dossier CANNE
FUMARIE e/o COMIGNOLI |
anno 2019 |
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EDILIZIA PRIVATA: Al
fine di valutare l’incidenza sull’assetto del territorio di un intervento
edilizio, consistente in una pluralità di opere, va compiuto un
apprezzamento globale delle opere medesime, atteso che la considerazione
atomistica dei singoli interventi non consente di comprendere in modo
adeguato l’impatto effettivo degli interventi compiuti.
I molteplici interventi eseguiti non vanno considerati cioè in maniera
“frazionata”.
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Di seguito si formulano talune considerazioni specifiche sulle opere
realizzate anche “singolarmente considerate”, in particolare circa la
modifica di alcuni vani porta-finestra in finestra, e viceversa e sulle
canne fumarie.
Sul primo aspetto, relativo alla modifica dei prospetti, occorre operare una
distinzione tra i concetti di sagoma e prospetto.
Il primo, riguarda la conformazione planivolumetrica della
costruzione e il suo perimetro, considerato in senso verticale e
orizzontale, ovvero il contorno che viene ad assumere l’edificio, ivi
comprese le strutture perimetrali con gli oggetti e gli sporti; il
secondo individua gli sviluppi in verticale dell’edificio e quindi la
facciata dello stesso, rientrando nella fattispecie anche le aperture
presenti sulle pareti esterne. Attengono al prospetto gli interventi che
modificano l’originaria conformazione estetico architettonica dell’edificio,
realizzati sulla facciata o sulle pareti esterne del fabbricato, senza
superfici sporgenti.
La modifica dei prospetti, pertanto, deve considerarsi quale intervento
edilizio autonomo, riconducibile (sempre avendo riguardo alla disciplina
applicabile applicando il principio “tempus regit actum”), al “genus” della
ristrutturazione edilizia, riscontrabile in fattispecie quali apertura di
nuove finestre, chiusura di quelle preesistenti e loro apertura in altre
parti; nella apertura di una nuova porta di ingresso sulla facciata
dell’edificio o comunque su una parete esterna dello stesso; nella
trasformazione di vani finestra in altrettante porte–finestre..
Al contrario, non sarebbe da ricondursi a tale tipologia di intervento tutto
ciò che, pur riguardando la facciata dell’edificio, non ha rilievo edilizio,
o si concretizza nel rinnovamento o nella sostituzione delle finiture
dell’immobile, nell’integrazione o nel mantenimento in efficienza degli
impianti tecnologici esistenti, o che si sostanzia in interventi interni al
fabbricato.
Dunque, gli interventi comportanti modifiche dei prospetti descritti nella
fattispecie rientrano nella tipologia, applicabile “ratione temporis”, della
ristrutturazione edilizia e, in quanto tali, richiedono il rilascio
del permesso di costruire.
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Sul tema “canne fumarie”, e sulla necessità di un permesso di costruire
qualora l’impatto sia significativo, va rammentata la giurisprudenza
amministrativa formatasi sul punto.
Invero, è necessario il previo rilascio del permesso di costruire,
rientrandosi nella categoria dei lavori di ristrutturazione edilizia
di cui all'articolo 3, comma 1, lettera d), del d.P.R. n. 380 del 2001,
realizzati tramite inserimento di nuovi elementi ed impianti, qualora tali
strutture non si presentino di piccole dimensioni, siano di palese evidenza
rispetto alla costruzione e alla sagoma dell'immobile e non possano
considerarsi un elemento meramente accessorio, ovvero di ridotta e
aggiuntiva destinazione pertinenziale, come tale assorbito o occultato dalla
preesistente struttura dell'immobile.
Si ritiene occorrente il permesso di costruire tutte le volte in cui venga
in rilievo un intervento il quale, per dimensioni, altezza e conformazione,
risulti incidere in modo significativo sul prospetto e sulla sagoma della
costruzione sulla quale la canna fumaria è installata; mentre soltanto
l’intervento di mera sostituzione di una canna fumaria (ma non è questo il
nostro caso), con le stesse dimensioni e identica localizzazione rispetto
alla precedente, va considerato di manutenzione straordinaria, ai sensi
dell’art. 3, comma 1, lett. b), del d.P.R. n. 380 del 2001.
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4.2. Sulla qualificazione da dare agli interventi eseguiti, inerenti, giova
rammentarlo, alla realizzazione di:
- “manufatto in legno di mt. 3,00 x 4,00 adibito a deposito
attrezzi, legnaia in muratura di mt. 3,00 x 0,67,
- modifica di alcuni vani porta-finestra in finestra e viceversa,
- sul prospetto ovest due canne fumarie di cui una in muratura e
l’altra in rame,
- sul prospetto est una struttura orizzontale in legno di mt. 7,40
x 4,30 su un lato e mt. 3,40 x 1,40 sull’altro adibita a tettoia e terrazza,
- strada di mt. 135 circa, piazzale in betonelle, marciapiede lungo
il perimetro dell’edificio“,
in termini generale va ricordato che l’art. 3, comma 1, lett. d), del d.P.R.
n. 380 del 2001, nel testo applicabile “ratione temporis” alla
fattispecie in esame, dispone che "interventi di ristrutturazione
edilizia" (sono) gli interventi rivolti a trasformare gli organismi
edilizi mediante un insieme sistematico di opere che possono portare ad un
organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente.
Tali interventi comprendono il ripristino o la sostituzione di alcuni
elementi costitutivi dell'edificio, l'eliminazione, la modifica e
l'inserimento di nuovi elementi ed impianti. Nell'ambito degli interventi di
ristrutturazione edilizia sono ricompresi anche quelli consistenti nella
demolizione e (ricostruzione con la stessa volumetria e sagoma di quello
preesistente), fatte salve le sole innovazioni necessarie per l'adeguamento
alla normativa antisismica.
L’art. 10 del t.u. edilizia, nel testo applicabile “ratione temporis”,
stabilisce a sua volta che “costituiscono interventi di trasformazione
urbanistica ed edilizia del territorio e sono subordinati a permesso di
costruire: a) gli interventi di nuova costruzione; b) gli interventi di
ristrutturazione urbanistica; c) gli interventi di ristrutturazione edilizia
[che portino ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal
precedente e)] che comportino aumento di unità immobiliari, modifiche del
volume, della sagoma, dei prospetti o delle superfici, ovvero che,
limitatamente agli immobili compresi nelle zone omogenee A, comportino
mutamenti della destinazione d'uso”.
Ciò premesso sul piano normativo, sempre in via preliminare va considerato
che il TAR ha correttamente preso in esame dette opere, realizzate su
un’area assoggettata a vincolo paesistico, nel loro “insieme sistematico”,
che porta “ad un organismo in tutto od in parte diverso dal precedente”
incidendo in modo tutt’altro che irrilevante sulla consistenza volumetrica,
sulla sagoma e sui prospetti dell’edificio preesistente, confermando nella
sostanza la qualificazione che ne aveva dato l’Amministrazione comunale.
Questo perché, prima di tutto, al fine di valutare l’incidenza sull’assetto
del territorio di un intervento edilizio, consistente in una pluralità di
opere, va compiuto un apprezzamento globale delle opere medesime, atteso che
la considerazione atomistica dei singoli interventi non consente di
comprendere in modo adeguato l’impatto effettivo degli interventi compiuti.
I molteplici interventi eseguiti non vanno considerati cioè in maniera “frazionata”.
Essi, al contrario, nel –peculiare, invero- contesto qui in discussione,
debbono essere vagliati in un quadro di insieme, e non segmentato.
Ciò non toglie che si possano, qui di seguito, formulare talune
considerazioni specifiche sulle opere realizzate anche “singolarmente
considerate”, in particolare circa la modifica di alcuni vani
porta-finestra in finestra, e viceversa, profilo sul quale sembra
appuntarsi l’attenzione degli appellanti, specie in memoria, e sulle
canne fumarie.
Sul primo aspetto, relativo alla modifica dei prospetti, occorre operare una
distinzione tra i concetti di sagoma e prospetto. Il primo, riguarda la
conformazione planivolumetrica della costruzione e il suo perimetro,
considerato in senso verticale e orizzontale, ovvero il contorno che viene
ad assumere l’edificio, ivi comprese le strutture perimetrali con gli
oggetti e gli sporti; il secondo individua gli sviluppi in verticale
dell’edificio e quindi la facciata dello stesso, rientrando nella
fattispecie anche le aperture presenti sulle pareti esterne. Attengono al
prospetto gli interventi che modificano l’originaria conformazione estetico
architettonica dell’edificio, realizzati sulla facciata o sulle pareti
esterne del fabbricato, senza superfici sporgenti.
La modifica dei prospetti, pertanto, deve considerarsi quale intervento
edilizio autonomo, riconducibile (sempre avendo riguardo alla disciplina
applicabile applicando il principio “tempus regit actum”), al “genus”
della ristrutturazione edilizia, riscontrabile in fattispecie quali apertura
di nuove finestre, chiusura di quelle preesistenti e loro apertura in altre
parti; nella apertura di una nuova porta di ingresso sulla facciata
dell’edificio o comunque su una parete esterna dello stesso; nella
trasformazione di vani finestra in altrettante porte–finestre (in tema di
modifiche di prospetti e necessità di permesso di costruire v. Cass. pen. nn.
921/2017, 20846/2015, 30575/2014, 38338/2013, 834/2008).
Al contrario, non sarebbe da ricondursi a tale tipologia di intervento tutto
ciò che, pur riguardando la facciata dell’edificio, non ha rilievo edilizio,
o si concretizza nel rinnovamento o nella sostituzione delle finiture
dell’immobile, nell’integrazione o nel mantenimento in efficienza degli
impianti tecnologici esistenti, o che si sostanzia in interventi interni al
fabbricato.
Ma non è questo il nostro caso e, sotto detta angolazione, come rilevato
sopra al p. 1., in tema di opere interne e impianti tecnologici
(alloggiamento dell’autoclave e della caldaia), il TAR ha accolto in parte i
ricorsi, con statuizioni sulle quali è sceso il giudicato.
Dunque, gli interventi comportanti modifiche dei prospetti descritti nella
fattispecie rientrano nella tipologia, applicabile “ratione temporis”,
della ristrutturazione edilizia e, in quanto tali, richiedono il rilascio
del permesso di costruire, sicché le sentenze impugnate, sul punto, sono
corrette e vanno confermate.
L’intervento di modifica di alcuni vani porta–finestra in finestra e
viceversa, già di per sé qualificabile come intervento di ristrutturazione
da assoggettare a permesso di costruire, è stato accompagnato, come si è
detto sopra, da una serie di opere ulteriori che, come si è anticipato, il
TAR ha correttamente considerato nel loro insieme.
In relazione al principio “tempus regit actum” non può quindi trovare
applicazione la sopravvenuta “normativa mitigatrice” di cui al d.P.R.
n. 31/2017, salve rimanendo ovviamente eventuali iniziative autonome che
parte appellante riterrà di assumere alla luce della normativa sopravvenuta
più favorevole.
Sul tema “canne fumarie”, e sulla necessità, sempre “ratione
temporis”, di un permesso di costruire qualora l’impatto sia
significativo, va rammentata la giurisprudenza amministrativa formatasi sul
punto.
Per Cons. Stato, VI, n. 553 del 2016, è necessario il previo rilascio del
permesso di costruire, rientrandosi nella categoria dei lavori di
ristrutturazione edilizia di cui all'articolo 3, comma 1, lettera d),
del d.P.R. n. 380 del 2001, realizzati tramite inserimento di nuovi elementi
ed impianti, qualora tali strutture non si presentino di piccole dimensioni,
siano di palese evidenza rispetto alla costruzione e alla sagoma
dell'immobile e non possano considerarsi un elemento meramente accessorio,
ovvero di ridotta e aggiuntiva destinazione pertinenziale, come tale
assorbito o occultato dalla preesistente struttura dell'immobile.
Si ritiene occorrente il permesso di costruire tutte le volte in cui venga
in rilievo un intervento il quale, per dimensioni, altezza e conformazione,
risulti incidere in modo significativo sul prospetto e sulla sagoma della
costruzione sulla quale la canna fumaria è installata; mentre soltanto
l’intervento di mera sostituzione di una canna fumaria (ma non è questo il
nostro caso), con le stesse dimensioni e identica localizzazione rispetto
alla precedente, va considerato di manutenzione straordinaria, ai sensi
dell’art. 3, comma 1, lett. b), del d.P.R. n. 380 del 2001.
Data l’incidenza delle canne fumarie e l’esigenza di valutare gli interventi
nell’insieme, dunque, la statuizione del TAR sul punto risulta corretta
(Consiglio di Stato, Sez. VI,
sentenza 06.02.2019 n. 902 - link a www.giustizia-amministrartiva.it). |
anno 2017 |
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EDILIZIA PRIVATA:
Canne fumarie, la Cassazione sulla presunzione di
pericolosità.
La presunzione assoluta di nocività e pericolosità prescinde
da ogni accertamento concreto nel caso in cui vi sia un
regolamento edilizio comunale che stabilisca la distanza.
Il rispetto
della distanza prevista per fabbriche e depositi nocivi e
pericolosi dall'art. 890 del Codice civile, nella cui
regolamentazione rientrano anche le canne fumarie, è
collegato ad una presunzione assoluta di nocività e
pericolosità.
Lo ha precisato la II Sez. civile della Corte di
Cassazione nella
sentenza
24.08.2017 n. 20357.
La suprema Corte ha evidenziato che la suddetta presunzione
assoluta di nocività e pericolosità “prescinde da ogni
accertamento concreto nel caso in cui vi sia un regolamento
edilizio comunale che stabilisca la distanza medesima;
mentre, in difetto di una disposizione regolamentare, si ha
pur sempre una presunzione di pericolosità, seppure
relativa, che può essere superata solo ove la parte
interessata al mantenimento del manufatto dimostri che
mediante opportuni accorgimenti può ovviarsi al pericolo od
al danno del fondo vicino”.
Sempre nella sentenza n. 20357/2017, la
Cassazione ha ricordato che “rappresenta ormai principio
consolidato in seno a questa Corte, dal quale non v'è
ragione di discostarsi, quello secondo cui, in tema di
distanze legali nelle costruzioni, qualora sopravvenga una
disciplina normativa meno restrittiva, l'edificio in
contrasto con la regolamentazione in vigore al momento della
sua ultimazione, ma conforme alla nuova, non può più essere
ritenuto illegittimo, cosicché il confinante non può
pretendere l'abbattimento o, comunque, la riduzione alle
dimensioni previste dalle norme vigenti al momento della sua
costruzione. Tale effetto non deriva dalla retroattività
delle nuove norme, di regola esclusa dall'art. 11 delle preleggi, ma dal fatto che, pur rimanendo sussistente
l'illecito di chi abbia costruito in violazione di norme
giuridiche allora vigenti e la sua responsabilità per i
danni subiti dal confinante fino all'entrata in vigore della
normativa meno restrittiva, viene meno però l'illegittimità
della situazione di fatto determinatasi con la costruzione,
essendo questa conforme alla normativa successiva e, quindi,
del tutto identica a quella delle costruzioni realizzate
dopo la sua entrata in vigore”.
Da tali considerazioni consegue “la inammissibilità
dell'ordine di demolizione di costruzioni che, illegittime
secondo le norme vigenti al momento della loro
realizzazione, tali non siano più alla stregua delle norme
vigenti al momento della decisione, salvo, ove ne ricorrano
le condizioni, il diritto al risarcimento dei danni
prodottisi medio tempore, ossia di quelli conseguenti alla
illegittimità della costruzione nel periodo compreso tra la
sua costruzione e l'avvento della nuova disciplina”
(commento tratto da www.casaeclima.com).
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MASSIMA
4.1.
Rappresenta ormai principio consolidato in seno a
questa
Corte, dal quale
non v'è ragione di discostarsi, quello
secondo cui, in tema di distanze legali nelle costruzioni,
qualora sopravvenga
una disciplina normativa meno restrittiva, l'edificio in
contrasto con
la regolamentazione in vigore al momento della sua
ultimazione,
ma conforme alla nuova, non può più essere ritenuto
illegittimo,
cosicché il confinante non può pretendere l'abbattimento o,
comunque, la riduzione alle dimensioni previste dalle norme
vigenti
al momento della sua costruzione.
Tale effetto non deriva
dalla
retroattività delle nuove norme, di regola esclusa dall'art.
11 delle
preleggi, ma dal fatto che, pur rimanendo sussistente
l'illecito di chi
abbia costruito in violazione di norme giuridiche allora
vigenti e la
sua responsabilità per i danni subiti dal confinante fino
all'entrata in
vigore della normativa meno restrittiva, viene meno però
l'illegittimità della situazione di fatto determinatasi con
la
costruzione, essendo questa conforme alla normativa
successiva e,
quindi, del tutto identica a quella delle costruzioni
realizzate dopo
la sua entrata in vigore (Sez. 2, Sentenza n. 1368 del
22/02/1996;
Sez. 2, Sentenza n. 5173 del 06/04/2001; Sez. 2, Sentenza n.
8512 del 28/05/2003; Sez. 2, Sentenza n. 22086 del
22/10/2007;
Cass. civ., sez. II, 02/11/2010, n. 22288).
Ne consegue la inammissibilità dell'ordine di demolizione di
costruzioni che, illegittime secondo le norme vigenti al
momento
della loro realizzazione, tali non siano più alla stregua
delle norme
vigenti al momento della decisione, salvo, ove ne ricorrano
le
condizioni, il diritto al risarcimento dei danni prodottisi
medio
tempore, ossia di quelli conseguenti alla illegittimità
della
costruzione nel periodo compreso tra la sua costruzione e
l'avvento
della nuova disciplina (Sez. 2, Sentenza n. 14446 del
15/06/2010).
Analoghe considerazioni valgono per il caso in cui, in
presenza di
una successione nel tempo di norme edilizie, la nuova
disciplina sia
meno restrittiva (Sez. 2, Sentenza n. 4980 del 02/03/2007).
Orbene, non è revocabile in dubbio, nella fattispecie in
esame, che,
a voler accedere all'impostazione seguita dalla corte di
merito, la
normativa regolamentare sopravvenuta (vale a dire, l'art.
11r della normativa collegata al PUC) sarebbe più favorevole
rispetto a
quella precedente (rappresentata dall'art. 20-bis delle NTA
del
P.F.), in quanto la prima prevedrebbe una distanza minima
delle
costruzioni dai confini di metri tre, in luogo della
distanza minima di
metri sei in precedenza prescritta (cfr. pag. 9 del
controricorso).
Da ciò consegue che il terzo motivo del ricorso, nella sua
prima
parte, è fondato, nella prospettazione con la quale censura
la
sentenza d'appello per aver ritenuto applicabile la
normativa
vigente al momento della costruzione dell'opera (cfr. pag. 8
della
sentenza).
In quest'ottica, restano assorbite le ulteriori censure,
sollevate con
il medesimo terzo motivo, concernenti l'applicabilità in
concreto
dell'art. 20-bis, nonostante si riferisca solo agli
interventi edilizi
incidenti sull'"indice di fabbricabilità fondiario" e,
comunque, tenuto
conto che trattasi di impianti termici (caldaia) e, quindi,
di volumi
tecnici indispensabili (cfr. pagg. 32-36 ricorso).
...
6. Con il quinto motivo la ricorrente denuncia la
violazione, la falsa
e/o l'errata applicazione degli artt. 873 e 890 c.c., con
riferimento
all'art. 360, co. 1, n. 3, c.p.c., per aver la corte
territoriale ritenuto
la canna fumaria alla stregua di una costruzione ed
applicabile, ai fini delle distanze, l'art. 873 c.c.,
laddove avrebbe dovuto trovare
applicazione l'art. 890 c.c., con la conseguenza che, avendo
il ctu
rilevato la "buona qualità dell'aria", non si sarebbe dovuto
ordinare
la sua demolizione.
6.1. Il motivo si rivela inammissibile, in quanto, non
essendovi
cenno della questione nella sentenza impugnata, la
ricorrente
avrebbe dovuto indicare con precisione in quale fase e con
quale
atto processuale l'avesse sollevata.
In proposito, occorre, peraltro, ricordare che
il rispetto
della
distanza prevista per fabbriche e depositi nocivi e
pericolosi dall'art.
890 c.c., nella cui regolamentazione rientrano anche le
canne
fumarie, è collegato ad una presunzione assoluta di nocività
e
pericolosità che prescinde da ogni accertamento concreto nel
caso
in cui vi sia un regolamento edilizio comunale che
stabilisca la
distanza medesima; mentre, in difetto di una disposizione
regolamentare, si ha pur sempre una presunzione di
pericolosità,
seppure relativa, che può essere superata solo ove la parte
interessata al mantenimento del manufatto dimostri che
mediante
opportuni accorgimenti può ovviarsi al pericolo od al danno
del
fondo vicino (Sez. 2, Sentenza n. 3199 del 06/03/2002; conf.
Sez.
2, Sentenza n. 22389 del 22/10/2009). In quest'ottica, non
sarebbe comunque sufficiente invocare l'applicabilità alla
fattispecie
concreta dell'art. 890 c.c..
D'altra parte, la ricorrente, in violazione del principio di
autosufficienza, omette di trascrivere l'ordinanza emessa
dalla
corte d'appello in data 19.06.2007, con la quale la stessa
avrebbe
anticipato (senza, peraltro, vincoli sulla successiva
decisione finale)
la necessità di applicazione dell'art. 890 c.c. per la canna
fumaria.
In ogni caso, sempre in violazione del principio di
autosufficienza,
non vengono riportati i passaggi salienti della c.t.u.
svolta in primo
grado, dalla quale si sarebbe dovuto evincere che l'attuale
distanza
preserva il fondo dei resistenti da ogni danno alla
salubrità ed alla sicurezza. |
anno 2016 |
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EDILIZIA PRIVATA: Per
costante giurisprudenza, la canna fumaria deve ritenersi
ordinariamente un volume tecnico e, come tale, un’opera
priva di autonoma rilevanza urbanistico-funzionale, per la cui realizzazione non è
necessario il permesso di costruire, senza essere
conseguentemente soggetta alla sanzione della demolizione, a
meno che non si tratti di opere di palese evidenza rispetto
alla costruzione ed alla sagoma dell’immobile, occorrendo
solo in tal caso il permesso di costruire.
---------------
Quanto ai profili igienico-sanitari, colgono nel segno le
ineccepibili doglianze della ricorrente secondo cui la
violazione regolamentare di norme preordinate alla
salvaguardia della salubrità ambientale avrebbe dovuto
trovare rimedio –nel caso di canne fumarie- non già
nell’ordine di demolizione, bensì nella diversa intimazione
a ricondurre tali opere alle altezze e distanze prescritte,
tanto più nel caso di specie ove –secondo puntuali
argomentazioni della ricorrente che il comune, neanche
costituito, non ha inteso evidentemente confutare- sarebbero
bastati piccoli accorgimenti tecnici per una piena
conformazione agli statuti del vigente Regolamento Edilizio.
---------------
... per l'annullamento DEL PROVVEDIMENTO N. 01 DEL
27/01/2010 EMESSO DAL RESPONSABILE DEL SERVIZIO TECNICO DEL
COMUNE DI AIELLI CON IL QUALE VIENE INGIUNTO ALLA RICORRENTE
DI PROVVEDERE ALLA DEMOLIZIONE DI DUE CANNE FUMARIE ED A
RIPRISTINARE LO STATO DEI LUOGHI.
...
● Visti i motivi di ricorso con i quali si lamenta:
i) la violazione delle regole sul contraddittorio e sul giusto
procedimento (anche mediante gravi ritardi del comune nella
consegna degli atti presupposti di indagine e di
sopralluogo, avvenuta -dopo molte insistenze- ben dopo
l’adozione dell’atto impugnato);
ii) la grave superficialità istruttoria, con particolare riguardo
alla erronea riconduzione temporale delle opere a periodi
recenti “intorno” al 2008 (con conseguente applicazione del
nuovo più severo regime sanzionatorio introdotto dal 1998
con l’art. 32 del Regolamento Edilizio e con gli artt. 34 e
31 del DPR 380/2001), periodo desunto esclusivamente dal
fatto che i confinanti autori dell’esposto –proprietari fin
dal 2007- si sarebbero lamentati delle presunte immissioni
nocive solo nel corso degli anni 2008 e 2009, senza
considerare l’esistenza di documentazione ben più
significativa, che dimostrerebbe la risalenza delle opere
de quibus al 1988 (come da planimetria del 12.09.1988
allegata alla denuncia di variazione depositata all’Ufficio
Tecnico Erariale di L’Aquila l’08.02.1989, ove risulterebbero
entrambe le canne fumarie oggetto di causa, con l’ulteriore
precisazione che proprio tale denuncia al catasto era stata
prodotta anche al comune di Aielli, che l’aveva
espressamente citata nelle premesse dell’autorizzazione di
sindacale di abitabilità dell’immobile rilasciata il
18.08.1989); ulteriore circostanza che smentirebbe la
superficiale asserzione del comune in ordine al tempo di
realizzazione delle due canne fumarie, emergerebbe poi dal
contratto di transazione del 25.09.1993 sottoscritto dai
proprietari confinanti pro tempore, ove si sarebbe dato atto
della preesistenza di tali opere;
iii) in ogni caso la sanzione demolitoria sarebbe sproporzionata,
trattandosi opere pertinenziali poste a servizio di un
camino domestico, per le quali –a tutto concedere, nel caso
in cui non si ritenesse attività libera nei sensi
puntualizzati da autorevole giurisprudenza- la normativa
edilizia imporrebbe una sola sanzione pecuniaria, fermo
restando che la misura demolitoria –anche ai sensi dell’art.
34 TUE- risulterebbe inapplicabile nella specie, perché la
sua attuazione pregiudicherebbe la statica dell’intero
edificio;
iiii) per le ragioni prima esposte a proposito del tempo di
realizzazione delle opere, non sarebbe applicabile
ratione temporis l’art. 32 del vigente regolamento
edilizio sul regime regolatorio riservato alle canne
fumarie; in ogni caso tale norma -nello stabilire l’altezza
delle canne fumarie e la distanza dalle finestre-
presidierebbe interessi di carattere igienico-sanitario, ma
in tal caso il Comune avrebbe dovuto adottare misure di
polizia sanitaria (es. art. 54, comma 4, d.leg.vo 267/2000)
per l’eliminazione delle presunte immissioni, e non già
l’impugnato provvedimento edilizio, per di più in presenza
di agevoli possibilità di adeguare le due canne fumarie
–mediante semplici accorgimenti tecnici, con prolungamento
della canna fumaria di un metro oltre il colmo del tetto-
alla normativa introdotta dal citato art. 32 del RE, senza
alcuna necessità di misure demolitorie (adeguamento che la
ricorrente non avrebbe effettuato, solo perché a suo tempo
rassicurata dal consenso scritto dei vicini sullo stato
attuale delle canne fumarie);
iiiii) gli esposti, che il comune avrebbe superficialmente posto a
base del provvedimento impugnato, sarebbero in ogni caso del
tutto infondati e fuorvianti, “anche perché da diversi
anni le due canne fumarie non vengono più utilizzate e
quindi non arrecano nessun fastidio ai vicini ed ai loro
ospiti” (sic, pag. 18 del ricorso); piuttosto sarebbero
proprio i coniugi denuncianti (peraltro privi di un titolo
di proprietà sull’immobile di loro residenza) a molestare la
ricorrente con immissioni di fumo prodotte da un loro forno
abusivo, privo dei requisiti di idoneità, come da
comunicazione ASL del 10.07.2008; da qui emergerebbero
ulteriori elementi del grave sviamento istruttorio, in cui
sarebbe incorsa l’amministrazione;
● Preso atto della mancata costituzione in giudizio del Comune
intimato;
● Ritenuto che il ricorso va accolto per le seguenti decisive
argomentazioni:
- quanto ai profili edilizi, la misura demolitoria delle due
canne fumarie si manifesta priva di adeguata istruttoria e
motivazione:
i) in relazione alla frettolosa stima circa il tempo di
realizzazione delle opere (riportate al 2008, basandosi
solamente sulle lamentele dei proprietari finitimi, mentre
la ricorrente ha dedotto ben altre più significative
circostanze –illustrate in precedenza e comunque mai prese
in considerazione dal Comune, nonostante vari tentativi di
interlocuzione da parte della medesima ricorrente- che
portano a ritenere le opere risalenti al 1998, con tutte le
conseguenze derivanti –oltre che dalla maturazione di
aspettative di sorta- dall’applicazione di una norma
edilizia allora non in vigore),
ii) ma soprattutto –e più in radice- per la mancata
valutazione dell’impatto visivo e dell’ingombro delle due
canne fumarie, atteso che per costante giurisprudenza, la
canna fumaria deve ritenersi ordinariamente un volume
tecnico e, come tale, un’opera priva di autonoma rilevanza
urbanistico-funzionale, per la cui realizzazione non è
necessario il permesso di costruire, senza essere
conseguentemente soggetta alla sanzione della demolizione (ex
multis, Tar Campania NA sez. VII 15.12.2010 n.
27380), a meno che non si tratti di opere di palese evidenza
rispetto alla costruzione ed alla sagoma dell’immobile,
occorrendo solo in tal caso il permesso di costruire (TAR
Campania–Napoli, 3612/2015, Sez. VI 3039/2009); nel
delineato contesto il Comune ha completamente omesso
qualsiasi indagine, dando per scontata la misura demolitoria,
senza alcuna motivazione sul punto e comunque nell’implicito
erroneo assunto che le canne fumarie debbano tout court
ricondursi ad opere sottoposte a permesso;
- quanto ai profili igienico-sanitari: colgono nel segno le
ineccepibili doglianze della ricorrente in precedenza
illustrate, secondo cui la violazione regolamentare di norme
preordinate alla salvaguardia della salubrità ambientale
avrebbe dovuto trovare rimedio –nel caso di canne fumarie-
non già nell’ordine di demolizione, bensì nella diversa
intimazione a ricondurre tali opere alle altezze e distanze
prescritte, tanto più nel caso di specie ove –secondo
puntuali argomentazioni della ricorrente che il comune,
neanche costituito, non ha inteso evidentemente confutare-
sarebbero bastati piccoli accorgimenti tecnici per una piena
conformazione agli statuti del vigente Regolamento Edilizio;
● Considerato pertanto che il ricorso trova accoglimento per
le suesposte ragioni, con conseguente annullamento
dell’impugnata determinazione del 27.01.2010
(TAR Abruzzo-L'Aquila,
sentenza 07.04.2016 n. 209 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: E’
necessario il previo rilascio del permesso di costruire per
le canne fumarie, rientrandosi nella categoria dei lavori di
ristrutturazione edilizia di cui all’articolo 3, comma 1,
lettera d), del d.P.R. n. 380 del 2001, realizzati tramite
inserimento di nuovi elementi ed impianti, qualora tali
strutture non si presentino di piccole dimensioni, siano di
palese evidenza rispetto alla costruzione e alla sagoma
dell’immobile e non possano considerarsi un elemento
meramente accessorio, ovvero di ridotta e aggiuntiva
destinazione pertinenziale, come tale assorbito o occultato
dalla preesistente struttura dell’immobile.
Mentre l’intervento di mera sostituzione di una canna
fumaria, con le stesse dimensioni e identica localizzazione
rispetto alla precedente, va considerato di manutenzione
straordinaria, ai sensi dell’art. 3, comma 1, lett. b) del
d.P.R. n. 380 del 2001, soggetto quindi a dia ai sensi
dell’art. 22, comma 1 del d.P.R. n. 380 del 2001.
E’ anche vero peraltro che in taluni casi, avuto riguardo
all’entità, minima, dell’intervento, si può rientrare nel
campo di applicazione di cui all’art. 3, comma 1, lett. a),
d.P.R. n. 380 del 2001, secondo cui sono interventi di
manutenzione ordinaria gli interventi edilizi che riguardano
le opere di riparazione, rinnovamento e sostituzione delle
finiture degli edifici e quelle necessarie ad integrare o
mantenere in efficienza gli impianti tecnologici esistenti.
---------------
3. L’appello è fondato e va accolto con riferimento ai
motivi sub 2) e 5).
In via preliminare e in termini generali è esatto che nel
caso delle canne fumarie la giurisprudenza considera
necessario il previo rilascio del permesso di costruire,
rientrandosi nella categoria dei lavori di ristrutturazione
edilizia di cui all'articolo 3, comma 1, lettera d), del
d.P.R. n. 380 del 2001, realizzati tramite inserimento di
nuovi elementi ed impianti, qualora tali strutture non si
presentino di piccole dimensioni, siano di palese evidenza
rispetto alla costruzione e alla sagoma dell'immobile e non
possano considerarsi un elemento meramente accessorio,
ovvero di ridotta e aggiuntiva destinazione pertinenziale,
come tale assorbito o occultato dalla preesistente struttura
dell'immobile; e che ritiene occorrente il permesso di
costruire tutte le volte in cui venga in rilievo un
intervento che, per dimensioni, altezza e conformazione,
risulti incidere in modo significativo sul prospetto e sulla
sagoma della costruzione sulla quale la canna fumaria è
installata; mentre l’intervento di mera sostituzione di una
canna fumaria, con le stesse dimensioni e identica
localizzazione rispetto alla precedente, va considerato di
manutenzione straordinaria, ai sensi dell’art. 3, comma 1,
lett. b) del d.P.R. n. 380 del 2001, soggetto quindi a dia
ai sensi dell’art. 22, comma 1, del d.P.R. n. 380 del 2001,
con conseguente perseguibilità dell’intervento compiuto in
assenza di titolo in base a quanto prevede l'art. 19 della
legge della Regione Lazio 11.08.2008, n. 15 -interventi
eseguiti in assenza o in difformità dalla denuncia di inizio
attività, in base al quale in casi come quelli suindicati si
applica una sanzione pecuniaria da un minimo di
millecinquecento euro ad un massimo di 15 mila euro, in
relazione alla gravità dell'abuso.
E’ anche vero peraltro che in taluni casi, avuto riguardo
all’entità, minima, dell’intervento, si può rientrare nel
campo di applicazione di cui all’art. 3 comma 1, lett. a),
d.P.R. n. 380 del 2001, secondo cui sono interventi di
manutenzione ordinaria gli interventi edilizi che riguardano
le opere di riparazione, rinnovamento e sostituzione delle
finiture degli edifici e quelle necessarie ad integrare o
mantenere in efficienza gli impianti tecnologici esistenti.
Questo è senz’altro vero in termini generali.
Peraltro, la giurisprudenza sulla necessità di un titolo
edilizio in materia e sulla conseguente legittimità di
un’ingiunzione di pagamento di una sanzione pecuniaria nel
caso d’intervento effettuato in assenza o in difformità dal
titolo edilizio previsto, non sembra poter trovare
applicazione nel caso –per vero del tutto peculiare-
sottoposto all’esame del collegio.
3.1. Nella fattispecie, riconosciuta, in via preliminare, e
doverosamente, la non piena perspicuità della situazione di
fatto quale emerge dagli atti e dai documenti di causa, con
riferimento alla data dell’adozione del provvedimento
impugnato (giugno 2009) sembra(va) venire in questione, come
del resto era stato rilevato dal Tar nella fase cautelare
(v. sopra, p. 1.), non la già avvenuta realizzazione, sine
titulo, di due canne fumarie in acciaio in sostituzione
delle preesistenti, quanto invece la mera sostituzione
temporanea della parte terminale di una delle due canne
fumarie, finalizzata a migliorare la funzionalità della
stessa, e ciò in adempimento al provvedimento emesso dal
Tribunale civile di Roma in data 03.03.2008 nell’ambito
della controversia tra vicini cui si è fatto cenno sopra, al
p. 1.; con conseguente ricaduta dell’intervento,
diversamente da quanto sostiene la difesa civica, nel campo
di applicazione di cui all’art. 3, comma 1, lett. a), e di
cui all’art. 6 del d.P.R. n. 380 del 2001, vale a dire nell’àmbito
dell’attività libera.
Più in particolare, la descrizione, oggettivamente generica,
dell’intervento sanzionato –posa in opera di elementi
modulari in acciaio per la sostituzione di una preesistente
canna fumaria presumibilmente in eternit, non chiarisce con
sicurezza se si tratta della sostituzione e della rimozione
delle canne fumarie per intero o se, invece, ci si riferisca
soltanto all’intervento sulla parte terminale –a quanto
consta- di una delle due canne fumarie, quella “fessurizzata”,
in esecuzione dell’ordine del giudice civile, “essendo in
corso di perfezionamento la dia per la sostituzione
definitiva delle canne fumarie”. Intervento temporaneo
rivolto come detto al miglioramento della funzionalità
dell’impianto, in attesa della successiva sostituzione
definitiva di ambedue gli impianti.
In questo contesto d’incertezza interpretativa sull’oggetto
dell’ingiunzione impugnata, incertezza che la scarna
documentazione in atti non fa venire meno, non sembrando
d’altronde risolutiva la documentazione fotografica
prodotta, appare improprio il richiamo operato dalla difesa
civica all’orientamento giurisprudenziale, pacifico, per cui
il verbale della polizia municipale fa piena prova, fino a
querela di falso, della provenienza dell’atto dal pubblico
ufficiale che lo ha formato, delle dichiarazioni delle parti
e degli altri fatti che il pubblico ufficiale attesti come
avvenuti in sua presenza o da lui compiuti.
Qui infatti viene in rilievo la diversa questione
dell’interpretazione da attribuire all’ingiunzione
impugnata, se cioè essa riguardi solo la parte terminale o
la canna fumaria per intero.
Se dunque, come affermano gli appellanti, la posa in opera
di elementi modulari in acciaio era da intendersi riferita
non alla sostituzione integrale delle canne fumarie ma più
limitatamente alla manutenzione della parte terminale della
canna fumaria a scopo temporaneo di mantenimento in
efficienza e di miglioramento della funzionalità
dell’impianto; intervento eseguito nel 2008 in attesa
dell’intervento “risolutivo” di cui alla dia del 07.09.2009 e alla comunicazione 31.08.2010 di fine lavori e
certificato di collaudo; ne consegue che si fuoriesce dal
campo di applicazione di cui all’art. 19 della l.r. n. 15
del 2008. E invero, diversamente da quanto sostiene la
difesa civica in memoria, l’intervento sulla parte terminale
della canna fumaria non può essere equiparato alla
sostituzione integrale della stessa e ben può essere fatto
rientrare nella manutenzione ordinaria –attività libera ex
art. 6 del d.P.R. n. 380 del 2001.
Ben altra cosa, rispetto all’intervento sulla parte
terminale della canna fumaria, risulta essere la rimozione e
la successiva installazione delle due nuove canne fumarie,
che risulta essere stata eseguita nel 2009 previo rituale
deposito, presso il competente ufficio comunale, della
dichiarazione di inizio di attività (cfr. comunicazione di
fine lavori del 31.08.2010).
Di qui l’accoglimento del secondo motivo d’appello,
imperniato sui vizi di travisamento dei fatti e violazione
degli articoli 3 e 6 del d.P.R. n. 380 del 2001.
3.2. Nonostante il carattere risolutivo delle osservazioni
esposte sopra, non pare superfluo rilevare come sia inoltre
fondato e vada accolto anche il quinto motivo d’appello,
imperniato sul difetto di motivazione circa le ragioni per
le quali, tra un importo minimo di sanzione applicabile di
1.500 euro e un massimo di 15.000, l’Amministrazione ha
stabilito di irrogare la sanzione pecuniaria nella misura
–per vero più vicina al limite superiore che a quello
inferiore- di euro 10.000.
In base all’art. 19 della l.reg. n. 15 del 2008, infatti,
nel caso d’interventi eseguiti in assenza o in difformità
dalla denuncia di inizio attività, la sanzione pecuniaria
applicabile va da un minimo di € 1.500 a un massimo di €
15.000, in relazione alla gravità dell’abuso.
Nella fattispecie, non sono state minimamente spiegate le
ragioni per le quali Roma Capitale ha deciso di applicare la
sanzione nella misura di € 10.000; non risultano esplicitati
i criteri utilizzati in concreto per quantificare la
sanzione nella misura anzidetta. Anche il richiamo alla
valutazione economica predisposta dal Servizio Urbanistica
con nota n. 39613 del 04.06.2009 non spiega nulla, posto
che la nota citata da ultimo si limita a richiamare la
tipologia di lavori eseguiti –posa in opera di elementi
modulari in acciaio per la sostituzione di una preesistente
canna fumaria presumibilmente in eternit, da perseguire ai
sensi dell’art. 19 della l.r. n. 15 del 2008, e si limita
ad aggiungere in maniera del tutto immotivata importo €
10.000.
Sul punto la sentenza parla, in modo assai generico, di
commisurazione della sanzione al valore di quanto
abusivamente costruito.
Il difetto di motivazione appare in definitiva manifesto.
In conclusione l’appello va accolto e, per l’effetto,
assorbiti gli ulteriori motivi dedotti e non esplicitamente
esaminati, in riforma della sentenza impugnata il ricorso di
primo grado va accolto e la determinazione impugnata
annullata
(Consiglio di Stato, Sez. VI,
sentenza 09.02.2016 n. 553 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
anno 2015 |
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CONDOMINIO -
EDILIZIA PRIVATA: Il magazzino non può usare la canna fumaria.
Impianti. Per la Cassazione occorre il legame di
accessorietà dell’unità immobiliare.
Il ripristino
dell’impianto di riscaldamento centralizzato non può essere
rivendicato dalle unità immobiliari che per loro
conformazione non sono servite da tale impianto.
La Corte di Cassazione, con
sentenza
27.11.2015 n. 24296, ha affermato che il proprietario di un magazzino non
servito dall’impianto di riscaldamento centralizzato, per
ragioni di conformazione dell’edificio, non può
legittimamente vantare un diritto di condominio
sull’impianto medesimo, perché questo non è legato all’unità
immobiliare da una relazione di accessorietà (che si
configura come il fondamento tecnico del diritto di
condominio), ossia da un collegamento strumentale, materiale
e funzionale consistente nella destinazione all’uso o al
servizio della medesima.
In sostanza, un condòmino agiva in giudizio chiedendo che
fosse dichiarata la nullità della delibera con la quale
l’assemblea condominiale aveva disposto la demolizione della
parte finale della canna fumaria e la sua chiusura, con ciò
pregiudicando il suo diritto all’utilizzo di tale impianto.
In realtà, il condòmino la usava dal 1993 come canna fumaria
del camino posto in un locale al piano terra di sua
proprietà. Ma quella canna era stata abbandonata sin dal
1985, per effetto della trasformazione dell’impianto di
riscaldamento centralizzato in autonomo. Il condominio aveva
poi deciso la demolizione a causa del pericolo di crollo.
La Corte di cassazione, confermando la decisione del giudice
distrettuale, ha evidenziato che il collegamento è stato
operato tra la canna fumaria e il camino posto nel locale
magazzino al piano terra di proprietà del ricorrente, sicché
è irrilevante che all’interno dello stabile la parte istante
fosse proprietaria di un’altra unità immobiliare.
Infatti,
la relazione di accessorietà, che si configura come il
fondamento tecnico del diritto di condominio, va considerata
su base reale, in relazione a ciascun piano o porzione di
piano in proprietà esclusiva, senza che a tal fine abbia
rilievo il vincolo pertinenziale creato dal singolo
condomino tra più unità immobiliari di sua esclusiva
proprietà all’interno dello stesso edificio condominiale. Il
presupposto per l’attribuzione della proprietà comune in
favore di tutti i compartecipi viene meno se le cose, gli
impianti, i servizi di uso comune, per oggettivi caratteri
strutturali e funzionali, siano necessari per l’esistenza o
per l’uso (ovvero siano destinati all’uso o al servizio) di
alcuni soltanto dei piani o porzioni di piano dell’edificio.
Rispetto all’impianto di riscaldamento centralizzato, il
proprietario del magazzino non può dunque rivendicare la
natura condominiale del bene (articolo Il Sole 24 Ore
dell'08.12.2015).
---------------
MASSIMA
Va in primo luogo osservato che, contrariamente a quanto
ritenuto dal ricorrente, non ha rilievo la titolarità, in
capo al Do., anche di un appartamento (al quinto piano)
nell'ambito dello stesso fabbricato condominiale, perché
nella specie la controversia attiene all'utilizzo della
canna fumaria per il tramite del collegamento operato con il
camino posto nel locale magazzino al piano terra di
proprietà del medesimo Do..
E la relazione di accessorietà, che si configura come il
fondamento tecnico del diritto di condominio, va
considerata, su base reale, in relazione a ciascun piano o
porzione di piano in proprietà esclusiva, senza che a tal
fine abbia rilievo il vincolo pertinenziale creato dal
singolo condomino tra più unità immobiliari di sua esclusiva
proprietà all'interno dello stesso edificio condominiale.
Occorre prendere le mosse dagli accertamenti compiuti dalla
Corte d'appello:
(a) il locale magazzino di cui il ricorrente è proprietario
e a tutela del quale ha agito per vedersi riconosciuto il
diritto all'utilizzo della canna fumaria non era servito
dall'impianto termico centralizzato quando questo era in
esercizio;
(b) il Do. ha realizzato all'interno del locale un caminetto
che ha provveduto a collegare alla canna fumaria.
Ritiene il Collegio, in conformità della propria
giurisprudenza (Cass., Sez. II, 07.06.2000, n. 7730), che
il proprietario dell'unità immobiliare (nella specie,
magazzino) che, per ragioni di conformazione dell'edificio,
non sia servita dall'impianto di riscaldamento
centralizzato, non può legittimamente vantare un diritto di
condominio sull'impianto medesimo, perché questo non è
legato alla detta unità immobiliari da una relazione di
accessorietà (che si configura come il fondamento tecnico
del diritto di condominio), e cioè da un collegamento
strumentale, materiale e funzionale consistente nella
destinazione all'uso o al servizio della medesima.
Il presupposto per l'attribuzione della
proprietà comune in favore di tutti i compartecipi
viene meno, difatti, se le cose, gli impianti, i servizi di
uso comune, per oggettivi caratteri strutturali e
funzionali, siano necessari per l'esistenza o per l'uso
(ovvero siano destinati all'uso o al servizio) di alcuni
soltanto dei piani o porzioni di piano dell'edificio.
Correttamente, pertanto, la Corte d'appello ha escluso che
l'utilizzazione della canna fumaria, per lo scarico dei fumi
dal camino realizzato nel magazzino a piano terra,
rientrasse in un'ipotesi di uso frazionato della cosa
comune, non essendo l'impianto termico e la canna fumaria,
per oggettivi caratteri strutturali e funzionali, a servizio
di quel locale. Cade anche la premessa della censura di
violazione degli artt. 1120 e 1136 cod. civ., prospettata
sul presupposto di una condominialità rispetto a quel bene
che invece non sussiste. |
EDILIZIA PRIVATA:
Non può configurarsi come elemento meramente
accessorio dell'edificio, la realizzazione di una canna
fumaria, che, pur non consistendo in opere murarie, in
quanto realizzata in metallo od altro materiale, vada a
soddisfare esigenze non precarie del costruttore, ciò
comportando una modifica del prospetto e della sagoma del
fabbricato cui inerisce, riconducendosi tale intervento
nell'ambito delle opere di ristrutturazione edilizia di cui
all'art. 3, comma 1, lett. d), del D.P.R. n. 380 del 2001
(T.U. Edilizia), realizzate mediante inserimento di nuovi
elementi ed impianti, assoggettato al regime del permesso di
costruire ai sensi dell'art. 10, comma 1, lett. c), dello
stesso D.P.R.”.
Va peraltro aggiunto che la canna fumaria ha comportato
anche opere murarie, essendo stata rivestita con mattoni in
cotto.
Né peraltro, la costruzione di canne
fumarie della specie è suscettibile di rientrare nella
disciplina della c.d. SCIA o DIA, dovendo considerarsi che
le stesse producono una modifica dei prospetti
dell’edificio.
---------------
Non appare rilevante, in favore del
ricorrente, il tempo trascorso tra l’accertamento dell’abuso
ed il suo compimento.
In simili ipotesi, la tutela dell'affidamento del privato è
subordinata al rigoroso accertamento dei suoi presupposti
giustificativi. A questo fine, non è sufficiente il decorso
di un significativo intervallo temporale tra la
realizzazione dell'abuso e l’intervento repressivo e
sanzionatorio dell’amministrazione, ma è necessario anche
che l’interessato adempia all’onere di rilevare in maniera
ragionevolmente certa la colpevole inerzia
dell’amministrazione.
Quest’ultimo aspetto è stato soltanto menzionato dal
ricorrente, con riferimento ad una segnalazione, avvenuta
nel 1996, per un intervento di manutenzione ordinaria sul
piano seminterrato, ma di fatto risulta non dimostrato nei
suoi certi contenuti.
A tacere la considerazione che la presenza
dell'opera realizzata deve essere stata ritenuta, anche
implicitamente, regolare dalla stessa amministrazione in
occasione dell'esame di precedenti pratiche edilizie, o di
altre attività amministrative, circostanza che, nel caso di
specie, non può sostenersi essersi verificata.
---------------
L’attribuzione all’opera (abusiva)
contestata di un nome diverso da quello in concreto
pertinente, non è da sola sufficiente per compromettere la
legittimità dell’atto sanzionatorio, soprattutto laddove, al
di là del profilo nominalistico, l’amministrazione ne
individui esattamente la collocazione, la consistenza, i
materiali e le caratteristiche. Nel caso specifico, non vi
sono dubbi né contestazioni sull’esatta identificazione di
questi elementi.
----------------
La consistenza e la natura dei due
manufatti difformi dalla licenza di costruzione non possono
che risolversi nella loro rimozione, ciò in relazione
all’accertata modifica dei prospetti e dei volumi
preesistenti e di quelli autorizzati.
Tra l’altro, poiché è chiaro che la rimozione riguarda i
soli manufatti abusivi e non il resto, le preoccupazioni del
ricorrente in ordine alle ricadute sullo stabile appaiono
obiettivamente destituite di fondamento.
---------------
... per l'annullamento dell’ordinanza n. 21 del 28.11.2012
del Dirigente del settore, notificata il successivo 6
dicembre, con cui si intima la demolizione di opere
asseritamente abusive.
...
6.- I tre motivi di censura possono essere trattati
congiuntamente, in relazione agli evidenti profili di
connessione argomentativa negli stessi presenti.
6.1.- Va, in primo luogo, smentita la premessa dalla quale
poi generano le molteplici censure a vario titolo sollevate
dal ricorrente, ossia le modeste dimensioni della canna
fumaria.
Come rilevato dal sopralluogo dell’U.T.C., condotto in data
19.05.2012 –che si ritiene opportuno riportare
integralmente- risultano i seguenti manufatti: “A margine
dell'ala del piano seminterrato posta in aggetto alla
facciata est del fabbricato per civile abitazione
strutturato su quattro livelli, risulta ubicata una canna
fumaria che si eleva per circa ml. 3,00 sul terrazzo a
livello del piano rialzato, distante dalla facciata circa mt.
4,10. Su tale facciata risultano esposte ad altezza
superiore rispetto alla sommità della canna fumaria ed in
direzione della stessa, una finestra appartenente al primo
piano ed un'altra appartenente al secondo piano. I piani
seminterrato e rialzato costituiscono l'appartamento abitato
dal sig. De Si. come sopra generalizzato.
La suddetta canna fumaria, rivestita con scaglie di pietra,
si erge, come già accennato, a margine del terrazzo lato est
del piano rialzato incastonata nel parapetto che delimita il
terrazzo; ai lati della canna fumaria si elevano sul
parapetto, due pilastrini rivestiti con mattoncini di cotto
di altezza circa mt. 1,50 mentre altri due risultano
posizionati ai margini ed in aderenza alla parete
retrostante; sulla sommità dei suddetti pilastrini e nella
parte alta della canna fumaria risulta ancorata tramite
traverse, una tettoia di legno lamellare reticolare priva di
copertura, costituente ingombro di superficie circa mq. 20.”.
Quanto sopra lascia intendere che l’opera, per la superficie
che occupa e per l’altezza che sviluppa non può essere
minimizzata. In ogni caso, a prescindere dalle dimensioni,
la stessa è conseguente ad una evidente intervento in
difformità ad una licenza di costruzione.
6.2.- E’ quindi applicabile, al caso di specie,
quell’orientamento giurisprudenziale (Tar Venezia, sez. II,
825/2013) secondo cui “non può
configurarsi come elemento meramente accessorio
dell'edificio, la realizzazione di una canna fumaria, che,
pur non consistendo in opere murarie, in quanto realizzata
in metallo od altro materiale, vada a soddisfare esigenze
non precarie del costruttore, ciò comportando una modifica
del prospetto e della sagoma del fabbricato cui inerisce,
riconducendosi tale intervento nell'ambito delle opere di
ristrutturazione edilizia di cui all'art. 3, comma 1, lett.
d), del D.P.R. n. 380 del 2001 (T.U. Edilizia), realizzate
mediante inserimento di nuovi elementi ed impianti,
assoggettato al regime del permesso di costruire ai sensi
dell'art. 10, comma 1, lett. c), dello stesso D.P.R.”
(cfr. anche, TAR Campania, Napoli, Sez. VIII, 4005/2012).
Va peraltro aggiunto che la canna fumaria ha comportato
anche opere murarie, essendo stata rivestita con mattoni in
cotto.
6.3.- Né peraltro, la costruzione di canne
fumarie della specie è suscettibile di rientrare nella
disciplina della c.d. SCIA o DIA, dovendo considerarsi che
le stesse producono una modifica dei prospetti
dell’edificio.
Ciò è tanto più rilevante sotto il profilo urbanistico ove
si consideri che il comune di Trecase è incluso nell’ambito
del Piano Territoriale Paesistico dell’area Vesuvio, di cui
al decreto ministeriale 14.12.1995, redatto ai sensi
dell'art. 1-bis della legge 08.08.1985 n. 431.
Nello specifico, come emerge dalla stessa relazione peritale
di parte, la proprietà del ricorrente ricade in zona R.U.A.
(Recupero Urbanistico-Edilizio Restauro
Paesistico-Ambientale), con possibilità di interventi di
ristrutturazione edilizia e di adeguamento
igienico-sanitario e tecnologico delle unità abitative.
Quest’ultima circostanza, tuttavia, non è comunque idonea a
superare l’esigenza, anche ai fini del rispetto dei vincoli
paesaggistico-ambientali, di ottenere il preventivo
nullaosta, laddove, com’è accaduto, si verifichino
alterazioni prospettiche e volumetriche rispetto al
preesistente stato dei luoghi.
6.4.- Né, in favore del ricorrente, appare
rilevante il tempo trascorso tra l’accertamento dell’abuso
ed il suo compimento.
In simili ipotesi, la tutela dell'affidamento del privato è
subordinata al rigoroso accertamento dei suoi presupposti
giustificativi. A questo fine, non è sufficiente il decorso
di un significativo intervallo temporale tra la
realizzazione dell'abuso e l’intervento repressivo e
sanzionatorio dell’amministrazione, ma è necessario anche
che l’interessato adempia all’onere di rilevare in maniera
ragionevolmente certa la colpevole inerzia
dell’amministrazione.
Quest’ultimo aspetto è stato soltanto menzionato dal
ricorrente, con riferimento ad una segnalazione, avvenuta
nel 1996, per un intervento di manutenzione ordinaria sul
piano seminterrato, ma di fatto risulta non dimostrato nei
suoi certi contenuti.
A tacere la considerazione che la presenza
dell'opera realizzata deve essere stata ritenuta, anche
implicitamente, regolare dalla stessa amministrazione in
occasione dell'esame di precedenti pratiche edilizie, o di
altre attività amministrative, circostanza che, nel caso di
specie, non può sostenersi essersi verificata
(TAR Umbria, Perugia, sez. I, 21.01.2010, n. 23).
6.5.- Non risolutiva appare poi la censura relativa
all’erronea qualificazione che il comune avrebbe formulato
sull’altro manufatto, indicato erroneamente come “tettoia”,
in luogo del più appropriato “pergola pompeiana”.
L’attribuzione all’opera contestata di un
nome diverso da quello in concreto pertinente, non è da sola
sufficiente per compromettere la legittimità dell’atto
sanzionatorio, soprattutto laddove, al di là del profilo
nominalistico, l’amministrazione ne individui esattamente la
collocazione, la consistenza, i materiali e le
caratteristiche. Nel caso specifico, non vi sono dubbi né
contestazioni sull’esatta identificazione di questi
elementi.
Sicché la censura non può essere seguita.
7.- Infine, con il quarto motivo il ricorrente censura, in
via subordinata, la violazione dell’art. 12 Legge n. 47/1985
e dell’art. 34 d.p.r. 380/2001; l’eccesso di potere per
difetto di motivazione, lo sviamento nella forma sintomatica
dell’ingiustizia manifesta.
Nell’ipotesi in cui si ritenga che le opere realizzate siano
comunque soggette al controllo dell’amministrazione
comunale, il ricorrente si duole del fatto che quest’ultima
non avrebbe comunque valutato l’incidenza della disposta
demolizione sull’intera struttura né avrebbe in alcun modo
esaminato l’eventualità di applicare, in luogo della più
invasiva misura demolitoria, una sanzione pecuniaria, come
espressamente contemplato dall’art. 12 L. n. 47/1985,
recepito dall’art. 34 d.p.r. 380/2001.
La censura non può essere presa in considerazione.
Come appurato in esito all’esame delle precedenti censure,
la consistenza e la natura dei due manufatti
difformi dalla licenza di costruzione non possono che
risolversi nella loro rimozione, ciò in relazione
all’accertata modifica dei prospetti e dei volumi
preesistenti e di quelli autorizzati.
Tra l’altro, poiché è chiaro che la rimozione riguarda i
soli manufatti abusivi e non il resto, le preoccupazioni del
ricorrente in ordine alle ricadute sullo stabile appaiono
obiettivamente destituite di fondamento.
8.- Per quanto sopra, il ricorso va respinto (TAR
Campania-Napoli, Sez. III,
sentenza 23.11.2015 n. 5424 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
La canna fumaria installata in un palazzo di pregio va
rimossa se altera l'estetica dell'edificio.
L’apposizione della
canna fumaria e della struttura di copertura della stessa
immuta lo stato della cosa comune eccedendo i limiti segnati
dalle concorrenti facoltà dei compossessori ex art. 1102
c.c., impedendo un analogo uso da parte di questi ultimi ed
anzi sottraendo al loro uso, assicurato dal possesso, il
relativo beneficio derivante dalla libertà da ingombri della
porzione del bene comune.
L’uso particolare che il comproprietario faccia del bene
comune non può considerarsi estraneo alla destinazione
normale dell’area, a condizione però che si verifichi in
concreto che, per le dimensioni del manufatto o per altre
eventuali ragioni di fatto, tale uso non alteri
l’utilizzazione del cortile praticata dagli altri
comproprietari, né escluda per gli stessi la possibilità di
fare del bene medesimo un analogo uso particolare.
La sentenza impugnata da conto proprio della inesistenza di
tale condizione ed in particolare della alterazione della
destinazione naturale dell’area occupata con la struttura
contenente la canna fumaria e per tale ragione ha ritenuto
commettere molestia la società che aveva immutato lo stato
di fatto degradando gravemente l’estetica dell’edificio ed
alterando precedenti facoltà di utilizzazione da parte degli
altri condomini.
---------------
Con il secondo motivo la ricorrente lamenta la violazione o
falsa applicazione del combinato disposto degli artt. 1140,
1168 e 1170 c.c. per non avere la corte di merito
considerato che si tratta di corte interna in stato di
degrado e che tutti i muri perimetrali sono 'ornati'
di tubature 'a vista'.
A conclusione del mezzo viene formulato il seguente quesito
di diritto: "premesso che la Corte di merito ha omesso di
considerare che l'uso dei muri perimetrali della corte
interna del palazzo sito in via S. Stefano n. 35 da parte
della ricorrente sia avvenuto, giusta diritto sancito ex
art. 1102 c.c., per una esigenza di carattere primario
(riscaldamento) della propria unità immobiliare, affermi la
Suprema Corte, se, nei rapporti tra Condominio ed il singolo
condomino di un edificio condominiale sull'uso delle cose
comuni, in caso di contrasto tra le norme relative alle
distanze legali e quelle relative all'art. 1102 c.c. sulla
comunione, debbano prevalere queste ultime nel caso in cui
il singolo condomino utilizzi le parti comuni per
l'installazione di impianti qualificabili come
indispensabili per un'effettiva abitabilità del suo
appartamento, secondo le esigenze generali dei cittadini e
le moderne concezioni di igiene, ed il rispetto delle norme
sulle distanze non sia compatibile con la concreta struttura
dell'edificio. Affermi la Corte se nella fattispecie
concreta l'esigenza di riscaldare la propri unità
immobiliare comporti una deroga alla normativa sulle
distanze legali ai sensi e per effetti dell'art. 1102 c.c.".
Il mezzo non è fondato.
Nel condominio degli edifici le parti
comuni formano oggetto, a favore di tutti i condomini, di un
compossesso pro indiviso il quale si esercita diversamente a
seconda che le cose siano oggettivamente utili alle singole
unità immobiliari cui siano collegate materialmente o per
destinazione funzionale (suolo, fondazioni, muri maestri,
oggettivamente utili per la statica) oppure siano
soggettivamente utili nel senso che la loro unione materiale
o la destinazione funzionale ai piani o porzioni di piano
dipende dall'attività dei rispettivi proprietari (portone,
anditi, scale, ascensore ecc); nel primo caso l'esercizio
del possesso consiste nel beneficio che il piano o la
porzione di piano (e, per traslato, il proprietario) trae da
tali utilità, nel secondo caso si risolve nell'espletamento
della predetta attività da parte del proprietario.
Ciò posto, il godimento delle cose comuni
da parte dei singoli condomini assurge ad oggetto di tutela
possessoria quando uno di loro abbia alterato e violato,
senza il consenso degli altri condomini ed in loro
pregiudizio, lo stato di fatto o la destinazione della cosa
oggetto del comune possesso, in modo da impedire o da
restringere il godimento spettante a ciascun compossessore
pro indiviso sulla cosa medesima
(Cass. 26.01.2000 n. 855; Cass. 11.03.1993 n. 2947; Cass.
21.07.1988 n. 4733; Cass. 18.07.1984 n. 4195).
La modifica di una parte comune e della sua
destinazione ad opera di taluno dei condomini, sottraendo la
cosa alla sua specifica funzione e quindi al compossesso di
tutti i condomini, legittima di conseguenza gli altri
condomini all'esperimento dell'azione di reintegrazione per
conseguire la riduzione della cosa al pristino stato in modo
che essa possa continuare a fornire quella utilitas
alla quale era asservita anteriormente alla contestata
modificazione, senza che sia necessaria la specifica prova
del possesso di detta parte quando risulti che essa consista
in una porzione immobiliare in cui l'edificio si articola
(Cass. 13.07.1993 n. 7691).
Nella specie la corte di merito —premesso di avere
verificato lo stato del fabbricato— ha accertato, con
apprezzamento non censurabile in Cassazione, che
la canna in contestazione aveva dimensioni non
trascurabili, rappresentata come era da una sovrastruttura
apposta nella facciata del palazzo condominiale priva di
qualsiasi collegamento dal punto di vista architettonico o
funzionale con la parete esterna dell'edificio, per cui
alterava notevolmente l'estetica dell'edificio, pure
bisognevole di manutenzione, e costituiva un elemento di
grave degrado.
Inoltre sussisteva anche la lamentata
turbativa al godimento della luce proveniente dalla finestra
collocata proprio al di sotto della canna fumaria,
evincibile dalle foto prodotte, in quanto l'ingombro della
struttura provoca ombra sulla finestra dell'appartamento,
diminuendone la luminosità.
Pertanto, la decisione di accoglimento della domanda di
manutenzione nel possesso proposta dai condomini Collina e
Berti si presenta corretta, incidendo detta struttura
sull'estetica dello stabile, oltre a notevolmente ridurre la
luce nella stanza che affaccia dalla finestra sottostante la
canna.
Il giudice di merito, insomma, ha correttamente ritenuto che
con la apposizione della canna fumaria e della struttura di
copertura della stessa la condòmina aveva immutato lo stato
della cosa comune eccedendo i limiti segnati dalle
concorrenti facoltà dei compossessori ex art. 1102 c.c.,
impedendo un analogo uso da parte di questi ultimi ed anzi
sottraendo al loro uso, assicurato dal possesso, il relativo
beneficio derivante dalla libertà da ingombri della porzione
del bene comune (massima tratta da http://renatodisa.com - Corte di Cassazione, Sez. II civile,
sentenza 24.08.2015 n. 17072). |
EDILIZIA PRIVATA:
Il ricorrente sostiene che il manufatto in
disamina (canna fumaria del diametro di 50 cm. e un’altezza
di ben 19,20 mt.) costituirebbe volume tecnico, come tale
privo di rilevanza urbanistica ed oltretutto non sarebbe
particolarmente pregiudizievole per il territorio e che
pertanto non occorrerebbe per la sua realizzazione
premunirsi del permesso di costruire.
Tale doglianza è infondata alla luce della giurisprudenza
pacifica, specie del Tribunale, che predica il principio
secondo cui una canna fumaria di non trascurabili dimensioni
necessita di permesso di costruire.
Il Tribunale ha infatti chiarito che “Per le canne fumarie
sussiste la necessità del previo rilascio del permesso di
costruire, qualora esse non presentino piccole dimensioni,
siano di palese evidenza rispetto alla costruzione e alla
sagoma dell'immobile e non possano considerarsi un elemento
meramente accessorio ovvero di ridotta e aggiuntiva
destinazione pertinenziale, come tale assorbito o occultato
dalla preesistente struttura dell'immobile”.
Si era già, del resto, affermato in termini che “La canna
fumaria, di palese evidenza rispetto alla costruzione e alla
sua sagoma, non può considerarsi un elemento meramente
accessorio ovvero di ridotta e aggiuntiva destinazione
pertinenziale, come tale assorbito o occultato dalla
preesistente struttura dell'immobile, occorrendo, pertanto,
per la stessa, la concessione edilizia”.
Ebbene, l'intervento in esame, ad avviso del Collegio, è
riconducibile ai lavori di ristrutturazione edilizia di cui
all'articolo 3, comma 1°, lettera d), del D.P.R. n.
380/2001, realizzati tramite inserimento di nuovi elementi
ed impianti, ed è quindi subordinata al regime del permesso
di costruire, ai sensi dell'articolo 10, comma primo,
lettera c), dello stesso D.P.R. laddove comporti, come nel
caso di specie, una modifica del prospetto del fabbricato
cui inerisce, come del resto chiaramente evincibile dalle
riproduzioni fotografiche in atti.
Peraltro la necessità del previo rilascio del permesso di
costruire può configurarsi anche in presenza di opere che
attuino una trasformazione del tessuto urbanistico ed
edilizio, anche se esse non consistano in opere murarie,
essendo realizzate in metallo, in laminati di plastica, in
legno od altro materiale, in presenza di trasformazioni
preordinate a soddisfare esigenze non precarie del
costruttore.
... Per l'annullamento del provvedimento n. prot. 21736,
notificato il 07/08/2014 di abbattimento della canna fumaria
a servizio del ristorante-pizzeria emesso dal Comune di
Portici.
...
5.1. Con il terzo mezzo il ricorrente sostiene che il
manufatto in disamina costituirebbe volume tecnico, come
tale privo di rilevanza urbanistica ed oltretutto non
sarebbe particolarmente pregiudizievole per il territorio e
che pertanto non occorrerebbe per la sua realizzazione
premunirsi del permesso di costruire.
5.2. Anche questa doglianza è infondata alla luce della
giurisprudenza pacifica, specie del Tribunale, che predica
il principio secondo cui una canna fumaria di non
trascurabili dimensioni necessita di permesso di costruire.
Il Tribunale ha infatti chiarito che “Per le canne
fumarie sussiste la necessità del previo rilascio del
permesso di costruire, qualora esse non presentino piccole
dimensioni, siano di palese evidenza rispetto alla
costruzione e alla sagoma dell'immobile e non possano
considerarsi un elemento meramente accessorio ovvero di
ridotta e aggiuntiva destinazione pertinenziale, come tale
assorbito o occultato dalla preesistente struttura
dell'immobile” (TAR Campania–Napoli, Sez. VIII ,
01.10.2012 n. 4005).
Si era già, del resto, affermato in termini che “La canna
fumaria, di palese evidenza rispetto alla costruzione e alla
sua sagoma, non può considerarsi un elemento meramente
accessorio ovvero di ridotta e aggiuntiva destinazione
pertinenziale, come tale assorbito o occultato dalla
preesistente struttura dell'immobile, occorrendo, pertanto,
per la stessa, la concessione edilizia” (TAR
Campania–Napoli, Sez. VI , 03.06.2009 n. 3039).
Ebbene, l'intervento in esame, ad avviso del Collegio, è
riconducibile ai lavori di ristrutturazione edilizia di cui
all'articolo 3, comma 1°, lettera d), del D.P.R. n.
380/2001, realizzati tramite inserimento di nuovi elementi
ed impianti, ed è quindi subordinata al regime del permesso
di costruire, ai sensi dell'articolo 10, comma primo,
lettera c), dello stesso D.P.R. laddove comporti, come nel
caso di specie, una modifica del prospetto del fabbricato
cui inerisce, come del resto chiaramente evincibile dalle
riproduzioni fotografiche in atti.
Peraltro la necessità del previo rilascio del permesso di
costruire può configurarsi anche in presenza di opere che
attuino una trasformazione del tessuto urbanistico ed
edilizio, anche se esse non consistano in opere murarie,
essendo realizzate in metallo, in laminati di plastica, in
legno od altro materiale, in presenza di trasformazioni
preordinate a soddisfare esigenze non precarie del
costruttore.
Come più sopra avvertito, invero, la canna fumaria la cui
abusiva realizzazione è stata sanzionata con il
provvedimento al vaglio del Tribunale, è posta all’esterno
de fabbricato, come ha chiarito la relazione n. 7121 del
17.11.2014 a firma del competente Responsabile comunale,
prodotta dalla difesa civica il 19.11.2014.
Di talché risulta contraddetta l’affermazione di cui alla
narrativa in fato del ricorso a stare alla quale il
manufatto sarebbe posizionato al’interno dell’immobile.
Inoltre le sue caratteristiche inducono ad affermarne la
natura impattante sia l’ambiente che il territorio, avendo
esso un diametro di 50 cm. e un’altezza di ben 19,20 mt..
Di conseguenza, alla luce dell’orientamento testé passato in
rassegna, per la sua realizzazione occorreva il previo
rilascio del permesso di costruire, non potendo esso
annoverarsi tra gli interventi di mera manutenzione
ordinaria.
Da ciò discende la legittimità dell’irrogata sanzione
demolitoria (TAR Campania-Napoli, Sez. III,
sentenza 03.07.2015 n.
3612 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: In
materia di canne fumarie, l'esistenza di un regolamento
comunale (di igiene) preclude in capo al Giudice di poter
disporre discrezionalmente.
Il rispetto della distanza prevista
dall'art. 890 del codice civile, nella cui regolamentazione
rientrano anche i comignoli con canna fumaria è collegato a
una presunzione assoluta di nocività e pericolosità che
prescinde da ogni accertamento concreto nel caso in cui vi
sia un regolamento edilizio comunale che stabilisca la
distanza medesima.
Diversamente, in difetto di una disposizione regolamentare,
si ha pur sempre una presunzione di pericolosità, seppure
relativa, che può essere superata ove la parte interessata
al mantenimento del manufatto dimostri che mediante
opportuni accorgimenti può ovviarsi al pericolo o al danno
del fondo vicino.
Col primo motivo si lamentano violazione degli arti.
890 cc, 57 r.e. e 42 reg. di igiene perché contrariamente a
quanto reputa la sentenza disciplinano le distanze ed
integrano l'art. 890 cc, con quesito.
Col secondo motivo si denunzia violazione dell'art.
2697 cpc, recte cc, perché erra la sentenza nel
ritenere D. gravato della prova di nocività, con quesito.
Col terzo motivo si deducono difetto di motivazione
sulla sufficienza della prova offerta da Z. sulla innocuità
della fabbrica e violazione degli artt. 111.6 Cost., 112 cpc,
132 cpc..
Col quarto motivo si denunzia insufficiente
motivazione con indicazione del fatto decisivo non
considerato nella nocività o pericolosità della canna
fumaria.
Ciò premesso si osserva:
La Corte di appello ha dedotto che né l'art. 890 cc né
l'art. 7 del r.e. prevedono distanze per le canne fumarie
mentre quella di metri dieci era prevista nell'art. 6, comma
15, dpr 1391/1970, norma dichiarata inapplicabile dal primo
giudice, senza censura sul punto di alcuna parte.
In ordine alla nocività o pericolosità il D. non aveva
fornito alcuna prova mentre controparte aveva documentato
l'esistenza di due provvedimenti giudiziari, in particolare
ex art. 700 cpc, che avevano escluso conseguenze nocive per
l'appartamento e la salute dell'appellato.
Ciò premesso, la prima censura afferma l'esistenza di
una normativa sulle distanze esclusa dalla sentenza (si
legge, invero, a pagina quattro che sia l'art. 890 cc che
l'art. 57 del reg.ed. non contengono alcuna prescrizione in
tema di distanze ed in particolare la norma regolamentare
prevede solo una altezza dei comignoli di almeno un metro
dal colmo delle coperture, in modo da evitare danni a terzi
per i fumi).
Va tuttavia considerato che l'art. 890 cc rinvia alle norme
locali e solo in mancanza demanda l'accertamento al Giudice.
Se è violata la norma locale, la nocività o pericolosità è
presunta iuris et de iure, mentre se manca la norma
locale la presunzione è iuris tantum. Nel caso
in esame la sentenza cita l'art. 42 del regolamento locale
di igiene il quale prevede che lo sbocco superiore dei
fumaioli... .dovrà elevarsi almeno di un metro sul tetto
della casa più alta vicina, al momento della costruzione del
camino stesso.
Una distanza, sia pure in verticale, è prevista e pertanto è
integrato l'art. 890 cc ed il giudice non aveva alcun potere
discrezionale al riguardo. Nel controricorso si sostiene che
il regolamento edilizio del 1989 avrebbe abrogato quello di
igiene del 1942 ma il rilievo è inesatto in quanto hanno
oggetti diversi (l'uno lo sviluppo urbanistico, l'altro la
tutela della salute).
La norma codicistica fa riferimento alle distanze stabilite
dai regolamenti e, in mancanza, a quelle necessarie a
preservare i fondi vicini da ogni danno alla solidità,
salubrità e sicurezza.
Donde l'accoglimento del primo motivo con assorbimento degli
altri (Corte di Cassazione, Sez. II civile,
sentenza 26.05.2015 n. 10814). |
anno 2014 |
|
EDILIZIA PRIVATA:
Il comune non può bloccare la canna fumaria
sgradita. Sentenza del Tar Brescia.
I vicini non possono bloccare la realizzazione della canna
fumaria lungo la facciata dell'edificio che serve al
ristorante di un loro condomino. A meno che, beninteso, il
condotto non risulti in contrasto con il decoro
architettonico del fabbricato. È così che il Comune non può
negare l'autorizzazione alla società che chiede di
installare la struttura da mettere al servizio del locale
pubblico motivando sul mero dissenso espresso dagli altri
condomini e non sull'impatto di natura antiestetica della
struttura sul prospetto del palazzo.
È quanto emerge dalla
sentenza
02.12.2014 n. 1308, pubblicata dalla I Sez. del TAR
Lombardia-Brescia.
È accolto in base all'articolo 1102 Cc il ricorso del locale
pubblico ha bisogno di convogliare i fumi più in alto
possibile: deve essere annullato il provvedimento del
dirigente del settore Attività produttive dell'ente locale.
Ciascun condomino può servirsi della cosa comune, a patto
che non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri
partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto.
E ognuno può apportare a sue spese le modificazioni
necessarie per il miglior godimento della cosa.
Insomma: in astratto l'opera sulle parti comuni può essere
realizzata da uno senza il consenso degli altri condomini,
ma a condizione che non risulti pregiudicata l'armonia delle
linee architettoniche che caratterizzano la facciata
dell'edificio. E il diniego dell'amministrazione risulta
illegittimo proprio perché motiva sulla «piena titolarità
a intervenire».
Il Comune paga le spese di giudizio
(articolo ItaliaOggi del
30.01.2015). |
EDILIZIA PRIVATA:
Sulla realizzazione di canna fumaria in facciata
condominiale.
E’ noto che i titoli
abilitativi edilizi, da un lato si rilasciano, ai
sensi dell’art. 11, comma 3, T.U. 06.06.2001 n. 380, salvi i
diritti dei terzi, e quindi dovrebbero in linea di principio
prescindere dai titoli civilistici dei terzi stessi, anche
se in astratto suscettibili di paralizzarne l’efficacia,
come nel caso esemplare di un permesso di costruire
rilasciato su un fondo che è inedificabile per causa di una
servitù in tal senso. Dall’altro lato però, i titoli
stessi impongono ai sensi dell’art. 11 citato, comma 1,
all’amministrazione che le rilascia di verificare la
legittimazione del richiedente, e con essa, si dovrebbe
ritenere, anche la sussistenza di diritti di terzi che la
escludano.
La contraddizione potenziale si compone applicando il
principio di non aggravamento del procedimento. In tali
termini, un titolo confliggente con i diritti di terzi sarà
legittimo se l’amministrazione non poteva riconoscerne
l’esistenza in base ai soli atti del procedimento forniti
dalla parte interessata; sarà invece illegittima se
dell’esistenza del vincolo l’amministrazione aveva motivo di
sospettare.
Così nel caso di specie, dato che negli edifici in
condominio per definizione a fronte dell’opera del singolo
condomino vi sono i diritti degli altri condomini, e quindi
correttamente il Comune li ha considerati.
---------------
In generale, per l’art. 1002 c.c., comma 1, “ciascun
partecipante può servirsi della cosa comune, purché non ne
alteri la destinazione e non impedisca agli altri
partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto.
A tal fine può apportare a proprie spese le modificazioni
necessarie per il miglior godimento della cosa.”.
Nel caso particolare che qui rileva, di installazione di una
canna fumaria che interessi anche la facciata in
corrispondenza delle proprietà di altri condomini, costante
giurisprudenza non nega a priori la possibilità di
effettuare l’opera senza l’assenso di costoro; richiede
però, perché se ne possa prescindere, che in concreto non
siano pregiudicati l’armonia e il decoro della facciata in
questione.
Di conseguenza, il provvedimento comunale impugnato, che
motiva soltanto con riguardo alla mancanza della “piena
titolarità a intervenire” derivante dal diniego degli altri
condomini, e non apprezza l’impatto dell’opera sulla
facciata interessata, risulta illegittimo e va annullato.
... per l’annullamento, previa sospensione, del
provvedimento 16.07.2014 prot. n. 28344 del successivo 17
luglio, conosciuto in data imprecisata, con il quale il
Dirigente del settore attività produttive e sviluppo
economico del Comune di Mantova ha respinto la richiesta
presentata dalla Borgo Immobiliare S.r.l. per la
installazione di una canna fumaria esterna nell’immobile
sito al locale corso ... , distinto al catasto al foglio ...
mapp ...;
...
- che è infondato e
va respinto anche il secondo motivo. E’ noto che i titoli
abilitativi edilizi, da un lato si rilasciano, ai
sensi dell’art. 11, comma 3, T.U. 06.06.2001 n. 380, salvi i
diritti dei terzi, e quindi dovrebbero in linea di principio
prescindere dai titoli civilistici dei terzi stessi, anche
se in astratto suscettibili di paralizzarne l’efficacia,
come nel caso esemplare di un permesso di costruire
rilasciato su un fondo che è inedificabile per causa di una
servitù in tal senso. Dall’altro lato però, i titoli
stessi impongono ai sensi dell’art. 11 citato, comma 1,
all’amministrazione che le rilascia di verificare la
legittimazione del richiedente, e con essa, si dovrebbe
ritenere, anche la sussistenza di diritti di terzi che la
escludano.
La contraddizione potenziale -secondo la giurisprudenza, per
tutte già TAR Liguria 11.07.2007 n. 1376- si compone
applicando il principio di non aggravamento del
procedimento. In tali termini, un titolo confliggente con i
diritti di terzi sarà legittimo se l’amministrazione non
poteva riconoscerne l’esistenza in base ai soli atti del
procedimento forniti dalla parte interessata; sarà invece
illegittima se dell’esistenza del vincolo l’amministrazione
aveva motivo di sospettare.
Così nel caso di specie, dato che negli edifici in
condominio per definizione a fronte dell’opera del singolo
condomino vi sono i diritti degli altri condomini, e quindi
correttamente il Comune li ha considerati;
- che è invece fondato e va accolto il terzo motivo. In
generale, per l’art. 1002 c.c., comma 1, “ciascun
partecipante può servirsi della cosa comune, purché non ne
alteri la destinazione e non impedisca agli altri
partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto.
A tal fine può apportare a proprie spese le modificazioni
necessarie per il miglior godimento della cosa.”.
Nel caso particolare che qui rileva, di installazione di una
canna fumaria che interessi anche la facciata in
corrispondenza delle proprietà di altri condomini, costante
giurisprudenza –Cass. civ. sez. II 11.05.2011 n. 10350, T.
Roma sez. XII 28.07.2002, T. Milano 26.03.1992 e T. Trento
16.05.2013 n. 432- non nega a priori la possibilità di
effettuare l’opera senza l’assenso di costoro; richiede
però, perché se ne possa prescindere, che in concreto non
siano pregiudicati l’armonia e il decoro della facciata in
questione.
Di conseguenza, il provvedimento impugnato, che motiva
soltanto con riguardo alla mancanza della “piena
titolarità a intervenire” (doc. 10 Comune, cit.)
derivante dal diniego degli altri condomini, e non apprezza
l’impatto dell’opera sulla facciata interessata, risulta
illegittimo e va annullato
(TAR Lombardia-Brescia, Sez. I,
sentenza 02.12.2014 n. 1308 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA: 1.
L'installazione di canna fumaria a servizio di attività di
ristorazione va ricondotto nel novero dei lavori di
ristrutturazione edilizia di cui all'articolo 3, comma 1,
lettera d), del D.P.R. n. 380 del 2001, realizzati tramite
inserimento di nuovi elementi ed impianti, e, dunque,
soggetto al regime del permesso di costruire, ai sensi
dell'articolo 10, comma primo, lettera c), dello stesso
D.P.R. n. 380/2001 laddove comporti una modifica del
prospetto del fabbricato cui inerisce.
2. In tema di installazione di canne fumarie, è necessario
il previo rilascio del permesso di costruire, qualora esse
non si presentino di piccole dimensioni, siano di palese
evidenza rispetto alla costruzione e alla sagoma
dell'immobile, e non possano considerarsi un elemento
meramente accessorio, ovvero di ridotta e aggiuntiva
destinazione pertinenziale, come tale assorbito o occultato
dalla preesistente struttura dell'immobile.
Osserva il Collegio che l'intervento in esame deve ritenersi
riconducibile ai lavori di ristrutturazione edilizia di cui
all'articolo 3, comma 1, lettera d), del D.P.R. n. 380 del
2001, realizzati tramite inserimento di nuovi elementi ed
impianti, e, dunque, soggetto al regime del permesso di
costruire, ai sensi dell'articolo 10, comma primo, lettera
c), dello stesso D.P.R. laddove comporti, come nel caso di
specie, una modifica del prospetto del fabbricato cui
inerisce, peraltro riscontrabile dalle riproduzioni
fotografiche in atti.
Occorre inoltre sul punto ricordare che, nel caso delle
canne fumarie, la giurisprudenza ha ravvisato la necessità
del previo rilascio del permesso di costruire, qualora esse
non si presentino di piccole dimensioni, siano di palese
evidenza rispetto alla costruzione e alla sagoma
dell'immobile, e non possano considerarsi un elemento
meramente accessorio, ovvero di ridotta e aggiuntiva
destinazione pertinenziale, come tale assorbito o occultato
dalla preesistente struttura dell'immobile.
Nel caso di specie, dalle riproduzioni fotografiche
depositate in atti, la canna fumaria installata
sull'edificio in esame per dimensioni, altezza, relativa
conformazione, risulta incidere notevolmente sul prospetto e
la sagoma della costruzione su cui è installata.
D’altro canto non risulta dagli atti la prova che la canna
fumaria in questione abbia sostituito –come sostiene il
ricorrente- una canna fumaria precedente (della cui
esistenza il ricorrente fa unicamente cenno nel ricorso, ma
non nella domanda di condono), né risultano le dimensioni e
la precisa localizzazione di quest’ultima.
In ogni caso, anche se se si trattasse effettivamente di
sostituzione di una canna fumaria avente le stesse
dimensioni e identica localizzazione rispetto alla
precedente, l’intervento andrebbe considerato di
manutenzione straordinaria, soggetto comunque anch’esso a
sanatoria, come dispone l’allegato 1 del d.l. 269/2003
(massima tratta da www.ricerca-amministrativa.it - TAR
Lazio-Roma, Sez. II-quater,
sentenza 02.10.2014 n. 10134 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Sul
piano urbanistico, la costruzione o il posizionamento di una
canna fumaria costituisce un intervento che nella previgente
normativa richiedeva un’autorizzazione edilizia (v. art. 7,
comma 2-a, del DL 23.01.1982 n. 9) e attualmente è
subordinato a DIA semplice (v. art. 4, comma 7-f, del DL
05.10.1993 n. 398; art. 22, commi 1 e 2, del DPR 380/2001).
Questo inquadramento si fonda sull’assimilazione delle canne
fumarie ai volumi tecnici e sul collegamento funzionale tra
le canne fumarie e gli impianti tecnologici. Ne consegue che
l’esecuzione senza titolo di tali opere ricade nella
disciplina sulla regolarizzazione di cui all’art. 37 del DPR
380/2001.
Più in dettaglio, sembra applicabile l’ipotesi prevista dal
comma 4 dell’art. 37 del DPR 380/2001 (regolarizzazione in
presenza di conformità urbanistica), in quanto la nota
dirigenziale del 22.01.2010, con la quale sono stati
comunicati i motivi ostativi al rilascio del titolo edilizio
per il prolungamento della canna fumaria, non menziona
impedimenti di natura urbanistica.
---------------
Sul piano paesistico, parimenti, la canna fumaria è sanabile
ai sensi dell’art. 167, comma 4, del Dlgs. 22.01.2004 n. 42,
non essendo idonea a formare volume o superficie utile.
---------------
Quanto è sanabile sul piano urbanistico e paesistico
potrebbe però non esserlo in relazione alla normativa
igienico-sanitaria. Questo è precisamente il problema nel
caso in esame, in quanto la collocazione della canna fumaria
al di sotto e in prossimità delle finestre degli
appartamenti comunali si pone in diretto contrasto con gli
art. 3.4.32 e 3.4.43 del titolo III del regolamento locale
di igiene.
Il contrasto con una norma igienico-sanitaria può essere
risolto in vari modi: con una deroga, con la modifica del
manufatto non conforme, o con la rimozione dello stesso.
Esclusa l’ipotesi della deroga, che non è stata chiesta
neppure dalla ricorrente, l’amministrazione è tenuta, per il
principio di proporzionalità, ad applicare la misura meno
afflittiva per il privato, a parità di beneficio per
l’interesse pubblico.
La particolarità del caso in esame consiste nel fatto che la
misura meno afflittiva, ossia la sopraelevazione della canna
fumaria oltre il colmo dell’edificio di proprietà comunale,
richiede anche un assenso di natura privatistica da parte
del Comune. Quest’ultimo dovrebbe infatti concedere una
servitù di appoggio del tubo al muro dell’edificio comunale.
Il rifiuto del Comune di concedere tale servitù non appare
condivisibile. L’elemento privatistico si inserisce in
realtà in una fattispecie amministrativa, e dunque viene
attratto negli schemi pubblicistici applicabili a
quest’ultima. Occorre infatti sottolineare che l’utilizzo
privatistico dei propri beni da parte del Comune è comunque
sottoposto ai principi generali di buona fede e di
astensione dai comportamenti emulativi. Questi principi si
trasformano in un obbligo rafforzato di collaborazione
quando la concessione di un diritto marginale sui beni
comunali potrebbe mettere il privato nella condizione di
risolvere un problema che arreca danno all’interesse
pubblico. A maggior ragione, l’obbligo di collaborazione si
manifesta quando il problema che il privato potrebbe
risolvere incide negativamente sugli stessi beni comunali.
Il Comune come autorità locale in materia igienico-sanitaria
deve quindi imporre la sopraelevazione della canna fumaria
che disturba gli appartamenti vicini, e come proprietario
dell’edificio a cui può essere appoggiato il tubo è tenuto a
permettere tale operazione attraverso la costituzione di
un’apposita servitù. In questo quadro il diniego della
servitù non è affatto insindacabile, e potrebbe
giustificarsi solo in relazione a un prevalente interesse
pubblico, che nello specifico non è stato indicato.
La servitù di appoggio non deve essere necessariamente a
titolo gratuito, né incondizionata o perenne. Il Comune può
infatti esigere un corrispettivo adeguato all’utilità
concessa al privato, e allo stesso modo può stabilire
prescrizioni o condizioni a tutela del proprio bene e delle
future utilizzazioni.
... per l'annullamento:
- dell’ordinanza del responsabile del Settore Edilizia
Privata n. 62 del 20.07.2010, con la quale è stata ingiunta
la rimozione di una canna fumaria realizzata in assenza di
titolo edilizio;
- della nota del responsabile del Settore Edilizia Privata
prot. n. 1224 del 22.01.2010, nella quale sono esposti i
motivi ostativi al rilascio del titolo edilizio per il
prolungamento in altezza della canna fumaria;
...
Sulle questioni rilevanti ai fini della decisione si possono
svolgere le seguenti considerazioni:
(a) un titolo edilizio che autorizzi la canna fumaria
esistente non è stato rintracciato. Occorre quindi esaminare
la vicenda contenziosa sul presupposto della mancanza di un
titolo specifico;
(b) sul piano urbanistico, la costruzione o il
posizionamento di una canna fumaria costituisce un
intervento che nella previgente normativa richiedeva
un’autorizzazione edilizia (v. art. 7, comma 2-a, del DL
23.01.1982 n. 9) e attualmente è subordinato a DIA semplice
(v. art. 4, comma 7-f, del DL 05.10.1993 n. 398; art. 22,
commi 1 e 2, del DPR 380/2001). Questo inquadramento si
fonda sull’assimilazione delle canne fumarie ai volumi
tecnici e sul collegamento funzionale tra le canne fumarie e
gli impianti tecnologici (v. TAR Bari Sez. III 30.10.2012 n.
1859). Ne consegue che l’esecuzione senza titolo di tali
opere ricade nella disciplina sulla regolarizzazione di cui
all’art. 37 del DPR 380/2001 (v. TAR Brescia Sez. II
16.01.2013 n. 37);
(c) più in dettaglio, sembra applicabile l’ipotesi prevista
dal comma 4 dell’art. 37 del DPR 380/2001 (regolarizzazione
in presenza di conformità urbanistica), in quanto la nota
dirigenziale del 22.01.2010, con la quale sono stati
comunicati i motivi ostativi al rilascio del titolo edilizio
per il prolungamento della canna fumaria, non menziona
impedimenti di natura urbanistica;
(d) è vero che tale nota deve ancora essere seguita da un
formale provvedimento di diniego, il quale almeno in
astratto potrebbe anche argomentare sulla mancanza di
conformità urbanistica. Tuttavia, considerato il tempo
trascorso, si può ritenere che la posizione del Comune abbia
ormai assunto un contenuto definitivo;
(e) sul piano paesistico, parimenti, la canna fumaria è
sanabile ai sensi dell’art. 167, comma 4, del Dlgs.
22.01.2004 n. 42, non essendo idonea a formare volume o
superficie utile. Del resto, circa il prolungamento della
canna fumaria il Comune si è già espresso favorevolmente con
l’autorizzazione paesistica dell’11.05.2009, e dunque non
sembrano esservi ostacoli neppure alla regolarizzazione del
manufatto esistente, che ha dimensioni più contenute;
(f) quanto è sanabile sul piano urbanistico e paesistico
potrebbe però non esserlo in relazione alla normativa
igienico-sanitaria. Questo è precisamente il problema nel
caso in esame, in quanto la collocazione della canna fumaria
al di sotto e in prossimità delle finestre degli
appartamenti comunali si pone in diretto contrasto con gli
art. 3.4.32 e 3.4.43 del titolo III del regolamento locale
di igiene;
(g) il contrasto con una norma igienico-sanitaria può essere
risolto in vari modi: con una deroga, con la modifica del
manufatto non conforme, o con la rimozione dello stesso;
(h) esclusa l’ipotesi della deroga, che non è stata chiesta
neppure dalla ricorrente, l’amministrazione è tenuta, per il
principio di proporzionalità, ad applicare la misura meno
afflittiva per il privato, a parità di beneficio per
l’interesse pubblico;
(i) la particolarità del caso in esame consiste nel fatto
che la misura meno afflittiva, ossia la sopraelevazione
della canna fumaria oltre il colmo dell’edificio di
proprietà comunale, richiede anche un assenso di natura
privatistica da parte del Comune. Quest’ultimo dovrebbe
infatti concedere una servitù di appoggio del tubo al muro
dell’edificio comunale;
(j) il rifiuto del Comune di concedere tale servitù non
appare condivisibile. L’elemento privatistico si inserisce
in realtà in una fattispecie amministrativa, e dunque viene
attratto negli schemi pubblicistici applicabili a
quest’ultima. Occorre infatti sottolineare che l’utilizzo
privatistico dei propri beni da parte del Comune è comunque
sottoposto ai principi generali di buona fede e di
astensione dai comportamenti emulativi. Questi principi si
trasformano in un obbligo rafforzato di collaborazione
quando la concessione di un diritto marginale sui beni
comunali potrebbe mettere il privato nella condizione di
risolvere un problema che arreca danno all’interesse
pubblico. A maggior ragione, l’obbligo di collaborazione si
manifesta quando il problema che il privato potrebbe
risolvere incide negativamente sugli stessi beni comunali;
(k) il Comune come autorità locale in materia
igienico-sanitaria deve quindi imporre la sopraelevazione
della canna fumaria che disturba gli appartamenti vicini, e
come proprietario dell’edificio a cui può essere appoggiato
il tubo è tenuto a permettere tale operazione attraverso la
costituzione di un’apposita servitù. In questo quadro il
diniego della servitù non è affatto insindacabile, e
potrebbe giustificarsi solo in relazione a un prevalente
interesse pubblico, che nello specifico non è stato
indicato;
(l) la servitù di appoggio non deve essere necessariamente a
titolo gratuito, né incondizionata o perenne. Il Comune può
infatti esigere un corrispettivo adeguato all’utilità
concessa al privato, e allo stesso modo può stabilire
prescrizioni o condizioni a tutela del proprio bene e delle
future utilizzazioni.
12. In conclusione, il ricorso deve essere accolto, con il
conseguente annullamento degli atti impugnati. L’effetto
conformativo della presente pronuncia impone al Comune di
concedere la servitù di appoggio, come sopra specificato
(TAR Lombardia-Brescia, Sez. I,
sentenza 29.09.2014 n. 999 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
CONDOMINIO: Canne fumarie, pochi vincoli.
È consentita l'installazione sul muro perimetrale.
La Cassazione: il manufatto non è equiparabile a una
costruzione, ma a un accessorio.
Il singolo condomino può utilizzare il muro condominiale per
installare una canna fumaria anche ove la stessa venga
collocata a ridosso del terrazzo di proprietà di un altro
condomino, poiché detto manufatto non è equiparabile a una
costruzione, ma costituisce un semplice accessorio di un
impianto, non essendo quindi sottoposto alla disciplina
legale sulla distanza delle costruzioni previste.
È il
principio espresso dalla Corte di Cassazione, Sez. II
civile, nella
sentenza
03.03.2014 n. 4936.
Il fatto. Un condomino del piano terra chiedeva
all'assemblea di poter installare sul muro perimetrale
dell'edificio una canna fumaria necessaria per l'evacuazione
dei fumi del camino collocato all'interno del suo
appartamento. L'assemblea, dopo aver valutato la situazione,
autorizzava con due diverse delibere l'installazione e, in
entrambe le riunioni, il verbale veniva sottoscritto da
tutti i condomini presenti. Il condomino del piano terra
procedeva quindi all'esecuzione dell'opera, che veniva
realizzata in conformità alle prescrizioni del regolamento
edilizio comunale. Successivamente, però, il proprietario
dell'attico, che aveva prestato il consenso sottoscrivendo i
verbali assembleari, cambiava opinione e si rivolgeva
all'autorità giudiziaria, sostenendo che la canna fumaria
impediva il suo diritto di veduta dal parapetto del terrazzo
di sua esclusiva pertinenza.
Il tribunale però riteneva l'installazione della canna
fumaria legittima. Rigettato in primo grado, il ricorso
veniva accolto dalla Corte d'appello, che ordinava al
condomino del piano terra di demolire la canna fumaria di
sfogo del camino realizzato nell'appartamento di sua
proprietà, condannandolo al pagamento delle spese del doppio
grado di giudizio. Per i giudici di secondo grado anche la
canna fumaria poteva, infatti, essere fatta rientrare nella
categoria delle costruzioni e quindi doveva rispettare le
distanze legali. Del resto dal contratto di compravendita,
osservava la Corte d'appello, risultava che il terrazzo
davanti al quale era stata collocata la canna fumaria fosse
di proprietà esclusiva del proprietario dell'attico. Ragion
per cui quest'ultimo aveva diritto di fruirne e di
esercitare la veduta, diretta e obliqua, come previsto dalla
normativa in materia di distanze legali fra costruzioni.
Contro tale decisione il condomino del piano terra ricorreva
in Cassazione, ritenendo errata la sentenza d'appello nella
parte in cui aveva applicato la disciplina generale delle
distanze anziché le norme speciali in tema di condominio che
consentono al singolo condomino di realizzare opere sulle
parti comuni. In ogni caso il ricorrente obiettava pure che
il terrazzo era connaturale alla struttura di copertura
dell'edificio ed era quindi di natura condominiale.
La decisione della Suprema corte. La Cassazione ha quindi
confermato la legittimità dell'installazione della canna
fumaria in questione sulla base di un articolato
ragionamento. In primo luogo i giudici hanno confermato come
la terrazza a livello, quale accessorio rispetto
all'alloggio posto allo stesso piano, prevalga su quella di
copertura dell'appartamento sottostante e, se dal titolo non
risulti il contrario, la terrazza medesima debba ritenersi
appartenente al proprietario dell'attico, di cui
strutturalmente e funzionalmente è parte.
Confermata la proprietà esclusiva del terrazzo, la Corte ha
concentrato la propria attenzione sul rapporto intercorrente
tra le norme generali in tema di distanze e la disciplina
del condominio. In particolare la Cassazione ha precisato
come ciascun condomino abbia il diritto di utilizzare la
parete perimetrale dell'edificio, avente natura
condominiale, per l'apposizione della canna fumaria, anche
senza alcuna autorizzazione da parte degli altri condomini,
purché, come nel caso in esame, si rispettino i limiti
previsti dalla legge, cioè non si alteri la destinazione del
muro e non si impedisca agli altri partecipanti di farne
ugualmente uso, a nulla rilevando la disciplina sulla
distanza delle costruzioni dalle vedute.
In altre parole, se sono stati rispettati i limiti sopra
detti previsti dalla normativa condominiale, deve ritenersi
legittima l'opera che sia stata realizzata in violazione
delle norme dettate per regolare i rapporti tra proprietà
esclusive, distinte e contigue. Del resto, come conclude la
Cassazione, la canna fumaria (che è un tubo in metallo) non
è una costruzione, ma un semplice accessorio di un impianto,
e quindi la sua installazione sul muro perimetrale deve
sempre ritenersi consentita, a meno che la stessa abbia
dimensioni del tutto abnormi e superiori alla media
(articolo ItaliaOggi Sette del 07.04.2014). |
CONDOMINIO: Canna fumaria, limiti solo dal regolamento.
Condominio. Solo l'accordo contrattuale può stabilire
divieti all'uso delle parti comuni che non siano previsti
dal Codice civile.
Quando si
tratta di installare una nuova canna fumaria (in genere per
esercizi pubblici di ristorazione) occorre fare i conti con
i divieti imposti dal regolamento di condominio e con le
caratteristiche minime di funzionalità e di efficienza
fissati da ponderose normative di sicurezza e di igiene.
Superati tutti questi ostacoli, spesso scatta l'opposizione
del vicino che lamenta la violazione delle distanze legali e
invoca il proprio diritto di condomino.
La materia era stata perfettamente illustrata dalla
giurisprudenza dei nostri Tribunali, in particolare dal
Tribunale di Milano (sentenza dell'08.02.2013) che
hanno dettato princìpi condivisi dalla Corte di Cassazione,
Sez. II civile,
con la recentissima
sentenza
03.03.2014 n. 4936.
Appunto la sentenza della Corte di Cassazione permette di
fornire un chiaro vademecum.
In primo luogo, è stato ribadito che le canne fumarie non
hanno natura di costruzione e quindi non sono soggette alle
precisa distanza legale di cui all'articolo 907 del Codice
civile (tre metri dal fondo del vicino).
L'indicazione è puntuale e merita di essere ribadita, per
evitare inutili contenziosi: in materia di canne fumarie, si
possono individuare ed invocare le norme richiamate più
avanti ma non può invocarsi il rispetto della distanza di
tre metri che riguarda le vere e proprie costruzioni
suscettibili di determinare intercapedine e non i semplici
impianti tecnologici, accessori di unità immobiliari.
In secondo luogo, è stato ribadito che l'installazione di
una canna fumaria lungo il muro perimetrale di un edificio
condominiale non è in contrasto con la natura del muro
comune e quindi può essere attuata dal singolo condomino,
purché nel rispetto dell'articolo 1102 del Codice civile,
per il quale il nuovo manufatto deve rispettare il decoro
architettonico dell'edificio e non violare il pari diritto
degli altri condòmini ad usare la parete comune. E deve
superare la doverosa comparazione tra i diritti chiamati in
discorso (bilanciamento degli interessi).
Da ultimo, poiché la canna fumaria comporta anche emissioni
di fumi o di vapori, occorrerà avere attenzione per la
salubrità e per l'eliminazione di odori.
Succinto è il compendio finale: non entra in discorso una
distanze legale fissa ma la disciplina che i condomini si
siano data in virtù del regolamento contrattuale.
In difetto di regolamento contrattuale la canna fumaria può
dirsi illegittima soltanto se viola apprezzabilmente i
diritti degli altri partecipanti al condominio al decoro
architettonico ed alla salubrità (articolo Il Sole 24 Ore del 04.03.2014). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
Aria. Illegittimità ordinanza contingibile per il
prolungamento della canna fumaria.
E’ Illegittima l’ordinanza per il prolungamento della canna
fumaria oltre 1,00 ml. il colmo del tetto con la proprietà
confinante.
Nel caso di specie, l'atto impugnato non è stato
preceduto da alcuna puntuale istruttoria, ma ha fatto
seguito solo alle "lamentele" di alcuni cittadini, non
suffragate da accertamenti tecnici sull’effettiva presenza
di fumi nocivi, pure ritenuti necessari dalla ASL e dalla
Provincia, che sul punto si sono limitate a rendere consulti
preliminari e interlocutori.
L’ordinanza impugnata non
indica nemmeno la concreta situazione di pericolo e di danno
limitandosi a far riferimento genericamente a “gas”, senza
specificarne la natura, l'effettiva sussistenza e il grado
di pericolosità.
3. Nel merito va premesso che l’ordinanza qui impugnata è
stata adottata ai sensi dell’art. 50 d.lgs. 267/2000.
Al quinto comma della citata disposizione si prevede che “in
caso di emergenze sanitarie o di igiene pubblica a carattere
esclusivamente locale le ordinanze contingibili e urgenti
sono adottate dal sindaco, quale rappresentante della
comunità locale".
4. Ciò posto, il ricorso appare fondato e meritevole di
accoglimento.
4.1. L'ordinanza impugnata ha pacificamente natura "contingibile
ed urgente", come induce chiaramente a ritenere sia
l’espresso richiamo all’art. 50, sia l'adozione dell'atto da
parte del sindaco, sia l'espressa finalizzazione del
provvedimento alla prevenzione ed eliminazione di pericoli
da immissioni nocive.
4.2. Ciò posto, è principio giurisprudenziale consolidato e
condiviso quello per cui il potere del Sindaco di emanare
ordinanze contingibili e urgenti, essendo espressione di un
potere atipico e residuale, può essere esercitato solo per
affrontare situazioni di carattere eccezionale ed
impreviste, costituenti concreta minaccia per la pubblica
incolumità e unicamente in presenza di un preventivo
accertamento della situazione che deve fondarsi su prove
concrete e non su mere presunzioni (TAR Piemonte, sez. I
27.06.2013 n. 843; id., sez. II, 12.06.2009, n. 1680; TAR
Bari, sez. III, 26.08.2008, n. 1986).
Ulteriore presupposto indefettibile per l'adozione di
siffatte ordinanze sindacali è la necessità di intervenire
urgentemente con misure eccezionali e imprevedibili di
carattere "provvisorio", non fronteggiabili con gli "ordinari"
mezzi previsti dall'ordinamento giuridico e a condizione
della "temporaneità dei loro effetti" (Corte Cost.,
sentenze 07.04.2011 n. 115 e 01.07.2009, n. 196 e Cons. St.,
sez. VI, 31.10.2013, n. 5276).
4.3. Nel caso di specie, l'atto impugnato:
- non è stato preceduto da alcuna puntuale istruttoria, ma
ha fatto seguito solo alle "lamentele" di alcuni
cittadini, non suffragate da accertamenti tecnici
sull’effettiva presenza di fumi nocivi, pure ritenuti
necessari dalla ASL e dalla Provincia, che sul punto si sono
limitate a rendere consulti preliminari e interlocutori;
- non si è fondato su prove concrete, ma su presupposti
generici, non essendo mai stato acquisito l’approfondimento
istruttorio poc’anzi menzionato, come si desume dalle stesse
premesse dell’ordinanza, ove si dà atto della presenza
immissioni di immissioni aeree di gas “presumibilmente
nocive o pericolose”. L’ordinanza impugnata non indica
nemmeno la concreta situazione di pericolo e di danno
limitandosi a far riferimento genericamente a “gas”,
senza specificarne la natura, l'effettiva sussistenza e il
grado di pericolosità (cfr. TAR Piemonte, sez. II,
07.07.2010, n. 3000; TAR Catania, sez. I 29.09.2011, n.
2371);
- non ha fornito riscontro della necessità di provvedere con
immediatezza in ordine a situazioni di carattere eccezionale
ed imprevedibile, cui fosse impossibile fare fronte con gli
strumenti ordinari apprestati dall'ordinamento.
Non è configurabile, pertanto, il requisito della
contingibilità, tenuto conto che l'ordinanza gravata non
reca alcuna motivazione in ordine all'impossibilità, per il
Comune -nei limiti della propria competenza- di utilizzare
gli ordinari strumenti di accertamento e contestazione, nel
rispetto delle regole procedimentali di partecipazione;
- appare insussistente, infine, qualsiasi profilo di tutela
dell’interesse diffuso, posto che il provvedimento è
limitato alle possibili immissioni della canna fumaria
dirette verso la proprietà confinante, incidendo, quindi,
esclusivamente nei rapporti tra i privati.
4.4 Superare i segnalati limiti che circoscrivono
l’esercizio del potere di cui all’art. 50 d.lgs. 267/2000,
equivarrebbe ad ampliare in maniera incongrua –oltre che
lesiva del principio di tipicità dei provvedimenti
amministrativi e dello stesso principio di legalità
dell'azione amministrativa- i poteri di ordinanza extra
ordinem del Sindaco, che vanno invece circoscritti, come
esposto, a situazioni di carattere tendenzialmente
eccezionale non fronteggiabili con gli ordinari strumenti
previsti dall'ordinamento (massima tratta da
www.lexambiente.it -
TAR Piemonte, Sez. I,
sentenza 21.02.2014 n. 322 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
D. de Paolis,
Scarico a parete o a tetto degli impianti negli edifici:
guida di orientamento pratico
(Bollettino di Legislazione Tecnica n. 2/2014). |
anno 2013 |
|
EDILIZIA PRIVATA: Oggetto:
Quesiti interpretativi urgenti in merito all'art. 17-bis
della legge n. 90 del 03.08.2013 (Ministero
dello Sviluppo Economico,
nota 18.12.2013 n. 24957 di prot. -
tratto da www.acca.it).
---------------
Caldaia e scarico a parete, ecco i chiarimenti del Ministero.
Il Ministero dello Sviluppo Economico (MISE) in risposta a
un quesito posto fornisce chiarimenti sulle caldaie che
possono essere installate in deroga all’obbligo di
evacuazione dei prodotti della combustione con sbocco sopra
il tetto.
Inoltre, precisa che (in base all’art. 5, comma 9-ter del
D.P.R. 412/1993) i generatori di calore che sono stati
installati successivamente al 31.08.2013 devono possedere le
seguenti caratteristiche:
●
un rendimento termico utile maggiore o uguale a 90+2log (Pn),
in corrispondenza di un carico termico pari al 100% della
potenza termica utile nominale;
●
appartenere alla classe 4 o 5, secondo la classificazione
relativa alle emissioni di NOx indicata dalla norma UNI EN
297, UNI EN 483 e UNI EN 15502 (16.01.2014 -
Ministero dello Sviluppo Economico,
nota 18.12.2013 n. 24957 di prot. - link a
www.acca.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
E' legittima l’ordinanza
di demolizione di una canna fumaria esterna (in parete da
terra) laddove “restringe il passaggio pedonale tra le
proprietà riducendolo da 2,00 mt. a 1,55 mt.”.
Peraltro quale sia la misura esatta poco importa al fine di
determinare la legittimità -o meno- della nuova canna
fumaria, essendo rilevante solo il fatto che la distanza
preesistente è stata ridotta per effetto della realizzazione
della canna fumaria esterna.
Tale riduzione della distanza preesistente deve ritenersi
illegittima per i motivi indicati nella ordinanza di
demolizione, e cioè per la ragione che l’art. 9 del D.M.
1444/1968 prescrive, nelle zone A, che le distanze tra gli
edifici “non possono essere inferiori a quelle intercorrenti
tra i volumi edificati preesistenti, computati senza tener
conto di costruzioni aggiuntive di epoca recente e prive di
valore storico, artistico, ambientale”.
E’ noto, infatti, che la giurisprudenza è consolidata nel
qualificare le distanze tra fabbricati indicate dal D.M.
1444/1968 come inderogabili, in quanto poste a presidio di
interessi aventi carattere pubblicistico, e nell’affermare
che le Amministrazioni sono tenute a disapplicare le
eventuali norme urbanistiche ed edilizie che prevedano
distanze inferiori, le quali debbono intendersi
automaticamente sostituite nei rapporti tra privati ed
Amministrazioni.
Alcuna rilevanza possono quindi esplicare eventuali accordi
tra privati che consentano la deroga di tali distanze.
E’ poi da escludersi che la canna fumaria in argomento, che
si riferisce avere dimensioni di circa 45 cm x 65 cm e si
eleva da terra sino al tetto, possa qualificarsi quale mero
sporto, per tale dovendosi intendere solo le sporgenze quali
mensole, lesene, canalizzazioni di gronde e loro sostegni o
altre sporgenze aventi funzione decorativa, purché di
modeste dimensioni. Tali elementi debbono invece computarsi
ai fini del rispetto delle distanze legali quando di fatto
siano destinati ad ampliare il fronte abitativo: nel caso di
specie è evidente che la realizzazione della canna fumaria
esterna ha evitato di perdere superficie e volumetria utile
all’interno dell’edificio, ed in tal senso ha contribuito ad
espandere la zona di godimento.
Quanto alla canna fumaria, realizzata
verso la proprietà A. esternamente al muro di
fabbrica, emerge evidente dai documenti acquisiti agli atti
del giudizio sia la illegittimità per violazione del D.M.
1444/1968 sia la abusività perché eseguita in difformità dal
titolo edilizio.
La parete perimetrale interessata dalla canna
fumaria di che trattasi è quella prospiciente il balcone di
proprietà A., cioè la facciata che nei disegni
prodotti da parte ricorrente è indicata come prospetto
nord-ovest, riconoscibile dalla porticina collocata
nell’angolo in basso a sinistra trasformata, a seguito dei
lavori, in finestra munita di inferiate. I disegni
depositati da parte ricorrente in data 12.12.2008
evidenziano che prima dei lavori (“stato attuale”) sulla
parete non esisteva nulla, se non la porticina in basso, e
neppure veniva evidenziato alcun comignolo. Il disegno del
prospetto nord-ovest ad opere ultimate riproduce, invece, un
vistoso comignolo. L’attento esame dei disegni relativi al
prospetto sud, che ritrae la parete nord-ovest in sezione,
conferma che un tempo il comignolo, ben evidente invece
nello stato di progetto e nel disegno delle opere ultimate,
non esisteva. Tali elaborati non consentono, tuttavia, di
apprezzare la fuoriuscita della canna fumaria dal muro
perimetrale, essendo state riportate solo delle quote
altimetriche. La canna fumaria esterna al muro perimetrale
costituisce quindi un’opera nuova che non si può ritenere
assentita con il permesso di costruire 68/08, da cui il suo
essere abusiva. Peraltro, ove pure risultasse che essa era
compresa tra le opere assentite, non si potrebbe non
considerare che la ricorrente non ha dedotto tale
circostanza quale motivo di illegittimità, in parte qua,
della ordinanza di demolizione.
Ciò chiarito va detto che la nota del Responsabile
del Servizio del 23.02.2009 non appare affatto
inattendibile laddove riferisce che la distanza tra la canna
fumaria ed il fabbricato A. è di circa 150 cm.: in
particolare elementi in segno contrario non possono
rinvenirsi nella nota del 12.08.2008 della signora A., ove la controinteressata ha scritto che la
canna fumaria “restringe il passaggio pedonale tra le
proprietà riducendolo da 2,00 mt. a 1,55 mt., ed è stata
realizzata prima del rilascio della concessione edilizia. Il
camino sbocca all’altezza del balcone della mia proprietà ad
una distanza di circa 2 metri….”.
Nella missiva in esame,
dunque, si trova un diretto riscontro alla misura indicata
dal Responsabile del Servizio, e si riferisce la distanza di
2 metri solo all’altezza del balcone: tale circostanza si
spiega chiaramente con il fatto che il primo piano del
fabbricato A. è notevolmente arretrato rispetto al
piano terreno, ciò che si apprezza esaminando il disegno
acquisito dal Comune che reca la dicitura “realizzazione di
camino a distanza non regolamentare”, disegno che riproduce
il balcone, visibile anche nelle fotografie recanti la
dicitura “aumento eccessivo dello sporto del tetto”. La
lettera del 12.08.2008 proveniente dalla signora A. è dunque coerente laddove riferisce distanze
diverse dalla canna fumaria a livello del passaggio ed a
livello del balcone, e rende attendibili le misure riferite
dal responsabile del Servizio.
Peraltro quale sia la misura esatta poco importa al
fine di determinare la legittimità della nuova canna
fumaria, essendo rilevante solo il fatto che la distanza
preesistente è stata ridotta per effetto della realizzazione
della canna fumaria esterna. Tale riduzione della distanza
preesistente deve ritenersi illegittima per i motivi
indicati nella ordinanza di demolizione, e cioè per la
ragione che l’art. 9 del D.M. 1444/1968 prescrive, nelle zone
A, che le distanze tra gli edifici “non possono essere
inferiori a quelle intercorrenti tra i volumi edificati
preesistenti, computati senza tener conto di costruzioni
aggiuntive di epoca recente e prive di valore storico,
artistico, ambientale”.
E’ noto, infatti, che la giurisprudenza è consolidata nel
qualificare le distanze tra fabbricati indicate dal D.M.
1444/1968 come inderogabili, in quanto poste a presidio di
interessi aventi carattere pubblicistico, e nell’affermare
che le Amministrazioni sono tenute a disapplicare le
eventuali norme urbanistiche ed edilizie che prevedano
distanze inferiori, le quali debbono intendersi
automaticamente sostituite nei rapporti tra privati ed
Amministrazioni (C.d.S. sez. IV nn. 6909/2005 e 7731/2010).
Alcuna rilevanza possono quindi esplicare eventuali accordi
tra privati che consentano la deroga di tali distanze.
E’ poi da escludersi che la canna fumaria in argomento, che
si riferisce avere dimensioni di circa 45 cm x 65 cm e si
eleva da terra sino al tetto del fabbricato C., possa
qualificarsi quale mero sporto, per tale dovendosi intendere
solo le sporgenze quali mensole, lesene, canalizzazioni di
gronde e loro sostegni o altre sporgenze aventi funzione
decorativa, purché di modeste dimensioni. Tali elementi
debbono invece computarsi ai fini del rispetto delle
distanze legali quando di fatto siano destinati ad ampliare
il fronte abitativo (C.d.S. sez. IV n. 6909/2005 cit.): nel
caso di specie è evidente che la realizzazione della canna
fumaria esterna ha evitato di perdere superficie e
volumetria utile all’interno dell’edificio, ed in tal senso
ha contribuito ad espandere la zona di godimento.
L’ordinanza di demolizione è dunque esente da vizi laddove
indica le ragioni della illegittimità della canna fumaria
esterna di cui è stata ordinata la rimozione
(TAR Piemonte, Sez. I,
sentenza 09.10.2013 n. 1052 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Non
può configurarsi come elemento meramente accessorio
dell'edificio la realizzazione di una canna fumaria, che,
pur non consistendo in opere murarie, in quanto realizzata
in metallo od altro materiale, vada a soddisfare esigenze
non precarie del costruttore, ciò comportando una modifica
del prospetto e della sagoma del fabbricato cui inerisce,
riconducendosi tale intervento nell'ambito delle opere di
ristrutturazione edilizia di cui all'art. 3, comma 1, lett.
d), del D.P.R. n. 380 del 2001 (T.U. Edilizia), realizzate
mediante inserimento di nuovi elementi ed impianti,
assoggettato al regime del permesso di costruire ai sensi
dell'art. 10, comma 1, lett. c), dello stesso D.P.R..
Nel settimo e ottavo motivo si sostiene la “piccola
entità” delle opere in relazione alle quali il Comune ha
ordinato la demolizione, in quanto suscettibili di rientrare
nell’ambito dell’edilizia residenziale libera.
L’argomentazione non è condivisibile.
Sul punto va ricordato come la realizzazione dei camini sia
avvenuta in difformità di un precedente permesso di
costruire, circostanza che ha reso indispensabile
l’esperimento della procedura di cui all’art. 36 del Dpr
380/2001.
E’, allora, applicabile quell’orientamento giurisprudenziale
(TAR Campania Napoli Sez. VIII, 01.10.2012, n. 4005)
nell’ambito del quale si è sancito che “non può
configurarsi come elemento meramente accessorio
dell'edificio la realizzazione di una canna fumaria, che,
pur non consistendo in opere murarie, in quanto realizzata
in metallo od altro materiale, vada a soddisfare esigenze
non precarie del costruttore, ciò comportando una modifica
del prospetto e della sagoma del fabbricato cui inerisce,
riconducendosi tale intervento nell'ambito delle opere di
ristrutturazione edilizia di cui all'art. 3, comma 1, lett.
d), del D.P.R. n. 380 del 2001 (T.U. Edilizia), realizzate
mediante inserimento di nuovi elementi ed impianti,
assoggettato al regime del permesso di costruire ai sensi
dell'art. 10, comma 1, lett. c), dello stesso D.P.R.”.
I camini di cui si tratta non sono suscettibili nemmeno di
rientrare nella disciplina della c.d. DIA e, ciò,
considerando come con gli stessi si sia posta in essere una
modifica dei prospetti dell’edificio e delle parti comuni
(TAR Veneto, Sez. II,
sentenza 13.06.2013
n. 825 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA -
EDILIZIA PRIVATA:
Canna fumaria fastidiosa, no alla rimozione.
Stop alla canna fumaria che con le sue emissioni assedia la
casa del vicino. E ciò anche se il regolamento comunale che
dispone l'altezza minima delle condotte di scarico risulta
successivo alla costruzione «incriminata»: il principio
dell'irretroattività, infatti, non vale quando il
provvedimento del Comune è adottato a tutela della salute
degli individui.
Ciò che invece l'amministrazione non può fare è ordinare
tout court l'abbattimento del manufatto senza studiare con
il proprietario dell'immobile soluzioni alternative alla
demolizione come l'adeguamento dei tubi, che pure
consentirebbe di superare le criticità lamentate dal
confinante.
È quanto emerge dalla III Sez.,
sentenza 22.05.2013 n. 1165,
pubblicata dal TAR Puglia-Lecce.
Abbattimento e adeguamento
Accolto il ricorso del proprietario della canna fumaria
denunciato dal vicino che ha la casa invasa dai fumi.
Stavolta il servizio urbanistica ed edilizia pubblica del
Comune è più realista del re: il confinante chiede soltanto
un adeguamento del condotto di scarico, sbaglia
l'amministrazione a decidere direttamente di imporre la
rimozione. Inutile per il proprietario «condannato»
all'abbattimento eccepire che il manufatto è lì da sempre,
mentre è il vicino ad aver sopraelevato la sua costruzione
così oggi si trova esposto alle esalazioni del comignolo.
Né giova osservare che il manufatto preesiste allo stesso
regolamento comunale: è vero, le norme sopravvenute sulle
distanze tra gli edifici non esplicano di solito efficacia
retroattiva su situazioni già consolidate. Qui, però, il
servizio del Comune interviene contro la cattiva dispersione
dei fumi immessi nell'atmosfera, che possono risultare
nocivi: l'ordinanza, insomma, risulta dettata dalla
necessità «di eliminare o di attenuare la preesistente
situazione di rischio igienico-sanitario».
Ma attenzione: un conto è l'abbattimento dell'intera
struttura, ragionano i giudici amministrativi, un altro è
l'adeguamento tecnico. Trova allora ingresso la censura che
sostiene la nullità dell'ordinanza per violazione della
legge 241/90, articolo 7, sulla trasparenza amministrativa:
l'ente locale avrebbe dovuto convocare l'interessato per un
confronto su come eliminare il paventato rischio di
inquinamento (tratto da ItaliaOggi Sette
del 12.08.2013). |
EDILIZIA PRIVATA:
Qualora le preesistenti canne fumarie per le loro
caratteristiche di funzionamento, di combustione e di
diffusione di fumi, vengono comunque a determinare gravi
inconvenienti igienico-sanitari per gli abitanti delle
costruzioni vicine a causa della nocività dei fumi immessi
nell’atmosfera o della loro cattiva dispersione, la
competente Autorità è comunque facoltizzata a porre rimedio
a tale situazione di fastidio e di pericolo per la salute
pubblica, anche attraverso l’imposizione di obblighi di
adeguamento degli impianti di dispersione dei fumi alle
norme regolamentari sopravvenute, se in grado di eliminare o
di attenuare la preesistente situazione di rischio igienico
sanitario.
Pertanto, nel caso di specie, è illegittima l'ordinanza di
rimozione della canna fumaria senza convenientemente
procedere ad una doverosa ricerca di eventuali soluzioni
alternative, idonee ad eliminare il paventato rischio di
inquinamento.
Tale valutazione, ad avviso del collegio, sarebbe stata
nella fattispecie vieppiù necessaria in considerazione
proprio della preesistenza della canna fumaria ad un
regolamento intervenuto a distanza di decenni.
Infine, la evidenziata necessità di una scelta
amministrativa più ponderata (l’adeguamento non si
identifica con la rimozione) non può che giustificare
l’ulteriore doglianza espressa dalla ricorrente in ordine
alla omessa comunicazione di avvio del procedimento ex art.
7 L. n. 241/1990.
Va da sé infatti che l’assenza di un vincolo puntuale
avrebbe dovuto indurre l’Amministrazione a garantire la
partecipazione dell’interessato ai fini, evidentemente, di
una soluzione tecnico-amministrativa la più appropriata.
L’art 194 del Regolamento di igiene e sanità del
comune di Monteroni, entrato in vigore il 27/12/1974,
stabilisce che “le tubazioni di scarico di fumi, fuliggini,
polveri, gas, vapori, devono essere portate ad esalare fin
sopra del tetto e la bocca di scarico deve trovarsi ad una
distanza, misurata orizzontalmente, non inferiori a m. 3
dalla verticale innalzata dal ciglio stradale o dal limite
di altri spazi pubblici o di proprietà di terzi”.
In applicazione di tale disposizione, quindi, il
responsabile del Servizio urbanistica–edilizia pubblica e
privata ha ritenuto di dover ordinare alla ricorrente sig.ra Madaro la rimozione della canna fumaria insistente sul
fabbricato di sua proprietà, sito in via D’Arpe n. 12, in
quanto non conformi alla distanza e all’altezza previste.
Orbene, la ricorrente sostanzialmente sostiene che nessuna
violazione delle norme disciplinanti le distanze della
proprietà vicinale può essere a lei ascritta, posto che
l’immobile dotato di canna fumaria sarebbe stato costruito
alla fine del secolo XIX, senza che nel tempo fosse
intervenuto alcun intervento strutturale (la canna fumaria
sarebbe stata interessata soltanto da lavori di pulizia e
manutenzione).
Sicché la situazione contraria a regolamento sarebbe stata
semmai determinata dalla stessa sig.ra Cappello
(denunciante) la quale, soltanto negli anni successivi al
1977 (conc. edilizia n. 287/1977 e n. 111/1980), avrebbe
realizzato la sopraelevazione della propria abitazione a
piano terra, nonché la costruzione di un ripostiglio al
secondo piano.
Ciò stante non è dubbio, in base ai condivisibili
orientamenti giurisprudenziali richiamati dalla ricorrente,
che lo ius superveniens sulle distanze tra gli edifici non
può, di norma, esplicare efficacia retroattiva su situazioni
già consolidate.
Occorre tuttavia rilevare come l’ordinanza impugnata non è
stata adottata nell’esercizio del potere di controllo in
materia edilizia, bensì per rimediare agli inconvenienti
igienico-sanitari prodotti da una canna fumaria non conforme
al sopravvenuto Regolamento comunale in materia.
Nonostante quindi il su richiamato principio di
irretroattività, ritiene il Collegio di poter ribadire che
“qualora le preesistenti canne fumarie per le loro
caratteristiche di funzionamento, di combustione e di
diffusione di fumi, vengono comunque a determinare gravi
inconvenienti igienico-sanitari per gli abitanti delle
costruzioni vicine a causa della nocività dei fumi immessi
nell’atmosfera o della loro cattiva dispersione, la
competente Autorità sia comunque facoltizzata a porre
rimedio a tale situazione di fastidio e di pericolo per la
salute pubblica, anche attraverso l’imposizione di obblighi
di adeguamento degli impianti di dispersione dei fumi alle
norme regolamentari sopravvenute, se in grado di eliminare o
di attenuare la preesistente situazione di rischio igienico
sanitario” (TAR Marche sent. n. 960 del 06/08/2003).
Appare però evidente come, nel caso in esame, il comune di
Monteroni sia pervenuto alla determinazione di ordinare la
rimozione della canna fumaria senza convenientemente
procedere ad una doverosa ricerca di eventuali soluzioni
alternative, idonee ad eliminare il paventato rischio di
inquinamento.
Tale valutazione, ad avviso del collegio, sarebbe stata
nella fattispecie vieppiù necessaria in considerazione
proprio della preesistenza della canna fumaria ad un
regolamento intervenuto a distanza di decenni.
D’altro canto la stessa sig.ra Cappello, dal cui esposto
muove il comune di Monteroni per assumere la contestata
determinazione, si limita soltanto a sollecitare un
adeguamento della canna fumaria in questione.
Infine, la evidenziata necessità di una scelta
amministrativa più ponderata (l’adeguamento non si
identifica con la rimozione) non può che giustificare
l’ulteriore doglianza espressa dalla ricorrente in ordine
alla omessa comunicazione di avvio del procedimento ex art. 7
L. n. 241/1990.
Va da sé infatti che l’assenza di un vincolo puntuale
avrebbe dovuto indurre l’Amministrazione a garantire la
partecipazione dell’interessato ai fini, evidentemente, di
una soluzione tecnico-amministrativa la più appropriata.
Alla luce delle suesposte considerazioni il ricorso pertanto
deve essere accolto fatti salvi gli ulteriori provvedimenti
che l’Amministrazione, previo contraddittorio, riterrà di
dover adottare
(TAR Puglia-Lecce, Sez. III,
sentenza 22.05.2013 n. 1165 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA -
EDILIZIA PRIVATA:
Distanze tra camini, violazione di regolamenti
comunali: è molestia possessoria.
Con
l'interessante
sentenza 06.03.2013
il TRIBUNALE di Taranto è intervenuto in materia di distanze
tra camini risolvendo la questione proposta.
Nel caso di specie, alcuni condomini di uno stabile
lamentavano l’illiceità di una sezione di sfiato, di forma
circolare, della cappa situata all’interno di un locale a
piano terra dello stabile; cappa destinata ad aspirare verso
l’esterno le esalazioni provenienti dalla cottura di cibi
per la ristorazione d’asporto. Tale infatti era l’utilizzo
del locale concesso per permettere la gestione di una
pizzeria da asporto.
Gli attori, proprietari degli appartamenti vicini al locale,
lamentavano, sotto il profilo della manutenzione del
possesso ex art. 1170 cod. civ. la violazione delle distanze
prescritte dalla disciplina regolamentare applicabile in
materia. Inoltre, gli stessi chiedevano una tutela in forma
specifica per neutralizzare la fonte del pregiudizio
lamentato in quanto le esalazioni proveniente dal
locale–pizzeria pregiudicavano in ogni caso la salute ovvero
il godimento sereno dell’abitazione. Si noti che l’esercizio
dell’azione avveniva sia nella forma del ricorso per
denuncia di nuova opera e di danno temuto sia in termini di
ricorso d’urgenza ex art. 669-bis, avuto riguardo alla
tutela obbligatoria ex art. 2043 c.c.
Il giudice, nel dirimere la questione, afferma che quando la
proprietà individuale viene in conflitto con la presenza di
canne fumarie –o con l’equiparabile ventola di sfiato di
esalazioni provenienti da cucina– il legislatore ha inteso
risolvere il tema con la regola generale di cui all’art. 890
del cod. civ., in base al quale è imposto che i camini ed
opere simili a confine della proprietà devono rispettare le
distanze prescritte dai regolamenti ed, in mancanza, quelle
necessarie a preservare i fondi vicini da ogni danno alla
solidità, salubrità e sicurezza. Grazie a questa norma –si
legge nella sentenza– la proprietà risulta conformata nel
suo contenuto, nel senso che i camini ed opere similari,
come in questo caso lo sfiato di areazione di cucina
commerciale, devono trovarsi alle prescritte distanze.
Conseguentemente la violazione delle prescrizioni
regolamentari sulle distanze comporta una lesione petitoria
e quindi, ricorrendone i presupposti anche soggettivi, una
lesione al possesso. Questa forma di pregiudizio comporterà,
alla fonte di formazione secondaria contenuta nell’art. 890
cod. civ. In buona sostanza, secondo i giudici di merito, i
ricorrenti hanno agito correttamente ex art. 1170 cod. civ.,
dal momento che il mancato rispetto delle prescrizioni
regolamentari tipizzate nel posizionamento di camini ed
opere simili può integrare una molestia possessoria.
Infine, secondo il Tribunale, in caso di condotta che viola
le prescrizioni regolamentari sulle distanze non è
necessario accertare la ricorrenza in concreto della
nocività per il vicino delle esalazioni; infatti imponendo
la norma applicabile una certa distanza o una certa
conformazione dell’impianto di areazione, quando si tratta
di edificio condominiale, è il legislatore che ha già
operato la valutazione di pericolosità. Rebus sic stanti
bus, è evidente come la realizzazione dello sfiato a
servizio dell’impianto di aerazione della pizzeria viola in
primo luogo la prescrizione che impone che l’esalazione sia
convogliata in canne ed in modo che trovino sicuro sfogo con
apposito comignolo al di là del tetto; in secondo luogo
quella sulla distanza minima di metri 2,5.
Da qui l’accoglimento della domanda in ordine alla
eliminazione della sezione finale di sfiato della cappa a
servizio del locale commerciale, situato al piano terra (TRIBUNALE
di Taranto, Sez. II civile,
sentenza 06.03.2013 -
link a www.altalex.com). |
EDILIZIA PRIVATA: La
realizzazione di una canna fumaria
(nella fattispecie, in
lamiera d’acciaio inox del
diametro di circa 30 cm. e di altezza di circa 10 ml.
fuoriuscente sulla parete esterna che si affaccia sul
cortile)
deve ritenersi
riconducibile ai lavori di ristrutturazione edilizia di cui
all'articolo 3, comma 1°, lettera d), del D.P.R. n.
380/2001, realizzati tramite inserimento di nuovi elementi
ed impianti, e, dunque, soggetta al regime del permesso di
costruire, ai sensi dell'articolo 10, comma primo, lettera
c), dello stesso D.P.R. laddove comporti, come nel caso di
specie, una modifica del prospetto del fabbricato cui
inerisce.
Peraltro, il preventivo rilascio del permesso di costruire
può configurarsi anche in presenza di opere alle quali
consegua una trasformazione del tessuto urbanistico ed
edilizio, anche se esse non consistano in opere murarie,
essendo realizzate in metallo, in laminati di plastica, in
legno od altro materiale, in presenza di trasformazioni
preordinate a soddisfare esigenze non precarie del
costruttore.
Poi, nel caso delle canne fumarie, la giurisprudenza ha
ravvisato la necessità del previo rilascio del permesso di
costruire qualora esse non presentino piccole dimensioni,
siano di palese evidenza rispetto alla costruzione e alla
sagoma dell'immobile, e non possano considerarsi un elemento
meramente accessorio, ovvero di ridotta e aggiuntiva
destinazione pertinenziale, come tale assorbito o occultato
dalla preesistente struttura dell'immobile.
... per l'annullamento dell’ordinanza n. 146
dell’11.09.2012, con la quale sono state ingiunte la
sospensione lavori e la rimessione in pristino
dell'originale stato dei luoghi.
...
- che con ordinanza del 22.11.2012, n. 9704/2012 sono stati
disposti incombenti istruttori a carico del Comune, eseguiti
mediante deposito in atti di apposita relazione da cui
emerge l’avvenuto sopralluogo da parte dei tecnici comunali
volto a “verificare la consistenza e le caratteristiche
di una canna fumaria…. realizzata in lamiera d’acciaio inox
di diametro di circa 30 cm. e di altezza di circa 10 ml.;
fuoriesce sulla parete esterna che si affaccia sul cortile e
dal piano del calpestio dello stesso dopo alcune curve
termina sul terrazzo posto al 3° piano….“E’ da considerarsi
un intervento di nuova costruzione in quanto totalmente
diversa per materiale dimensione e posizionamento da quella
rimossa con modifica dell’aspetto esteriore e pertanto
necessita di autorizzazione paesaggistica ex d.lvo n.
42/2004”;
- che il ricorso
deve ritenersi infondato e, pertanto, va respinto;
- che, al fine del decidere, il Collegio non può che
rilevare che l'intervento in esame deve ritenersi
riconducibile ai lavori di ristrutturazione edilizia di cui
all'articolo 3, comma 1°, lettera d), del D.P.R. n.
380/2001, realizzati tramite inserimento di nuovi elementi
ed impianti, e, dunque, soggetto al regime del permesso di
costruire, ai sensi dell'articolo 10, comma primo, lettera
c), dello stesso D.P.R. laddove comporti, come nel caso di
specie, una modifica del prospetto del fabbricato cui
inerisce, peraltro riscontrabile dalle riproduzioni
fotografiche in atti;
- che il preventivo rilascio del permesso di costruire può
configurarsi anche in presenza di opere alle quali consegua
una trasformazione del tessuto urbanistico ed edilizio,
anche se esse non consistano in opere murarie, essendo
realizzate in metallo, in laminati di plastica, in legno od
altro materiale, in presenza di trasformazioni preordinate a
soddisfare esigenze non precarie del costruttore;
- che nel caso delle canne fumarie, la giurisprudenza ha
ravvisato la necessità del previo rilascio del permesso di
costruire, qualora esse non presentino piccole dimensioni,
siano di palese evidenza rispetto alla costruzione e alla
sagoma dell'immobile, e non possano considerarsi un elemento
meramente accessorio, ovvero di ridotta e aggiuntiva
destinazione pertinenziale, come tale assorbito o occultato
dalla preesistente struttura dell'immobile;
- che dalle riproduzioni fotografiche depositate in atti, la
canna fumaria installata sull'edificio in esame per
dimensioni, l'altezza, la relativa conformazione, risulta
incidere notevolmente sul prospetto e la sagoma della
costruzione su cui è installata, non potendosi, perciò,
considerarsi, contrariamente a quanto prospettato dal
ricorrente, un elemento meramente accessorio ovvero di
ridotta e aggiuntiva destinazione pertinenziale, come tale
assorbito o occultato dalla preesistente struttura
dell'immobile;
- che, pertanto, per le considerazioni che precedono, il
ricorso deve essere respinto (TAR
Lazio-Roma, Sez. I-quater,
sentenza 25.02.2013 n. 2015 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
D. Logozzo,
Le ondivaghe pronunce in materia di volumi tecnici: il
problema irrisolto delle canne fumarie (Urbanistica
e appalti n. 2/2013). |
EDILIZIA
PRIVATA:
La
ristrutturazione è una categoria duale, in quanto contiene
al proprio interno una fattispecie pesante, parificata alla
nuova costruzione (v. art. 10, comma 1-c, del DPR 06.06.2001
n. 380), e una leggera, che riguarda gli interventi edilizi
meno impattanti, individuati per residualità e in definitiva
consistenti in opere sottoposte, se considerate
singolarmente, ad autorizzazione edilizia o a DIA semplice.
---------------
Sul piano edilizio bisogna precisare innanzitutto che nel
caso di difformità dalla concessione edilizia (o dal
permesso di costruire) l’abuso deve essere valutato come
opera a sé stante, immaginando la situazione abusiva come
un’autonoma edificazione senza titolo. Pertanto, opere che
se osservate ex ante si collegano ad altri interventi per
formare un insieme sistematico e come tali, configurando una
ristrutturazione pesante o una nuova costruzione,
richiederebbero la concessione edilizia (o il permesso di
costruire), se osservate ex post, ai fini dell’eventuale
regolarizzazione, devono essere considerate solo per la
consistenza della parte abusiva.
Nello specifico, la demolizione di una canna fumaria con
ricostruzione della stessa in altra posizione e con
differenti modalità costruttive è un intervento soggetto ad
autorizzazione (v. art. 7, comma 2-a, del DL 23.01.1982 n.
9) e poi a DIA semplice (v. art. 4, comma 7-f, del DL
05.10.1993 n. 398; art. 22, commi 1 e 2, del DPR 380/2001).
Questo inquadramento si fonda sull’assimilazione delle canne
fumarie ai volumi tecnici e sul collegamento funzionale tra
le canne fumarie e gli impianti tecnologici. Ne consegue che
l’esecuzione in difformità dalla concessione edilizia delle
predette opere costituisce abuso minore, non qualificabile
come variazione essenziale (v. art. 8, comma 2, della legge
47/1985; art. 32, comma 2, del DPR 380/2001), e dunque
ricadente nella disciplina sulla regolarizzazione di cui
all’art. 37 del DPR 380/2001.
---------------
L’art. 37 del DPR 380/2001 contempla due ipotesi principali:
la regolarizzazione in presenza di conformità urbanistica
(v. comma 4) e la regolarizzazione in assenza di conformità
urbanistica (v. comma 1). La diversità delle due ipotesi è
rimarcata dal differente sistema di calcolo della sanzione
pecuniaria. Al contrario di quanto avviene per gli abusi
maggiori, dove è comunque richiesta la conformità
urbanistica (v. art. 36 del DPR 380/2001), gli abusi minori
consentono quindi la sanatoria edilizia anche nel caso di
difformità urbanistica.
Nella vicenda in esame vi è in effetti contrasto con la
disciplina urbanistica, perché l’art. 3.4.43 del regolamento
locale di igiene (nel testo in vigore all’epoca dei fatti)
stabilisce che le canne fumarie devono superare di almeno 40
cm il colmo del tetto e prevede che in caso contrario siano
collocate ad almeno 8 metri dall’edificio più vicino.
In proposito si deve però osservare che il regolamento
locale di igiene ha una doppia funzione, in quanto integra
la disciplina urbanistica ma tutela interessi pubblici di
natura igienico-sanitaria (nel caso delle canne fumarie la
tutela pubblica ha come scopo la protezione dei cittadini
dalle emissioni moleste e inquinanti).
Dunque la norma può essere scissa in due componenti. Sul
piano edilizio il mancato rispetto dell’altezza del camino e
della distanza dall’edificio prossimo, riguardando volumi
tecnici e impianti tecnologici, è regolarizzabile mediante
la sanzione pecuniaria di cui all’art. 37, comma 1, del DPR
380/2001. La possibilità della regolarizzazione è però
subordinata alla concessione di una deroga sul piano
igienico-sanitario.
---------------
La preesistenza della canna fumaria può assumere rilievo ma
non è decisiva. In realtà, considerata la natura degli
interessi pubblici tutelati, la preesistenza non
garantirebbe la possibilità di utilizzare indefinitamente la
canna fumaria neppure nella configurazione originaria, e
quindi a maggior ragione non assicura il mantenimento
dell’opera modificata.
Tuttavia perché possa essere adottato un ordine di
demolizione occorre che il disturbo provocato ai vicini sia
intollerabile e non meramente presunto in base al mancato
rispetto della distanza minima. Il maggiore o minore grado
di tollerabilità delle emissioni della canna fumaria non
dipende solo dalla distanza ma anche dalla natura degli
inquinanti. Il grado di pericolosità dei fumi delle stufe a
legna è superiore a quello dei fumi degli impianti a metano,
e tra le stufe a legna occorre distinguere quelle
tradizionali e quelle più moderne ad alta efficienza e
dotate di filtri.
Ne consegue che la distanza massima dalle abitazioni vicine
deve essere applicata quando le canne fumarie siano
collegate a impianti a legna obsoleti e molto inquinanti,
mentre nelle altre ipotesi è possibile concedere delle
deroghe.
... per l'annullamento dell’ordinanza del responsabile del
procedimento n. 3 del 22.01.2002, con la quale è stato
intimato alla ricorrente di demolire entro 90 giorni la
canna fumaria e la cassonatura esterna posizionando il
comignolo a una distanza non inferiore a 8 metri dagli
edifici confinanti;
...
Sulle questioni sollevate nel ricorso si possono svolgere le
seguenti considerazioni:
Intervento edilizio complessivo e opere
abusive
(a) la ricorrente ha eseguito un insieme di lavori che sono
classificabili come ristrutturazione edilizia. Peraltro la
ristrutturazione è una categoria duale, in quanto contiene
al proprio interno una fattispecie pesante, parificata alla
nuova costruzione (v. art. 10, comma 1-c, del DPR 06.06.2001
n. 380), e una leggera, che riguarda gli interventi edilizi
meno impattanti, individuati per residualità e in definitiva
consistenti in opere sottoposte, se considerate
singolarmente, ad autorizzazione edilizia o a DIA semplice
(v. TAR Brescia Sez. II 24.08.2012 n. 1462; TAR Brescia Sez.
I 01.12.2009 n. 2379);
(b) nello specifico si tratta certamente di ristrutturazione
pesante, in quanto tra i lavori è presente il recupero del
sottotetto. Questo tipo di intervento amplia la superficie
lorda di pavimento e la volumetria abitabile del fabbricato
storico, e dunque determina automaticamente la creazione di
un organismo edilizio in parte diverso dal precedente. Le
altre opere hanno un rilievo minore ma sono sottoposte al
medesimo titolo edilizio (concessione edilizia, e in seguito
permesso di costruire) per il loro collegamento con
l’intervento principale;
(c) la parte abusiva dei lavori consiste nella
trasformazione (non evidenziata nel progetto) di una delle
canne fumarie preesistenti in un nuovo camino con
cassonatura esterna. Sulla preesistenza delle canne fumarie
possono essere accettate come prove idonee le dichiarazioni
di terzi prodotte dalla ricorrente. D’altra parte il Comune
nel provvedimento impugnato, pur dimostrando di conoscere le
suddette dichiarazioni, non ha espressamente controdedotto
circa la veridicità o l’attendibilità di quanto affermato;
(d) occorre a questo punto stabilire se si tratta di un
abuso formale (sanabile) o sostanziale (passibile di
remissione in pristino). La valutazione deve essere condotta
sia con riferimento alla disciplina edilizia sia con
riguardo alle norme igienico-sanitarie;
Qualificazione edilizia dell’opera abusiva
(e) sul piano edilizio bisogna precisare innanzitutto che
nel caso di difformità dalla concessione edilizia (o dal
permesso di costruire) l’abuso deve essere valutato come
opera a sé stante, immaginando la situazione abusiva come
un’autonoma edificazione senza titolo. Pertanto, opere che
se osservate ex ante si collegano ad altri interventi
per formare un insieme sistematico e come tali, configurando
una ristrutturazione pesante o una nuova costruzione,
richiederebbero la concessione edilizia (o il permesso di
costruire), se osservate ex post, ai fini
dell’eventuale regolarizzazione, devono essere considerate
solo per la consistenza della parte abusiva;
(f) nello specifico la demolizione di una canna fumaria con
ricostruzione della stessa in altra posizione e con
differenti modalità costruttive è un intervento soggetto ad
autorizzazione (v. art. 7, comma 2-a, del DL 23.01.1982 n.
9) e poi a DIA semplice (v. art. 4, comma 7-f, del DL
05.10.1993 n. 398; art. 22, commi 1 e 2, del DPR 380/2001).
Questo inquadramento si fonda sull’assimilazione delle canne
fumarie ai volumi tecnici e sul collegamento funzionale tra
le canne fumarie e gli impianti tecnologici (v. TAR Bari
Sez. III 30.10.2012 n. 1859). Ne consegue che l’esecuzione
in difformità dalla concessione edilizia delle predette
opere costituisce abuso minore, non qualificabile come
variazione essenziale (v. art. 8, comma 2, della legge
47/1985; art. 32, comma 2, del DPR 380/2001), e dunque
ricadente nella disciplina sulla regolarizzazione di cui
all’art. 37 del DPR 380/2001;
Sanabilità dell’abuso sotto il profilo
edilizio
(g) l’art. 37 del DPR 380/2001 contempla due ipotesi
principali: la regolarizzazione in presenza di conformità
urbanistica (v. comma 4) e la regolarizzazione in assenza di
conformità urbanistica (v. comma 1). La diversità delle due
ipotesi è rimarcata dal differente sistema di calcolo della
sanzione pecuniaria. Al contrario di quanto avviene per gli
abusi maggiori, dove è comunque richiesta la conformità
urbanistica (v. art. 36 del DPR 380/2001), gli abusi minori
consentono quindi la sanatoria edilizia anche nel caso di
difformità urbanistica;
(h) nella vicenda in esame vi è in effetti contrasto con la
disciplina urbanistica, perché l’art. 3.4.43 del regolamento
locale di igiene (nel testo in vigore all’epoca dei fatti)
stabilisce che le canne fumarie devono superare di almeno 40
cm il colmo del tetto e prevede che in caso contrario siano
collocate ad almeno 8 metri dall’edificio più vicino;
(i) in proposito si deve però osservare che il regolamento
locale di igiene ha una doppia funzione, in quanto integra
la disciplina urbanistica ma tutela interessi pubblici di
natura igienico-sanitaria (nel caso delle canne fumarie la
tutela pubblica ha come scopo la protezione dei cittadini
dalle emissioni moleste e inquinanti);
(j) dunque la norma può essere scissa in due componenti. Sul
piano edilizio il mancato rispetto dell’altezza del camino e
della distanza dall’edificio prossimo, riguardando volumi
tecnici e impianti tecnologici, è regolarizzabile mediante
la sanzione pecuniaria di cui all’art. 37, comma 1, del DPR
380/2001. La possibilità della regolarizzazione è però
subordinata alla concessione di una deroga sul piano
igienico-sanitario;
Derogabilità della disciplina del
regolamento locale di igiene
(k) sotto quest’ultimo profilo occorre affrontare il
problema del fastidio provocato ai vicini. Al riguardo si
osserva che la preesistenza della canna fumaria può assumere
rilievo ma non è decisiva. In realtà, considerata la natura
degli interessi pubblici tutelati, la preesistenza non
garantirebbe la possibilità di utilizzare indefinitamente la
canna fumaria neppure nella configurazione originaria, e
quindi a maggior ragione non assicura il mantenimento
dell’opera modificata.
Tuttavia perché possa essere adottato un ordine di
demolizione occorre che il disturbo provocato ai vicini sia
intollerabile e non meramente presunto in base al mancato
rispetto della distanza minima. Il maggiore o minore grado
di tollerabilità delle emissioni della canna fumaria non
dipende solo dalla distanza ma anche dalla natura degli
inquinanti. Il grado di pericolosità dei fumi delle stufe a
legna è superiore a quello dei fumi degli impianti a metano,
e tra le stufe a legna occorre distinguere quelle
tradizionali e quelle più moderne ad alta efficienza e
dotate di filtri. Ne consegue che la distanza massima dalle
abitazioni vicine deve essere applicata quando le canne
fumarie siano collegate a impianti a legna obsoleti e molto
inquinanti, mentre nelle altre ipotesi è possibile concedere
delle deroghe;
(l) come si è visto sopra, nel caso in esame l’impianto
collegato alla canna fumaria è alimentato a metano. Vi è
stato quindi un netto miglioramento rispetto alla situazione
precedente, quando sia la canna fumaria oggetto dell’abuso
edilizio sia quella posta nelle vicinanze servivano stufe
alimentate a legna. Sembra quindi che sia stato raggiunto un
punto di equilibrio: la canna fumaria può rimanere al suo
posto purché sia collegata esclusivamente a impianti che
producono fumi poco inquinanti e non particolarmente
molesti;
(m) è possibile che la ristrutturazione dell’edificio e il
recupero del sottotetto come volume abitabile aumentino
l’utilizzo della canna fumaria in questione e delle altre
poste a distanza insufficiente. Questa eventualità non
interferisce tuttavia con la deroga alla distanza necessaria
per la sanatoria edilizia. Se in conseguenza del maggiore
utilizzo delle canne fumarie si determinasse un notevole
incremento del disturbo a danno dei vicini il Comune
disporrebbe comunque del potere di ingiungere alla
ricorrente l’adozione di impianti di riscaldamento
tecnologicamente più avanzati e meno inquinanti;
(n) in ogni caso, poiché la regolarizzazione dell’abuso
edilizio è condizionata al contenimento dei fumi molesti, la
ricorrente è tenuta a evidenziare anticipatamente al Comune
ogni modifica negli impianti collegati alla canna fumaria in
questione, per dare modo agli uffici di verificare se la
situazione di disagio per le abitazioni vicine sia destinata
ad aggravarsi;
Conclusioni
(o) il ricorso deve quindi essere accolto, con il
conseguente annullamento dell’ordinanza impugnata. Per
l’effetto conformativo derivante dalla presente pronuncia il
Comune non può negare la regolarizzazione della canna
fumaria e della relativa cassonatura sotto il profilo
edilizio, ma conserva il potere di adottare provvedimenti di
natura igienico-sanitaria, come si è visto sopra;
(p) tenendo conto della particolarità della vicenda e
dell’intreccio di profili edilizi e igienico-sanitari è
possibile disporre la compensazione delle spese di giudizio
(TAR Lombardia-Brescia, Sez. II,
sentenza 16.01.2013 n. 37 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
E' illegittima
l’ingiunzione adottata dal dirigente dello Sportello unico
delle attività produttive avente ad oggetto l’ordine di
messa in atto di opere finalizzate alla cessazione della
propagazione di fumo proveniente da canna fumaria
dell'attività di pizzeria condotta dalla ricorrente.
Invero, l’ingiunzione non trova riscontro in alcuna
specifica norma di legge che, in relazione alla situazione
di fatto assunta a giustificazione della sua adozione,
attribuisca all’amministrazione comunale la potestà
esercitata in materia.
È impugnata l’ingiunzione
adottata dal dirigente dello Sportello unico delle attività
produttive di Genova del 05.03.2009 avente ad oggetto
l’ordine di messa in atto di opere finalizzate alla
cessazione della propagazione di fumo proveniente da canna
fumaria dell'attività di pizzeria condotta dalla ricorrente.
Il motivo principale da cui muove il gravame è che
l’ingiunzione non troverebbe riscontro in alcuna specifica
norma di legge che, in relazione alla situazione di fatto
assunta a giustificazione della sua adozione, attribuisca
l’amministrazione comunale la potestà esercitata in materia.
La censura è fondata.
L’obbligo di fare avente ad oggetto l’esecuzione di opere
finalizzate a contenere la propagazione di fumi, oltre ad
essere genericamente imposto, non ha fonte di legge.
Non soddisfa affatto i principi di legalità sostanziale e
nominatività che presidiano e, ad un tempo, circoscrivono,
ai sensi dell’art. 23 cost., l’adozione da parte
dell’autorità amministrativa di prescrizioni di fare
incidenti sui cittadini o sugli operatori economici.
Detti principi, analiticamente declinati, rispettivamente,
esigono: per un verso, che la fonte normativa non solo
preveda genericamente la potestà in capo all’amministrazione
ma che, in senso sostanziale, ne disciplini contenuto,
oggetto ed efficacia prescrittiva; per l’altro, che risulti
esattamente individuata la norma che tale potestà
espressamente riconosca all’autorità procedente.
Nel caso in esame nessuna delle due.
Non ricorre nella situazione posta a base dell’ingiunzione
alcuna situazione di pericolo per la salute pubblica di cui
all’art. 217 r.d. n. 1265/1934, enfaticamente richiamato
nell’atto impugnato.
I fumi molesti, a cui fa riferimento la stessa ingiunzione
nella parte dispositiva, non sono infatti realisticamente
annoverabili fra le esalazioni pericolose per la salute
pubblica.
Non è altresì utilmente invocabile l’art. 36 del Regolamento
per l’igiene del suolo e dell’abitato del comune di Genova
che, in disparte la natura di atto normativo secondario, non
ascrivibile a fonte di legge idonea ad soddisfare la
relativa riserva prevista all’art. 23 cost., disciplina
propriamente l’installazione di canne fumarie.
Per quella per cui è causa, e dalla quale provengono i fumi
–va sottolineato– la ricorrente ha ottenuto a suo tempo,
ossia a fare data dal 2003, la prescritta autorizzazione.
Inoltre nel necessario riscontro dei requisiti di
tempestività e continuità dell’azione amministrativa che
caratterizza ab imis lo scrutinio di legittimità dei
provvedimenti atti a fronteggiare supposte situazioni di
pericolo per la salute pubblica, non va passato sotto
silenzio che la nota dell’ASL n. 3, avente riguardo alle
opere necessarie ad evitare la propagazione dal camino della
pizzeria di fumi pericolosi, risale al 07.06.2007: vale a
dire a ben due anni prima l’adozione dell’atto impugnato.
In definitiva, a tacer d’altro, si è assunta a fondamento di
fatto dell’ingiunzione una situazione contingente maturata
(non solo in un momento, bensì addirittura) in epoca
anteriore a quella specificamente considerata nell’otto
impugnato.
Del resto, conclusivamente, è significativo che gli abitanti
del condominio che lamentano i fumi molesti, invocando la
disciplina delle immissioni di cui all’art. 844 c. c., hanno
promosso la causa civile innanzi al Tribunale di Genova,
definita con sentenza di reiezione n. 2748/2012.
A testimonianza che, allo stato ed in difetto di
sopravvenute situazioni o emergenze debitamente accertate,
la controversia sui fumi provenienti dalla pizzeria della
ricorrente è questione che riguarda esclusivamente i privati
(TAR Liguria, Sez. II,
sentenza 04.01.2013 n. 1 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
anno 2012 |
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EDILIZIA
PRIVATA:
Già da tempo è
stata affermata la necessità che, per la realizzazione della
canna fumaria di non piccole dimensioni e di palese evidenza
rispetto alla costruzione e alla sua sagoma, venga
rilasciato permesso di costruire, in quanto detta opera non
può considerarsi un elemento meramente accessorio ovvero di
ridotta e aggiuntiva destinazione pertinenziale, come tale
assorbito o occultato dalla preesistente struttura
dell'immobile.
---------------
La necessità del previo rilascio di un titolo abilitativo
edilizio può configurarsi anche in presenza di opere che
attuino una trasformazione del tessuto urbanistico ed
edilizio, anche se esse non consistano in opere murarie,
essendo realizzate in metallo, in laminati di plastica, in
legno od altro materiale, in presenza di trasformazioni
preordinate a soddisfare esigenze non precarie del
costruttore.
Viene in questa sede impugnata l’ordinanza con cui si intima
ai ricorrenti di demolire una canna fumaria realizzata senza
il necessario titolo abilitativo.
Sul punto la giurisprudenza già da tempo ha affermato la
necessità che, per la realizzazione della canna fumaria di
non piccole dimensioni e di palese evidenza rispetto alla
costruzione e alla sua sagoma, venga rilasciato permesso di
costruire, in quanto detta opera non può considerarsi un
elemento meramente accessorio ovvero di ridotta e aggiuntiva
destinazione pertinenziale, come tale assorbito o occultato
dalla preesistente struttura dell'immobile (cfr. Tar
Campania-Napoli, sez. VIII - sentenza 01.10.2012 n. 4005 -
TAR Campania Napoli, sez. VI, 03.06.2009, n. 3039; Tar
Veneto Tar Lazio n. 4246 18.05.2001).
Ad avviso del Collegio l’opera realizzata, per il suo
impatto visivo, per come evincibile dall’allegato materiale
fotografico non può ritenersi di ridotto impatto, tale da
non necessitare del prescritto titolo edilizio.
I ricorrenti, poi, fanno rientrare la realizzazione
dell’opera nell’ambito degli interventi di manutenzione
ordinaria consentiti ex articolo 6 del D.P.R. 380/2001,
interventi che possono essere realizzati senza alcun titolo
abilitativo.
Anche questo assunto non convince. Come affermato dalla
giurisprudenza, la necessità del previo rilascio di un
titolo abilitativo edilizio può configurarsi anche in
presenza di opere che attuino una trasformazione del tessuto
urbanistico ed edilizio, anche se esse non consistano in
opere murarie, essendo realizzate in metallo, in laminati di
plastica, in legno od altro materiale, in presenza di
trasformazioni preordinate a soddisfare esigenze non
precarie del costruttore (cfr. Tar Campania-Napoli, sez.
VIII - sentenza 01.10.2012 n. 4005) (TAR Calabria-Catanzaro,
Sez. I,
sentenza 10.11.2012 n. 1086 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
La presenza di materiali contenenti
amianto in un edificio non comporta di per sé un pericolo
per la salute degli occupanti. Se il materiale è in buone
condizioni e non viene manomesso, è estremamente improbabile
che esista un pericolo apprezzabile di rilascio di fibre di
amianto. Se invece il materiale viene danneggiato per
interventi di manutenzione o per vandalismo, si verifica un
rilascio di fibre che costituisce un rischio potenziale.
Analogamente se il materiale è in cattive condizioni, o se è
altamente friabile, le vibrazioni dell'edificio, i movimenti
di persone o macchine, le correnti d'aria possono causare il
distacco di fibre legate debolmente al resto del materiale.
Infine, per quanto concerne la rimozione delle canne fumarie
in eternit il Comune non indica i motivi per cui deve essere
operata detta rimozione, atteso che le canne fumarie, per
come affermato dai ricorrenti, non si troverebbero in stato
di degrado.
Ciò che infatti non emerge dall’ordinanza è la motivazione
su cui poggia la decisione dell’amministrazione di ordinare
la demolizione delle contestate canne fumarie, non
risultando alcuna verifica o valutazione effettuata al fine
di evidenziare la pericolosità delle stesse per la salute
pubblica. Secondo il D.M. del 06.09.1994 in tema di
valutazione del rischio “La presenza di materiali
contenenti amianto in un edificio non comporta di per sé un
pericolo per la salute degli occupanti. Se il materiale è in
buone condizioni e non viene manomesso, è estremamente
improbabile che esista un pericolo apprezzabile di rilascio
di fibre di amianto. Se invece il materiale viene
danneggiato per interventi di manutenzione o per vandalismo,
si verifica un rilascio di fibre che costituisce un rischio
potenziale. Analogamente se il materiale è in cattive
condizioni, o se è altamente friabile, le vibrazioni
dell'edificio, i movimenti di persone o macchine, le
correnti d'aria possono causare il distacco di fibre legate
debolmente al resto del materiale”.
Dall’ordinanza impugnata non emerge l’espletamento di alcuna
attività di valutazione dell’effettivo rischio che le canne
fumarie rappresentano per i cittadini.
In conclusione, l’atto impugnato risulta affetto anche da
difetto di motivazione per non avere il Comune intimato
evidenziato i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche
che hanno condotto l’amministrazione ad ordinare il
ripristino dello stato dei luoghi (TAR Calabria-Catanzaro,
Sez. I,
sentenza 10.11.2012 n. 1085 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA: Per
quanto concerne la canna fumaria il Collegio condivide la
giurisprudenza amministrativa alla luce della quale la canna
fumaria deve ritenersi un volume tecnico e, come tale,
un’opera priva di autonoma rilevanza urbanistico-funzionale,
che non risulta particolarmente pregiudizievole per il
territorio e, pertanto, la sua realizzazione rientra tra
quelle opere per le quali non è necessario il permesso di
costruire e, conseguentemente, non è soggetta alla sanzione
della demolizione.
Lo stesso dicasi per i due serbatoi idrici e relativo
autoclave che, essendo impianti tecnologici, innanzitutto
non sviluppano nuovo volume e devono ritenersi privi di
autonoma rilevanza urbanistico-funzionale; inoltre, per
quanto riguarda in particolare quelli di cui alla
fattispecie oggetto di gravame, seppure posizionati
all’esterno dell’appartamento, data la loro specifica
ubicazione nella facciata interna del condominio, non
risultano particolarmente pregiudizievoli per il territorio.
Il Collegio ritiene, tuttavia, che per entrambe le opere di
cui si contesta la mancanza del titolo edilizio, trattandosi
rispettivamente di impianti tecnologici e di volume tecnico,
non occorreva per la loro realizzazione il permesso di
costruire che determina la sanzione della demolizione
prevista dall’art. 31 del d.p.r. n. 380 del 2001, ma era
sufficiente la denuncia di inizio di attività la cui
mancanza non è sanzionabile con la rimozione o demolizione
ma solo con l’irrogazione della sanzione pecuniaria prevista
dall’art. 37 del d.p.r. n. 380 del 2001, come prospettato da
parte ricorrente; pertanto l’ordinanza oggetto di
impugnazione deve ritenersi illegittimamente adottata.
In particolare per quanto concerne la canna fumaria il
Collegio condivide, infatti, la giurisprudenza
amministrativa alla luce della quale la canna fumaria deve
ritenersi un volume tecnico e, come tale, un’opera priva di
autonoma rilevanza urbanistico-funzionale, che non risulta
particolarmente pregiudizievole per il territorio e,
pertanto, la sua realizzazione rientra tra quelle opere per
le quali non è necessario il permesso di costruire e,
conseguentemente, non è soggetta alla sanzione della
demolizione (cfr. ex multis TAR Campania Napoli, Sez.
VII, 15.12.2010, n. 27380); lo stesso dicasi per i due
serbatoi idrici e relativo autoclave che, essendo impianti
tecnologici, innanzitutto non sviluppano nuovo volume e
devono ritenersi privi di autonoma rilevanza
urbanistico-funzionale; inoltre, per quanto riguarda in
particolare quelli di cui alla fattispecie oggetto di
gravame, seppure posizionati all’esterno dell’appartamento,
data la loro specifica ubicazione nella facciata interna del
condominio, non risultano particolarmente pregiudizievoli
per il territorio.
Si ritiene di dover precisare che, anche nella ipotesi che
sembrerebbe emergere nella fattispecie per cui è causa, di
un vincolo paesaggistico dell’area ove è ubicato l’immobile,
peraltro non indicato nell’ordinanza dal Comune ma solo
genericamente rappresentato nella memoria prodotta in
giudizio come “vincolo architettonico”, esso non
sarebbe di ostacolo ad ottenere una autorizzazione
paesaggistica in sanatoria, su richiesta dell’avv.
Ferlicchia, per gli interventi contestati nell’ordinanza di
rimozione .
Ciò in quanto l’art. 167, comma 4, del d.lgs. n. 42 del
2004, alla lettera a) prevede la possibilità del versamento
di una indennità pecuniaria “per i lavori, realizzati in
assenza o difformità dall'autorizzazione paesaggistica, che
non abbiano determinato creazione di superfici utili o
volumi ovvero aumento di quelli legittimamente realizzati”,
fattispecie applicabile alla fattispecie oggetto di gravame
(cfr. TAR Campania Napoli, Sez. VII, 15.12.2010, n. 27380
cit.)
(TAR Puglia-Bari, Sez. III,
sentenza 30.10.2012 n. 1859 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
Canne fumarie, quando serve il permesso
di costruire.
La realizzazione di una canna fumaria che comporti una
modifica del prospetto del fabbricato cui inerisce è
riconducibile ai lavori di ristrutturazione edilizia
realizzati tramite inserimento di nuovi elementi e impianti,
ed è quindi subordinata al regime del permesso di costruire,
ai sensi dell'articolo 10, comma primo, lettera c), dello
stesso T.U. sull'edilizia.
La deducente, affittuaria di un locale destinato allo
svolgimento dell’attività di ristorazione-pizzeria, ha
impugnato l’ordinanza con cui il Comune di appartenenza
aveva ingiunto alla medesima, nonché alla proprietaria
dell’immobile, la demolizione della canna fumaria realizzata
abusivamente in epoca antecedente la stipula del contratto
di locazione.
Nello specifico ha eccepito la violazione e falsa
applicazione dell’art. 31, comma 2, D.P.R. n. 380/2001,
sulla scorta della considerazione per cui la menzionata
disposizione sancisce che soltanto l’autore materiale
dell’abuso e il proprietario dell’immobile interessato
costituiscono i destinatari dell’ingiunzione a demolire,
oltre alla violazione degli artt. 3 e 7, L. n. 241/1990.
Il ricorso è stato respinto.
Il TAR di Napoli, in primo luogo, ha ritenuto prive di
fondamento le censure inerenti la violazione dell’art. 7, L.
n. 241/1990 e il difetto di motivazione sull’interesse
pubblico. Sul punto, ha rimarcato che, in linea di
principio, l’ordine di demolizione non deve essere
necessariamente preceduto dalla comunicazione di avvio del
procedimento, trattandosi di atto dovuto e rigorosamente
vincolato, con riferimento al quale non sono richiesti
apporti partecipativi del destinatario e il cui presupposto
è costituto unicamente dalla constatata esecuzione
dell'opera in totale difformità o in assenza del titolo
abilitativo.
Né tampoco deve essere richiesta una specifica motivazione
che dia conto della valutazione delle ragioni di interesse
pubblico alla demolizione o della comparazione di
quest'ultimo con gli interessi privati coinvolti e
sacrificati, senza che sussista alcuna violazione dell'art.
3, L. n. 241/1990, atteso che, ricorrendo i predetti
requisiti, il provvedimento deve intendersi sufficientemente
motivato con l'affermazione dell'accertata abusività
dell'opera, essendo in re ipsa l'interesse pubblico
concreto e attuale alla sua rimozione (ex multis,
Cons. Stato, Sez. IV, 31.08.2010, n. 3955).
Pertanto, ha precisato che, anche nelle ipotesi in cui
intercorre un lungo periodo di tempo tra la realizzazione
dell'opera abusiva e il provvedimento sanzionatorio, tale
circostanza non rileva ai fini della legittimità
dell’ingiunzione di demolizione, sia in rapporto al preteso
affidamento circa la conformità dell'opera, sia in relazione
a un presunto ulteriore obbligo per l'amministrazione
procedente di motivare specificamente il provvedimento in
ordine alla sussistenza dell'interesse pubblico a far
demolire il manufatto.
Al contempo, il giudicante ha ritenuto inconferente la
natura pertinenziale dell’intervento oggetto di
contestazione, dedotta dalla ricorrente a sostegno
dell’illegittimità dell’impugnata ordinanza di demolizione.
L’intervento in esame, ad avviso dell’adito G.A., è
riconducibile ai lavori di ristrutturazione edilizia di cui
all'art. 3, comma 1, lettera d), D.P.R. n. 380/2001,
realizzati tramite inserimento di nuovi elementi e impianti.
Ha così sottolineato che la realizzazione della canna
fumaria era soggetta al regime del permesso di costruire, ai
sensi dell'art. 10, comma 1, lettera c), in quanto
comportante una modifica del prospetto del fabbricato cui
inerisce.
In argomento, infatti, ha richiamato un costante indirizzo
giurisprudenziale che, con riferimento alle canne fumarie,
ha statuito che: “È necessario il rilascio del permesso
di costruire qualora esse non presentino piccole dimensioni,
siano di palese evidenza rispetto alla costruzione e alla
sagoma dell’immobile e non possano considerarsi un elemento
meramente accessorio ovvero di ridotta e aggiuntiva
destinazione pertinenziale, come tale assorbito o occultato
dalla preesistente struttura dell'immobile” (cfr. TAR
Lazio, Roma, Sez. II-ter, 18.05.2001, n. 4246).
Orbene, con riferimento al caso di specie, il Tribunale
partenopeo ha evidenziato che la canna fumaria installata
sull’edificio, avuto riguardo alle dimensioni, altezza,
conformazione e destinazione all’espulsione dei fumi di un
esercizio di ristorazione dotato di un forno, avevano inciso
sul prospetto e la sagoma della costruzione.
Per siffatta ragione, il Collegio ha puntualizzato che
l’intervento in questione necessitava del rilascio di un
permesso di costruire, atteso che lo stesso aveva
determinato la realizzazione di un elemento che in alcuna
guisa avrebbe potuto considerarsi meramente accessorio,
ovvero di ridotta e aggiuntiva destinazione pertinenziale,
come tale assorbito o occultato dalla preesistente struttura
dell’immobile.
Infine, ha ritenuto non meritevole di accoglimento neppure
la censura formulata dall’interessata in merito alla propria
estraneità all’abuso.
Sul punto, il Giudice amministrativo ha chiarito che, in
materia di demolizione, la figura del responsabile
dell’abuso non si identifica solo in colui che ha
materialmente eseguito l’opera ritenuta abusiva, ma si
riferisce, necessariamente, anche a colui che di quell’opera
ha la materiale disponibilità e può provvedere alla
demolizione.
Non a caso, in giurisprudenza è stato precisato che: "I
provvedimenti repressivi di illeciti edilizi possono essere
indirizzati anche a persone diverse da quelle che hanno
materialmente realizzato l’abuso, ma è anche vero che, ai
fini della legittimità delle relative ingiunzioni, è sempre
necessaria la sussistenza di una relazione giuridica o
materiale del destinatario con il bene" (Cons. Stato,
Sez. IV, 16.07.2007, n. 4008).
A ogni buon conto, ha evidenziato che il presupposto
dell’impugnato provvedimento amministrativo era la
realizzazione di un’opera in assenza di permesso di
costruire, la cui eliminazione era necessaria per
ripristinare il corretto assetto del territorio; pertanto,
ha ritenuto che l’ordine di demolizione era stato
legittimamente rivolto a colui che al momento della sua
irrogazione aveva l’attuale disponibilità del bene abusivo e
ciò indipendentemente dal fatto di averlo realizzato
(commento tratto da www.ispoa.it - TAR Campania-Napoli, Sez.
VIII,
sentenza 01.10.2012 n. 4005 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
La necessità del
previo rilascio del permesso di costruire può configurarsi
anche in presenza di opere che attuino una trasformazione
del tessuto urbanistico ed edilizio anche se esse non
consistano in opere murarie, essendo realizzate in metallo,
in laminati di plastica, in legno od altro materiale, in
presenza di trasformazioni preordinate a soddisfare esigenze
non precarie del costruttore.
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Nel caso delle canne fumarie, la giurisprudenza ha altresì
ravvisato la necessità del previo rilascio del permesso di
costruire qualora esse non presentino piccole dimensioni,
siano di palese evidenza rispetto alla costruzione e alla
sagoma dell’immobile, e non possano considerarsi un elemento
meramente accessorio ovvero di ridotta e aggiuntiva
destinazione pertinenziale, come tale assorbito o occultato
dalla preesistente struttura dell'immobile.
Nella specie, come risulta evidente dalle riproduzioni
fotografiche in atti, le due canne fumarie installate
sull’edificio in esame per le dimensioni, l’altezza, la
relativa conformazione, e la destinazione alla espulsione
dei fumi di un esercizio di ristorazione dotato di un forno,
incidono sul prospetto e la sagoma della costruzione su cui
sono installate. Esse infatti si presentano, nello spazio
interessante la sua apposizione ed elevazione in altezza,
come un visibile prolungamento completativo degli elementi
costituenti una delle facciate interne dell’edificio
esistente.
Le canne fumarie in oggetto non possono perciò considerarsi,
come sostiene la ricorrente, un elemento meramente
accessorio ovvero di ridotta e aggiuntiva destinazione
pertinenziale, come tale assorbito o occultato dalla
preesistente struttura dell’immobile.
Contrariamente a quanto dedotto
dalla ricorrente, infatti, l’intervento in esame, ad avviso
del Collegio, è riconducibile ai lavori di ristrutturazione
edilizia di cui all'articolo 3, comma 1°, lettera d), del
D.P.R. n. 380/2001, realizzati tramite inserimento di nuovi
elementi ed impianti, ed è quindi subordinata al regime del
permesso di costruire, ai sensi dell'articolo 10, comma
primo, lettera c), dello stesso D.P.R. laddove comporti,
come nel caso di specie, una modifica del prospetto del
fabbricato cui inerisce, come del resto chiaramente
evincibile dalle riproduzioni fotografiche in atti.
Peraltro la necessità del previo rilascio del permesso di
costruire può configurarsi anche in presenza di opere che
attuino una trasformazione del tessuto urbanistico ed
edilizio anche se esse non consistano in opere murarie,
essendo realizzate in metallo, in laminati di plastica, in
legno od altro materiale, in presenza di trasformazioni
preordinate a soddisfare esigenze non precarie del
costruttore.
Nel caso delle canne fumarie, la giurisprudenza ha altresì
ravvisato la necessità del previo rilascio del permesso di
costruire qualora esse non presentino piccole dimensioni,
siano di palese evidenza rispetto alla costruzione e alla
sagoma dell’immobile, e non possano considerarsi un elemento
meramente accessorio ovvero di ridotta e aggiuntiva
destinazione pertinenziale, come tale assorbito o occultato
dalla preesistente struttura dell'immobile (cfr. Tar Veneto
Tar Lazio n. 4246 18.05.2001).
Nella specie, come risulta evidente dalle riproduzioni
fotografiche in atti, le due canne fumarie installate
sull’edificio in esame per le dimensioni, l’altezza, la
relativa conformazione, e la destinazione alla espulsione
dei fumi di un esercizio di ristorazione dotato di un forno,
incidono sul prospetto e la sagoma della costruzione su cui
sono installate. Esse infatti si presentano, nello spazio
interessante la sua apposizione ed elevazione in altezza,
come un visibile prolungamento completativo degli elementi
costituenti una delle facciate interne dell’edificio
esistente.
Le canne fumarie in oggetto non possono perciò considerarsi,
come sostiene la ricorrente, un elemento meramente
accessorio ovvero di ridotta e aggiuntiva destinazione
pertinenziale, come tale assorbito o occultato dalla
preesistente struttura dell’immobile
(TAR Campania-Napoli, Sez.
VIII,
sentenza 01.10.2012 n. 4005 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
CONDOMINIO:
Canna fumaria, conta chi la usa. Il bene
può anche non essere di proprietà condominiale. Per la
Cassazione prevale la prova della destinazione sulla
presunzione di comunione.
La canna fumaria, anche se ricavata all'interno di un muro
comune, può anche non essere di proprietà condominiale,
laddove la presunzione di comunione del bene sia vinta in
concreto dalla prova della destinazione oggettiva del bene a
servire in modo esclusivo uno solo dei comproprietari.
Questo il principio stabilito dalla II Sez. civile della
Corte di Cassazione nella recente
sentenza 25.09.2012 n. 16306.
La presunzione di comunione dei beni.
Il codice civile, all'art. 1117, elenca una serie di beni
che si presumono di natura condominiale, ossia destinati
all'utilizzo e al godimento di tutti i comproprietari: il
suolo su cui sorge l'edificio, le fondazioni, i muri
maestri, i tetti e i lastrici solari, le scale, i portoni
d'ingresso, i vestiboli, gli anditi, i portici, i cortili, i
locali per la portineria e per l'alloggio del portiere, per
la lavanderia, per il riscaldamento centrale ecc..
Detti beni, come detto, si presumono oggetto di proprietà
comune dei proprietari dei diversi piani o porzioni di piani
di un edificio, a meno che, per utilizzare il linguaggio
codicistico, il contrario non risulti dal titolo. Con
quest'ultima espressione, come chiarito anche dalla Suprema
corte nella sentenza in questione, si intende fare
riferimento non solo ad atti formali, come ad esempio il
regolamento condominiale, ma anche a circostanze di fatto,
quali la destinazione funzionale del bene.
Il caso concreto.
Nella specie due condomini,
proprietari di un appartamento, avevano citato avanti alla
pretura di Roma i proprietari dell'appartamento soprastante.
I primi, sul presupposto che nell'incavo del muro maestro
era stato installato da tempo immemorabile un caminetto con
relativa canna fumaria che attraversava la parete
condominiale del sovrastante appartamento di proprietà dei
convenuti, lamentavano il fatto che questi ultimi avessero
innestato a loro volta nella predetta canna fumaria un'altra
tubatura, provocandone l'occlusione, per cui chiedevano al
giudice di accertare la loro proprietà esclusiva della canna
fumaria in questione, con condanna dei convenuti al
ripristino dello stato dei luoghi. Si erano però costituiti
in giudizio i convenuti, chiedendo il rigetto della domanda
attrice, sostenendo che la canna fumaria fosse invece di
loro proprietà esclusiva.
La decisione della Cassazione.
I giudici di legittimità,
ritenendo che nel caso in questione fosse essenziale
stabilire alternativamente se la canna fumaria inserita
nell'edificio condominiale costituisse o meno opera
all'esclusivo servizio dell'unità immobiliare degli attori
originari, ovvero di quella dei convenuti originari o se,
infine, la stessa ricadesse nel novero delle cose comuni ai
sensi dell'art. 1117 c.c., hanno quindi concluso nel senso
che, sulla base delle risultanze processuali, il titolo
attributivo dell'esclusiva proprietà del bene agli attori
andava ricercato nella destinazione funzionale dell'opera
predetta all'esclusivo servizio del loro appartamento.
Nel fare questo la Suprema corte si è richiamata a un
precedente di legittimità (sentenza n. 9231/1991) nel quale
analogamente era stato stabilito che una canna fumaria,
anche se ricavata nel vuoto di un muro comune, non è
necessariamente di proprietà comune, ben potendo appartenere
a uno solo dei condomini, ove sia destinata a servire
esclusivamente l'appartamento cui afferisce, costituendo
detta destinazione titolo contrario alla presunzione legale
di comunione. Di qui il rigetto del ricorso presentato dai
condomini convenuti in primo grado che, dopo aver presentato
inutilmente appello avverso la sentenza della pretura di
Roma, si sono visti condannare anche alle spese del giudizio
di legittimità.
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Non si può pregiudicare il decoro della
facciata.
Le canne
fumarie all'interno del condominio rappresentano da sempre
una delle principali cause di litigio tra condomini. In
assenza di titolo contrario (il regolamento di condominio,
un atto di acquisto delle singole unità, una sentenza
passata in giudicato che ne accerti l'usucapione), la canna
fumaria si presume comune.
Tuttavia non è necessariamente di proprietà comune, ben
potendo appartenere a un gruppo di condomini o a uno solo
dei comproprietari, ove sia destinata a servire
esclusivamente un determinato appartamento. In ogni caso non
si può escludere che il singolo condomino debba installare
una nuova canna fumaria nelle parti comuni. Tale ipotesi è
normalmente ammessa, purché si rispettino determinati
requisiti. Al contrario è da escludere che un singolo
condomino possa utilizzare la canna fumaria dell'impianto
centrale di riscaldamento anche se questo sia stato
disattivato dal condominio, perché si avrebbe una definitiva
sottrazione della canna fumaria alle possibilità di
godimento della restante parte dei condomini (in questo caso
è necessario il consenso di tutti gli altri condomini).
Installazione di canna fumaria in facciata.
L'appoggio di una canna fumaria al muro comune perimetrale
di un edificio condominiale comporta una modifica della cosa
comune conforme alla destinazione della stessa, che ciascun
condomino può apportare a sue cure e spese. Del resto si
deve considerare la normale possibilità del muro stesso di
contenere o reggere una o più canne fumarie, senza subire
alterazione apprezzabile della sua principale funzione e
senza compromettere l'uso da parte degli altri condomini.
Tali considerazioni valgono a maggiore ragione nel caso in
cui l'opera sia diretta a evitare la diffusione dei fumi di
cottura di un ristorante, che incidono in modo particolare
sulle condizioni di vita di tutti i condomini.
Certo tale appoggio non deve pregiudicare il decoro del
caseggiato, incidendo negativamente sull'insieme
dell'aspetto dello stabile (e ciò a prescindere dal
particolare pregio estetico dell'edificio). Così, ad
esempio, deve ritenersi illegittima l'installazione di una
canna fumaria che percorra tutta la facciata dell'edificio
condominiale, così da pregiudicare l'aspetto e l'armonia del
condominio.
Allo stesso modo la canna fumaria deve essere di dimensioni
tali da non ridurre considerevolmente la visuale da parte
degli altri condomini che usufruiscano di vedute dalla
facciata interessata.
Il discorso si collega alla compatibilità dell'installazione
di una canna fumaria rispetto delle distanze legali. A tale
proposito si deve precisare che le norme in materia sono
applicabili anche nei rapporti tra il condominio e il
singolo condomino nel caso in cui esse siano compatibili con
l'applicazione delle norme particolari relative all'uso
delle cose comuni, cioè nel caso in cui sia possibile una
applicazione complementare. Quindi, qualora vi sia
compatibilità tra le due discipline, la distanza legale per
la collocazione di una canna fumaria sul muro perimetrale
comune, a opera di uno dei condomini, non può essere
inferiore a 75 centimetri dai più vicini sporti dei balconi
di proprietà esclusiva degli altri comproprietari.
In ogni caso una canna fumaria installata in un condominio
ex novo e senza alcuna previa autorizzazione
condominiale va rimossa qualora provochi immissioni che
superino la normale soglia di tollerabilità o, quanto meno,
dovranno essere adottate le misure tecniche idonee a
limitare il disagio arrecato. Del resto è possibile che il
regolamento di condominio preveda limiti più rigorosi
nell'installazione di una nuova canna fumaria da parte del
singolo condominio.
Installazione di canna fumaria sul lastrico
solare. Qualora
l'installazione della canna fumaria vada a interessare una
porzione di lastrico solare, occorrerà verificare se tale
installazione alteri o meno la funzione di protezione e
calpestio del lastrico stesso e se sottragga il lastrico o
parte di esso alla possibilità di utilizzo da parte degli
altri condomini. Occorrerà pertanto valutare caso per caso
se l'installazione sia legittima.
La giurisprudenza ha poi ritenuto che se il condomino
inserisce la propria canna fumaria nel lastrico solare
comune, incorporandone una porzione con opere murarie, al
servizio esclusivo del proprio appartamento, non ne
compromette la destinazione se occupa una zona periferica
del tutto trascurabile rispetto alla superficie complessiva
del lastrico, senza che possa, in concreto, escludersi la
funzione di calpestio del lastrico o le possibilità di uso
degli altri comproprietari.
Al contrario il condomino che, senza previa autorizzazione,
inserisca stabilmente e con opere murarie una canna fumaria
di dimensioni non limitate in corrispondenza dell'esiguo
cordolo perimetrale del lastrico solare destinato a
stenditoio, pone in essere un'occupazione stabile e
duratura, non consentita dalla legge, sottraendo la relativa
porzione di bene comune all'uso e al godimento degli altri
condomini (articolo
ItaliaOggi Sette del 15.10.2012). |
EDILIZIA
PRIVATA: Si
tratta, nella specie, di una semplice canna fumaria,
relativa ad un impianto eco-compatibile a basso impatto
ambientale alimentato con materiali biodegrabili, opera
comunque priva di autonoma rilevanza urbanistico-funzionale
e che non risulta particolarmente pregiudizievole per il
territorio, costituendo peraltro volume tecnico.
Ma anche a ritenere la necessità di un titolo abilitativo,
comunque non si sarebbe trattato del permesso di costruire,
con conseguente ipotetica irrogazione della sola sanzione
pecuniaria.
Espone l’odierno ricorrente di essere proprietario di un
fabbricato con area di pertinenza nel Comune di Catanzaro.
Su detta unità immobiliare lo stesso ha installato una canna
fumaria. Il settore Igiene ambientale del Comune ha, quindi,
con nota del 22.12.2010 notiziato di detta installazione il
settore Edilizia privata. Con ordinanza n. 44 del
07.04.2011, il Comune di Catanzaro ha quindi ordinato la
demolizione dell’opera di che trattasi poiché abusivamente
realizzata.
Avverso la detta ordinanza di demolizione è quindi proposto
il presente ricorso a sostegno del quale si argomenta la non
necessità del previo conseguimento di titolo abilitativo per
la installazione di una canna fumaria.
Si è costituito in giudizio il Comune di Catanzaro
affermando la infondatezza del proposto ricorso e
concludendo perché lo stesso venga respinto.
Alla pubblica udienza del 09.03.2012 il ricorso è stato
trattenuto in decisione.
Il ricorso è fondato e va, pertanto, accolto.
Osserva, infatti, il Collegio che si tratta, nella specie,
di una semplice canna fumaria, relativa ad un impianto
eco-compatibile a basso impatto ambientale alimentato con
materiali biodegrabili, opera comunque priva di autonoma
rilevanza urbanistico-funzionale e che non risulta
particolarmente pregiudizievole per il territorio,
costituendo peraltro volume tecnico (cfr. TAR Napoli, VII
Sezione, 15.12.2010 n. 27380). Ma anche a ritenere la
necessità di un titolo abilitativo, comunque non si sarebbe
trattato del permesso di costruire, con conseguente
ipotetica irrogazione della sola sanzione pecuniaria.
Ne consegue, pertanto, la illegittimità dell’avversata
ordinanza di demolizione che, in accoglimento del proposto
ricorso, deve essere annullata
(TAR Calabria-Catanzaro, Sez. I,
sentenza 17.04.2012 n. 391 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
CONDOMINIO -
EDILIZIA PRIVATA:
A. Gallucci,
L’installazione di una canna fumaria in un condominio -
Di chi è la proprietà della canna fumaria? Nella sua
installazione devono essere rispettate le distanze? Che cosa
succede se le tubazioni alterano l’estetica dell’edificio?
Indicazioni pratiche valide per impianti termici o al
servizio di attività commerciali e artigianali (Quaderni
di Legislazione Tecnica n. 1/2012). |
anno 2011 |
|
EDILIZIA
PRIVATA:
Vietato l’uso della canna fumaria che
non supera il colmo
Il Consiglio di Stato ha dichiarato legittimo il
provvedimento con il quale il Comune ha inibito al
proprietario di un edificio residenziale l’uso della
relativa canna fumaria, che non supera il colmo
dell’edificio sul quale insiste.
Il Consiglio di Stato, Sez. III, con la
sentenza 05.10.2011 n. 5474, confermando la
precedente sentenza del TAR, ha dichiarato legittimo il
provvedimento con il quale il Comune ha inibito al
proprietario di un edificio residenziale l’uso della
relativa canna fumaria, motivato con riferimento al fatto
che è risultato provato che la medesima canna non supera il
colmo dell’edificio sul quale insiste.
Nel merito viene fatto riferimento alla mancata applicazione
all’articolo 64 del Regolamento di Igiene del Comune di
Roma, approvato con deliberazione n. 7395 del 12/11/1932 (e
successive modifiche e integrazioni), secondo il quale «Nella
città e nei centri abitati i fumaioli dovranno essere
elevati al di sopra del fabbricato e, ove questo sia più
basso di quelli contigui, prolungati sino ad una altezza
sufficiente per evitare danno o incomodo ai vicini»;
risultando evidente che la ratio di tale norma sia
quella di evitare che le canne fumarie provochino immissioni
nocive o comunque disturbo a terzi e pertanto, laddove, come
nel caso in esame, per la peculiare configurazione
architettonica a scaloni, lo stabile abbia due o più piani
di copertura di diverso livello, le canne fumarie debbono
innalzarsi oltre l’ultimo piano al fine di evitare
immissioni nocive a terzi.
Appare opportuno ricordare che le ultime innovazioni
legislative in materia di disciplina edilizia, attribuendo
precise (ed esclusive) responsabilità ai progettisti,
richiamano –di fatto– la loro specifica competenza
nell’attuazione delle norme tecniche in edilizia, che
dovrebbero risultare chiare ed univoche. La sentenza in
esame richiama, quale norma di riferimento, un datato
regolamento comunale di igiene (la cui redazione, a sua
volta, ha dovuto rispettare le ancora vigenti Istruzioni
ministeriali 20.06.1896 in materia di regolamenti locali
sull’igiene del suolo e dell’abitato); norma di immediata
applicazione anche se dovrebbe risultare coordinata con le
norme sulle installazione dell’impianti tecnici negli
edifici dettate dal DM 37/2008 (che, sottraendo la materia
dal DPR 380/2001 TU edilizia, ha fatto rivivere la
disciplina dettata dalla legge 46/1990), le quali
contemplano anche i sistemi di evacuazione fumi e dichiarano
realizzati a regola d’arte gli impianti che rispettino le
norme e le regole dettate dagli Enti di normazione (Uni,
Cei, ecc.).
E’ appena il caso di ricordare che le «regole tecniche»,
di applicazione obbligatoria, derivano dalla attribuzione
–tramite provvedimento amministrativo- di tale requisito
alle «norme» (di applicazione volontaria) emanate
dagli Enti di normazione; procedimento che, per quanto
riguarda gli impianti tecnici negli edifici, è attuato quasi
esclusivamente con riferimento agli impianti di
distribuzione ed utilizzazione del gas (commento tratto da
www.legislazionetecnica.it - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI
AMMINISTRATIVI:
E' legittima l'ordinanza contingibile ed
urgente, ex art. 50, comma 5, del d.lgs. 267/2000, tendente
a far innalzare l'esistente canna fumaria, del vicino di
casa, avente due bocche di emissione situate a una distanza
di circa tre metri e a quota inferiore rispetto al filo
superiore di due finestre dall’abitazione dell'esponente, la
quale crea evidenti e constatati in loco problemi
igienico-sanitari.
Osserva il Collegio che il Sindaco di Sezze ha emesso
l’ordinanza contingibile e urgente ai sensi dell’art. 50,
comma 5, del d.lgs. 267/2000 (che attribuisce tale potere al
Sindaco per il caso di emergenze sanitarie o di igiene
pubblica a carattere esclusivamente locale) a seguito della
segnalazione del responsabile del servizio Igiene e Sanità
in data 18.01.2001, il quale rappresenta che a seguito di
sopralluogo in data 29.12.2000 è stato rilevata la presenza
di una canna fumaria da cui si dipartono due bocche di
emissione situate a una distanza di circa tre metri e a
quota inferiore rispetto al filo superiore di due finestre
dall’abitazione dei vicini signori ... e ....
Al fine di eliminare gli inconvenienti igienico-sanitari
lamentati dagli esponenti, il funzionario invita il Sindaco
a emanare apposito provvedimento ordinatorio finalizzato
all’innalzamento delle bocche di emissione delle canne “nei
confronti del proprietario della canna fumaria, indicato
dagli esponenti nella persona della sig.ra ...”.
L’art. 6.15 del DPR 1392/1970 (Regolamento per l'esecuzione
della L. 13.07.1966, n. 615, vigente all’epoca dell’adozione
dell’impugnato provvedimento. recante provvedimenti contro
l'inquinamento atmosferico, limitatamente al settore degli
impianti termici) stabilisce che “Le bocche dei camini
devono risultare più alte di almeno un metro rispetto al
colmo dei tetti, ai parapetti ed a qualunque altro ostacolo
o struttura distante meno di 10 metri”.
L’inosservanza della norma nel caso concreto è evidente e
pertanto, anche alla luce della succitata nota a firma del
Responsabile del Servizio Igiene e Sanità, l’ordinanza
contingibile e urgente del Sindaco di Sezze appare immune
dalle dedotte censure (TAR Lazio-Latina,
sentenza 04.10.2011 n. 769 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI
AMMINISTRATIVI:
I presupposti necessari per l'emanazione
di provvedimenti contingibili ed urgenti sono, da un lato,
l'impossibilità di differire l'intervento ad altro momento
in relazione alla ragionevole previsione di danno incombente
(da cui il carattere dell'urgenza), dall'altro,
l'inattuabilità degli ordinari mezzi offerti dalla normativa
(da cui la contingibilità).
Con specifico riferimento, poi, ai provvedimenti in materia
di sanità ed igiene, si è poi precisato che l'esercizio, da
parte del Sindaco, del potere di emanare ordinanze è
condizionato all'esistenza dell’attualità od imminenza di un
fatto eccezionale, quale causa da rimuovere con urgenza; del
preventivo accertamento, da parte degli organi competenti,
della situazione di pericolo e di danno e della mancanza di
strumenti alternativi previsti dall'ordinamento, visto il
carattere extra ordinem del potere sindacale.
Secondo giurisprudenza consolidata (Cons. Stato, sez. IV,
24.03.2006, n. 1537 e 22.06.2004, n. 4402), i presupposti
necessari per l'emanazione di provvedimenti contingibili ed
urgenti sono, da un lato, l'impossibilità di differire
l'intervento ad altro momento in relazione alla ragionevole
previsione di danno incombente (da cui il carattere
dell'urgenza), dall'altro, l'inattuabilità degli ordinari
mezzi offerti dalla normativa (da cui la contingibilità).
Con specifico riferimento, poi, ai provvedimenti in materia
di sanità ed igiene, si è poi precisato che l'esercizio, da
parte del Sindaco, del potere di emanare ordinanze è
condizionato all'esistenza dell’attualità od imminenza di un
fatto eccezionale, quale causa da rimuovere con urgenza; del
preventivo accertamento, da parte degli organi competenti,
della situazione di pericolo e di danno e della mancanza di
strumenti alternativi previsti dall'ordinamento, visto il
carattere extra ordinem del potere sindacale (TAR
Toscana Firenze sez. II 18.06.2009 n. 1070; TAR Campania,
Napoli, Sez. V, 14.10.2005, n. 16477).
Orbene, nel caso di specie, difettano tutti i presupposti
richiesti.
In primo luogo, è insussistente qualsiasi profilo di tutela
della “pubblica incolumità”, posto che il
provvedimento è limitato alle possibili immissioni della
canna fumaria diretta “verso la finestra della famiglia
Montalto” ed incide, quindi, esclusivamente nei rapporti
tra i privati. In secondo luogo non è configurabile il
requisito della contingibilità, tenuto conto che l'ordinanza
gravata non reca alcuna motivazione in ordine
all’impossibilità, per il Comune -nei limiti della propria
competenza- di utilizzare gli ordinari strumenti di
accertamento e contestazione, nel rispetto delle regole
procedimentali di partecipazione. Infine, le ordinanze
impugnate non indicano nemmeno le concrete situazioni di
pericolo e di danno limitandosi ad affermare che la canna
fumaria “… produce sostanze”, senza specificarne la
natura, l’effettiva sussistenza e il grado di pericolosità
(TAR Sicilia-Catania, Sez. I, sentenza
29.09.2011 n. 2371 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
Dal Comitato Termotecnico Italiano le Linee guida sui Camini.
Linee guida camino nasce dalla collaborazione tra CTI
(Comitato Termotecnico Italiano), WIT (Wöhler Institute
of Technology) e Sezione degli spazzacamini (LVH – APA),
per fare chiarezza nella moltitudine di norme su come
installare, manutenere e controllare le canne fumarie.
Nel documento sono riportate tabelle esplicative per ogni
tipo di combustibile, con informazioni relative alla classe
di resistenza al fuoco, al tipo di materiale da costruzione
previsto dalle norme e agli spessori minimi dei camini.
La linea guida è corredata da disegni e schemi di
installazione tratti dalle norme UNI, che descrivono il
posizionamento dei terminali e le relative zone di rispetto
in presenza di abbaini e lucernari apribili o in presenza di
ostacoli.
Particolare attenzione viene data agli elementi che
compongono un sistema fumario e alla scelta dei materiali da
utilizzare.
Sono presenti, inoltre, alcuni particolari costruttivi a
colori con chiara descrizione degli attraversamenti di
pareti e solai.
Infine, viene ribadito che l'impianto deve essere realizzato
da imprese specializzate in possesso dei requisiti previsti
dal D.M. 37/20208, al fine di garantire la sicurezza
pubblica (19.05.2011 - link a www.acca.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
Permesso di costruire per la
realizzazione di una canna fumaria. Mancato rispetto delle
distanze di cui all’art. 6, commi 15 e 17, del D.P.R. n.
1391 del 1970.
E’ illegittimo un permesso di costruire per la realizzazione
di una canna fumaria (nella specie utilizzata per l’attività
di panetteria), rilasciato in violazione delle distanze di
cui all’art. 6, commi 15 e 17, del D.P.R. 22.12.1970 n.
1391, secondo cui: "Le bocche dei camini devono risultare
più alte di almeno un metro rispetto al colmo dei tetti, ai
parapetti ed a qualunque altro ostacolo o struttura distante
meno di 10 metri"; né può avere rilevanza, ai fini della
legittimità del permesso di costruire, il fatto che il
proprietario dell’immobile posto a distanza inferiore a
quella legale abbia prestato il proprio consenso alla
realizzazione del manufatto, atteso che le suddette
disposizioni hanno finalità diverse da quelle in materia di
rispetto delle distanze tra le costruzioni, essendo previste
a tutela del superiore interesse della protezione
dall’inquinamento e, quindi, le norme in questione sono da
ritenere inderogabili (massima tratta da
www.regione.piemonte.it - TAR Calabria-Catanzaro, Sez. II,
sentenza 12.05.2011 n. 718 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
Solo per strutture di piccole dimensioni
si ritiene sufficiente l'autorizzazione mentre per le canne
fumarie di palese evidenza rispetto alla costruzione e alla
sua sagoma è necessaria la concessione edilizia (oggi
permesso di costruire).
Anche per tale tipologia di interventi è necessaria
l’autorizzazione paesaggistica nella misura in cui alterino
lo stato dei luoghi e l’aspetto esteriore dell’edificio e
non vi è dubbio che una canna fumaria di rilevanti
dimensioni, tinteggiata con i colori rosso e viola sia
vistosamente e evidentemente impattante.
Si evidenzia, inoltre, che,
come affermato dalla costante giurisprudenza anche di questa
sezione, solo per strutture di piccole dimensioni (quale
certamente non è quella della ricorrente), si ritiene
sufficiente l'autorizzazione (cfr. TAR Campania Napoli, sez.
VI, 03.06.2009, n. 3039; Tar Lazio-Roma, sez. II-ter,
18.05.2001, n. 4246) mentre per le canne fumarie di palese
evidenza rispetto alla costruzione e alla sua sagoma è
necessaria la concessione edilizia (oggi permesso di
costruire).
Anche ove si ritenesse di qualificare l’intervento de quo
in termini di manutenzione straordinaria in considerazione
della preesistenza di un precedente impianto –qualificazione
comunque da escludere posto che dalla documentazione versata
in atti emerge solo la preesistenza di un tubo aspira fumi
di dimensioni minori e tale preesistenza è peraltro asserita
esclusivamente dal tecnico, Geom. Calò, incaricato dalla
ricorrente di predisporre la relazione depositata
all’amministrazione in sede di presentazione della seconda
istanza di sanatoria– si evidenzia che anche per tale
tipologia di interventi è necessaria l’autorizzazione
paesaggistica nella misura in cui alterino lo stato dei
luoghi e l’aspetto esteriore dell’edificio e non vi è dubbio
che, come emerge dalla documentazione anche fotografica
versata in atti, una canna fumaria di rilevanti dimensioni,
tinteggiata con i colori rosso e viola sia vistosamente e
evidentemente impattante (cfr., ex multis, TAR
Campania Napoli, sez. IV, 31.01.2008, n. 430)
(TAR Veneto, Sez. II,
sentenza 23.02.2011 n. 305 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
anno 2010 |
|
EDILIZIA
PRIVATA:
Si tratta di una semplice
canna fumaria, opera priva di autonoma rilevanza
urbanistico-funzionale e che non risulta particolarmente
pregiudizievole per il territorio.
Inoltre, si tratta di volume tecnico, e secondo la
giurisprudenza di questa Sezione sarebbe possibile ottenere
l’autorizzazione paesaggistica in sanatoria ex art. 167
d.lgs. 42/2004: “l’interpretazione teleologica induce
inevitabilmente a ritenere che, nonostante l’utilizzo della
particella disgiuntiva “o” nella frase “che non abbiano
determinato creazione di superfici utili o volumi”, il
duplice riferimento alle nuove superfici utili e ai nuovi
volumi costituisca un’endiadi, ossia una modalità di
esprimere un concetto unitario con due termini coordinati.
In altri termini, la necessità di interpretare le eccezioni
al divieto di rilasciare l’autorizzazione paesistica in
sanatoria (previste dall’articolo 167, comma 4, del decreto
legislativo n. 42/2004) in coerenza con la ratio
dell’introduzione di tale divieto induce il Collegio a
ritenere che esulino dalla eccezione prevista dall’articolo
167, comma 4, lettera a), gli interventi che abbiano
contestualmente determinato la realizzazione di nuove
superfici utili e di nuovi volumi e che, di converso, siano
suscettibili di accertamento della compatibilità paesistica
anche i soppalchi, i volumi interrati ed i volumi tecnici”,
atteso che i volumi tecnici, proprio in ragione dei
caratteri che li contraddistinguono (già evidenziati in
precedenza), sono inidonei ad introdurre un impatto sul
territorio eccedente la costruzione principale.
La parte ricorrente impugnava i provvedimenti in epigrafe
per i seguenti motivi: 1) carenza di motivazione, atteso che
non vengono spiegate le ragioni di interesse pubblico a
sostegno della demolizione; la canna fumaria era stata
realizzata già nel 1973; 2) eccesso di potere per
contraddittorietà perché la stessa Amministrazione aveva
ingiunto alla ricorrente il controllo della canna fumaria;
3) eccesso di potere perché l’ordinanza persegue uno scopo
diverso dalla tutela del territorio, e cioè gli interessi
privati di altri condomini; 4) difetto di istruttoria.
Il ricorso è fondato e va accolto per i motivi di seguito
precisati.
Infatti, come già osservato in fase cautelare, si tratta di
una semplice canna fumaria, opera priva di autonoma
rilevanza urbanistico-funzionale e che non risulta
particolarmente pregiudizievole per il territorio. Inoltre,
si tratta di volume tecnico, e secondo la giurisprudenza di
questa Sezione sarebbe possibile ottenere l’autorizzazione
paesaggistica in sanatoria ex art. 167 d.lgs. 42/2004: “l’interpretazione
teleologica induce inevitabilmente a ritenere che,
nonostante l’utilizzo della particella disgiuntiva “o” nella
frase “che non abbiano determinato creazione di superfici
utili o volumi”, il duplice riferimento alle nuove superfici
utili e ai nuovi volumi costituisca un’endiadi, ossia una
modalità di esprimere un concetto unitario con due termini
coordinati. In altri termini, la necessità di interpretare
le eccezioni al divieto di rilasciare l’autorizzazione
paesistica in sanatoria (previste dall’articolo 167, comma
4, del decreto legislativo n. 42/2004) in coerenza con la
ratio dell’introduzione di tale divieto induce il Collegio a
ritenere che esulino dalla eccezione prevista dall’articolo
167, comma 4, lettera a), gli interventi che abbiano
contestualmente determinato la realizzazione di nuove
superfici utili e di nuovi volumi e che, di converso, siano
suscettibili di accertamento della compatibilità paesistica
anche i soppalchi, i volumi interrati ed i volumi tecnici”,
atteso che i volumi tecnici, proprio in ragione dei
caratteri che li contraddistinguono (già evidenziati in
precedenza), sono inidonei ad introdurre un impatto sul
territorio eccedente la costruzione principale (Tar
Campania, Napoli, VII, 1748/2009).
Per altro, la stessa Soprintendenza, in data 02.09.2010, con
parere n. 17796 prot., ha espresso parere di compatibilità
paesaggistica sulla canna fumaria, proprio ai sensi
dell’art. 167, co. 4, d.lgs. 42/2004, e lo stesso Comune,
con nota del 14.10.2010, ha preso atto di tale parere
invitando la ricorrente a presentare la perizia giurata al
fine di determinare la sanzione di cui all’art. 167, co. 5;
tali sviluppi amministrativi confermano la riconducibilità
dell’opera tra quelle per la realizzazione delle quali non è
necessario il permesso di costruire e, in quanto tali, non
soggette alla sanzione della demolizione
(TAR Campania-Napoli, Sez. VII,
sentenza 15.12.2010 n. 27380 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
Canne fumarie - Obbligo di scarico a
tetto - Deroga - Presupposti - Art. 5, c. 9, D.P.R. n.
412/1993.
Ai fini dell’integrazione dei presupposti per la deroga
all’obbligo di scarico a tetto -prevista dall’art. 5 co. 9.,
del D.P.R. n. 412/1993, non è sufficiente l’obiettiva
mancanza di camini, canne fumarie o sistemi di evacuazione
con sbocco sopra il tetto funzionali ed idonei, o comunque
adeguabili: a tale mancanza è attribuito valore nell’ambito
esclusivo di situazioni tipicizzate (singole
ristrutturazioni di impianti termici individuali già
esistenti, siti in stabili plurifamiliari; nuove
installazioni di impianti termici individuali in edificio
assoggettato dalla legislazione nazionale o regionale
vigente a categorie di intervento di tipo conservativo,
precedentemente mai dotato di alcun tipo di impianto
termico).
L’impossibilità tecnica di portare gli scarichi oltre la
copertura degli edifici, pertanto, non giustifica di per sé
l’applicazione della deroga, insuscettibile di
interpretazione estensiva o analogica al di fuori dei casi
contemplati dall’art. 5 co. 9.
Canne fumarie - Accertata difformità -
Comune - Esercizio dei poteri di cui all’art. 33 della L. n.
10/1991 - Ordine di adeguamento dell’impianto - Precedente
valutazione di conformità proveniente dal medesimo comune -
Irrilevanza - Potere di autotutela - Verifica della
rispondenza dell’impianto alla normativa vigente - Attività
vincolata.
L’accertata difformità dell’impianto a servizio
dell’immobile dalle prescrizioni in materia di progettazione
ed installazione stabilite dal D.P.R. n. 412/1993, in
attuazione dell’art. 4 della legge n. 10/1991, autorizza
l’esercizio dei poteri riconosciuti all’amministrazione
dall’art. 33 della medesima legge ed, in particolare,
l’adozione dell’ordine di adeguamento dell’impianto, senza
che in contrario rilevino le eventuali precedenti
valutazioni di conformità provenienti dallo stesso Comune.
Che la medesima situazione possa costituire oggetto di
valutazioni differenti rappresenta infatti un portato del
potere di autotutela di cui la pubblica amministrazione
dispone e che, in materia, si esplica non soltanto
attraverso gli strumenti discrezionali di carattere
generale, ma anche e soprattutto attraverso quel controllo
di conformità che, secondo il quarto comma dell’art. 33
dianzi citato, forma oggetto di un’attività sostanzialmente
vincolata di verifica della rispondenza dell’impianto sia
alle previsioni di progetto che alla normativa vigente (TAR
Toscana, Sez. II,
sentenza 12.04.2010 n. 953 - link a
www.ambientediritto.it). |
EDILIZIA
PRIVATA: Interventi
sulla canna fumaria esterna consistenti in
intonacatura con posa di retina plasticata e
malta fibrorinforzata, istallazione di
chiave di ritenuta in acciaio, inserimento
all’interno della canna fumaria di tubazione
in acciaio sono da considerarsi quali opere
di manutenzione straordinaria e, come tali,
non abbisognano della preventiva
autorizzazione paesaggistica (in area
sottoposta a vincolo ambientale).
Con il provvedimento impugnato il Dirigente
del Comune di Venezia ha ordinato la
rimozione delle seguenti opere:
- interventi sulla canna fumaria esterna
consistenti in intonacatura con posa di
retina plasticata e malta fibrorinforzata,
istallazione di chiave di ritenuta in
acciaio, inserimento all’interno della canna
fumaria di tubazione in acciaio.
La motivazione del provvedimento impugnato
fa riferimento alla circostanza che le opere
eseguite sono ritenute non rientranti nella
manutenzione ordinaria e ricadono in area
sottoposta a vincolo paesaggistico
ambientale senza che sia stata ottenuta la
preventiva autorizzazione paesaggistica.
La controinteressata interviene nel presente
giudizio per sostenere la legittimità del
provvedimento impugnato.
Il ricorso è fondato.
Infatti l’art. 149 del D.Lgs. n. 42 del 2004
stabilisce che l’autorizzazione
paesaggistica non è prescritta per gli
interventi di manutenzione ordinaria,
straordinaria, di consolidamento statico e
di restauro conservativo.
L’Amministrazione ha errato nel considerare
che, non trattandosi di manutenzione
ordinaria, dovesse essere richiesta
l’autorizzazione paesaggistica, perché anche
gli interventi di manutenzione
straordinaria, di consolidamento statico e
di restauro conservativo non richiedono il
rilascio dell’autorizzazione paesaggistica.
Il Comune di Venezia non ha valutato se
trattasi di opere di manutenzione
straordinaria, di consolidamento statico e
di restauro conservativo, che non richiedono
il rilascio dell’autorizzazione
paesaggistica.
Il ricorso deve pertanto essere accolto (TAR
Veneto, Sez. II,
sentenza 08.01.2010 n. 35 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
anno 2009 |
|
ATTI
AMMINISTRATIVI:
1. Sindaco - Ordinanze contingibili e
urgenti - Presupposti per l'emanazione - Sanità e igiene.
2. Sindaco - Ordinanze contingibili e urgenti - Cessazione
di emissioni di fumo - Motivazione - Carente - Ipotesi.
3. Giudizio amministrativo - Procedura - Controinteressato -
Impugnazione di atto sollecitato dall'amministratore del
condominio.
1.
I presupposti necessari per l'emanazione di provvedimenti
contingibili ed urgenti sono, da un lato, l'impossibilità di
differire l'intervento ad altro momento in relazione alla
ragionevole previsione di danno incombente (da cui il
carattere dell'urgenza), dall'altro, l'inattuabilità degli
ordinari mezzi offerti dalla normativa (da cui la
contingibilità). Con specifico riferimento alla sanità ed
igiene, l'esercizio, da parte del Sindaco, del potere di
emanare ordinanze contingibili ed urgenti in dette materie è
condizionato all'esistenza di seguenti presupposti:
necessità di intervenire in determinare materie, quali la
sanità e l'igiene; attualità od imminenza di un fatto
eccezionale, quale causa da rimuovere con urgenza;
preventivo accertamento, da parte degli organi competenti,
della situazione di pericolo e di danno; mancanza di
strumenti alternativi previsti dall'ordinamento, visto il
carattere extra ordinem del potere sindacale (1).
------------
(1) TAR Campania Napoli, sez. V, 14-10-2005 n. 16477.
2.
E' carente di motivazione un'ordinanza contingibile ed
urgente, con la quale si ordina la cessazione con effetto
immediato di emissioni di fumo provenienti da una canna
fumaria, che, sebbene sul piano del requisito dell'urgenza,
soddisfi il presupposto dell'espletamento di apposito
accertamento tecnico da parte degli organi competenti, sul
piano della contingibilità, non si soffermi sulla
dimostrazione dell'impossibilità, per il Comune, di
utilizzare strumenti alternativi a quello attivato, avente
carattere eccezionale ed extra ordinem. La questione,
che non pare superabile con il ricorso all'art. 21-octies co.
2, L. n. 241/1990, non è meramente formale, in quanto, il
ricorso allo strumento extra ordinem consente alla p.A. di
evitare in modo legittimo la comunicazione di avvio del
procedimento ex art. 7, L. n. 241/1990 (2).
-----------
(2) TAR Campania Napoli, sez. V, 14-10-2005 n. 16477;
Cons. Stato, sez. V, 13-08-2007 n. 4448.
3.
Il fatto che l'autore dell'esposto che ha dato luogo ad
un'ordinanza contingibile ed urgente fosse l'amministratore
di un condominio non vale certo a fare di quest'ultimo il
controinteressato, né il destinatario della notificazione
del gravame, attesi i confini della legittimazione
processuale passiva dell'amministratore del condominio
fissati dall'art. 1131, Cod. Civ., (che riguarda le sole
parti materiali destinate all'uso comune dei condomini,
anche se ubicate all'esterno dello stabile condominiale)
(3). Per tale condominio, quindi, la qualifica di
controinteressato spetterebbe, in linea di principio, ai
proprietari ed ai residenti nello stabile (4) (TAR Toscana,
Sez. II,
sentenza 18.06.2009 n. 1070 - massima tratta da
http://mondolegale.it - link a
www.giustizia-amministrativa.it).
--------------
(3) Cass. Civ., sez. II, 19-01-1985 n. 145.
(4) Cons. Stato, sez. V, 11-04-1991 n. 542. |
AMBIENTE-ECOLOGIA - EDILIZIA PRIVATA:
Scarico fumi non industriali.
Viene richiesto di chiarire, in termini generali, ma anche a
concreti fini applicativi, due aspetti del quadro normativo
vigente da applicare alla realizzazione di comignoli per
l’emissione di fumi non industriali: da un lato, l’aspetto
edilizio-urbanistico; dall’altro, quello inerente agli
scarichi del tipo anzidetto (Regione
Piemonte,
parere 32/2009 -
tratto da www.regione.piemonte.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
La posa in opera di una modesta canna
fumaria è soggetta solo ad autorizzazione.
Non può assolutamente ritenersi
sufficientemente integrato l’obbligo di cui all’art. 3 della
legge 241 del 1990 dalla comunicazione del parere negativo
espresso dalla Commissione edilizia nel quale si adduce,
quale unico giustificativo: "parere negativo alla canna
fumaria in quanto non pertinente ad una autorimessa". La
motivazione risulta evidentemente generica e non esaustiva e
non consente di rilevare gli elementi di fatto e le ragioni
giuridiche alla base del diniego né tanto meno viene svolta
alcuna considerazione in ordine alla compatibilità o meno
con gli strumenti urbanistici.
Si deve rilevare l’evoluzione del quadro giurisprudenziale
che, da una fase in cui emergeva una certa oscillazione –non
mancando pronunce tanto a favore della necessità della
concessione quanto della sufficienza dell’autorizzazione– si
è giunti alla definizione di un orientamento consolidato,
quanto meno per le ipotesi di strutture di piccole
dimensioni, che ritiene sufficiente l’autorizzazione. Ciò
con la conseguenza che, nell’ipotesi di intervento eseguito
in mancanza di quest’ultima, troverà applicazione il
relativo regime sanzionatorio (dettato dalla legge regionale
n. 61 del 1985) che prevede l’irrogazione della sola
sanzione pecuniaria, atteso che non ricorrono le ipotesi
previste dall’art. 94 per le quali è contemplata la
possibilità dell’applicazione della sanzione demolitoria
(TAR Veneto, Sez. II,
sentenza 02.04.2009 n. 1127 - link a
www.altalex.com). |
EDILIZIA
PRIVATA: La
canna fumaria, di palese evidenza rispetto alla costruzione
e alla sua sagoma, “non può considerarsi un elemento
meramente accessorio ovvero di ridotta e aggiuntiva
destinazione pertinenziale, come tale assorbito o occultato
dalla preesistente struttura dell'immobile, occorrendo
pertanto, per la stessa, la concessione edilizia”.
Con il secondo mezzo si critica
l’amministrazione per la ritenuta carenza della istruttoria.
In sintesi, la ricorrente critica la scelta demolitoria
osservando che, nella fattispecie in esame, ci si era
limitati alla sostituzione di un preesistente “fatiscente
tubo di plastica” con la canna di acciaio contestata.
Proprio la differente consistenza, materialità ed impatto
visivo rende la sostituzione necessitante un titolo
abilitante specifico: trattasi infatti di intervento che
ricade in zona di particolare pregio secondo la normazione
evidenziata nell’epigrafe dell’atto impugnato.
La censura innesta, del resto, il punto principale di causa,
costituito dalla verifica giudiziale della tutela sul piano
paesaggistico che il Comune ha inteso appontare: in termini
legittimi, secondo questo Tribunale.
In argomento, si ricorda che, ai sensi dell’art. 67 del
regolamento edilizio del Comune di Ischia, “Le canne
fumarie non possono essere esterne alle murature o
tamponature se non costituenti una soddisfacente soluzione
architettonica”. La norma si inserisce dunque in una
meditata valorizzazione del paesaggio urbano dell’isola, già
nella sua interezza vincolata paesisticamente, che ha
riscontri precisi nella adozione di alcuni atti quali il
regolamento sull’ornato urbano, ovvero sulle tonalità
cromatiche degli edifici ischitani (cfr., delibera del
13/03/2007 n. 54 verbale di deliberazione del commissario
straordinario – “oggetto: l.r.c. n. 26/2002. approvazione
piano del colore di alcuni ambiti urbani”), nonché,
evidentemente, nel rispetto della sottoposizione dell’isola
al regime vincolistico disciplinato dal Piano Territoriale
Paesistico approvato con Decreto Ministeriale dell’08.02.1999, pubblicato sulla G.U. n. 94 del 23.04.1999.
E’ evidente allora che l’esigenza espressa dal provvedimento
gravato è eminentemente paesistica, e sul piano
sanzionatorio si collega alla “straordinaria importanza
della tutela «reale» dei beni paesaggistici ed ambientali”
(cfr., C. Cost. ord.za 12/20.12.2007 nr. 439). In
particolare, si concreta nella previsione della rimessione
in pristino come consentita dall’art. 167 del Dlgs 42/2004:
vale su punto ricordare che lo stesso articolo 1° del DPR
380/2001 afferma testualmente al secondo comma che “Restano
ferme le disposizioni in materia di tutela dei beni
culturali ed ambientali”, sicché le due tutela devono
considerarsi autonome e operative su basi differenti.
Sempre in termini generali, la necessità della
autorizzazione paesistica, nella presente fattispecie, si
rinviene agevolmente dal testo dell’art. 149 Dlgs n. 42/2004
ove si esclude tale esigenza “per gli interventi di
manutenzione ordinaria, straordinaria, di consolidamento
statico e di restauro conservativo che non alterino lo stato
dei luoghi e l’aspetto esteriore degli edifici”.
In quest’ultima proposizione (“aspetto esteriore degli
edifici”) è agevole riscontrare un evidente
compromissione della identità del luogo nella sostituzione
di una fatiscente canna fumaria con altra di acciaio e la
pari evidente necessità –connessa ad una dinamica “tutela
attiva” del paesaggio”– della intermediazione della verifica
dialettica (per il tramite del procedimento autorizzatorio)
con l’amministrazione pubblica al fine di pervenire ad una
ponderata e non invasiva sistemazione del quadro d’insieme
dei luoghi, degradabile anche con l’incontrollata
manipolazione esteriore degli edifici, con riferimento ad
impianti tecnologici di varia specie che, se non
“impegnativi” sul piano strettamente edilizio, ben possono
essere tali, su quella della vulnerazione dei valori
paesaggistici.
Ma anche sul piano rigorosamente edilizio, la sanzione non
appare sproporzionata. Come ha notato la giurisprudenza, la
canna fumaria, di palese evidenza rispetto alla costruzione
e alla sua sagoma, “non può considerarsi un elemento
meramente accessorio ovvero di ridotta e aggiuntiva
destinazione pertinenziale, come tale assorbito o occultato
dalla preesistente struttura dell'immobile, occorrendo
pertanto, per la stessa, la concessione edilizia”: Tar
Lazio n. 4246 - 18.05.2001 (TAR
Campania-Napoli, Sez. VI,
sentenza 03.06.2009 n. 3039 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
anno 2007 |
|
EDILIZIA
PRIVATA:
Canna fumaria - Lavori edili abusivi - Illecito
edilizio ed ambientale - Accertamento di conformità - Natura
pertinenziale dell’opera - Innovazione abusiva - Sanabilità
- Fattispecie - Art. 36 D.P.R. n. 380/2001 - D.L. n.
269/2003 conv. in L. n. 326/2003 - Art. 7 L. n. 241/1990.
In ambito di tutela paesaggistica, i lavori edili abusivi
consistenti nella realizzazione di una canna fumaria,
costituiscono illecito edilizio ed ambientale, sanzionabile
con la sanzione ripristinatoria.
Sul punto, non rileva né la pretesa natura pertinenziale
dell’opera (che costituisce nondimeno una innovazione
abusiva) né la asserita sanabilità (che tuttavia il
ricorrente, non ha richiesto né sollecitato); né rileva,
stante la natura sostanziale dell’abuso, l’omessa
acquisizione dei pareri della C.E. o della C.E.I., in ragion
del carattere vincolato del provvedimento, cui nessun
apporto procedimentale avrebbero potuto portare gli organi
in questione (Nella specie realizzazione abusiva di canna
fumaria in ferro in zona ambientalmente protetta - Comune di
Pozzuoli) (TAR Campania-Napoli, Sez. VI,
sentenza 16.04.2007 n. 3671
- link a www.ambientediritto.it). |
anno 2001 |
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EDILIZIA
PRIVATA:
Per quanto concerne la
canna fumaria installata dalla ricorrente sull’edificio di
sua proprietà risulta evidente, per le dimensioni della
stessa e la conformazione, in particolare del comignolo, di
eccessiva e sproporzionata mole e consistenza ponderale e
per la conseguente alterazione, di palese evidenza, che
arreca alla costruzione su cui è stata installata ed alla
sua sagoma, che la stessa si presenta, nello spazio
interessante la sua apposizione ed elevazione in altezza,
come un visibile prolungamento completativo degli elementi
costituenti la sagoma di una fiancata e della sovrastante
copertura a tetto spiovente dell’edificio preesistente, già
realizzato.
La stessa canna fumaria non può perciò considerarsi, come
sostiene la ricorrente, un elemento meramente accessorio
ovvero di ridotta e aggiuntiva destinazione pertinenziale,
come tale assorbito o occultato dalla preesistente struttura
dell’immobile.
Va precisato al riguardo che nel sistema di cui alla legge
n. 47/1985, che tipicizza le violazioni edilizie in ragione
della natura, finalità e caratteristiche degli interventi
eseguiti prevedendo la applicazione di distinte e
corrispondenti misure sanzionatorie per la repressione dei
rispettivi abusi, devono ritenersi sottratte al regime della
concessione edilizia soltanto quelle opere che siano
riconducibili (anche in applicazione di previsioni normative
dettate da disposizioni diverse da quelle della citata legge
n. 47/1985) o al regime della autorizzazione comunale ovvero
a quello, estremamente semplificato, della c.d. “denuncia
di inizio di attività” che consente la esecuzione di
particolari interventi su edifici preesistenti mediante la
presentazione della medesima d.i.a. al Comune.
Sono dunque solo tali interventi che possono essere
realizzati senza concessione edilizia poiché a giudizio del
legislatore nella ipotesi di esecuzione degli stessi in
preesistenti edifici e posti in un rapporto di stretto
collegamento con la costruzione cui accedono, può ritenersi
proprio dalla presenza dell’edificio principale, assorbito
l’impatto o la alterazione (sempre che sia di modesta
proporzione) che il nuovo intervento arreca al preesistente
assetto edilizio.
Ora, per quanto concerne la canna fumaria installata dalla
ricorrente sull’edificio di sua proprietà risulta evidente,
per le dimensioni della stessa e la conformazione, in
particolare del comignolo, di eccessiva e sproporzionata
mole e consistenza ponderale e per la conseguente
alterazione, di palese evidenza, che arreca alla costruzione
su cui è stata installata ed alla sua sagoma, che la stessa
si presenta, nello spazio interessante la sua apposizione ed
elevazione in altezza, come un visibile prolungamento
completativo degli elementi costituenti la sagoma di una
fiancata e della sovrastante copertura a tetto spiovente
dell’edificio preesistente, già realizzato.
La stessa canna fumaria non può perciò considerarsi, come
sostiene la ricorrente, un elemento meramente accessorio
ovvero di ridotta e aggiuntiva destinazione pertinenziale,
come tale assorbito o occultato dalla preesistente struttura
dell’immobile
(TAR Lazio-Roma, Sez. II-ter,
sentenza 18.05.2001 n. 4246 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
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