dossier
VOLUMI TECNICI / IMPIANTI TECNOLOGICI |
anno 2021 |
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EDILIZIA PRIVATA:
È assodato in giurisprudenza che “nel caso in cui un intervento
edilizio sia di altezza e volume tale da poter essere destinato a locale
abitabile, ancorché designato in progetto come volume tecnico, deve essere
computato a ogni effetto, sia ai fini della cubatura autorizzabile, sia ai
fini del calcolo dell’altezza e delle distanze ragguagliate all’altezza”.
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Come riferito dal CTU, il Comune ha ravvisato nel 2016 un cambio di
destinazione d’uso dei locali “soffitta” in chiave abitativa, con
predisposizione dell’impianto di riscaldamento, dell’area condizionata e
degli impianti per i bagni. I “solai” risultano anche essere stati rifiniti
con pavimenti e intonaci.
Ciò detto, si deve concludere che tale conformazione del solaio ne impone il
computo, ai fini dell’altezza, in relazione all’art. 9.3 delle NTA già
citato, atteso che questi ultimi costituiscono “ultimo piano abitabile” ai
sensi di tale normativa, laddove l’abitabilità va considerata non con
riferimento all’osservanza di tutti i parametri edilizi pertinenti, ma alla
fruibilità e alla vocazione abitativa del sottotetto, posto che “a seconda
dell'altezza, della praticabilità del solaio, delle modalità di accesso e
dell'esistenza o meno di finestre” “la realizzazione di un locale sottotetto
con vani (distinti e) comunicanti con il piano sottostante mediante una
scala interna è indice rivelatore dell'intento di rendere abitabile detto
locale, non potendosi considerare volumi tecnici i vani in esso ricavati”.
Difatti, “quando una costruzione abbia raggiunto o sia poco al di sotto
dell'altezza massima consentita a un edificio, non è consentita una
qualificazione negativa (nel senso che non si computa a fini di altezza) del
sottotetto, che, per le caratteristiche di sostanziale identità con quelle
delle abitazioni sottostanti, si traduca in un sostanziale innalzamento
dell'edificio assentito in elusione della stessa normativa invocata
sull'utilizzazione dei sottotetti per finalità abitative non stabili”.
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8. Fondato è altresì il
terzo motivo di ricorso, concernente la violazione
del regime delle altezze degli edifici.
La ricorrente deduce, per tale profilo, l’inosservanza sia dell’art. 8 del
DM 1444/1968, sia dell’art. 54.4 del PRG del Comune di Fiumicino.
Quest’ultime disposizioni stabiliscono che l’altezza massima dei nuovi
edifici non possa essere superiore a quella degli edifici preesistenti e
circostanti (cfr. art. 8, quanto alla zona B), mentre la ricorrente deduce
che questi ultimi hanno un’altezza di soli 4 mt, contro i circa 11 mt del
nuovo palazzo.
Nel caso di specie, la prima CTU, senza soffermarsi sull’altezza degli
edifici circostanti, ha accertato che il permesso di costruire impugnato non
ha calcolato, ai fini dell’altezza, i locali adibiti in progetto a “solaio”,
le cui caratteristiche costruttive avrebbero dovuto invece imporre che essi
fossero computati. Ciò ha comportato che il nuovo edificio abbia superato
anche l’altezza degli immobili demoliti e ricostruiti.
Quest’ultima è stata determinata in mt. 11,00, mentre l’altezza della nuova
palazzina è pari a mt 11,60, incluse le soffitte al colmo.
8.1 Con riferimento a queste ultime, la controinteressata ha sostenuto che
esse non debbano venire computate, quanto all’altezza dell’edificio, in
forza dell’art. 9.3 delle NTA vigenti, secondo il quale, nei casi in cui le
falde del tetto abbiano una pendenza non superiore al 35% e la linea di
colmo sia posta non oltre m 2,80 sopra l’estradosso del solaio di copertura
dell’ultimo piano abitabile, l’altezza si misura dalla quota del marciapiede
latistante la fronte medesima alla linea di gronda dell’edificio.
Tuttavia, in linea di diritto, e come sostenuto dalla ricorrente, nel caso
di specie i solai vanno calcolati ai fini di determinare l’altezza
raggiunta.
Sono perciò da disattendere i calcoli offerti con il supplemento di CTU,
che, ancora una volta ribaltando le conclusioni ben più motivate alle quali
il consulente era pervenuto in prima istanza, hanno ritenuto di escludere i
solai dal calcolo dell’altezza.
È infatti assodato in giurisprudenza che “nel caso in cui un intervento
edilizio sia di altezza e volume tale da poter essere destinato a locale
abitabile, ancorché designato in progetto come volume tecnico, deve essere
computato a ogni effetto, sia ai fini della cubatura autorizzabile, sia ai
fini del calcolo dell’altezza e delle distanze ragguagliate all’altezza” (ex plurimis, Cons. Stato, sez. II, n. 8835 del 2019).
È quanto si è verificato nel caso di specie: lo stesso CTU ha verificato che
i cd solai solai rivestono, viceversa, il carattere di ambiente nella
sostanza abitabile, al punto che essi sono collegati con scale interne agli
appartamenti sottostanti (elemento che il CTU, a pag. 22 della prima
consulenza, ha accertato essere già indicato nel progetto originario,
cosicché l’omessa considerazione di esso rende illegittimo il conseguente
titolo abilitativo) e sono dotati di finestre “idonee a garantire un
sufficiente apporto di luce e aria”, con una non trascurabile altezza,
indicata dalla ricorrente in mt 2,20 (il CTU ha altresì rilevato che la
controinteressata ha “inizialmente” accatastato i locali soffitta a
categoria C/2, uso abitativo, sicché l’accatastamento a superficie
accessoria non abitabile dell’ottobre 2016, di cui si dà conto nel
supplemento di istruttoria, deve reputarsi posteriore).
Fermo, quindi, che le caratteristiche strutturali dei cd. solai depongono
per l’utilizzabilità abitativa della relativa superficie, va poi rimarcato
che, nei fatti, tali caratteristiche sono state appunto sfruttate in tali
termini, posto che (come riferito dal CTU) il Comune di Fiumicino ha
ravvisato nel 2016 un cambio di destinazione d’uso dei locali “soffitta” in
chiave abitativa, con predisposizione dell’impianto di riscaldamento,
dell’area condizionata e degli impianti per i bagni. I “solai” risultano
anche essere stati rifiniti con pavimenti e intonaci.
8.2 Ciò detto, si deve concludere che tale conformazione del solaio ne
avrebbe imposto il computo, ai fini dell’altezza, in relazione all’art. 9.3
delle NTA già citato, atteso che questi ultimi costituiscono “ultimo piano
abitabile” ai sensi di tale normativa, laddove l’abitabilità va considerata
non con riferimento all’osservanza di tutti i parametri edilizi pertinenti,
ma alla fruibilità e alla vocazione abitativa del sottotetto, posto che “a
seconda dell'altezza, della praticabilità del solaio, delle modalità di
accesso e dell'esistenza o meno di finestre” (tutti elementi già valutati supra) “la realizzazione di un locale sottotetto con vani (distinti e)
comunicanti con il piano sottostante mediante una scala interna è indice
rivelatore dell'intento di rendere abitabile detto locale, non potendosi
considerare volumi tecnici i vani in esso ricavati” (ex plurimis, Cons.
Stato, sez. IV. n. 812 del 2011).
Difatti, “quando una costruzione abbia raggiunto o sia poco al di sotto
dell'altezza massima consentita a un edificio, non è consentita una
qualificazione negativa (nel senso che non si computa a fini di altezza) del
sottotetto, che, per le caratteristiche di sostanziale identità con quelle
delle abitazioni sottostanti, si traduca in un sostanziale innalzamento
dell'edificio assentito in elusione della stessa normativa invocata
sull'utilizzazione dei sottotetti per finalità abitative non stabili” (Cons.
Stato, sez. VI, n. 2826 del 2014).
In definitiva, il permesso di costruire è illegittimo, anche perché è stato
assentito un edificio più alto di quanto consentito dalla legge.
8.3 L’atto impugnato va perciò annullato, non residuando alcun interesse
all’annullamento del diniego comunale di agire in autotutela, anch’esso qui
censurato (TAR
Lazio-Roma, Sez. II,
sentenza 05.03.2021 n. 2763 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
anno 2020 |
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EDILIZIA PRIVATA: L'ufficio
tecnico di questo Comune si trova ad analizzare progetti che contengono
strutture, definite in planimetria come volumi tecnici, senza poter reperire
una definizione normativa degli stessi.
A quali disposizioni occorre fare riferimento?
Con Circ. 31.01.1973, n. 2474 il Ministero dei lavori pubblici ha dato la
seguente definizione di "volumi tecnici" ai fini del calcolo della
cubatura degli edifici: "Devono intendersi per volumi tecnici, ai fini
della esclusione del calcolo della volumetria ammissibile, i volumi
strettamente necessari a contenere ed a consentire l'eccesso di quelle parti
degli impianti tecnici (idrico, termico, elevatorio, televisivo, di
parafulmine, di ventilazione, ecc.) che non possono per esigenze tecniche di
funzionalità degli impianti stessi, trovare luogo entro il corpo
dell'edificio realizzabile nei limiti imposti dalle norme urbanistiche".
Tale definizione trova conferma e riscontro in un consolidato orientamento
giurisprudenziale che sottolinea come il volume tecnico è tale se:
- non impiegabile né adattabile ad uso abitativo;
- privo di qualsivoglia autonomia funzionale, anche solo
potenziale;
- strettamente necessario per contenere, senza possibili
alternative e comunque per una consistenza volumetrica del tutto contenuta,
gli impianti tecnologici serventi una costruzione principale per essenziali
esigenze tecnico-funzionali della medesima e non collocabili, per qualsiasi
ragione, all'interno dell'edificio.
L'importanza della qualificazione di un volume come "tecnico" sta nel
fatto che i volumi tecnici -purché in rapporto di funzionalità necessaria
rispetto alla costruzione cui ineriscono- non vanno computati nel calcolo
della volumetria massima consentita, in quanto per definizione essi non
generano autonomo carico urbanistico.
Tuttavia vi sono alcune limitazioni:
• nell'ambito della tutela paesaggistica il divieto di incremento
dei volumi esistenti si riferisce a qualsiasi nuova edificazione comportante
creazione di volume, senza che sia possibile distinguere tra volume tecnico
ed altro tipo di volume, sia esso interrato o meno;
• la nozione di volume tecnico può essere applicata solo con
riferimento ad opere edilizie completamente prive di una propria autonomia
funzionale per impianti necessari per l'utilizzo dell'abitazione che non
possono essere ubicati all'interno di essa, connessi alla condotta idrica,
termica, ascensore ecc., mentre va escluso che possa parlarsi di volumi
tecnici al di fuori di tale ambito, al fine di negare rilevanza giuridica ai
volumi comunque esistenti nella realtà fisica.
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Riferimenti normativi e contrattuali
D.P.R. 06.06.2001, n. 380, art. 32 - Circ. 31.01.1973, n. 2474 del Ministero
dei Lavori pubblici
Riferimenti di giurisprudenza
Cons. Stato Sez. IV, 07.07.2020, n. 4358 - Cons. Stato Sez. VI, 15.06.2020,
n. 3805 - Cons. Stato Sez. II, 01.04.2020, n. 2204 - Cons. Stato Sez. II,
12.03.2020, n. 1808 - Cons. Stato Sez. II, 25.10.2019, n. 7289 - Cons. Stato
Sez. II, 29.08.2019, n. 5981 - Cons. Stato Sez. VI, 23.04.2019, n. 2577 -
Cons. Stato Sez. VI, 29.03.2019, n. 2101 - Cons. Stato Sez. VI, 05.12.2018,
n. 6904
Riferimenti di dottrina
- Interventi esclusi dall’autorizzazione paesaggistica e nuova procedura
semplificata, in Ambiente e sviluppo, 2017, 5, 343
- La tutela del patrimonio culturale nella giurisprudenza costituzionale e
amministrativa, in Giornale Dir. Amm., 2017, 1, 116 - Gabriele Sabato
- L'Autorizzazione paesaggistica in sanatoria e i volumi tecnici, in
Corriere Merito, 2013, 10 - Romani Francesca
- Le sanzioni conseguenti all'annullamento del titolo edilizio, tra
interpretazione letterale e principi generali, in Urbanistica e appalti,
2013, 6, 719 - Micalizzi Raffaele (02.09.2020 - tratto da
www.risponde.leggiditalia.it/#doc_week=true). |
EDILIZIA PRIVATA: I
volumi tecnici, ai fini dell'esclusione dal calcolo della volumetria
ammissibile e dell’altezza massima degli edifici, sono esclusivamente i
volumi strettamente necessari a contenere ed a consentire l'accesso a quegli
impianti tecnici indispensabili per assicurare il comfort abitativo degli
edifici, che non possono, per esigenze tecniche di funzionalità degli
impianti, essere inglobati entro il corpo della costruzione realizzabile nei
limiti imposti dalle norme urbanistiche.
Ciò detto in conformità con la condivisibile giurisprudenza del Consiglio di
Stato secondo cui la definizione di volume tecnico “corrisponde a un’opera
priva di qualsivoglia autonomia funzionale, anche solo potenziale, perché è
destinata a solo contenere, senza possibilità di alternative e comunque per
una consistenza volumetrica del tutto contenuta, impianti serventi di una
costruzione principale per essenziali esigenze tecnico-funzionali della
medesima”.
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Al riguardo, occorre premettere come i volumi tecnici, ai fini
dell'esclusione dal calcolo della volumetria ammissibile e dell’altezza
massima degli edifici, siano esclusivamente i volumi strettamente necessari
a contenere ed a consentire l'accesso a quegli impianti tecnici
indispensabili per assicurare il comfort abitativo degli edifici, che non
possano, per esigenze tecniche di funzionalità degli impianti, essere
inglobati entro il corpo della costruzione realizzabile nei limiti imposti
dalle norme urbanistiche (cfr. ex multis TAR Campania Napoli, sez. IV,
17/06/2002, n. 3597), in conformità con la condivisibile giurisprudenza del
Consiglio di Stato (cfr. sent. n. 507/2016), secondo cui la definizione di
volume tecnico “corrisponde a un’opera priva di qualsivoglia autonomia
funzionale, anche solo potenziale, perché è destinata a solo contenere,
senza possibilità di alternative e comunque per una consistenza volumetrica
del tutto contenuta, impianti serventi di una costruzione principale per
essenziali esigenze tecnico-funzionali della medesima”
(TAR Campania-Napoli, Sez. II,
sentenza 03.03.2020 n. 993 - link a www.giustizia-amministrartiva.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
La nozione di volume
tecnico, non computabile nel calcolo della volumetria massima consentita,
può essere applicata solo con riferimento ad opere edilizie completamente
prive di una propria autonomia funzionale, anche potenziale, in quanto
destinate a contenere impianti serventi di una costruzione principale, per
esigenze tecnico-funzionali della costruzione stessa.
Si tratta, in particolare, di impianti necessari per l’utilizzo
dell’abitazione, che non possono essere ubicati all’interno di essa,
connessi alla condotta idrica, termica, ascensore ecc., mentre va escluso
che possa parlarsi di volumi tecnici al di fuori di tale ambito, al fine di
negare rilevanza giuridica ai volumi comunque esistenti nella realtà fisica.
Sicché, nel caso di specie è pacifico che il locale sottotetto non si
configuri alla stregua di un locale tecnico, a prescindere dalla presenza o
meno, all’attualità, di un collegamento con i vani sottostanti, essendo
potenzialmente suscettibile di autonoma utilizzazione, considerate le
dimensioni (per superficie e volume) e il fatto che non risulta
specificamente destinato a esigenze tecnico-funzionali dell’immobile che non
possono essere diversamente soddisfatte, bensì è idoneo ad assolvere a
funzioni diverse, e.g. deposito di materiali.
In ogni caso, «tenuto conto del testo e della ratio dell’art. 167 [del d.lgs. n. 42/2004], nella prospettiva della tutela del paesaggio non è
rilevante la classificazione dei volumi edilizi che si suole fare al fine di
evidenziare la loro neutralità, sul piano del carico urbanistico, poiché le
qualificazioni giuridiche rilevanti sotto il profilo urbanistico ed edilizio
non hanno rilievo, quando si tratti di qualificare le opere sotto il profilo
paesaggistico, sia quando si tratti della percezione visiva di volumi, a
prescindere dalla loro destinazione d’uso, sia quando comunque si tratti di
modificare un terreno o un edificio o il relativo sottosuolo».
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Secondo
consolidata giurisprudenza, «la nozione di volume tecnico, non computabile
nel calcolo della volumetria massima consentita, può essere applicata solo
con riferimento ad opere edilizie completamente prive di una propria
autonomia funzionale, anche potenziale, in quanto destinate a contenere
impianti serventi di una costruzione principale, per esigenze
tecnico-funzionali della costruzione stessa; si tratta, in particolare, di
impianti necessari per l’utilizzo dell’abitazione, che non possono essere
ubicati all’interno di essa, connessi alla condotta idrica, termica,
ascensore ecc., mentre va escluso che possa parlarsi di volumi tecnici al di
fuori di tale ambito, al fine di negare rilevanza giuridica ai volumi
comunque esistenti nella realtà fisica» (Cons. di Stato, VI, sent. n.
5428/2014).
Nel caso di specie è pacifico, alla luce della definizione sopra riportata,
che il locale sottotetto non si configuri alla stregua di un locale tecnico,
a prescindere dalla presenza o meno, all’attualità, di un collegamento con i
vani sottostanti, essendo potenzialmente suscettibile di autonoma
utilizzazione, considerate le dimensioni (per superficie e volume) e il
fatto che non risulta specificamente destinato a esigenze tecnico-funzionali
dell’immobile che non possono essere diversamente soddisfatte, bensì è
idoneo ad assolvere a funzioni diverse, e.g. deposito di materiali.
In ogni caso, «tenuto conto del testo e della ratio dell’art. 167 [del d.lgs. n. 42/2004], nella prospettiva della tutela del paesaggio non è
rilevante la classificazione dei volumi edilizi che si suole fare al fine di
evidenziare la loro neutralità, sul piano del carico urbanistico, poiché le
qualificazioni giuridiche rilevanti sotto il profilo urbanistico ed edilizio
non hanno rilievo, quando si tratti di qualificare le opere sotto il profilo
paesaggistico, sia quando si tratti della percezione visiva di volumi, a
prescindere dalla loro destinazione d’uso, sia quando comunque si tratti di
modificare un terreno o un edificio o il relativo sottosuolo» (Cons. di
Stato, VI, sent. n. 5066/2012).
Nella specie, l’ampliamento del preesistente sottotetto si è sostanziato in
una sopraelevazione (con incontestato aumento dell’altezza dell’immobile al
colmo) che ha comportato un incremento volumetrico dell’immobile e, dal
punto di vista visivo, ha determinato una alterazione dei prospetti
dell’edificio
(TAR Campania-Napoli, Sez. VII,
sentenza 24.02.2020 n. 837 - link a www.giustizia-amministrartiva.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
La nozione di
volume tecnico, non computabile nel calcolo della volumetria
massima consentita, può essere applicata solo con
riferimento ad opere edilizie completamente prive di una
propria autonomia funzionale, anche potenziale, in quanto
destinate a contenere impianti serventi di una costruzione
principale, per esigenze tecnico-funzionali della
costruzione stessa.
Si tratta, in particolare, di impianti necessari per
l’utilizzo dell’abitazione, che non possono essere ubicati
all’interno di essa, connessi alla condotta idrica, termica,
ascensore ecc., mentre va escluso che possa parlarsi di
volumi tecnici al di fuori di tale ambito, al fine di negare
rilevanza giuridica ai volumi comunque esistenti nella
realtà fisica.
Sicché, nel caso di specie è pacifico che il locale
sottotetto non si configuri alla stregua di un locale
tecnico, a prescindere dalla presenza o meno, all’attualità,
di un collegamento con i vani sottostanti, essendo
potenzialmente suscettibile di autonoma utilizzazione,
considerate le dimensioni (per superficie e volume) e il
fatto che non risulta specificamente destinato a esigenze
tecnico-funzionali dell’immobile che non possono essere
diversamente soddisfatte, bensì è idoneo ad assolvere a
funzioni diverse, e.g. deposito di materiali.
In ogni caso, «tenuto conto del testo e della ratio
dell’art. 167 [del d.lgs. n. 42/2004], nella prospettiva
della tutela del paesaggio non è rilevante la
classificazione dei volumi edilizi che si suole fare al fine
di evidenziare la loro neutralità, sul piano del carico
urbanistico, poiché le qualificazioni giuridiche rilevanti
sotto il profilo urbanistico ed edilizio non hanno rilievo,
quando si tratti di qualificare le opere sotto il profilo
paesaggistico, sia quando si tratti della percezione visiva
di volumi, a prescindere dalla loro destinazione d’uso, sia
quando comunque si tratti di modificare un terreno o un
edificio o il relativo sottosuolo».
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Secondo consolidata
giurisprudenza, «la nozione di volume tecnico, non
computabile nel calcolo della volumetria massima consentita,
può essere applicata solo con riferimento ad opere edilizie
completamente prive di una propria autonomia funzionale,
anche potenziale, in quanto destinate a contenere impianti
serventi di una costruzione principale, per esigenze
tecnico-funzionali della costruzione stessa; si tratta, in
particolare, di impianti necessari per l’utilizzo
dell’abitazione, che non possono essere ubicati all’interno
di essa, connessi alla condotta idrica, termica, ascensore
ecc., mentre va escluso che possa parlarsi di volumi tecnici
al di fuori di tale ambito, al fine di negare rilevanza
giuridica ai volumi comunque esistenti nella realtà fisica»
(Cons. di Stato, VI, sent. n. 5428/2014).
Nel caso di specie è pacifico, alla luce della definizione
sopra riportata, che il locale sottotetto non si configuri
alla stregua di un locale tecnico, a prescindere dalla
presenza o meno, all’attualità, di un collegamento con i
vani sottostanti, essendo potenzialmente suscettibile di
autonoma utilizzazione, considerate le dimensioni (per
superficie e volume) e il fatto che non risulta
specificamente destinato a esigenze tecnico-funzionali
dell’immobile che non possono essere diversamente
soddisfatte, bensì è idoneo ad assolvere a funzioni diverse,
e.g. deposito di materiali.
In ogni caso, «tenuto conto del testo e della ratio
dell’art. 167 [del d.lgs. n. 42/2004], nella prospettiva
della tutela del paesaggio non è rilevante la
classificazione dei volumi edilizi che si suole fare al fine
di evidenziare la loro neutralità, sul piano del carico
urbanistico, poiché le qualificazioni giuridiche rilevanti
sotto il profilo urbanistico ed edilizio non hanno rilievo,
quando si tratti di qualificare le opere sotto il profilo
paesaggistico, sia quando si tratti della percezione visiva
di volumi, a prescindere dalla loro destinazione d’uso, sia
quando comunque si tratti di modificare un terreno o un
edificio o il relativo sottosuolo» (Cons. di Stato, VI,
sent. n. 5066/2012).
Nella specie, l’ampliamento del preesistente sottotetto si è
sostanziato in una sopraelevazione (con incontestato aumento
dell’altezza dell’immobile al colmo) che ha comportato un
incremento volumetrico dell’immobile e, dal punto di vista
visivo, ha determinato una alterazione dei prospetti
dell’edificio
(TAR Campania-Napoli, Sez.
VII,
sentenza 24.02.2020 n. 837 - link a
www.giustizia-amministrartiva.it). |
anno 2019 |
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EDILIZIA PRIVATA: Conformemente
alla costante giurisprudenza di questo Consiglio, la nozione di volume
tecnico corrisponde a un’opera priva di qualsiasi autonomia funzionale,
anche solo potenziale, perché destinata solo a contenere, senza possibilità
di alternative e, comunque, per una consistenza volumetrica del tutto
contenuta, impianti serventi di una costruzione principale per essenziali
esigenze tecnico-funzionali di essa.
I volumi tecnici degli edifici sono esclusi dal calcolo della volumetria a
condizione che non assumano le caratteristiche di vano chiuso, utilizzabile
e suscettibile di abitabilità; ne consegue che nel caso in cui un intervento
edilizio sia di altezza e volume tale da poter essere destinato a locale
abitabile, ancorché designato in progetto come volume tecnico, deve essere
computato a ogni effetto, sia ai fini della cubatura autorizzabile, sia ai
fini del calcolo dell'altezza e delle distanze ragguagliate all’altezza.
Anche la giurisprudenza della Cassazione penale ha più volte affermato che
sono volumi tecnici quelli strettamente necessari a contenere ed a
consentire la sistemazione di quelle parti degli impianti tecnici, aventi un
rapporto di strumentalità necessaria con l’utilizzo della costruzione
(serbatoi idrici, extra-corsa degli ascensori, vani di espansione
dell'impianto termico, canne fumarie e di ventilazione, vano scala al di
sopra della linea di gronda età), che non possono, per esigenze tecniche di
funzionalità degli impianti stessi, trovare allocazione entro il corpo
dell’edificio realizzabile nei limiti imposti dalle norme urbanistiche.
Si è anche specificato che per l'identificazione della nozione di “volume
tecnico”, assumono valore tre ordini di parametri, il primo,
positivo, di tipo funzionale, relativo al rapporto di strumentalità
necessaria del manufatto con l'utilizzo della costruzione alla quale si
connette; il secondo ed il terzo, negativi, ricollegati da un
lato all'impossibilità di soluzioni progettuali diverse, nel senso che tali
costruzioni non devono potere essere ubicate all'interno della parte
abitativa, e dall'altro lato ad un rapporto di necessaria proporzionalità
tra tali volumi e le esigenze effettivamente presenti.
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Con l’ulteriore motivo di appello si contesta, infatti, la
considerazione del volume del sottotetto come volume residenziale da parte
del giudice di primo grado, sostenendo che correttamente è stato qualificato
dal Comune come volume tecnico, in base alle norme di attuazione del PRG che
considerano i sottotetti come volumi tecnici se di altezza inferiore ai 2,40
di altezza e comunque tale limite sarebbe previsto anche dalla legge
regionale n. 15 del 2000 per la trasformazione dei sottotetti.
Una tale interpretazione non può essere accolta.
In primo luogo, la norma tecnica di attuazione prevede che dal volume lordo
fuori terra “possano” essere dedotti i volumi tecnici, tra cui i
volumi delle coperture a tetto se di altezza non superiore a metri 2,50 ed
altezza minima non superiore a metri 2,00.
Tale norma deve essere, quindi, applicata conformemente alla costante
giurisprudenza di questo Consiglio, per cui la nozione di volume tecnico
corrisponde a un’opera priva di qualsiasi autonomia funzionale, anche solo
potenziale, perché destinata solo a contenere, senza possibilità di
alternative e, comunque, per una consistenza volumetrica del tutto
contenuta, impianti serventi di una costruzione principale per essenziali
esigenze tecnico-funzionali di essa (Cons. Stato Sez. VI, 17.05.2017, n.
2336; Sez. IV 31.08.2016, n. 3724).
I volumi tecnici degli edifici sono esclusi dal calcolo della volumetria a
condizione che non assumano le caratteristiche di vano chiuso, utilizzabile
e suscettibile di abitabilità; ne consegue che nel caso in cui un intervento
edilizio sia di altezza e volume tale da poter essere destinato a locale
abitabile, ancorché designato in progetto come volume tecnico, deve essere
computato a ogni effetto, sia ai fini della cubatura autorizzabile, sia ai
fini del calcolo dell'altezza e delle distanze ragguagliate all’altezza (cfr.
Cons. Stato, sez. VI, 29.03.2019, n. 2101).
Anche la giurisprudenza della Cassazione penale ha più volte affermato che
sono volumi tecnici quelli strettamente necessari a contenere ed a
consentire la sistemazione di quelle parti degli impianti tecnici, aventi un
rapporto di strumentalità necessaria con l’utilizzo della costruzione
(serbatoi idrici, extra-corsa degli ascensori, vani di espansione
dell'impianto termico, canne fumarie e di ventilazione, vano scala al di
sopra della linea di gronda età), che non possono, per esigenze tecniche di
funzionalità degli impianti stessi, trovare allocazione entro il corpo
dell’edificio realizzabile nei limiti imposti dalle norme urbanistiche; si è
anche specificato che per l'identificazione della nozione di “volume
tecnico”, assumono valore tre ordini di parametri, il primo, positivo,
di tipo funzionale, relativo al rapporto di strumentalità necessaria del
manufatto con l'utilizzo della costruzione alla quale si connette; il
secondo ed il terzo, negativi, ricollegati da un lato all'impossibilità di
soluzioni progettuali diverse, nel senso che tali costruzioni non devono
potere essere ubicate all'interno della parte abitativa, e dall'altro lato
ad un rapporto di necessaria proporzionalità tra tali volumi e le esigenze
effettivamente presenti (Cass. pen, Sez. III, 17.11.2010, n. 7217; id,
27.05.2016, n. 22255).
Inoltre, ai sensi della legge regionale, 28.11.2000, n. 15, art. 3, comma 1,
lettera c), è ammesso il recupero abitativo del sottotetto, quando “l'altezza
media interna, calcolata dividendo il volume interno lordo per la superficie
interna lorda”, non sia inferiore a metri 2,20. “In caso di soffitto
non orizzontale, fermo restando le predette altezze medie, l'altezza della
parete minima non può essere inferiore a metri 1,40”.
Nel caso di specie, l’altezza del sottotetto è indicata in progetto tra i
metri 2 e i metri 2,50, con evidente possibilità di un successivo recupero,
in base alla legge n. 15 del 2000.
Ne deriva che in alcun modo il volume del sottotetto, inoltre di 300 metri
cubi complessivi, di gran lunga superiore al volume del resto dell’edificio,
avrebbe potuto essere calcolato come volume tecnico, ai fini rispetto della
identità di sagoma e di volume richiesto per la ristrutturazione edilizia.
Trattandosi di intervento di nuova costruzione, per la costante
giurisprudenza di questo Consiglio, era, dunque, soggetto ai limiti delle
distanze tra gli edifici (Cons. Stato, sez. IV, 30.05.2013 n. 2972;
12.02.2013 n. 844)
(Consiglio di Stato, Sez. II,
sentenza 25.10.2019 n. 7289 - link a www.giustizia-amministrartiva.it). |
anno 2017 |
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EDILIZIA PRIVATA:
Sulla nozione di volume tecnico.
La nozione di volume tecnico corrisponde
a un'opera priva di qualsiasi autonomia funzionale, anche
solo potenziale, perché destinata solo a contenere, senza
possibilità di alternative e, comunque, per una consistenza
volumetrica del tutto contenuta, impianti serventi di una
costruzione principale per essenziali esigenze
tecnico-funzionali di essa.
Invero, "integra la nozione di volume tecnico, non
computabile nella volumetria della costruzione e irrilevante
ai fini del calcolo delle distanze legali, soltanto l'opera
edilizia priva di autonomia funzionale, anche potenziale, in
quanto destinata a contenere impianti serventi di una
costruzione principale per esigenze tecnico-funzionali della
costruzione medesima”; e, in particolare, quei volumi
strettamente necessari a contenere ed a consentire
l'ubicazione di quegli impianti tecnici indispensabili per
assicurare il comfort degli edifici, che non possano, per
esigenze tecniche di funzionalità degli impianti, essere
inglobati entro il corpo della costruzione realizzabile nei
limiti imposti dalle norme urbanistiche.
Per l’identificazione della nozione di volume tecnico, va
fatto riferimento a tre ordini di parametri:
- il primo, positivo, di tipo funzionale, dovendo avere un
rapporto di strumentalità necessaria con l’utilizzo della
costruzione;
- il secondo e il terzo negativi, ricollegati
all’impossibilità di soluzioni progettuali diverse, nel
senso che tali costruzioni non devono essere ubicate
all’interno della parte abitativa e ad un rapporto di
necessaria proporzionalità che deve sussistere fra i volumi
e le esigenze edilizie completamente prive di una propria
autonomia funzionale, anche potenziale, in quanto destinate
a contenere gli impianti serventi di una costruzione
principale stessa.
In tale tipologia realizzativa appieno si inquadrano gli
interventi posti in essere dall’odierno ricorrente.
Consegue a tale considerazione l’inassoggettabilità degli
stessi ai limiti di ordinarietà posti alle realizzazioni
edilizie quanto all’osservanza delle distanze fra edifici,
per come –condivisibilmente– ritenuto in giurisprudenza.
---------------
È, in primo luogo, incontroverso che le realizzazioni
oggetto del provvedimento gravato integrino volumi tecnici.
Trattasi infatti –come evidenziato, anche con corredo di
documentazione progettuale e fotografica, dalla parte
ricorrente– di vani tecnici di altezza pari a 1,80-1,90 mt.,
non chiusi da tutti i lati e destinati ad alloggio di pompa
di calore, addolcitori e altre condotte esclusivamente
tecniche.
Come costantemente ribadito in giurisprudenza (cfr., ex
plurimis, Cons. Stato, sez. VI, 27.11.2017 n. 5516) la
nozione di volume tecnico corrisponde a un'opera priva di
qualsiasi autonomia funzionale, anche solo potenziale,
perché destinata solo a contenere, senza possibilità di
alternative e, comunque, per una consistenza volumetrica del
tutto contenuta, impianti serventi di una costruzione
principale per essenziali esigenze tecnico-funzionali di
essa.
Nello stesso senso, Cons. Stato, sez. V, 13.03.2014 n. 1272,
secondo cui: “integra la nozione di volume tecnico, non
computabile nella volumetria della costruzione e irrilevante
ai fini del calcolo delle distanze legali, soltanto l'opera
edilizia priva di autonomia funzionale, anche potenziale, in
quanto destinata a contenere impianti serventi di una
costruzione principale per esigenze tecnico-funzionali della
costruzione medesima” (Cons. Stato, sez. IV, 04.05.2010
n. 2565; TAR Sicilia, Palermo, sez. I, 09.07.2007 n. 1749;
TAR Lombardia, Milano, sez. II, 04.04.2002 n. 1337); e, in
particolare, quei volumi strettamente necessari a contenere
ed a consentire l'ubicazione di quegli impianti tecnici
indispensabili per assicurare il comfort degli edifici, che
non possano, per esigenze tecniche di funzionalità degli
impianti, essere inglobati entro il corpo della costruzione
realizzabile nei limiti imposti dalle norme urbanistiche
(TAR Puglia, Lecce, sez. III, 15.01.2005 n. 143).
Per l’identificazione della nozione di volume tecnico, va
fatto riferimento a tre ordini di parametri:
- il primo, positivo, di tipo funzionale, dovendo avere un
rapporto di strumentalità necessaria con l’utilizzo della
costruzione;
- il secondo e il terzo negativi, ricollegati
all’impossibilità di soluzioni progettuali diverse, nel
senso che tali costruzioni non devono essere ubicate
all’interno della parte abitativa e ad un rapporto di
necessaria proporzionalità che deve sussistere fra i volumi
e le esigenze edilizie completamente prive di una propria
autonomia funzionale, anche potenziale, in quanto destinate
a contenere gli impianti serventi di una costruzione
principale stessa.
In tale tipologia realizzativa appieno si inquadrano gli
interventi posti in essere dall’odierno ricorrente.
Consegue a tale considerazione l’inassoggettabilità degli
stessi ai limiti di ordinarietà posti alle realizzazioni
edilizie quanto all’osservanza delle distanze fra edifici,
per come –condivisibilmente– ritenuto in giurisprudenza
(cfr. Cons. Stato, 1272/2014 cit.; nonché Cons. Stato, sez.
IV, 15.01.2013 n. 223).
In ogni caso, come ritenuto dalla Sezione in sede di
delibazione dell’istanza cautelare incidentalmente proposta
dalla parte ricorrente, anche laddove si ritenesse operante
alla fattispecie in esame la prescrizione di cui all’art.
827 c.c. (che, come è noto, impone il rispetto di una
distanza minima di tre metri tra le costruzioni), nel caso
in esame risulta essere stata comunque rispettata la
distanza minima dal confine di 1,5 metri.
Alla riscontrata fondatezza del gravame accede
l’annullamento dell’atto con esso avversato (TAR
Lombardia-Brescia, Sez. I,
sentenza 18.12.2017 n. 1456 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Risulta dalla perizia
riportata nel ricorso principale che i vani sovrastanti il
lastrico solare delle otto palazzine –tra
cui quello oggetto dell’ordinanza impugnata- descritti
nella DIA del 2006 come volumi tecnici riservati agli
impianti a servizio delle sottostanti unità residenziali,
hanno altezza uguale a quella minima (m. 2.70) stabilita
dall’art. 1 del d.m. 05.07.1975 per le abitazioni, sono
comunicanti con il piano sottostante ed inoltre, come
riportato nell’ordinanza, sono dotati di impianti e servizi
igienici.
Il fatto che detti locali siano utilizzabili a fini
abitativi, ne esclude la natura di vani tecnici.
La giurisprudenza ha infatti chiarito che la nozione di vano
tecnico identifica locali che hanno la caratteristica, per
altezza, dimensioni e dotazioni, di escludere qualsiasi
utilità abitativa, perché destinati esclusivamente agli
impianti non installabili all’interno dell’abitazione cui
necessitano, mentre restano esclusi da tale categoria i
locali sottotetto comunicanti, come in specie, con il piano
sottostante mediante una scala interna, che è stata ritenuta
indice rilevatore dell'intento di renderli abitabili.
Ne consegue che i vani tecnici, irrilevanti, per la
loro specifica destinazione, ai fini del calcolo della
volumetria del fabbricato cui accedono, concorrono a pieno
titolo e per intero a determinarne l’entità quando sono
trasformati in spazi idonei all’uso residenziale.
---------------
Accertato che non si tratta di un vano tecnico, poiché ha i
requisiti dei vani abitativi e come tale potrebbe essere
autonomamente utilizzato, ciò che rileva ai fini della
verifica dell’essenzialità della variazione e della
conseguente necessità di ottenere il permesso di costruire,
è il fatto che esso esprime per intero, non solo per
l’incremento di cui alla DIA annullata, nuova volumetria e
nuova superficie abitativa, rispetto al progetto
originariamente assentito, la quale supera largamente il
limite del 5% consentito dall’art. 2 della l.r. n. 26/1985
per l’aumento della cubatura originaria, come si desume
chiaramente dai calcoli, cui si rinvia, della perizia
riportata nel ricorso.
La ricorrente ha in sostanza trasformato il locale
sottotetto in una mansarda completa di servizi ed impianti,
realizzando un aumento di volumetria abitativa, rispetto a
quella assentita con il permesso di costruire, che impone di
considerare l’intervento edilizio come nuova costruzione.
Del resto proprio l’irrilevanza dei volumi tecnici ai fini
del calcolo delle superfici e della cubatura implica che,
ove essi mutino destinazione per volgersi ad uso
residenziale, acquistano visibilità normativa -per
superficie, sagoma, volume ed incidenza sugli standard
urbanistici di zona- che prima non avevano e costituiscono,
per questo, variazioni essenziali ai sensi dell'art. 32,
comma 1, del d.P.R. n. 380/2001, secondo i parametri
stabiliti dall’art. 2 della l.r. Puglia n. 26/1985, per le
quali non è ammesso il ricorso alla D.I.A..
---------------
3.2.1. Anche il quinto motivo, il cui esame precede
logicamente lo scrutinio degli altri, deve essere respinto.
La Società costruttrice sostiene che la realizzazione o
modificazione di volumi tecnici non è subordinata al
rilascio del permesso di costruire e che le opere a tal fine
eseguite, previa presentazione della DIA del 31.10.2006,
sarebbero del tutto conformi alla normativa edilizia allora
vigente.
3.2.2. La tesi è senz’altro corretta, in linea di principio,
poiché, ai sensi dell’art. 32 del d.P.R. 06.06.2001, n.
380, non è richiesto un nuovo permesso di costruire quando
l’originario, già assentito, progetto edilizio non sia
oggetto di variazioni essenziali.
Il citato articolo 32 considera variazioni non essenziali,
per le quali non è richiesto il permesso di costruire e ben
potrebbero essere oggetto di denuncia di inizio di attività,
le modifiche al progetto che non incidono sui parametri
urbanistici e sulle volumetrie, non modificano la
destinazione d’uso e la categoria edilizia, ma si limitano a
variare le cubature accessorie, i volumi tecnici e la
distribuzione interna delle singole unità abitative.
3.3.3. In punto di fatto risulta, però, dalla stessa perizia
riportata nel ricorso principale (pag. 20) che i vani
sovrastanti il lastrico solare delle otto palazzine –tra
cui quello oggetto dell’ordinanza impugnata- descritti
nella DIA del 2006 come volumi tecnici riservati agli
impianti a servizio delle sottostanti unità residenziali,
hanno altezza uguale a quella minima (m. 2.70) stabilita
dall’art. 1 del d.m. 05.07.1975 per le abitazioni, sono
comunicanti con il piano sottostante ed inoltre, come
riportato nell’ordinanza, sono dotati di impianti e servizi
igienici.
Il fatto che detti locali siano utilizzabili a fini
abitativi, ne esclude la natura di vani tecnici.
La giurisprudenza ha infatti chiarito che la nozione di vano
tecnico identifica locali che hanno la caratteristica, per
altezza, dimensioni e dotazioni, di escludere qualsiasi
utilità abitativa (Cons. Stato, sez. IV, 10.07.2013 n. 3666),
perché destinati esclusivamente agli impianti non
installabili all’interno dell’abitazione cui necessitano,
mentre restano esclusi da tale categoria i locali sottotetto
comunicanti, come in specie, con il piano sottostante
mediante una scala interna, che è stata ritenuta indice
rilevatore dell'intento di renderli abitabili (Cons. giust.
amm. Sicilia, sez. giurisd., 14.04.2014 n. 207; Cons. Stato
sez. IV n. 812/2011).
3.3.4. Ne consegue che i vani tecnici, irrilevanti, per la
loro specifica destinazione, ai fini del calcolo della
volumetria del fabbricato cui accedono, concorrono a pieno
titolo e per intero a determinarne l’entità quando sono
trasformati in spazi idonei all’uso residenziale.
3.3.5. Sotto tale profilo appare dunque errata la perizia
riportata nel corpo del motivo in rassegna perché prende in
considerazione, ai fini della verifica della natura
essenziale o non essenziale della variazione, solo l’aumento
di volumetria dei locali tecnici riconducibile alla DIA del
31.10.2006, stimato inferiore al 5% della cubatura
residenziale assentita con il permesso di costruire, limite
entro il quale la variazione è ritenuta non essenziale, ai
sensi dell’art. 2 della l.r. Puglia n. 26/1985 e quindi
eseguibile previa DIA.
L’errore è manifesto.
Accertato, infatti, che non si tratta di un vano tecnico,
poiché ha i requisiti dei vani abitativi e come tale
potrebbe essere autonomamente utilizzato, ciò che rileva ai
fini della verifica dell’essenzialità della variazione e
della conseguente necessità di ottenere il permesso di
costruire, è il fatto che esso esprime per intero, non solo
per l’incremento di cui alla DIA annullata, nuova volumetria
e nuova superficie abitativa, rispetto al progetto
originariamente assentito, la quale supera largamente il
limite del 5% consentito dall’art. 2 della l.r. n. 26/1985
per l’aumento della cubatura originaria, come si desume
chiaramente dai calcoli, cui si rinvia, della perizia
riportata nel ricorso.
3.3.6. La ricorrente ha in sostanza trasformato il locale
sottotetto in una mansarda completa di servizi ed impianti,
realizzando un aumento di volumetria abitativa, rispetto a
quella assentita con il permesso di costruire, che impone di
considerare l’intervento edilizio come nuova costruzione
(TAR Lombardia, Brescia, 06.08.2010 n. 2654; Cassazione
penale, sez. III, 03.10.2002 n. 38191).
3.3.7. Del resto proprio l’irrilevanza dei volumi tecnici ai
fini del calcolo delle superfici e della cubatura implica
che, ove essi mutino destinazione per volgersi ad uso
residenziale, acquistano visibilità normativa -per
superficie, sagoma, volume ed incidenza sugli standard
urbanistici di zona- che prima non avevano e costituiscono,
per questo, variazioni essenziali ai sensi dell'art. 32,
comma 1, del d.P.R. n. 380/2001, secondo i parametri
stabiliti dall’art. 2 della l.r. Puglia n. 26/1985, per le
quali non è ammesso il ricorso alla D.I.A. (Cons. Stato,
sez. IV, 10.07.2013 n. 3666) (TAR
Puglia-Bari, Sez. II,
sentenza 20.02.2017 n. 161 - link a
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anno 2016 |
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EDILIZIA PRIVATA:
Si intendono per volumi tecnici esclusi dal
calcolo della volumetria ammissibile i locali completamente
privi di una propria autonomia funzionale, anche potenziale,
i quali risultano esclusivamente destinati a contenere
impianti serventi alla costruzione principale, che per
esigenze di funzionalità non possono essere inglobati nel
corpo della costruzione.
La nozione di volume tecnico in campo edilizio si fonda su
tre parametri: il primo, positivo, di tipo
funzionale, secondo cui il manufatto deve avere un rapporto
di strumentalità necessaria con l'utilizzo della
costruzione; il secondo e il terzo, negativi,
ricollegati, da un lato, all'impossibilità di soluzioni
progettuali diverse, nel senso che tali costruzioni non
devono essere ubicate all'interno della parte abitativa, e,
dall'altro, ad un rapporto di necessaria proporzionalità fra
tali volumi e le esigenze effettivamente presenti.
Pertanto, tale nozione si adatta solo alle opere
completamente prive di una propria autonomia funzionale,
anche potenziale, in quanto destinate a contenere impianti
al servizio di una costruzione principale, per esigenze
tecnico-funzionali di quest’ultima. Il volume tecnico
consiste quindi in un locale avente una propria ed autonoma
individualità fisica e conformazione strutturale,
funzionalmente inserito al servizio di un’esigenza oggettiva
della costruzione principale, privo di valore autonomo di
mercato, tale da non consentire una diversa destinazione da
quella a servizio dell’immobile cui accede.
Il carattere strumentale rispetto all’immobile principale
deve comunque essere oggettivo e non deve risultare dalla
destinazione soggettivamente conferita dal progettista o dal
proprietario del bene. Inoltre, deve essere sempre
facilmente rilevabile il rapporto di proporzionalità tra
questi volumi e le esigenze effettivamente presenti.
---------------
Nella specie non risulta affatto provato che gli interventi
edilizi realizzati avessero quelle caratteristiche (essere
destinati in via esclusiva a contenere impianti serventi non
altrimenti collocabili nell’immobile) ed anzi la descrizione
contenuta nella relazione tecnica allegata all’istanza
amministrativa, cui sopra si è fatto riferimento, mostra
chiaramente come nella fattispecie in esame si tratti
palesemente di superfici realizzate con autonoma
funzionalità e quindi estranee al concetto di “volume
tecnico”.
Il sol fatto che, in precedenza, i volumi avessero
destinazione abitativa, dimostra di per sé l’assenza del
requisito di necessarietà e proporzionalità che presiede
alla qualificazione di un vano quale volume tecnico.
Va ribadito, infatti, che proprio al fine di evitare
possibilità di aggiramenti della normativa urbanistica ed
edilizia, occorre accedere ad una interpretazione
restrittiva, rigorosamente ancorata al dato funzionale e
perimetrata in termini di effettiva indispensabilità
tecnica.
Converge verso tale conclusione anche la considerazione che
la valenza abilitativa della realizzazione di opere
riguardanti un preesistente fabbricato va riferita
all’intervento complessivo, al fine di evitare che i vincoli
urbanistici possano essere aggirati per il tramite di
pratiche elusive consistenti nella artificiosa
parcellizzazione dell’attività edificatoria.
Invero, il regime dei titoli abilitativi edilizi non può
essere eluso attraverso la suddivisione dell’attività
edificatoria finale nelle singole opere che concorrono a
realizzarla, facendo leva sul fatto che le stesse sono
astrattamente suscettibili di forme di controllo preventivo
più limitate, in ragione della loro più modesta incisività
sull’assetto territoriale. Per contro, l’opera deve essere
sempre “considerata unitariamente nel suo complesso,
senza che sia consentito scindere e considerare
separatamente i suoi singoli componenti”.
---------------
5a - Passando al merito, va osservato che la Sezione si è
già pronunziata sui ricorsi relativi alla medesima
fattispecie con sentenze
25.10.2016 n. 4920 e
28.10.2016 n. 5009. A tali pronunce, involgenti
le medesime problematiche giuridiche sottese al presente
ricorso, si opereranno ampi riferimenti nel prosieguo di
questa decisione.
...
Dalla consulenza tecnica emerge senza alcun ombra di dubbio
che all’ottavo ed al nono piano gli interventi realizzati
con D.I.A. abbiano creato nuovi volumi, prima del tutto
inesistenti.
Dunque non sussistono dubbi che nella specie siano stati
realizzati interventi edilizi con realizzazione di nuove
superficie utili e nuova volumetria, ciò risultando dalla
stessa relazione tecnica promanante dalla società
ricorrente.
A tal riguardo, è allora essenziale stabilire se sia
ammissibile l’operazione di conversione di spazi ordinari in
volumi tecnici (non computabili), con recupero della
cubatura per realizzare manufatti prima del tutto
inesistenti (in particolare quelli edificati al piano nono,
dove vi era in precedenza un mero vano adibito ad uso del
portiere).
Difatti, ove fosse consentita tale traslazione, si potrebbe
ritenere che la modifica volumetrica (oltre che della
sagoma) possieda quei caratteri di marginalità che, come si
è detto, consentirebbero di qualificare l’intervento
complessivo in termini di ristrutturazione leggera,
assentibile con D.I.A..
Si intendono per volumi tecnici esclusi dal calcolo della
volumetria ammissibile i locali completamente privi di una
propria autonomia funzionale, anche potenziale, i quali
risultano esclusivamente destinati a contenere impianti
serventi alla costruzione principale, che per esigenze di
funzionalità non possono essere inglobati nel corpo della
costruzione (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 08.01.2013, n. 32).
La nozione di volume tecnico in campo edilizio si fonda su
tre parametri: il primo, positivo, di tipo
funzionale, secondo cui il manufatto deve avere un rapporto
di strumentalità necessaria con l'utilizzo della
costruzione; il secondo e il terzo, negativi,
ricollegati, da un lato, all'impossibilità di soluzioni
progettuali diverse, nel senso che tali costruzioni non
devono essere ubicate all'interno della parte abitativa, e,
dall'altro, ad un rapporto di necessaria proporzionalità fra
tali volumi e le esigenze effettivamente presenti.
Pertanto, tale nozione si adatta solo alle opere
completamente prive di una propria autonomia funzionale,
anche potenziale, in quanto destinate a contenere impianti
al servizio di una costruzione principale, per esigenze
tecnico-funzionali di quest’ultima. Il volume tecnico
consiste quindi in un locale avente una propria ed autonoma
individualità fisica e conformazione strutturale,
funzionalmente inserito al servizio di un’esigenza oggettiva
della costruzione principale, privo di valore autonomo di
mercato, tale da non consentire una diversa destinazione da
quella a servizio dell’immobile cui accede.
Il carattere strumentale rispetto all’immobile principale
deve comunque essere oggettivo e non deve risultare dalla
destinazione soggettivamente conferita dal progettista o dal
proprietario del bene. Inoltre, deve essere sempre
facilmente rilevabile il rapporto di proporzionalità tra
questi volumi e le esigenze effettivamente presenti.
Nella specie non risulta affatto provato che gli interventi
edilizi realizzati avessero quelle caratteristiche (essere
destinati in via esclusiva a contenere impianti serventi non
altrimenti collocabili nell’immobile) ed anzi la descrizione
contenuta nella relazione tecnica allegata all’istanza
amministrativa, cui sopra si è fatto riferimento, mostra
chiaramente come nella fattispecie in esame si tratti
palesemente di superfici realizzate con autonoma
funzionalità e quindi estranee al concetto di “volume
tecnico” (vedi TAR Toscana, Sez. III, sentenza
22.02.2013 n. 288).
Il sol fatto che, in precedenza, i volumi avessero
destinazione abitativa, dimostra di per sé l’assenza del
requisito di necessarietà e proporzionalità che presiede
alla qualificazione di un vano quale volume tecnico.
Va ribadito, infatti, che proprio al fine di evitare
possibilità di aggiramenti della normativa urbanistica ed
edilizia, occorre accedere ad una interpretazione
restrittiva, rigorosamente ancorata al dato funzionale e
perimetrata in termini di effettiva indispensabilità
tecnica.
Converge verso tale conclusione anche la considerazione che
la valenza abilitativa della realizzazione di opere
riguardanti un preesistente fabbricato va riferita
all’intervento complessivo, al fine di evitare che i vincoli
urbanistici possano essere aggirati per il tramite di
pratiche elusive consistenti nella artificiosa
parcellizzazione dell’attività edificatoria.
Invero, il regime dei titoli abilitativi edilizi non può
essere eluso attraverso la suddivisione dell’attività
edificatoria finale nelle singole opere che concorrono a
realizzarla, facendo leva sul fatto che le stesse sono
astrattamente suscettibili di forme di controllo preventivo
più limitate, in ragione della loro più modesta incisività
sull’assetto territoriale. Per contro, l’opera deve essere
sempre “considerata unitariamente nel suo complesso,
senza che sia consentito scindere e considerare
separatamente i suoi singoli componenti” (Cass., sez.
III, sent. 29.01.2003; sent. 11.10.2005).
Anche sotto questa ulteriore e concorrente prospettiva
risulta evidente che l’insieme degli interventi ha
consentito una conversione integrale del manufatto in
albergo, mediante un insieme di opere che ne hanno alterato
la sagoma, la volumetria (anche a seguito dell’ispessimento
della tompagnatura) e, sia pure in minima parte, l’altezza,
nonché mediante l’innesto di strutture (quali la verandatura
e la copertura posta sul tetto) del tutto eterogenee
rispetto all’impianto originario.
Dal complesso delle esposte considerazioni può concludersi
nel senso che l’utilizzo delle plurime denunzie di inizio
attività non sia conforme alla disciplina urbanistica ed
edilizia, sopra menzionata, sicché anche l’impugnazione
dell’art. 124 della variante generale al PRG (da leggersi in
combinato disposto con l’art. 12 delle n.t.a.) perde di
rilievo, con conseguente inammissibilità delle relative
censure per difetto di interesse (TAR Campania-Napoli, Sez. IV,
sentenza 14.11.2016 n. 5248 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Volumi tecnici.
Sono volumi tecnici quelli strettamente
necessari a contenere ed a consentire la sistemazione di
quelle parti degli impianti tecnici, aventi un rapporto di
strumentalità necessaria con l'utilizzo della costruzione
(quali: serbatoi idrici, extracorsa degli ascensori, vani di
espansione dell'impianto termico, canne fumarie e di
ventilazione, vano scala al di sopra della linea di gronda
età), che non possono, per esigenze tecniche di funzionalità
degli impianti stessi, trovare allocazione entro il corpo
dell'edificio realizzabile nei limiti imposti dalle norme
urbanistiche.
---------------
I volumi tecnici non rientrano nel conteggio dell'indice
edificatorio, in quanto non sono generatori del cd. "carico
urbanistico" e la loro realizzazione è finalizzata a
migliorare la funzionalità e la salubrità delle costruzioni.
Restano esclusi, invece, dalla nozione e sono computabili
nel volume i vani che assolvono funzioni complementari
all'abitazione (quali quelli di sgombero, le soffitte e gli
stenditoi chiusi).
Ritiene questo Collegio che, per
l'identificazione della nozione di "volume tecnico",
assumono valore tre ordini dì parametri, il primo,
positivo, dì tipo funzionale, relativo al rapporto di
strumentalità necessaria del manufatto con l'utilizzo della
costruzione alla quale si connette; il secondo ed il
terzo, negativi, ricollegati da un lato
all'impossibilità di soluzioni progettuali diverse (nel
senso che tali costruzioni non devono potere essere ubicate
all'interno della parte abitativa) e dall'altro lato ad un
rapporto di necessaria proporzionalità tra tali volumi e le
esigenze effettivamente presenti.
Ne deriva che la nozione in esame può essere applicata solo
alle opere edilizie completamente prive di una propria
autonomia funzionale, anche potenziale; ed è invece esclusa
rispetto a locali, in specie laddove di ingombro rilevante,
oggettivamente incidenti in modo significativo sui luoghi
esterni.
---------------
1. Con sentenza del 13.05.2013, il Tribunale di Orvieto,
pronunciando nei confronti di Mo.Ro. e Mo.Fr., imputati dei
reati di cui agli artt. 44, lett. c), d.P.R. n. 380/2001 e
di cui agli artt. 167 e 181 del d.lgs. n. 42/2004 per aver
realizzato una grossa panca di legno, posta al di fuori del
loro esercizio commerciale del tipo macelleria, ancorata al
terreno tramite bulloni, per mettervi dentro parte
dell'impianto di refrigerazione necessario al funzionamento
delle celle frigorifere destinate a conservare carne, in
assenza di permesso di costruire in zona sottoposta a
vincolo paesaggistico (in Orvieto il 08.02.2011) e senza
autorizzazione paesaggistica, li dichiarava responsabili dei
reati ascrittigli e li condannava alla pena di euro
10.000,00 di ammenda ciascuno, con concessione di entrambi i
benefici.
Con sentenza del 20.01.2015, la Corte di appello di Perugia,
a seguito di appello proposto dagli imputati e dal
Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Orvieto,
riformava parzialmente la sentenza del Tribunale di Orvieto
e rideterminava la pena nei confronti dei due imputati per i
due reati unificati ex art. 81 cod. pen., con le attenuanti
generiche, in giorni dieci di arresto ed euro 36.000,00 di
ammenda ciascuno, oltre al pagamento delle spese del grado,
ordinando la demolizione del manufatto abusivo e confermando
nel resto.
...
1 Il ricorso è fondato.
2. Va premesso che, secondo la consolidata interpretazione
giurisprudenziale, sono volumi tecnici
quelli strettamente necessari a contenere ed a consentire la
sistemazione di quelle parti degli impianti tecnici, aventi
un rapporto di strumentalità necessaria con l'utilizzo della
costruzione (quali: serbatoi idrici, extracorsa degli
ascensori, vani di espansione dell'impianto termico, canne
fumarie e di ventilazione, vano scala al di sopra della
linea di gronda età), che non possono, per esigenze tecniche
di funzionalità degli impianti stessi, trovare allocazione
entro il corpo dell'edificio realizzabile nei limiti imposti
dalle norme urbanistiche
(sez. 3 sez. 17.11.2010, dep. 25.02.2011, sez. 3 03.10.2008,
n. 37575, Ronconi; 21.05.2008, n. 20267, Valguarnera; nonché
C. Stato, sez. 5, 31.01.2006, n. 354).
I volumi tecnici non rientrano nel
conteggio dell'indice edificatorio, in quanto non sono
generatori del cd. "carico urbanistico" e la loro
realizzazione è finalizzata a migliorare la funzionalità e
la salubrità delle costruzioni.
Restano esclusi, invece, dalla nozione e sono computabili
nel volume i vani che assolvono funzioni complementari
all'abitazione (quali quelli di sgombero, le soffitte e gli
stenditoi chiusi).
Ritiene questo Collegio -condividendo un consolidato
orientamento della giurisprudenza amministrativa (Tar
Campania, Salerno, sez. 2, 13.07.2009, n. 3987; Tar Puglia,
Lecce, sez. 1, 22.11.2007, n. 3963; Tar Liguria, Genova,
sez. I, 30.01.2007, n. 10)- che, per
l'identificazione della nozione di "volume tecnico",
assumono valore tre ordini dì parametri, il primo,
positivo, dì tipo funzionale, relativo al rapporto di
strumentalità necessaria del manufatto con l'utilizzo della
costruzione alla quale si connette; il secondo ed il
terzo, negativi, ricollegati da un lato
all'impossibilità di soluzioni progettuali diverse (nel
senso che tali costruzioni non devono potere essere ubicate
all'interno della parte abitativa) e dall'altro lato ad un
rapporto di necessaria proporzionalità tra tali volumi e le
esigenze effettivamente presenti.
Ne deriva che la nozione in esame può essere applicata solo
alle opere edilizie completamente prive di una propria
autonomia funzionale, anche potenziale; ed è invece esclusa
rispetto a locali, in specie laddove di ingombro rilevante,
oggettivamente incidenti in modo significativo sui luoghi
esterni.
Tutte le valutazioni connesse ai principi dianzi affermati
non hanno costituito oggetto di specifica e motivata
valutazione della sentenza impugnata.
Nella specie, Il Tribunale, nonostante specifico motivo di
appello, nell'escludere la natura di volume tecnico, ha solo
enunciato i tre ordini di parametri giurisprudenziali per
l'identificazione della nozione di volume tecnico ma non ha
specificamente argomentato in ordine alla loro esclusione in
relazione alla peculiarità del caso concreto con riferimento
agli elementi evidenziati dalla difesa a fondamento dei
motivi di appello.
Tale omissione motivazionale vizia parzialmente l'atto
decisorio.
Conseguentemente, la sentenza impugnata deve essere
annullata con rinvio alla Corte di appello di Firenze per
nuovo esame sul punto (Corte
di Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 08.04.2016 n. 14281 -
tratta da www.lexambiente.it). |
anno 2015 |
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EDILIZIA PRIVATA: Ai
fini dell’identificazione della nozione di volume tecnico,
come tale escluso dal calcolo della volumetria, occorre fare
riferimento a tre ordini di parametri; il primo,
positivo, di tipo funzionale, dovendo avere un rapporto di
strumentalità necessaria con l’utilizzo della costruzione;
il secondo e il terzo negativi ricollegati,
rispettivamente, all’impossibilità di soluzioni progettuali
diverse (nel senso che tali costruzioni non devono essere
ubicate all’interno della parte abitativa) e ad un rapporto
di necessaria proporzionalità che deve sussistere fra i
volumi e le esigenze edilizie completamente prive di una
propria autonomia funzionale, anche potenziale, in quanto
destinate a contenere gli impianti serventi di una
costruzione principale.
Peraltro, con l’importante precisazione, secondo cui:
“L’applicazione di tali criteri induce a concludere che i
volumi tecnici degli edifici, per essere esclusi dal calcolo
della volumetria, non devono assumere le caratteristiche di
vano chiuso, utilizzabile e suscettibile di abitabilità".
---------------
Se è vero, del resto, che s’è sostenuto: “Mentre ai fini
edilizi un nuovo volume può non essere considerato rilevante
e non essere oggetto di computo fra le volumetrie
assentibili (ad esempio, perché ritenuto volume tecnico), ai
fini paesaggistici invece può assumere comunque una
rilevanza e determinare una possibile alterazione dello
stato dei luoghi”, appare al Collegio chiaro che intanto
tale orientamento può valere in quanto si sia,
concretamente, in cospetto di una “possibile alterazione
dello stato dei luoghi”, ovvero di un pregiudizio al
paesaggio, globalmente e complessivamente, e anche in
proiezione dinamica, inteso.
---------------
Quanto, poi, alla convinzione, di seguito espressa nel
parere contrario gravato, che anche l’eventuale riconduzione
delle opere realizzate, nella categoria dei volumi tecnici,
non servirebbe comunque a sanarle, sotto il profilo
paesaggistico, perché l’applicazione dell’art. 167 d.l.vo
42/2004 sarebbe circoscritta, di necessità, ai soli “abusi
minori”, con esclusione di ogni opera –come quella in esame–
di rilevanti dimensioni, si tenga presente, in senso
contrario, la seguente massima, che tale convinzione
recisamente smentisce: “Ai sensi dell’art. 146, comma 12
(ora, comma 4), d.lgs. n. 42 del 22.01.2004, in relazione
alle opere comportanti un aumento di volumetria,
l’autorizzazione paesaggistica non può essere rilasciata ex
post dell’autorità preposta alla tutela del vincolo, fatti
salvi i cosiddetti volumi tecnici (costituiti (da) eventuali
ipotesi marginali) (e) i cosiddetti abusi minori; la stessa
ratio, infatti, che in materia urbanistica induce ad
escludere i volumi tecnici dal calcolo della volumetria
edificabile, vale ugualmente per escludere tali volumi dal
divieto di rilascio dell’autorizzazione paesaggistica in
sanatoria”.
In senso analogo: “Per le opere comportanti un aumento di
volumetria o cubatura l’autorizzazione paesaggistica non può
essere rilasciata “ex post” dall’autorità preposta alla
tutela del vincolo, non rientrando tale ipotesi tra le
fattispecie marginali –i cd. abusi minori– che
eccezionalmente ammettono la sanatoria ambientale in deroga
al divieto generale di nulla – osta postumo; peraltro, la
stessa ratio che in materia urbanistica induce ad escludere
i volumi tecnici dal calcolo della volumetria edificabile
vale ugualmente a far escludere tali volumi dal divieto di
rilascio dell’autorizzazione paesaggistica in sanatoria, con
la conseguenza che gli interventi che abbiano dato luogo
alla realizzazione di soli volumi tecnici rientrano
nell’eccezione di cui all’art. 167, comma 4, lett. a),
d.lgs. n. 42 del 2004, in comb. disp. con l’art. 39, t.u.
06.06.2001 n. 380, e sono, dunque, suscettibili di
accertamento della compatibilità paesistica”.
---------------
Quanto, poi, ai profili tecnico–giuridici della questione,
di cui sopra, ritiene il Collegio –atteso che, ovviamente,
il provvedimento da rendersi da parte della Soprintendenza,
titolare del potere discrezionale in oggetto (non potendosi
aderire alla richiesta di parte ricorrente, di condanna
della stessa Amministrazione a rendere il parere richiesto,
evidentemente in senso conforme ai suoi auspici, ex art. 34,
comma 1, lett. c) del c.p.a., trattandosi all’evidenza, ai
sensi dell’art. 31, comma 3, del c.p.a., di attività non
vincolata, e residuando inevitabilmente ulteriori margini
alla discrezionalità dell’Amministrazione coinvolta,
palesati del resto anche nella trattazione che precede) deve
necessariamente inscriversi nel tessuto normativo,
rappresentato dall’art. 167, comma 4, d.l.vo 42/2004 (ai
sensi del quale: "L’autorità amministrativa competente
accerta la compatibilità paesaggistica, secondo le procedure
di cui al comma 5, nei seguenti casi: a) per i lavori,
realizzati in assenza o difformità dall’autorizzazione
paesaggistica, che non abbiano determinato creazione di
superfici utili o volumi ovvero aumento di quelli
legittimamente realizzati; b) per l’impiego di materiali in
difformità dall’autorizzazione paesaggistica; c) per i
lavori comunque configurabili quali interventi di
manutenzione ordinaria o straordinaria ai sensi
dell’articolo 3 del decreto del Presidente della Repubblica
06.06.2001, n. 380”)– il Collegio non può che invitare
l’Amministrazione dei Beni e delle Attività Culturali a
un’attenta rimeditazione della possibile riconduzione delle
opere realizzate, nella nozione di “volumi tecnici”, ai
sensi della circolare dello stesso Mi.B.A.C., n. 33 del
26.06.2009, nonché alla luce della sentenza di questa
Sezione, n. 1429 del 25.06.2013 (per la cui esposizione, per
evidenti ragioni di sintesi, si rinvia all’ampia disamina,
effettuata in narrativa).
Vero è, che, nel provvedimento impugnato, sono state
spiegate le ragioni, per le quali le opere, eseguite “sine titulo”, non sarebbero ascrivibili alla categoria dei
“volumi tecnici” (sostanzialmente, mercé il richiamo alla
sentenza del TAR Campania–Napoli, Sez. I, n.
313/2013); peraltro, osserva il Collegio come, in
giurisprudenza, siano attestate numerose decisioni, che
identificano il volume tecnico nel modo seguente
(conformemente, del resto, alla sentenza della Sezione, n.
1429/2013): “Ai fini dell’identificazione della nozione di
volume tecnico, come tale escluso dal calcolo della
volumetria, occorre fare riferimento a tre ordini di
parametri; il primo, positivo, di tipo funzionale, dovendo
avere un rapporto di strumentalità necessaria con l’utilizzo
della costruzione; il secondo e il terzo negativi
ricollegati, rispettivamente, all’impossibilità di soluzioni
progettuali diverse (nel senso che tali costruzioni non
devono essere ubicate all’interno della parte abitativa) e
ad un rapporto di necessaria proporzionalità che deve
sussistere fra i volumi e le esigenze edilizie completamente
prive di una propria autonomia funzionale, anche potenziale,
in quanto destinate a contenere gli impianti serventi di una
costruzione principale”; peraltro, con l’importante
precisazione, secondo cui: “L’applicazione di tali criteri
induce a concludere che i volumi tecnici degli edifici, per
essere esclusi dal calcolo della volumetria, non devono
assumere le caratteristiche di vano chiuso, utilizzabile e
suscettibile di abitabilità” (TAR Campania–Napoli,
Sez. VI, 06/02/2014, n. 785); e, nella specie, l’abitabilità
delle opere tecnologiche, rappresentate dal pennello a “T” e
dalle scogliere debolmente soffolte, che l’accompagnano per
la sua lunghezza, è evidentemente esclusa in assoluto (come
pure, del resto, le caratteristiche di “vano chiuso” nonché
utilizzabile altro, che per le esigenze di tutela del porto
e dell’abitato di Marina di Pisciotta, cui è essenzialmente
e primariamente destinato).
Se è vero, del resto, che s’è sostenuto: “Mentre ai fini
edilizi un nuovo volume può non essere considerato rilevante
e non essere oggetto di computo fra le volumetrie
assentibili (ad esempio, perché ritenuto volume tecnico), ai
fini paesaggistici invece può assumere comunque una
rilevanza e determinare una possibile alterazione dello
stato dei luoghi” (Consiglio di Stato, Sez. VI, 02/09/2013,
n. 4348), appare al Collegio chiaro che intanto tale
orientamento può valere in quanto si sia, concretamente, in
cospetto di una “possibile alterazione dello stato dei
luoghi”, ovvero di un pregiudizio al paesaggio, globalmente
e complessivamente, e anche in proiezione dinamica, inteso
(giusta le considerazioni, che si sono espresse, amplius, in
precedenza).
Quanto, poi, alla convinzione, di seguito espressa nel
parere contrario gravato, che anche l’eventuale riconduzione
delle opere realizzate, nella categoria dei volumi tecnici,
non servirebbe comunque a sanarle, sotto il profilo
paesaggistico, perché l’applicazione dell’art. 167 d.l.vo
42/2004 sarebbe circoscritta, di necessità, ai soli “abusi
minori”, con esclusione di ogni opera –come quella in esame– di rilevanti dimensioni, si tenga presente, in senso
contrario, la seguente massima, che tale convinzione
recisamente smentisce: “Ai sensi dell’art. 146, comma 12
(ora, comma 4), d.lgs. n. 42 del 22.01.2004, in
relazione alle opere comportanti un aumento di volumetria,
l’autorizzazione paesaggistica non può essere rilasciata ex
post dell’autorità preposta alla tutela del vincolo, fatti
salvi i cosiddetti volumi tecnici (costituiti (da) eventuali
ipotesi marginali) (e) i cosiddetti abusi minori; la stessa ratio, infatti, che in materia urbanistica induce ad
escludere i volumi tecnici dal calcolo della volumetria
edificabile, vale ugualmente per escludere tali volumi dal
divieto di rilascio dell’autorizzazione paesaggistica in
sanatoria” (TAR Sardegna, Sez. II, 07/03/2012, n. 249).
In senso analogo, cfr. l’ulteriore massima che segue: “Per
le opere comportanti un aumento di volumetria o cubatura
l’autorizzazione paesaggistica non può essere rilasciata “ex
post” dall’autorità preposta alla tutela del vincolo, non
rientrando tale ipotesi tra le fattispecie marginali –i cd.
abusi minori– che eccezionalmente ammettono la sanatoria
ambientale in deroga al divieto generale di nulla – osta
postumo; peraltro, la stessa ratio che in materia
urbanistica induce ad escludere i volumi tecnici dal calcolo
della volumetria edificabile vale ugualmente a far escludere
tali volumi dal divieto di rilascio dell’autorizzazione
paesaggistica in sanatoria, con la conseguenza che gli
interventi che abbiano dato luogo alla realizzazione di soli
volumi tecnici rientrano nell’eccezione di cui all’art. 167,
comma 4, lett. a), d.lgs. n. 42 del 2004, in comb. disp. con
l’art. 39, t.u. 06.06.2001 n. 380, e sono, dunque,
suscettibili di accertamento della compatibilità paesistica”
(TAR Emilia Romagna-Parma, Sez. I, 15/09/2010, n. 435)
(TAR Campania-Salerno, Sez. I,
sentenza 24.11.2015 n. 2481 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Per volumi tecnici, ai fini dell'esclusione dal
calcolo della volumetria ammissibile, devono intendersi i
locali completamente privi di un’autonomia funzionale, anche
potenziale, in quanto destinati a contenere impianti
serventi di una costruzione principale, per esigenze
tecnico-funzionali della costruzione stessa e, in
particolare, quei volumi strettamente necessari a contenere
ed a consentire l'ubicazione di quegli impianti tecnici
indispensabili per assicurare il comfort degli edifici, che
non possano, per esigenze tecniche di funzionalità degli
impianti, essere inglobati entro il corpo della costruzione
realizzabile nei limiti imposti dalle norme urbanistiche.
Per l’identificazione della nozione di volume tecnico, va
fatto riferimento a tre ordini di parametri: il primo,
positivo, di tipo funzionale, dovendo avere un rapporto di
strumentalità necessaria con l’utilizzo della costruzione;
il secondo e il terzo negativi, ricollegati: -
all’impossibilità di soluzioni progettuali diverse, nel
senso che tali costruzioni non devono essere ubicate
all’interno della parte abitativa; - a un rapporto di
necessaria proporzionalità che deve sussistere fra i volumi
e le esigenze edilizie completamente prive di una propria
autonomia funzionale, anche potenziale, in quanto destinate
a contenere gli impianti serventi di una costruzione
principale stessa.
In virtù di tale ricostruzione si è riconosciuto che i
volumi tecnici degli edifici sono esclusi dal calcolo della
volumetria a condizione che non assumano le caratteristiche
di vano chiuso, utilizzabile e suscettibile di abitabilità.
Nel caso in cui un intervento edilizio sia di altezza e
volume tale da poter essere destinato a locale abitabile,
ancorché designato in progetto come volume tecnico, deve
essere computato a ogni effetto, sia ai fini della cubatura
autorizzabile, sia ai fini del calcolo dell’altezza e delle
distanza ragguagliate all’altezza.
Non possono essere considerati volumi tecnici, ad esempio, i
sottotetti degli edifici, quando sono di altezza tale da
poter essere suscettibili d'abitazione o d'assolvere a
funzioni complementari, quale quella ad esempio di deposito
di materiali, le soffitte, gli stenditori chiusi e
quelli «di sgombero», nonché il piano di copertura,
impropriamente definito sottotetto, ma costituente in
realtà, come nella specie, una mansarda in quanto dotato di
rilevante altezza media rispetto al piano di gronda, un vano
scala finalizzato non all'installazione ed all'accesso a
impianti tecnologici necessari alle esigenze abitative, ma a
consentire l'accesso da un appartamento ad una terrazza
praticabile.
Allo stesso modo non può considerarsi un volume tecnico un
locale sottotetto che abbia una rilevante altezza media
rispetto al piano di gronda che sia collegato agli altri
locali mediante una scala interna, dotato di una ampia
finestra di aerazione e di una ulteriore apertura per
accedere ad un terrazzo calpestabile e locali complementari
all'abitazione, tra cui la mansarda (nonché la soffitta, gli
stenditoi chiusi o di sgombero, ecc.).
3.3) Quanto al locale sul confine nord, delle dimensioni di
mt. 17,50 e 3,70 con altezza di mt. 3,30, quest’ultimo,
contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente non può
essere considerato un mero volume tecnico, attesa la sua
caratteristica e consistenza.
Secondo quanto chiarito da giurisprudenza, difatti, per
volumi tecnici, ai fini dell'esclusione dal calcolo della
volumetria ammissibile, devono intendersi i locali
completamente privi di un’autonomia funzionale, anche
potenziale, in quanto destinati a contenere impianti
serventi di una costruzione principale, per esigenze
tecnico-funzionali della costruzione stessa (Consiglio
Stato, sez. IV, 04.05.2010 , n. 2565; TAR Sicilia-Palermo Sez. I - sentenza
09.07.2007, n. 1749; TAR
Lombardia-Milano, Sez. II, 04.04.2002 n. 1337) e, in
particolare, quei volumi strettamente necessari a contenere
ed a consentire l'ubicazione di quegli impianti tecnici
indispensabili per assicurare il comfort degli edifici, che
non possano, per esigenze tecniche di funzionalità degli
impianti, essere inglobati entro il corpo della costruzione
realizzabile nei limiti imposti dalle norme urbanistiche
(TAR Puglia-Lecce, Sez. III - sentenza 15.01.2005
n. 143; TAR Puglia-Bari sentenza n. 2843/2004).
Per l’identificazione della nozione di volume tecnico, va
fatto riferimento a tre ordini di parametri: il primo,
positivo, di tipo funzionale, dovendo avere un rapporto di
strumentalità necessaria con l’utilizzo della costruzione;
il secondo e il terzo negativi, ricollegati: -
all’impossibilità di soluzioni progettuali diverse, nel
senso che tali costruzioni non devono essere ubicate
all’interno della parte abitativa; - a un rapporto di
necessaria proporzionalità che deve sussistere fra i volumi
e le esigenze edilizie completamente prive di una propria
autonomia funzionale, anche potenziale, in quanto destinate
a contenere gli impianti serventi di una costruzione
principale stessa (TAR Sicilia Palermo Sez. I, 09.07.2007).
In virtù di tale ricostruzione si è riconosciuto che i
volumi tecnici degli edifici sono esclusi dal calcolo della
volumetria a condizione che non assumano le caratteristiche
di vano chiuso, utilizzabile e suscettibile di abitabilità
(TAR Puglia Lecce, Sez. III, 15.01.2005 n. 143;
TAR Puglia-Bari sentenza n. 2843/2004).
Nel caso in cui un intervento edilizio sia di altezza e
volume tale da poter essere destinato a locale abitabile,
ancorché designato in progetto come volume tecnico, deve
essere computato a ogni effetto, sia ai fini della cubatura
autorizzabile, sia ai fini del calcolo dell’altezza e delle
distanza ragguagliate all’altezza (TAR Puglia-Bari
sentenza n. 2843/2004).
Non possono essere considerati volumi tecnici, ad esempio, i
sottotetti degli edifici, quando sono di altezza tale da
poter essere suscettibili d'abitazione o d'assolvere a
funzioni complementari, quale quella ad esempio di deposito
di materiali (TAR Puglia-Lecce, Sez. III - sentenza 15.01.2005 n. 143), le soffitte, gli stenditori chiusi e
quelli «di sgombero», nonché il piano di copertura,
impropriamente definito sottotetto, ma costituente in
realtà, come nella specie, una mansarda in quanto dotato di
rilevante altezza media rispetto al piano di gronda
(Consiglio Stato, sez. V, 04.03.2008, n. 918), un vano
scala finalizzato non all'installazione ed all'accesso a
impianti tecnologici necessari alle esigenze abitative, ma a
consentire l'accesso da un appartamento ad una terrazza
praticabile (TAR Campania Napoli Sez. III, 25.05.2010, n. 8748).
Allo stesso modo non può considerarsi un volume tecnico un
locale sottotetto che abbia una rilevante altezza media
rispetto al piano di gronda che sia collegato agli altri
locali mediante una scala interna, dotato di una ampia
finestra di aerazione e di una ulteriore apertura per
accedere ad un terrazzo calpestabile (TAR Sicilia–Palermo Sez. I - sentenza
09.07.2007, n. 1749) e locali
complementari all'abitazione, tra cui la mansarda (nonché la
soffitta, gli stenditoi chiusi o di sgombero, ecc.) ( Cons.
Stato, Sez. V, 13.05.1997, n. 483).
Nel caso di specie al locale in questione mancano del tutto
le caratteristiche per essere considerato volume tecnico.
Non risulta, infatti, dimostrato un rapporto di
strumentalità necessaria con l’utilizzo della costruzione,
nel senso della sua unica finalità e stretta necessità di
contenere impianti tecnici serventi una costruzione
principale che non possano per esigenze tecniche essere
inglobati entro il corpo della costruzione. Ed anzi dalla
stessa ordinanza di demolizione risulta, in base alle
risultanze istruttorie, che il locale ha alche finalità
ulteriori, quali funzione di deposito e bagno, come peraltro
è ragionevole presumere data l’ampiezza dello stesso.
Non è stato in alcun modo dimostrata l’impossibilità di
soluzioni progettuali diverse comportanti l’ubicazione
all’interno della parte abitativa.
Inoltre, lo stesso, per ampiezza e caratteristiche (vano
chiuso, autonomamente utilizzabile e suscettibile di
abitabilità) si palesa come idoneo ad assumere una propria
autonomia funzionale e pertanto non può essere considerato
volume tecnico.
Risulta, infine, irrilevante l’intervenuta presentazione da
parte della ricorrente di una D.I.A. in sanatoria essendo
gli interventi assoggettati al regime del permesso di
costruire.
Le cesure formulate vanno pertanto rigettate.
4) Per le ragioni indicate il ricorso deve essere rigettato
(TAR Campania-Napoli, Sez. VIII,
sentenza 02.07.2015 n. 3490 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Sulla
struttura -oggetto di istanza di sanatoria- costituita da
una grande tettoia con chiusure su più lati, realizzata con
componenti metallici che si assumono “smontabili” poiché “modulari” (pilastri e
strutture di sostegno in acciaio;copertura in lamierati a
sandwich), ed avente una funzione servente (per svolgervi
attività di asciugatura e pulizia dei veicoli) rispetto ad
un preesistente immobile contiguo, destinato ad
autolavaggio.
La struttura in questione risulta suddivisa in due parti di
uguale ampiezza, ovvero “lunghezza m. 16,55; profondità m.
5,60; h anteriore m. 4,60; h posteriore m. 5,20”; che lo
stesso tecnico di parte ricorrente riconosce ricadenti in
“zona ad espansione urbana”, ancorché sostenga trattarsi di
una “struttura tecnologica in ausilio all’esercizio
dell’attività di autolavaggio”.
La struttura oggetto della domanda di sanatoria
in commento è di rilevantissime dimensioni, presenta
chiusure per gran parte del perimetro (come ben evincibile
dalle foto in atti), ed è destinata a soddisfare non
esigenze temporanee o contingenti, bensì prolungate nel
tempo (essendo utilizzata per svolgere parte delle
operazioni dell’attività di autolavaggio già da tempo
esercitata nell’immobile adiacente).
La stessa non presenta alcun intrinseco carattere di
struttura tecnologica, non avendo peculiarità tecniche,
bensì trattandosi soltanto di un’ampia superficie coperta e
parzialmente chiusa, suscettibile di svariati usi
(indipendentemente da quello attuale).
Conseguentemente, la realizzazione di detta struttura non
può essere ricondotta all’ambito della manutenzione
straordinaria, bensì, comportando una significativa
alterazione dell’assetto del territorio, ha natura di nuova
opera da assentire mediante rilascio di permesso di
costruire.
---------------
L’omissione della previa comunicazione dei motivi ostativi
all’accoglimento dell’istanza di sanatoria risulta comunque
superabile ai sensi dell’art. 21-octies, co. 2, L. 241/1990,
in quanto, posto che la valutazione sulla conformità
urbanistica a sanatoria dell’effettuato intervento è di tipo
vincolato e non discrezionale, nella specie risulta palese
che, anche se il detto onere procedimentale fosse stato
assolto, il contenuto del provvedimento conclusivo non
avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto
adottato.
... per l'annullamento, previa sospensione dell’efficacia:
- del provvedimento prot. n. 12862 del 29/10/2008 – rif.
Pratica n. 53/2008, con cui il responsabile dell’Ufficio
Tecnico del Comune di Capodrise ha respinto l’istanza
presentata dai ricorrenti in data 25.06.2008 – prot. n. 7847,
al fine di conseguire il rilascio del permesso di costruire
in sanatoria per una tettoia annessa ad opificio artigianale
preesistente, ubicato in zona omogenea “B” – residenziale;
- di ogni altro atto ad esso preordinato, consequenziale o
connesso.
...
M.A.E. e P.M. impugnano con il
presente ricorso, articolato su due motivi, il provvedimento
del Comune di Capodrise, con il quale il responsabile
dell’Ufficio Tecnico, in “riferimento alla domanda
presentata…in data 25.06.2008 prot. n. 7847 con la quale si
richiedeva il permesso a costruire in conformità al testo
unico dell’edilizia D.P.R. n. 380 del 06.06.2001 e successive
modifiche ed integrazioni” ha espresso “diniego
all’accoglimento della richiesta” con la seguente
motivazione: “Trattasi di richiesta di permesso di costruire
in sanatoria richiesto ai sensi dell’art. 36 DPR 380/2001
relativo ad un opificio artigianale in zona omogenea di tipo
<B>, residenziale. In tale zona omogenea l’edificazione
risulta regolata dalla vigente strumentazione urbanistica
che non consente la realizzazione di capannoni ad uso
deposito o opifici artigianali”.
Dalla prodotta copia della relazione tecnica allegata alla
domanda ex art. 36 DPR 380/2001 (nonché dalle fotografie
nella stessa presenti), emerge che la struttura oggetto di
istanza di sanatoria è costituita da una grande tettoia con
chiusure su più lati, realizzata con componenti metallici
che si assumono “smontabili” poiché “modulari” (pilastri e
strutture di sostegno in acciaio;copertura in lamierati a
sandwich), ed avente una funzione servente (per svolgervi
attività di asciugatura e pulizia dei veicoli) rispetto ad
un preesistente immobile contiguo, destinato ad
autolavaggio.
La struttura in questione risulta suddivisa in due parti di
uguale ampiezza, ovvero “lunghezza m. 16,55; profondità m.
5,60; h anteriore m. 4,60; h posteriore m. 5,20”; che lo
stesso tecnico di parte ricorrente riconosce ricadenti in
“zona ad espansione urbana”, ancorché sostenga trattarsi di
una “struttura tecnologica in ausilio all’esercizio
dell’attività di autolavaggio”.
Ciò chiarito, può passarsi ad esaminare il secondo dei
motivi di ricorso articolati (con il quale sono dedotte
censure di tipo sostanziale), il quale è infondato e va
disatteso sulle seguenti considerazioni:
- che la struttura oggetto della domanda di sanatoria in
commento è di rilevantissime dimensioni, presenta chiusure
per gran parte del perimetro (come ben evincibile dalle foto
in atti), ed è destinata a soddisfare non esigenze
temporanee o contingenti, bensì prolungate nel tempo
(essendo utilizzata per svolgere parte delle operazioni
dell’attività di autolavaggio già da tempo esercitata
nell’immobile adiacente);
- che la stessa non presenta alcun intrinseco carattere di
struttura tecnologica, non avendo peculiarità tecniche,
bensì trattandosi soltanto di un’ampia superficie coperta e
parzialmente chiusa, suscettibile di svariati usi
(indipendentemente da quello attuale);
- che, conseguentemente, la realizzazione di detta struttura
non può essere ricondotta all’ambito della manutenzione
straordinaria, bensì, comportando una significativa
alterazione dell’assetto del territorio, ha natura di nuova
opera da assentire mediante rilascio di permesso di
costruire (cfr. Cons. di Stato sez. V, n. 3939 del
19.07.2013; TAR Liguria n. 876 del 05.06.2014; TAR Campania-Napoli n. 142 del 10.01.2014; TAR Campania-Napoli n.
5853 del 18.12.2013; TAR Piemonte n. 1050 del 09.10.2013; TAR Campania-Napoli n. 4254 del 12.09.2013; TAR Campania-Salerno
n. 1376 del 21.06.2013; TAR Campania-Napoli n. 2924 del
05.06.2013);
- che la descritta tipologia di struttura, nonché la sua
destinazione ad attività artigianale, risultano in contrasto
con le prescrizioni urbanistico-edilizie di zona del vigente
PRG, ricadendo l’intervento in zona omogenea “B”
residenziale (ovvero in “zona ad espansione urbana”, come
con dicitura più generica affermato nella relazione tecnica
allegata all’istanza di sanatoria);
- che la presenza e vigenza di un PRG nel Comune di
Capodrise esclude l’applicabilità nel relativo territorio
della normativa richiamata dai ricorrenti (segnatamente il
punto 1.6 delle “Direttive – Parametri di pianificazione”
della L. Reg. Campania n. 14 del 20.03.1982 in tema di
localizzazione di “impianti produttivi”, trattandosi nella
specie di linee guida date agli enti locali per l’esercizio
delle loro competenze in materia urbanistica);
- che l’evidenziato contrasto con quanto previsto in PRG
neppure è superabile valutando la struttura in questione
come collegata ad una preesistente attività, essendo essa
comunque soggetta alle disposizioni in materia di nuove
opere;
- che la sussistenza del contrasto dell’effettuata
edificazione con le previsioni di PRG è sufficiente a
giustificare il diniego, per cui risulta non necessario
approfondire in questa sede l’ulteriore profilo riguardante
l’affermata carenza documentale della pratica di sanatoria.
Quanto, poi, al primo motivo di ricorso, basato su di una
censura di carattere prettamente formale, osserva il
Collegio che l’omissione della previa comunicazione dei
motivi ostativi all’accoglimento dell’istanza di sanatoria
risulta comunque superabile ai sensi dell’art. 21-octies, co.
2, L. 241/1990, in quanto, posto che la valutazione sulla
conformità urbanistica a sanatoria dell’effettuato
intervento è di tipo vincolato e non discrezionale, nella
specie risulta palese che, anche se il detto onere
procedimentale fosse stato assolto, il contenuto del
provvedimento conclusivo non avrebbe potuto essere diverso
da quello in concreto adottato.
Pertanto, il proposto ricorso va, in definitiva, in toto
respinto (TAR Campania-Napoli, Sez. VIII,
sentenza 30.03.2015 n. 1870 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Si
definisce volume tecnico il volume non impiegabile né
adattabile ad uso abitativo e comunque privo di qualsivoglia
autonomia funzionale, anche solo potenziale, perché
strettamente necessario per contenere, senza possibili
alternative e comunque per una consistenza volumetrica del
tutto contenuta, gli impianti tecnologici serventi una
costruzione principale per essenziali esigenze
tecnico-funzionali della medesima e non collocabili, per
qualsiasi ragione, all’interno dell’edificio (come -e sempre
in difetto dell’alternativa- quelli connessi alla condotta
idrica, termica o all'ascensore e simili, i quali si
risolvono in semplici interventi di trasformazione senza
generare aumento alcuno di carico territoriale o di impatto
visivo).
Un tale volume –che deve porsi in rapporto di strumentalità
necessaria con l’utilizzo della costruzione, nonché in
rapporto di proporzionalità con le esigenze effettive da
soddisfare- non è di norma computato nella volumetria
massima assentibile.
Tale natura è stata ritenuta appunto ravvisabile per cabine
contenenti impianti idrici, termici, motori dell’ascensore e
simili, nonché per i sottotetti termici, intesi come
ambienti situati sotto il solaio di copertura di un
edificio, con esclusive funzioni di isolamento dagli agenti
esterni dell’ultimo piano dell’edificio stesso, purché non
utilizzabile per attività connesse all’uso abitativo, come
nel caso di soffitte, stenditoi chiusi o locali di sgombero.
Si definisce volume tecnico, infatti, il volume non
impiegabile né adattabile ad uso abitativo e comunque privo
di qualsivoglia autonomia funzionale, anche solo potenziale,
perché strettamente necessario per contenere, senza
possibili alternative e comunque per una consistenza
volumetrica del tutto contenuta, gli impianti tecnologici
serventi una costruzione principale per essenziali esigenze
tecnico-funzionali della medesima e non collocabili, per
qualsiasi ragione, all’interno dell’edificio (come -e sempre
in difetto dell’alternativa- quelli connessi alla condotta
idrica, termica o all'ascensore e simili, i quali si
risolvono in semplici interventi di trasformazione senza
generare aumento alcuno di carico territoriale o di impatto
visivo).
Un tale volume –che deve porsi in rapporto di strumentalità
necessaria con l’utilizzo della costruzione, nonché in
rapporto di proporzionalità con le esigenze effettive da
soddisfare- non è di norma computato nella volumetria
massima assentibile.
Tale natura è stata ritenuta appunto ravvisabile per cabine
contenenti impianti idrici, termici, motori dell’ascensore e
simili, nonché per i sottotetti termici, intesi come
ambienti situati sotto il solaio di copertura di un
edificio, con esclusive funzioni di isolamento dagli agenti
esterni dell’ultimo piano dell’edificio stesso, purché non
utilizzabile per attività connesse all’uso abitativo, come
nel caso di soffitte, stenditoi chiusi o locali di sgombero
(cfr. in tal senso, fra le tante, Cons. Stato, VI,
31.03.2014, n. 1512; V, 19.01.2009, n. 236 e 19.09.2005, n.
4744; IV, 28.01.2011, n. 678; Cass. civ., sez. II,
17.12.2013, n. 28141 e 10.09.2014, n. 19094)
(Consiglio di Stato, Sez. VI,
sentenza 21.01.2015 n. 175 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: La
sostituzione del tetto di copertura con altra modalità
costruttiva necessita di permesso di costruire quando,
implicando aumento della volumetria dell’immobile, non può
essere considerata alla stregua di un intervento di
manutenzione straordinaria.
Né è possibile giustificare l’incremento di volumetria,
realizzato nel caso di specie, per effetto della nuova
realizzazione della copertura, ricorrendo al concetto di
volume tecnico, come tale da non considerare nel calcolo
della volumetria complessivamente realizzata, atteso che la
nozione di 'volume tecnico' non computabile nella volumetria
non ricorre se non quando non sussistano modalità
alternative di costruzione non implicanti aumenti di
volumetria o comunque incrementi volumetrici del tutto
contenuti.
In altri termini, il richiamo al concetto di volume tecnico
non può giustificare qualsiasi incremento di volumetria,
rispetto a quella originariamente assentita, connesso
all’adozione di diverse modalità di realizzazione della
copertura dell’immobile rispetto a quella del progetto
originario.
---------------
2. Le censure spiegate avverso l’ordinanza di demolizione,
impugnata con il quinto atto per motivi aggiunti sono
infondate e vanno rigettate alla stregua delle osservazioni
che seguono.
2.1 In esito alla disposta verificazione, è emerso, come da
relazione del verificatore, che anche rispetto alla
volumetria complessivamente assentita con la concessione in
sanatoria, così come rettificata e pari a mc. 444,71,
risulta realizzato un maggior volume di mc 29,53, pari al
6,64%.
Detto incremento di volumetria è in difformità anche
rispetto ai nulla osta rilasciati dall’Ente Parco di Veio
(trattandosi di immobile in area soggetta a vincolo
paesistico) e allegati alla D.I.A. limitati al rivestimento
dell’edificio con intonaco civile e con obbligo di
mantenimento della cubatura preesistente.
Assume il verificatore che detto incremento di cubatura
sarebbe riferibile esclusivamente alle modifiche apportate
al tetto (nuova struttura costituita da trave portante,
morale, tavola) e quindi non sarebbe qualificabile come
variazione essenziale secondo quanto previsto nel comma 3
dell’art. 17 della legge reg. 15/2008 in quanto cubatura
riferibile interamente ad un volume tecnico.
2.2 La tesi non può essere condivisa.
La sostituzione del tetto di copertura con altra modalità
costruttiva necessita di permesso di costruire quando,
implicando aumento della volumetria dell’immobile, non può
essere considerata alla stregua di un intervento di
manutenzione straordinaria.
Né è possibile giustificare l’incremento di volumetria,
realizzato nel caso di specie, per effetto della nuova
realizzazione della copertura, ricorrendo al concetto di
volume tecnico, come tale da non considerare nel calcolo
della volumetria complessivamente realizzata, atteso che la
nozione di 'volume tecnico' non computabile nella
volumetria non ricorre se non quando non sussistano modalità
alternative di costruzione non implicanti aumenti di
volumetria o comunque incrementi volumetrici del tutto
contenuti.
In altri termini, il richiamo al concetto di volume tecnico
non può giustificare qualsiasi incremento di volumetria,
rispetto a quella originariamente assentita, connesso
all’adozione di diverse modalità di realizzazione della
copertura dell’immobile rispetto a quella del progetto
originario.
La realizzazione del cordolo perimetrale sovrastante le
murature portanti del fabbricato, con modifiche delle
altezze, costituisce modalità di realizzazione diversa da
quanto progettato, rispondente ad una delle possibili scelte
costruttive e in quanto tale non riconducibile, per quanto
detto, alla nozione di volume tecnico (la stessa soluzione
realizzativa avrebbe verosimilmente potuto essere conseguita
mediante riduzione dell’altezza delle murature perimetrali e
mantenimento delle altezze complessive medie e della
volumetria preesistente).
La maggiore volumetria realizzata, sebbene inferiore a
quanto indicato nel provvedimento impugnato, è comunque
superiore al 2% del volume complessivamente assentito,
rientrando quindi nella previsione di cui all’art. 17, comma
1, lett. c), della legge reg. 15/2008, e legittima parimenti
la misura sanzionatoria applicata dal Comune di Sacrofano.
2.3 A seguito dei chiarimenti resi dal verificatore in
ottemperanza all’ordinanza n. 5069/2014, resta confermato
che anche gli aumenti delle altezze medie sono riferibili
alla realizzazione della nuova copertura, considerato che,
anche a prescindere dalla correttezza del computo metrico
dell’altezza alla gronda del bene in 2,40 mt, e quindi anche
computando un’altezza alla gronda del bene pari a 2,46 mt,
la maggiore altezza delle pareti perimetrali sarebbe
comunque da ritenersi adeguamento tecnico connesso alla
modalità di realizzazione della struttura soprastante
(gettata di cordoli perimetrali per legare le mura portanti
alla copertura anche per ripianare i carichi derivanti dalle
strutture sovrastanti).
Ne consegue che l’intero incremento di volume è riferibile
alle modalità di realizzazione della nuova copertura
dell’immobile che, nella sua considerazione complessiva,
supera il limite del 2% rispetto alla volumetria assentita,
implicando quindi intervento in difformità dal titolo
abilitativo, atteso che l’immobile de quo è soggetto
a vincolo paesaggistico.
2.4 Va infatti rilevato che, ai sensi dell’art. 17, comma 4,
della legge reg. 15/2008, tutti gli interventi di cui al
comma 1 (ivi compresi gli aumenti di cubatura superiori al
limite del 2%), ove realizzati su immobile vincolato, sono
da considerarsi in totale difformità dal titolo abilitativo
ai fini dell’applicazione del relativo regime sanzionatorio,
con conseguente impossibilità di applicazione della sanzione
pecuniaria di cui all’art. 19 della legge reg. 15/2008.
2.5 La stessa disposizione stabilisce poi che tutti gli
altri interventi edilizi diversi da quelli di cui al comma
1, se realizzati su immobili vincolati, comportano
variazioni essenziali.
In base ad una lettura combinata dei commi 1, 3 e 4
dell’art. 17 menzionato si ha quindi, per quanto rileva in
questa sede, che mentre gli interventi edilizi su cubature
accessorie o volumi tecnici, sebbene implicanti aumenti di
volumetria superiori al 2%, non sono da considerarsi come
variazioni essenziali, nel caso in cui i medesimi interventi
riguardino beni vincolati sono da considerarsi comunque
variazioni essenziali, non potendosi giustificare, in
relazione ad immobili vincolati, interventi modificativi
della cubatura in assenza del nulla osta degli organi
preposti alla tutela del bene diversamente consentiti nei
limiti sopra detti per gli immobili non vincolati.
Ne consegue che, anche a prescindere dalla sopra rilevata
impossibilità di considerare l’intervento de quo come
riguardante esclusivamente un volume tecnico, atteso il
regime vincolistico cui il bene è sottoposto, l’incremento
di volumetria realizzato andrebbe comunque considerato come
variazione essenziale; cosicché il provvedimento
sanzionatorio impugnato sarebbe ugualmente legittimo e non
sarebbe ugualmente applicabile la mera sanzione pecuniaria
(cfr. sul punto Tar Lazio I-quater 06.09.2013 n. 8155)
(TAR Lazio-Roma, Sez. I-quater,
sentenza 10.01.2015 n. 291 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
anno 2014 |
|
EDILIZIA
PRIVATA: La
nozione di volume tecnico, non computabile nel calcolo della
volumetria massima consentita, può essere applicata solo con
riferimento ad opere edilizie completamente prive di una
propria autonomia funzionale, anche potenziale, in quanto
destinate a contenere impianti serventi di una costruzione
principale, per esigenze tecnico-funzionali della
costruzione stessa.
Si tratta, in particolare, di impianti necessari per
l'utilizzo dell'abitazione, che non possono essere ubicati
all'interno di essa, connessi alla condotta idrica, termica,
ascensore ecc., mentre va escluso che possa parlarsi di
volumi tecnici al di fuori di tale ambito, al fine di negare
rilevanza giuridica ai volumi comunque esistenti nella
realtà fisica.
-----------------
Nel caso in esame, si è accertato che l’ordine di
demolizione riguarda un fabbricato, già sul piano
dimensionale (6,30 mt X 5,40 mt e di altezza pari a mt
2,90), ex se di consistente impatto e nient’affatto
accessorio o servente rispetto all’abitazione principale.
La stessa destinazione principale a ricovero di biciclette
ed altri mezzi, riconosciuta dai proprietari (unitamente
alle altre destinazioni proprie dei volumi tecnici), non fa
altro che corroborare la correttezza della tesi
dell’amministrazione, a ragione condivisa dai giudici di
primo grado, secondo cui si tratta in realtà di un manufatto
potenzialmente (ma anche in fatto) autonomo rispetto a
quello principale, pienamente compatibile, anche in ragione
della sua altezza con destinazioni d’uso di differente
tipologia e perciò non qualificabile alla stregua di un
volume tecnico.
Pertanto, è pacifico che non si tratti di locale tecnico, ma
al più di locale di sgombero, potenzialmente destinato ad
altra destinazione d’uso.
---------------
In assenza di leggi regionali e di altre disposizioni
normative urbanistico-edilizie specificamente applicabili,
si deve tenere conto nella materia della circolare del
Ministero dei lavori pubblici 31.01.1973, n. 2474, che ha
ammesso la possibilità di non computare nella volumetria
assentibile i volumi tecnici, soltanto quando si tratti di
un manufatto ancora da realizzare e l'amministrazione abbia
effettuato ex ante le valutazioni inerenti alle sue esigenze
tecnico-funzionali.
Quando, invece, sia stato realizzato abusivamente un nuovo
volume, rispetto a quello legittimamente assentito, nessuna
disposizione consente di effettuare le medesime valutazioni:
il solo fatto che si tratti di un nuovo manufatto abusivo
preclude all'amministrazione di considerarlo irrilevante.
Inoltre, nella stessa circolare si legge che, sentito il
Consiglio Superiore dei lavori pubblici, si propone la
seguente definizione di volume tecnico: "Devono intendersi
per volumi tecnici, ai fini della esclusione dal calcolo
della volumetria ammissibile, i volumi strettamente
necessari a contenere ed a consentire l'accesso di quelle
parti degli impianti tecnici (idrico, termico, elevatorio,
televisivo, di parafulmine, di ventilazione, ecc.) che non
possono per esigenze di funzionalità degli impianti stessi,
trovare luogo entro il corpo dell'edificio realizzabile nei
limiti imposti dalle norme urbanistiche.
A titolo esemplificativo il Consiglio Superiore fa presente
che sono da considerare "volumi tecnici" quelli strettamente
necessari a contenere i serbatoi idrici, l'extracorsa degli
ascensori, i vasi di espansione dell'impianto di
termosifone, le canne fumarie e di ventilazione, il vano
scala al di sopra delle linee di gronda. Non sono invece da
intendere come volumi tecnici i bucatai, gli stenditoi
coperti, i locali di sgombero e simili”.
Osserva, infatti, il Collegio che, in base ad una
consolidata giurisprudenza da cui non si ravvisano ragioni
per discostarsi "la nozione di volume tecnico, non
computabile nel calcolo della volumetria massima consentita,
può essere applicata solo con riferimento ad opere edilizie
completamente prive di una propria autonomia funzionale,
anche potenziale, in quanto destinate a contenere impianti
serventi di una costruzione principale, per esigenze
tecnico-funzionali della costruzione stessa; si tratta, in
particolare, di impianti necessari per l'utilizzo
dell'abitazione, che non possono essere ubicati all'interno
di essa, connessi alla condotta idrica, termica, ascensore
ecc., mentre va escluso che possa parlarsi di volumi tecnici
al di fuori di tale ambito, al fine di negare rilevanza
giuridica ai volumi comunque esistenti nella realtà fisica"
(Cons. di Stato, Sez. IV, 04.05.2010, n. 2565).
Nel caso in esame, si è accertato che l’ordine di
demolizione riguarda un fabbricato, già sul piano
dimensionale (6,30 mt X 5,40 mt e di altezza pari a mt
2,90), ex se di consistente impatto e nient’affatto
accessorio o servente rispetto all’abitazione principale. La
stessa destinazione principale a ricovero di biciclette ed
altri mezzi, riconosciuta dai proprietari (unitamente alle
altre destinazioni proprie dei volumi tecnici), non fa altro
che corroborare la correttezza della tesi
dell’amministrazione, a ragione condivisa dai giudici di
primo grado, secondo cui si tratta in realtà di un manufatto
potenzialmente (ma anche in fatto) autonomo rispetto a
quello principale, pienamente compatibile, anche in ragione
della sua altezza con destinazioni d’uso di differente
tipologia e perciò non qualificabile alla stregua di un
volume tecnico.
In ogni caso, giova qui ricordare che, come statuito da
questa sezione nella sentenza 05.08.2013 n. 4086, in assenza
di leggi regionali e di altre disposizioni normative
urbanistico-edilizie specificamente applicabili, si deve
tenere conto nella materia della circolare del Ministero dei
lavori pubblici 31.01.1973, n. 2474, che ha ammesso la
possibilità di non computare nella volumetria assentibile i
volumi tecnici, soltanto quando si tratti di un manufatto
ancora da realizzare e l'amministrazione abbia effettuato
ex ante le valutazioni inerenti alle sue esigenze
tecnico-funzionali. Quando, invece, sia stato realizzato
abusivamente un nuovo volume, rispetto a quello
legittimamente assentito, nessuna disposizione consente di
effettuare le medesime valutazioni: il solo fatto che si
tratti di un nuovo manufatto abusivo preclude
all'amministrazione di considerarlo irrilevante.
Inoltre, nella stessa circolare si legge che, sentito il
Consiglio Superiore dei lavori pubblici, si propone la
seguente definizione di volume tecnico: "Devono
intendersi per volumi tecnici, ai fini della esclusione dal
calcolo della volumetria ammissibile, i volumi strettamente
necessari a contenere ed a consentire l'accesso di quelle
parti degli impianti tecnici (idrico, termico, elevatorio,
televisivo, di parafulmine, di ventilazione, ecc.) che non
possono per esigenze di funzionalità degli impianti stessi,
trovare luogo entro il corpo dell'edificio realizzabile nei
limiti imposti dalle norme urbanistiche.
A titolo esemplificativo il Consiglio Superiore fa presente
che sono da considerare "volumi tecnici" quelli strettamente
necessari a contenere i serbatoi idrici, l'extracorsa degli
ascensori, i vasi di espansione dell'impianto di
termosifone, le canne fumarie e di ventilazione, il vano
scala al di sopra delle linee di gronda. Non sono invece da
intendere come volumi tecnici i bucatai, gli stenditoi
coperti, i locali di sgombero e simili.”
Nel caso di specie è pacifico, alla luce della definizione
dianzi esposta, che non si tratti di locale tecnico, ma al
più di locale di sgombero, potenzialmente destinato ad altra
destinazione d’uso (Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 04.11.2014 n. 5428 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Il torrino scala non
costituisce un ‘volume tecnico’ (non
computabile nella volumetria dell'edificio
se destinato alla installazione ed accesso a
impianti tecnologici necessari alle esigenze
abitative), bensì il contenitore di un “vano
scala finalizzato a consentire l'accesso da
un appartamento ad una terrazza
praticabile".
---------------
La nozione di ‘volume tecnico’, non
computabile nella volumetria ai fini in
questione, corrisponde a un’opera priva di
qualsivoglia autonomia funzionale, anche
solo potenziale, perché è destinata a solo
contenere, senza possibilità di alternative
e comunque per una consistenza volumetrica
del tutto contenuta, impianti serventi di
una costruzione principale per essenziali
esigenze tecnico-funzionali della medesima.
In sostanza, si tratta di impianti necessari
per l'utilizzo dell'abitazione che non
possono essere in alcun modo ubicati
all'interno di questa, come possono essere
–e sempre in difetto dell’alternativa-
quelli connessi alla condotta idrica,
termica o all'ascensore e simili, i quali si
risolvono in semplici interventi di
trasformazione senza generare aumento alcuno
di carico territoriale o di impatto visivo.
Va pertanto escluso che possa parlarsi di
volumi tecnici in relazione a quelle parti
del fabbricato che si pongono a sua
“integrazione”, come ad esempio il presente
vano scale, di cui il torrino rappresenta la
prosecuzione. Il torrino, è una costruzione
che si eleva al di sopra della linea di
gronda di un preesistente fabbricato e,
implicandone la sopraelevazione, determina
un aumento della volumetria precedente.
Nella specie, quindi, la realizzazione del
predetto torrino si è sostanziato in una
sopraelevazione che ha comportato un
incremento volumetrico dell’immobile e, dal
punto di vista visivo, ha determinato una
modifica delle facciate con una alterazione
dei prospetti dell’edificio che
legittimamente l’Amministrazione ha stimato,
nella sua discrezionalità tecnica, come non
paesisticamente compatibile.
... per la riforma della sentenza del TAR
CAMPANIA-NAPOLI: SEZIONE III n. 8748/2010,
resa tra le parti, concernente diniego
compatibilità ambientale opere edilizie
...
1.- L’appellante Ciccarelli Concetta ha
agito in giudizio contro il giudizio
soprintenditizio (n. prot. n. 23505 del
13.09.2007) di incompatibilità paesaggistica
circa la sanatoria di un torrino abusivo.
Questo, secondo la ricorrente costituirebbe,
tramite il vano scalo, un mero volume
tecnico di collegamento del piano inferiore
al terrazzo, come tale ammissibile a
positiva valutazione paesaggistica perché
non determinante incremento di volume.
Le censure oggetto di esame possono essere
trattate congiuntamente. Vanno disattese in
quanto, come ben considerato dal primo
giudice in relazione a un precedente, per
quanto risalente e precedente la
legislazione sul c.d. condono edilizio, di
questo Consiglio di Stato (Cons. Stato, V,
26.07.1984, n. 578), il torrino scala non
costituisce un ‘volume tecnico’ (non
computabile nella volumetria dell'edificio
se destinato alla installazione ed accesso a
impianti tecnologici necessari alle esigenze
abitative), bensì il contenitore di un “vano
scala finalizzato a consentire l'accesso da
un appartamento ad una terrazza praticabile".
Non è così per il caso di specie, dove il
torrino di cui si tratta appariva in punto
di fatto patentemente privo di siffatte
esclusive, necessarie e contenute
caratteristiche. Legittimamente ha dunque
l’Amministrazione escluso la compatibilità
domandata.
L’appello va perciò respinto e la sentenza
merita conferma per le seguenti ulteriori
ragioni.
2.- In linea preliminare, occorre osservare
che la nozione di ‘volume tecnico’,
non computabile nella volumetria ai fini in
questione, corrisponde a un’opera priva di
qualsivoglia autonomia funzionale, anche
solo potenziale, perché è destinata a solo
contenere, senza possibilità di alternative
e comunque per una consistenza volumetrica
del tutto contenuta, impianti serventi di
una costruzione principale per essenziali
esigenze tecnico-funzionali della medesima.
In sostanza, si tratta di impianti necessari
per l'utilizzo dell'abitazione che non
possono essere in alcun modo ubicati
all'interno di questa, come possono essere
–e sempre in difetto dell’alternativa-
quelli connessi alla condotta idrica,
termica o all'ascensore e simili, i quali si
risolvono in semplici interventi di
trasformazione senza generare aumento alcuno
di carico territoriale o di impatto visivo.
Va pertanto escluso che possa parlarsi di
volumi tecnici in relazione a quelle parti
del fabbricato che si pongono a sua “integrazione”,
come ad esempio il presente vano scale, di
cui il torrino rappresenta la prosecuzione.
Il torrino, è una costruzione che si eleva
al di sopra della linea di gronda di un
preesistente fabbricato e, implicandone la
sopraelevazione, determina un aumento della
volumetria precedente (cfr. Cass., II,
03.02.2011, n. 2566).
Nella specie, quindi, la realizzazione del
predetto torrino si è sostanziato in una
sopraelevazione che ha comportato un
incremento volumetrico dell’immobile e, dal
punto di vista visivo, ha determinato una
modifica delle facciate con una alterazione
dei prospetti dell’edificio che
legittimamente l’Amministrazione ha stimato,
nella sua discrezionalità tecnica, come non
paesisticamente compatibile.
3.- Quanto all'oggetto della valutazione
paesaggistica nel contesto del procedimento
di sanatoria edilizia, il parere
dell’Amministrazioni statale preposta alla
tutela del paesaggio ha natura e funzioni
simili a quelle esercitate in sede di
rilascio dell’autorizzazione paesaggistica.
Sicché è del tutto autonoma dalla
valutazione fatta dalle autorità competenti
(usualmente, il Comune) per la
qualificazione urbanistica.
Ne consegue, come bene affermato dal primo
giudice, che il provvedimento impugnato era
congruamente motivato, in relazione al
contrasto dell'intervento con i limiti posti
dall'art. 167, comma 4, lett. a), d.lgs.
22.01.2004, n. 42, che precludono
l’eccezionale possibilità
dell’autorizzazione paesaggistica postuma.
4.- In conclusione, l’appello deve essere
respinto, con conferma della sentenza
gravata, risultando la criticata valutazione
della Soprintendenza conforme a principi di
ragionevolezza tecnica in tema di tutela dei
beni paesaggistici (Consiglio di Stato, Sez.
VI,
sentenza 31.03.2014 n. 1512 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA: Deve
richiamarsi l’indirizzo giurisprudenziale che esclude la
rilevanza urbanistica dei cd. volumi tecnici, tali dovendo
ritenersi i “piccoli volumi accessori, con funzioni serventi
all'allocazione di impianti e dispositivi tecnologici, quali
vani caldaie, vani frigorifero o vani scale”, inidonei a
soddisfare alcuna finalità residenziale, “completamente
privi di una propria autonomia funzionale, anche potenziale,
in quanto destinati a contenere impianti serventi di una
costruzione principale, per esigenze tecnico-funzionali
della costruzione stessa”.
Deve osservarsi, a tale riguardo, che l’intervento de quo,
come già evidenziato, non contempla alcun incremento
volumetrico.
Quanto al locale in muratura avente una superficie di mq.
9,12, infatti, ne viene prevista l’integrale chiusura, in
modo da renderlo un volume tecnico inaccessibile, mentre
quanto all’ampliamento del fabbricato esistente, avente una
superficie coperta di mq. 12,08, ne viene prevista la
destinazione a centrale termica, ovvero all’alloggiamento di
impianti tecnologici a servizio del fabbricato.
Al riguardo, premesso che la suddetta connotazione
funzionale del manufatto de quo era chiaramente indicata
nella relazione tecnica allegata alla domanda di sanatoria e
nelle note tecniche prodotte dalla parte in risconto al
preavviso di diniego ex art. 10-bis l. n. 241/1990, deve
richiamarsi l’indirizzo giurisprudenziale che esclude la
rilevanza urbanistica dei cd. volumi tecnici, tali dovendo
ritenersi (cfr. TAR per la Sicilia, Palermo, Sez. III,
13.08.2013, n. 1619) i “piccoli volumi accessori, con
funzioni serventi all'allocazione di impianti e dispositivi
tecnologici, quali vani caldaie, vani frigorifero o vani
scale”, inidonei a soddisfare alcuna finalità
residenziale, “completamente privi di una propria
autonomia funzionale, anche potenziale, in quanto destinati
a contenere impianti serventi di una costruzione principale,
per esigenze tecnico-funzionali della costruzione stessa”
(TAR Campania-Salerno, Sez. II,
sentenza 31.03.2014 n. 645 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Tunnel mobile di protezione delle materie prime e delle
merci.
Un tunnel mobile di protezione in
prolungamento rispetto al corpo di fabbrica, destinato alla
protezione delle materie prime e delle merci, di dimensioni
consistenti (oltre 300 mq di superficie utile complessiva),
utilizzato stabilmente per lo stoccaggio delle merci e dei
prodotti finiti, seppur realizzato con materiali e
caratteristiche che ne consentono il rapido smontaggio, non
può essere ricondotto nel novero degli impianti tecnologici.
L’opera in questione ha una volumetria superiore al 20% del
volume del fabbricato principale. Ne consegue che
l’intervento edilizio deve essere qualificato come nuova
costruzione, ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 3,
lett. e.6), del DPR n. 380/2001 (Testo Unico dell’Edilizia),
con conseguente assoggettamento al regime concessorio e non
di certo autorizzatorio.
4. Con un secondo ordine di censure gli appellanti
sostengono che il “tunnel retrattile” non avrebbe
determinato ampliamento dello stabilimento artigianale,
costituendo al contrario semplice impianto tecnologico.
Assumono, altresì, che la sua utilizzazione non si sarebbe
potuta definire “stabile”, essendo destinata alla
mera protezione dalle intemperie delle materie prime e dei
prodotti finiti, per il tempo strettamente necessario al
loro avviamento alla produzione (le prime) ed alla
spedizione alla clientela (i secondi).
Deducono,quindi, che erroneamente il primo giudice non
avrebbe censurato i provvedimenti impugnati, siccome assunti
sul presupposto che il manufatto in questione necessitasse
di specifica concessione edilizia (oggi permesso a
costruire).
4.1. La censura è priva di fondamento.
Ed invero, osserva il Collegio come il manufatto in
questione sia di dimensioni oggettivamente consistenti
(oltre 300 mq di superficie utile complessiva) e venga
stabilmente utilizzato per i bisogni ordinari dell’azienda,
quale locale per lo stoccaggio delle merci e dei prodotti
finiti.
Ne consegue, all’evidenza, che una siffatta struttura,
seppur realizzata con materiali e caratteristiche che (come
si è visto) ne consentono il rapido smontaggio e rimontaggio
, non può comunque essere ricondotta nel novero dei meri
impianti tecnologici, che notoriamente nulla hanno a che
vedere con le caratteristiche e funzioni sopra precisate.
5. Con l’ultimo ordine di censure, gli appellanti
sostengono la natura pertinenziale delle opere realizzate,
nonché l’irrilevanza della destinazione agricola dell’area
su cui insistono (posto che alle pertinenze si applicherebbe
la medesima disciplina del bene principale), con conseguente
assoggettamento delle stesse al regime autorizzatorio (e non
concessorio) che non contempla in caso di abusivismo la
sanzione demolitoria, ma semplicemente quella pecuniaria.
5.1 La doglianza non ha pregio.
Ed invero, come risulta dalla relazione del Responsabile
Servizio Urbanistica del 12.04.2013 (non contraddetta dagli
appellanti), le opere in questione hanno una volumetria
ampiamente superiore al 20% del volume del fabbricato
asseritamente ritenuto “principale”.
Ne consegue che, a prescindere da ogni valutazione in ordine
alle caratteristiche del manufatto ed alla destinazione
urbanistica dell’area su cui lo stesso insiste, l’intervento
edilizio realizzato dagli appellanti deve essere qualificato
come “di nuova costruzione”, ai sensi e per gli
effetti di cui all’art. 3, lett. e.6), del DPR n. 380/2001
(Testo Unico dell’Edilizia), con conseguente assoggettamento
al regime concessorio e non di certo autorizzatorio, come
preteso dagli appellanti.
Infatti, il richiamato art. 3 del Testo Unico dell’Edilizia,
anche se sopravvenuto nel 2001, ha fissato un limite
oggettivo di natura quantitativa per l’individuazione in
ambito edilizio degli interventi pertinenziali, che non può
non fungere da parametro di riferimento anche per le
fattispecie pregresse, avendo sostanzialmente positivizzato
i consolidati principi giurisprudenziali da tempo formatisi
in materia.
In conclusione le opere in questione rientrano nel regime
della concessione edilizia (oggi permesso di costruire) e,
come tali, sono state correttamente sanzionate
dall’Amministrazione comunale (massima tratta da
www.lexambiente.it -
Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 27.01.2014 n. 408 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
anno 2013 |
|
EDILIZIA PRIVATA:
Computo ai fini volumetrici dei locali
interrati.
In tema di attività edilizia, anche i locali interrati
devono essere computati ai fini volumetrici, perché detto
calcolo deve essere effettuato, salvo che non viga
un’espressa disposizione contraria, con riferimento
all’opera in ogni suo elemento, ivi compresi gli ambienti
seminterrati ed interrati funzionalmente asserviti, giacché
nel concetto di costruzione rientra ogni intervento edilizio
che abbia rilevanza urbanistica, in quanto incide
sull’assetto del territorio ed aumenta il c.d. carico
urbanistico e tali sono pure i piani interrati cioè
sottostanti al livello stradale (Corte
di Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 14.10.2013 n. 42147 - tratto da
www.lexambiente.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Cisterna interrata in cemento armato - Permesso
di costruire – Necessità - Volume tecnico di rilevante
ingombro - Modificazione dell'assetto urbanistico del
territorio.
Integra il reato edilizio previsto dall'art. 44, comma
primo, lett. b), d.P.R. 06.06.2001, n. 380, la
realizzazione, senza permesso di costruire, di un volume
tecnico di rilevante ingombro destinato ad incidere
oggettivamente in modo significativo sui luoghi esterni
(Cass. Sez. 3, n. 7217 del 17/11/2010).
Nella specie, realizzazione di una cisterna interrata in
cemento armato di metri quadrati 12 circa (Corte
di Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 18.09.2013 n. 38338 -
link a www.ambientediritto.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
La realizzazione di una veranda, chiusa sui lati,
costituisce una trasformazione urbanistico-edilizia del
preesistente manufatto idonea a creare nuovo volume e perciò
richiede il preventivo rilascio del permesso di costruire.
---------------
Per l'identificazione della nozione di volume tecnico, ai
fini dell'esclusione dal calcolo della volumetria
ammissibile, occorre fare riferimento a tre ordini di
parametri: il primo, positivo, di tipo funzionale,
dovendo avere un rapporto di strumentalità necessaria con
l'utilizzo della costruzione; il secondo ed il
terzo negativi ricollegati, rispettivamente,
all'impossibilità di soluzioni progettuali diverse (nel
senso che tali costruzioni non devono essere ubicate
all'interno della parte abitativa) e ad un rapporto di
necessaria proporzionalità che deve sussistere fra i volumi
e le esigenze edilizie completamente prive di una propria
autonomia funzionale, anche potenziale, in quanto destinate
a contenere gli impianti serventi di una costruzione
principale stessa.
In virtù di tale ricostruzione, quindi, i volumi tecnici
degli edifici per essere esclusi dal calcolo della
volumetria non devono assumere le caratteristiche di vano
chiuso, utilizzabile e suscettibile di abitabilità.
Considerato in particolare che:
- in limine, è destituita di giuridico fondamento la censura
che si appunta sulla mancata valutazione delle osservazioni
rese dal ricorrente in seguito alla comunicazione di avvio
del procedimento ex art. 7 L. 07.08.1990 n. 241: in senso
contrario, rileva il Collegio che il diniego di sanatoria dà
conto dell’esame delle deduzioni di parte e del parere
contrario espresso dalla commissione edilizia e tanto è
sufficiente per ribadire la legittimità dell’azione
amministrativa, giacché l'obbligo di esame delle memorie di
parte non impone all’amministrazione un’analitica
confutazione in merito ad ogni argomento utilizzato dalle
parti stesse, essendo sufficiente un iter motivazionale che
renda nella sostanza percepibile la ragione del mancato
adeguamento dell'azione dell'amministrazione alle deduzioni
difensive del privato (Consiglio di Stato, Sez. VI, 07.01.2008 n. 17);
- l’impugnato provvedimento di rigetto della domanda di
sanatoria ex art. 36 D.P.R. 06.06.2001 n. 380 si fonda
legittimamente sulla natura e caratteristiche dell’opera
abusiva (veranda) che, contrariamente alle deduzioni del
ricorrente, non può essere qualificato come volume tecnico
(serra solare);
- con tutta evidenza, assecondando l’ardita tesi
dell’istante, qualsivoglia accorpamento di balcone, attuato
mediante chiusura con profili di alluminio e vetrate
trasparenti, consentirebbe di ottenere surrettiziamente
benefici volumetrici;
- viceversa, secondo condivisibile giurisprudenza, la
realizzazione di una veranda, chiusa sui lati, costituisce
una trasformazione urbanistico-edilizia del preesistente
manufatto idonea a creare nuovo volume e perciò richiede il
preventivo rilascio del permesso di costruire (TAR Campania
Napoli, Sez. III, 18.01.2011 n. 281);
- per l'identificazione della nozione di volume tecnico, ai
fini dell'esclusione dal calcolo della volumetria
ammissibile, occorre fare riferimento a tre ordini di
parametri: il primo, positivo, di tipo funzionale, dovendo
avere un rapporto di strumentalità necessaria con l'utilizzo
della costruzione; il secondo ed il terzo negativi
ricollegati, rispettivamente, all'impossibilità di soluzioni
progettuali diverse (nel senso che tali costruzioni non
devono essere ubicate all'interno della parte abitativa) e
ad un rapporto di necessaria proporzionalità che deve
sussistere fra i volumi e le esigenze edilizie completamente
prive di una propria autonomia funzionale, anche potenziale,
in quanto destinate a contenere gli impianti serventi di una
costruzione principale stessa;
- in virtù di tale ricostruzione, quindi, i volumi tecnici
degli edifici per essere esclusi dal calcolo della
volumetria non devono assumere le caratteristiche di vano
chiuso, utilizzabile e suscettibile di abitabilità;
- non appare sostenibile l'affermata funzione di “serra
solare” della veranda che, da un lato, si limita ad una mera
petizione di principio sfornita di ogni dato in ordine alla
prestazione energetica e, dall’altro, non appare coerente
con le caratteristiche del vano chiuso con la veranda che
risulta autonomamente utilizzabile a fini abitativi (cfr.
annotazione di servizio della Stazione Carabinieri di Mignano
Monte Lungo del 15.11.2012 che accertava la presenza di
caldaia a gas e di una cucina dismessa, contatore del gas e
lavabo)
(TAR Campania-Napoli, Sez. VIII,
sentenza 22.08.2013 n. 4132 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA: Integra
la nozione di "volume tecnico", non computabile nella
volumetria della costruzione, l'opera edilizia priva di
alcuna autonomia funzionale, anche potenziale, in quanto
destinata a contenere impianti serventi –quali quelli
connessi alla condotta idrica, termica o all'ascensore– di
una costruzione principale per esigenze tecnico-funzionali
dell'abitazione e che non possono essere ubicati nella
stessa.
Trattandosi, all’evidenza, di volume tecnico –così come argomentato dalla ricorrente– tale superficie va
espunta dal calcolo della sanzione, in aderenza ai principi
elaborati, in proposito, dalla giurisprudenza secondo la
quale integra la nozione di "volume tecnico", non
computabile nella volumetria della costruzione, l'opera
edilizia priva di alcuna autonomia funzionale, anche
potenziale, in quanto destinata a contenere impianti
serventi –quali quelli connessi alla condotta idrica,
termica o all'ascensore– di una costruzione principale per
esigenze tecnico-funzionali dell'abitazione e che non
possono essere ubicati nella stessa (cfr., di recente: TAR
Umbria, n. 46 del 2013; Cassaz., sez. II civ., n. 20886 del
2012; Cons. Stato, sez. IV, n. 678 del 2011; Cons. Stato,
sez. V, n. 236 del 2009)
(TAR Piemonte, Sez. II,
sentenza 27.03.2013 n. 390 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
D. Logozzo,
Le ondivaghe pronunce in materia di volumi tecnici: il
problema irrisolto delle canne fumarie (Urbanistica
e appalti n. 2/2013). |
EDILIZIA
PRIVATA:
Si intendono per volumi tecnici esclusi dal
calcolo della volumetria ammissibile i locali completamente
privi di una propria autonomia funzionale, anche potenziale,
i quali risultano esclusivamente destinati a contenere
impianti serventi alla costruzione principale, che per
esigenze di funzionalità non possono essere inglobati nel
corpo della costruzione.
Rileva il Collegio che appare nella specie decisivo l’esame
della “Relazione tecnica descrittiva” presentata
dalla società ricorrente in sede di istanza per
l’accertamento di conformità e di compatibilità
paesaggistica, la quale dà compiuta descrizione dei 19
interventi realizzati senza titolo edilizio dalla società
medesima.
Siamo in presenza di interventi di “ampliamento di
ufficio esistente” “il tutto per una superficie utile
di mq 14.34 e una volumetria di mc 38.22”; di “ampliamento
di laboratorio” “per una superficie utile di mq 44.00
e una volumetria di mc 187.72”; nonché di realizzazione
di tettoie, recinzioni, porticati, ampliamenti di capannoni,
realizzazione di w.c. oltre che di locali per il ricovero di
legname e altro.
Dunque non sussistono dubbi che nella specie siano stati
realizzati interventi edilizi con realizzazione di nuove
superficie utili e nuova volumetria, ciò risultando dalla
stessa relazione tecnica promanante dalla società
ricorrente. La tesi difensiva di parte ricorrente è tuttavia
che nella specie si sarebbe in presenza di <volumi
tecnici>, come tali esclusi dal calcolo della volumetria
ammissibile. Ma la tesi non convince.
Si intendono per volumi tecnici esclusi dal calcolo della
volumetria ammissibile i locali completamente privi di una
propria autonomia funzionale, anche potenziale, i quali
risultano esclusivamente destinati a contenere impianti
serventi alla costruzione principale, che per esigenze di
funzionalità non possono essere inglobati nel corpo della
costruzione (da ultimo Cons. Stato, sez. IV, 08.01.2013, n.
32).
Nella specie non risulta affatto provato che gli interventi
edilizi realizzati avessero quelle caratteristiche (essere
destinati in via esclusiva a contenere impianti serventi non
altrimenti collocabili nell’immobile) ed anzi la descrizione
contenuta nella relazione tecnica allegata all’istanza
amministrativa, cui sopra si è fatto riferimento, mostra
chiaramente come nella fattispecie in esame si trattai
palesemente di superficie realizzate con autonoma
funzionalità e quindi estranee al concetto di <volume
tecnico> (TAR Toscana, Sez. III,
sentenza 22.02.2013 n. 288 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
La nozione di volume
tecnico in campo edilizio si fonda su tre parametri: il
primo, positivo, di tipo funzionale, secondo cui il
manufatto deve avere un rapporto di strumentalità necessaria
con l'utilizzo della costruzione; il secondo e il terzo,
negativi, ricollegati, da un lato, all'impossibilità di
soluzioni progettuali diverse, nel senso che tali
costruzioni non devono essere ubicate all'interno della
parte abitativa, e, dall'altro, ad un rapporto di necessaria
proporzionalità fra tali volumi e le esigenze effettivamente
presenti.
Pertanto, tale nozione si adatta solo alle opere
completamente prive di una propria autonomia funzionale,
anche potenziale, in quanto destinate a contenere impianti
al servizio di una costruzione principale, per esigenze
tecnico-funzionali di quest’ultima. Il volume tecnico
consiste quindi in un locale avente una propria ed autonoma
individualità fisica e conformazione strutturale,
funzionalmente inserito al servizio di un’esigenza oggettiva
della costruzione principale, privo di valore autonomo di
mercato, tale da non consentire una diversa destinazione da
quella a servizio dell’immobile cui accede.
Il carattere strumentale rispetto all’immobile principale
deve comunque essere oggettivo e non deve risultare dalla
destinazione soggettivamente conferita dal progettista o dal
proprietario del bene.
Inoltre, deve essere sempre facilmente rilevabile il
rapporto di proporzionalità tra questi volumi e le esigenze
effettivamente presenti.
Secondo consolidata
giurisprudenza amministrativa, la nozione di volume tecnico
in campo edilizio si fonda su tre parametri: il primo,
positivo, di tipo funzionale, secondo cui il manufatto deve
avere un rapporto di strumentalità necessaria con l'utilizzo
della costruzione; il secondo e il terzo, negativi,
ricollegati, da un lato, all'impossibilità di soluzioni
progettuali diverse, nel senso che tali costruzioni non
devono essere ubicate all'interno della parte abitativa, e,
dall'altro, ad un rapporto di necessaria proporzionalità fra
tali volumi e le esigenze effettivamente presenti.
Pertanto, tale nozione si adatta solo alle opere
completamente prive di una propria autonomia funzionale,
anche potenziale, in quanto destinate a contenere impianti
al servizio di una costruzione principale, per esigenze
tecnico-funzionali di quest’ultima (Consiglio di Stato, sez.
IV, 28.01.2011, n. 687; Tar Calabria, Catanzaro, Sez. II, 21.03.2012, n. 297). Il volume tecnico consiste
quindi in un locale avente una propria ed autonoma
individualità fisica e conformazione strutturale,
funzionalmente inserito al servizio di un’esigenza oggettiva
della costruzione principale, privo di valore autonomo di
mercato, tale da non consentire una diversa destinazione da
quella a servizio dell’immobile cui accede.
Il carattere strumentale rispetto all’immobile principale
deve comunque essere oggettivo e non deve risultare dalla
destinazione soggettivamente conferita dal progettista o dal
proprietario del bene.
Inoltre, deve essere sempre facilmente rilevabile il
rapporto di proporzionalità tra questi volumi e le esigenze
effettivamente presenti
(TAR Campania-Salerno, Sez. I,
sentenza 31.01.2013 n. 313 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
I “volumi tecnici” sono essenzialmente destinati
ad ospitare impianti aventi un rapporto di strumentalità
necessaria con l’utilizzazione dell’immobile (ossia, ad
esempio, gli impianti idrici, gli impianti termici, gli
ascensori e i macchinari in genere), nel mentre non possono
rientrare in tale nozione i volumi che assolvano ad una
funzione diversa, sia pur necessaria al godimento
dell’edificio stesso e delle sue singole porzioni di
proprietà individuale.
Non possono pertanto ragionevolmente configurarsi volumi
tecnici la cupola e la galleria coperta, in quanto
inoppugnabilmente trattasi di elementi che sono posti a
servizio dei singoli esercizi che costituiscono, nel loro
insieme, il centro commerciale, il quale a sua volta trova
la ragione della propria realizzazione proprio nella comune
utilizzazione degli spazi (parcheggi, gallerie coperte,
ecc.) che consentono agli utenti di accedere contestualmente
e comodamente ad una pluralità di negozi di variegata
tipologia.
Per quanto riguarda il
superamento delle altezze massime, va ribadito che
l’avvenuto superamento dell’altezza massima contemplata
dalla disciplina di zona non può essere giustificato dalla
circostanza secondo la quale la cupola piramidale e la
copertura della galleria costituirebbero meri volumi
tecnici, in quanto tali non computabili anche per quanto
attiene alla loro altezza.
I “volumi tecnici” sono infatti essenzialmente
destinati ad ospitare impianti aventi un rapporto di
strumentalità necessaria con l’utilizzazione dell’immobile
(ossia, ad esempio, gli impianti idrici, gli impianti
termici, gli ascensori e i macchinari in genere), nel mentre
non possono rientrare in tale nozione i volumi che assolvano
ad una funzione diversa, sia pur necessaria al godimento
dell’edificio stesso e delle sue singole porzioni di
proprietà individuale (cfr. sul punto, ad es., Cons. Stato,
Sez. V, 04.03.2008 n. 918 e, più recentemente, anche Cons.
Stato, Sez. IV, 08.02.2011 n. 812).
Non possono pertanto ragionevolmente configurarsi volumi
tecnici la cupola e la galleria coperta, in quanto
inoppugnabilmente trattasi di elementi che sono posti a
servizio dei singoli esercizi che costituiscono, nel loro
insieme, il centro commerciale, il quale a sua volta trova
la ragione della propria realizzazione proprio nella comune
utilizzazione degli spazi (parcheggi, gallerie coperte,
ecc.) che consentono agli utenti di accedere contestualmente
e comodamente ad una pluralità di negozi di variegata
tipologia
(Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 08.01.2013 n. 32 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
anno 2012 |
|
EDILIZIA PRIVATA:
P. Sciscioli,
L'assentibilità edilizia dei volumi tecnici
(Ufficio Tecnico n. 11-12/2012). |
EDILIZIA
PRIVATA:
La realizzazione di una
tettoia può costituire una vera e propria costruzione in
relazione alle dimensioni ed ai materiali utilizzati e come
tale, può essere soggetta al permesso di costruire.
Al riguardo si deve ricordare che gli interventi consistenti
nella installazione di tettoie o di altre strutture che
siano comunque apposte a parti di preesistenti edifici come
strutture accessorie di protezione o di riparo di spazi
liberi, cioè non compresi entro coperture volumetriche
previste in un progetto assentito, possono ritenersi
sottratti al regime del permesso di costruire soltanto ove
la loro conformazione e le loro ridotte dimensioni rendono
evidente e riconoscibile la loro finalità di arredo o di
riparo e protezione (anche da agenti atmosferici)
dell'immobile cui accedono.
Tali strutture non possono viceversa ritenersi installabili
senza permesso di costruire, o D.I.A “alternativa” ai sensi
dell'art. 22 del d.P.R. n. 380/2001, allorquando le loro
dimensioni sono di entità tale da arrecare una visibile
alterazione all'edificio o alle parti dello stesso su cui
vengono inserite; quando quindi per la loro consistenza
dimensionale non possono più ritenersi assorbite, ovvero
ricomprese in ragione della accessorietà, nell'edificio
principale o della parte dello stesso cui accedono.
---------------
Per l'identificazione della nozione di volume tecnico
assumono valore tre ordini di parametri:
- il primo, positivo, di tipo funzionale, per cui il
manufatto deve avere un rapporto di strumentalità necessaria
con l'utilizzo della costruzione;
- il secondo ed il terzo, negativi, ricollegati da un lato
all'impossibilità di soluzioni progettuali diverse, nel
senso che tali costruzioni non devono poter essere ubicate
all'interno della parte abitativa, e dall'altro ad un
rapporto di necessaria proporzionalità fra tali volumi e le
esigenze effettivamente presenti: ne deriva che tale nozione
può essere applicata solo alle opere edilizie completamente
prive di una propria autonomia funzionale, anche potenziale,
in quanto destinate a contenere impianti serventi di una
costruzione principale, per esigenze tecnico-funzionali
della costruzione stessa.
Contrariamente a quanto dedotto da parte ricorrente,
infatti, la realizzazione di una tettoia può costituire una
vera e propria costruzione in relazione alle dimensioni ed
ai materiali utilizzati e come tale, può essere soggetta al
permesso di costruire (TAR Toscana, sez. III, 17.07.2003, n.
2850; TAR Veneto, Sez. II, 10.02.2003, n. 1216).
Al riguardo si deve ricordare che, per giurisprudenza
costante di questo Tribunale (TAR Campania Napoli, sez. IV,
n. 897 del 18.02.2003, n. 12962 del 20.10.2003, n. 4107 del
16.07.2002), gli interventi consistenti nella installazione
di tettoie o di altre strutture che siano comunque apposte a
parti di preesistenti edifici come strutture accessorie di
protezione o di riparo di spazi liberi, cioè non compresi
entro coperture volumetriche previste in un progetto
assentito, possono ritenersi sottratti al regime del
permesso di costruire soltanto ove la loro conformazione e
le loro ridotte dimensioni rendono evidente e riconoscibile
la loro finalità di arredo o di riparo e protezione (anche
da agenti atmosferici) dell'immobile cui accedono.
Tali strutture non possono viceversa ritenersi installabili
senza permesso di costruire, o D.I.A “alternativa” ai
sensi dell'art. 22 del d.P.R. n. 380/2001, allorquando le
loro dimensioni sono di entità tale da arrecare una visibile
alterazione all'edificio o alle parti dello stesso su cui
vengono inserite; quando quindi per la loro consistenza
dimensionale non possono più ritenersi assorbite, ovvero
ricomprese in ragione della accessorietà, nell'edificio
principale o della parte dello stesso cui accedono (in
termini Consiglio di Stato, Sez. V, 13.03.2001, n. 1442,
sez. II, 05.02.1997, n. 336, TAR Lazio, Sez. II n. 1055 del
15.02.2002, TAR Parma n. 114 del 06.03.2003).
Nel caso in esame la dimensione della tettoia di cui
trattasi è visibilmente idonea a modificare la sagoma ed il
prospetto dell'edificio, con conseguente alterazione
dell'edificio cui accede, e dagli atti del giudizio non
risulta per essa presentata D.I.A “alternativa”, ai
sensi dell'art. 22, comma 3, del DPR n. 380/2001, né
richiesto permesso di costruire, con conseguente legittimità
dell'ordine di demolizione emanato. Né la “tettoia”
di cui trattasi potrebbe comunque essere considerata un “volume
tecnico”.
Per l'identificazione della nozione di volume tecnico
assumono infatti valore tre ordini di parametri: il primo,
positivo, di tipo funzionale, per cui il manufatto deve
avere un rapporto di strumentalità necessaria con l'utilizzo
della costruzione; il secondo ed il terzo, negativi,
ricollegati da un lato all'impossibilità di soluzioni
progettuali diverse, nel senso che tali costruzioni non
devono poter essere ubicate all'interno della parte
abitativa, e dall'altro ad un rapporto di necessaria
proporzionalità fra tali volumi e le esigenze effettivamente
presenti: ne deriva che tale nozione può essere applicata
solo alle opere edilizie completamente prive di una propria
autonomia funzionale, anche potenziale, in quanto destinate
a contenere impianti serventi di una costruzione principale,
per esigenze tecnico-funzionali della costruzione stessa
(TAR Campania Napoli, sez. IV, 09.09.2009, n. 4903; TAR
Campania Napoli, sez. II, 11.09.2009, n. 4949)
(TAR Campania-Napoli, Sez. II,
sentenza 14.12.2012 n. 5214 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Sulla possibilità o meno di qualificare come “volumi
tecnici” le soffitte, gli stenditori chiusi, le mansarde
ed i sottotetti.
Devono considerarsi vani tecnici solo
quelli destinati esclusivamente agli impianti necessari per
l'utilizzo dell'abitazione e che non possono essere
collocati al suo interno e che, in quanto tali, non solo non
sono abitabili, ma non sono nemmeno suscettibili di essere
considerati dei volumi autonomi.
Altresì, vanno considerati come volumi tecnici (come tali
non rilevanti ai fini della volumetria di un immobile) quei
volumi destinati esclusivamente agli impianti necessari per
l'utilizzo dell'abitazione e che non possono essere ubicati
al suo interno, mentre non sono tali -e sono quindi
computabili ai fini della volumetria consentita- le
soffitte, gli stenditori chiusi e quelli di sgombero, nonché
il piano di copertura (impropriamente definito sottotetto,
ma costituente in realtà una mansarda, in quanto dotato di
rilevante altezza media rispetto al piano di gronda).
Ulteriori pronunce hanno evidenziato come l’esistenza di una
scala interna, così com’è presente nel caso di specie -e
nell’ambito della realizzazione di un vano sottotetto-,
costituisce un indice rivelatore dell'intento di rendere
abitabile detto locale, “non potendosi considerare volumi
tecnici i vani in esso ricavati.
Sul punto va ricordato che per un costante orientamento
giurisprudenziale devono considerarsi vani tecnici, solo
quelli destinati esclusivamente agli impianti necessari per
l'utilizzo dell'abitazione e che non possono essere
collocati al suo interno e che, in quanto tali, non solo non
sono abitabili, ma non sono nemmeno suscettibili di essere
considerati dei volumi autonomi.
Come, peraltro, ha confermato una recente pronuncia di
merito (TAR Lombardia Milano Sez. II, 05.01.2012, n. 38)
...”vanno considerati come volumi tecnici (come tali non
rilevanti ai fini della volumetria di un immobile) quei
volumi destinati esclusivamente agli impianti necessari per
l'utilizzo dell'abitazione e che non possono essere ubicati
al suo interno, mentre non sono tali -e sono quindi
computabili ai fini della volumetria consentita- le
soffitte, gli stenditori chiusi e quelli di sgombero, nonché
il piano di copertura (impropriamente definito sottotetto,
ma costituente in realtà una mansarda, in quanto dotato di
rilevante altezza media rispetto al piano di gronda)”.
Ulteriori pronunce hanno evidenziato come l’esistenza di una
scala interna, così com’è presente nel caso di specie -e
nell’ambito della realizzazione di un vano sottotetto-,
costituisce un indice rivelatore dell'intento di rendere
abitabile detto locale, “non potendosi considerare volumi
tecnici i vani in esso ricavati (TAR Lombardia Milano Sez.
II, 29-04-2011, n. 1105)” (TAR Veneto, Sez. II,
sentenza 14.12.2012 n. 1563 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
Devono considerarsi vani
tecnici solo quelli destinati esclusivamente agli impianti
necessari per l'utilizzo dell'abitazione e che non possono
essere collocati al suo interno e che, in quanto tali, non
solo non sono abitabili, ma non sono nemmeno suscettibili di
essere considerati dei volumi autonomi.
Altresì, vanno considerati come volumi tecnici (come tali
non rilevanti ai fini della volumetria di un immobile) quei
volumi destinati esclusivamente agli impianti necessari per
l'utilizzo dell'abitazione e che non possono essere ubicati
al suo interno, mentre non sono tali -e sono quindi
computabili ai fini della volumetria consentita- le
soffitte, gli stenditori chiusi e quelli di sgombero, nonché
il piano di copertura (impropriamente definito sottotetto,
ma costituente in realtà una mansarda, in quanto dotato di
rilevante altezza media rispetto al piano di gronda)”.
Ulteriori pronunce hanno evidenziato come l’esistenza di una
scala interna, così com’è presente nel caso di specie -e
nell’ambito della realizzazione di un vano sottotetto- ,
“costituisce un indice rivelatore dell'intento di rendere
abitabile detto locale, “non potendosi considerare volumi
tecnici i vani in esso ricavati”.
... per l'annullamento del permesso di costruire n. 394/2006
del 26.03.2008 con il quale il Comune di Eraclea ha
autorizzato i Sig. ri Mazzolin Sergio e Betteto Livia a
eseguire “lavori di innalzamento sottotetto n. 3 fori
finestra e nuova scala interna” da eseguire sull’unità
immobiliare sita in via Gelsomini a Eraclea (VE).
...
Sul punto va ricordato che per un costante
orientamento giurisprudenziale devono considerarsi vani
tecnici solo quelli destinati esclusivamente agli impianti
necessari per l'utilizzo dell'abitazione e che non possono
essere collocati al suo interno e che, in quanto tali, non
solo non sono abitabili, ma non sono nemmeno suscettibili di
essere considerati dei volumi autonomi.
Come, peraltro, ha confermato una recente pronuncia di
merito (TAR Lombardia Milano Sez. II, 05.01.2012, n.
38) ...”vanno considerati come volumi tecnici (come tali non
rilevanti ai fini della volumetria di un immobile) quei
volumi destinati esclusivamente agli impianti necessari per
l'utilizzo dell'abitazione e che non possono essere ubicati
al suo interno, mentre non sono tali -e sono quindi
computabili ai fini della volumetria consentita- le
soffitte, gli stenditori chiusi e quelli di sgombero, nonché
il piano di copertura (impropriamente definito sottotetto,
ma costituente in realtà una mansarda, in quanto dotato di
rilevante altezza media rispetto al piano di gronda)”.
Ulteriori pronunce hanno evidenziato come l’esistenza di una
scala interna, così com’è presente nel caso di specie -e
nell’ambito della realizzazione di un vano sottotetto- ,
“costituisce un indice rivelatore dell'intento di rendere
abitabile detto locale, “non potendosi considerare volumi
tecnici i vani in esso ricavati (TAR Lombardia Milano
Sez. II, 29-04-2011, n. 1105)”.
E’ allora evidente come non ci si possa esimere dal
qualificare, il manufatto oggetto del permesso di costruire
ora impugnato, quale nuova costruzione e, ciò, con
l’ulteriore conseguenza di ritenere esistente la violazione
delle distanze tra le costruzioni e il vizio di difetto di
istruttoria in cui è incorsa l’Amministrazione Comunale.
Quest’ultima, infatti, ha adottato il permesso di costruire,
ora impugnato, senza considerare il rispetto delle distanze
minime prescritte dal codice civile (art. 873 c.c.),
attività cui l’Amministrazione era tenuta in considerazione
della piena vigenza di detti limiti anche in quelle
valutazioni tipiche dell’esercizio di un’attività vincolata
e propedeutiche al rilascio dei permessi di costruire
(TAR Veneto, Sez. II,
sentenza 14.12.2012 n. 1563 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA: L’installazione
di un’apparecchiatura bancomat è da ritenere assimilabile a
quella di un impianto tecnologico.
L’installazione di un’apparecchiatura bancomat è da ritenere
assimilabile, in applicazione di un criterio analogico
collegato ad parametro di equivalenza della natura
dell’impianto in questione da seguire necessariamente in una
interpretazione dinamica ed evolutiva delle disposizioni
normative e di pianificazione urbanistica adottate in un
periodo temporale nel quale erano inesistenti i più moderni
apparati tecnologici ad ausilio di edifici e attrezzature
preesistenti, a quella di un impianto tecnologico.
Va sul punto chiarito che rispetto agli altri impianti
tecnologici di tradizionale accezione, quali le centrali
termiche, le cabine elettriche ed altri, gli sportelli
bancomat non erano ancora di ampia diffusione negli anni in
cui il comune di Firenze si è dotato delle proprie norme di
pianificazione urbanistica con le delibere approvative delle
n.t.a., donde allo spazio necessario alla loro installazione
non può essere dato rilievo urbanistico-edilizio diverso da
quello di volume tecnico rientrante in tutto nella
previsione dell’art. 9, comma, 7, del d.l. 154 del 1996 e
dall’art. 3 e 9 delle n.t.a. della delibera n. 604/93.
L’art. 3, nel punto “Su”, indica fra le superfici da
escludere dal computo della superficie utile lorda i locali
strettamente necessari per gli impianti tecnologici, dandone
un’elencazione che è da ritenere non esaustiva, ma
esemplificativa come è dato desumere dalla locuzione “e
simili”; analogamente come accade nella definizione di
volume tecnico -al punto “vt” del medesimo art. 3- nella
quale all’elencazione della tipologia degli impianti tecnici
segue un ecc., che conferma il carattere meramente
esemplificativo dell’elencazione stessa.
Non contrasta con tale interpretazione, ma anzi alle prime
semmai va adeguata nella logica evolutiva cui prima si
accennava, la lettura dell’art. 9, lett. a), ultimo
capoverso e b) delle n.t.a. che contengono, ad avviso del
Collegio, un’elencazione anch’essa non tassativa da
comparare in ogni caso con quella dell’art. 3 citato.
L’apparecchiatura bancomat, del resto, è un impianto
tecnologico installato a esclusiva e migliore erogazione e
fruizione dei servizi bancari nell’ambito dei locali
dell’azienda bancaria e il piccolo spazio ricavato nella
specie per la sua allocazione (dalle foto allegate è dato
evincere che seppure l’installazione all’esterno dei locali
della Banca ha richiesto l’ampliamento di un’apertura nel
muro di cinta esterno prima chiusa da un cancelletto, lo
spazio ricavato è stato occupato dall’apparecchiatura senza
creazione di un vano interno chiuso calpestabile accessibile
ai clienti dalla strada) condivide quindi la funzione
servente dell’impianto stesso, non potendo in alcun modo
essere diversamente utilizzato come vano in relazione ad
altri impieghi apprezzabili e quindi computabili dal punto
di vista urbanistico-edilizio. Da ciò consegue che non può
ritenersi la realizzazione di tale vano in contrasto con gli
strumenti urbanistici vigenti.
Sull’irrilevanza sotto il profilo urbanistico–edilizio si
era espressa la C.E.I. che aveva ritenuto, alla luce
dell’art. 1, comma 8, della legge 431 del 1985 non soggetto
all’autorizzazione ex art. 7 della legge 1497 del 1939 e lo
stesso Assessore, nel comunicare tale parere, aveva dato
indicazioni coerenti rispetto all’ulteriore procedura da
seguire a mezzo DIA, donde la fondatezza anche del vizio di
contraddittorietà dedotto nel secondo motivo.
L’illegittimità del provvedimento di inibizione impugnato
con il primo ricorso, trae seco, per illegittimità derivata,
l’illegittimità dell’ordinanza di demolizione impugnata, per
gli stessi motivi, con il secondo ricorso
(TAR Toscana, Sez. III,
sentenza 07.12.2012 n. 1990 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA: L’impianto
di ascensore –al pari di quelli serventi alle condotte
idriche, termiche etc. dell’edificio principale– rientra fra
i volumi tecnici o impianti tecnologici strumentali alle
esigenze tecnico-funzionali dell’immobile.
---------------
Circa la costruzione di un vano ascensore esterno al corpo
di fabbrica, non può il Comune denegare il rilascio del
permesso di costruire per il mancato rispetto delle distanze
di cui all’art. 873 cod. civ., applicandosi in ogni caso
l’ulteriore deroga di cui all’ultima parte del comma 2
dell’art. 79, d.P.R. nr. 380 del 2001.
Innanzi tutto, il Collegio reputa fondato il primo motivo
di appello nella parte in cui si sostiene l’estraneità
dell’ascensore oggetto della richiesta di permesso di
costruire alla nozione di “costruzione” di cui
all’art. 873 cod. civ., e quindi l’inapplicabilità ad esso
delle disposizioni in tema di distanze dallo stesso poste.
Ed invero, alla stregua della giurisprudenza più recente
l’impianto di ascensore –al pari di quelli serventi alle
condotte idriche, termiche etc. dell’edificio principale–
rientra fra i volumi tecnici o impianti tecnologici
strumentali alle esigenze tecnico-funzionali dell’immobile
(cfr. Cass. civ., sez. II, 03.02.2011, nr. 2566).
Ma, anche al di là di quanto sopra, appare condivisibile
l’impostazione sviluppata nel secondo mezzo, secondo
cui, nell’interpretazione dell’eccezione alla regola del
rispetto delle distanze posta dall’ultima parte del comma 2
dell’art. 79, d.P.R. nr. 380 del 2001, non può prescindersi
dal tener conto dell’inserimento della norma –come già
rilevato- all’interno della disciplina volta
all’eliminazione delle barriere architettoniche
nell’interesse dei soggetti portatori di handicap.
Ciò rileva non solo e non tanto ai fini di un astratto
bilanciamento di interessi, come quello cui ha proceduto il
primo giudice (e al quale gli odierni appellanti,
soprattutto col terzo mezzo, contrappongono un opposto
bilanciamento), quanto soprattutto nell’accezione da dare a
locuzioni ed espressioni tecniche impiegate dal legislatore,
quali quella di “spazio o area di proprietà o di uso
comune”, le quali non possono essere recepite in
un’ottica strettamente civilistica, ma vanno calate
nell’ambito della normativa tecnica esistente in subiecta
materia.
Sotto tale profilo, soccorre il d.m. 14.06.1989, nr. 236,
contenente la normativa regolamentare a suo tempo adottata
in attuazione della legge 09.01.1989, nr. 13, e che ancora
oggi costituisce il riferimento dell’art. 79, d.P.R. nr. 380
del 2001 (nel quale la predetta legge è confluita).
L’art. 2 del citato decreto contiene una serie di
definizioni tecniche utili all’applicazione della normativa
de qua e, in particolare, qualifica come “spazio esterno
(...) l’insieme degli spazi aperti, anche se coperti, di
pertinenza dell’edificio o di più edifici” (lett. F) e
come “parti comuni dell’edificio (...) quelle unità
ambientali che servono o che connettono funzionalmente più
unità immobiliari” (lett. E).
Applicando tali coordinate interpretative all’ultima parte
del comma 2 dell’art. 79, risulta chiaro come il
legislatore, nel far riferimento a spazi o aree “di
proprietà o di uso comune”, ha inteso richiamare non
soltanto il dato giuridico dell’esistenza di una
comproprietà o di una servitù di uso comune, ma anche il
semplice dato materiale dell’esistenza di uno spazio
comunque denominato, che per le sue caratteristiche si
presti a essere impiegato dai residenti di entrambi gli
immobili confinanti; ed è appena il caso di aggiungere che
la definizione della lettera E non presuppone affatto che le
“unità immobiliari” cui essa fa riferimento debbano
necessariamente essere parte di un medesimo edificio (ché,
anzi, dal combinato disposto di detta definizione con quella
di cui alla successiva lettera F si ricava che uno spazio
esterno comune può certamente interessare anche “più
edifici”).
Con riguardo al caso di specie, se è vero che il cortile
esistente fra i due immobili e nel quale dovrebbe insistere
l’ascensore per cui è causa non risulta essere in
comproprietà fra i due condomini, non risulta però
contraddetto l’assunto degli appellanti secondo cui esso
risulta de facto utilizzato materialmente e per la sua
interezza dai residenti di entrambi gli immobili; per vero,
il TAR si è limitato a rilevare l’esistenza di un confine
catastale che dividerebbe a metà il cortile medesimo, senza
però che questo risulti tagliato da muro o recinzioni (unico
elemento che sarebbe idoneo a escluderne l’ “uso comune”
nel senso sopra precisato).
Ne discende che non poteva il Comune denegare il rilascio
del permesso di costruire per il mancato rispetto delle
distanze di cui all’art. 873 cod. cov., applicandosi in ogni
caso l’ulteriore deroga di cui all’ultima parte del comma 2
dell’art. 79, d.P.R. nr. 380 del 2001
(Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 05.12.2012 n. 6253 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
Quei volumi destinati esclusivamente agli
impianti necessari per l’utilizzo dell’abitazione e che non
possono essere ubicati al suo interno -nel caso di specie
impianti di areazione e termo–idrici, l’impianto
dell’ascensore e del montacarichi- devono essere considerati
volumi tecnici, quindi non computabili nella volumetria
generale, a differenza di quanto si deve affermare per le
soffitte, gli stenditoi e i locali di sgombero o le mansarde
dotate di rilevante altezza media rispetto al piano di
gronda.
Inoltre la rilevanza urbanistica deve essere rinvenuta
nell’altezza interna, nella praticabilità del solaio, nelle
modalità di accesso e nell’esistenza o meno di finestre, con
la conseguenza, ad esempio, che un locale sottotetto con
vani distinti e comunicanti con il piano sottostante con una
scala interna deve essere ritenuto abitabile e dunque
computabile ai fini della volumetria.
Il Collegio ritiene che il sottotetto non sia da considerarsi rilevante,
viste le sue caratteristiche, che non sono contestate, e
tenendo conto delle affermazioni espresse dalla
giurisprudenza.
Quei volumi destinati esclusivamente agli impianti necessari
per l’utilizzo dell’abitazione e che non possono essere
ubicati al suo interno -nel caso di specie impianti di
areazione e termo–idrici, l’impianto dell’ascensore e del
montacarichi- devono essere considerati volumi tecnici,
quindi non computabili nella volumetria generale, a
differenza di quanto si deve affermare per le soffitte, gli
stenditoi e i locali di sgombero o le mansarde dotate di
rilevante altezza media rispetto al piano di gronda (Cons.
Stato, V, 04.03.2008 n. 918).
Inoltre la rilevanza urbanistica, ha ancora affermato la
giurisprudenza, deve essere rinvenuta nell’altezza interna,
nella praticabilità del solaio, nelle modalità di accesso e
nell’esistenza o meno di finestre (Cons. Stato, IV, 30.05.2005 n. 2767), con la conseguenza, ad esempio, che un
locale sottotetto con vani distinti e comunicanti con il
piano sottostante con una scala interna deve essere ritenuto
abitabile e dunque computabile ai fini della volumetria
(Cons. Stato,V, 31.01.2006 n. 354).
Nel caso di specie il sottotetto è privo di scale ed anche
di finestre o di luci, né l’ipotetica abusiva futura
realizzazione di scale, come affermato nella sentenza
impugnata, può essere utile per quanto meno delineare la
concretezza di un peso urbanistico (Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 27.11.2012 n. 5965 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA: Per
quanto concerne la canna fumaria il Collegio condivide la
giurisprudenza amministrativa alla luce della quale la canna
fumaria deve ritenersi un volume tecnico e, come tale,
un’opera priva di autonoma rilevanza urbanistico-funzionale,
che non risulta particolarmente pregiudizievole per il
territorio e, pertanto, la sua realizzazione rientra tra
quelle opere per le quali non è necessario il permesso di
costruire e, conseguentemente, non è soggetta alla sanzione
della demolizione.
Lo stesso dicasi per i due serbatoi idrici e relativo
autoclave che, essendo impianti tecnologici, innanzitutto
non sviluppano nuovo volume e devono ritenersi privi di
autonoma rilevanza urbanistico-funzionale; inoltre, per
quanto riguarda in particolare quelli di cui alla
fattispecie oggetto di gravame, seppure posizionati
all’esterno dell’appartamento, data la loro specifica
ubicazione nella facciata interna del condominio, non
risultano particolarmente pregiudizievoli per il territorio.
Il Collegio ritiene, tuttavia, che per entrambe le opere di
cui si contesta la mancanza del titolo edilizio, trattandosi
rispettivamente di impianti tecnologici e di volume tecnico,
non occorreva per la loro realizzazione il permesso di
costruire che determina la sanzione della demolizione
prevista dall’art. 31 del d.p.r. n. 380 del 2001, ma era
sufficiente la denuncia di inizio di attività la cui
mancanza non è sanzionabile con la rimozione o demolizione
ma solo con l’irrogazione della sanzione pecuniaria prevista
dall’art. 37 del d.p.r. n. 380 del 2001, come prospettato da
parte ricorrente; pertanto l’ordinanza oggetto di
impugnazione deve ritenersi illegittimamente adottata.
In particolare per quanto concerne la canna fumaria il
Collegio condivide, infatti, la giurisprudenza
amministrativa alla luce della quale la canna fumaria deve
ritenersi un volume tecnico e, come tale, un’opera priva di
autonoma rilevanza urbanistico-funzionale, che non risulta
particolarmente pregiudizievole per il territorio e,
pertanto, la sua realizzazione rientra tra quelle opere per
le quali non è necessario il permesso di costruire e,
conseguentemente, non è soggetta alla sanzione della
demolizione (cfr. ex multis TAR Campania Napoli, Sez.
VII, 15.12.2010, n. 27380); lo stesso dicasi per i due
serbatoi idrici e relativo autoclave che, essendo impianti
tecnologici, innanzitutto non sviluppano nuovo volume e
devono ritenersi privi di autonoma rilevanza
urbanistico-funzionale; inoltre, per quanto riguarda in
particolare quelli di cui alla fattispecie oggetto di
gravame, seppure posizionati all’esterno dell’appartamento,
data la loro specifica ubicazione nella facciata interna del
condominio, non risultano particolarmente pregiudizievoli
per il territorio.
Si ritiene di dover precisare che, anche nella ipotesi che
sembrerebbe emergere nella fattispecie per cui è causa, di
un vincolo paesaggistico dell’area ove è ubicato l’immobile,
peraltro non indicato nell’ordinanza dal Comune ma solo
genericamente rappresentato nella memoria prodotta in
giudizio come “vincolo architettonico”, esso non
sarebbe di ostacolo ad ottenere una autorizzazione
paesaggistica in sanatoria, su richiesta dell’avv.
Ferlicchia, per gli interventi contestati nell’ordinanza di
rimozione .
Ciò in quanto l’art. 167, comma 4, del d.lgs. n. 42 del
2004, alla lettera a) prevede la possibilità del versamento
di una indennità pecuniaria “per i lavori, realizzati in
assenza o difformità dall'autorizzazione paesaggistica, che
non abbiano determinato creazione di superfici utili o
volumi ovvero aumento di quelli legittimamente realizzati”,
fattispecie applicabile alla fattispecie oggetto di gravame
(cfr. TAR Campania Napoli, Sez. VII, 15.12.2010, n. 27380
cit.)
(TAR Puglia-Bari, Sez. III,
sentenza 30.10.2012 n. 1859 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Il locale fungente da mero
disimpegno può computarsi quale “volume
tecnico”.
Il Collegio rammenta che secondo consolidato
orientamento giurisprudenziale per “volume
tecnico” deve intendersi quello
destinato ad ospitare esclusivamente gli
impianti tecnologici a servizio di una
abitazione, e che deve pertanto computarsi
quale volume utile il locale fungente da
mero disimpegno o da “sgabuzzino”
(TAR Piemonte, Sez. I,
sentenza 13.07.2012 n. 883 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: In
materia di richiesta dell'accertamento della
compatibilità paesaggistica, le conseguenze
dell’eventuale superamento del termine di
180 gg. previsto dall'art. 167, comma 5, del
Codice dei Beni Culturali, non sono quelle
ritenute dalla parte, vale a dire
l'impossibilità di adottarlo e la
conseguente illegittimità del provvedimento
finale, ma piuttosto il c.d. silenzio-inadempimento, con conseguente ammissibilità
di ricorso ex art. 31 del Codice del
processo amministrativo, al fine di
"..chiedere l'accertamento dell'obbligo
dell'amministrazione di provvedere” e di
ottenere una pronuncia di merito se e nel
caso in cui il provvedimento omesso abbia
natura e contenuto vincolato.
-------------
Si è in presenza di una sopraelevazione
anche quando l'aumento dell'altezza del
fabbricato sia di dimensioni ridotte e la
creazione di volume aggiuntivo non sia
rilevante.
Poiché nella circolare n. 33 del 26.09.2009
del Ministero per i Beni e le Attività
Culturali si chiarisce che per "volumi" deve
intendersi qualsiasi manufatto costruito da
parti chiuse emergenti dal terreno o dalla
sagoma di un fabbricato preesistente
indipendentemente dalla destinazione d'uso
del manufatto, ad esclusione dei volumi
tecnici, anche la sopraelevazione (abusiva)
come sopra declinata non può essere sanata
dal punto di vista ambientale.
---------------
Rispetto al sottotetto e al problema del
computo del volume, vanno considerati come
volumi tecnici (come tali non rilevanti ai
fini della volumetria di un immobile) quei
volumi destinati esclusivamente agli
impianti necessari per l'utilizzo
dell'abitazione e che non possono essere
ubicati al suo interno, mentre non sono tali
-e sono quindi computabili ai fini della
volumetria consentita- le soffitte, gli
stenditori chiusi e quelli «di sgombero»
nonché il piano di copertura, impropriamente
definito sottotetto, ma costituente in
realtà una mansarda in quanto dotato di
rilevante altezza media rispetto al piano di
gronda.
Come dedotto in sede difensiva dal
Comune intimato, le conseguenze
dell’eventuale superamento del termine di
180 gg. previsto dall'art. 167, comma 5, del
Codice dei Beni Culturali, non sono quelle
ritenute dalla parte, vale a dire
l'impossibilità di adottarlo e la
conseguente illegittimità del provvedimento
finale, ma piuttosto il c.d. silenzio-inadempimento, con conseguente ammissibilità
di ricorso ex art. 31 del Codice del
processo amministrativo, al fine di
"..chiedere l'accertamento dell'obbligo
dell'amministrazione di provvedere” e di
ottenere una pronuncia di merito se e nel
caso in cui il provvedimento omesso abbia
natura e contenuto vincolato (TAR Lombardia-Brescia, Sez. I, sentenza n. 156
del 31.01.2012).
La ricorrente tuttavia non ha impugnato il
silenzio dell'Autorità preposta ma ha
preferito attendere l'adozione di un
provvedimento espresso che è intervenuto e
che è stato da essa tempestivamente
impugnato.
In ogni caso il Collegio rileva che, come
dedotto in sede difensiva,
dall’amministrazione intimata, il
Responsabile del settore gestione del
territorio ha motivato le ragioni del
ritardo nella conclusione del procedimento,
con la nota prot. n. 15165 del 22.07.2011 indirizzata alla ricorrente ed al suo
difensore, e che tali ragioni, alle quali si
rinvia, appaiono sostanzialmente plausibili
e idonee a giustificare il suddetto ritardo
del provvedimento.
Il protrarsi del procedimento peraltro non
ha, salvo il protrarsi dello stato di
soggettiva incertezza, danneggiato la
ricorrente sotto alcun profilo
giuridicamente rilevante, e in particolare
sotto quello economico, avendo il protrarsi
dello stato di fatto consentito di mantenere
ferme le opere abusivamente realizzate,
nonostante il rigetto della domanda
cautelare e la possibilità astratta
dell’amministrazione di ordinarne d’ufficio
la demolizione.
---------------
In merito
al primo profilo, la difesa
dell’amministrazione correttamente rileva
che con la nota prot. n. 15166 del 22.07.2011, avente ad oggetto il preavviso di
diniego sull’accertamento di compatibilità
paesaggistica, il Responsabile del settore
competente ha puntualmente evidenziato i
motivi ostativi all'accoglimento
dell'istanza della ricorrente.
Il provvedimento di diniego che vi ha fatto
seguito in data 11.10.2011, inoltre, nel
prendere atto delle note del 3 e 05.08.2011 a firma del difensore della ricorrente,
precisa che le stesse non hanno consentito
di superare i motivi ostativi
all'accoglimento dell'istanza, per le
motivazioni contenute nello stesso
provvedimento: e precisamente per la
rilevata circostanza che l'opera abusiva non
rientra tra le tipologie di cui all'art.
167, comma IV e 181, comma 1-ter, del D.lgs.
42/2004, specificando ulteriormente, nei
termini che seguono, le ragioni di tale
conclusione:
a) l’intervento si sostanzia in una sopraelevazione, essendo principio
giurisprudenziale consolidato quello secondo
cui si è in presenza di una sopraelevazione
anche quando l'aumento dell'altezza del
fabbricato sia di dimensioni ridotte e la
creazione di volume aggiuntivo non sia
rilevante (Cass,. Civ. Sez. II 22.02.1999, n.
1474; Cass. Pen. Sez. III 15.06.1998 n. 1898);
che l’intervento pertanto ha ad oggetto una
nuova costruzione con aumento di volume e
modifica della sagoma.
b) nella circolare n. 33 del 26.09.2009 del
Ministero per i Beni e le Attività Culturali
si chiarisce che per "volumi" deve
intendersi qualsiasi manufatto costruito da
parti chiuse emergenti dal terreno o dalla
sagoma di un fabbricato preesistente
indipendentemente dalla destinazione d'uso
del manufatto, ad esclusione dei volumi
tecnici.
Orbene, al riguardo la parte ricorrente
evidenzia, sempre con i motivi aggiunti, in
senso dirimente, il rilascio di un
precedente parere favorevole da parte della
Sovrintendenza in ordine all'assenza di
danno ambientale.
Tuttavia tale rilievo, ancorché corretto in
fatto, appare inconferente poiché, come si
ricava anche dalla nota della Regione
Lombardia (doc. n. 13, prodotto in data
18.10.2011), il parere in questione è stato
rilasciato ”esclusivamente sotto il
profilo della compatibilità ambientale
paesaggistica e fatta salva la verifica da
parte dell’autorità competente. In ordine
all'effettiva ammissibilità dell’istanza".
La predetta nota precisa inoltre che "...
spetta al Comune verificare ai fini
dell'applicazione della sanzione di cui
all'art. 181, comma 1-ter e 1-quater, del
Codice l'ammissibilità dell'istanza di
compatibilità paesaggistica" (cfr. art. 167,
comma 5).
E' pacifico quindi che l'art. 167, IV comma,
trovi applicazione unicamente "...in
relazione ad interventi di minima rilevanza
e consistenza non incidenti ovvero non
idonei ad incidere sull'integrità del bene
ambiente" (Cass. Pen., Sez. III, 25/02/2011
n. 7216).
Nella fattispecie è da escludersi che tale
presupposto ricorra.
Questo TAR, infatti, sulla base di un
precedente conforme orientamento del
Consiglio di Stato, ha già avuto modo di
precisare che: "... rispetto al sottotetto e
al problema del computo del volume, si
richiama l'orientamento del Consiglio di
Stato (sez. IV n. 812 del 07.02.2011,
seguito da questa Sezione, nella sentenza n.
1105/2011), secondo cui "vanno considerati
come volumi tecnici (come tali non rilevanti
ai fini della volumetria di un immobile)
quei volumi destinati esclusivamente agli
impianti necessari per l'utilizzo
dell'abitazione e che non possono essere
ubicati al suo interno, mentre non sono tali
-e sono quindi computabili ai fini della
volumetria consentita- le soffitte, gli
stenditori chiusi e quelli «di sgombero»
nonché il piano di copertura, impropriamente
definito sottotetto, ma costituente in
realtà una mansarda in quanto dotato di
rilevante altezza media rispetto al piano di
gronda" (TAR Lombardia, Milano, Sez. II, n.
38/2012).
Nella fattispecie oggetto del ricorso, è
altresì da escludere che ricorra un'ipotesi
di "...non percettibilità della
modificazione dell'aspetto esteriore del
bene protetto ..." (come sostiene la
ricorrente a pag. 13 dell'atto di motivi
aggiunti).
Infatti, dal verbale di sopralluogo in data
26.06.2008 si ricava che, oltre
all'incremento dell'altezza del fabbricato
ed alla modifica della sagoma, è stata
rilevata "la posa di n. 6 finestre tipo velux di dimensioni 70 cm x 120 cm ciascuna", unitamente ad una serie di ulteriori
modifiche anche interne, l’ampliamento del
varco di accesso (botola), la creazione
della scala di accesso al sottotetto, etc.
che evidenziano inequivocabilmente la
realizzazione di un nuovo piano abitabile"
(come già rilevato dal TAR in sede
cautelare).
Pertanto e conclusivamente sul punto, il
motivo deve ritenersi interamente infondato
(TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 29.06.2012 n. 1870 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
La nozione
di volume tecnico, non computabile nel
calcolo della volumetria massima consentita,
può essere applicata solo con riferimento ad
opere edilizie completamente prive di una
propria autonomia funzionale, anche
potenziale, in quanto destinate a contenere
impianti serventi di una costruzione
principale, per esigenze tecnico-funzionali
della costruzione stessa; si tratta, in
particolare, di impianti necessari per
l'utilizzo dell'abitazione, che non possono
essere ubicati all'interno di essa, connessi
alla condotta idrica, termica, ascensore
ecc., mentre va escluso che possa parlarsi
di volumi tecnici al di fuori di tale
ambito, al fine di negare rilevanza
giuridica ai volumi comunque esistenti nella
realtà fisica.
-------------
Occorre distinguere il concetto di
pertinenza previsto dal diritto civile dal
più ristretto concetto di pertinenza inteso
in senso urbanistico, che non trova
applicazione in relazione a quelle
costruzioni che, pur potendo essere
qualificate come beni pertinenziali secondo
la normativa privatistica, assumano tuttavia
una funzione autonoma rispetto ad altra
costruzione, con conseguente loro
assoggettamento al regime del permesso di
costruire.
Ne consegue che, tenuto conto delle
caratteristiche dell’intervento abusivo
realizzato dal ricorrente risultanti dalla
motivazione dell’ordine di demolizione, il
predetto intervento –non essendo
coessenziale ad un bene principale e potendo
essere successivamente utilizzato in modo
autonomo e separato (ndr: garage interrato
regolarmente avente una superficie di 48,50
mq. e con altezza di 2,30 mt.)– non può
ritenersi pertinenza ai fini urbanistici, sì
da escludere che lo stesso sia sottoposto al
preventivo rilascio del permesso di
costruire.
---------------
La mancata specificazione delle aree da
sottoporre all’acquisizione gratuita al
patrimonio comunale in caso di
inottemperanza all’ordine demolitorio, non
costituisce motivo di illegittimità di
quest’ultimo, potendo l’amministrazione
provvedere a tale incombenza con il
successivo ed eventuale atto di
acquisizione.
---------------
L’ordinanza di demolizione non richiede, in
linea generale, una specifica motivazione;
l’abusività costituisce di per sé
motivazione sufficiente per l’adozione della
misura repressiva in argomento. Ne consegue
che, in presenza di un’opera abusiva,
l’autorità amministrativa è tenuta ad
intervenire affinché sia ripristinato lo
stato dei luoghi, non sussistendo alcuna
discrezionalità dell’amministrazione in
relazione al provvedere.
Infatti, l’ordinanza di demolizione di opere
edilizie abusive è atto dovuto e vincolato e
non necessita di motivazione ulteriore
rispetto all’indicazione dei presupposti di
fatto e all’individuazione e qualificazione
degli abusi edilizi”.
Presupposto per l'emanazione dell'ordinanza
di demolizione di opere edilizie abusive è
soltanto la constatata esecuzione di queste
ultime in assenza o in totale difformità del
titolo concessorio, con la conseguenza che,
essendo l’ordinanza atto dovuto, essa è
sufficientemente motivata con l’accertamento
dell’abuso, essendo “in re ipsa” l’interesse
pubblico alla sua rimozione e sussistendo
l’eventuale obbligo di motivazione al
riguardo solo se l’ordinanza stessa
intervenga a distanza di tempo
dall’ultimazione dell’opera avendo l’inerzia
dell’amministrazione creato un qualche
affidamento nel privato.
---------------
In presenza di un intervento edilizio
realizzato in assenza del prescritto
permesso di costruire, l'ordine di
demolizione costituisce atto dovuto, mentre
la possibilità di non procedere alla
rimozione delle parti abusive quando ciò sia
di pregiudizio alle parti legittime
costituisce solo un'eventualità della fase
esecutiva, subordinata alla circostanza
dell'impossibilità del ripristino dello
stato dei luoghi.
-------------
I provvedimenti repressivi degli abusi
edilizi non devono essere preceduti dalla
comunicazione dell’avvio del procedimento
perché trattasi di provvedimenti tipizzati e
vincolati, che presuppongono un mero
accertamento tecnico sulla consistenza delle
opere realizzate e sul carattere non
assentito delle medesime.
Seppure si aderisse all’orientamento che
ritiene necessaria tale comunicazione anche
per gli ordini di demolizione, troverebbe
comunque applicazione nel caso in esame
l’art. 21-octies, comma 2 della legge n. 241
del 1990 (introdotto dalla legge n.
15/2005), nella parte in cui dispone che
“non è annullabile il provvedimento adottato
in violazione di norme sul
procedimento...qualora, per la natura
vincolata del provvedimento, sia palese che
il suo contenuto dispositivo non avrebbe
potuto essere diverso da quello in concreto
adottato”.
Infatti, posto che l’ordine di demolizione è
atto dovuto in presenza di opere realizzate
in assenza del prescritto titolo
abilitativo, nel caso in esame risulta
palese che il contenuto dispositivo
dell’impugnata ordinanza di demolizione non
avrebbe potuto essere diverso se fosse stata
data al ricorrente l’opportunità di
interloquire con l’amministrazione.
Oggetto della
presente controversia è il provvedimento con
il quale il Comune di Somma Vesuviana ha
ingiunto al ricorrente di demolire un
manufatto realizzato sopra un garage
interrato regolarmente assentito con DIA del
23.04.2004 (prot. 5638), avente una
superficie di 48,50 mq. e con altezza di
2,30 mt.
Con il primo motivo il ricorrente lamenta
che l’intervento edilizio contestato,
concretandosi nella realizzazione di un
volume tecnico, ricadrebbe nella disciplina
di cui all’art. 22, comma 1, del D.P.R. n.
380/2001 con l’applicazione, in ipotesi,
della sola sanzione pecuniaria.
Il motivo non ha pregio.
Il ricorrente ha realizzato un nuovo volume,
di rilevanti dimensioni, al di sopra di un
garage interrato e ciò avrebbe richiesto, ex
art. 10, comma 1, lett. a), del D.P.R. n.
380/2001 la previa acquisizione del permesso
di costruire nonché, trattandosi di zona paesaggisticamente vincolata ai sensi del
d.lgs. n. 42/2004, dell’autorizzazione
paesaggistica; con la conseguenza che
l’amministrazione, constatata l’assenza dei
predetti titoli, ha correttamente ordinato
la demolizione dell’opera ai sensi dell’art.
31 del D.P.R. n. 380/2001.
Il nuovo manufatto non può, poi, per le sue
caratteristiche essere considerato né volume
tecnico (seppure così formalmente definito
dal provvedimento), né pertinenza
dell’abitazione (primo e secondo motivo).
Si è, in particolare, evidenziato come nella
fattispecie si tratti di un nuovo volume
della superficie di circa 48 mq. con altezza
di circa 2 metri che sorge su un garage
interrato, sicuramente suscettibile di
autonoma utilizzazione. Sul punto la
giurisprudenza ha statuito che “La nozione
di volume tecnico, non computabile nel
calcolo della volumetria massima consentita,
può essere applicata solo con riferimento ad
opere edilizie completamente prive di una
propria autonomia funzionale, anche
potenziale, in quanto destinate a contenere
impianti serventi di una costruzione
principale, per esigenze tecnico-funzionali
della costruzione stessa; si tratta, in
particolare, di impianti necessari per
l'utilizzo dell'abitazione, che non possono
essere ubicati all'interno di essa, connessi
alla condotta idrica, termica, ascensore
ecc., mentre va escluso che possa parlarsi
di volumi tecnici al di fuori di tale
ambito, al fine di negare rilevanza
giuridica ai volumi comunque esistenti nella
realtà fisica” (ex multis, TAR Piemonte
Torino, sez. I, 14.01.2011 , n. 16).
Quanto alla censura circa la natura
pertinenziale delle opere abusive in
questione, secondo una consolidata
giurisprudenza (ex multis TAR Lombardia,
Milano, sez. II, 11.02.2005, n. 365;
TAR Lazio, sez. II, 04.02.2005, n.
1036) occorre distinguere il concetto di
pertinenza previsto dal diritto civile dal
più ristretto concetto di pertinenza inteso
in senso urbanistico, che non trova
applicazione in relazione a quelle
costruzioni che, pur potendo essere
qualificate come beni pertinenziali secondo
la normativa privatistica, assumano tuttavia
una funzione autonoma rispetto ad altra
costruzione, con conseguente loro
assoggettamento al regime del permesso di
costruire. Ne consegue che, tenuto conto
delle caratteristiche dell’intervento
abusivo realizzato dal ricorrente risultanti
dalla motivazione dell’ordine di
demolizione, il predetto intervento –non
essendo coessenziale ad un bene principale e
potendo essere successivamente utilizzato in
modo autonomo e separato– non può ritenersi
pertinenza ai fini urbanistici, sì da
escludere che lo stesso sia sottoposto al
preventivo rilascio del permesso di
costruire.
In relazione alla censura inerente la
mancata verifica della reale difformità
dell’abuso rispetto al titolo posseduto,
osserva il Collegio come il provvedimento
indichi con chiarezza che l’intervento
edilizio colpito dalla sanzione
ripristinatoria è il volume edificato sopra
il garage (regolarmente assentito). L’opera
in questione è stata realizzata in totale
difformità dal titolo –la DIA del 23.03.2004– il cui contenuto era limitato alla
realizzazione di un parcheggio interrato.
Legittima sotto questo profilo
l’applicazione dell’art. 31 del D.P.R. n.
380/2001.
Nessun dubbio può quindi porsi sull’oggetto
della disposta demolizione mentre, come più
volte affermato dalla giurisprudenza, la
mancata specificazione delle aree da
sottoporre all’acquisizione gratuita al
patrimonio comunale in caso di
inottemperanza all’ordine demolitorio, non
costituisce motivo di illegittimità di
quest’ultimo, potendo l’amministrazione
provvedere a tale incombenza con il
successivo ed eventuale atto di
acquisizione.
Non rileva neppure che il parcheggio sia
stato in precedenza considerato legittimo
dal punto di vista urbanistico. La
circostanza, infatti, che l’amministrazione
abbia consentito la costruzione di un
manufatto interrato non implica la
possibilità per il ricorrente di edificarvi,
senza alcun titolo, un ulteriore volume.
Infondato anche la censura di difetto di
motivazione per non aver l’amministrazione
qualificato la gravità dell’illecito
edilizio. Come affermato dalla
giurisprudenza in presenza di un abuso
edilizio “l’ordinanza di demolizione non
richiede, in linea generale, una specifica
motivazione; l’abusività costituisce di per
sé motivazione sufficiente per l’adozione
della misura repressiva in argomento. Ne
consegue che, in presenza di un’opera
abusiva, l’autorità amministrativa è tenuta
ad intervenire affinché sia ripristinato lo
stato dei luoghi, non sussistendo alcuna
discrezionalità dell’amministrazione in
relazione al provvedere” (TAR Lazio Roma,
sez. I, 19.07.2006, n. 6021); infatti
“l’ordinanza di demolizione di opere
edilizie abusive è atto dovuto e vincolato e
non necessita di motivazione ulteriore
rispetto all’indicazione dei presupposti di
fatto e all’individuazione e qualificazione
degli abusi edilizi” (TAR Marche Ancona,
sez. I, 12.10.2006 , n. 824) ed,
ancora, “presupposto per l'emanazione
dell'ordinanza di demolizione di opere
edilizie abusive è soltanto la constatata
esecuzione di queste ultime in assenza o in
totale difformità del titolo concessorio,
con la conseguenza che, essendo l’ordinanza
atto dovuto, essa è sufficientemente
motivata con l’accertamento dell’abuso,
essendo “in re ipsa” l’interesse pubblico
alla sua rimozione e sussistendo l’eventuale
obbligo di motivazione al riguardo solo se
l’ordinanza stessa intervenga a distanza di
tempo dall’ultimazione dell’opera avendo
l’inerzia dell’amministrazione creato un
qualche affidamento nel privato” (Consiglio
di Stato, sez. V, 29.05.2006 n. 3270).
Peraltro, in presenza di un intervento
edilizio realizzato in assenza del
prescritto permesso di costruire, l'ordine
di demolizione costituisce atto dovuto,
mentre la possibilità di non procedere alla
rimozione delle parti abusive quando ciò sia
di pregiudizio alle parti legittime
costituisce solo un'eventualità della fase
esecutiva, subordinata alla circostanza
dell'impossibilità del ripristino dello
stato dei luoghi (secondo motivo).
Destituita di ogni fondamento risulta la
censura incentrata sulla omissione della
fase partecipativa al procedimento
(violazione dell’art. 7 della legge n. 241
del 1990 – terzo motivo) in quanto i
provvedimenti repressivi degli abusi
edilizi, non devono essere preceduti dalla
comunicazione dell’avvio del procedimento
(ex multis, TAR Campania, Napoli, sez. IV
12.04.2005, n. 3780; 13.01.2006, n.
651), perché trattasi di provvedimenti
tipizzati e vincolati, che presuppongono un
mero accertamento tecnico sulla consistenza
delle opere realizzate e sul carattere non
assentito delle medesime.
Seppure si
aderisse all’orientamento che ritiene
necessaria tale comunicazione anche per gli
ordini di demolizione, troverebbe comunque
applicazione nel caso in esame l’art. 21-octies,
comma 2 della legge n. 241 del 1990
(introdotto dalla legge n. 15/2005), nella
parte in cui dispone che “non è
annullabile il provvedimento adottato in
violazione di norme sul
procedimento...qualora, per la natura
vincolata del provvedimento, sia palese che
il suo contenuto dispositivo non avrebbe
potuto essere diverso da quello in concreto
adottato”.
Infatti, posto che l’ordine di demolizione è
atto dovuto in presenza di opere realizzate
in assenza del prescritto titolo
abilitativo, nel caso in esame risulta
palese che il contenuto dispositivo
dell’impugnata ordinanza di demolizione non
avrebbe potuto essere diverso se fosse stata
data al ricorrente l’opportunità di
interloquire con l’amministrazione
(TAR Campania-Napoli, Sez. III,
sentenza 27.06.2012 n. 3048 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
E' da
escludere che l’intervento possa
correttamente qualificarsi come di
manutenzione straordinaria, atteso che la
realizzazione di una piattaforma elevatrice
munita di autonomo vano di scorrimento, che
fuoriesce dalla sagoma dell’edificio
asservito e che quindi costituisce un’opera
dotata di autonomia funzionale, appare
piuttosto integrare una ristrutturazione
edilizia, necessitante di permesso di
costruire ai sensi dell’art. 10 del d.PR. n. 380 del 2001
o, in alternativa, di denuncia di inizio di
attività ai sensi dell’art. 22 d.PR cit..
E poiché sensi dell'art. 149 del d.lgs. n.
42 del 2004 l’autorizzazione della autorità
preposta alla tutela del vincolo non è
richiesta soltanto per gli interventi di
manutenzione ordinaria, straordinaria di
restauro e di risanamento conservativo che
non alterino lo stato dei luoghi e l’aspetto
esteriore degli edifici, nel caso in
questione necessita.
---------------
L’autorizzazione paesaggistica non può
essere rilasciata in sanatoria
successivamente alla realizzazione, anche
parziale, delle opere (art. 146, comma 4,
d.lgs. n. 42 del 2004), al di fuori dai casi
tassativamente previsti dall’art. 167, commi
4 e 5.
Con tale scelta il legislatore ha inteso
presidiare ulteriormente il regime delle
opere incidenti su beni paesaggistici,
escludendo in radice che l’esame di
compatibilità paesaggistica possa essere
postergato all’intervento realizzato (sine
titulo o in difformità dal titolo
rilasciato) e ciò al fine di escludere che
possa riconnettersi al fatto compiuto
qualsivoglia forma di legittimazione
giuridica.
In altri termini, il richiamato art. 167 del
Codice n. 42 del 2004, evidentemente in
considerazione delle prassi applicative
delle leggi succedutesi in materia di
condoni e sanatorie (caratterizzate di
regola dall’esercizio di poteri
discrezionali delle autorità preposte alla
tutela del vincolo paesaggistico), ha inteso
tutelare più rigorosamente i beni sottoposti
al medesimo vincolo, precludendo in radice
ogni valutazione di compatibilità ex post
delle opere abusive (tranne quelle
tassativamente indicate nello stesso art.
167).
Sotto tale profilo, ove le opere risultino
diverse da quelle sanabili e indicate
nell’art. 167, le autorità non possono che
emanare un atto dal contenuto vincolato e
cioè esprimersi nel senso della reiezione
dell’istanza di sanatoria.
L’unica eccezione a tale rigida prescrizione
riguarda il caso in cui i lavori, pur se
realizzati in assenza o difformità
dell’autorizzazione paesaggistica, non
abbiano determinato creazione di superfici
utili o volumi ovvero aumento di quelli
legittimamente realizzati.
Tuttavia, nel caso in esame correttamente la
Soprintendenza ha escluso la ricorrenza
della fattispecie derogatoria appena
richiamata, atteso che il vano ascensore,
come già detto, ha in fatto comportato un
aumento delle volumetrie dell’edificio e,
per di più, un’opera rilevante sul piano
della sua percezione visiva nel contesto
paesaggistico di riferimento.
---------------
Appare dubbia, già in linea di principio, l’ascrizione
del vano ascensore al novero dei cosiddetti
volumi tecnici nei casi in cui, come nella
specie, lo stesso sia in fatto conformato
alla stregua di un autonomo corpo edilizio
destinato ad ospitare l’intero impianto
elevatore (e non invece, ad esempio,
soltanto l’extracorsa dell’ascensore).
Per volume tecnico si intende infatti un
volume destinato ad ospitare un impianto o
parte di esso che, per ragioni di
funzionalità, di igiene o di sicurezza non
potrebbe essere allocato nella volumetria
assentita o comunque assentibile; nel caso
in esame non è provato che tale circostanza
ricorra in concreto ed appar dubbia
l’assimilabilità del vano ascensore avente
caratteristiche morfologiche a quello per
cui è giudizio al cosiddetto “volume
tecnico”, nella cui categoria potrebbe al
più rientrare il vano destinato ad ospitare
i macchinari funzionali all’ascensore (ma
non l’ascensore in sé, dotato di autonomia
planovolumetrica rispetto all’edificio
servito).
In ogni caso, nella prospettiva della tutela
del paesaggio non è rilevante la
classificazione dei volumi edilizi che si
suole fare al fine di evidenziare la
neutralità, sul piano del carico
urbanistico, dei cosiddetti volumi tecnici.
E’ pacifico infatti che tale distinzione si
rivela inconferente sul piano della tutela
dei beni paesaggistici: le qualificazioni
giuridiche rilevanti sotto il profilo
urbanistico ed edilizio non hanno rilievo,
quando si tratti di qualificare le opere
sotto il profilo paesaggistico, sia quando
si tratti della percezione visiva di volumi,
a prescindere dalla loro destinazione d’uso,
sia quando comunque si tratti di modificare
un terreno o un edificio, o il relativo
sottosuolo.
La circolare ministeriale citata
dall’appellante (del Ministero dei lavori
pubblici del 31.01.1973, n. 2474, e che, in
base ad un parere del Consiglio superiore
dei lavori pubblici, inserisce tra i volumi
tecnici ai fini del calcolo della volumetria
assentibile solo i volumi strettamente
necessari a contenere e a consentire
l’accesso di quelle parti degli impianti
tecnici che non possono per esigenze di
funzionalità degli impianti trovare luogo
entro il corpo di fabbrica dell’edificio
realizzabile nei limiti imposti dalle norme
urbanistiche), a parte ogni considerazione
sulla impossibilità che essa limiti
l’applicazione delle sopravvenute
disposizioni legislative, già a suo tempo
aveva colto il principio per cui la nozione
di ‘volume tecnico’ rileva ai soli fini urbanistico-edilizio, avendo specificato che
“la sistemazione dei volumi tecnici non deve
costituire pregiudizio per la validità
estetica dell’insieme architettonico”.
Pertanto, la natura del volume edilizio
realizzato (sia o meno qualificabile come
volume tecnico) non rileva sul giudizio di
compatibilità paesaggistica ex post delle
opere: la nuova volumetria, quale che sia la
sua natura, impone una valutazione di
compatibilità con i valori paesaggistici
dell’area (che deve compiersi da parte della
autorità preposta alla tutela del vincolo,
ovvero dalla competente Soprintendenza in
sede di redazione di un suo parere), mentre
sono radicalmente precluse autorizzazioni
postume per le opere abusive che abbiano
comportato la realizzazione di nuovi volumi
(art. 167 d.lgs. cit.).
... per la riforma della sentenza del TAR
CAMPANIA-NAPOLI: SEZIONE IV n. 2297/2008,
resa tra le parti, concernente DINIEGO
SANATORIA DI PIATTAFORMA ELEVATRICE.
...
Con un primo ordine di censure, l’appellante
sostiene che l’illegittimità del diniego
impugnato in primo grado deriverebbe dalla
non corretta qualificazione giuridica
dell’intervento da assentire con il
procedimento di accertamento di conformità.
In particolare, ad avviso dell’appellante,
poiché nel caso di specie si sarebbe
trattato di un intervento di manutenzione
straordinaria finalizzato a rimuovere -in
base all’art. 1, comma 6, del d.P.R. 24.07.1996 n. 503- le barriere
architettoniche in un edificio privato, non
sarebbe richiesta, ai sensi dell’art. 149
del d.lgs. n. 42 del 2004, l’autorizzazione
paesaggistica, di guisa che il parere
negativo della Soprintendenza sarebbe stato
rilasciato nella specie in carenza di
potere.
La censura non è condivisibile.
Vale anzitutto precisare che ai sensi del
citato art. 149 del d.lgs. n. 42 del 2004
l’autorizzazione della autorità preposta
alla tutela del vincolo non è richiesta
soltanto per gli interventi di manutenzione
ordinaria, straordinaria di restauro e di
risanamento conservativo che non alterino lo
stato dei luoghi e l’aspetto esteriore degli
edifici.
Nel caso in esame è pacifico al contrario
che la realizzazione della piattaforma
elevatrice abbia determinato un aumento dei
volumi dell’edificio ed abbia inciso sui
profili esteriori dello stesso, onde la
qualificazione dell’intervento quale
manutenzione straordinaria non gioverebbe
alle ragioni dell’appellante nella misura in
cui non sarebbe idonea a superare la
necessità del rilascio della autorizzazione
e del suo superamento della fase del riesame
della Soprintendenza (trattandosi di
immobile ricadente in area sottoposta a
vincolo paesaggistico).
In ogni caso, è da escludere che
l’intervento possa correttamente
qualificarsi come di manutenzione
straordinaria, atteso che la realizzazione
di una piattaforma elevatrice munita di
autonomo vano di scorrimento, che fuoriesce
dalla sagoma dell’edificio asservito e che
quindi costituisce un’opera dotata di
autonomia funzionale, appare piuttosto
integrare una ristrutturazione edilizia,
necessitante di permesso di costruire ai
sensi dell’art. 10 del d.PR. n. 380 del 2001
o, in alternativa, di denuncia di inizio di
attività ai sensi dell’art. 22 d.P.R. cit..
Per altro verso, la qualificazione
dell’intervento alla stregua di opera di
straordinaria manutenzione non potrebbe
trarsi, come assume l’appellante, dalla
disciplina normativa di favore dettata in
materia di eliminazione delle barriere
architettoniche dagli edifici pubblici e
privati (d.P.R n. 503 del 1996, attuativo
dell’art. 27 l. 30.03.1971 n. 118; art.
24 l. 05.02.1992 n. 104; l. n. 13 del
1989), dato che le finalità semplificatorie
e propulsive di tali testi normativi in
favore delle persone diversamente abili non
ha in ogni caso comportato una modificazione
della tipologia degli interventi edilizi
funzionali alla eliminazione delle barriere
architettoniche e dei corrispondenti titoli
edilizi necessari per la loro realizzazione.
E tanto anche a voler considerare le opere
di che trattasi, consistite nel collegare il
quarto piano di un appartamento al terrazzo
superiore, alla stregua di intervento
finalizzato in concreto ad eliminare le
barriere architettoniche di un edificio
privato in favore di un soggetto meritevole
di protezione.
---------------
Sotto altro profilo non appare
condivisibile la censura d’appello di
violazione e falsa applicazione della legge
09.01.1989, n. 13, recante le
disposizioni funzionali alla eliminazione
delle barriere architettoniche negli edifici
privati.
Sul punto l’appellante censura la
correttezza del ragionamento dei giudici di
primo grado nella parte in cui questi ultimi
avrebbero ritenuto abrogate (e quindi non
più applicabili in quanto non riprodotte
negli artt. 77 e segg. del testo unico in
materia edilizia) quelle disposizioni della
citata legge specificamente dettate ai fini
della eliminazione delle barriere
architettoniche (in particolare art. 4.1,
commi 4 e 5); le quali stabilivano che,
anche in aree sottoposte a vincolo
paesaggistico, l’autorizzazione
paesaggistica poteva essere negata solo ove
non fosse possibile realizzare le opere
senza serio pregiudizio del bene tutelato e
che, in ogni caso, il diniego doveva essere
motivato con la specificazione della natura
e della serietà del pregiudizio, della sua
rilevanza in rapporto al complesso in cui
l’opera si colloca e con riferimento a tutte
le alternative eventualmente prospettate
dall’interessato.
Osserva al proposito il Collegio che:
-
anzitutto è vero che non vi è stata, nel
testo unico sull’edilizia, la riproduzione
di quelle previsioni normative che ponevano
un particolare onere motivazionale in sede
di diniego alle opere finalizzate alla
rimozione delle barriere architettoniche
anche in edifici sottoposti al vincolo
storico-artistico o in aree vincolate sul
piano paesaggistico;
-
in ogni caso, al di là della sussistenza o
meno di un’indicazione normativa espressa in
tal senso (che tuttavia potrebbe trarsi dal
sistema) non potrebbe farsi a meno di
rilevare che, nel caso in esame, non vengono
in rilievo le disposizioni afferenti il
procedimento di ordinaria formazione del
titolo edilizio, dato che l’intervento è
stato realizzato sine titulo ed il diniego
avversato in primo grado è maturato, in
ragione del parere negativo della
Soprintendenza, nel distinto procedimento di
accertamento di conformità (che costituisce
un procedimento di sanatoria postuma
dell’abuso).
Ora, ed è questa la questione dirimente del
giudizio, è decisivo considerare che
l’autorizzazione paesaggistica non può
essere rilasciata in sanatoria
successivamente alla realizzazione, anche
parziale, delle opere (art. 146, comma 4,
d.lgs. n. 42 del 2004), al di fuori dai casi
tassativamente previsti dall’art. 167, commi
4 e 5.
Con tale scelta il legislatore ha inteso
presidiare ulteriormente il regime delle
opere incidenti su beni paesaggistici,
escludendo in radice che l’esame di
compatibilità paesaggistica possa essere
postergato all’intervento realizzato (sine
titulo o in difformità dal titolo
rilasciato) e ciò al fine di escludere che
possa riconnettersi al fatto compiuto
qualsivoglia forma di legittimazione
giuridica.
In altri termini, il richiamato art. 167 del
Codice n. 42 del 2004, evidentemente in
considerazione delle prassi applicative
delle leggi succedutesi in materia di
condoni e sanatorie (caratterizzate di
regola dall’esercizio di poteri
discrezionali delle autorità preposte alla
tutela del vincolo paesaggistico), ha inteso
tutelare più rigorosamente i beni sottoposti
al medesimo vincolo, precludendo in radice
ogni valutazione di compatibilità ex post
delle opere abusive (tranne quelle
tassativamente indicate nello stesso art.
167).
Sotto tale profilo, ove le opere risultino
diverse da quelle sanabili e indicate
nell’art. 167, le autorità non possono che
emanare un atto dal contenuto vincolato e
cioè esprimersi nel senso della reiezione
dell’istanza di sanatoria.
L’unica eccezione a tale rigida prescrizione
riguarda il caso in cui i lavori, pur se
realizzati in assenza o difformità
dell’autorizzazione paesaggistica, non
abbiano determinato creazione di superfici
utili o volumi ovvero aumento di quelli
legittimamente realizzati.
Tuttavia, nel caso in esame correttamente la
Soprintendenza ha escluso la ricorrenza
della fattispecie derogatoria appena
richiamata, atteso che il vano ascensore,
come già detto, ha in fatto comportato un
aumento delle volumetrie dell’edificio e,
per di più, un’opera rilevante sul piano
della sua percezione visiva nel contesto
paesaggistico di riferimento.
---------------
A tal proposito non può condividersi
l’approccio interpretativo dell’appellante,
che mira a neutralizzare il profilo
dell’aumento volumetrico determinato del
vano ascensore, richiamando la normativa sui
cosiddetti volumi tecnici.
Sul punto il Collegio ritiene che tale tesi
non tenga conto del testo e della ratio del
medesimo art. 167.
Anzitutto appare dubbia, già in linea di
principio, l’ascrizione del vano ascensore
al novero dei cosiddetti volumi tecnici nei
casi in cui, come nella specie, lo stesso
sia in fatto conformato alla stregua di un
autonomo corpo edilizio destinato ad
ospitare l’intero impianto elevatore (e non
invece, ad esempio, soltanto l’extracorsa
dell’ascensore).
Per volume tecnico si intende infatti un
volume destinato ad ospitare un impianto o
parte di esso che, per ragioni di
funzionalità, di igiene o di sicurezza non
potrebbe essere allocato nella volumetria
assentita o comunque assentibile (Consiglio
di Stato, IV sez., 26.07.1984 n. 578);
nel caso in esame non è provato che tale
circostanza ricorra in concreto ed appar
dubbia l’assimilabilità del vano ascensore
avente caratteristiche morfologiche a quello
per cui è giudizio al cosiddetto “volume
tecnico”, nella cui categoria potrebbe al
più rientrare il vano destinato ad ospitare
i macchinari funzionali all’ascensore (ma
non l’ascensore in sé, dotato di autonomia planovolumetrica rispetto all’edificio
servito).
In ogni caso, ed il rilievo appare di per sé
assorbente e decisivo, nella prospettiva
della tutela del paesaggio non è rilevante
la classificazione dei volumi edilizi che si
suole fare al fine di evidenziare la
neutralità, sul piano del carico
urbanistico, dei cosiddetti volumi tecnici.
E’ pacifico infatti che tale distinzione si
rivela inconferente sul piano della tutela
dei beni paesaggistici: le qualificazioni
giuridiche rilevanti sotto il profilo
urbanistico ed edilizio non hanno rilievo,
quando si tratti di qualificare le opere
sotto il profilo paesaggistico, sia quando
si tratti della percezione visiva di volumi,
a prescindere dalla loro destinazione d’uso,
sia quando comunque si tratti di modificare
un terreno o un edificio, o il relativo
sottosuolo.
La circolare ministeriale citata
dall’appellante (del Ministero dei lavori
pubblici del 31.01.1973, n. 2474, e
che, in base ad un parere del Consiglio
superiore dei lavori pubblici, inserisce tra
i volumi tecnici ai fini del calcolo della
volumetria assentibile solo i volumi
strettamente necessari a contenere e a
consentire l’accesso di quelle parti degli
impianti tecnici che non possono per
esigenze di funzionalità degli impianti
trovare luogo entro il corpo di fabbrica
dell’edificio realizzabile nei limiti
imposti dalle norme urbanistiche), a parte
ogni considerazione sulla impossibilità che
essa limiti l’applicazione delle
sopravvenute disposizioni legislative, già a
suo tempo aveva colto il principio per cui
la nozione di ‘volume tecnico’ rileva ai
soli fini urbanistico-edilizio, avendo
specificato che “la sistemazione dei volumi
tecnici non deve costituire pregiudizio per
la validità estetica dell’insieme
architettonico”.
Pertanto, la natura del volume edilizio
realizzato (sia o meno qualificabile come
volume tecnico) non rileva sul giudizio di
compatibilità paesaggistica ex post delle
opere: la nuova volumetria, quale che sia la
sua natura, impone una valutazione di
compatibilità con i valori paesaggistici
dell’area (che deve compiersi da parte della
autorità preposta alla tutela del vincolo,
ovvero dalla competente Soprintendenza in
sede di redazione di un suo parere), mentre
sono radicalmente precluse autorizzazioni
postume per le opere abusive che abbiano
comportato la realizzazione di nuovi volumi
(art. 167 d.lgs. cit.).
Nel caso in esame appare pertanto pienamente
legittimo il parere negativo –avente
contenuto vincolato- espresso dalla
Soprintendenza con la nota 29.01.2007,
n. 33585, e, per conseguenza, immune dalle
censure dedotte l’avversato diniego
comunale.
L’inconfigurabilità della sanzione
pecuniaria alternativa e la necessità della
riduzione in pristino dello stato dei luoghi
sono inoltre effetti legali strettamente
connessi alla applicazione dell’art. 167 del
d.lgs. n. 42 del 2004, il quale non prevede
sanzioni alternative alla misura ripristinatoria a carattere reale (Consiglio
di Stato, Sez. VI,
sentenza 20.06.2012 n. 3578 -
tratto da www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: L’eventuale precarietà (mobilità) di un
manufatto che rende non necessaria la
concessione edilizia dipende non già dal suo
sistema di ancoraggio, ma dalla sua
inidoneità a determinare una stabile
trasformazione del territorio.
Il carattere di precarietà va quindi
comunque escluso quando trattasi di
struttura destinata a dare un’utilità
prolungata nel tempo.
---------------
Per volumi tecnici, ai fini dell'esclusione
dal calcolo della volumetria ammissibile,
devono intendersi i locali completamente
privi di una autonomia funzionale, anche
potenziale, in quanto destinati a contenere
impianti serventi di una costruzione
principale, per esigenze tecnico-funzionali
della costruzione stessa ed, in particolare,
quei volumi strettamente necessari a
contenere ed a consentire l'ubicazione di
quegli impianti tecnici indispensabili per
assicurare il comfort degli edifici, che non
possano, per esigenze tecniche di
funzionalità degli impianti, essere
inglobati entro il corpo della costruzione
realizzabile nei limiti imposti dalle norme
urbanistiche.
Infondata è la censura secondo cui il
manufatto oggetto del provvedimento non
sarebbe una veranda con struttura infissa su
di una platea di cemento ma consisterebbe
semplicemente in tre pareti mobili su ruote
usate per il riparo di attrezzi e piante
fiorite durante l’inverno, costituendo
quindi un mero volume tecnico.
La censura non è supportata da alcuna
evidenza probatoria certa e, anzi si pone in
contrasto con il verbale di accertamento
dell’abuso del 24.12..2009 che, per essere
stato redatto da pubblico ufficiale, fa
piena prova sino a querela di falso.
Inoltre, le foto allegate dal ricorrente non
mostrano in modo esauriente l’ancoraggio del
manufatto al suolo ed, in ogni caso,
l’affermata amovibilità dell’opera è
irrilevante al fine di escludere l’esistenza
di un’opera di trasformazione urbanistica
necessitante di titolo abilitativo edilizio
avendo, fra l’altro, la giurisprudenza
precisato che ciò che rileva ai fini della
trasformazione urbanistica è la stabilità
della destinazione dell’opera realizzata.
L’opera in questione pare destinata ad uno
stabile e prolungato utilizzo e non a fini
strettamente temporanei.
L’eventuale precarietà (mobilità) di un
manufatto che rende non necessaria la
concessione edilizia dipende non già dal suo
sistema di ancoraggio, ma dalla sua
inidoneità a determinare una stabile
trasformazione del territorio.
Il carattere di precarietà va quindi
comunque escluso quando trattasi di
struttura destinata a dare un’utilità
prolungata nel tempo (Consiglio Stato, Sez.
V, 30.10.2000, n. 5828; TAR Campania-Napoli, Sez. VI, 18.02.2005, n. 1182; TAR
Lazio–Roma Sez. II-ter, 05.04.2007, n.
2986).
Il manufatto realizzato poi, consistente in
una veranda in ferro e vetro, coperto da
lamiera zincata posto su una platea di
cemento armato alta circa 30 centimetri,
esulta completamente dalla nozione di volume
tecnico.
Secondo quanto chiarito da giurisprudenza,
difatti, per volumi tecnici, ai fini
dell'esclusione dal calcolo della volumetria
ammissibile, devono intendersi i locali
completamente privi di una autonomia
funzionale, anche potenziale, in quanto
destinati a contenere impianti serventi di
una costruzione principale, per esigenze
tecnico-funzionali della costruzione stessa
(Consiglio Stato, sez. IV, 04.05.2010, n.
2565; TAR Sicilia-Palermo Sez. I - sentenza
09.07.2007, n. 1749; TAR Lombardia-Milano,
Sez. II, 04.04.2002, n. 1337) ed, in
particolare, quei volumi strettamente
necessari a contenere ed a consentire
l'ubicazione di quegli impianti tecnici
indispensabili per assicurare il comfort
degli edifici, che non possano, per esigenze
tecniche di funzionalità degli impianti,
essere inglobati entro il corpo della
costruzione realizzabile nei limiti imposti
dalle norme urbanistiche (TAR Puglia-Lecce,
Sez. III - sentenza 15.01.2005 n. 143; TAR
Puglia-Bari sentenza n. 2843/2004).
Nessuna delle caratteristiche indicate
presenta il manufatto in questione, avendo a
una piena indipendenza funzionale, non
essendo destinato a contenere impianti e
presentando dimensioni incompatibili con
l’affermata natura di volume tecnico (TAR Campania-Napoli, Sez. IV,
sentenza 14.05.2012 n. 2251 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: La
natura di locale tecnico presuppone in
materia edilizia un’oggettiva relazione di
funzionalità tra il locale e l'edificio,
desumibile dalla dislocazione in esso
d’impianti di servizio.
Quanto al secondo e più delicato aspetto in
cui si afferma che il locale tecnico ove
sono collocate le pompe sarebbe stato
realizzato attraverso un movimento di terra
e la costruzione di un locale interrato in
violazione degli artt. 7 e 13 delle NdA del
PRG del monte di Portofino, va anzitutto
evidenziato che in assenza di costituzione
dell’amministrazione intimata, la
documentazione depositata propone una
ricostruzione dei fatti differenti.
Il locale pompe risulta infatti dal progetto
oltre che totalmente interrato, realizzato
all’interno di un muro di contenimento di
una piccola terrazza esistente.
Pertanto nessuna costruzione né movimento di
terra appare posto in essere sulla base del
progetto presentato.
Inoltre la funzione e le dimensioni del
locale (m. 2,55 lunghezza per m. 1,35 largh.
Per m.1,20 di h.) ne testimoniano la natura
puramente tecnica, a servizio della piscina.
La giurisprudenza recente di questa sezione
ha in proposito avuto modo di affermare che
“la natura di locale tecnico presuppone in
materia edilizia un’oggettiva relazione di
funzionalità tra il locale e l'edificio,
desumibile dalla dislocazione in esso
d’impianti di servizio" (TAR Liguria
Genova, sez. I, 18.11.2010, n.
10389).
Ciò premesso va ricordato che l’art. 64, del
codice del processo amministrativo
(D.lgs. 02.07.2010 n. 104) dopo aver affermato
che spetta alle parti l’onere di fornire gli
elementi di prova che sono nella loro
disponibilità, impone al giudice di porre a
fondamento della lite, secondo il suo
prudente apprezzamento, le prove proposte
dalle parti, nonché desumere argomenti di
prova dal comportamento processuale tenuto
dalle parti nel corso del processo.
Nel caso di specie, a fronte del progetto
presentato dalla parte e dalla
documentazione versata in atti vi è
l’assenza di costituzione
dell’amministrazione che pure lamenta la
compromissione di un bene tutelato, ma che
in oltre dieci anni non si è costituita né
ha depositato documentazione integrativa a
sostegno del provvedimento impugnato
(TAR Liguria. Sez. I,
sentenza 27.04.2012 n. 582 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
Ai fini dell’individuazione della nozione di volume
tecnico, assumono valore tre ordini di parametri ovvero
il primo, positivo, di tipo funzionale, ossia che il
manufatto abbia un rapporto di strumentalità necessaria con
l'utilizzo della costruzione, il secondo ed il
terzo, negativi, ricollegati da un lato
all'impossibilità di soluzioni progettuali diverse, nel
senso che tali costruzioni non devono poter essere ubicate
all'interno della parte abitativa, e dall'altro ad un
rapporto di necessaria proporzionalità fra tali volumi e le
esigenze effettivamente presenti.
Tale nozione può essere applicata solo alle opere edilizie
completamente prive di una propria autonomia funzionale,
anche potenziale, in quanto destinate a contenere impianti
serventi di una costruzione principale, per esigenze
tecnico-funzionali della costruzione stessa.
-
Considerato, infatti, che secondo il costante orientamento
giurisprudenziale, ai fini dell’individuazione della nozione
di volume tecnico, assumono valore tre ordini di parametri
ovvero il primo, positivo, di tipo funzionale, ossia che il
manufatto abbia un rapporto di strumentalità necessaria con
l'utilizzo della costruzione, il secondo ed il terzo,
negativi, ricollegati da un lato all'impossibilità di
soluzioni progettuali diverse, nel senso che tali
costruzioni non devono poter essere ubicate all'interno
della parte abitativa, e dall'altro ad un rapporto di
necessaria proporzionalità fra tali volumi e le esigenze
effettivamente presenti;
-
Considerato, pertanto, che tale nozione può essere applicata
solo alle opere edilizie completamente prive di una propria
autonomia funzionale, anche potenziale, in quanto destinate
a contenere impianti serventi di una costruzione principale,
per esigenze tecnico-funzionali della costruzione stessa
(Cons. Stato sez. IV n. 2565/2010; TAR Campania–Napoli n.
4076/2011; TAR Puglia–Lecce n. 2170/2011);
-
Considerato che nella fattispecie non ricorrono i requisiti
per la qualificazione come volume tecnico delle opere
contestate in quanto non sono stati dimostrati il rapporto
di strumentalità necessaria delle stesse con l’utilizzo
della costruzione principale, l’impossibilità (in senso
assoluto) di soluzioni progettuali diverse (potendosi
ragionevolmente ipotizzare l’allocazione del volume
all’interno del manufatto principale o sottoterra) e la
necessaria proporzionalità tra volume ed esigenze tecniche
laddove le opere realizzate comportano un congruo aumento di
superficie e volumetria, come emerge anche dalla
documentazione fotografica prodotta dal Comune;
- Considerato che proprio il rilevante impatto edilizio ed
urbanistico desumibile dalle dimensioni e dalla natura delle
opere realizzate induce il Tribunale ad escludere che le
stesse siano qualificabili come mera pertinenza e, quindi,
siano sottratte al necessario assenso tramite permesso di
costruire (TAR Lazio-Roma, Sez. I-quater,
sentenza 20.04.2012 n. 3613 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
La Cassazione chiarisce i
significati di volume tecnico e pertinenza
urbanistica. Il titolo edilizio non può
essere eluso parcellizzando l’attività.
● Il regime dei titoli
abilitativi edilizi non può essere eluso
attraverso la suddivisione dell’attività
edificatoria finale nelle singole opere che
concorrono a realizzarla. L’opera deve
essere considerata unitariamente nel suo
complesso, senza che sia consentito scindere
e considerare separatamente i suoi singoli
componenti.
● Volumi tecnici sono
quelli non utilizzabili né adattabili a uso
abitativo strettamente necessari a
consentire l’eccesso di quelle parti degli
impianti tecnici che non possono, per
esigenze tecniche di funzionalità degli
stessi non altrimenti soddisfabili, trovare
allocazione all’interno della parte
abitativa dell’edificio realizzabile nei
limiti imposti dalle norme urbanistiche. I
volumi tecnici, dovendosi porre rispetto
alla costruzione come elementi tecnicamente
essenziali per l’utilizzazione della stessa,
non possono ricomprendere gli spazi
destinati ad assolvere a funzioni
complementari.
● La pertinenza
urbanistica ha peculiarità sue proprie che
la distinguono da quella civilistica:
trattasi di un’opera avente propria
individualità fisica e conformazione
strutturale, che non è parte integrante di
altro fabbricato e che è preordinata a
un’oggettiva esigenza dell’edificio
principale, funzionalmente e oggettivamente
inserita al servizio dello stesso allo scopo
di renderne più agevole e funzionale l’uso
(nesso di strumentalità funzionale), come
tale sfornita di un autonomo valore di
mercato e non valutabile in termini di
cubatura o comunque dotata di un volume
minimo, tale da non consentire una sua
destinazione autonoma e diversa da quella a
servizio dell’immobile cui accede.
---------------
Con la
sentenza 14.02.2012 n. 5618
la Corte di Cassazione, Sez. III penale, fa
nuovamente il punto su alcune importanti
questioni in materia di titoli abilitativi
edilizi e di inerenti fattispecie criminose,
con particolare riguardo a quelle realizzate
mediante pratiche elusive.
Le questioni rilevanti.
Vengono in rilevo, segnatamente, le seguenti
questioni:
- l’individuazione dell’ambito di
riferimento del permesso di costruire, se
come intervento complessivo ovvero come
singole opere in cui esso si estrinseca, con
quanto ne consegue in ordine al fenomeno
della parcellizzazione dell’attività
edificatoria;
- la nozione di “volume tecnico” e la
sua riferibilità o meno alle parti di
edificio destinate all’assolvimento di
funzioni complementari;
- la puntualizzazione del concetto di “pertinenza
urbanistica”, con particolare
riferimento ai profili della strumentalità
funzionale e della individualità strutturale
rispetto all’edificio principale.
Le soluzioni.
La pronuncia in commento riafferma,
ponendosi in linea di continuità con una
consolidata giurisprudenza sia di
legittimità che amministrativa, la rilevanza
penale degli interventi edilizi che non
trovino abilitazione in un corrispondente
permesso di costruire, nonché l’approccio
sostanziale che deve guidare tali riscontri.
La suddivisione
dell’attività edificatoria.
Viene ribadito, segnatamente, che la realizzazione di opere riguardanti un
preesistente fabbricato necessita sempre di
un permesso di costruire, la cui valenza
abilitativa va riferita all’intervento
complessivo, al fine di evitare che i
vincoli urbanistici possano essere aggirati
per il tramite di pratiche elusive
consistenti nella artificiosa
parcellizzazione dell’attività edificatoria.
Invero, il regime dei titoli abilitativi
edilizi non può essere eluso attraverso la
suddivisione dell’attività edificatoria
finale nelle singole opere che concorrono a
realizzarla, facendo leva sul fatto che le
stesse sono astrattamente suscettibili di
forme di controllo preventivo più limitate,
in ragione della loro più modesta incisività
sull’assetto territoriale. Per contro,
l’opera deve essere sempre “considerata
unitariamente nel suo complesso, senza che
sia consentito scindere e considerare
separatamente i suoi singoli componenti”
(Cass., sez. III, sent. 29.01.2003; sent.
11.10.2005).
Al citato fine antielusivo, la Cassazione
puntualizza inoltre i contenuti di alcune
nozioni urbanistiche che sovente sono
invocate al fine, per l’appunto
stigmatizzato dal Giudice della legittimità,
di reperirvi una pretesa giustificazione in
ordine a interventi edilizi sostanzialmente
ampliativi dei fabbricati preesistenti.
Il volume tecnico.
Un primo concetto in tal senso esaminato è
quello di volume tecnico. La Cassazione ne
ribadisce una interpretazione restrittiva,
rigorosamente ancorata al dato funzionale e
perimetrata in termini di effettiva
indispensabilità tecnica. In questa
prospettiva, richiamandosi la risalente e
consolidata giurisprudenza del Consiglio di
Stato (sez. V, sent. n. 6038 del
16.09.2004), vengono individuati come tali
esclusivamente i volumi che siano “strettamente
necessari a consentire l’eccesso di quelle
parti degli impianti tecnici che non
possono, per esigenze tecniche di
funzionalità degli impianti stessi, trovare
allocazione all’interno della parte
abitativa dell’edificio realizzabile nei
limiti imposti dalle norme urbanistiche”.
Trattasi, in altri termini, di volumi “che,
per funzione e dimensione, si pongono
rispetto alla costruzione come elementi
tecnici essenziali per l’utilizzazione della
stessa” (Cons. Stato, sez. V, sent. n.
239/1982; sez. V, sent. n. 44/1991) e ai
quali, soltanto e nella misura delineata
dalla necessità tecnica ineludibile, è
consentito eccedere rispetto ai limiti
urbanistici posti alla parte abitativa, la
quale, diversamente, si vedrebbe
pregiudicata con riferimento a profili
funzionali essenziali.
Dalle esposte premesse discende una serie di
più articolate conseguenze. In primis,
quella per cui i volumi tecnici, quali “parti
di edificio destinate a comprendere gli
impianti tecnici che, per la loro
funzionalità, non possono essere contenuti
entro i limiti volumetrici previsti dalla
legge” (Cass., sez. III, sent.
28.10.1981), non possono mai fare
riferimento all’intero edificio,
legittimandone indifferenziati e
generalizzati aumenti di volume, bensì
soltanto a porzioni ben individuate
dell’edificio stesso, la cui eccedenza
rispetto ai limiti urbanistici non può che
essere commisurata e perimetrata in ragione
di quanto necessario e sufficiente ad
assicurare la funzionalità degli impianti.
Ne discende, ancora, che possono
qualificarsi come volumi tecnici soltanto
quelli destinati a ospitare “le parti
degli impianti tecnici che non possono, per
esigenze tecniche di funzionalità degli
impianti stessi, trovare allocazione
all’interno della parte abitativa
dell’edificio realizzabile nei limiti
imposti dalle norme urbanistiche”, con
esclusione dunque di ogni ampliamento
volumetrico che fosse invece finalizzato a
contenere parti di impianti
che ben potrebbero, senza alcun pregiudizio
funzionale, essere localizzate e contenute
all’interno della parte abitativa.
Ulteriore corollario attiene al fatto che i
volumi tecnici “non sono utilizzabili né
adattabili a uso abitativo” (Cons.
Stato, sez. V, sent. n. 638/2004, richiamata
da Cass., sez. III, sent. n. 5618/2012 in
commento), non potendosi, in buona sostanza,
approfittare della copertura offerta dal
regime abilitativo di favore consentito, in
via di stretta eccezione, per fronteggiare
le necessità tecniche essenziali ineludibili
degli impianti al fine distorto ed elusivo
dei vincoli urbanistici e, come tale,
illecito di espandere il volume della parte
abitativa oltre quanto obiettivamente
indispensabile in relazione alle necessità
tecniche suddette.
Un’altra importante conseguenza è quella per
cui i volumi tecnici “non ricomprendono
quelli suscettibili di assolvere a funzioni
complementari” (Cons. Stato, sez. V,
sent. n. 239 del 19.03.1982; sez. V, sent.
n. 44 del 14.01.1991). Ciò è connesso al
carattere di “funzionalità essenziale”
che il volume tecnico deve rivestire,
dovendo trattarsi, ai fini dell’esclusione
del calcolo della volumetria ammissibile, di
spazi destinati e “strettamente necessari
a contenere o a consentire l’accesso a
quelle parti degli impianti (es. idrico,
termico, elevatoio, televisivo, di
parafulmine, di ventilazione ecc.)” che
pur non potendo “per esigenze tecniche di
funzionalità degli impianti stessi, trovare
luogo entro il corpo dell’edificio
realizzabile nei limiti imposti dalle norme
urbanistiche” “si pongono rispetto
alla costruzione come elementi tecnici
essenziali per l’utilizzazione della stessa”,
il cui difetto ne pregiudicherebbe pertanto
l’obiettiva attitudine all’uso essenziale
(abitativo) cui essa è destinata (Cons.
Stato, sent. n. 6038/2004). Non può quindi
invocarsi il regime di favore in relazione
ad ampliamenti volumetrici connessi alla
realizzazione di finalità complementari,
stante la non essenzialità ad assicurare la
funzionalità del fabbricato, attenendo
piuttosto gli stessi a una maggiore
valorizzazione del costrutto che non trova
giustificazione in termini di ineludibile
necessità e che, come tale, è soggetta
all’ordinario regime abilitativo.
La suddetta caratteristica di strumentalità
necessaria è inoltre presidiata per il
tramite della remissione dell’individuazione
della tipologia e della volumetria delle
parti di impianti qualificabili come volumi
tecnici, cui consegue l’ammissione al regime
derogatorio di favore, alle specifiche
elencazioni e ai relativi indici come
definiti, per ciascuna zona, a opera dei
competenti strumenti urbanistici.
Elencazioni e prescrizioni alle quali la
giurisprudenza riconosce “natura
tassativa” (Cons. Stato, sent. n.
6038/2004), con conseguente esclusione della
invocabilità del favorevole regime
derogatorio di non computo del volume
tecnico con riferimento sia a tipologie di
impianti che esulino da quelle
tassativamente elencate e sia a volumi
eccedenti rispetto agli indici altrettanto
tassativamente prescritti.
In tale prospettiva, è stato escluso dalla
sentenza penale in commento che
l’insediamento di tipologia di impianto
esulante dalla tassativa elencazione
contenuta nello strumento urbanistico
potesse giustificare la maggiore altezza di
tutto l’edificio in termini di destinazione
al volume tecnico, ritenendosi piuttosto che
si trattasse di una vera e propria
sopraelevazione, assolvente a funzioni
complementari all’abitazione e non invece “alla
necessaria funzionalità degli impianti del
fabbricato preesistente”.
A tale ultimo riguardo va sottolineata
l’importanza del riferimento della
funzionalità necessaria al fabbricato
preesistente, che sottende l’esclusione del
beneficio della scomputabilità del volume
tecnico con riferimento alla sopraelevazione
o ultraedificazione a beneficio di parte del
fabbricato che non sia sorretta da un
corrispondente titolo abilitante. In altri
termini, il volume tecnico può riferirsi
soltanto agli spazi eccedentari che sono
necessari ad assicurare la funzionalità
degli impianti a servizio essenziale del
preesistente fabbricato, sul presupposto e
nella misura in cui lo stesso sia conforme
alle abilitazioni edilizie, dovendo invece
escludersi che lo scomputo volumetrico possa
invocarsi anche con riferimento agli spazi
destinati a servire la sopraelevazione o
ultraedificazione illegittima.
Ciò in quanto l’illiceità della stessa,
conseguente al difetto ab origine di
un idoneo titolo abilitante, si estende
automaticamente e conseguenzialmente anche a
ogni opera che sia servente rispetto a
quella abusiva. In tal senso la
giurisprudenza ha precisato che “Il
regime delle pertinenze urbanistiche … non è
applicabile allorché l’accessorio acceda a
un manufatto principale abusivo non sanato
ex art. 13 della legge n. 47/1985 e non
condonato. […] Infatti: il regime
pertinenziale è un regime eccezionale di
favore che non può essere esteso a
situazioni non corrispondenti alla sua ratio;
l’accessorio è intimamente connesso al
principale, per cui se quest’ultimo è
abusivo non vi è alcuna ragione per
agevolare la costruzione di altra opera
destinata a produrre una compromissione del
territorio ulteriore rispetto a quella
causata dal manufatto principale; la non
conformità, o comunque la mancata verifica
di conformità allo strumento urbanistico
dell’opera principale, realizzata in assenza
di concessione edilizia, priva il comune del
parametro di legalità in relazione al quale
può essere esercitato il potere di
autorizzare opere pertinenziali che
costituiscono completamento di quanto
conserva caratteristiche di contrarietà
all’assetto urbanistico del territorio”
(Cass. pen., sez. VI, sent. n. 4164 del
19.07.1995, richiamata da Cass. pen., sez.
III, sent. n. 4087 del 28.01.2008).
La pertinenza urbanistica.
L’ulteriore nozione disaminata dalla
sentenza penale in commento, con il fine di
puntualizzarne i contenuti in senso
antielusivo, è quella di pertinenza
urbanistica, anch’essa sovente invocata
nella prassi quale possibile escamotage, per
l’appunto stigmatizzato dal giudice della
legittimità, per la pretesa giustificazione
di abusi edilizi. Anche per le pertinenze
urbanistiche nonché per le costruzioni di
natura accessoria è previsto un regime di
favore, potendo le stesse essere sottratte
alle disposizioni degli strumenti
urbanistici relative ai fabbricati e alle
norme sulle distanze integrative del codice
civile sulla base e nei limiti delle
espresse previsioni derogatoria che siano in
tal senso eventualmente sancite dagli
strumenti urbanistici (Cass. civ., sez. II,
sent. n. 4208 del 06.05.1987).
La giurisprudenza ha meglio delineato i
tratti distintivi della pertinenza
urbanistica rispetto alla nozione
civilistica.
Quest’ultima è fornita dall’art. 817 c.c.,
che definisce tali “le cose destinate in
modo durevole a servizio od ornamento di
un’altra cosa”; il nesso funzionale
stabile che contrassegna ontologicamente il
rapporto pertinenziale si traduce nella
regola generale, salvo diversa disposizione
legislativa o contrattuale,
dell’assoggettamento della pertinenza al
medesimo regime e destino giuridico del bene
principale (artt. 818, 819 c.c.).
Più articolato è il concetto di pertinenza
urbanistica, che riflette “il
preminente rilievo che nel settore
urbanistico hanno le esigenze di tutela del
territorio”. In tale prospettiva, “mentre
nella pertinenza civilistica rilevano sia
l’elemento obiettivo che quello soggettivo,
nella pertinenza urbanistica acquista
rilevanza solo l’elemento oggettivo”.
Proprio con riferimento all’elemento
oggettivo il Legislatore, “con il Testo
unico dell’edilizia approvato con Dpr n.
380/2001, per superare le incertezze
derivanti dal criterio quantitativo indicato
dalla giurisprudenza per le pertinenze, ha
fissato due criteri per precisare quando
l’intervento perde le caratteristiche della
pertinenza per assumere i caratteri della
nuova costruzione: il primo rinvia alla
determinazione delle norme tecniche degli
strumenti urbanistici, che dovranno tenere
conto della zonizzazione e del pregio
ambientale e paesistico delle aree; il
secondo, alternativo al primo, qualifica
come nuova opera gli interventi che
comportino la realizzazione di un volume
superiore al 20% di quello dell’edificio
principale” (Cass. pen., sez. III, sent.
n. 28504 del 18.07.2007).
A ogni modo, va precisato che “una
trasformazione urbanistica e/o edilizia per
essere assoggettata all’intervento
autorizzatorio in senso ampio dell’autorità
amministrativa non deve essere ‘precaria’:
un’opera oggettivamente finalizzata a
soddisfare esigenze improvvise o transeunti
non è destinata a produrre, infatti, quegli
effetti sul territorio che la normativa
urbanistica è rivolta a regolare.
Restano esclusi, pertanto, dal regime del
permesso di costruire i manufatti di
assoluta ed evidente precarietà, destinati
cioè a soddisfare esigenze di carattere
contingente e a essere presto eliminati”
(Cass. pen., sez. III, sent. n. 24241 del
24.06.2010).
Anche con riferimento al profilo della
precarietà, l’approccio valutativo,
trattandosi di “tutela del territorio”,
deve essere sempre “oggettivo e non
soggettivo”. Segnatamente, detta
caratteristica “non può essere desunta
dalla temporaneità della destinazione
soggettivamente data all’opera dal
costruttore, ma deve ricollegarsi alla
intrinseca destinazione materiale dell’opera
a un uso realmente precario e temporaneo per
fini specifici, contingenti e limitati nel
tempo, con conseguente possibilità di
successiva e sollecita eliminazione”
(Cass., sez. III, sentenze n. 26573 del
26.06.2009; n. 25965 del 22.06.2009; n.
22054 del 25.02.2009; tutte richiamate da
sent. n. 24241 del 24.06.2010).
Inoltre “la natura precaria di una
costruzione non dipende dalla natura dei
materiali adottati e quindi dalla facilità
della rimozione, ma dalle esigenze che il
manufatto è destinato a soddisfare e cioè
dalla stabilità dell’insediamento indicativa
dell’impegno effettivo e durevole del
territorio”. La precarietà va esclusa
“quando trattasi di struttura destinata a
dare un’utilità prolungata nel tempo,
indipendentemente dalla facilità della sua
rimozione, a nulla rilevando la temporaneità
della destinazione data all’opera del
proprietario, in quanto occorre valutare la
stessa alla luce della sua obiettiva e
intrinseca destinazione naturale” (Cons.
Stato, sez. V, sent. n. 3321 del 15.06.2000;
sent. n. 97 del 23.01.1995).
Anche a tale fine, l’approccio valutativo
deve essere globale e non parcellizzato:
invero, “l’opera deve essere considerata
unitariamente e non nelle sue singole
componenti” (Cass., sez. III, sent. del
27.05.2004). “La stabilità non va confusa
con l’irremovibilità della struttura o con
la perpetuità della funzione a essa
assegnata, ma si estrinseca nell’oggettiva
destinazione dell’opera a soddisfare bisogni
non provvisori, ossia nell’attitudine a una
utilizzazione che non sia temporanea e
contingente” (Cass., sez. III, sent. del
07.06.2006).
È stato anche precisato che “la
precarietà non va confusa con la
stagionalità, vale a dire con l’utilizzo
annualmente ricorrente della struttura,
poiché un utilizzo siffatto non esclude la
destinazione del manufatto al
soddisfacimento di esigenze non eccezionali
e contingenti, ma permanenti nel tempo”
(Cass., sez. III, sent. n. 24241 del
24.06.2010).
Proseguendo nel solco tracciato dagli
esposti orientamenti giurisprudenziali, la
pronuncia n. 5618/2012 in commento,
individua la pertinenza urbanistica nella “opera
che abbia comunque una propria individualità
fisica e una propria conformazione
strutturale e non sia parte integrante o
costitutiva di altro fabbricato preordinata
a un’oggettiva esigenza dell’edificio
principale, funzionalmente e oggettivamente
inserita al servizio dello stesso, sfornita
di un autonomo valore di mercato, non
valutabile in termini di cubatura o comunque
dotata di un volume minimo tale da non
consentire, in relazione anche alle
caratteristiche dell’edificio principale,
una sua destinazione autonoma e diversa da
quella a servizio dell’immobile cui accede”
(artt. 22, 100 e 101 del Dpr n. 380/2001;
Cass. pen., sez. III, sent. n. 32939/2010,
sent. n. 4134/1998). Due, in sostanza, i
requisiti, uno di carattere strutturale e
l’altro di carattere funzionale.
Sotto il profilo strutturale, l’opera deve
essere dotata di una individualità sua
propria, che sia distinta, autonoma e
separata dall’edificio principale, così come
da ogni altro fabbricato; in relazione al
detto requisito strutturale, la pronuncia in
commento esclude la qualificabilità in
termini pertinenziali di ogni opera che sia
fisicamente parte integrante o costitutiva
di altro fabbricato nonché dell’“ampliamento
di un edificio che per la relazione di
connessione fisica costituisce parte di esso
quale elemento che attiene all’essenza
dell’immobile e lo completa affinché
soddisfi i bisogni cui è destinato” (in
tal senso anche Cass. pen., sez. III, sent.
n. 36941/2007, e 40843/2005 e Cass. pen.,
sez. III, n. 24241/2010, che ha escluso la
natura pertinenziale della edificazione di
una tettoia-portico, che, per la relazione
di connessione fisica con l’edificio, ne
costituisce parte integrante, attenendo
all’essenza dell’immobile e completandola
affinché lo stesso soddisfi i bisogni cui è
destinato, dovendo pertanto qualificarsi in
termini di ampliamento).
Invero, è incompatibile con la nozione di
pertinenza che la stessa possa essere parte
integrante della cosa principale ovvero
rappresentare un elemento indispensabile per
la sua esistenza. In tal senso, “L’elemento
distintivo tra la parte e la pertinenza non
consiste solo in una relazione di
congiunzione fisica, normalmente presente
nella prima e assente nella seconda, ma
anche e soprattutto in un diverso
atteggiamento del collegamento funzionale
della parte al tutto e della pertinenza alla
cosa principale: tale collegamento si
esprime per la parte come necessità di
questa per completare la cosa affinché essa
soddisfi ai bisogni cui è destinata: la
parte quindi è elemento della cosa. Nella
pertinenza, invece, il collegamento
funzionale consiste in un servizio od
ornamento che viene realizzato in una cosa
già completa e utile di per sé: la funzione
pertinenziale attiene non all’essenza della
cosa ma alla sua gestione economica e alla
sua forma estetica. Inoltre […] la
pertinenza si riferisce a un’opera autonoma
dotata di propria individualità mentre la
parte di un edificio è compresa nella
struttura di esso ed è quindi priva di
autonomia” (Cass. pen., sez. III, sent.
n. 28504/2007).
Per quanto concerne il profilo funzionale,
l’unità pertinenziale, strutturalmente
separata da quella principale, deve essere
caratterizzata da una destinazione servente
alle obiettive esigenze dell’edificio
principale, “allo scopo di renderne più
agevole e funzionale l’uso (carattere di
strumentalità funzionale)”. Tale
destinazione funzionale servente deve essere
ineludibile e trovare rispondenza, da un
lato, nella congruità della struttura della
pertinenza rispetto alle obiettive esigenze
della struttura principale e, dall’altro
lato, nella altrettanto oggettiva
impossibilità di destinare la pertinenza
stessa, proprio in relazione alla sua
conformazione strutturale inevitabilmente
servente, ad alcuna destinazione autonoma o
diversa da quella a servizio dell’immobile
cui accede.
L’esposta configurazione funzionale
ineludibilmente servente della pertinenza
urbanistica si riflette nella sua non
negoziabilità in via autonoma e nella
conseguente assenza di un autonomo valore di
mercato, che sola può giustificare,
unitamente alla modestia dimensionale del
volume rispetto all’edificio principale “in
modo da evitare il cosiddetto carico
urbanistico”, la non valutabilità della
stessa in termini di cubatura e la diversità
di regime abilitativo (Cons. Stato, sez. VI,
sent. n. 1174/2000; sez. V, sent. n.
2325/2001; sez. V, sent. n. 7822/2003). In
assenza invece degli esposti stringenti
requisiti strutturali e funzionali, la
nozione di pertinenza urbanistica, nonché il
corrispondente regime derogatorio di non
computo volumetrico, non sono invocabili e
torna quindi a riespandersi la regola
generale della necessità del permesso di
costruire.
Resta a ogni modo fermo che il regime
agevolato delle pertinenze non può mai
trovare applicazione in caso di contrasto
con gli strumenti urbanistici (Cass. pen.,
sez. III, sent. n. 32939/2010).
Una chiara concretizzazione dei principi
suesposti la si ha, ad esempio, in relazione
alla diversa disciplina che la
giurisprudenza ha individuato con
riferimento al muro di contenimento ovvero
al muro di cinta, che costituisce specifico
oggetto della pronuncia n. 5618/2012 in
commento.
In proposito, costituisce orientamento
consolidato che, “mentre il muro di cinta
può essere ricondotto alla categoria delle
pertinenze, non così il muro di contenimento
che viene assimilato alla categoria delle
costruzioni”.
Infatti “Nel caso in cui lo scopo della
realizzazione sia la delimitazione della
proprietà si ricade nell’ipotesi della
pertinenza, per cui non è necessario il
rilascio della concessione (Tar Emilia
Romagna, Parma, n. 106/2001; Tar Liguria,
sez. I, sent. n. 492/1996; Tar Liguria,
sent. n. 345/1994). Diversa è la situazione,
allorché il muro è destinato non solo a
recingere un fondo, ma contiene o sostiene
esso stesso dei volumi ulteriori (Tar Emilia
Romagna, Parma, sent. n. 246/2001; Tar
Lazio, sez. II, sent. n. 8923/2000); in tal
caso il manufatto ha una funzione autonoma,
dal punto di vista edilizio e da quello
economico” (Tar Piemonte, sent. n.
657/2003)”, “si eleva al di sopra del suolo
ed è destinato a trasformare durevolmente
l’area impegnata, come tale qualificabile
intervento di nuova costruzione”, con
conseguente necessità del permesso di
costruire (Tar Liguria, sez. I, sent. n.
4131/2009; Cass., sez. III, sent. n.
35898/2008) (commento tratto da Diritto e
Pratica Amministrativa n. 4/2012 -
Corte di Cassazione, Sez. III
penale,
sentenza 14.02.2012 n. 5618 -
tratto da www.lexambiente.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Vanno
considerati come volumi tecnici (come tali
non rilevanti ai fini della volumetria di un
immobile) quei volumi destinati
esclusivamente agli impianti necessari per
l'utilizzo dell'abitazione e che non possono
essere ubicati al suo interno, mentre non
sono tali -e sono quindi computabili ai fini
della volumetria consentita- le soffitte,
gli stenditori chiusi e quelli «di
sgombero», nonché il piano di copertura,
impropriamente definito sottotetto, ma
costituente in realtà una mansarda, in
quanto dotato di rilevante altezza media
rispetto al piano di gronda.
Rispetto al sottotetto e al problema del
computo del volume, si richiama
l’orientamento del Consiglio di Stato (sez.
IV n. 812 del 07.02.2011, seguito da questa
Sezione, nella sentenza n. 1105/2011),
secondo cui “vanno considerati come
volumi tecnici (come tali non rilevanti ai
fini della volumetria di un immobile) quei
volumi destinati esclusivamente agli
impianti necessari per l'utilizzo
dell'abitazione e che non possono essere
ubicati al suo interno, mentre non sono tali
-e sono quindi computabili ai fini della
volumetria consentita- le soffitte, gli
stenditori chiusi e quelli «di sgombero»,
nonché il piano di copertura, impropriamente
definito sottotetto, ma costituente in
realtà una mansarda, in quanto dotato di
rilevante altezza media rispetto al piano di
gronda”
(TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 05.01.2012 n. 38 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
anno 2011 |
|
EDILIZIA PRIVATA: Serre
bioclimatiche - L.R. n. 39/2004 - Non
computabilità ai fini volumetrici in quanto
volumi tecnici - Possibilità di ulteriori
deroghe rispetto allo strumento urbanistico
per aspetti differenti da quello volumetrico
- Non sussiste.
La L.R. n. 39/2004 -le cui disposizioni
prevalgono sui regolamenti e sulle altre
norme comunali- dispone che le serre
bioclimatiche, laddove abbiano determinati
requisiti, sono considerate volumi tecnici e
non sono, quindi, computabili ai fini
volumetrici: la legge consente perciò una
deroga alla normativa urbanistica comunale
solamente per quanto riguarda la
qualificazione quale volume tecnico delle
serre, ma non una deroga generalizzata alle
previsioni dettate dallo strumento
urbanistico per regolare aspetti differenti
da quello volumetrico
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 08.09.2011 n.
2192 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Diniego di
permesso di costruire - Volume tecnico -
Rilevanza ai fini dell'altezza e della s.l.p. - Superamento indici edilizi -
Legittimità.
Per evitare facili elusioni agli obblighi in
materia di titoli edilizi la nozione di
volume tecnico deve intendersi in senso
restrittivo e nella stessa non può
comprendersi un'imponente struttura esterna
all'immobile (segnatamente un vano scala)
che, conseguentemente, rileva ai fini
dell'altezza dell'edificio ed ai fini della
s.l.p. realizzata, comportando un
superamento degli indici edilizi previsti in
zona che rende legittimo il diniego di
permesso di costruire impugnato
(tratto da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 07.07.2011 n.
1842 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
1. Volumi tecnici
- Definizione.
2. Volumi tecnici
- Individuazione - Criteri - Fattispecie.
1. Vanno considerati come volumi tecnici -e
come tali non rilevanti ai fini della
volumetria di un immobile- quei volumi
destinati esclusivamente agli impianti
necessari per l'utilizzo dell'abitazione e
che non possono essere ubicati al suo
interno, mentre non sono tali -e sono
quindi computabili ai fini della volumetria
consentita- le soffitte, gli stenditori
chiusi e quelli «di sgombero», nonché il
piano di copertura, impropriamente definito
sottotetto, ma costituente in realtà una
mansarda, in quanto dotato di rilevante
altezza media rispetto al piano di gronda
(cfr. Cons. di Stato, sent. 812/2011).
2. Ai fini dell'individuazione della natura
di locale tecnico di un vano occorre avere
riguardo agli indici rivelatori non solo
della futura destinazione dell'opera, bensì
anche della sua intrinseca natura di locale
con destinazione residenziale e non locale
tecnico (nel caso di specie, in cui si è
creato un locale con requisiti di
abitabilità, la semplice tamponatura delle
finestre risulta essere una operazione
talmente semplice che, seppure
apparentemente e temporaneamente idonea a
privare i locali del requisito della
abitabilità, tuttavia non può portare a
considerare l'intervento irrilevante dal
punto di vista dei parametri edilizi, quali
l'altezza) (massima tratta da
www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 29.04.2011 n.
1105 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Vanno
considerati come dei volumi tecnici (come
tali non rilevanti ai fini della volumetria
di un immobile) quei volumi destinati
esclusivamente agli impianti necessari per
l'utilizzo dell'abitazione e che non possono
essere ubicati al suo interno, mentre non
sono tali -e sono quindi computabili ai fini
della volumetria consentita- le soffitte,
gli stenditori chiusi e quelli «di
sgombero», nonché il piano di copertura,
impropriamente definito sottotetto, ma
costituente in realtà una mansarda, in
quanto dotato di rilevante altezza media
rispetto al piano di gronda.
La realizzazione di un locale sottotetto con
vani distinti e comunicanti con il piano
sottostante mediante una scala interna è
indice rivelatore dell'intento di rendere
abitabile detto locale, non potendosi
considerare volumi tecnici i vani in esso
ricavati.
Per quanto
attiene la possibilità di non considerare,
ai fini dei parametri edilizi, un vano privo
dei requisiti della abitabilità, si ritiene
di poter fare applicazione della recente
decisione del Consiglio di Stato sez. IV n.
812 del 07.02.2011, in cui sono stati
affermati due principi particolarmente
rilevanti anche per il caso de quo: “Vanno
considerati come dei volumi tecnici (come
tali non rilevanti ai fini della volumetria
di un immobile) quei volumi destinati
esclusivamente agli impianti necessari per
l'utilizzo dell'abitazione e che non possono
essere ubicati al suo interno, mentre non
sono tali -e sono quindi computabili ai fini
della volumetria consentita- le soffitte,
gli stenditori chiusi e quelli «di
sgombero», nonché il piano di copertura,
impropriamente definito sottotetto, ma
costituente in realtà una mansarda, in
quanto dotato di rilevante altezza media
rispetto al piano di gronda.
La realizzazione di un locale sottotetto con
vani distinti e comunicanti con il piano
sottostante mediante una scala interna è
indice rivelatore dell'intento di rendere
abitabile detto locale, non potendosi
considerare volumi tecnici i vani in esso
ricavati”.
Pertanto nel caso di specie è innegabile che
si sia voluto creare un locale con requisiti
di abitabilità, rendendolo non abitabile con
una semplice operazione di tamponamento
delle finestre.
Ciò non può portare, ad avviso del Collegio,
a considerare l’opera realizzata come locale
accessorio non abitabile ai sensi dell’art.
31 del Regolamento Edilizio, e in quanto
tale da non considerare ai fini
dell’altezza, escludendo in tal modo che si
tratti di un recupero del sottotetto.
L’opera presenta infatti i caratteri di un
sottotetto abitabile e l’idoneità ad essere
utilizzato a scopi residenziali
(TAR Lombardia-Milano, Sez. I,
sentenza 29.04.2011 n. 1105 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Il
vano scala non può essere considerato volume
tecnico, ai fini della non computabilità nel
calcolo della volumetria massima consentita.
Non costituisce volume tecnico (come tale
non computabile nella volumetria
dell'edificio) un vano scala finalizzato non
all'installazione ed all'accesso a impianti
tecnologici necessari alle esigenze
abitative, ma a consentire l'accesso da un
appartamento ad una terrazza praticabile.
Osserva il
Collegio che l’intervento, per la parte
riguardante il manufatto afferente al vano
scala, non poteva che essere considerato
come unitario, in quanto comportante una
modifica complessiva dell’assetto di quella
porzione di edificio, senza che si potesse
in sede di pronuncia sull’accertamento di
conformità identificare delle opere del
tutto autonome e distinte, al fine di
trattarle in modo separato ai fini
dell’esito finale dell’istanza di sanatoria.
L’intervento in questione ha comportato un
aumento di volumetria non consentito dalla
Variante di PRG, né quanto realizzato può
definirsi come volume tecnico, in quanto, da
un lato, parte ricorrente non ha dimostrato
che il manufatto si limitasse allo stretto
necessario ai fini del contenimento del vano
scala ed, in ogni caso, come affermato dalla
giurisprudenza amministrativa, il vano scala
non può essere considerato volume tecnico,
ai fini della non computabilità nel calcolo
della volumetria massima consentita
(Consiglio Stato, sez. IV, 04.05.2010, n.
2565).
In particolare, sul punto si è pronunciato
questo stesso TAR osservando che non
costituisce volume tecnico (come tale non
computabile nella volumetria dell'edificio)
un vano scala finalizzato non
all'installazione ed all'accesso a impianti
tecnologici necessari alle esigenze
abitative, ma a consentire l'accesso da un
appartamento ad una terrazza praticabile
(TAR Campania Napoli Sez. III, 25/05/2010,
n. 8748; vedi anche Cons. Stato Sez. V,
26/07/1984, n. 578)
(TAR Camania-Napoli, Sez. IV,
sentenza 25.03.2011 n. 1746 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Nel
concetto di volume tecnico devono
comprendersi esclusivamente le porzioni di
fabbricato destinate ad ospitare impianti,
legati da un rapporto di strumentalità
necessaria con l’utilizzazione dello stesso.
I sottotetti quando sono di altezza tale da
poter essere suscettibili d'abitazione o di
assolvere a funzioni complementari, quale
quella ad esempio di deposito di materiali,
devono essere computati ad ogni effetto sia
ai fini della cubatura autorizzabile sia ai
fini del calcolo dell'altezza e delle
distanze ragguagliate all'altezza, non
potendo essere annoverati tra i volumi
tecnici.
Ritiene il
Collegio che le opere realizzate non possono
rientrare nel concetto di volume tecnico,
che comprende esclusivamente le porzioni di
fabbricato destinate ad ospitare impianti,
legati da un rapporto di strumentalità
necessaria con l’utilizzazione dello stesso.
L’intervento edilizio, impropriamente
definito tetto termico, si sostanzia in
effetti in un piano di copertura reso
suscettibile di uso abitativo, tenuto conto
della rilevante superficie ed altezza media
nonché dell’apertura di balconi (cfr.
Consiglio di Stato, V Sezione, 21.10.1992 n.
1025 e 13.05.1997 n. 483; TAR Campania, II
Sezione, 03.02.2006 n. 1506 e 29.06.2007 n.
6382; IV Sezione, 20.06.2002, n. 3632).
Invero, ai fini della qualificazione di una
costruzione rilevano le caratteristiche
obiettive della stessa, prescindendosi
dall’intento dichiarato dal privato di voler
destinare l’opera ad utilizzazioni più
ristrette di quelle alle quali il manufatto
potenzialmente si presta (cfr. Consiglio di
Stato, V Sezione, 23.11.1996 n.1406).
In definitiva, contrariamente a quanto
sostenuto dal ricorrente, l’illegittimità
del permesso di costruire risulta confermata
anche alla stregua delle disposizioni del
Regolamento edilizio vigente nel Comune, che
esclude dal calcolo del volume solo i “sottotetti
non praticabili e non abitabili”, atteso
che nel caso di specie la costruzione è
obiettivamente suscettibile di uso abitativo
(cfr., in termini, per analoghe fattispecie
concernenti il medesimo Comune, TAR
Campania, II Sezione, 29.04.2005 n. 5262 e
18.05.2007 n. 5394).
In materia, si è evidenziato (per tutte: TAR
Campania Napoli, sez. IV, 17.06.2002, n.
3597; TAR Puglia Lecce, sez. III,
15.01.2005, n. 143 Tar Puglia-Bari sent.
2843/2004), con un orientamento del tutto
condivisibile, che i sottotetti quando sono
di altezza tale da poter essere suscettibili
d'abitazione o di assolvere a funzioni
complementari, quale quella ad esempio di
deposito di materiali, devono essere
computati ad ogni effetto sia ai fini della
cubatura autorizzabile sia ai fini del
calcolo dell'altezza e delle distanze
ragguagliate all'altezza, non potendo essere
annoverati tra i volumi tecnici
(TAR
Campania-Napoli, Sez. II,
sentenza 21.03.2011 n. 1582 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Nozione di volume tecnico.
Per l’identificazione della nozione di “volume
tecnico”, assumono valore tre ordini di
parametri: il primo, positivo, di tipo
funzionale, relativo al rapporto di
strumentalità necessaria del manufatto con
l’utilizzo della costruzione alla quale si
connette; il secondo ed il terzo, negativi,
ricollegati da un lato all’impossibilità di
soluzioni progettuali diverse (nel senso che
tali costruzioni non devono potere essere
ubicate all’interno della parte abitativa) e
dall’altro lato ad un rapporto di necessaria
proporzionalità tra tali volumi e le
esigenze effettivamente presenti.
Ne deriva che la nozione in esame può essere
applicata solo alle opere edilizie
completamente prive di una propria autonomia
funzionale, anche potenziale, ed invece
esclusa rispetto a locali, in specie laddove
di ingombro rilevante, oggettivamente
incidenti in modo significativo sui luoghi
esterni (Corte di Cassazione, Sez. III
penale,
sentenza 25.02.2011 n. 7217 -
link a www.lexambiente.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Volumi non rilevanti ai fini
della volumetria di un immobile. Nozione di
sottotetto.
Vanno considerati come dei volumi tecnici
(come tali non rilevanti ai fini della
volumetria di un immobile) quei volumi
destinati esclusivamente agli impianti
necessari per l'utilizzo dell'abitazione e
che non possono essere ubicati al suo
interno, mentre non sono tali -e sono quindi
computabili ai fini della volumetria
consentita- le soffitte, gli stenditori
chiusi e quelli «di sgombero», nonché
il piano di copertura, impropriamente
definito sottotetto, ma costituente in
realtà una mansarda, in quanto dotato di
rilevante altezza media rispetto al piano di
gronda (Cfr. Cons. Stato, Sez. V,
04.03.2008, n. 918).
In materia di sottotetti, deve ritenersi che
la parte di edificio immediatamente
inferiore al tetto, a seconda dell'altezza,
della praticabilità del solaio, delle
modalità di accesso e dell'esistenza o meno
di finestre, si distingue in mansarda o
camera a tetto (che costituisce locale
abitabile), in soffitta (vano inabitabile,
ma utilizzabile soltanto come deposito,
stenditoio o altro), oppure in camera d'aria
sprovvista di solaio idoneo a sopportare il
peso di persone o cose e destinato
essenzialmente a preservare l'ultimo piano
dell'edificio dal caldo, dal freddo e
dall'umidità (Cfr. Cons. Stato, Sez. IV,
30.05.2005, n. 2767).
La realizzazione di un locale sottotetto con
vani distinti e comunicanti con il piano
sottostante mediante una scala interna è
indice rivelatore dell'intento di rendere
abitabile detto locale, non potendosi
considerare volumi tecnici i vani in esso
ricavati (Cfr. Cons. Stato, Sez. V,
31.01.2006, n. 354.
In applicazione di tale
principio nella specie è stato ritenuto che
determinava la realizzazione di nuovi
ulteriori volumi che non possono
qualificarsi tecnici e che sono
evidentemente -per la tipologia delle opere-
destinati a fini abitativi, la copertura di
un terrazzo, a nulla rilevando che erano
preesistenti delle mura perimetrali
sovrastanti il terrazzo stesso (massima
tratta da www.regione.piemonte.it -
Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 07.02.2011 n.
812 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Nuove interpretazioni in materia
di volume tecnico.
Il Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 28.01.2011 n. 678,
ha stabilito che sono
volumi tecnici soltanto quelli la cui
funzione sia necessaria e strumentale per
l’utilizzazione dell’immobile.
Nel caso di specie, relativo
all’impugnazione di un permesso di costruire
rilasciato per la costruzione di un
sottotetto a copertura di un fabbricato, il
giudice di prime cure procedeva
all’annullamento del titolo abilitativo
rilasciato da un’amministrazione comunale
campana, per l’asserita violazione della
normativa in materia di distanze.
Il Tar, infatti, sosteneva che la
realizzazione di quei lavori avrebbe
determinato la creazione di un nuovo volume
utile per il proprietario, andando quindi
oltre la nozione di volume tecnico.
I giudici di Palazzo Spada, investiti della
questione, confermano le decisioni assunte
in primo grado, affermando che: “sono
volumi tecnici soltanto quelli la cui
funzione è necessaria e strumentale per la
utilizzazione dell’immobile, mentre devono
necessariamente essere computati i volumi
utilizzabili o adattabili ad uso abitativo
(in tal senso, per esempio, Consiglio di
Stato, V, 19.01.2009, n. 236).
Se pertanto la struttura costituente la
copertura di un edificio già esistente non
può ex se costituire una sopraelevazione,
poiché in tale caso l’attività edilizia
viene ad essere volta solo ad assicurare il
permanere di un accessorio indispensabile
per l’immobile, tuttavia quando l’esecuzione
dei lavori comporti innovazioni tali da
determinare la creazione di un nuovo volume
utile per il proprietario, è evidente che
l’opera non può non qualificarsi come
sopraelevazione, trattandosi, nella specie,
di nuova fabbrica dotata di autonomia e
determinante l’innalzamento della originaria
altezza dell’edificio.
I volumi tecnici sono quindi solo quelli
destinati esclusivamente agli impianti
necessari per l’utilizzo della abitazione e
che non possono essere ubicati al suo
interno; pertanto non sono tali –e sono
computabili quindi ai fini della volumetria
consentita– le soffitte, gli stenditoi
chiusi e quelli di sgombero; e non è volume
tecnico un piano di copertura, definito
impropriamente sottotetto, se costituente in
realtà una mansarda, come nel caso di
specie, in quanto dotato di rilevante
altezza media rispetto al piano di gronda
(in tal senso, Consiglio di Stato, V,
13.05.1997, n. 483).”
A latere della sentenza viene ribadito un
principio importante in tema di tutela del
cittadino.
Il Consiglio di Stato stabilisce infatti che
in tema di distanze fra costruzioni o di
rispetto dei confini vige il regime della “doppia
tutela”, che permette al soggetto
potenzialmente danneggiato di adire da un
lato il giudice amministrativo per la
rimozione del provvedimento
dell’amministrazione invalido e dall’altro
lato di provvedere dinanzi al giudice
ordinario per il risarcimento del danno o
per la rimozione dell’opera (commento tratto
da www.professioni-imprese24.ilsole24ore.com
- link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Volumi tecnici - Nozione.
I volumi tecnici sono solo quelli destinati
esclusivamente agli impianti necessari per
l’utilizzo della abitazione e che non
possono essere ubicati al suo interno;
pertanto non sono tali -e sono computabili
quindi ai fini della volumetria consentita-
le soffitte, gli stenditoi chiusi e quelli
di sgombero; e non è volume tecnico un piano
di copertura, definito impropriamente
sottotetto, se costituente in realtà una
mansarda, come nel caso di specie, in quanto
dotato di rilevante altezza media rispetto
al piano di gronda (in tal senso, Consiglio
di Stato, V, 13.05.1997, n. 483) (Consiglio
di Stato, Sez. IV,
sentenza 28.01.2011 n. 678 - link
a www.ambientediritto.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Sono
volumi tecnici soltanto quelli la cui
funzione è necessaria e strumentale per la
utilizzazione dell’immobile, mentre devono
necessariamente essere computati i volumi
utilizzabili o adattabili ad uso abitativo.
I volumi tecnici sono solo quelli destinati
esclusivamente agli impianti necessari per
l’utilizzo della abitazione e che non
possono essere ubicati al suo interno;
pertanto non sono tali –e sono computabili
quindi ai fini della volumetria consentita–
le soffitte, gli stenditoi chiusi e quelli
di sgombero; e non è volume tecnico un piano
di copertura, definito impropriamente
sottotetto, se costituente in realtà una
mansarda, come nel caso di specie, in quanto
dotato di rilevante altezza media rispetto
al piano di gronda.
Sono volumi
tecnici soltanto quelli la cui funzione è
necessaria e strumentale per la
utilizzazione dell’immobile, mentre devono
necessariamente essere computati i volumi
utilizzabili o adattabili ad uso abitativo
(in tal senso, per esempio, Consiglio di
Stato, V, 19.01.2009, n. 236).
Se pertanto la struttura costituente la
copertura di un edificio già esistente non
può ex se costituire una
sopraelevazione, poiché in tale caso
l’attività edilizia viene ad essere volta
solo ad assicurare il permanere di un
accessorio indispensabile per l’immobile,
tuttavia quando l’esecuzione dei lavori
comporti innovazioni tali da determinare la
creazione di un nuovo volume utile per il
proprietario, è evidente che l’opera non può
non qualificarsi come sopraelevazione,
trattandosi, nella specie, di nuova fabbrica
dotata di autonomia e determinante
l’innalzamento della originaria altezza
dell’edificio.
I volumi tecnici sono quindi solo quelli
destinati esclusivamente agli impianti
necessari per l’utilizzo della abitazione e
che non possono essere ubicati al suo
interno; pertanto non sono tali –e sono
computabili quindi ai fini della volumetria
consentita– le soffitte, gli stenditoi
chiusi e quelli di sgombero; e non è volume
tecnico un piano di copertura, definito
impropriamente sottotetto, se costituente in
realtà una mansarda, come nel caso di
specie, in quanto dotato di rilevante
altezza media rispetto al piano di gronda
(in tal senso, Consiglio di Stato, V,
13.05.1997, n. 483)
(Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 28.01.2011 n. 678 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: La
realizzazione di un porticato chiuso
lateralmente su due lati va a costituire una
nuova superficie utile, essendo il porticato
destinato ad ospitare arredi fissi e,
quindi, a consentire di svolgervi varie
attività della vita quotidiana.
Il porticato, proprio in quanto comportante
la contestuale realizzazione di una nuova
superficie utile, non è qualificabile né
come un volume interrato, né come un volume
tecnico.
Secondo la
prevalente giurisprudenza (ex multis,
Cons. Stato, Sez. IV, 13.10.2010, n. 7481;
TAR Puglia Bari, Sez. III, 06.02.2009, n.
222; TAR Campania, Napoli, Sez. IV,
22.03.2007, n. 2725), anche la realizzazione
di un porticato chiuso lateralmente su due
lati va a costituire una nuova superficie
utile, essendo il porticato destinato ad
ospitare arredi fissi e, quindi, a
consentire di svolgervi varie attività della
vita quotidiana, potendosi finanche
ipotizzare un utilizzo invernale grazie alla
collocazione di barriere protettive mobili e
di moderni “lampioni” per
riscaldamento a gas.
Inoltre risulta evidente che il porticato,
proprio in quanto comportante la contestuale
realizzazione di una nuova superficie utile,
non è qualificabile né come un volume
interrato, né come un volume tecnico
(TAR Campania-Napoli, Sez. VII,
sentenza 14.01.2011 n. 176 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Il
concetto di volume tecnico comprende
esclusivamente le porzioni di fabbricato
destinate ad ospitare impianti, legati da un
rapporto di strumentalità necessaria con
l’utilizzazione dello stesso.
I sottotetti quando sono di altezza tale da
poter essere suscettibili d'abitazione o di
assolvere a funzioni complementari, quale
quella ad esempio di deposito di materiali,
devono essere computati ad ogni effetto sia
ai fini della cubatura autorizzabile sia ai
fini del calcolo dell'altezza e delle
distanze ragguagliate all'altezza, non
potendo essere annoverati tra i volumi
tecnici.
Il concetto di volume tecnico comprende
esclusivamente le porzioni di fabbricato
destinate ad ospitare impianti, legati da un
rapporto di strumentalità necessaria con
l’utilizzazione dello stesso.
L’intervento edilizio, impropriamente
definito tetto termico, ad uso deposito, si
sostanzia in effetti in un piano di
copertura reso suscettibile di uso
abitativo, tenuto conto della rilevante
superficie ed altezza media nonché
dell’apertura di balconi e di finestre (cfr.
Consiglio di Stato, V Sezione, 14.01.1991 n.
44, 21.10.1992 n. 1025 e 13.05.1997 n. 483;
TAR Campania, IV Sezione, 09.06.1998 n. 1777
e 12.01.2000 n. 30).
Invero, ai fini della qualificazione di una
costruzione rilevano le caratteristiche
obiettive della stessa, prescindendosi
dall’intento dichiarato dal privato di voler
destinare l’opera ad utilizzazioni più
ristrette di quelle alle quali il manufatto
potenzialmente si presta (cfr. Consiglio di
Stato, V Sezione, 23.11.1996 n. 1406, TAR
Campania, IV Sezione, 20.06.2002, n. 3632).
In materia, si è evidenziato (per tutte: TAR
Campania Napoli, sez. IV, 17.06.2002, n.
3597; TAR Puglia Lecce, sez. III,
15.01.2005, n. 143 Tar Puglia - Bari sent.
2843/2004), con un orientamento del tutto
condivisibile, che i sottotetti quando sono
di altezza tale da poter essere suscettibili
d'abitazione o di assolvere a funzioni
complementari, quale quella ad esempio di
deposito di materiali, devono essere
computati ad ogni effetto sia ai fini della
cubatura autorizzabile sia ai fini del
calcolo dell'altezza e delle distanze
ragguagliate all'altezza, non potendo essere
annoverati tra i volumi tecnici.
In definitiva, la tipologia costruttiva e le
dimensioni del manufatto realizzato in
difformità rispetto al precedente titolo
autorizzatorio, consistente
nell’innalzamento del tetto e nella
realizzazione di servizi riflette con
assoluta evidenza la sussistenza del
contestato abuso che, in ragione della
innegabile trasformazione edilizia ed
urbanistica del territorio che ad esso si
riconnette, imponeva il previo rilascio di
uno specifico permesso di costruire ad uso
abitativo, che valesse ad autorizzarne
l’esecuzione.
Peraltro, la stessa elencazione delle opere
abusive riflette, con immediatezza,
l’evidente attitudine di tali modifiche a
determinare, sul piano oggettivo, un
mutamento di categoria edilizia tra
l’intervento autorizzato (sottotetto non
abitabile) ed il manufatto realizzato, che
si presta, proprio in ragione delle
difformità in contestazione, ad essere
utilizzato come abitazione.
E, invero, le divisate innovazioni
costruttive e la potenziale autonomia
funzionale del “nuovo” manufatto
accreditano, senza ombra di dubbio, la
oggettiva abitabilità dei locali
(TAR Campania-Napoli, Sez. II,
sentenza 07.01.2011 n. 16 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
anno 2010 |
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EDILIZIA
PRIVATA:
Si tratta di una semplice
canna fumaria, opera priva di autonoma rilevanza
urbanistico-funzionale e che non risulta particolarmente
pregiudizievole per il territorio.
Inoltre, si tratta di volume tecnico, e secondo la
giurisprudenza di questa Sezione sarebbe possibile ottenere
l’autorizzazione paesaggistica in sanatoria ex art. 167
d.lgs. 42/2004: “l’interpretazione teleologica induce
inevitabilmente a ritenere che, nonostante l’utilizzo della
particella disgiuntiva “o” nella frase “che non abbiano
determinato creazione di superfici utili o volumi”, il
duplice riferimento alle nuove superfici utili e ai nuovi
volumi costituisca un’endiadi, ossia una modalità di
esprimere un concetto unitario con due termini coordinati.
In altri termini, la necessità di interpretare le eccezioni
al divieto di rilasciare l’autorizzazione paesistica in
sanatoria (previste dall’articolo 167, comma 4, del decreto
legislativo n. 42/2004) in coerenza con la ratio
dell’introduzione di tale divieto induce il Collegio a
ritenere che esulino dalla eccezione prevista dall’articolo
167, comma 4, lettera a), gli interventi che abbiano
contestualmente determinato la realizzazione di nuove
superfici utili e di nuovi volumi e che, di converso, siano
suscettibili di accertamento della compatibilità paesistica
anche i soppalchi, i volumi interrati ed i volumi tecnici”,
atteso che i volumi tecnici, proprio in ragione dei
caratteri che li contraddistinguono (già evidenziati in
precedenza), sono inidonei ad introdurre un impatto sul
territorio eccedente la costruzione principale.
La parte ricorrente impugnava i provvedimenti in epigrafe
per i seguenti motivi: 1) carenza di motivazione, atteso che
non vengono spiegate le ragioni di interesse pubblico a
sostegno della demolizione; la canna fumaria era stata
realizzata già nel 1973; 2) eccesso di potere per
contraddittorietà perché la stessa Amministrazione aveva
ingiunto alla ricorrente il controllo della canna fumaria;
3) eccesso di potere perché l’ordinanza persegue uno scopo
diverso dalla tutela del territorio, e cioè gli interessi
privati di altri condomini; 4) difetto di istruttoria.
Il ricorso è fondato e va accolto per i motivi di seguito
precisati.
Infatti, come già osservato in fase cautelare, si tratta di
una semplice canna fumaria, opera priva di autonoma
rilevanza urbanistico-funzionale e che non risulta
particolarmente pregiudizievole per il territorio. Inoltre,
si tratta di volume tecnico, e secondo la giurisprudenza di
questa Sezione sarebbe possibile ottenere l’autorizzazione
paesaggistica in sanatoria ex art. 167 d.lgs. 42/2004: “l’interpretazione
teleologica induce inevitabilmente a ritenere che,
nonostante l’utilizzo della particella disgiuntiva “o” nella
frase “che non abbiano determinato creazione di superfici
utili o volumi”, il duplice riferimento alle nuove superfici
utili e ai nuovi volumi costituisca un’endiadi, ossia una
modalità di esprimere un concetto unitario con due termini
coordinati. In altri termini, la necessità di interpretare
le eccezioni al divieto di rilasciare l’autorizzazione
paesistica in sanatoria (previste dall’articolo 167, comma
4, del decreto legislativo n. 42/2004) in coerenza con la
ratio dell’introduzione di tale divieto induce il Collegio a
ritenere che esulino dalla eccezione prevista dall’articolo
167, comma 4, lettera a), gli interventi che abbiano
contestualmente determinato la realizzazione di nuove
superfici utili e di nuovi volumi e che, di converso, siano
suscettibili di accertamento della compatibilità paesistica
anche i soppalchi, i volumi interrati ed i volumi tecnici”,
atteso che i volumi tecnici, proprio in ragione dei
caratteri che li contraddistinguono (già evidenziati in
precedenza), sono inidonei ad introdurre un impatto sul
territorio eccedente la costruzione principale (Tar
Campania, Napoli, VII, 1748/2009).
Per altro, la stessa Soprintendenza, in data 02.09.2010, con
parere n. 17796 prot., ha espresso parere di compatibilità
paesaggistica sulla canna fumaria, proprio ai sensi
dell’art. 167, co. 4, d.lgs. 42/2004, e lo stesso Comune,
con nota del 14.10.2010, ha preso atto di tale parere
invitando la ricorrente a presentare la perizia giurata al
fine di determinare la sanzione di cui all’art. 167, co. 5;
tali sviluppi amministrativi confermano la riconducibilità
dell’opera tra quelle per la realizzazione delle quali non è
necessario il permesso di costruire e, in quanto tali, non
soggette alla sanzione della demolizione
(TAR Campania-Napoli, Sez. VII,
sentenza 15.12.2010 n. 27380 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: I
volumi tecnici non possono essere ubicati
all’interno della parte abitativa, sicché
non sono tali i locali complementari
all’abitazione come i bagni, destinati a
formare un’unica unità abitativa e privi di
una effettiva destinazione ad impianti
tecnologici.
L’intervento autorizzato in favore del
controinteresato determina un sensibile
aumento di volumetria non riconducibile al
concetto di volume tecnico, trattandosi di
vano adibito, non già alla allocazione di
impianti strumentali alla costruzione
(impianti idrici, termici ecc.), bensì a
cucina.
Inoltre, da parte della giurisprudenza è
stato sottolineato che i volumi tecnici non
possono essere ubicati all’interno della
parte abitativa, sicché non sono tali i
locali complementari all’abitazione (cfr.
Cons. St. Sez. V 13.05.1997, n. 483), come i
bagni, destinati a formare un’unica unità
abitativa e privi di una effettiva
destinazione ad impianti tecnologici (TAR
Puglia-Bari, Sez. II,
sentenza 30.11.2010 n. 3997 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
I volumi tecnici sono solo quelli
destinati esclusivamente agli impianti
necessari per l’utilizzo dell’abitazione e
che non possono essere ubicati al suo
interno mentre la realizzazione di un locale
sottotetto mediante vani distinti e
comunicanti con il piano sottostante
mediante una scala interna è indice
rivelatore dell'intento di rendere abitabile
detto locale, non potendosi considerare
volumi tecnici i vani in esso ricavati.
Per costante giurisprudenza, i volumi
tecnici sono solo quelli destinati
esclusivamente agli impianti necessari per
l’utilizzo dell’abitazione e che non possono
essere ubicati al suo interno (Cons. di St.,
V, 02.11.2010, n. 7731), mentre la
realizzazione di un locale sottotetto
mediante vani distinti e comunicanti con il
piano sottostante mediante una scala interna
è indice rivelatore dell'intento di rendere
abitabile detto locale, non potendosi
considerare volumi tecnici i vani in esso
ricavati (Cons. di St., V, 31.01.2006, n.
354 e TAR Calabria, II, 07.02.2006, n. 125).
Nel caso di specie, la qualificazione come
volume tecnico è affidata non già alle
caratteristiche edilizie del fabbricato,
bensì –inammissibilmente– alla buona fede
del richiedente, che si è impegnato a non
destinarlo ad abitazione (TAR Liguria, Sez.
I,
sentenza 18.11.2010 n. 10389 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: I
volumi tecnici sono solo quelli destinati
esclusivamente agli impianti necessari per
l'utilizzo dell'abitazione e che non possono
essere ubicati al suo interno.
Pertanto non sono tali -e quindi sono
computabili ai fini della volumetria
consentita- le soffitte, gli stenditoi
chiusi e quelli "di sgombero"; e non è
volume tecnico il piano di copertura,
impropriamente definito sottotetto, ma
costituente, in realtà, una mansarda in
quanto dotato di rilevante altezza media
rispetto al piano di gronda.
I volumi
tecnici sono solo quelli destinati
esclusivamente agli impianti necessari per
l'utilizzo dell'abitazione e che non possono
essere ubicati al suo interno.
Pertanto non sono tali -e quindi sono
computabili ai fini della volumetria
consentita- le soffitte, gli stenditoi
chiusi e quelli "di sgombero"; e non
è volume tecnico il piano di copertura,
impropriamente definito sottotetto, ma
costituente, in realtà, una mansarda in
quanto dotato di rilevante altezza media
rispetto al piano di gronda (così, Consiglio
Stato , sez. V, 13.05.1997, n. 483)
(Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 02.11.2010 n. 7731 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
BENI CULTURALI E AMBIENTALI -
Volumi tecnici non comportanti nuovi volumi
e nuove superfici - Eccezione al divieto di
autorizzazione paesistica in sanatoria -
Nozione di volume tecnico - Fattispecie.
Secondo parte della giurisprudenza fanno
eccezione al divieto di rilasciare
l'autorizzazione paesistica in sanatoria,
previsto dall'art. 167, comma 4, d.lgs. n. 42
del 2004, i soppalchi, i volumi interrati e
i volumi tecnici che non abbiano comportato
nuovi volumi e nuove superfici (TAR
Lombardia Milano, sez. IV, 16.02.2009, n.
1309; TAR Campania Napoli, sez. VII,
03.11.2009, n. 6827): la nozione di volume
tecnico può però essere applicata solo alle
opere edilizie completamente prive di una
propria autonomia funzionale, anche
potenziale, in quanto destinate a contenere
impianti serventi di una costruzione
principale, per esigenze tecnico-funzionali
della costruzione stessa (TAR Campania
Napoli, sez. IV, 05.08.2009, n. 4738).
In particolare, non costituisce volume
tecnico un vano scala finalizzato non alla
installazione ed accesso a impianti
tecnologici necessari alle esigenze
abitative, ma a consentire l'accesso da un
appartamento ad una terrazza praticabile
(Consiglio Stato, sez. V, 26.07.1984, n.
578) (TAR Campania-Napoli, Sez. III,
sentenza 25.05.2010 n. 8748 -
link a www.ambientediritto.it). |
EDILIZIA PRIVATA: La
nozione di volume tecnico, non computabile
nel calcolo della volumetria massima
consentita, può essere applicata solo con
riferimento ad opere edilizie completamente
prive di una propria autonomia funzionale,
anche potenziale, in quanto destinate a
contenere impianti serventi di una
costruzione principale, per esigenze
tecnico-funzionali della costruzione stessa.
Si tratta, in particolare, di impianti
necessari per l'utilizzo dell'abitazione che
non possono essere ubicati all'interno di
questa, connessi alla condotta idrica,
termica, ascensore ecc., mentre va escluso
che possa parlarsi di volumi tecnici al di
fuori di tale ambito, al fine di negare
rilevanza giuridica ai volumi comunque
esistenti nella realtà fisica.
Resta dunque estraneo a tale nozione il
volume del vano scale.
Per costante giurisprudenza, la nozione di
volume tecnico, non computabile nel calcolo
della volumetria massima consentita, può
essere applicata solo con riferimento ad
opere edilizie completamente prive di una
propria autonomia funzionale, anche
potenziale, in quanto destinate a contenere
impianti serventi di una costruzione
principale, per esigenze tecnico-funzionali
della costruzione stessa.
Si tratta, in particolare, di impianti
necessari per l'utilizzo dell'abitazione che
non possono essere ubicati all'interno di
questa, connessi alla condotta idrica,
termica, ascensore ecc., mentre va escluso
che possa parlarsi di volumi tecnici al di
fuori di tale ambito, al fine di negare
rilevanza giuridica ai volumi comunque
esistenti nella realtà fisica.
Resta dunque estraneo a tale nozione il
volume del vano scale (cfr. V Sez. n. 120
del 02.03.1994)
(Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 04.05.2010 n. 2565 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Per
l'identificazione della nozione di volume
tecnico rilevano tre parametri: il primo,
positivo e di tipo funzionale costituto
dall'esistenza di un rapporto di
strumentalità necessaria tra il manufatto e
l'utilizzo della costruzione a cui accede;
il secondo ed il terzo,
negativi, ricollegati da un lato
all'impossibilità di soluzioni progettuali
diverse, nel senso che tali costruzioni non
devono poter essere ubicate all'interno
della parte abitativa, e dall'altro, ad un
rapporto di necessaria proporzionalità fra
tali volumi e le esigenze effettivamente
presenti.
Pertanto, rientrano in tale nozione solo le
opere edilizie completamente prive di una
propria autonomia funzionale, anche
potenziale, in quanto destinate a contenere
impianti serventi di una costruzione
principale, per esigenze tecnico-funzionali
della costruzione stessa.
Il locale costruito in adiacenza al torrino
scala non può essere qualificato come volume
tecnico pertinenziale realizzabile senza i
prescritti titoli abilitativi costituiti dal
permesso di costruire e dall’autorizzazione
paesaggistica, come condivisibilmente
sostenuto dall’amministrazione in seno alle
impugnate determinazioni.
Per consolidata giurisprudenza “per
l'identificazione della nozione di volume
tecnico rilevano tre parametri: il primo,
positivo e di tipo funzionale costituto
dall'esistenza di un rapporto di
strumentalità necessaria tra il manufatto e
l'utilizzo della costruzione a cui accede;
il secondo ed il terzo,
negativi, ricollegati da un lato
all'impossibilità di soluzioni progettuali
diverse, nel senso che tali costruzioni non
devono poter essere ubicate all'interno
della parte abitativa, e dall'altro, ad un
rapporto di necessaria proporzionalità fra
tali volumi e le esigenze effettivamente
presenti. Pertanto, rientrano in tale
nozione solo le opere edilizie completamente
prive di una propria autonomia funzionale,
anche potenziale, in quanto destinate a
contenere impianti serventi di una
costruzione principale, per esigenze
tecnico-funzionali della costruzione stessa”
(così, fra le ultime, Tar Campania, Napoli,
sezione quarta, 09.09.2009, n. 4903).
In breve, “non è riconducibile alla
nozione di volume tecnico la realizzazione
di un locale la cui estensione (12 mq)
risulta pari a quella di un comune vano di
abitazione, ed in merito al quale manchi
qualsiasi previsione —in sede progettuale—
circa la destinazione del locale stesso alla
collocazione di impianti a servizio
dell'abitabilità degli ambienti” (Cons.
Stato, sezione quarta, 11.04.2007, n. 1654);
e ciò a maggior ragione ove, come qui
accade, si sia in presenza di un locale
munito di tre vani finestre e pavimento in
monocottura, che ne fanno decisamente
prefigurare una diversa utilizzazione.
Tale ultima constatazione rende più agevole
la conclusione che la riconducibilità del
locale alla nozione di volume tecnico non
può essere affermata, come qui avvenuto, in
base all’assunto che “l’altezza di mt.
2,10 esclude che si sia in presenza di un
locale abitabile”, conseguendone invero
una ragione in più per ordinarne la
demolizione ad evitarne utilizzi impropri,
anche solo potenziali, ovvero in base
all’ulteriore assunto, formulato in via
apodittica senza alcun concreto riscontro
tecnico, della necessità dell’intervento,
nella consistenza avutasi, in ragione “del
mutamento del verso di salita delle rampe”
(TAR
Campania-Napoli, Sez. VI,
sentenza 14.04.2010 n. 1973 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Per volumi tecnici, ai fini
dell'esclusione dal calcolo della volumetria
ammissibile, debbono intendersi i volumi
strettamente necessari a contenere ed a
consentire l'accesso a quegli impianti
tecnici indispensabili per assicurare il
comfort abitativo degli edifici, che non
possano, per esigenze tecniche di
funzionalità degli impianti, essere
inglobati entro il corpo della costruzione
realizzabile nei limiti imposti dalle norme
urbanistiche.
Secondo autorevole giurisprudenza, per
volumi tecnici, ai fini dell'esclusione dal
calcolo della volumetria ammissibile,
debbono intendersi i volumi strettamente
necessari a contenere ed a consentire
l'accesso a quegli impianti tecnici
indispensabili per assicurare il comfort
abitativo degli edifici, che non possano,
per esigenze tecniche di funzionalità degli
impianti, essere inglobati entro il corpo
della costruzione realizzabile nei limiti
imposti dalle norme urbanistiche (cfr. ex
multis TAR Campania Napoli, sez. IV,
17.06.2002, n. 3597).
In materia, si è evidenziato (per tutte: TAR
Campania Napoli, sez. IV, 17.06.2002, n.
3597; TAR Puglia Lecce, sez. III,
15.01.2005, n. 143 Tar Puglia- Bari sent.
2843/2004), con un orientamento del tutto
condivisibile, che i sottotetti quando sono
di altezza tale da poter essere suscettibili
d'abitazione o d'assolvere a funzioni
complementari, quale quella ad esempio di
deposito di materiali, devono essere
computati ad ogni effetto sia ai fini della
cubatura autorizzabile sia ai fini del
calcolo dell'altezza e delle distanze
ragguagliate all'altezza, non potendo essere
annoverati tra i volumi tecnici (TAR
Campania-Napoli, Sez. II,
sentenza 15.03.2010 n. 1451 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
I sottotetti quando sono di
altezza tale da poter essere suscettibili
d'abitazione o d'assolvere a funzioni
complementari, quale quella ad esempio di
deposito di materiali, devono essere
computati ad ogni effetto sia ai fini della
cubatura autorizzabile sia ai fini del
calcolo dell'altezza e delle distanze
ragguagliate all'altezza, non potendo essere
annoverati tra i volumi tecnici.
Secondo autorevole giurisprudenza, per
volumi tecnici, ai fini dell'esclusione dal
calcolo della volumetria ammissibile,
debbono intendersi i volumi strettamente
necessari a contenere ed a consentire
l'accesso a quegli impianti tecnici
indispensabili per assicurare il comfort
abitativo degli edifici, che non possano,
per esigenze tecniche di funzionalità degli
impianti, essere inglobati entro il corpo
della costruzione realizzabile nei limiti
imposti dalle norme urbanistiche ( cfr.
ex multis TAR Campania Napoli, sez. IV,
17.06.2002, n. 3597).
In materia, si è evidenziato (per tutte: TAR
Campania Napoli, sez. IV, 17.06.2002, n.
3597; TAR Puglia Lecce, sez. III,
15.01.2005, n. 143 Tar Puglia-Bari sent.
2843/2004), con un orientamento del tutto
condivisibile, che i sottotetti quando sono
di altezza tale da poter essere suscettibili
d'abitazione o d'assolvere a funzioni
complementari, quale quella ad esempio di
deposito di materiali, devono essere
computati ad ogni effetto sia ai fini della
cubatura autorizzabile sia ai fini del
calcolo dell'altezza e delle distanze
ragguagliate all'altezza, non potendo essere
annoverati tra i volumi tecnici
(TAR Campania-Napoli, Sez. II,
sentenza 15.03.2010 n. 1450 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Volumi tecnici - Nozione -
Esclusione dal conteggio dell’indice
edificatorio - Presupposti - Vani idonei ad
essere adibiti ad abitazione - Estraneità.
Sono volumi tecnici solo quelli adibiti alla
sistemazione di impianti (riscaldamento
ascensore ecc.) aventi un rapporto di
strumentalità necessaria con l'utilizzo
della costruzione e che non possono essere
ubicati all'interno della parte abitativa
(cfr. Cons. St., Sez. V, 31.01.2006 n. 354).
I volumi tecnici non rientrano nel conteggio
dell’indice edificatorio, in quanto non sono
generatori del c.d. carico urbanistico e la
loro realizzazione è finalizzata a
migliorare la funzionalità e la salubrità
delle costruzioni. Essi non possono essere
ubicati all'interno della parte abitativa,
sicché non sono tali i locali complementari
all'abitazione (cfr. Cons. St. Sez. V
13.05.1997, n. 483), come le soffitte o i
bagni, destinati a formare un’ unica unità
abitativa e privi di una effettiva
destinazione ad impianti tecnologici.
Il beneficio del mancato computo volumetrico
(derivante dalla iscrizione al concetto di
volume tecnico) risulta necessariamente
condizionato alla sussistenza dei suddetti
presupposti, cosicché non può esistere
volume tecnico laddove si tratti di vani che
presentano tutte le caratteristiche per
essere adibiti all’abitazione.
DIRITTO DELL’ENERGIA -
Serre bioclimatiche - Equiparazione ai
volumi tecnici - Art. 4, c. 4 L.r. Lombardia
n. 39/2004 - Assenza di definizione
normativa - Principi della tecnica -
Realizzazione prevalente con superfici
vetrate - Copertura.
Il beneficio di cui all’art. 4, c. 4. della
L.R. Lombardia n. 39 del 2004 -secondo cui
le serre bioclimatiche, destinate allo
sfruttamento dell’energia solare passiva,
sono considerate volumi tecnici- risulta
condizionato alla significatività
dell’intervento, che è indicato dal
rapporto, che deve essere inversamente
proporzionale, fra la superficie utilizzata
a serra e la potenzialità di risparmio
energetico ricavabile.
E’ pur vero che la norma ha omesso di
fornire la definizione di serra bioclimatica
e di rassegnare un parametro quantitativo
minimo del risparmio energetico, ma a tale
carenza legislativa è pur sempre possibile
porre rimedio mediante il richiamo dei
principi della tecnica. E’ chiaro che
qualsiasi volume non riscaldato dotato di
una pur minima finestratura svolge funzioni
di isolamento e consente di limitare il
consumo energetico, ma non per questo può
essere considerata serra bioclimatica.
Prerogativa della serra è infatti l’essere
realizzata principalmente con superfici
vetrate, tali da ottimizzare lo sfruttamento
dell’energia solare.
Altra caratteristica che contraddistingue le
serre è la copertura che favorisce, ancor
più della pareti vetrate, lo sfruttamento
dell’energia solare (TAR Lombardia-Brescia,
Sez. I,
sentenza 11.02.2010 n. 712 - link
a www.ambientediritto.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Sulla nozione di "volume tecnico"
e di "serra bioclimatica" ex art. 4 L.R.
Lombardia 21.12.2004 n. 39.
Sono volumi tecnici solo quelli adibiti alla
sistemazione di impianti (riscaldamento
ascensore ecc.) aventi un rapporto di
strumentalità necessaria con l'utilizzo
della costruzione e che non possono essere
ubicati all'interno della parte abitativa
(cfr. Cons. St., Sez. V, 31.01.2006 n. 354).
La dottrina ha posto in luce che i volumi
tecnici non rientrano nel conteggio
dell’indice edificatorio, in quanto non sono
generatori del c.d. carico urbanistico e la
loro realizzazione è finalizzata a
migliorare la funzionalità e la salubrità
delle costruzioni.
La giurisprudenza ha sottolineato che essi
non possono essere ubicati all'interno della
parte abitativa, sicché non sono tali i
locali complementari all'abitazione (cfr.
Cons. St. Sez. V 13.05.1997, n. 483), come
le soffitte o i bagni, destinati a formare
un’ unica unità abitativa e privi di una
effettiva destinazione ad impianti
tecnologici. La realizzazione di un locale
"sottotetto" mediante vani distinti e
comunicanti attraverso una scala interna col
piano sottostante è indice rivelatore
dell'intento di rendere abitabile il locale
o i locali, non potendosi detti vani
considerare volumi tecnici (C.G.A.
22.10.2003, n. 337).
Venendo a fare applicazione di tali principi
in tema di volumi tecnici, deve affermarsi
che il beneficio del mancato computo
volumetrico (derivante dalla iscrizione al
concetto di volume tecnico) risulta
necessariamente condizionato alla
sussistenza dei suddetti presupposti,
cosicché non può esistere volume tecnico
laddove, come nel caso all’esame, si tratti
di vani che presentano tutte le
caratteristiche per essere adibiti
all’abitazione.
---------------
L'art. 4, c. 4.
della L.R. n. 39 del 2004 ha omesso di
fornire la definizione di serra bioclimatica
e di rassegnare un parametro quantitativo
minimo del risparmio energetico, ma a tale
carenza legislativa è pur sempre possibile
porre rimedio mediante il richiamo dei
principi della tecnica.
Al riguardo sono utili le osservazioni
svolte dal Responsabile dei Servizi tecnici
comunali nella quale si afferma che, in base
ai principi della termotecnica, qualsiasi
volume frapposto tra due ambienti a
temperatura diversa costituisce un volano
termico fra gli stessi e quindi nei
confronti dell’ambiente a temperatura
maggiore esercita la funzione di isolamento;
così come una qualsiasi superficie vetrata
sottoposta ad irraggiamento solare trasmette
energia termica all’interno dell’ambiente
che delimita.
E’ chiaro quindi che qualsiasi volume non
riscaldato dotato di una pur minima
finestratura svolge funzioni di isolamento e
consente di limitare il consumo energetico,
ma non per questo può essere considerata
serra bioclimatica.
Anche la relazione allegata alla richiesta
del Sig. Zatti Alberto contiene stralcio di
un documento dell’A.N.I.T. (Associazione
Nazionale per l’Isolamento Termico ed
Acustico) che definisce il concetto di
serra: uno spazio chiuso, vetrato, in
adiacenza a superfici opache di un ambiente
riscaldato; lo stesso documento contiene
anche dei disegni tecnici che mostrano
chiaramente ciò che si intende la serra.
Prerogativa della serra è quindi l’essere
realizzata principalmente con superfici
vetrate, tali da ottimizzare lo sfruttamento
dell’energia solare. Altra caratteristica
che contraddistingue le serre è la copertura
che favorisce, ancor più della pareti
vetrate, lo sfruttamento dell’energia solare
(TAR Lombardia-Brescia, Sez. I,
sentenza 11.02.2010 n. 712 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: La
chiusura di un vano scale con strutture in
alluminio anodizzato e vetri infissi
stabilmente nei muri portanti, non rientra
nell'ambito delle opere interne, in quanto
siffatta chiusura comporta la modifica della
sagoma dell'edificio e l'aumento delle
superfici utili.
Non costituisce volume tecnico (come tale
non computabile nella volumetria e
nell’altezza dell’edificio) un vano scala
finalizzato non alla installazione ed
accesso a impianti tecnologici necessari
alle esigenze abitative, ma a consentire
l’accesso da un appartamento ad una terrazza
praticabile.
Il vano scala, essendo ambiente che fa parte
integrante dell'abitazione, non può essere
considerato accessorio né pertinenza di
questa. Al fine di verificare l'osservanza
dei limiti massimi di volumetria dei
fabbricati, secondo le norme
urbanistico-edilizie vigenti, i volumi
tecnici, che vanno esclusi dal relativo
computo, sono soltanto quelli indispensabili
a contenere gli impianti tecnici
dell'edificio, e non anche quelli che
assolvano ad una funzione diversa, sia pur
necessaria al godimento dell'edificio stesso
e delle sue singole porzioni di proprietà
individuale (come il vano scala). Ne
consegue che tale spazio …. concorre a
formare il computo della superficie
destinata ad abitazione.
Il Comune di
... ha così individuato le opere abusive in
contestazione:
-1- la scala che nei grafici allegati alla
concessione in oggetto era prevista come
scala aperta è stata invece chiusa, con il
conseguente aumento di volume di 115,00 mq.
circa;
-2- alcune delle distanze del fabbricato dai
confini non sono conformi a quanto indicato
nei grafici di progetto, in particolare la
distanza dal lato ove sorge la scale è
risultata essere 7.80 mt. anziché 8.30 mt.
circa. Da un ulteriore controllo è risultato
essere circa 0.50 mt. più stretto di quanto
riportato nei grafici di progetto.
Orbene, la chiusura del vano scala che nei
grafici di progetto era previsto come
aperto, realizza indiscutibilmente un
aumento di cubatura di circa 115 mc., per il
quale non è predicabile la necessità di
scrutinare previamente se si tratti di un
organismo edilizio suscettibile di autonoma
utilizzazione, trattandosi di elemento che,
ancorché inglobato nel corpo dell’edificio
principale, assume rilevanza volumetrica
computabile nella cubatura massima
assentibile. In proposito la giurisprudenza
è concorde nel ritenere la necessità di
permesso di costruire per la chiusura di un
vano scale anche qualora la stessa sia
realizzata mediante strutture diverse dalla
muratura.
“La chiusura di un vano scale con
strutture in alluminio anodizzato e vetri
infissi stabilmente nei muri portanti, non
rientra nell'ambito delle opere interne, in
quanto siffatta chiusura comporta la
modifica della sagoma dell'edificio e
l'aumento delle superfici utili” (cfr.
TAR Lazio, sez. II, 17.07.1986, n. 1156, TAR
Napoli, Sez. VIII, 02.04.2007, n. 3042). Si
ritiene inoltre che non costituisce volume
tecnico (come tale non computabile nella
volumetria e nell’altezza dell’edificio) un
vano scala finalizzato non alla
installazione ed accesso a impianti
tecnologici necessari alle esigenze
abitative, ma a consentire l’accesso da un
appartamento ad una terrazza praticabile
(Consiglio di Stato, sezione V, 26.07.1984,
n. 578).
Ed ancora: “Il vano scala, essendo
ambiente che fa parte integrante
dell'abitazione, non può essere considerato
accessorio né pertinenza di questa. In
proposito vale osservare che in linea
generale al fine di verificare l'osservanza
dei limiti massimi di volumetria dei
fabbricati, secondo le norme
urbanistico-edilizie vigenti, i volumi
tecnici, che vanno esclusi dal relativo
computo, sono soltanto quelli indispensabili
a contenere gli impianti tecnici
dell'edificio, e non anche quelli che
assolvano ad una funzione diversa, sia pur
necessaria al godimento dell'edificio stesso
e delle sue singole porzioni di proprietà
individuale (come il vano scala). Ne
consegue che tale spazio …. concorre a
formare il computo della superficie
destinata ad abitazione” (cfr. TAR
Napoli, sez. II, n. 3851/2008).
La censura per contro, nella parte in cui si
indirizza avverso l’ordine di ripristino
delle distanze di progetto dal confine
contestando una minore distanza di 0,50 mt.,
è fondata e merita accoglimento. Invero, pur
a fronte della qualificazione giuridica
dell’abuso come difformità totale dal
permesso di costruire, l’amministrazione non
ha compiuto alcuna valutazione sul
pregiudizio derivante alla parte conforme
del fabbricato dalla eventuale demolizione,
né ha indicato le specifiche norme
urbanistiche violate che imporrebbero in
maniera inderogabile un arretramento del
manufatto.
In tal senso, e limitatamente al tipo di
abuso preso in esame, appare sussistente il
vizio di difetto di motivazione, essendosi
proceduto alla adozione di una tra le
possibili reazioni alle difformità
contestate, in contrasto con i parametri di
cui agli artt. 31, 32 e 34 DPR 380/2001:
posto che, a fronte dell’oggettiva
rilevazione di interventi non conformi al
progetto presentato, la rilevanza di tali
difformità, ai sensi e per gli effetti di
cui all’art. 31 del d.p.r. 380/2001, resta
soggetta ad una valutazione
dell’Amministrazione, che non risulta
effettuata.
Né può sostenersi che la demolizione, con
inaccettabile pretesa di automaticità, sia
giustificabile rispetto alla diversa
fattispecie di cui all’art. 34 del d.p.r.
390/2001, che pur consente l’adozione della
medesima misura, atteso che in quel caso
l’Amministrazione avrebbe dovuto verificare
preventivamente tutti gli aspetti
pregiudizievoli che potrebbero scaturire
dalla demolizione, ivi compresi i pregiudizi
di ordine funzionale che possono essere
causati dall’esecuzione della misura
ripristinatoria ( cfr. TAR Umbria,
15.06.2000, n. 467).
Invero, l’ingiunzione di demolizione deve
essere preceduta da un doveroso accertamento
tecnico dell’ufficio sulla fattibilità
dell’intervento di ripristino, incombendo
all’amministrazione l’onere di accertare i
presupposti prescritti dalla legge per
l’esercizio dei poteri da questa
conferitile, a prescindere dall’apporto che
in sede di partecipazione al procedimento
gli interessati possano dare (cfr. Consiglio
Stato, sez. V, 29.05.2006, n. 3270)
(TAR Campania-Napoli, Sez. II,
sentenza 07.01.2010 n. 4 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
anno 2009 |
|
EDILIZIA PRIVATA:
Quesito 10 -
Sulla nozione di volumi tecnici non
computabili ai fini della volumetria
(Geometra Orobico n. 6/2009). |
EDILIZIA
PRIVATA:
Manufatto - Volume tecnologico -
Creazione di volume - Stabilità - Disciplina distanze dal
confine - Ordine di rimozione - Legittimità.
Un manufatto, anche se destinato a coprire un cassone per
deposito rifiuti, non si può qualificare come impianto
tecnologico se ha una dimensione tale da creare volume
utilizzabile ad altro scopo e risulta stabilmente affisso al
suolo e, in quanto struttura rilevante dal punto di vista
edilizio, si applica la disciplina delle distanze dal
confine, risultando legittimamente adottato l'ordine di
rimozione dello stesso (massima tratta da www.solom.it - TAR
Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 21.12.2009 n. 5739 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Il
c.d. «volume tecnico» comprende
esclusivamente le porzioni di fabbricato
destinate ad ospitare impianti, legati da un
rapporto di strumentalità necessaria con
l'utilizzazione dello stesso.
L’intervento
realizzato dall’odierna ricorrente determina
un sensibile aumento di volumetria non
riconducibile al concetto di volume tecnico,
trattandosi di vano adibito non già alla
allocazione di impianti strumentali alla
costruzione (impianti idrici, termici ecc.)
bensì a studio, con conseguente variazione
essenziale della cubatura e mutamento della
destinazione d’uso.
Il c.d. «volume tecnico» comprende
esclusivamente le porzioni di fabbricato
destinate ad ospitare impianti, legati da un
rapporto di strumentalità necessaria con
l'utilizzazione dello stesso; non è tale
pertanto l'intervento che si sostanzia,
piuttosto, in un piano di copertura, avente
consistente cubatura, reso oggettivamente
suscettibile di uso abitativo, che integra
un nuovo organismo edilizio autonomamente
utilizzabile, secondo la definizione
contenuta nell'art. 31, comma 1, del d.P.R.
n. 380 del 2001 (TAR Campania Napoli, sez.
II, 27.01.2009, n. 44) (TAR
Puglia-Bari, Sez. II,
sentenza 19.11.2009 n. 2756 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Per
l’identificazione della nozione di volume
tecnico rilevano tre parametri: il primo,
positivo e di tipo funzionale, costituito
dall’esistenza di un rapporto di
strumentalità necessaria tra il manufatto e
l’utilizzo della costruzione a cui accede;
il secondo ed il terzo, negativi,
ricollegati da un lato all’impossibilità di
soluzioni progettuali diverse, nel senso che
tali costruzioni non devono poter essere
ubicate all'interno della parte abitativa, e
dall’altro, ad un rapporto di necessaria
proporzionalità fra tali volumi e le
esigenze effettivamente presenti.
Secondo una consolidata giurisprudenza (ex
multis TAR Campania Napoli, Sez. IV,
13.05.2008, n. 4258; TAR Lombardia Milano,
Sez. II, 25.03.2008, n. 582), per
l’identificazione della nozione di volume
tecnico rilevano tre parametri: il primo,
positivo e di tipo funzionale, costituito
dall’esistenza di un rapporto di
strumentalità necessaria tra il manufatto e
l’utilizzo della costruzione a cui accede;
il secondo ed il terzo, negativi,
ricollegati da un lato all’impossibilità di
soluzioni progettuali diverse, nel senso che
tali costruzioni non devono poter essere
ubicate all'interno della parte abitativa, e
dall’altro, ad un rapporto di necessaria
proporzionalità fra tali volumi e le
esigenze effettivamente presenti. Pertanto
rientrano in tale nozione solo le opere
edilizie completamente prive di una propria
autonomia funzionale, anche potenziale, in
quanto destinate a contenere impianti
serventi di una costruzione principale, per
esigenze tecnico-funzionali della
costruzione stessa.
Pertanto, l’intervento oggetto dell’istanza
di accertamento della compatibilità
paesistica presentata dalla ricorrente
consiste nella realizzazione di un volume
tecnico; e, come ritenuto da questa Sezione
in sentenza n. 1748/2009, l’art. 167 d.lgs.
42/2004, nella parte in cui non consente
l’accertamento di compatibilità
paesaggistica per gli interventi che
comportano “nuovi volumi” va
interpretata nel senso che essa non si
riferisce anche ai volumi tecnici (fermo
restando il potere dell’Amministrazione
preposta alla tutela di accertare, caso per
caso, la compatibilità del volume tecnico
con le esigenze di tutela del paesaggio).
Infatti, come precisato nella sentenza n.
1748/2009 sopra citata, i volumi tecnici,
proprio in ragione dei caratteri che li
contraddistinguono, sono inidonei ad
introdurre un impatto sul territorio
eccedente la costruzione principale e, come
tali, sono ininfluenti ai fini del calcolo
degli indici di edificabilità. Ne consegue
che, come evidenziato dalla ricorrente, la
stessa ratio che in materia
urbanistica induce ad escludere i volumi
tecnici del calcolo della volumetria
edificabile dovrebbe valere anche in materia
paesistica per escludere tali volumi dal
divieto di rilasciare l’autorizzazione
paesistica in sanatoria
(TAR Campania-Napoli, Sez. VII,
sentenza 03.11.2009 n. 6827 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
NOZIONE DI "VOLUME TECNICO" IN
MATERIA DI ABUSI EDILIZI.
1. Abusi - Ordine di riduzione in pristino -
Sussistenza - Casi - Ragioni -
Qualificazione giuridica di volume tecnico.
1. Per l'identificazione della nozione di
volume tecnico assumono valore in materia
tre ordini di parametri: il primo,
positivo, di tipo funzionale, ossia che il
manufatto abbia un rapporto di strumentalità
necessaria con l'utilizzo della costruzione;
il secondo ed il terzo,
negativi, ricollegati da un lato
all'impossibilità di soluzioni progettuali
diverse, nel senso che, tali costruzioni,
non devono poter essere ubicate all'interno
della parte abitativa, e dall'altro ad un
rapporto di necessaria proporzionalità fra
tali volumi e le esigenze effettivamente
presenti.
Ne deriva che tale nozione può essere
applicata solo alle opere edilizie
completamente prive di una propria autonomia
funzionale, anche potenziale, in quanto
destinate a contenere impianti serventi di
una costruzione principale, per esigenze
tecnico-funzionali della costruzione stessa.
Pertanto, al di fuori di tale ambito, il
concetto non può essere utilizzato né
dall'amministrazione né dal privato al fine
di negare rilevanza giuridica ai volumi,
comunque, esistenti nella realtà fisica (TAR
Campania Napoli, sez. IV, 07-11-2008 n.
19352; TAR Campania Napoli, sez. IV,
13-05-2008 n. 4258) (TAR Campania-Napoli,
Sez. IV,
sentenza 09.09.2009 n. 4903 -
link a
http://mondolegale.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Non
costituisce "volume tecnico" una veranda
realizzata in alluminio anodizzato e
muratura, avente una superficie di un metro
per tre e l’altezza di tre metri, realizzata
su di un balcone.
Come questa Sezione ha avuto modo di
rilevare, per l'identificazione della
nozione di volume tecnico assumono valore in
materia tre ordini di parametri: il primo,
positivo, di tipo funzionale, ossia che il
manufatto abbia un rapporto di strumentalità
necessaria con l'utilizzo della costruzione;
il secondo ed il terzo,
negativi, ricollegati da un lato
all'impossibilità di soluzioni progettuali
diverse, nel senso che tali costruzioni non
devono poter essere ubicate all'interno
della parte abitativa, e dall'altro ad un
rapporto di necessaria proporzionalità fra
tali volumi e le esigenze effettivamente
presenti.
Ne deriva che tale nozione può essere
applicata solo alle opere edilizie
completamente prive di una propria autonomia
funzionale, anche potenziale, in quanto
destinate a contenere impianti serventi di
una costruzione principale, per esigenze
tecnico-funzionali della costruzione stessa;
pertanto, al di fuori di tale ambito, il
concetto non può essere utilizzato né
dall'amministrazione né dal privato al fine
di negare rilevanza giuridica ai volumi,
comunque, esistenti nella realtà fisica (TAR
Campania Napoli, sez. IV, 07.11.2008, n.
19352; sez. IV, 13.05.2008, n. 4258)
(TAR Campania-Napoli, Sez. IV,
sentenza 01.09.2009 n. 4850 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Un manufatto per qualificarsi
quale "volume tecnico" deve
avere un
rapporto di strumentalità necessaria con
l'utilizzo della costruzione, non deve poter
essere ubicato all'interno della parte
abitativa e deve essere caratterizzato da un
rapporto di necessaria proporzionalità fra
tale volume e le esigenze effettivamente
presenti.
Come questa
Sezione ha avuto modo di rilevare, per
l'identificazione della nozione di volume
tecnico assumono valore in materia tre
ordini di parametri: il primo,
positivo, di tipo funzionale, ossia che il
manufatto abbia un rapporto di strumentalità
necessaria con l'utilizzo della costruzione;
il secondo ed il terzo,
negativi, ricollegati da un lato
all'impossibilità di soluzioni progettuali
diverse, nel senso che tali costruzioni non
devono poter essere ubicate all'interno
della parte abitativa, e dall'altro ad un
rapporto di necessaria proporzionalità fra
tali volumi e le esigenze effettivamente
presenti.
Ne deriva che tale nozione può essere
applicata solo alle opere edilizie
completamente prive di una propria autonomia
funzionale, anche potenziale, in quanto
destinate a contenere impianti serventi di
una costruzione principale, per esigenze
tecnico-funzionali della costruzione stessa;
pertanto, al di fuori di tale ambito, il
concetto non può essere utilizzato né
dall'amministrazione né dal privato al fine
di negare rilevanza giuridica ai volumi,
comunque, esistenti nella realtà fisica (TAR
Campania Napoli, sez. IV, 07.11.2008, n.
19352; sez. IV, 13.05.2008, n. 4258)
(TAR
Campania-Napoli, Sez. IV,
sentenza 01.09.2009 n. 4849 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Volumi tecnici (nozione).
Per l'identificazione della nozione di
volume tecnico assumono valore tre ordini di
parametri:
a) il primo, positivo, di tipo
funzionale, relativo al rapporto di
strumentalità necessaria tra il manufatto
con l'utilizzo della costruzione;
b) il secondo ed il terzo,
negativi, ricollegati da un lato
all'impossibilità di soluzioni progettuali
diverse, nel senso che tali costruzioni non
devono poter essere ubicate all'interno
della parte abitativa, e dall'altro lato ad
un rapporto di necessaria proporzionalità
fra tali volumi e le esigenze effettivamente
presenti: ne deriva che tale nozione può
essere applicata solo alle opere edilizie
completamente prive di una propria autonomia
funzionale, anche potenziale, ed invece
esclusa rispetto a locali, in specie laddove
di ingombro rilevante, tali da mutare la
consistenza dell'edificio, in quanto
oggettivamente incidenti in modo
significativo sui luoghi esterni (TAR
Campania-Salerno, Sez. II.
sentenza 13.07.2009 n. 3987 -
link a www.lexambiente.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Nozione di volume tecnico - Parametri.
Per l'identificazione della nozione di
volume tecnico assumono valore tre ordini di
parametri:
a) il primo, positivo, di tipo funzionale,
relativo al rapporto di strumentalità
necessaria tra il manufatto con l'utilizzo
della costruzione;
b) il secondo ed il terzo, negativi,
ricollegati da un lato all'impossibilità di
soluzioni progettuali diverse, nel senso che
tali costruzioni non devono poter essere
ubicate all'interno della parte abitativa, e
dall'altro lato ad un rapporto di necessaria
proporzionalità fra tali volumi e le
esigenze effettivamente presenti: ne deriva
che tale nozione può essere applicata solo
alle opere edilizie completamente prive di
una propria autonomia funzionale, anche
potenziale, ed invece esclusa rispetto a
locali, in specie laddove di ingombro
rilevante, tali da mutare la consistenza
dell'edificio, in quanto oggettivamente
incidenti in modo significativo sui luoghi
esterni (cfr., ex multis, TAR Liguria
Genova, sez. I, 30.01.2007, n. 101; TAR
Puglia Lecce, sez. I, 22.11.2007, n. 3963;
TAR Campania Salerno, sez. II, 03.08.2006,
n. 1119; TAR Campania Napoli, sez. IV,
28.02.2006, n. 2451) (TAR Campania-Salerno,
Sez. II,
sentenza 13.07.2009 n. 3987 -
link a www.ambientediritto.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Sulla individuazione delle
caratteristiche costruttive qualificanti i
cosiddetti "volumi tecnici".
Secondo il
costante indirizzo giurisprudenziale, per
l'identificazione della nozione di volume
tecnico assumono valore tre ordini di
parametri:
a) il primo, positivo, di tipo
funzionale, relativo al rapporto di
strumentalità necessaria tra il manufatto
con l'utilizzo della costruzione;
b) il secondo ed il terzo,
negativi, ricollegati da un lato
all'impossibilità di soluzioni progettuali
diverse, nel senso che tali costruzioni non
devono poter essere ubicate all'interno
della parte abitativa, e dall'altro lato ad
un rapporto di necessaria proporzionalità
fra tali volumi e le esigenze effettivamente
presenti: ne deriva che tale nozione può
essere applicata solo alle opere edilizie
completamente prive di una propria autonomia
funzionale, anche potenziale, ed invece
esclusa rispetto a locali, in specie laddove
di ingombro rilevante, tali da mutare la
consistenza dell'edificio, in quanto
oggettivamente incidenti in modo
significativo sui luoghi esterni (cfr.,
ex multis, TAR Liguria Genova, sez. I,
30.01.2007, n. 101; TAR Puglia Lecce, sez.
I, 22.11.2007, n. 3963; TAR Campania
Salerno, sez. II, 03.08.2006, n. 1119; TAR
Campania Napoli, sez. IV, 28.02.2006, n.
2451).
Deve conseguentemente ritenersi che, sia per
la loro ampiezza –circa 276,45 mc., con
altezza al colmo di m. 2.80– che per la loro
consistenza e forma, evincibile dalla pianta
e dalle foto in atti (che prospetta la
realizzazione di tre grandi abbaini), i
locali in esame da un lato non possono
ritenersi, giusta i richiamati criteri,
proporzionati alle dimensioni dell’edificio
e, dall'altro lato, risultano potenzialmente
abitabili, costituendo delle vere e proprie
mansarde. Il che, appunto, esclude che possa
parlarsi di meri volumi tecnici.
Da ciò discende che l’intervento in
questione, per come progettato, non avrebbe
potuto essere assentito, stante la
evidenziata violazione delle prescritte
distanze legali
(TAR Campania-Salerno, Sez. II,
sentenza 13.07.2009 n. 3987 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: I
volumi tecnici sono quelli destinati
esclusivamente agli impianti necessari per
l'utilizzo dell'abitazione e che non possono
essere ubicati al suo interno, quali ad
esempio il locale caldaia ed il vano
ascensore.
Per giurisprudenza pacifica i volumi tecnici
sono quelli destinati esclusivamente agli
impianti necessari per l'utilizzo
dell'abitazione e che non possono essere
ubicati al suo interno, quali ad esempio il
locale caldaia ed il vano ascensore.
Pertanto non rientrano tra i volumi tecnici
-e quindi sono computabili ai fini della
volumetria consentita- le soffitte, gli
stenditori chiusi, i locali di sgombero ed
il piano di copertura, comunemente definito
sottotetto, ove per rilevante altezza media
rispetto al piano di gronda, possa essere
utilizzato come mansarda (cfr. Consiglio
Stato, sez. V, 04.03.2008, n. 918; Consiglio
Stato, sez. V, 13.05.1997, n. 483)
(TAR Sardegna, Sez. II,
sentenza 11.05.2009 n. 669 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Rientrano nella nozione di
"volume tecnico" solo le opere edilizie
completamente prive di una propria autonomia
funzionale, anche potenziale, in quanto
destinate a contenere impianti serventi di
una costruzione principale, per esigenze
tecnico-funzionali della costruzione stessa.
Secondo una consolidata giurisprudenza (ex
multis TAR Campania-Napoli, Sez. IV,
13.05.2008, n. 4258; TAR Lombardia Milano,
Sez. II, 25.03.2008, n. 582), per
l’identificazione della nozione di volume
tecnico rilevano tre parametri:
- il primo, positivo e di tipo
funzionale, costituito dall’esistenza di un
rapporto di strumentalità necessaria tra i
manufatto e l’utilizzo della costruzione a
cui accede;
- il secondo ed il terzo,
negativi, ricollegati da un lato
all’impossibilità di soluzioni progettuali
diverse, nel senso che tali costruzioni non
devono poter essere ubicate all'interno
della parte abitativa, e dall’altro, ad un
rapporto di necessaria proporzionalità fra
tali volumi e le esigenze effettivamente
presenti.
Pertanto, rientrano in tale nozione solo le
opere edilizie completamente prive di una
propria autonomia funzionale, anche
potenziale, in quanto destinate a contenere
impianti serventi di una costruzione
principale, per esigenze tecnico-funzionali
della costruzione stessa
(TAR Campania-Napoli, Sez. VII,
sentenza 03.04.2009 n. 1748 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Non
può essere considerato "volume tecnico" non
soltanto le soffitte, gli stenditori chiusi
e quelli «di sgombero» ma anche il piano di
copertura, impropriamente definito
sottotetto, quando sia dotato di rilevante
altezza media rispetto al piano di gronda.
In merito alla nozione di “volumi tecnici” è
noto che possono essere ritenuti tali solo
quelli destinati esclusivamente agli
impianti necessari per l'utilizzo
dell'abitazione, che non possono essere
ubicati al suo interno; pertanto non sono
tali –e sono quindi sono computabili ai fini
della volumetria consentita– non soltanto le
soffitte, gli stenditori chiusi e quelli «di
sgombero» ma anche il piano di copertura,
impropriamente definito sottotetto, quando
sia dotato di rilevante altezza media
rispetto al piano di gronda (Consiglio
Stato, sez. V, 04.03.2008, n. 918)
(TAR Campania-Napoli, Sez. IV,
sentenza 04.03.2009 n. 1279 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Non
sono "volumi tecnici" quelli relativi a
locali che sono complementari
all'abitazione.
Sono volumi
tecnici quelli esclusivamente adibiti alla
sistemazione di impianti aventi un rapporto
di strumentalità necessaria con l'utilizzo
della costruzione e che non possono essere
ubicati all'interno della parte abitativa,
sicché non sono tali i locali complementari
all'abitazione (Cons. St., V Sez.,
13.05.1997, n. 483).
La realizzazione di un locale "sottotetto"
mediante vani distinti e comunicanti
attraverso una scala interna col piano
sottostante, è indice rivelatore
dell'intento di rendere abitabile il locale
o i locali, non potendosi detti vani
considerare tecnici (C.G.A.R.S., 22.10.2003,
n. 337).
La generale previsione di non computabilità
dei volumi tecnici in senso proprio trae
fondamento dalla non rilevanza urbanistica
degli stessi, la cui realizzazione non
aumenta il carico urbanistico dell'area in
cui essi sono realizzati
(TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 20.02.2009 n.
1330). |
EDILIZIA PRIVATA:
Volumi tecnici.
"Volumi tecnici" sono i volumi -non
utilizzabili né adattabili ad uso abitativo-
strettamente necessari a contenere ed a
consentire l'eccesso di quelle parti degli
impianti tecnici che non possono, per
esigenze tecniche di funzionalità degli
impianti stessi, trovare allocazione
all'interno della parte abitativa
dell'edificio realizzabile nei limiti
imposti dalle norme urbanistiche (Corte di
Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 27.01.2009 n. 3590 -
link a www.lexambiente.it). |
anno 2008 |
|
EDILIZIA PRIVATA: Volume tecnico
- Definizione e caratteristiche.
La nozione di volume tecnico presuppone,
secondo quanto chiarito da giurisprudenza, che
volumi tecnici, ai fini dell'esclusione dal
calcolo della volumetria ammissibile, devono
intendersi i locali completamente privi di
autonomia funzionale, anche potenziale, in
quanto destinati a contenere impianti
serventi di una costruzione principale, per
esigenze tecnico-funzionali della
costruzione stessa (TAR Sicilia-Palermo,
Sez. I, sentenza 09.07.2007, n. 1749; TAR
Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza
04.04.2002 n. 1337) e, in particolare, quei
volumi strettamente necessari a contenere ed
a
consentire l'accesso a quegli impianti
tecnici indispensabili per assicurare il
comfort degli edifici, che non possano, per
esigenze tecniche di funzionalità degli
impianti, essere inglobati entro il corpo
della costruzione realizzabile nei limiti
imposti dalle norme urbanistiche (TAR
Puglia-Lecce, Sez. II, sentenza 15.01.2005
n. 143; TAR Puglia-Bari, sentenza n.
2843/2004).
Per l'identificazione della nozione di
volume tecnico va fatto riferimento a tre
ordini di parametri: il primo,
positivo, di tipo funzionale, dovendo avere
un rapporto di strumentalità necessaria con
l'utilizzo della costruzione; il secondo
ed il terzo negativi, ricollegati: 1)
all'impossibilità di soluzioni progettuali
diverse, nel senso che tali volumi non
possono essere ubicati all'interno della
parte abitativa; 2) ad un rapporto di
necessaria proporzionalità che deve
sussistere tra i volumi e le esigenze
edilizie completamente prive di una propria
autonomia funzionale, anche potenziale, in
quanto destinate a contenere gli impianti
serventi della costruzione principale (TAR
Sicilia-Palermo, Sez. I, sentenza
09.07.2007).
In virtù di tale impostazione si è
riconosciuto in giurisprudenza che i volumi
tecnici degli edifici sono esclusi dal
calcolo della volumetria a condizione che
non assumano le caratteristiche di vano
chiuso, utilizzabile e suscettibile di
abitabilità (TAR Puglia-Lecce, Sez. III,
sentenza 15.01.2005 n. 143; TAR Puglia-Bari,
sentenza n. 2843/2004).
Nel caso in cui un intervento edilizio sia
di altezza e volume tale da poter essere
destinato a locale abitabile, ancorché
designato in progetto come volume tecnico,
deve essere computato ad ogni effetto, sia
ai fini della cubatura autorizzabile, sia i
fini del calcolo dell'altezza e delle
distanza ragguagliate all'altezza (TAR
Puglia-Bari, sentenza n. 2843/2004).
Sempre secondo giurisprudenza, non possono
essere considerati volumi tecnici i
sottotetti degli edifici, quando sono di
altezza tale da poter essere suscettibili
d'abitazione o d'assolvere a funzioni
complementari, quale quella ad esempio di
deposito di materiali (TAR Puglia-Lecce,
Sez. III, sentenza 15.01.2005 n. 143), le
soffitte, gli stenditoi chiusi e quelli "di
sgombero", nonché il piano copertura,
impropriamente definito sottotetto, ma
costituente in realtà, come nella specie,
una mansarda in quanto dotato di rilevante
altezza media rispetto al piano di gronda
(Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza
04.03.2008 n. 918).
Allo stesso modo non può considerarsi un
volume tecnico un locale sottotetto che
abbia una rilevante altezza media rispetto
al piano di gronda che sia collegato agli
altri locali mediante una scala interna,
dotato di una ampia finestra di aerazione e
di una ulteriore apertura per accedere ad un
terrazzo calpestabile (TAR Sicilia-Palermo,
Sez. I, sentenza 09.07.2007 n. 1749) e
locali complementari all'abitazione, tra cui
la mansarda (nonché la soffitta, gli
stenditoi chiusi o di sgombero, ecc.)
(Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza
13.05.1997 n. 483) (TAR Lombardia-Milano, Sez.
II,
sentenza 05.12.2008 n. 5731). |
EDILIZIA PRIVATA:
Abusiva trasformazione
di volumi tecnici in abitativi.
La
realizzazione di vani abitativi in numero
maggiore di quelli autorizzati, con abusiva
trasformazione di volumi tecnici in
superfici e volumi destinati ad uso
abitativo, non integra affatto una ipotesi
di aumento delle "cubature accessorie" o di
"diversa distribuzione interna delle singole
unità abitative", bensì comporta una
significativa modifica delle opere
realizzate rispetto a quelle assentite e ha
come risultato un "carico abitativo" non
previsto
(Corte
di Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 01.10.2008 n. 37253 -
link a www.lexambiente.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
1. Volumi tecnici
- Definizione.
2. Volumi tecnici
- Creazione di volumi tecnici - Consentita
purché tali impianti non possano essere, per
esigenze tecniche di funzionalità degli
stessi, inglobati nel corpo della
costruzione.
3. Sottotetti con
altezza tale da poter essere suscettibili di
abitazione o di assolvere a funzioni
complementari - Possibilità di annoverarli
tra i volumi tecnici - Non sussiste -
Computabilità ai fini dei calcoli di
altezze, cubatura e distanze - Sussiste.
1. In materia edilizia vanno considerati
volumi tecnici quelli che per funzione e
dimensione si pongono rispetto alla
costruzione come elementi tecnici essenziali
per l'utilizzazione della stessa e non
ricomprendono, quindi, quelli suscettibili
di assolvere solo a funzioni complementari.
Per qualificare un volume come tecnico,
quindi, si fa riferimento alle parti di
edificio destinate a comprendere gli
impianti tecnici che, per la loro
funzionalità, non possono essere contenuti
entro i limiti previsti dalla legge.
2. Dal momento che è consentito non
computare lo spazio occupato dagli impianti
tecnici, può essere assentita la creazione
di tali volumi, purché strettamente
necessari a contenere ed a consentire
l'accesso agli impianti tecnici
indispensabili per assicurare il comfort
abitativo degli edifici, che non possano,
per esigenze tecniche di funzionalità degli
impianti, essere inglobati nel corpo della
costruzione.
3.
I sottotetti quando sono di altezza tale da
poter essere suscettibili d'abitazione o di
assolvere a funzioni complementari, devono
essere computati ad ogni effetto sia ai fini
della cubatura autorizzabile sia ai fini del
calcolo dell'altezza e delle distanze
ragguagliate all'altezza, non potendo essere
annoverati tra i volumi tecnici (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 10.09.2008 n. 4043 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Definizione
di volumi tecnici.
Sono "volumi tecnici" i volumi -non utilizzabili né adattabili ad uso
abitativo- strettamente necessari a contenere ed a consentire l'eccesso
di quelle parti degli impianti tecnici che non possono, per esigenze
tecniche di funzionalità degli impianti stessi, trovare allocazione
all'interno della parte abitativa dell'edificio realizzabile nei limiti
imposti dalle norme urbanistiche. Non sono, invece, volumi tecnici, i
locali che assolvono funzioni complementari all' abitazione (Corte di
Cassazione, Sez. III penale,
sentenza
21.05.2008 n. 20267
- link a www.lexambiente.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Un
sottotetto termico non abitabile, di
rilevante superficie ed altezza media
oggettivamente suscettibile di suo
abitativo, non può rientrare, con tutta
evidenza, nel concetto di volume tecnico,
che comprende esclusivamente le porzioni di
fabbricato destinate ad ospitare impianti,
legati da un rapporto di strumentalità
necessaria con l’utilizzazione dello stesso.
Il Collegio ritiene che l’intervento
progettato, impropriamente definito
sottotetto termico non abitabile, non può
rientrare, con tutta evidenza, nella
destinazione dichiarata né è sussumibile nel
concetto di volume tecnico, che comprende
esclusivamente le porzioni di fabbricato
destinate ad ospitare impianti, legati da un
rapporto di strumentalità necessaria con
l’utilizzazione dello stesso.
In realtà, tenuto conto delle
caratteristiche costruttive, della rilevante
superficie ed altezza media, esso si
sostanzia piuttosto in un piano di copertura
oggettivamente suscettibile di uso abitativo
(cfr. Consiglio di Stato, V Sezione,
21.10.1992 n. 1025 e 13.05.1997 n. 483; TAR
Campania, IV Sezione, 12.01.2000 n. 30; II
Sezione, 03.02.2006 n. 1506).
Invero, come chiarito dalla citata
giurisprudenza, ai fini della qualificazione
di una costruzione, rilevano le
caratteristiche oggettive della stessa,
prescindendosi dall’intento dichiarato dal
privato di voler destinare l’opera ad
utilizzazioni più ristrette di quelle alle
quali il manufatto potenzialmente si presta.
Il consistente aumento dell’altezza e del
volume del fabbricato, con il conseguente
mutamento della sagoma, comportano poi che
non possa farsi ricorso alle categorie degli
interventi di manutenzione straordinaria o
di ristrutturazione edilizia, secondo le
definizioni contenute nell’art. 3, comma 1,
lett. b) e d), del d.P.R. 06.06.2001 n. 380
–che ha riprodotto le previsioni già
contenute nell’art. 31, della legge
05.08.1978 n. 457– venendo in rilievo un
quid novum, ossia un organismo del tutto
diverso nella sua consistenza rispetto a
quello preesistente ed autonomamente
utilizzabile, che si configura indubbiamente
come una nuova costruzione (TAR
Campania-Napoli, Sez. II
sentenza 09.04.2008 n. 2063 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
1. Volume tecnico - Parametri necessari.
2. Volume tecnico - Sussiste solo in relazione
a opere edilizie completamente prive di autonomia funzionale, anche
potenziale.
1. Per l'identificazione della nozione di volume tecnico devono
sussistere tre ordini di parametri: il primo, positivo, di tipo
funzionale, ossia che il manufatto abbia un rapporto di strumentalità
necessaria con l'utilizzo della costruzione; il secondo ed il terzo,
negativi, ricollegati da un lato all'impossibilità di soluzioni
progettuali diverse, nel senso che tali costruzioni non devono poter
essere ubicate all'interno della parte abitata, e dall'altro ad un
rapporto di necessaria proporzionalità fra tali volumi e le esigenze
effettivamente presenti.
2. La nozione di volume tecnico può essere applicata solo alle opere
edilizie completamente prive di una propria autonomia funzionale, anche
potenziale, in quanto destinate a contenere impianti serventi di una
costruzione principale, per esigenze tecnico-funzionali della
costruzione stessa (massima tratta da
www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 25.03.2008 n. 582
- link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Fattispecie
in materia di ristrutturazione -
Volumi tecnici.
Nel mancato rispetto delle puntuali
caratteristiche preesistenti, ossia quando
non vi sia piena «fedeltà» per tali
aspetti dell’intervento progettato (appunto
anche di demolizione e ricostruzione) al
vecchio fabbricato, non può parlarsi di «ristrutturazione»,
bensì il medesimo intervento deve essere
qualificato come di «nuova costruzione»
e, in quanto tale, resta assoggettato alle
limitazioni imposte dalle norme urbanistiche
dettate in proposito.
È noto, infatti, che i volumi tecnici sono
quelli destinati esclusivamente agli
impianti necessari per l’utilizzo
dell’abitazione e che non possono essere
ubicati al suo interno; pertanto non sono
tali -quindi sono computabili ai fini della
volumetria consentita- le soffitte, gli
stenditori chiusi e quelli «di sgombero»,
nonché il piano di copertura, impropriamente
definito sottotetto, ma costituente in
realtà, come nella specie, una mansarda in
quanto dotato di rilevante altezza media
rispetto al piano di gronda (massima tratta
da www.studiospallino.it - Consiglio di
Stato, Sez. V,
sentenza 04.03.2008 n. 918 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
I volumi tecnici sono quelli
destinati esclusivamente agli impianti
necessari per l’utilizzo dell’abitazione e
che non possono essere ubicati al suo
interno.
E’ ormai da
tempo ben noto, infatti, che i volumi
tecnici sono quelli destinati esclusivamente
agli impianti necessari per l’utilizzo
dell’abitazione e che non possono essere
ubicati al suo interno; pertanto non sono
tali -quindi sono computabili ai fini della
volumetria consentita- le soffitte, gli
stenditori chiusi e quelli “di sgombero”,
nonché il piano di copertura, impropriamente
definito sottotetto, ma costituente in
realtà, come nella specie, una mansarda in
quanto dotato di rilevante altezza media
rispetto al piano di gronda (cfr. Cons. St.,
Sez. V, 13.05.1997 n. 483).
(Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 04.03.2008 n. 918 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
anno 2007 |
|
EDILIZIA PRIVATA: Fattispecie
in materia di ristrutturazione -
Volumi tecnici.
La realizzazione di nuovi volumi e
superfici destinati a rampa di scala di
accesso ad un terrazzo o ad un locale
lavanderia non costituisce un’ipotesi di
ristrutturazione edilizia (massima
tratta da www.studiospallino.it -
C.G.A.R.S., Sez. giurisd.,
sentenza 05.12.2007 n. 1096
- link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Sono qualificabili volumi tecnici
i locali che non possono essere ubicati
all’interno della parte abitativa, e non
invece i locali complementari all’abitazione
quali soffitte, stenditoi chiusi o di
sgombero e sottotetti.
Per costante giurisprudenza sono
qualificabili volumi tecnici i locali che,
esclusivamente adibiti alla sistemazione di
impianti aventi un rapporto di strumentalità
necessaria con l’utilizzazione della
costruzione, non possono essere ubicati
all’interno della parte abitativa, e non
invece i locali complementari all’abitazione
quali soffitte, stenditoi chiusi o di
sgombero e sottotetti (cfr. C.d.S. Sez. V
13.05.1997 n. 483)
(TAR Campania-Napoli, Sez. VIII,
sentenza 15.09.2007 n. 7578 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
La realizzazione di un locale
sottotetto mediante vani distinti e
comunicanti con il piano sottostante
mediante un scala interna è indice
rilevatore dell’intento di rendere abitabile
detto locale, non potendosi considerare
volumi tecnici i vani in esso ricavati.
I volumi tecnici sono quelli destinati
esclusivamente agli impianti necessari per
l’utilizzo dell’abitazione e che non possono
essere ubicati al suo interno; pertanto non
sono tali -e quindi sono computabili ai fini
della volumetria consentita– le soffitte,
gli stenditori chiusi e quelli do sgombero;
e non è volume tecnico il piano di
copertura, impropriamente definito
sottotetto, ma costituente in realtà una
mansarda in quanto dotato di rilevante
altezza media rispetto al piano di gronda.
La nozione di “volume tecnico” può essere
utilmente attribuita ad opere edilizie
completamente prive di una autonomia
funzionale, anche potenziale, in quanto
destinate a contenere impianti serventi di
una costruzione principale, per esigenze
tecnico-funzionali della costruzione stessa.
La giurisprudenza amministrativa ha
stabilito che la realizzazione di un locale
sottotetto mediante vani distinti e
comunicanti con il piano sottostante
mediante un scala interna è indice
rilevatore dell’intento di rendere abitabile
detto locale, non potendosi considerare
volumi tecnici i vani in esso ricavati
(Consiglio di Stato, sez. V, 31.01.206 n.
354; cfr. in tal senso anche TAR
Calabria–Catanzaro – Sez.II, 07.02.2006 n.
125).
Lo stesso Consiglio di Stato ha altresì
precisato che i volumi tecnici sono quelli
destinati esclusivamente agli impianti
necessari per l’utilizzo dell’abitazione e
che non possono essere ubicati al suo
interno; pertanto non sono tali -e quindi
sono computabili ai fini della volumetria
consentita– le soffitte, gli stenditori
chiusi e quelli do sgombero; e non è volume
tecnico il piano di copertura,
impropriamente definito sottotetto, ma
costituente in realtà una mansarda in quanto
dotato di rilevante altezza media rispetto
al piano di gronda (Consiglio di Stato, sez.
V, 13.05.1997 n. 483).
Applicando dette coordinate ermeneutiche al
caso in esame ne deriva che la nozione di “volume
tecnico” può essere utilmente attribuita
ad opere edilizie completamente prive di una
autonomia funzionale, anche potenziale, in
quanto destinate a contenere impianti
serventi di una costruzione principale, per
esigenze tecnico-funzionali della
costruzione stessa. Al di fuori di tale
ambito, ritiene il Collegio che il concetto
non può essere utilizzato né
dall’amministrazione né dal privato al fine
di negare rilevanza giuridica ai volumi
comunque esistenti nella realtà fisica (cfr.
anche TAR Milano – sez. II, 04.04.2002 n.
1337).
Ed invero, per l’identificazione della
nozione di volume tecnico assumono valore
tre ordini di parametri: il primo,
positivo, di tipo funzionale, ossia che il
manufatto abbia un rapporto di strumentalità
necessaria con l’utilizzo della costruzione;
il secondo ed il terzo
negativi, ricollegati all’impossibilità di
soluzioni progettuali diverse, nel senso che
tali costruzioni non devono essere ubicate
all’interno della parte abitativa e
dall’altro ad un rapporto di necessaria
proporzionalità fra i volumi e le esigenze
edilizie completamente prive di una propria
autonomia funzionale, anche potenziale, in
quanto destinale a contenere gli impianti
serventi di una costruzione principale.
(cfr. TAR Napoli–Sez. IV, 28.02.2006 n. 2451
e TAR Palermo - sez. III, n. 424 del
21.02.2006).
La rilevante
altezza media rispetto al piano di gronda,
seppur non utile ai fini della abitabilità
(siccome ridotta in misura minima rispetto
al precedente progetto), non consente di
qualificare il relativo volume come
sottotetto non computabile, trattandosi in
realtà di una mansarda (cfr. Consiglio di
Stato, sez. V, 13.05.1997 n. 483). Inoltre,
come già precisato dalla giurisprudenza
amministrativa richiamata, l’accessibilità
mediante una scala interna, della stessa
tipologia e dimensione di quella prevista
per accedere ai piani immediatamente
inferiori, nonché la previsione di una ampia
finestra di “aerazione” e di una
ulteriore apertura per accedere al terrazzo
calpestabile, costituiscono indici
rilevatori della effettiva natura della
cubatura progettata, già ex se non
proporzionata –quindi– alla mentovata
destinazione ad uso di locale tecnologico
(TAR
Sicilia-Palermo, Sez. I,
sentenza 09.07.2007 n. 1749 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
Nozione dei "c.d. volumi tecnici" - Inutilizzabilità
né adattabilità ad uso abitativo.
Sono "volumi tecnici" quelli - non utilizzabili né
adattabili ad uso abitativo - strettamente necessari a
contenere ed a consentire l'eccesso di quelle parti degli
impianti tecnici che non possono, per esigenze tecniche di
funzionalità degli impianti stessi, trovare allocazione
all'interno della parte abitativa dell'edificio realizzabile
nei limiti imposti dalle norme urbanistiche (Corte di
Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 29.05.2007 n. 21111
- link a www.ambientediritto.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Il torrino vano fine corsa
ascensore può essere definito come volume
tecnico, in quanto rientrano nel concetto di
volume tecnico quelle opere edilizie,
adibite alla sistemazione di impianti in
rapporto di strumentalità necessaria con
l’uso dell’edificio in cui vengono collocati
e che non possono essere sistemati
all’interno della parte abitativa.
I locali aventi una destinazione
complementare a quella residenziale, come la
mansarda, la soffitta, gli stenditoi chiusi
ed i ripostigli, non rientrano nell’ambito
dei cd. volumi tecnici e perciò vanno
computati ai fini della volumetria e/o
dell’altezza consentita.
Il torrino vano fine corsa ascensore può
essere definito come volume tecnico, in
quanto rientrano nel concetto di volume
tecnico quelle opere edilizie, adibite alla
sistemazione di impianti in rapporto di
strumentalità necessaria con l’uso
dell’edificio in cui vengono collocati e che
non possono essere sistemati all’interno
della parte abitativa, come per es. gli
impianti termici, gli impianti idrici e gli
impianti di ascensore comprensivi del
torrino vano fine corsa ascensore (cfr. sul
punto C.d.S. Sez. V Sent. n. 483 del
13.05.1997; TAR Lecce Sez. III Sent. n. 143
del 15.01.2005), mentre i locali aventi una
destinazione complementare a quella
residenziale, come la mansarda, la soffitta,
gli stenditoi chiusi ed i ripostigli, non
rientrano nell’ambito dei cd. volumi tecnici
e perciò vanno computati ai fini della
volumetria e/o dell’altezza consentita.
Di norma i volumi tecnici non vanno
computati sia dal calcolo della volumetria
che dal calcolo dell’altezza dell’edificio e
delle distanze ragguagliate all’altezza,
fatte salve puntuali disposizioni dello
strumento urbanistico (TAR Basilicata,
sentenza 23.05.2007 n. 456 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA: Volumi
tecnici e vani di sgombero - Nozione, differenza e funzione.
"Volumi tecnici" sono i volumi -non utilizzabili né
adattabili ad uso abitativo- strettamente necessari a
contenere ed a consentire l'eccesso di quelle parti degli
impianti tecnici che non possono, per esigenze tecniche di
funzionalità degli impianti stessi, trovare allocazione
all'interno della parte abitativa dell'edificio realizzabile
nei limiti imposti dalle norme urbanistiche.
I "vani di sgombero" non sono, invece, volumi
tecnici, poiché assolvono funzioni
complementari all'abitazione (Corte di
Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 15.02.2007 n. 6415
- link a www.ambientediritto.it). |
anno 2003 |
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EDILIZIA
PRIVATA: Non
può affatto riconoscersi alla cupola piramidale e alla
copertura della galleria (ndr: di un centro commerciale)
natura di volumi tecnici.
Questi ultimi sono, infatti, soltanto quelli destinati ad
ospitare impianti aventi un rapporto di strumentalità
necessaria con l'utilizzazione dell'immobile e che non
possono essere sistemati all'interno della parte abitativa,
quali impianti idrici, termici, macchine degli ascensori,
ecc., mentre non vi possono rientrare quelli che assolvano
ad una funzione diversa, sia pur necessaria al godimento
dell'edificio stesso e delle sue singole porzioni di
proprietà individuale.
In tale seconda categoria rientrano, quindi, la cupola e la
galleria coperta, in quanto elementi che sono posti a
servizio dei singoli esercizi che costituiscono, nel loro
insieme, il centro commerciale, il quale trova la propria
ragion d’essere nella comune utilizzazione degli spazi
(parcheggi, gallerie coperte, ecc.) che consentono agli
utenti di accedere contestualmente e comodamente ad una
pluralità di negozi di variegata tipologia.
Per quanto riguarda il superamento delle altezze massime, va
evidenziato che non può affatto riconoscersi alla cupola
piramidale e alla copertura della galleria natura di volumi
tecnici.
Questi sono, infatti, soltanto quelli destinati ad ospitare
impianti aventi un rapporto di strumentalità necessaria con
l'utilizzazione dell'immobile e che non possono essere
sistemati all'interno della parte abitativa, quali impianti
idrici, termici, macchine degli ascensori, ecc., mentre non
vi possono rientrare quelli che assolvano ad una funzione
diversa, sia pur necessaria al godimento dell'edificio
stesso e delle sue singole porzioni di proprietà
individuale.
In tale seconda categoria rientrano, quindi, la cupola e la
galleria coperta, in quanto elementi che sono posti a
servizio dei singoli esercizi che costituiscono, nel loro
insieme, il centro commerciale, il quale trova la propria
ragion d’essere nella comune utilizzazione degli spazi
(parcheggi, gallerie coperte, ecc.) che consentono agli
utenti di accedere contestualmente e comodamente ad una
pluralità di negozi di variegata tipologia (TAR Lombardia-Brescia,
sentenza 23.06.2003 n. 870). |
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