotto e in prossimità delle finestre degli appartamenti comunali si pone in diretto contrasto con gli art. 3.4.32 e 3.4.43 del titolo III del regolamento locale di igiene;
(g) il contrasto con una norma igienico-sanitaria può essere risolto in vari modi: con una deroga, con la modifica del manufatto non conforme, o con la rimozione dello stesso;
(h) esclusa l’ipotesi della deroga, che non è stata chiesta neppure dalla ricorrente, l’amministrazione è tenuta, per il principio di proporzionalità, ad applicare la misura meno afflittiva per il privato, a parità di beneficio per l’interesse pubblico;
(i) la particolarità del caso in esame consiste nel fatto che la misura meno afflittiva, ossia la sopraelevazione della canna fumaria oltre il colmo dell’edificio di proprietà comunale, richiede anche un assenso di natura privatistica da parte del Comune. Quest’ultimo dovrebbe infatti concedere una servitù di appoggio del tubo al muro dell’edificio comunale;
(j) il rifiuto del Comune di concedere tale servitù non appare condivisibile. L’elemento privatistico si inserisce in realtà in una fattispecie amministrativa, e dunque viene attratto negli schemi pubblicistici applicabili a quest’ultima. Occorre infatti sottolineare che l’utilizzo privatistico dei propri beni da parte del Comune è comunque sottoposto ai principi generali di buona fede e di astensione dai comportamenti emulativi. Questi principi si trasformano in un obbligo rafforzato di collaborazione quando la concessione di un diritto marginale sui beni comunali potrebbe mettere il privato nella condizione di risolvere un problema che arreca danno all’interesse pubblico. A maggior ragione, l’obbligo di collaborazione si manifesta quando il problema che il privato potrebbe risolvere incide negativamente sugli stessi beni comunali;
(k) il Comune come autorità locale in materia igienico-sanitaria deve quindi imporre la sopraelevazione della canna fumaria che disturba gli appartamenti vicini, e come proprietario dell’edificio a cui può essere appoggiato il tubo è tenuto a permettere tale operazione attraverso la costituzione di un’apposita servitù. In questo quadro il diniego della servitù non è affatto insindacabile, e potrebbe giustificarsi solo in relazione a un prevalente interesse pubblico, che nello specifico non è stato indicato;
(l) la servitù di appoggio non deve essere necessariamente a titolo gratuito, né incondizionata o perenne. Il Comune può infatti esigere un corrispettivo adeguato all’utilità concessa al privato, e allo stesso modo può stabilire prescrizioni o condizioni a tutela del proprio bene e delle future utilizzazioni.
12. In conclusione, il ricorso deve essere accolto, con il conseguente annullamento degli atti impugnati. L’effetto conformativo della presente pronuncia impone al Comune di concedere la servitù di appoggio, come sopra specificato (TAR Lombardia-Brescia, Sez. I, sentenza 29.09.2014 n. 999 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

CONDOMINIOCanne fumarie, pochi vincoli. È consentita l'installazione sul muro perimetrale. La Cassazione: il manufatto non è equiparabile a una costruzione, ma a un accessorio.
Il singolo condomino può utilizzare il muro condominiale per installare una canna fumaria anche ove la stessa venga collocata a ridosso del terrazzo di proprietà di un altro condomino, poiché detto manufatto non è equiparabile a una costruzione, ma costituisce un semplice accessorio di un impianto, non essendo quindi sottoposto alla disciplina legale sulla distanza delle costruzioni previste.

È il principio espresso dalla Corte di Cassazione, Sez. II civile, nella sentenza 03.03.2014 n. 4936.
Il fatto. Un condomino del piano terra chiedeva all'assemblea di poter installare sul muro perimetrale dell'edificio una canna fumaria necessaria per l'evacuazione dei fumi del camino collocato all'interno del suo appartamento. L'assemblea, dopo aver valutato la situazione, autorizzava con due diverse delibere l'installazione e, in entrambe le riunioni, il verbale veniva sottoscritto da tutti i condomini presenti. Il condomino del piano terra procedeva quindi all'esecuzione dell'opera, che veniva realizzata in conformità alle prescrizioni del regolamento edilizio comunale. Successivamente, però, il proprietario dell'attico, che aveva prestato il consenso sottoscrivendo i verbali assembleari, cambiava opinione e si rivolgeva all'autorità giudiziaria, sostenendo che la canna fumaria impediva il suo diritto di veduta dal parapetto del terrazzo di sua esclusiva pertinenza.
Il tribunale però riteneva l'installazione della canna fumaria legittima. Rigettato in primo grado, il ricorso veniva accolto dalla Corte d'appello, che ordinava al condomino del piano terra di demolire la canna fumaria di sfogo del camino realizzato nell'appartamento di sua proprietà, condannandolo al pagamento delle spese del doppio grado di giudizio. Per i giudici di secondo grado anche la canna fumaria poteva, infatti, essere fatta rientrare nella categoria delle costruzioni e quindi doveva rispettare le distanze legali. Del resto dal contratto di compravendita, osservava la Corte d'appello, risultava che il terrazzo davanti al quale era stata collocata la canna fumaria fosse di proprietà esclusiva del proprietario dell'attico. Ragion per cui quest'ultimo aveva diritto di fruirne e di esercitare la veduta, diretta e obliqua, come previsto dalla normativa in materia di distanze legali fra costruzioni. Contro tale decisione il condomino del piano terra ricorreva in Cassazione, ritenendo errata la sentenza d'appello nella parte in cui aveva applicato la disciplina generale delle distanze anziché le norme speciali in tema di condominio che consentono al singolo condomino di realizzare opere sulle parti comuni. In ogni caso il ricorrente obiettava pure che il terrazzo era connaturale alla struttura di copertura dell'edificio ed era quindi di natura condominiale.
La decisione della Suprema corte. La Cassazione ha quindi confermato la legittimità dell'installazione della canna fumaria in questione sulla base di un articolato ragionamento. In primo luogo i giudici hanno confermato come la terrazza a livello, quale accessorio rispetto all'alloggio posto allo stesso piano, prevalga su quella di copertura dell'appartamento sottostante e, se dal titolo non risulti il contrario, la terrazza medesima debba ritenersi appartenente al proprietario dell'attico, di cui strutturalmente e funzionalmente è parte.
Confermata la proprietà esclusiva del terrazzo, la Corte ha concentrato la propria attenzione sul rapporto intercorrente tra le norme generali in tema di distanze e la disciplina del condominio. In particolare la Cassazione ha precisato come ciascun condomino abbia il diritto di utilizzare la parete perimetrale dell'edificio, avente natura condominiale, per l'apposizione della canna fumaria, anche senza alcuna autorizzazione da parte degli altri condomini, purché, come nel caso in esame, si rispettino i limiti previsti dalla legge, cioè non si alteri la destinazione del muro e non si impedisca agli altri partecipanti di farne ugualmente uso, a nulla rilevando la disciplina sulla distanza delle costruzioni dalle vedute.
In altre parole, se sono stati rispettati i limiti sopra detti previsti dalla normativa condominiale, deve ritenersi legittima l'opera che sia stata realizzata in violazione delle norme dettate per regolare i rapporti tra proprietà esclusive, distinte e contigue. Del resto, come conclude la Cassazione, la canna fumaria (che è un tubo in metallo) non è una costruzione, ma un semplice accessorio di un impianto, e quindi la sua installazione sul muro perimetrale deve sempre ritenersi consentita, a meno che la stessa abbia dimensioni del tutto abnormi e superiori alla media (articolo ItaliaOggi Sette del 07.04.2014).

CONDOMINIOCanna fumaria, limiti solo dal regolamento. Condominio. Solo l'accordo contrattuale può stabilire divieti all'uso delle parti comuni che non siano previsti dal Codice civile.
Quando si tratta di installare una nuova canna fumaria (in genere per esercizi pubblici di ristorazione) occorre fare i conti con i divieti imposti dal regolamento di condominio e con le caratteristiche minime di funzionalità e di efficienza fissati da ponderose normative di sicurezza e di igiene.
Superati tutti questi ostacoli, spesso scatta l'opposizione del vicino che lamenta la violazione delle distanze legali e invoca il proprio diritto di condomino.

La materia era stata perfettamente illustrata dalla giurisprudenza dei nostri Tribunali, in particolare dal Tribunale di Milano (sentenza dell'08.02.2013) che hanno dettato princìpi condivisi dalla Corte di Cassazione, Sez. II civile, con la recentissima sentenza 03.03.2014 n. 4936.
Appunto la sentenza della Corte di Cassazione permette di fornire un chiaro vademecum.
In primo luogo, è stato ribadito che le canne fumarie non hanno natura di costruzione e quindi non sono soggette alle precisa distanza legale di cui all'articolo 907 del Codice civile (tre metri dal fondo del vicino).
L'indicazione è puntuale e merita di essere ribadita, per evitare inutili contenziosi: in materia di canne fumarie, si possono individuare ed invocare le norme richiamate più avanti ma non può invocarsi il rispetto della distanza di tre metri che riguarda le vere e proprie costruzioni suscettibili di determinare intercapedine e non i semplici impianti tecnologici, accessori di unità immobiliari.
In secondo luogo, è stato ribadito che l'installazione di una canna fumaria lungo il muro perimetrale di un edificio condominiale non è in contrasto con la natura del muro comune e quindi può essere attuata dal singolo condomino, purché nel rispetto dell'articolo 1102 del Codice civile, per il quale il nuovo manufatto deve rispettare il decoro architettonico dell'edificio e non violare il pari diritto degli altri condòmini ad usare la parete comune. E deve superare la doverosa comparazione tra i diritti chiamati in discorso (bilanciamento degli interessi).
Da ultimo, poiché la canna fumaria comporta anche emissioni di fumi o di vapori, occorrerà avere attenzione per la salubrità e per l'eliminazione di odori.
Succinto è il compendio finale: non entra in discorso una distanze legale fissa ma la disciplina che i condomini si siano data in virtù del regolamento contrattuale.
In difetto di regolamento contrattuale la canna fumaria può dirsi illegittima soltanto se viola apprezzabilmente i diritti degli altri partecipanti al condominio al decoro architettonico ed alla salubrità
(articolo Il Sole 24 Ore del 04.03.2014).

AMBIENTE-ECOLOGIA: Aria. Illegittimità ordinanza contingibile per il prolungamento della canna fumaria.
E’ Illegittima l’ordinanza per il prolungamento della canna fumaria oltre 1,00 ml. il colmo del tetto con la proprietà confinante.
Nel caso di specie, l'atto impugnato non è stato preceduto da alcuna puntuale istruttoria, ma ha fatto seguito solo alle "lamentele" di alcuni cittadini, non suffragate da accertamenti tecnici sull’effettiva presenza di fumi nocivi, pure ritenuti necessari dalla ASL e dalla Provincia, che sul punto si sono limitate a rendere consulti preliminari e interlocutori.
L’ordinanza impugnata non indica nemmeno la concreta situazione di pericolo e di danno limitandosi a far riferimento genericamente a “gas”, senza specificarne la natura, l'effettiva sussistenza e il grado di pericolosità.

3. Nel merito va premesso che l’ordinanza qui impugnata è stata adottata ai sensi dell’art. 50 d.lgs. 267/2000.
Al quinto comma della citata disposizione si prevede che “in caso di emergenze sanitarie o di igiene pubblica a carattere esclusivamente locale le ordinanze contingibili e urgenti sono adottate dal sindaco, quale rappresentante della comunità locale".
4. Ciò posto, il ricorso appare fondato e meritevole di accoglimento.
4.1. L'ordinanza impugnata ha pacificamente natura "contingibile ed urgente", come induce chiaramente a ritenere sia l’espresso richiamo all’art. 50, sia l'adozione dell'atto da parte del sindaco, sia l'espressa finalizzazione del provvedimento alla prevenzione ed eliminazione di pericoli da immissioni nocive.
4.2. Ciò posto, è principio giurisprudenziale consolidato e condiviso quello per cui il potere del Sindaco di emanare ordinanze contingibili e urgenti, essendo espressione di un potere atipico e residuale, può essere esercitato solo per affrontare situazioni di carattere eccezionale ed impreviste, costituenti concreta minaccia per la pubblica incolumità e unicamente in presenza di un preventivo accertamento della situazione che deve fondarsi su prove concrete e non su mere presunzioni (TAR Piemonte, sez. I 27.06.2013 n. 843; id., sez. II, 12.06.2009, n. 1680; TAR Bari, sez. III, 26.08.2008, n. 1986).
Ulteriore presupposto indefettibile per l'adozione di siffatte ordinanze sindacali è la necessità di intervenire urgentemente con misure eccezionali e imprevedibili di carattere "provvisorio", non fronteggiabili con gli "ordinari" mezzi previsti dall'ordinamento giuridico e a condizione della "temporaneità dei loro effetti" (Corte Cost., sentenze 07.04.2011 n. 115 e 01.07.2009, n. 196 e Cons. St., sez. VI, 31.10.2013, n. 5276).
4.3. Nel caso di specie, l'atto impugnato:
- non è stato preceduto da alcuna puntuale istruttoria, ma ha fatto seguito solo alle "lamentele" di alcuni cittadini, non suffragate da accertamenti tecnici sull’effettiva presenza di fumi nocivi, pure ritenuti necessari dalla ASL e dalla Provincia, che sul punto si sono limitate a rendere consulti preliminari e interlocutori;
- non si è fondato su prove concrete, ma su presupposti generici, non essendo mai stato acquisito l’approfondimento istruttorio poc’anzi menzionato, come si desume dalle stesse premesse dell’ordinanza, ove si dà atto della presenza immissioni di immissioni aeree di gas “presumibilmente nocive o pericolose”. L’ordinanza impugnata non indica nemmeno la concreta situazione di pericolo e di danno limitandosi a far riferimento genericamente a “gas”, senza specificarne la natura, l'effettiva sussistenza e il grado di pericolosità (cfr. TAR Piemonte, sez. II, 07.07.2010, n. 3000; TAR Catania, sez. I 29.09.2011, n. 2371);
- non ha fornito riscontro della necessità di provvedere con immediatezza in ordine a situazioni di carattere eccezionale ed imprevedibile, cui fosse impossibile fare fronte con gli strumenti ordinari apprestati dall'ordinamento.
Non è configurabile, pertanto, il requisito della contingibilità, tenuto conto che l'ordinanza gravata non reca alcuna motivazione in ordine all'impossibilità, per il Comune -nei limiti della propria competenza- di utilizzare gli ordinari strumenti di accertamento e contestazione, nel rispetto delle regole procedimentali di partecipazione;
- appare insussistente, infine, qualsiasi profilo di tutela dell’interesse diffuso, posto che il provvedimento è limitato alle possibili immissioni della canna fumaria dirette verso la proprietà confinante, incidendo, quindi, esclusivamente nei rapporti tra i privati.
4.4 Superare i segnalati limiti che circoscrivono l’esercizio del potere di cui all’art. 50 d.lgs. 267/2000, equivarrebbe ad ampliare in maniera incongrua –oltre che lesiva del principio di tipicità dei provvedimenti amministrativi e dello stesso principio di legalità dell'azione amministrativa- i poteri di ordinanza extra ordinem del Sindaco, che vanno invece circoscritti, come esposto, a situazioni di carattere tendenzialmente eccezionale non fronteggiabili con gli ordinari strumenti previsti dall'ordinamento (massima tratta da www.lexambiente.it - TAR Piemonte, Sez. I, sentenza 21.02.2014 n. 322 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: D. de Paolis, Scarico a parete o a tetto degli impianti negli edifici: guida di orientamento pratico (Bollettino di Legislazione Tecnica n. 2/2014).

anno 2013

EDILIZIA PRIVATAOggetto: Quesiti interpretativi urgenti in merito all'art. 17-bis della legge n. 90 del 03.08.2013 (Ministero dello Sviluppo Economico, nota 18.12.2013 n. 24957 di prot. - tratto da www.acca.it).
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Caldaia e scarico a parete, ecco i chiarimenti del Ministero.
Il Ministero dello Sviluppo Economico (MISE) in risposta a un quesito posto fornisce chiarimenti sulle caldaie che possono essere installate in deroga all’obbligo di evacuazione dei prodotti della combustione con sbocco sopra il tetto.
Inoltre, precisa che (in base all’art. 5, comma 9-ter del D.P.R. 412/1993) i generatori di calore che sono stati installati successivamente al 31.08.2013 devono possedere le seguenti caratteristiche:
un rendimento termico utile maggiore o uguale a 90+2log (Pn), in corrispondenza di un carico termico pari al 100% della potenza termica utile nominale;
appartenere alla classe 4 o 5, secondo la classificazione relativa alle emissioni di NOx indicata dalla norma UNI EN 297, UNI EN 483 e UNI EN 15502 (16.01.2014 - Ministero dello Sviluppo Economico, nota 18.12.2013 n. 24957 di prot. - link a www.acca.it).

EDILIZIA PRIVATA: E' legittima l’ordinanza di demolizione di una canna fumaria esterna (in parete da terra) laddove  “restringe il passaggio pedonale tra le proprietà riducendolo da 2,00 mt. a 1,55 mt.”.
Peraltro quale sia la misura esatta poco importa al fine di determinare la legittimità -o meno- della nuova canna fumaria, essendo rilevante solo il fatto che la distanza preesistente è stata ridotta per effetto della realizzazione della canna fumaria esterna.
Tale riduzione della distanza preesistente deve ritenersi illegittima per i motivi indicati nella ordinanza di demolizione, e cioè per la ragione che l’art. 9 del D.M. 1444/1968 prescrive, nelle zone A, che le distanze tra gli edifici “non possono essere inferiori a quelle intercorrenti tra i volumi edificati preesistenti, computati senza tener conto di costruzioni aggiuntive di epoca recente e prive di valore storico, artistico, ambientale”.
E’ noto, infatti, che la giurisprudenza è consolidata nel qualificare le distanze tra fabbricati indicate dal D.M. 1444/1968 come inderogabili, in quanto poste a presidio di interessi aventi carattere pubblicistico, e nell’affermare che le Amministrazioni sono tenute a disapplicare le eventuali norme urbanistiche ed edilizie che prevedano distanze inferiori, le quali debbono intendersi automaticamente sostituite nei rapporti tra privati ed Amministrazioni.
Alcuna rilevanza possono quindi esplicare eventuali accordi tra privati che consentano la deroga di tali distanze.
E’ poi da escludersi che la canna fumaria in argomento, che si riferisce avere dimensioni di circa 45 cm x 65 cm e si eleva da terra sino al tetto, possa qualificarsi quale mero sporto, per tale dovendosi intendere solo le sporgenze quali mensole, lesene, canalizzazioni di gronde e loro sostegni o altre sporgenze aventi funzione decorativa, purché di modeste dimensioni. Tali elementi debbono invece computarsi ai fini del rispetto delle distanze legali quando di fatto siano destinati ad ampliare il fronte abitativo: nel caso di specie è evidente che la realizzazione della canna fumaria esterna ha evitato di perdere superficie e volumetria utile all’interno dell’edificio, ed in tal senso ha contribuito ad espandere la zona di godimento.
Quanto alla canna fumaria, realizzata verso la proprietà A. esternamente al muro di fabbrica, emerge evidente dai documenti acquisiti agli atti del giudizio sia la illegittimità per violazione del D.M. 1444/1968 sia la abusività perché eseguita in difformità dal titolo edilizio.
La parete perimetrale interessata dalla canna fumaria di che trattasi è quella prospiciente il balcone di proprietà A., cioè la facciata che nei disegni prodotti da parte ricorrente è indicata come prospetto nord-ovest, riconoscibile dalla porticina collocata nell’angolo in basso a sinistra trasformata, a seguito dei lavori, in finestra munita di inferiate. I disegni depositati da parte ricorrente in data 12.12.2008 evidenziano che prima dei lavori (“stato attuale”) sulla parete non esisteva nulla, se non la porticina in basso, e neppure veniva evidenziato alcun comignolo. Il disegno del prospetto nord-ovest ad opere ultimate riproduce, invece, un vistoso comignolo. L’attento esame dei disegni relativi al prospetto sud, che ritrae la parete nord-ovest in sezione, conferma che un tempo il comignolo, ben evidente invece nello stato di progetto e nel disegno delle opere ultimate, non esisteva. Tali elaborati non consentono, tuttavia, di apprezzare la fuoriuscita della canna fumaria dal muro perimetrale, essendo state riportate solo delle quote altimetriche. La canna fumaria esterna al muro perimetrale costituisce quindi un’opera nuova che non si può ritenere assentita con il permesso di costruire 68/08, da cui il suo essere abusiva. Peraltro, ove pure risultasse che essa era compresa tra le opere assentite, non si potrebbe non considerare che la ricorrente non ha dedotto tale circostanza quale motivo di illegittimità, in parte qua, della ordinanza di demolizione.
Ciò chiarito va detto che la nota del Responsabile del Servizio del 23.02.2009 non appare affatto inattendibile laddove riferisce che la distanza tra la canna fumaria ed il fabbricato A. è di circa 150 cm.: in particolare elementi in segno contrario non possono rinvenirsi nella nota del 12.08.2008 della signora A., ove la controinteressata ha scritto che la canna fumaria “restringe il passaggio pedonale tra le proprietà riducendolo da 2,00 mt. a 1,55 mt., ed è stata realizzata prima del rilascio della concessione edilizia. Il camino sbocca all’altezza del balcone della mia proprietà ad una distanza di circa 2 metri….”.
Nella missiva in esame, dunque, si trova un diretto riscontro alla misura indicata dal Responsabile del Servizio, e si riferisce la distanza di 2 metri solo all’altezza del balcone: tale circostanza si spiega chiaramente con il fatto che il primo piano del fabbricato A. è notevolmente arretrato rispetto al piano terreno, ciò che si apprezza esaminando il disegno acquisito dal Comune che reca la dicitura “realizzazione di camino a distanza non regolamentare”, disegno che riproduce il balcone, visibile anche nelle fotografie recanti la dicitura “aumento eccessivo dello sporto del tetto”. La lettera del 12.08.2008 proveniente dalla signora A. è dunque coerente laddove riferisce distanze diverse dalla canna fumaria a livello del passaggio ed a livello del balcone, e rende attendibili le misure riferite dal responsabile del Servizio.
Peraltro quale sia la misura esatta poco importa al fine di determinare la legittimità della nuova canna fumaria, essendo rilevante solo il fatto che la distanza preesistente è stata ridotta per effetto della realizzazione della canna fumaria esterna. Tale riduzione della distanza preesistente deve ritenersi illegittima per i motivi indicati nella ordinanza di demolizione, e cioè per la ragione che l’art. 9 del D.M. 1444/1968 prescrive, nelle zone A, che le distanze tra gli edifici “non possono essere inferiori a quelle intercorrenti tra i volumi edificati preesistenti, computati senza tener conto di costruzioni aggiuntive di epoca recente e prive di valore storico, artistico, ambientale”.
E’ noto, infatti, che la giurisprudenza è consolidata nel qualificare le distanze tra fabbricati indicate dal D.M. 1444/1968 come inderogabili, in quanto poste a presidio di interessi aventi carattere pubblicistico, e nell’affermare che le Amministrazioni sono tenute a disapplicare le eventuali norme urbanistiche ed edilizie che prevedano distanze inferiori, le quali debbono intendersi automaticamente sostituite nei rapporti tra privati ed Amministrazioni (C.d.S. sez. IV nn. 6909/2005 e 7731/2010).
Alcuna rilevanza possono quindi esplicare eventuali accordi tra privati che consentano la deroga di tali distanze.
E’ poi da escludersi che la canna fumaria in argomento, che si riferisce avere dimensioni di circa 45 cm x 65 cm e si eleva da terra sino al tetto del fabbricato C., possa qualificarsi quale mero sporto, per tale dovendosi intendere solo le sporgenze quali mensole, lesene, canalizzazioni di gronde e loro sostegni o altre sporgenze aventi funzione decorativa, purché di modeste dimensioni. Tali elementi debbono invece computarsi ai fini del rispetto delle distanze legali quando di fatto siano destinati ad ampliare il fronte abitativo (C.d.S. sez. IV n. 6909/2005 cit.): nel caso di specie è evidente che la realizzazione della canna fumaria esterna ha evitato di perdere superficie e volumetria utile all’interno dell’edificio, ed in tal senso ha contribuito ad espandere la zona di godimento.
L’ordinanza di demolizione è dunque esente da vizi laddove indica le ragioni della illegittimità della canna fumaria esterna di cui è stata ordinata la rimozione (TAR Piemonte, Sez. I, sentenza 09.10.2013 n. 1052 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATANon può configurarsi come elemento meramente accessorio dell'edificio la realizzazione di una canna fumaria, che, pur non consistendo in opere murarie, in quanto realizzata in metallo od altro materiale, vada a soddisfare esigenze non precarie del costruttore, ciò comportando una modifica del prospetto e della sagoma del fabbricato cui inerisce, riconducendosi tale intervento nell'ambito delle opere di ristrutturazione edilizia di cui all'art. 3, comma 1, lett. d), del D.P.R. n. 380 del 2001 (T.U. Edilizia), realizzate mediante inserimento di nuovi elementi ed impianti, assoggettato al regime del permesso di costruire ai sensi dell'art. 10, comma 1, lett. c), dello stesso D.P.R..
Nel settimo e ottavo motivo si sostiene la “piccola entità” delle opere in relazione alle quali il Comune ha ordinato la demolizione, in quanto suscettibili di rientrare nell’ambito dell’edilizia residenziale libera.
L’argomentazione non è condivisibile.
Sul punto va ricordato come la realizzazione dei camini sia avvenuta in difformità di un precedente permesso di costruire, circostanza che ha reso indispensabile l’esperimento della procedura di cui all’art. 36 del Dpr 380/2001.
E’, allora, applicabile quell’orientamento giurisprudenziale (TAR Campania Napoli Sez. VIII, 01.10.2012, n. 4005) nell’ambito del quale si è sancito che “non può configurarsi come elemento meramente accessorio dell'edificio la realizzazione di una canna fumaria, che, pur non consistendo in opere murarie, in quanto realizzata in metallo od altro materiale, vada a soddisfare esigenze non precarie del costruttore, ciò comportando una modifica del prospetto e della sagoma del fabbricato cui inerisce, riconducendosi tale intervento nell'ambito delle opere di ristrutturazione edilizia di cui all'art. 3, comma 1, lett. d), del D.P.R. n. 380 del 2001 (T.U. Edilizia), realizzate mediante inserimento di nuovi elementi ed impianti, assoggettato al regime del permesso di costruire ai sensi dell'art. 10, comma 1, lett. c), dello stesso D.P.R.”.
I camini di cui si tratta non sono suscettibili nemmeno di rientrare nella disciplina della c.d. DIA e, ciò, considerando come con gli stessi si sia posta in essere una modifica dei prospetti dell’edificio e delle parti comuni (TAR Veneto, Sez. II, sentenza 13.06.2013 n. 825 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA - EDILIZIA PRIVATA: Canna fumaria fastidiosa, no alla rimozione.
Stop alla canna fumaria che con le sue emissioni assedia la casa del vicino. E ciò anche se il regolamento comunale che dispone l'altezza minima delle condotte di scarico risulta successivo alla costruzione «incriminata»: il principio dell'irretroattività, infatti, non vale quando il provvedimento del Comune è adottato a tutela della salute degli individui.
Ciò che invece l'amministrazione non può fare è ordinare tout court l'abbattimento del manufatto senza studiare con il proprietario dell'immobile soluzioni alternative alla demolizione come l'adeguamento dei tubi, che pure consentirebbe di superare le criticità lamentate dal confinante.

È quanto emerge dalla III Sez., sentenza 22.05.2013 n. 1165, pubblicata dal TAR Puglia-Lecce.
Abbattimento e adeguamento
Accolto il ricorso del proprietario della canna fumaria denunciato dal vicino che ha la casa invasa dai fumi. Stavolta il servizio urbanistica ed edilizia pubblica del Comune è più realista del re: il confinante chiede soltanto un adeguamento del condotto di scarico, sbaglia l'amministrazione a decidere direttamente di imporre la rimozione. Inutile per il proprietario «condannato» all'abbattimento eccepire che il manufatto è lì da sempre, mentre è il vicino ad aver sopraelevato la sua costruzione così oggi si trova esposto alle esalazioni del comignolo.
Né giova osservare che il manufatto preesiste allo stesso regolamento comunale: è vero, le norme sopravvenute sulle distanze tra gli edifici non esplicano di solito efficacia retroattiva su situazioni già consolidate. Qui, però, il servizio del Comune interviene contro la cattiva dispersione dei fumi immessi nell'atmosfera, che possono risultare nocivi: l'ordinanza, insomma, risulta dettata dalla necessità «di eliminare o di attenuare la preesistente situazione di rischio igienico-sanitario».
Ma attenzione: un conto è l'abbattimento dell'intera struttura, ragionano i giudici amministrativi, un altro è l'adeguamento tecnico. Trova allora ingresso la censura che sostiene la nullità dell'ordinanza per violazione della legge 241/90, articolo 7, sulla trasparenza amministrativa: l'ente locale avrebbe dovuto convocare l'interessato per un confronto su come eliminare il paventato rischio di inquinamento (tratto da ItaliaOggi Sette del 12.08.2013).

EDILIZIA PRIVATA: Qualora le preesistenti canne fumarie per le loro caratteristiche di funzionamento, di combustione e di diffusione di fumi, vengono comunque a determinare gravi inconvenienti igienico-sanitari per gli abitanti delle costruzioni vicine a causa della nocività dei fumi immessi nell’atmosfera o della loro cattiva dispersione, la competente Autorità è comunque facoltizzata a porre rimedio a tale situazione di fastidio e di pericolo per la salute pubblica, anche attraverso l’imposizione di obblighi di adeguamento degli impianti di dispersione dei fumi alle norme regolamentari sopravvenute, se in grado di eliminare o di attenuare la preesistente situazione di rischio igienico sanitario.
Pertanto, nel caso di specie, è illegittima l'ordinanza di rimozione della canna fumaria senza convenientemente procedere ad una doverosa ricerca di eventuali soluzioni alternative, idonee ad eliminare il paventato rischio di inquinamento.
Tale valutazione, ad avviso del collegio, sarebbe stata nella fattispecie vieppiù necessaria in considerazione proprio della preesistenza della canna fumaria ad un regolamento intervenuto a distanza di decenni.
Infine, la evidenziata necessità di una scelta amministrativa più ponderata (l’adeguamento non si identifica con la rimozione) non può che giustificare l’ulteriore doglianza espressa dalla ricorrente in ordine alla omessa comunicazione di avvio del procedimento ex art. 7 L. n. 241/1990.
Va da sé infatti che l’assenza di un vincolo puntuale avrebbe dovuto indurre l’Amministrazione a garantire la partecipazione dell’interessato ai fini, evidentemente, di una soluzione tecnico-amministrativa la più appropriata.

L’art 194 del Regolamento di igiene e sanità del comune di Monteroni, entrato in vigore il 27/12/1974, stabilisce che “le tubazioni di scarico di fumi, fuliggini, polveri, gas, vapori, devono essere portate ad esalare fin sopra del tetto e la bocca di scarico deve trovarsi ad una distanza, misurata orizzontalmente, non inferiori a m. 3 dalla verticale innalzata dal ciglio stradale o dal limite di altri spazi pubblici o di proprietà di terzi”.
In applicazione di tale disposizione, quindi, il responsabile del Servizio urbanistica–edilizia pubblica e privata ha ritenuto di dover ordinare alla ricorrente sig.ra Madaro la rimozione della canna fumaria insistente sul fabbricato di sua proprietà, sito in via D’Arpe n. 12, in quanto non conformi alla distanza e all’altezza previste.
Orbene, la ricorrente sostanzialmente sostiene che nessuna violazione delle norme disciplinanti le distanze della proprietà vicinale può essere a lei ascritta, posto che l’immobile dotato di canna fumaria sarebbe stato costruito alla fine del secolo XIX, senza che nel tempo fosse intervenuto alcun intervento strutturale (la canna fumaria sarebbe stata interessata soltanto da lavori di pulizia e manutenzione).
Sicché la situazione contraria a regolamento sarebbe stata semmai determinata dalla stessa sig.ra Cappello (denunciante) la quale, soltanto negli anni successivi al 1977 (conc. edilizia n. 287/1977 e n. 111/1980), avrebbe realizzato la sopraelevazione della propria abitazione a piano terra, nonché la costruzione di un ripostiglio al secondo piano.
Ciò stante non è dubbio, in base ai condivisibili orientamenti giurisprudenziali richiamati dalla ricorrente, che lo ius superveniens sulle distanze tra gli edifici non può, di norma, esplicare efficacia retroattiva su situazioni già consolidate.
Occorre tuttavia rilevare come l’ordinanza impugnata non è stata adottata nell’esercizio del potere di controllo in materia edilizia, bensì per rimediare agli inconvenienti igienico-sanitari prodotti da una canna fumaria non conforme al sopravvenuto Regolamento comunale in materia.
Nonostante quindi il su richiamato principio di irretroattività, ritiene il Collegio di poter ribadire che “qualora le preesistenti canne fumarie per le loro caratteristiche di funzionamento, di combustione e di diffusione di fumi, vengono comunque a determinare gravi inconvenienti igienico-sanitari per gli abitanti delle costruzioni vicine a causa della nocività dei fumi immessi nell’atmosfera o della loro cattiva dispersione, la competente Autorità sia comunque facoltizzata a porre rimedio a tale situazione di fastidio e di pericolo per la salute pubblica, anche attraverso l’imposizione di obblighi di adeguamento degli impianti di dispersione dei fumi alle norme regolamentari sopravvenute, se in grado di eliminare o di attenuare la preesistente situazione di rischio igienico sanitario” (TAR Marche sent. n. 960 del 06/08/2003).
Appare però evidente come, nel caso in esame, il comune di Monteroni sia pervenuto alla determinazione di ordinare la rimozione della canna fumaria senza convenientemente procedere ad una doverosa ricerca di eventuali soluzioni alternative, idonee ad eliminare il paventato rischio di inquinamento.
Tale valutazione, ad avviso del collegio, sarebbe stata nella fattispecie vieppiù necessaria in considerazione proprio della preesistenza della canna fumaria ad un regolamento intervenuto a distanza di decenni.
D’altro canto la stessa sig.ra Cappello, dal cui esposto muove il comune di Monteroni per assumere la contestata determinazione, si limita soltanto a sollecitare un adeguamento della canna fumaria in questione.
Infine, la evidenziata necessità di una scelta amministrativa più ponderata (l’adeguamento non si identifica con la rimozione) non può che giustificare l’ulteriore doglianza espressa dalla ricorrente in ordine alla omessa comunicazione di avvio del procedimento ex art. 7 L. n. 241/1990.
Va da sé infatti che l’assenza di un vincolo puntuale avrebbe dovuto indurre l’Amministrazione a garantire la partecipazione dell’interessato ai fini, evidentemente, di una soluzione tecnico-amministrativa la più appropriata.
Alla luce delle suesposte considerazioni il ricorso pertanto deve essere accolto fatti salvi gli ulteriori provvedimenti che l’Amministrazione, previo contraddittorio, riterrà di dover adottare (TAR Puglia-Lecce, Sez. III, sentenza 22.05.2013 n. 1165 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA - EDILIZIA PRIVATA: Distanze tra camini, violazione di regolamenti comunali: è molestia possessoria.
Con l'interessante sentenza 06.03.2013 il TRIBUNALE di Taranto è intervenuto in materia di distanze tra camini risolvendo la questione proposta.
Nel caso di specie, alcuni condomini di uno stabile lamentavano l’illiceità di una sezione di sfiato, di forma circolare, della cappa situata all’interno di un locale a piano terra dello stabile; cappa destinata ad aspirare verso l’esterno le esalazioni provenienti dalla cottura di cibi per la ristorazione d’asporto. Tale infatti era l’utilizzo del locale concesso per permettere la gestione di una pizzeria da asporto.
Gli attori, proprietari degli appartamenti vicini al locale, lamentavano, sotto il profilo della manutenzione del possesso ex art. 1170 cod. civ. la violazione delle distanze prescritte dalla disciplina regolamentare applicabile in materia. Inoltre, gli stessi chiedevano una tutela in forma specifica per neutralizzare la fonte del pregiudizio lamentato in quanto le esalazioni proveniente dal locale–pizzeria pregiudicavano in ogni caso la salute ovvero il godimento sereno dell’abitazione. Si noti che l’esercizio dell’azione avveniva sia nella forma del ricorso per denuncia di nuova opera e di danno temuto sia in termini di ricorso d’urgenza ex art. 669-bis, avuto riguardo alla tutela obbligatoria ex art. 2043 c.c.
Il giudice, nel dirimere la questione, afferma che quando la proprietà individuale viene in conflitto con la presenza di canne fumarie –o con l’equiparabile ventola di sfiato di esalazioni provenienti da cucina– il legislatore ha inteso risolvere il tema con la regola generale di cui all’art. 890 del cod. civ., in base al quale è imposto che i camini ed opere simili a confine della proprietà devono rispettare le distanze prescritte dai regolamenti ed, in mancanza, quelle necessarie a preservare i fondi vicini da ogni danno alla solidità, salubrità e sicurezza. Grazie a questa norma –si legge nella sentenza– la proprietà risulta conformata nel suo contenuto, nel senso che i camini ed opere similari, come in questo caso lo sfiato di areazione di cucina commerciale, devono trovarsi alle prescritte distanze.
Conseguentemente la violazione delle prescrizioni regolamentari sulle distanze comporta una lesione petitoria e quindi, ricorrendone i presupposti anche soggettivi, una lesione al possesso. Questa forma di pregiudizio comporterà, alla fonte di formazione secondaria contenuta nell’art. 890 cod. civ. In buona sostanza, secondo i giudici di merito, i ricorrenti hanno agito correttamente ex art. 1170 cod. civ., dal momento che il mancato rispetto delle prescrizioni regolamentari tipizzate nel posizionamento di camini ed opere simili può integrare una molestia possessoria.
Infine, secondo il Tribunale, in caso di condotta che viola le prescrizioni regolamentari sulle distanze non è necessario accertare la ricorrenza in concreto della nocività per il vicino delle esalazioni; infatti imponendo la norma applicabile una certa distanza o una certa conformazione dell’impianto di areazione, quando si tratta di edificio condominiale, è il legislatore che ha già operato la valutazione di pericolosità. Rebus sic stanti bus, è evidente come la realizzazione dello sfiato a servizio dell’impianto di aerazione della pizzeria viola in primo luogo la prescrizione che impone che l’esalazione sia convogliata in canne ed in modo che trovino sicuro sfogo con apposito comignolo al di là del tetto; in secondo luogo quella sulla distanza minima di metri 2,5.
Da qui l’accoglimento della domanda in ordine alla eliminazione della sezione finale di sfiato della cappa a servizio del locale commerciale, situato al piano terra (TRIBUNALE di Taranto, Sez. II civile, sentenza 06.03.2013 - link a www.altalex.com).

EDILIZIA PRIVATALa realizzazione di una canna fumaria (nella fattispecie, in lamiera d’acciaio inox del diametro di circa 30 cm. e di altezza di circa 10 ml. fuoriuscente sulla parete esterna che si affaccia sul cortile) deve ritenersi riconducibile ai lavori di ristrutturazione edilizia di cui all'articolo 3, comma 1°, lettera d), del D.P.R. n. 380/2001, realizzati tramite inserimento di nuovi elementi ed impianti, e, dunque, soggetta al regime del permesso di costruire, ai sensi dell'articolo 10, comma primo, lettera c), dello stesso D.P.R. laddove comporti, come nel caso di specie, una modifica del prospetto del fabbricato cui inerisce.
Peraltro, il preventivo rilascio del permesso di costruire può configurarsi anche in presenza di opere alle quali consegua una trasformazione del tessuto urbanistico ed edilizio, anche se esse non consistano in opere murarie, essendo realizzate in metallo, in laminati di plastica, in legno od altro materiale, in presenza di trasformazioni preordinate a soddisfare esigenze non precarie del costruttore.
Poi, nel caso delle canne fumarie, la giurisprudenza ha ravvisato la necessità del previo rilascio del permesso di costruire qualora esse non presentino piccole dimensioni, siano di palese evidenza rispetto alla costruzione e alla sagoma dell'immobile, e non possano considerarsi un elemento meramente accessorio, ovvero di ridotta e aggiuntiva destinazione pertinenziale, come tale assorbito o occultato dalla preesistente struttura dell'immobile.

... per l'annullamento dell’ordinanza n. 146 dell’11.09.2012, con la quale sono state ingiunte la sospensione lavori e la rimessione in pristino dell'originale stato dei luoghi.
...
- che con ordinanza del 22.11.2012, n. 9704/2012 sono stati disposti incombenti istruttori a carico del Comune, eseguiti mediante deposito in atti di apposita relazione da cui emerge l’avvenuto sopralluogo da parte dei tecnici comunali volto a “verificare la consistenza e le caratteristiche di una canna fumaria…. realizzata in lamiera d’acciaio inox di diametro di circa 30 cm. e di altezza di circa 10 ml.; fuoriesce sulla parete esterna che si affaccia sul cortile e dal piano del calpestio dello stesso dopo alcune curve termina sul terrazzo posto al 3° piano….“E’ da considerarsi un intervento di nuova costruzione in quanto totalmente diversa per materiale dimensione e posizionamento da quella rimossa con modifica dell’aspetto esteriore e pertanto necessita di autorizzazione paesaggistica ex d.lvo n. 42/2004”;
- che il ricorso deve ritenersi infondato e, pertanto, va respinto;
- che, al fine del decidere, il Collegio non può che rilevare che l'intervento in esame deve ritenersi riconducibile ai lavori di ristrutturazione edilizia di cui all'articolo 3, comma 1°, lettera d), del D.P.R. n. 380/2001, realizzati tramite inserimento di nuovi elementi ed impianti, e, dunque, soggetto al regime del permesso di costruire, ai sensi dell'articolo 10, comma primo, lettera c), dello stesso D.P.R. laddove comporti, come nel caso di specie, una modifica del prospetto del fabbricato cui inerisce, peraltro riscontrabile dalle riproduzioni fotografiche in atti;
- che il preventivo rilascio del permesso di costruire può configurarsi anche in presenza di opere alle quali consegua una trasformazione del tessuto urbanistico ed edilizio, anche se esse non consistano in opere murarie, essendo realizzate in metallo, in laminati di plastica, in legno od altro materiale, in presenza di trasformazioni preordinate a soddisfare esigenze non precarie del costruttore;
- che nel caso delle canne fumarie, la giurisprudenza ha ravvisato la necessità del previo rilascio del permesso di costruire, qualora esse non presentino piccole dimensioni, siano di palese evidenza rispetto alla costruzione e alla sagoma dell'immobile, e non possano considerarsi un elemento meramente accessorio, ovvero di ridotta e aggiuntiva destinazione pertinenziale, come tale assorbito o occultato dalla preesistente struttura dell'immobile;
- che dalle riproduzioni fotografiche depositate in atti, la canna fumaria installata sull'edificio in esame per dimensioni, l'altezza, la relativa conformazione, risulta incidere notevolmente sul prospetto e la sagoma della costruzione su cui è installata, non potendosi, perciò, considerarsi, contrariamente a quanto prospettato dal ricorrente, un elemento meramente accessorio ovvero di ridotta e aggiuntiva destinazione pertinenziale, come tale assorbito o occultato dalla preesistente struttura dell'immobile;
- che, pertanto, per le considerazioni che precedono, il ricorso deve essere respinto
(TAR Lazio-Roma, Sez. I-quater, sentenza 25.02.2013 n. 2015 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: D. Logozzo, Le ondivaghe pronunce in materia di volumi tecnici: il problema irrisolto delle canne fumarie (Urbanistica e appalti n. 2/2013).

EDILIZIA PRIVATA: La ristrutturazione è una categoria duale, in quanto contiene al proprio interno una fattispecie pesante, parificata alla nuova costruzione (v. art. 10, comma 1-c, del DPR 06.06.2001 n. 380), e una leggera, che riguarda gli interventi edilizi meno impattanti, individuati per residualità e in definitiva consistenti in opere sottoposte, se considerate singolarmente, ad autorizzazione edilizia o a DIA semplice.
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Sul piano edilizio bisogna precisare innanzitutto che nel caso di difformità dalla concessione edilizia (o dal permesso di costruire) l’abuso deve essere valutato come opera a sé stante, immaginando la situazione abusiva come un’autonoma edificazione senza titolo. Pertanto, opere che se osservate ex ante si collegano ad altri interventi per formare un insieme sistematico e come tali, configurando una ristrutturazione pesante o una nuova costruzione, richiederebbero la concessione edilizia (o il permesso di costruire), se osservate ex post, ai fini dell’eventuale regolarizzazione, devono essere considerate solo per la consistenza della parte abusiva.
Nello specifico, la demolizione di una canna fumaria con ricostruzione della stessa in altra posizione e con differenti modalità costruttive è un intervento soggetto ad autorizzazione (v. art. 7, comma 2-a, del DL 23.01.1982 n. 9) e poi a DIA semplice (v. art. 4, comma 7-f, del DL 05.10.1993 n. 398; art. 22, commi 1 e 2, del DPR 380/2001).
Questo inquadramento si fonda sull’assimilazione delle canne fumarie ai volumi tecnici e sul collegamento funzionale tra le canne fumarie e gli impianti tecnologici. Ne consegue che l’esecuzione in difformità dalla concessione edilizia delle predette opere costituisce abuso minore, non qualificabile come variazione essenziale (v. art. 8, comma 2, della legge 47/1985; art. 32, comma 2, del DPR 380/2001), e dunque ricadente nella disciplina sulla regolarizzazione di cui all’art. 37 del DPR 380/2001.
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L’art. 37 del DPR 380/2001 contempla due ipotesi principali: la regolarizzazione in presenza di conformità urbanistica (v. comma 4) e la regolarizzazione in assenza di conformità urbanistica (v. comma 1). La diversità delle due ipotesi è rimarcata dal differente sistema di calcolo della sanzione pecuniaria. Al contrario di quanto avviene per gli abusi maggiori, dove è comunque richiesta la conformità urbanistica (v. art. 36 del DPR 380/2001), gli abusi minori consentono quindi la sanatoria edilizia anche nel caso di difformità urbanistica.
Nella vicenda in esame vi è in effetti contrasto con la disciplina urbanistica, perché l’art. 3.4.43 del regolamento locale di igiene (nel testo in vigore all’epoca dei fatti) stabilisce che le canne fumarie devono superare di almeno 40 cm il colmo del tetto e prevede che in caso contrario siano collocate ad almeno 8 metri dall’edificio più vicino.
In proposito si deve però osservare che il regolamento locale di igiene ha una doppia funzione, in quanto integra la disciplina urbanistica ma tutela interessi pubblici di natura igienico-sanitaria (nel caso delle canne fumarie la tutela pubblica ha come scopo la protezione dei cittadini dalle emissioni moleste e inquinanti).
Dunque la norma può essere scissa in due componenti. Sul piano edilizio il mancato rispetto dell’altezza del camino e della distanza dall’edificio prossimo, riguardando volumi tecnici e impianti tecnologici, è regolarizzabile mediante la sanzione pecuniaria di cui all’art. 37, comma 1, del DPR 380/2001. La possibilità della regolarizzazione è però subordinata alla concessione di una deroga sul piano igienico-sanitario.
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La preesistenza della canna fumaria può assumere rilievo ma non è decisiva. In realtà, considerata la natura degli interessi pubblici tutelati, la preesistenza non garantirebbe la possibilità di utilizzare indefinitamente la canna fumaria neppure nella configurazione originaria, e quindi a maggior ragione non assicura il mantenimento dell’opera modificata.
Tuttavia perché possa essere adottato un ordine di demolizione occorre che il disturbo provocato ai vicini sia intollerabile e non meramente presunto in base al mancato rispetto della distanza minima. Il maggiore o minore grado di tollerabilità delle emissioni della canna fumaria non dipende solo dalla distanza ma anche dalla natura degli inquinanti. Il grado di pericolosità dei fumi delle stufe a legna è superiore a quello dei fumi degli impianti a metano, e tra le stufe a legna occorre distinguere quelle tradizionali e quelle più moderne ad alta efficienza e dotate di filtri.
Ne consegue che la distanza massima dalle abitazioni vicine deve essere applicata quando le canne fumarie siano collegate a impianti a legna obsoleti e molto inquinanti, mentre nelle altre ipotesi è possibile concedere delle deroghe.

... per l'annullamento dell’ordinanza del responsabile del procedimento n. 3 del 22.01.2002, con la quale è stato intimato alla ricorrente di demolire entro 90 giorni la canna fumaria e la cassonatura esterna posizionando il comignolo a una distanza non inferiore a 8 metri dagli edifici confinanti;
...
Sulle questioni sollevate nel ricorso si possono svolgere le seguenti considerazioni:
Intervento edilizio complessivo e opere abusive
(a) la ricorrente ha eseguito un insieme di lavori che sono classificabili come ristrutturazione edilizia. Peraltro la ristrutturazione è una categoria duale, in quanto contiene al proprio interno una fattispecie pesante, parificata alla nuova costruzione (v. art. 10, comma 1-c, del DPR 06.06.2001 n. 380), e una leggera, che riguarda gli interventi edilizi meno impattanti, individuati per residualità e in definitiva consistenti in opere sottoposte, se considerate singolarmente, ad autorizzazione edilizia o a DIA semplice (v. TAR Brescia Sez. II 24.08.2012 n. 1462; TAR Brescia Sez. I 01.12.2009 n. 2379);
(b) nello specifico si tratta certamente di ristrutturazione pesante, in quanto tra i lavori è presente il recupero del sottotetto. Questo tipo di intervento amplia la superficie lorda di pavimento e la volumetria abitabile del fabbricato storico, e dunque determina automaticamente la creazione di un organismo edilizio in parte diverso dal precedente. Le altre opere hanno un rilievo minore ma sono sottoposte al medesimo titolo edilizio (concessione edilizia, e in seguito permesso di costruire) per il loro collegamento con l’intervento principale;
(c) la parte abusiva dei lavori consiste nella trasformazione (non evidenziata nel progetto) di una delle canne fumarie preesistenti in un nuovo camino con cassonatura esterna. Sulla preesistenza delle canne fumarie possono essere accettate come prove idonee le dichiarazioni di terzi prodotte dalla ricorrente. D’altra parte il Comune nel provvedimento impugnato, pur dimostrando di conoscere le suddette dichiarazioni, non ha espressamente controdedotto circa la veridicità o l’attendibilità di quanto affermato;
(d) occorre a questo punto stabilire se si tratta di un abuso formale (sanabile) o sostanziale (passibile di remissione in pristino). La valutazione deve essere condotta sia con riferimento alla disciplina edilizia sia con riguardo alle norme igienico-sanitarie;
Qualificazione edilizia dell’opera abusiva
(e) sul piano edilizio bisogna precisare innanzitutto che nel caso di difformità dalla concessione edilizia (o dal permesso di costruire) l’abuso deve essere valutato come opera a sé stante, immaginando la situazione abusiva come un’autonoma edificazione senza titolo. Pertanto, opere che se osservate ex ante si collegano ad altri interventi per formare un insieme sistematico e come tali, configurando una ristrutturazione pesante o una nuova costruzione, richiederebbero la concessione edilizia (o il permesso di costruire), se osservate ex post, ai fini dell’eventuale regolarizzazione, devono essere considerate solo per la consistenza della parte abusiva;
(f) nello specifico la demolizione di una canna fumaria con ricostruzione della stessa in altra posizione e con differenti modalità costruttive è un intervento soggetto ad autorizzazione (v. art. 7, comma 2-a, del DL 23.01.1982 n. 9) e poi a DIA semplice (v. art. 4, comma 7-f, del DL 05.10.1993 n. 398; art. 22, commi 1 e 2, del DPR 380/2001). Questo inquadramento si fonda sull’assimilazione delle canne fumarie ai volumi tecnici e sul collegamento funzionale tra le canne fumarie e gli impianti tecnologici (v. TAR Bari Sez. III 30.10.2012 n. 1859). Ne consegue che l’esecuzione in difformità dalla concessione edilizia delle predette opere costituisce abuso minore, non qualificabile come variazione essenziale (v. art. 8, comma 2, della legge 47/1985; art. 32, comma 2, del DPR 380/2001), e dunque ricadente nella disciplina sulla regolarizzazione di cui all’art. 37 del DPR 380/2001;
Sanabilità dell’abuso sotto il profilo edilizio
(g) l’art. 37 del DPR 380/2001 contempla due ipotesi principali: la regolarizzazione in presenza di conformità urbanistica (v. comma 4) e la regolarizzazione in assenza di conformità urbanistica (v. comma 1). La diversità delle due ipotesi è rimarcata dal differente sistema di calcolo della sanzione pecuniaria. Al contrario di quanto avviene per gli abusi maggiori, dove è comunque richiesta la conformità urbanistica (v. art. 36 del DPR 380/2001), gli abusi minori consentono quindi la sanatoria edilizia anche nel caso di difformità urbanistica;
(h) nella vicenda in esame vi è in effetti contrasto con la disciplina urbanistica, perché l’art. 3.4.43 del regolamento locale di igiene (nel testo in vigore all’epoca dei fatti) stabilisce che le canne fumarie devono superare di almeno 40 cm il colmo del tetto e prevede che in caso contrario siano collocate ad almeno 8 metri dall’edificio più vicino;
(i) in proposito si deve però osservare che il regolamento locale di igiene ha una doppia funzione, in quanto integra la disciplina urbanistica ma tutela interessi pubblici di natura igienico-sanitaria (nel caso delle canne fumarie la tutela pubblica ha come scopo la protezione dei cittadini dalle emissioni moleste e inquinanti);
(j) dunque la norma può essere scissa in due componenti. Sul piano edilizio il mancato rispetto dell’altezza del camino e della distanza dall’edificio prossimo, riguardando volumi tecnici e impianti tecnologici, è regolarizzabile mediante la sanzione pecuniaria di cui all’art. 37, comma 1, del DPR 380/2001. La possibilità della regolarizzazione è però subordinata alla concessione di una deroga sul piano igienico-sanitario;
Derogabilità della disciplina del regolamento locale di igiene
(k) sotto quest’ultimo profilo occorre affrontare il problema del fastidio provocato ai vicini. Al riguardo si osserva che la preesistenza della canna fumaria può assumere rilievo ma non è decisiva. In realtà, considerata la natura degli interessi pubblici tutelati, la preesistenza non garantirebbe la possibilità di utilizzare indefinitamente la canna fumaria neppure nella configurazione originaria, e quindi a maggior ragione non assicura il mantenimento dell’opera modificata.
Tuttavia perché possa essere adottato un ordine di demolizione occorre che il disturbo provocato ai vicini sia intollerabile e non meramente presunto in base al mancato rispetto della distanza minima. Il maggiore o minore grado di tollerabilità delle emissioni della canna fumaria non dipende solo dalla distanza ma anche dalla natura degli inquinanti. Il grado di pericolosità dei fumi delle stufe a legna è superiore a quello dei fumi degli impianti a metano, e tra le stufe a legna occorre distinguere quelle tradizionali e quelle più moderne ad alta efficienza e dotate di filtri. Ne consegue che la distanza massima dalle abitazioni vicine deve essere applicata quando le canne fumarie siano collegate a impianti a legna obsoleti e molto inquinanti, mentre nelle altre ipotesi è possibile concedere delle deroghe;
(l) come si è visto sopra, nel caso in esame l’impianto collegato alla canna fumaria è alimentato a metano. Vi è stato quindi un netto miglioramento rispetto alla situazione precedente, quando sia la canna fumaria oggetto dell’abuso edilizio sia quella posta nelle vicinanze servivano stufe alimentate a legna. Sembra quindi che sia stato raggiunto un punto di equilibrio: la canna fumaria può rimanere al suo posto purché sia collegata esclusivamente a impianti che producono fumi poco inquinanti e non particolarmente molesti;
(m) è possibile che la ristrutturazione dell’edificio e il recupero del sottotetto come volume abitabile aumentino l’utilizzo della canna fumaria in questione e delle altre poste a distanza insufficiente. Questa eventualità non interferisce tuttavia con la deroga alla distanza necessaria per la sanatoria edilizia. Se in conseguenza del maggiore utilizzo delle canne fumarie si determinasse un notevole incremento del disturbo a danno dei vicini il Comune disporrebbe comunque del potere di ingiungere alla ricorrente l’adozione di impianti di riscaldamento tecnologicamente più avanzati e meno inquinanti;
(n) in ogni caso, poiché la regolarizzazione dell’abuso edilizio è condizionata al contenimento dei fumi molesti, la ricorrente è tenuta a evidenziare anticipatamente al Comune ogni modifica negli impianti collegati alla canna fumaria in questione, per dare modo agli uffici di verificare se la situazione di disagio per le abitazioni vicine sia destinata ad aggravarsi;
Conclusioni
(o) il ricorso deve quindi essere accolto, con il conseguente annullamento dell’ordinanza impugnata. Per l’effetto conformativo derivante dalla presente pronuncia il Comune non può negare la regolarizzazione della canna fumaria e della relativa cassonatura sotto il profilo edilizio, ma conserva il potere di adottare provvedimenti di natura igienico-sanitaria, come si è visto sopra;
(p) tenendo conto della particolarità della vicenda e dell’intreccio di profili edilizi e igienico-sanitari è possibile disporre la compensazione delle spese di giudizio (TAR Lombardia-Brescia, Sez. II, sentenza 16.01.2013 n. 37 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA: E' illegittima l’ingiunzione adottata dal dirigente dello Sportello unico delle attività produttive avente ad oggetto l’ordine di messa in atto di opere finalizzate alla cessazione della propagazione di fumo proveniente da canna fumaria dell'attività di pizzeria condotta dalla ricorrente.
Invero, l’ingiunzione non trova riscontro in alcuna specifica norma di legge che, in relazione alla situazione di fatto assunta a giustificazione della sua adozione, attribuisca all’amministrazione comunale la potestà esercitata in materia.

È impugnata l’ingiunzione adottata dal dirigente dello Sportello unico delle attività produttive di Genova del 05.03.2009 avente ad oggetto l’ordine di messa in atto di opere finalizzate alla cessazione della propagazione di fumo proveniente da canna fumaria dell'attività di pizzeria condotta dalla ricorrente.
Il motivo principale da cui muove il gravame è che l’ingiunzione non troverebbe riscontro in alcuna specifica norma di legge che, in relazione alla situazione di fatto assunta a giustificazione della sua adozione, attribuisca l’amministrazione comunale la potestà esercitata in materia.
La censura è fondata.
L’obbligo di fare avente ad oggetto l’esecuzione di opere finalizzate a contenere la propagazione di fumi, oltre ad essere genericamente imposto, non ha fonte di legge.
Non soddisfa affatto i principi di legalità sostanziale e nominatività che presidiano e, ad un tempo, circoscrivono, ai sensi dell’art. 23 cost., l’adozione da parte dell’autorità amministrativa di prescrizioni di fare incidenti sui cittadini o sugli operatori economici.
Detti principi, analiticamente declinati, rispettivamente, esigono: per un verso, che la fonte normativa non solo preveda genericamente la potestà in capo all’amministrazione ma che, in senso sostanziale, ne disciplini contenuto, oggetto ed efficacia prescrittiva; per l’altro, che risulti esattamente individuata la norma che tale potestà espressamente riconosca all’autorità procedente.
Nel caso in esame nessuna delle due.
Non ricorre nella situazione posta a base dell’ingiunzione alcuna situazione di pericolo per la salute pubblica di cui all’art. 217 r.d. n. 1265/1934, enfaticamente richiamato nell’atto impugnato.
I fumi molesti, a cui fa riferimento la stessa ingiunzione nella parte dispositiva, non sono infatti realisticamente annoverabili fra le esalazioni pericolose per la salute pubblica.
Non è altresì utilmente invocabile l’art. 36 del Regolamento per l’igiene del suolo e dell’abitato del comune di Genova che, in disparte la natura di atto normativo secondario, non ascrivibile a fonte di legge idonea ad soddisfare la relativa riserva prevista all’art. 23 cost., disciplina propriamente l’installazione di canne fumarie.
Per quella per cui è causa, e dalla quale provengono i fumi –va sottolineato– la ricorrente ha ottenuto a suo tempo, ossia a fare data dal 2003, la prescritta autorizzazione.
Inoltre nel necessario riscontro dei requisiti di tempestività e continuità dell’azione amministrativa che caratterizza ab imis lo scrutinio di legittimità dei provvedimenti atti a fronteggiare supposte situazioni di pericolo per la salute pubblica, non va passato sotto silenzio che la nota dell’ASL n. 3, avente riguardo alle opere necessarie ad evitare la propagazione dal camino della pizzeria di fumi pericolosi, risale al 07.06.2007: vale a dire a ben due anni prima l’adozione dell’atto impugnato.
In definitiva, a tacer d’altro, si è assunta a fondamento di fatto dell’ingiunzione una situazione contingente maturata (non solo in un momento, bensì addirittura) in epoca anteriore a quella specificamente considerata nell’otto impugnato.
Del resto, conclusivamente, è significativo che gli abitanti del condominio che lamentano i fumi molesti, invocando la disciplina delle immissioni di cui all’art. 844 c. c., hanno promosso la causa civile innanzi al Tribunale di Genova, definita con sentenza di reiezione n. 2748/2012.
A testimonianza che, allo stato ed in difetto di sopravvenute situazioni o emergenze debitamente accertate, la controversia sui fumi provenienti dalla pizzeria della ricorrente è questione che riguarda esclusivamente i privati
(TAR Liguria, Sez. II, sentenza 04.01.2013 n. 1 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

anno 2012

EDILIZIA PRIVATA: Già da tempo è stata affermata la necessità che, per la realizzazione della canna fumaria di non piccole dimensioni e di palese evidenza rispetto alla costruzione e alla sua sagoma, venga rilasciato permesso di costruire, in quanto detta opera non può considerarsi un elemento meramente accessorio ovvero di ridotta e aggiuntiva destinazione pertinenziale, come tale assorbito o occultato dalla preesistente struttura dell'immobile.
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La necessità del previo rilascio di un titolo abilitativo edilizio può configurarsi anche in presenza di opere che attuino una trasformazione del tessuto urbanistico ed edilizio, anche se esse non consistano in opere murarie, essendo realizzate in metallo, in laminati di plastica, in legno od altro materiale, in presenza di trasformazioni preordinate a soddisfare esigenze non precarie del costruttore.

Viene in questa sede impugnata l’ordinanza con cui si intima ai ricorrenti di demolire una canna fumaria realizzata senza il necessario titolo abilitativo.
Sul punto la giurisprudenza già da tempo ha affermato la necessità che, per la realizzazione della canna fumaria di non piccole dimensioni e di palese evidenza rispetto alla costruzione e alla sua sagoma, venga rilasciato permesso di costruire, in quanto detta opera non può considerarsi un elemento meramente accessorio ovvero di ridotta e aggiuntiva destinazione pertinenziale, come tale assorbito o occultato dalla preesistente struttura dell'immobile (cfr. Tar Campania-Napoli, sez. VIII - sentenza 01.10.2012 n. 4005 - TAR Campania Napoli, sez. VI, 03.06.2009, n. 3039; Tar Veneto Tar Lazio n. 4246 18.05.2001).
Ad avviso del Collegio l’opera realizzata, per il suo impatto visivo, per come evincibile dall’allegato materiale fotografico non può ritenersi di ridotto impatto, tale da non necessitare del prescritto titolo edilizio.
I ricorrenti, poi, fanno rientrare la realizzazione dell’opera nell’ambito degli interventi di manutenzione ordinaria consentiti ex articolo 6 del D.P.R. 380/2001, interventi che possono essere realizzati senza alcun titolo abilitativo.
Anche questo assunto non convince. Come affermato dalla giurisprudenza, la necessità del previo rilascio di un titolo abilitativo edilizio può configurarsi anche in presenza di opere che attuino una trasformazione del tessuto urbanistico ed edilizio, anche se esse non consistano in opere murarie, essendo realizzate in metallo, in laminati di plastica, in legno od altro materiale, in presenza di trasformazioni preordinate a soddisfare esigenze non precarie del costruttore (cfr. Tar Campania-Napoli, sez. VIII - sentenza 01.10.2012 n. 4005) (TAR Calabria-Catanzaro, Sez. I, sentenza 10.11.2012 n. 1086 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: La presenza di materiali contenenti amianto in un edificio non comporta di per sé un pericolo per la salute degli occupanti. Se il materiale è in buone condizioni e non viene manomesso, è estremamente improbabile che esista un pericolo apprezzabile di rilascio di fibre di amianto. Se invece il materiale viene danneggiato per interventi di manutenzione o per vandalismo, si verifica un rilascio di fibre che costituisce un rischio potenziale. Analogamente se il materiale è in cattive condizioni, o se è altamente friabile, le vibrazioni dell'edificio, i movimenti di persone o macchine, le correnti d'aria possono causare il distacco di fibre legate debolmente al resto del materiale.
Infine, per quanto concerne la rimozione delle canne fumarie in eternit il Comune non indica i motivi per cui deve essere operata detta rimozione, atteso che le canne fumarie, per come affermato dai ricorrenti, non si troverebbero in stato di degrado.
Ciò che infatti non emerge dall’ordinanza è la motivazione su cui poggia la decisione dell’amministrazione di ordinare la demolizione delle contestate canne fumarie, non risultando alcuna verifica o valutazione effettuata al fine di evidenziare la pericolosità delle stesse per la salute pubblica. Secondo il D.M. del 06.09.1994 in tema di valutazione del rischio “La presenza di materiali contenenti amianto in un edificio non comporta di per sé un pericolo per la salute degli occupanti. Se il materiale è in buone condizioni e non viene manomesso, è estremamente improbabile che esista un pericolo apprezzabile di rilascio di fibre di amianto. Se invece il materiale viene danneggiato per interventi di manutenzione o per vandalismo, si verifica un rilascio di fibre che costituisce un rischio potenziale. Analogamente se il materiale è in cattive condizioni, o se è altamente friabile, le vibrazioni dell'edificio, i movimenti di persone o macchine, le correnti d'aria possono causare il distacco di fibre legate debolmente al resto del materiale”.
Dall’ordinanza impugnata non emerge l’espletamento di alcuna attività di valutazione dell’effettivo rischio che le canne fumarie rappresentano per i cittadini.
In conclusione, l’atto impugnato risulta affetto anche da difetto di motivazione per non avere il Comune intimato evidenziato i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che hanno condotto l’amministrazione ad ordinare il ripristino dello stato dei luoghi (TAR Calabria-Catanzaro, Sez. I, sentenza 10.11.2012 n. 1085 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAPer quanto concerne la canna fumaria il Collegio condivide la giurisprudenza amministrativa alla luce della quale la canna fumaria deve ritenersi un volume tecnico e, come tale, un’opera priva di autonoma rilevanza urbanistico-funzionale, che non risulta particolarmente pregiudizievole per il territorio e, pertanto, la sua realizzazione rientra tra quelle opere per le quali non è necessario il permesso di costruire e, conseguentemente, non è soggetta alla sanzione della demolizione.
Lo stesso dicasi per i due serbatoi idrici e relativo autoclave che, essendo impianti tecnologici, innanzitutto non sviluppano nuovo volume e devono ritenersi privi di autonoma rilevanza urbanistico-funzionale; inoltre, per quanto riguarda in particolare quelli di cui alla fattispecie oggetto di gravame, seppure posizionati all’esterno dell’appartamento, data la loro specifica ubicazione nella facciata interna del condominio, non risultano particolarmente pregiudizievoli per il territorio.

Il Collegio ritiene, tuttavia, che per entrambe le opere di cui si contesta la mancanza del titolo edilizio, trattandosi rispettivamente di impianti tecnologici e di volume tecnico, non occorreva per la loro realizzazione il permesso di costruire che determina la sanzione della demolizione prevista dall’art. 31 del d.p.r. n. 380 del 2001, ma era sufficiente la denuncia di inizio di attività la cui mancanza non è sanzionabile con la rimozione o demolizione ma solo con l’irrogazione della sanzione pecuniaria prevista dall’art. 37 del d.p.r. n. 380 del 2001, come prospettato da parte ricorrente; pertanto l’ordinanza oggetto di impugnazione deve ritenersi illegittimamente adottata.
In particolare per quanto concerne la canna fumaria il Collegio condivide, infatti, la giurisprudenza amministrativa alla luce della quale la canna fumaria deve ritenersi un volume tecnico e, come tale, un’opera priva di autonoma rilevanza urbanistico-funzionale, che non risulta particolarmente pregiudizievole per il territorio e, pertanto, la sua realizzazione rientra tra quelle opere per le quali non è necessario il permesso di costruire e, conseguentemente, non è soggetta alla sanzione della demolizione (cfr. ex multis TAR Campania Napoli, Sez. VII, 15.12.2010, n. 27380); lo stesso dicasi per i due serbatoi idrici e relativo autoclave che, essendo impianti tecnologici, innanzitutto non sviluppano nuovo volume e devono ritenersi privi di autonoma rilevanza urbanistico-funzionale; inoltre, per quanto riguarda in particolare quelli di cui alla fattispecie oggetto di gravame, seppure posizionati all’esterno dell’appartamento, data la loro specifica ubicazione nella facciata interna del condominio, non risultano particolarmente pregiudizievoli per il territorio.
Si ritiene di dover precisare che, anche nella ipotesi che sembrerebbe emergere nella fattispecie per cui è causa, di un vincolo paesaggistico dell’area ove è ubicato l’immobile, peraltro non indicato nell’ordinanza dal Comune ma solo genericamente rappresentato nella memoria prodotta in giudizio come “vincolo architettonico”, esso non sarebbe di ostacolo ad ottenere una autorizzazione paesaggistica in sanatoria, su richiesta dell’avv. Ferlicchia, per gli interventi contestati nell’ordinanza di rimozione .
Ciò in quanto l’art. 167, comma 4, del d.lgs. n. 42 del 2004, alla lettera a) prevede la possibilità del versamento di una indennità pecuniaria “per i lavori, realizzati in assenza o difformità dall'autorizzazione paesaggistica, che non abbiano determinato creazione di superfici utili o volumi ovvero aumento di quelli legittimamente realizzati”, fattispecie applicabile alla fattispecie oggetto di gravame (cfr. TAR Campania Napoli, Sez. VII, 15.12.2010, n. 27380 cit.) (TAR Puglia-Bari, Sez. III, sentenza 30.10.2012 n. 1859 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Canne fumarie, quando serve il permesso di costruire.
La realizzazione di una canna fumaria che comporti una modifica del prospetto del fabbricato cui inerisce è riconducibile ai lavori di ristrutturazione edilizia realizzati tramite inserimento di nuovi elementi e impianti, ed è quindi subordinata al regime del permesso di costruire, ai sensi dell'articolo 10, comma primo, lettera c), dello stesso T.U. sull'edilizia.

La deducente, affittuaria di un locale destinato allo svolgimento dell’attività di ristorazione-pizzeria, ha impugnato l’ordinanza con cui il Comune di appartenenza aveva ingiunto alla medesima, nonché alla proprietaria dell’immobile, la demolizione della canna fumaria realizzata abusivamente in epoca antecedente la stipula del contratto di locazione.
Nello specifico ha eccepito la violazione e falsa applicazione dell’art. 31, comma 2, D.P.R. n. 380/2001, sulla scorta della considerazione per cui la menzionata disposizione sancisce che soltanto l’autore materiale dell’abuso e il proprietario dell’immobile interessato costituiscono i destinatari dell’ingiunzione a demolire, oltre alla violazione degli artt. 3 e 7, L. n. 241/1990.
Il ricorso è stato respinto.
Il TAR di Napoli, in primo luogo, ha ritenuto prive di fondamento le censure inerenti la violazione dell’art. 7, L. n. 241/1990 e il difetto di motivazione sull’interesse pubblico. Sul punto, ha rimarcato che, in linea di principio, l’ordine di demolizione non deve essere necessariamente preceduto dalla comunicazione di avvio del procedimento, trattandosi di atto dovuto e rigorosamente vincolato, con riferimento al quale non sono richiesti apporti partecipativi del destinatario e il cui presupposto è costituto unicamente dalla constatata esecuzione dell'opera in totale difformità o in assenza del titolo abilitativo.
Né tampoco deve essere richiesta una specifica motivazione che dia conto della valutazione delle ragioni di interesse pubblico alla demolizione o della comparazione di quest'ultimo con gli interessi privati coinvolti e sacrificati, senza che sussista alcuna violazione dell'art. 3, L. n. 241/1990, atteso che, ricorrendo i predetti requisiti, il provvedimento deve intendersi sufficientemente motivato con l'affermazione dell'accertata abusività dell'opera, essendo in re ipsa l'interesse pubblico concreto e attuale alla sua rimozione (ex multis, Cons. Stato, Sez. IV, 31.08.2010, n. 3955).
Pertanto, ha precisato che, anche nelle ipotesi in cui intercorre un lungo periodo di tempo tra la realizzazione dell'opera abusiva e il provvedimento sanzionatorio, tale circostanza non rileva ai fini della legittimità dell’ingiunzione di demolizione, sia in rapporto al preteso affidamento circa la conformità dell'opera, sia in relazione a un presunto ulteriore obbligo per l'amministrazione procedente di motivare specificamente il provvedimento in ordine alla sussistenza dell'interesse pubblico a far demolire il manufatto.
Al contempo, il giudicante ha ritenuto inconferente la natura pertinenziale dell’intervento oggetto di contestazione, dedotta dalla ricorrente a sostegno dell’illegittimità dell’impugnata ordinanza di demolizione.
L’intervento in esame, ad avviso dell’adito G.A., è riconducibile ai lavori di ristrutturazione edilizia di cui all'art. 3, comma 1, lettera d), D.P.R. n. 380/2001, realizzati tramite inserimento di nuovi elementi e impianti.
Ha così sottolineato che la realizzazione della canna fumaria era soggetta al regime del permesso di costruire, ai sensi dell'art. 10, comma 1, lettera c), in quanto comportante una modifica del prospetto del fabbricato cui inerisce.
In argomento, infatti, ha richiamato un costante indirizzo giurisprudenziale che, con riferimento alle canne fumarie, ha statuito che: “È necessario il rilascio del permesso di costruire qualora esse non presentino piccole dimensioni, siano di palese evidenza rispetto alla costruzione e alla sagoma dell’immobile e non possano considerarsi un elemento meramente accessorio ovvero di ridotta e aggiuntiva destinazione pertinenziale, come tale assorbito o occultato dalla preesistente struttura dell'immobile” (cfr. TAR Lazio, Roma, Sez. II-ter, 18.05.2001, n. 4246).
Orbene, con riferimento al caso di specie, il Tribunale partenopeo ha evidenziato che la canna fumaria installata sull’edificio, avuto riguardo alle dimensioni, altezza, conformazione e destinazione all’espulsione dei fumi di un esercizio di ristorazione dotato di un forno, avevano inciso sul prospetto e la sagoma della costruzione.
Per siffatta ragione, il Collegio ha puntualizzato che l’intervento in questione necessitava del rilascio di un permesso di costruire, atteso che lo stesso aveva determinato la realizzazione di un elemento che in alcuna guisa avrebbe potuto considerarsi meramente accessorio, ovvero di ridotta e aggiuntiva destinazione pertinenziale, come tale assorbito o occultato dalla preesistente struttura dell’immobile.
Infine, ha ritenuto non meritevole di accoglimento neppure la censura formulata dall’interessata in merito alla propria estraneità all’abuso.
Sul punto, il Giudice amministrativo ha chiarito che, in materia di demolizione, la figura del responsabile dell’abuso non si identifica solo in colui che ha materialmente eseguito l’opera ritenuta abusiva, ma si riferisce, necessariamente, anche a colui che di quell’opera ha la materiale disponibilità e può provvedere alla demolizione.
Non a caso, in giurisprudenza è stato precisato che: "I provvedimenti repressivi di illeciti edilizi possono essere indirizzati anche a persone diverse da quelle che hanno materialmente realizzato l’abuso, ma è anche vero che, ai fini della legittimità delle relative ingiunzioni, è sempre necessaria la sussistenza di una relazione giuridica o materiale del destinatario con il bene" (Cons. Stato, Sez. IV, 16.07.2007, n. 4008).
A ogni buon conto, ha evidenziato che il presupposto dell’impugnato provvedimento amministrativo era la realizzazione di un’opera in assenza di permesso di costruire, la cui eliminazione era necessaria per ripristinare il corretto assetto del territorio; pertanto, ha ritenuto che l’ordine di demolizione era stato legittimamente rivolto a colui che al momento della sua irrogazione aveva l’attuale disponibilità del bene abusivo e ciò indipendentemente dal fatto di averlo realizzato (commento tratto da www.ispoa.it - TAR Campania-Napoli, Sez. VIII, sentenza 01.10.2012 n. 4005 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: La necessità del previo rilascio del permesso di costruire può configurarsi anche in presenza di opere che attuino una trasformazione del tessuto urbanistico ed edilizio anche se esse non consistano in opere murarie, essendo realizzate in metallo, in laminati di plastica, in legno od altro materiale, in presenza di trasformazioni preordinate a soddisfare esigenze non precarie del costruttore.
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Nel caso delle canne fumarie, la giurisprudenza ha altresì ravvisato la necessità del previo rilascio del permesso di costruire qualora esse non presentino piccole dimensioni, siano di palese evidenza rispetto alla costruzione e alla sagoma dell’immobile, e non possano considerarsi un elemento meramente accessorio ovvero di ridotta e aggiuntiva destinazione pertinenziale, come tale assorbito o occultato dalla preesistente struttura dell'immobile.
Nella specie, come risulta evidente dalle riproduzioni fotografiche in atti, le due canne fumarie installate sull’edificio in esame per le dimensioni, l’altezza, la relativa conformazione, e la destinazione alla espulsione dei fumi di un esercizio di ristorazione dotato di un forno, incidono sul prospetto e la sagoma della costruzione su cui sono installate. Esse infatti si presentano, nello spazio interessante la sua apposizione ed elevazione in altezza, come un visibile prolungamento completativo degli elementi costituenti una delle facciate interne dell’edificio esistente.
Le canne fumarie in oggetto non possono perciò considerarsi, come sostiene la ricorrente, un elemento meramente accessorio ovvero di ridotta e aggiuntiva destinazione pertinenziale, come tale assorbito o occultato dalla preesistente struttura dell’immobile.
Contrariamente a quanto dedotto dalla ricorrente, infatti, l’intervento in esame, ad avviso del Collegio, è riconducibile ai lavori di ristrutturazione edilizia di cui all'articolo 3, comma 1°, lettera d), del D.P.R. n. 380/2001, realizzati tramite inserimento di nuovi elementi ed impianti, ed è quindi subordinata al regime del permesso di costruire, ai sensi dell'articolo 10, comma primo, lettera c), dello stesso D.P.R. laddove comporti, come nel caso di specie, una modifica del prospetto del fabbricato cui inerisce, come del resto chiaramente evincibile dalle riproduzioni fotografiche in atti.
Peraltro la necessità del previo rilascio del permesso di costruire può configurarsi anche in presenza di opere che attuino una trasformazione del tessuto urbanistico ed edilizio anche se esse non consistano in opere murarie, essendo realizzate in metallo, in laminati di plastica, in legno od altro materiale, in presenza di trasformazioni preordinate a soddisfare esigenze non precarie del costruttore.
Nel caso delle canne fumarie, la giurisprudenza ha altresì ravvisato la necessità del previo rilascio del permesso di costruire qualora esse non presentino piccole dimensioni, siano di palese evidenza rispetto alla costruzione e alla sagoma dell’immobile, e non possano considerarsi un elemento meramente accessorio ovvero di ridotta e aggiuntiva destinazione pertinenziale, come tale assorbito o occultato dalla preesistente struttura dell'immobile (cfr. Tar Veneto Tar Lazio n. 4246 18.05.2001).
Nella specie, come risulta evidente dalle riproduzioni fotografiche in atti, le due canne fumarie installate sull’edificio in esame per le dimensioni, l’altezza, la relativa conformazione, e la destinazione alla espulsione dei fumi di un esercizio di ristorazione dotato di un forno, incidono sul prospetto e la sagoma della costruzione su cui sono installate. Esse infatti si presentano, nello spazio interessante la sua apposizione ed elevazione in altezza, come un visibile prolungamento completativo degli elementi costituenti una delle facciate interne dell’edificio esistente.
Le canne fumarie in oggetto non possono perciò considerarsi, come sostiene la ricorrente, un elemento meramente accessorio ovvero di ridotta e aggiuntiva destinazione pertinenziale, come tale assorbito o occultato dalla preesistente struttura dell’immobile
(TAR Campania-Napoli, Sez. VIII, sentenza 01.10.2012 n. 4005 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

CONDOMINIO: Canna fumaria, conta chi la usa. Il bene può anche non essere di proprietà condominiale. Per la Cassazione prevale la prova della destinazione sulla presunzione di comunione.
La canna fumaria, anche se ricavata all'interno di un muro comune, può anche non essere di proprietà condominiale, laddove la presunzione di comunione del bene sia vinta in concreto dalla prova della destinazione oggettiva del bene a servire in modo esclusivo uno solo dei comproprietari.

Questo il principio stabilito dalla II Sez. civile della Corte di Cassazione nella recente sentenza 25.09.2012 n. 16306.
La presunzione di comunione dei beni. Il codice civile, all'art. 1117, elenca una serie di beni che si presumono di natura condominiale, ossia destinati all'utilizzo e al godimento di tutti i comproprietari: il suolo su cui sorge l'edificio, le fondazioni, i muri maestri, i tetti e i lastrici solari, le scale, i portoni d'ingresso, i vestiboli, gli anditi, i portici, i cortili, i locali per la portineria e per l'alloggio del portiere, per la lavanderia, per il riscaldamento centrale ecc..
Detti beni, come detto, si presumono oggetto di proprietà comune dei proprietari dei diversi piani o porzioni di piani di un edificio, a meno che, per utilizzare il linguaggio codicistico, il contrario non risulti dal titolo. Con quest'ultima espressione, come chiarito anche dalla Suprema corte nella sentenza in questione, si intende fare riferimento non solo ad atti formali, come ad esempio il regolamento condominiale, ma anche a circostanze di fatto, quali la destinazione funzionale del bene.
Il caso concreto. Nella specie due condomini, proprietari di un appartamento, avevano citato avanti alla pretura di Roma i proprietari dell'appartamento soprastante. I primi, sul presupposto che nell'incavo del muro maestro era stato installato da tempo immemorabile un caminetto con relativa canna fumaria che attraversava la parete condominiale del sovrastante appartamento di proprietà dei convenuti, lamentavano il fatto che questi ultimi avessero innestato a loro volta nella predetta canna fumaria un'altra tubatura, provocandone l'occlusione, per cui chiedevano al giudice di accertare la loro proprietà esclusiva della canna fumaria in questione, con condanna dei convenuti al ripristino dello stato dei luoghi. Si erano però costituiti in giudizio i convenuti, chiedendo il rigetto della domanda attrice, sostenendo che la canna fumaria fosse invece di loro proprietà esclusiva.
La decisione della Cassazione. I giudici di legittimità, ritenendo che nel caso in questione fosse essenziale stabilire alternativamente se la canna fumaria inserita nell'edificio condominiale costituisse o meno opera all'esclusivo servizio dell'unità immobiliare degli attori originari, ovvero di quella dei convenuti originari o se, infine, la stessa ricadesse nel novero delle cose comuni ai sensi dell'art. 1117 c.c., hanno quindi concluso nel senso che, sulla base delle risultanze processuali, il titolo attributivo dell'esclusiva proprietà del bene agli attori andava ricercato nella destinazione funzionale dell'opera predetta all'esclusivo servizio del loro appartamento.
Nel fare questo la Suprema corte si è richiamata a un precedente di legittimità (sentenza n. 9231/1991) nel quale analogamente era stato stabilito che una canna fumaria, anche se ricavata nel vuoto di un muro comune, non è necessariamente di proprietà comune, ben potendo appartenere a uno solo dei condomini, ove sia destinata a servire esclusivamente l'appartamento cui afferisce, costituendo detta destinazione titolo contrario alla presunzione legale di comunione. Di qui il rigetto del ricorso presentato dai condomini convenuti in primo grado che, dopo aver presentato inutilmente appello avverso la sentenza della pretura di Roma, si sono visti condannare anche alle spese del giudizio di legittimità.
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Non si può pregiudicare il decoro della facciata.
Le canne fumarie all'interno del condominio rappresentano da sempre una delle principali cause di litigio tra condomini. In assenza di titolo contrario (il regolamento di condominio, un atto di acquisto delle singole unità, una sentenza passata in giudicato che ne accerti l'usucapione), la canna fumaria si presume comune.
Tuttavia non è necessariamente di proprietà comune, ben potendo appartenere a un gruppo di condomini o a uno solo dei comproprietari, ove sia destinata a servire esclusivamente un determinato appartamento. In ogni caso non si può escludere che il singolo condomino debba installare una nuova canna fumaria nelle parti comuni. Tale ipotesi è normalmente ammessa, purché si rispettino determinati requisiti. Al contrario è da escludere che un singolo condomino possa utilizzare la canna fumaria dell'impianto centrale di riscaldamento anche se questo sia stato disattivato dal condominio, perché si avrebbe una definitiva sottrazione della canna fumaria alle possibilità di godimento della restante parte dei condomini (in questo caso è necessario il consenso di tutti gli altri condomini).
Installazione di canna fumaria in facciata. L'appoggio di una canna fumaria al muro comune perimetrale di un edificio condominiale comporta una modifica della cosa comune conforme alla destinazione della stessa, che ciascun condomino può apportare a sue cure e spese. Del resto si deve considerare la normale possibilità del muro stesso di contenere o reggere una o più canne fumarie, senza subire alterazione apprezzabile della sua principale funzione e senza compromettere l'uso da parte degli altri condomini. Tali considerazioni valgono a maggiore ragione nel caso in cui l'opera sia diretta a evitare la diffusione dei fumi di cottura di un ristorante, che incidono in modo particolare sulle condizioni di vita di tutti i condomini.
Certo tale appoggio non deve pregiudicare il decoro del caseggiato, incidendo negativamente sull'insieme dell'aspetto dello stabile (e ciò a prescindere dal particolare pregio estetico dell'edificio). Così, ad esempio, deve ritenersi illegittima l'installazione di una canna fumaria che percorra tutta la facciata dell'edificio condominiale, così da pregiudicare l'aspetto e l'armonia del condominio.
Allo stesso modo la canna fumaria deve essere di dimensioni tali da non ridurre considerevolmente la visuale da parte degli altri condomini che usufruiscano di vedute dalla facciata interessata.
Il discorso si collega alla compatibilità dell'installazione di una canna fumaria rispetto delle distanze legali. A tale proposito si deve precisare che le norme in materia sono applicabili anche nei rapporti tra il condominio e il singolo condomino nel caso in cui esse siano compatibili con l'applicazione delle norme particolari relative all'uso delle cose comuni, cioè nel caso in cui sia possibile una applicazione complementare. Quindi, qualora vi sia compatibilità tra le due discipline, la distanza legale per la collocazione di una canna fumaria sul muro perimetrale comune, a opera di uno dei condomini, non può essere inferiore a 75 centimetri dai più vicini sporti dei balconi di proprietà esclusiva degli altri comproprietari.
In ogni caso una canna fumaria installata in un condominio ex novo e senza alcuna previa autorizzazione condominiale va rimossa qualora provochi immissioni che superino la normale soglia di tollerabilità o, quanto meno, dovranno essere adottate le misure tecniche idonee a limitare il disagio arrecato. Del resto è possibile che il regolamento di condominio preveda limiti più rigorosi nell'installazione di una nuova canna fumaria da parte del singolo condominio.
Installazione di canna fumaria sul lastrico solare. Qualora l'installazione della canna fumaria vada a interessare una porzione di lastrico solare, occorrerà verificare se tale installazione alteri o meno la funzione di protezione e calpestio del lastrico stesso e se sottragga il lastrico o parte di esso alla possibilità di utilizzo da parte degli altri condomini. Occorrerà pertanto valutare caso per caso se l'installazione sia legittima.
La giurisprudenza ha poi ritenuto che se il condomino inserisce la propria canna fumaria nel lastrico solare comune, incorporandone una porzione con opere murarie, al servizio esclusivo del proprio appartamento, non ne compromette la destinazione se occupa una zona periferica del tutto trascurabile rispetto alla superficie complessiva del lastrico, senza che possa, in concreto, escludersi la funzione di calpestio del lastrico o le possibilità di uso degli altri comproprietari.
Al contrario il condomino che, senza previa autorizzazione, inserisca stabilmente e con opere murarie una canna fumaria di dimensioni non limitate in corrispondenza dell'esiguo cordolo perimetrale del lastrico solare destinato a stenditoio, pone in essere un'occupazione stabile e duratura, non consentita dalla legge, sottraendo la relativa porzione di bene comune all'uso e al godimento degli altri condomini (articolo ItaliaOggi Sette del 15.10.2012).

EDILIZIA PRIVATASi tratta, nella specie, di una semplice canna fumaria, relativa ad un impianto eco-compatibile a basso impatto ambientale alimentato con materiali biodegrabili, opera comunque priva di autonoma rilevanza urbanistico-funzionale e che non risulta particolarmente pregiudizievole per il territorio, costituendo peraltro volume tecnico.
Ma anche a ritenere la necessità di un titolo abilitativo, comunque non si sarebbe trattato del permesso di costruire, con conseguente ipotetica irrogazione della sola sanzione pecuniaria.

Espone l’odierno ricorrente di essere proprietario di un fabbricato con area di pertinenza nel Comune di Catanzaro. Su detta unità immobiliare lo stesso ha installato una canna fumaria. Il settore Igiene ambientale del Comune ha, quindi, con nota del 22.12.2010 notiziato di detta installazione il settore Edilizia privata. Con ordinanza n. 44 del 07.04.2011, il Comune di Catanzaro ha quindi ordinato la demolizione dell’opera di che trattasi poiché abusivamente realizzata.
Avverso la detta ordinanza di demolizione è quindi proposto il presente ricorso a sostegno del quale si argomenta la non necessità del previo conseguimento di titolo abilitativo per la installazione di una canna fumaria.
Si è costituito in giudizio il Comune di Catanzaro affermando la infondatezza del proposto ricorso e concludendo perché lo stesso venga respinto.
Alla pubblica udienza del 09.03.2012 il ricorso è stato trattenuto in decisione.
Il ricorso è fondato e va, pertanto, accolto.
Osserva, infatti, il Collegio che si tratta, nella specie, di una semplice canna fumaria, relativa ad un impianto eco-compatibile a basso impatto ambientale alimentato con materiali biodegrabili, opera comunque priva di autonoma rilevanza urbanistico-funzionale e che non risulta particolarmente pregiudizievole per il territorio, costituendo peraltro volume tecnico (cfr. TAR Napoli, VII Sezione, 15.12.2010 n. 27380). Ma anche a ritenere la necessità di un titolo abilitativo, comunque non si sarebbe trattato del permesso di costruire, con conseguente ipotetica irrogazione della sola sanzione pecuniaria.
Ne consegue, pertanto, la illegittimità dell’avversata ordinanza di demolizione che, in accoglimento del proposto ricorso, deve essere annullata (TAR Calabria-Catanzaro, Sez. I, sentenza 17.04.2012 n. 391 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

CONDOMINIO - EDILIZIA PRIVATA: A. Gallucci, L’installazione di una canna fumaria in un condominio - Di chi è la proprietà della canna fumaria? Nella sua installazione devono essere rispettate le distanze? Che cosa succede se le tubazioni alterano l’estetica dell’edificio? Indicazioni pratiche valide per impianti termici o al servizio di attività commerciali e artigianali (Quaderni di Legislazione Tecnica n. 1/2012).

anno 2011

EDILIZIA PRIVATA: Vietato l’uso della canna fumaria che non supera il colmo
Il Consiglio di Stato ha dichiarato legittimo il provvedimento con il quale il Comune ha inibito al proprietario di un edificio residenziale l’uso della relativa canna fumaria, che non supera il colmo dell’edificio sul quale insiste.

Il Consiglio di Stato, Sez. III, con la sentenza 05.10.2011 n. 5474, confermando la precedente sentenza del TAR, ha dichiarato legittimo il provvedimento con il quale il Comune ha inibito al proprietario di un edificio residenziale l’uso della relativa canna fumaria, motivato con riferimento al fatto che è risultato provato che la medesima canna non supera il colmo dell’edificio sul quale insiste.
Nel merito viene fatto riferimento alla mancata applicazione all’articolo 64 del Regolamento di Igiene del Comune di Roma, approvato con deliberazione n. 7395 del 12/11/1932 (e successive modifiche e integrazioni), secondo il quale «Nella città e nei centri abitati i fumaioli dovranno essere elevati al di sopra del fabbricato e, ove questo sia più basso di quelli contigui, prolungati sino ad una altezza sufficiente per evitare danno o incomodo ai vicini»; risultando evidente che la ratio di tale norma sia quella di evitare che le canne fumarie provochino immissioni nocive o comunque disturbo a terzi e pertanto, laddove, come nel caso in esame, per la peculiare configurazione architettonica a scaloni, lo stabile abbia due o più piani di copertura di diverso livello, le canne fumarie debbono innalzarsi oltre l’ultimo piano al fine di evitare immissioni nocive a terzi.
Appare opportuno ricordare che le ultime innovazioni legislative in materia di disciplina edilizia, attribuendo precise (ed esclusive) responsabilità ai progettisti, richiamano –di fatto– la loro specifica competenza nell’attuazione delle norme tecniche in edilizia, che dovrebbero risultare chiare ed univoche. La sentenza in esame richiama, quale norma di riferimento, un datato regolamento comunale di igiene (la cui redazione, a sua volta, ha dovuto rispettare le ancora vigenti Istruzioni ministeriali 20.06.1896 in materia di regolamenti locali sull’igiene del suolo e dell’abitato); norma di immediata applicazione anche se dovrebbe risultare coordinata con le norme sulle installazione dell’impianti tecnici negli edifici dettate dal DM 37/2008 (che, sottraendo la materia dal DPR 380/2001 TU edilizia, ha fatto rivivere la disciplina dettata dalla legge 46/1990), le quali contemplano anche i sistemi di evacuazione fumi e dichiarano realizzati a regola d’arte gli impianti che rispettino le norme e le regole dettate dagli Enti di normazione (Uni, Cei, ecc.).
E’ appena il caso di ricordare che le «regole tecniche», di applicazione obbligatoria, derivano dalla attribuzione –tramite provvedimento amministrativo- di tale requisito alle «norme» (di applicazione volontaria) emanate dagli Enti di normazione; procedimento che, per quanto riguarda gli impianti tecnici negli edifici, è attuato quasi esclusivamente con riferimento agli impianti di distribuzione ed utilizzazione del gas (commento tratto da www.legislazionetecnica.it - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVI: E' legittima l'ordinanza contingibile ed urgente, ex art. 50, comma 5, del d.lgs. 267/2000, tendente a far innalzare l'esistente canna fumaria, del vicino di casa, avente due bocche di emissione situate a una distanza di circa tre metri e a quota inferiore rispetto al filo superiore di due finestre dall’abitazione dell'esponente, la quale crea evidenti e constatati in loco problemi igienico-sanitari.
Osserva il Collegio che il Sindaco di Sezze ha emesso l’ordinanza contingibile e urgente ai sensi dell’art. 50, comma 5, del d.lgs. 267/2000 (che attribuisce tale potere al Sindaco per il caso di emergenze sanitarie o di igiene pubblica a carattere esclusivamente locale) a seguito della segnalazione del responsabile del servizio Igiene e Sanità in data 18.01.2001, il quale rappresenta che a seguito di sopralluogo in data 29.12.2000 è stato rilevata la presenza di una canna fumaria da cui si dipartono due bocche di emissione situate a una distanza di circa tre metri e a quota inferiore rispetto al filo superiore di due finestre dall’abitazione dei vicini signori ... e ....
Al fine di eliminare gli inconvenienti igienico-sanitari lamentati dagli esponenti, il funzionario invita il Sindaco a emanare apposito provvedimento ordinatorio finalizzato all’innalzamento delle bocche di emissione delle canne “nei confronti del proprietario della canna fumaria, indicato dagli esponenti nella persona della sig.ra ...”.
L’art. 6.15 del DPR 1392/1970 (Regolamento per l'esecuzione della L. 13.07.1966, n. 615, vigente all’epoca dell’adozione dell’impugnato provvedimento. recante provvedimenti contro l'inquinamento atmosferico, limitatamente al settore degli impianti termici) stabilisce che “Le bocche dei camini devono risultare più alte di almeno un metro rispetto al colmo dei tetti, ai parapetti ed a qualunque altro ostacolo o struttura distante meno di 10 metri”.
L’inosservanza della norma nel caso concreto è evidente e pertanto, anche alla luce della succitata nota a firma del Responsabile del Servizio Igiene e Sanità, l’ordinanza contingibile e urgente del Sindaco di Sezze appare immune dalle dedotte censure (TAR Lazio-Latina, sentenza 04.10.2011 n. 769 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVI: I presupposti necessari per l'emanazione di provvedimenti contingibili ed urgenti sono, da un lato, l'impossibilità di differire l'intervento ad altro momento in relazione alla ragionevole previsione di danno incombente (da cui il carattere dell'urgenza), dall'altro, l'inattuabilità degli ordinari mezzi offerti dalla normativa (da cui la contingibilità).
Con specifico riferimento, poi, ai provvedimenti in materia di sanità ed igiene, si è poi precisato che l'esercizio, da parte del Sindaco, del potere di emanare ordinanze è condizionato all'esistenza dell’attualità od imminenza di un fatto eccezionale, quale causa da rimuovere con urgenza; del preventivo accertamento, da parte degli organi competenti, della situazione di pericolo e di danno e della mancanza di strumenti alternativi previsti dall'ordinamento, visto il carattere extra ordinem del potere sindacale.

Secondo giurisprudenza consolidata (Cons. Stato, sez. IV, 24.03.2006, n. 1537 e 22.06.2004, n. 4402), i presupposti necessari per l'emanazione di provvedimenti contingibili ed urgenti sono, da un lato, l'impossibilità di differire l'intervento ad altro momento in relazione alla ragionevole previsione di danno incombente (da cui il carattere dell'urgenza), dall'altro, l'inattuabilità degli ordinari mezzi offerti dalla normativa (da cui la contingibilità).
Con specifico riferimento, poi, ai provvedimenti in materia di sanità ed igiene, si è poi precisato che l'esercizio, da parte del Sindaco, del potere di emanare ordinanze è condizionato all'esistenza dell’attualità od imminenza di un fatto eccezionale, quale causa da rimuovere con urgenza; del preventivo accertamento, da parte degli organi competenti, della situazione di pericolo e di danno e della mancanza di strumenti alternativi previsti dall'ordinamento, visto il carattere extra ordinem del potere sindacale (TAR Toscana Firenze sez. II 18.06.2009 n. 1070; TAR Campania, Napoli, Sez. V, 14.10.2005, n. 16477).
Orbene, nel caso di specie, difettano tutti i presupposti richiesti.
In primo luogo, è insussistente qualsiasi profilo di tutela della “pubblica incolumità”, posto che il provvedimento è limitato alle possibili immissioni della canna fumaria diretta “verso la finestra della famiglia Montalto” ed incide, quindi, esclusivamente nei rapporti tra i privati. In secondo luogo non è configurabile il requisito della contingibilità, tenuto conto che l'ordinanza gravata non reca alcuna motivazione in ordine all’impossibilità, per il Comune -nei limiti della propria competenza- di utilizzare gli ordinari strumenti di accertamento e contestazione, nel rispetto delle regole procedimentali di partecipazione. Infine, le ordinanze impugnate non indicano nemmeno le concrete situazioni di pericolo e di danno limitandosi ad affermare che la canna fumaria “… produce sostanze”, senza specificarne la natura, l’effettiva sussistenza e il grado di pericolosità (TAR Sicilia-Catania, Sez. I, sentenza 29.09.2011 n. 2371 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Dal Comitato Termotecnico Italiano le Linee guida sui Camini.
Linee guida camino nasce dalla collaborazione tra CTI (Comitato Termotecnico Italiano), WIT (Wöhler Institute of Technology) e Sezione degli spazzacamini (LVH – APA), per fare chiarezza nella moltitudine di norme su come installare, manutenere e controllare le canne fumarie.
Nel documento sono riportate tabelle esplicative per ogni tipo di combustibile, con informazioni relative alla classe di resistenza al fuoco, al tipo di materiale da costruzione previsto dalle norme e agli spessori minimi dei camini.
La linea guida è corredata da disegni e schemi di installazione tratti dalle norme UNI, che descrivono il posizionamento dei terminali e le relative zone di rispetto in presenza di abbaini e lucernari apribili o in presenza di ostacoli.
Particolare attenzione viene data agli elementi che compongono un sistema fumario e alla scelta dei materiali da utilizzare.
Sono presenti, inoltre, alcuni particolari costruttivi a colori con chiara descrizione degli attraversamenti di pareti e solai.
Infine, viene ribadito che l'impianto deve essere realizzato da imprese specializzate in possesso dei requisiti previsti dal D.M. 37/20208, al fine di garantire la sicurezza pubblica (19.05.2011 - link a www.acca.it).

EDILIZIA PRIVATA: Permesso di costruire per la realizzazione di una canna fumaria. Mancato rispetto delle distanze di cui all’art. 6, commi 15 e 17, del D.P.R. n. 1391 del 1970.
E’ illegittimo un permesso di costruire per la realizzazione di una canna fumaria (nella specie utilizzata per l’attività di panetteria), rilasciato in violazione delle distanze di cui all’art. 6, commi 15 e 17, del D.P.R. 22.12.1970 n. 1391, secondo cui: "Le bocche dei camini devono risultare più alte di almeno un metro rispetto al colmo dei tetti, ai parapetti ed a qualunque altro ostacolo o struttura distante meno di 10 metri"; né può avere rilevanza, ai fini della legittimità del permesso di costruire, il fatto che il proprietario dell’immobile posto a distanza inferiore a quella legale abbia prestato il proprio consenso alla realizzazione del manufatto, atteso che le suddette disposizioni hanno finalità diverse da quelle in materia di rispetto delle distanze tra le costruzioni, essendo previste a tutela del superiore interesse della protezione dall’inquinamento e, quindi, le norme in questione sono da ritenere inderogabili (massima tratta da www.regione.piemonte.it - TAR Calabria-Catanzaro, Sez. II, sentenza 12.05.2011 n. 718 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Solo per strutture di piccole dimensioni si ritiene sufficiente l'autorizzazione mentre per le canne fumarie di palese evidenza rispetto alla costruzione e alla sua sagoma è necessaria la concessione edilizia (oggi permesso di costruire).
Anche per tale tipologia di interventi è necessaria l’autorizzazione paesaggistica nella misura in cui alterino lo stato dei luoghi e l’aspetto esteriore dell’edificio e non vi è dubbio che una canna fumaria di rilevanti dimensioni, tinteggiata con i colori rosso e viola sia vistosamente e evidentemente impattante.
Si evidenzia, inoltre, che, come affermato dalla costante giurisprudenza anche di questa sezione, solo per strutture di piccole dimensioni (quale certamente non è quella della ricorrente), si ritiene sufficiente l'autorizzazione (cfr. TAR Campania Napoli, sez. VI, 03.06.2009, n. 3039; Tar Lazio-Roma, sez. II-ter, 18.05.2001, n. 4246) mentre per le canne fumarie di palese evidenza rispetto alla costruzione e alla sua sagoma è necessaria la concessione edilizia (oggi permesso di costruire).
Anche ove si ritenesse di qualificare l’intervento de quo in termini di manutenzione straordinaria in considerazione della preesistenza di un precedente impianto –qualificazione comunque da escludere posto che dalla documentazione versata in atti emerge solo la preesistenza di un tubo aspira fumi di dimensioni minori e tale preesistenza è peraltro asserita esclusivamente dal tecnico, Geom. Calò, incaricato dalla ricorrente di predisporre la relazione depositata all’amministrazione in sede di presentazione della seconda istanza di sanatoria– si evidenzia che anche per tale tipologia di interventi è necessaria l’autorizzazione paesaggistica nella misura in cui alterino lo stato dei luoghi e l’aspetto esteriore dell’edificio e non vi è dubbio che, come emerge dalla documentazione anche fotografica versata in atti, una canna fumaria di rilevanti dimensioni, tinteggiata con i colori rosso e viola sia vistosamente e evidentemente impattante (cfr., ex multis, TAR Campania Napoli, sez. IV, 31.01.2008, n. 430)
(TAR Veneto, Sez. II, sentenza 23.02.2011 n. 305 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

anno 2010

EDILIZIA PRIVATA: Si tratta di una semplice canna fumaria, opera priva di autonoma rilevanza urbanistico-funzionale e che non risulta particolarmente pregiudizievole per il territorio.
Inoltre, si tratta di volume tecnico, e secondo la giurisprudenza di questa Sezione sarebbe possibile ottenere l’autorizzazione paesaggistica in sanatoria ex art. 167 d.lgs. 42/2004: “l’interpretazione teleologica induce inevitabilmente a ritenere che, nonostante l’utilizzo della particella disgiuntiva “o” nella frase “che non abbiano determinato creazione di superfici utili o volumi”, il duplice riferimento alle nuove superfici utili e ai nuovi volumi costituisca un’endiadi, ossia una modalità di esprimere un concetto unitario con due termini coordinati. In altri termini, la necessità di interpretare le eccezioni al divieto di rilasciare l’autorizzazione paesistica in sanatoria (previste dall’articolo 167, comma 4, del decreto legislativo n. 42/2004) in coerenza con la ratio dell’introduzione di tale divieto induce il Collegio a ritenere che esulino dalla eccezione prevista dall’articolo 167, comma 4, lettera a), gli interventi che abbiano contestualmente determinato la realizzazione di nuove superfici utili e di nuovi volumi e che, di converso, siano suscettibili di accertamento della compatibilità paesistica anche i soppalchi, i volumi interrati ed i volumi tecnici”, atteso che i volumi tecnici, proprio in ragione dei caratteri che li contraddistinguono (già evidenziati in precedenza), sono inidonei ad introdurre un impatto sul territorio eccedente la costruzione principale.

La parte ricorrente impugnava i provvedimenti in epigrafe per i seguenti motivi: 1) carenza di motivazione, atteso che non vengono spiegate le ragioni di interesse pubblico a sostegno della demolizione; la canna fumaria era stata realizzata già nel 1973; 2) eccesso di potere per contraddittorietà perché la stessa Amministrazione aveva ingiunto alla ricorrente il controllo della canna fumaria; 3) eccesso di potere perché l’ordinanza persegue uno scopo diverso dalla tutela del territorio, e cioè gli interessi privati di altri condomini; 4) difetto di istruttoria.
Il ricorso è fondato e va accolto per i motivi di seguito precisati.
Infatti, come già osservato in fase cautelare, si tratta di una semplice canna fumaria, opera priva di autonoma rilevanza urbanistico-funzionale e che non risulta particolarmente pregiudizievole per il territorio. Inoltre, si tratta di volume tecnico, e secondo la giurisprudenza di questa Sezione sarebbe possibile ottenere l’autorizzazione paesaggistica in sanatoria ex art. 167 d.lgs. 42/2004: “l’interpretazione teleologica induce inevitabilmente a ritenere che, nonostante l’utilizzo della particella disgiuntiva “o” nella frase “che non abbiano determinato creazione di superfici utili o volumi”, il duplice riferimento alle nuove superfici utili e ai nuovi volumi costituisca un’endiadi, ossia una modalità di esprimere un concetto unitario con due termini coordinati. In altri termini, la necessità di interpretare le eccezioni al divieto di rilasciare l’autorizzazione paesistica in sanatoria (previste dall’articolo 167, comma 4, del decreto legislativo n. 42/2004) in coerenza con la ratio dell’introduzione di tale divieto induce il Collegio a ritenere che esulino dalla eccezione prevista dall’articolo 167, comma 4, lettera a), gli interventi che abbiano contestualmente determinato la realizzazione di nuove superfici utili e di nuovi volumi e che, di converso, siano suscettibili di accertamento della compatibilità paesistica anche i soppalchi, i volumi interrati ed i volumi tecnici”, atteso che i volumi tecnici, proprio in ragione dei caratteri che li contraddistinguono (già evidenziati in precedenza), sono inidonei ad introdurre un impatto sul territorio eccedente la costruzione principale (Tar Campania, Napoli, VII, 1748/2009).
Per altro, la stessa Soprintendenza, in data 02.09.2010, con parere n. 17796 prot., ha espresso parere di compatibilità paesaggistica sulla canna fumaria, proprio ai sensi dell’art. 167, co. 4, d.lgs. 42/2004, e lo stesso Comune, con nota del 14.10.2010, ha preso atto di tale parere invitando la ricorrente a presentare la perizia giurata al fine di determinare la sanzione di cui all’art. 167, co. 5; tali sviluppi amministrativi confermano la riconducibilità dell’opera tra quelle per la realizzazione delle quali non è necessario il permesso di costruire e, in quanto tali, non soggette alla sanzione della demolizione (TAR Campania-Napoli, Sez. VII, sentenza 15.12.2010 n. 27380 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Canne fumarie - Obbligo di scarico a tetto - Deroga - Presupposti - Art. 5, c. 9, D.P.R. n. 412/1993.
Ai fini dell’integrazione dei presupposti per la deroga all’obbligo di scarico a tetto -prevista dall’art. 5 co. 9., del D.P.R. n. 412/1993, non è sufficiente l’obiettiva mancanza di camini, canne fumarie o sistemi di evacuazione con sbocco sopra il tetto funzionali ed idonei, o comunque adeguabili: a tale mancanza è attribuito valore nell’ambito esclusivo di situazioni tipicizzate (singole ristrutturazioni di impianti termici individuali già esistenti, siti in stabili plurifamiliari; nuove installazioni di impianti termici individuali in edificio assoggettato dalla legislazione nazionale o regionale vigente a categorie di intervento di tipo conservativo, precedentemente mai dotato di alcun tipo di impianto termico).
L’impossibilità tecnica di portare gli scarichi oltre la copertura degli edifici, pertanto, non giustifica di per sé l’applicazione della deroga, insuscettibile di interpretazione estensiva o analogica al di fuori dei casi contemplati dall’art. 5 co. 9.
Canne fumarie - Accertata difformità - Comune - Esercizio dei poteri di cui all’art. 33 della L. n. 10/1991 - Ordine di adeguamento dell’impianto - Precedente valutazione di conformità proveniente dal medesimo comune - Irrilevanza - Potere di autotutela - Verifica della rispondenza dell’impianto alla normativa vigente - Attività vincolata.
L’accertata difformità dell’impianto a servizio dell’immobile dalle prescrizioni in materia di progettazione ed installazione stabilite dal D.P.R. n. 412/1993, in attuazione dell’art. 4 della legge n. 10/1991, autorizza l’esercizio dei poteri riconosciuti all’amministrazione dall’art. 33 della medesima legge ed, in particolare, l’adozione dell’ordine di adeguamento dell’impianto, senza che in contrario rilevino le eventuali precedenti valutazioni di conformità provenienti dallo stesso Comune.
Che la medesima situazione possa costituire oggetto di valutazioni differenti rappresenta infatti un portato del potere di autotutela di cui la pubblica amministrazione dispone e che, in materia, si esplica non soltanto attraverso gli strumenti discrezionali di carattere generale, ma anche e soprattutto attraverso quel controllo di conformità che, secondo il quarto comma dell’art. 33 dianzi citato, forma oggetto di un’attività sostanzialmente vincolata di verifica della rispondenza dell’impianto sia alle previsioni di progetto che alla normativa vigente (TAR Toscana, Sez. II, sentenza 12.04.2010 n. 953 - link a www.ambientediritto.it).

EDILIZIA PRIVATAInterventi sulla canna fumaria esterna consistenti in intonacatura con posa di retina plasticata e malta fibrorinforzata, istallazione di chiave di ritenuta in acciaio, inserimento all’interno della canna fumaria di tubazione in acciaio sono da considerarsi quali opere di manutenzione straordinaria e, come tali, non abbisognano della preventiva autorizzazione paesaggistica (in area sottoposta a vincolo ambientale).
Con il provvedimento impugnato il Dirigente del Comune di Venezia ha ordinato la rimozione delle seguenti opere:
- interventi sulla canna fumaria esterna consistenti in intonacatura con posa di retina plasticata e malta fibrorinforzata, istallazione di chiave di ritenuta in acciaio, inserimento all’interno della canna fumaria di tubazione in acciaio.
La motivazione del provvedimento impugnato fa riferimento alla circostanza che le opere eseguite sono ritenute non rientranti nella manutenzione ordinaria e ricadono in area sottoposta a vincolo paesaggistico ambientale senza che sia stata ottenuta la preventiva autorizzazione paesaggistica.
La controinteressata interviene nel presente giudizio per sostenere la legittimità del provvedimento impugnato.
Il ricorso è fondato.
Infatti l’art. 149 del D.Lgs. n. 42 del 2004 stabilisce che l’autorizzazione paesaggistica non è prescritta per gli interventi di manutenzione ordinaria, straordinaria, di consolidamento statico e di restauro conservativo.
L’Amministrazione ha errato nel considerare che, non trattandosi di manutenzione ordinaria, dovesse essere richiesta l’autorizzazione paesaggistica, perché anche gli interventi di manutenzione straordinaria, di consolidamento statico e di restauro conservativo non richiedono il rilascio dell’autorizzazione paesaggistica.
Il Comune di Venezia non ha valutato se trattasi di opere di manutenzione straordinaria, di consolidamento statico e di restauro conservativo, che non richiedono il rilascio dell’autorizzazione paesaggistica.
Il ricorso deve pertanto essere accolto (TAR Veneto, Sez. II, sentenza 08.01.2010 n. 35 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

anno 2009

ATTI AMMINISTRATIVI: 1. Sindaco - Ordinanze contingibili e urgenti - Presupposti per l'emanazione - Sanità e igiene.
2. Sindaco - Ordinanze contingibili e urgenti - Cessazione di emissioni di fumo - Motivazione - Carente - Ipotesi.
3. Giudizio amministrativo - Procedura - Controinteressato - Impugnazione di atto sollecitato dall'amministratore del condominio.

1. I presupposti necessari per l'emanazione di provvedimenti contingibili ed urgenti sono, da un lato, l'impossibilità di differire l'intervento ad altro momento in relazione alla ragionevole previsione di danno incombente (da cui il carattere dell'urgenza), dall'altro, l'inattuabilità degli ordinari mezzi offerti dalla normativa (da cui la contingibilità). Con specifico riferimento alla sanità ed igiene, l'esercizio, da parte del Sindaco, del potere di emanare ordinanze contingibili ed urgenti in dette materie è condizionato all'esistenza di seguenti presupposti: necessità di intervenire in determinare materie, quali la sanità e l'igiene; attualità od imminenza di un fatto eccezionale, quale causa da rimuovere con urgenza; preventivo accertamento, da parte degli organi competenti, della situazione di pericolo e di danno; mancanza di strumenti alternativi previsti dall'ordinamento, visto il carattere extra ordinem del potere sindacale (1).
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(1) TAR Campania Napoli, sez. V, 14-10-2005 n. 16477.
2. E' carente di motivazione un'ordinanza contingibile ed urgente, con la quale si ordina la cessazione con effetto immediato di emissioni di fumo provenienti da una canna fumaria, che, sebbene sul piano del requisito dell'urgenza, soddisfi il presupposto dell'espletamento di apposito accertamento tecnico da parte degli organi competenti, sul piano della contingibilità, non si soffermi sulla dimostrazione dell'impossibilità, per il Comune, di utilizzare strumenti alternativi a quello attivato, avente carattere eccezionale ed extra ordinem. La questione, che non pare superabile con il ricorso all'art. 21-octies co. 2, L. n. 241/1990, non è meramente formale, in quanto, il ricorso allo strumento extra ordinem consente alla p.A. di evitare in modo legittimo la comunicazione di avvio del procedimento ex art. 7, L. n. 241/1990 (2).
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(2) TAR Campania Napoli, sez. V, 14-10-2005 n. 16477; Cons. Stato, sez. V, 13-08-2007 n. 4448.
3. Il fatto che l'autore dell'esposto che ha dato luogo ad un'ordinanza contingibile ed urgente fosse l'amministratore di un condominio non vale certo a fare di quest'ultimo il controinteressato, né il destinatario della notificazione del gravame, attesi i confini della legittimazione processuale passiva dell'amministratore del condominio fissati dall'art. 1131, Cod. Civ., (che riguarda le sole parti materiali destinate all'uso comune dei condomini, anche se ubicate all'esterno dello stabile condominiale) (3). Per tale condominio, quindi, la qualifica di controinteressato spetterebbe, in linea di principio, ai proprietari ed ai residenti nello stabile (4) (TAR Toscana, Sez. II, sentenza 18.06.2009 n. 1070 - massima tratta da
http://mondolegale.it - link a www.giustizia-amministrativa.it).
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(3) Cass. Civ., sez. II, 19-01-1985 n. 145.
(4) Cons. Stato, sez. V, 11-04-1991 n. 542.

AMBIENTE-ECOLOGIA - EDILIZIA PRIVATA: Scarico fumi non industriali.
Viene richiesto di chiarire, in termini generali, ma anche a concreti fini applicativi, due aspetti del quadro normativo vigente da applicare alla realizzazione di comignoli per l’emissione di fumi non industriali: da un lato, l’aspetto edilizio-urbanistico; dall’altro, quello inerente agli scarichi del tipo anzidetto (
Regione Piemonte, parere 32/2009 - tratto da www.regione.piemonte.it).

EDILIZIA PRIVATA: La posa in opera di una modesta canna fumaria è soggetta solo ad autorizzazione.
Non può assolutamente ritenersi sufficientemente integrato l’obbligo di cui all’art. 3 della legge 241 del 1990 dalla comunicazione del parere negativo espresso dalla Commissione edilizia nel quale si adduce, quale unico giustificativo: "parere negativo alla canna fumaria in quanto non pertinente ad una autorimessa". La motivazione risulta evidentemente generica e non esaustiva e non consente di rilevare gli elementi di fatto e le ragioni giuridiche alla base del diniego né tanto meno viene svolta alcuna considerazione in ordine alla compatibilità o meno con gli strumenti urbanistici.
Si deve rilevare l’evoluzione del quadro giurisprudenziale che, da una fase in cui emergeva una certa oscillazione –non mancando pronunce tanto a favore della necessità della concessione quanto della sufficienza dell’autorizzazione– si è giunti alla definizione di un orientamento consolidato, quanto meno per le ipotesi di strutture di piccole dimensioni, che ritiene sufficiente l’autorizzazione. Ciò con la conseguenza che, nell’ipotesi di intervento eseguito in mancanza di quest’ultima, troverà applicazione il relativo regime sanzionatorio (dettato dalla legge regionale n. 61 del 1985) che prevede l’irrogazione della sola sanzione pecuniaria, atteso che non ricorrono le ipotesi previste dall’art. 94 per le quali è contemplata la possibilità dell’applicazione della sanzione demolitoria
(TAR Veneto, Sez. II, sentenza 02.04.2009 n. 1127 - link a www.altalex.com).

EDILIZIA PRIVATALa canna fumaria, di palese evidenza rispetto alla costruzione e alla sua sagoma, “non può considerarsi un elemento meramente accessorio ovvero di ridotta e aggiuntiva destinazione pertinenziale, come tale assorbito o occultato dalla preesistente struttura dell'immobile, occorrendo pertanto, per la stessa, la concessione edilizia”.
Con il secondo mezzo si critica l’amministrazione per la ritenuta carenza della istruttoria. In sintesi, la ricorrente critica la scelta demolitoria osservando che, nella fattispecie in esame, ci si era limitati alla sostituzione di un preesistente “fatiscente tubo di plastica” con la canna di acciaio contestata.
Proprio la differente consistenza, materialità ed impatto visivo rende la sostituzione necessitante un titolo abilitante specifico: trattasi infatti di intervento che ricade in zona di particolare pregio secondo la normazione evidenziata nell’epigrafe dell’atto impugnato.
La censura innesta, del resto, il punto principale di causa, costituito dalla verifica giudiziale della tutela sul piano paesaggistico che il Comune ha inteso appontare: in termini legittimi, secondo questo Tribunale.
In argomento, si ricorda che, ai sensi dell’art. 67 del regolamento edilizio del Comune di Ischia, “Le canne fumarie non possono essere esterne alle murature o tamponature se non costituenti una soddisfacente soluzione architettonica”. La norma si inserisce dunque in una meditata valorizzazione del paesaggio urbano dell’isola, già nella sua interezza vincolata paesisticamente, che ha riscontri precisi nella adozione di alcuni atti quali il regolamento sull’ornato urbano, ovvero sulle tonalità cromatiche degli edifici ischitani (cfr., delibera del 13/03/2007 n. 54 verbale di deliberazione del commissario straordinario – “oggetto: l.r.c. n. 26/2002. approvazione piano del colore di alcuni ambiti urbani”), nonché, evidentemente, nel rispetto della sottoposizione dell’isola al regime vincolistico disciplinato dal Piano Territoriale Paesistico approvato con Decreto Ministeriale dell’08.02.1999, pubblicato sulla G.U. n. 94 del 23.04.1999.
E’ evidente allora che l’esigenza espressa dal provvedimento gravato è eminentemente paesistica, e sul piano sanzionatorio si collega alla “straordinaria importanza della tutela «reale» dei beni paesaggistici ed ambientali” (cfr., C. Cost. ord.za 12/20.12.2007 nr. 439). In particolare, si concreta nella previsione della rimessione in pristino come consentita dall’art. 167 del Dlgs 42/2004: vale su punto ricordare che lo stesso articolo 1° del DPR 380/2001 afferma testualmente al secondo comma che “Restano ferme le disposizioni in materia di tutela dei beni culturali ed ambientali”, sicché le due tutela devono considerarsi autonome e operative su basi differenti.
Sempre in termini generali, la necessità della autorizzazione paesistica, nella presente fattispecie, si rinviene agevolmente dal testo dell’art. 149 Dlgs n. 42/2004 ove si esclude tale esigenza “per gli interventi di manutenzione ordinaria, straordinaria, di consolidamento statico e di restauro conservativo che non alterino lo stato dei luoghi e l’aspetto esteriore degli edifici”.
In quest’ultima proposizione (“aspetto esteriore degli edifici”) è agevole riscontrare un evidente compromissione della identità del luogo nella sostituzione di una fatiscente canna fumaria con altra di acciaio e la pari evidente necessità –connessa ad una dinamica “tutela attiva” del paesaggio”– della intermediazione della verifica dialettica (per il tramite del procedimento autorizzatorio) con l’amministrazione pubblica al fine di pervenire ad una ponderata e non invasiva sistemazione del quadro d’insieme dei luoghi, degradabile anche con l’incontrollata manipolazione esteriore degli edifici, con riferimento ad impianti tecnologici di varia specie che, se non “impegnativi” sul piano strettamente edilizio, ben possono essere tali, su quella della vulnerazione dei valori paesaggistici.
Ma anche sul piano rigorosamente edilizio, la sanzione non appare sproporzionata. Come ha notato la giurisprudenza, la canna fumaria, di palese evidenza rispetto alla costruzione e alla sua sagoma, “non può considerarsi un elemento meramente accessorio ovvero di ridotta e aggiuntiva destinazione pertinenziale, come tale assorbito o occultato dalla preesistente struttura dell'immobile, occorrendo pertanto, per la stessa, la concessione edilizia”: Tar Lazio n. 4246 - 18.05.2001
(TAR Campania-Napoli, Sez. VI, sentenza 03.06.2009 n. 3039 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

anno 2007

EDILIZIA PRIVATA: Canna fumaria - Lavori edili abusivi - Illecito edilizio ed ambientale - Accertamento di conformità - Natura pertinenziale dell’opera - Innovazione abusiva - Sanabilità - Fattispecie - Art. 36 D.P.R. n. 380/2001 - D.L. n. 269/2003 conv. in L. n. 326/2003 - Art. 7 L. n. 241/1990.
In ambito di tutela paesaggistica, i lavori edili abusivi consistenti nella realizzazione di una canna fumaria, costituiscono illecito edilizio ed ambientale, sanzionabile con la sanzione ripristinatoria.
Sul punto, non rileva né la pretesa natura pertinenziale dell’opera (che costituisce nondimeno una innovazione abusiva) né la asserita sanabilità (che tuttavia il ricorrente, non ha richiesto né sollecitato); né rileva, stante la natura sostanziale dell’abuso, l’omessa acquisizione dei pareri della C.E. o della C.E.I., in ragion del carattere vincolato del provvedimento, cui nessun apporto procedimentale avrebbero potuto portare gli organi in questione (Nella specie realizzazione abusiva di canna fumaria in ferro in zona ambientalmente protetta - Comune di Pozzuoli) (TAR Campania-Napoli, Sez. VI,
sentenza 16.04.2007 n. 3671 - link a www.ambientediritto.it).

anno 2001

EDILIZIA PRIVATA: Per quanto concerne la canna fumaria installata dalla ricorrente sull’edificio di sua proprietà risulta evidente, per le dimensioni della stessa e la conformazione, in particolare del comignolo, di eccessiva e sproporzionata mole e consistenza ponderale e per la conseguente alterazione, di palese evidenza, che arreca alla costruzione su cui è stata installata ed alla sua sagoma, che la stessa si presenta, nello spazio interessante la sua apposizione ed elevazione in altezza, come un visibile prolungamento completativo degli elementi costituenti la sagoma di una fiancata e della sovrastante copertura a tetto spiovente dell’edificio preesistente, già realizzato.
La stessa canna fumaria non può perciò considerarsi, come sostiene la ricorrente, un elemento meramente accessorio ovvero di ridotta e aggiuntiva destinazione pertinenziale, come tale assorbito o occultato dalla preesistente struttura dell’immobile.

Va precisato al riguardo che nel sistema di cui alla legge n. 47/1985, che tipicizza le violazioni edilizie in ragione della natura, finalità e caratteristiche degli interventi eseguiti prevedendo la applicazione di distinte e corrispondenti misure sanzionatorie per la repressione dei rispettivi abusi, devono ritenersi sottratte al regime della concessione edilizia soltanto quelle opere che siano riconducibili (anche in applicazione di previsioni normative dettate da disposizioni diverse da quelle della citata legge n. 47/1985) o al regime della autorizzazione comunale ovvero a quello, estremamente semplificato, della c.d. “denuncia di inizio di attività” che consente la esecuzione di particolari interventi su edifici preesistenti mediante la presentazione della medesima d.i.a. al Comune.
Sono dunque solo tali interventi che possono essere realizzati senza concessione edilizia poiché a giudizio del legislatore nella ipotesi di esecuzione degli stessi in preesistenti edifici e posti in un rapporto di stretto collegamento con la costruzione cui accedono, può ritenersi proprio dalla presenza dell’edificio principale, assorbito l’impatto o la alterazione (sempre che sia di modesta proporzione) che il nuovo intervento arreca al preesistente assetto edilizio.
Ora, per quanto concerne la canna fumaria installata dalla ricorrente sull’edificio di sua proprietà risulta evidente, per le dimensioni della stessa e la conformazione, in particolare del comignolo, di eccessiva e sproporzionata mole e consistenza ponderale e per la conseguente alterazione, di palese evidenza, che arreca alla costruzione su cui è stata installata ed alla sua sagoma, che la stessa si presenta, nello spazio interessante la sua apposizione ed elevazione in altezza, come un visibile prolungamento completativo degli elementi costituenti la sagoma di una fiancata e della sovrastante copertura a tetto spiovente dell’edificio preesistente, già realizzato.
La stessa canna fumaria non può perciò considerarsi, come sostiene la ricorrente, un elemento meramente accessorio ovvero di ridotta e aggiuntiva destinazione pertinenziale, come tale assorbito o occultato dalla preesistente struttura dell’immobile (TAR Lazio-Roma, Sez. II-ter, sentenza 18.05.2001 n. 4246 - link a www.giustizia-amministrativa.it).