dossier ZONA AGRICOLA |
per approfondimenti vedi anche:
deliberazione G.R. 14.10.2019 n. 2258
(Integrazione alla
d.g.r. VII/20732 del 16.02.2005 «Linee guida per il
riconoscimento della qualifica di imprenditore agricolo
professionale»)
* * *
deliberazione G.R. 16.02.2005 n. 20732
(Linee guida per il riconoscimento della qualifica di
Imprenditore Agricolo Professionale - IAP)
* * *
D.Lgs. 29.03.2004 n. 99
[Disposizioni in materia di soggetti e attività, integrità
aziendale e semplificazione amministrativa in agricoltura, a
norma dell'articolo 1, comma 2, lettere d), f), g), l), ee),
della legge 07.03.2003, n. 38]
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anno
2021 |
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EDILIZIA PRIVATA - URBANISTICA: La
destinazione agricola è volta a perseguire
finalità paesaggistiche o ambientali.
La destinazione
agricola non può esclusivamente
riservarsi a zone interessate da tale
attività ma è volta a perseguire finalità
paesaggistiche o ambientali che trovano
albergo negli strumenti urbanistici.
Osserva, sul punto, la Corte costituzionale
come la pianificazione sia diretta, “al di
là di letture minimalistiche”, “non solo
alla disciplina coordinata della
edificazione dei suoli, ma anche allo
sviluppo complessivo e armonico del
territorio, nonché a realizzare finalità
economico-sociali della comunità locale, in
attuazione di valori costituzionalmente
tutelati".
La Corte Costituzionale ricorda, quindi,
come la pianificazione serva a realizzare lo
sviluppo complessivo ed armonico nel
rispetto dei valori costituzionali tra i
quali vi sono certamente, in linea generale,
le esigenze di tutela di valori ambientali e
paesaggistici come esposto da una copiosa
giurisprudenza della Sezione.
Difatti, secondo la più recente evoluzione
giurisprudenziale, all’interno della
pianificazione urbanistica devono trovare
spazio anche esigenze di tutela ambientale
ed ecologica, tra le quali spicca proprio la
necessità di evitare l’ulteriore
edificazione e di mantenere un equilibrato
rapporto tra aree edificate e spazi liberi.
E ciò in quanto “l’urbanistica ed il
correlativo esercizio del potere di
pianificazione non possono essere intesi,
sul piano giuridico, solo come un
coordinamento delle potenzialità
edificatorie connesse al diritto di
proprietà, così offrendone una visione
affatto minimale, ma devono essere
ricostruiti come intervento degli Enti
esponenziali sul proprio territorio, in
funzione dello sviluppo complessivo ed
armonico del medesimo, per cui l’esercizio
dei poteri di pianificazione territoriale
ben può tenere conto delle esigenze legate
alla tutela di interessi costituzionalmente
primari, tra i quali rientrano, appunto,
quelli contemplati dall’articolo 9 della
Costituzione”.
Argomentazioni condivise dal Collegio che
ritiene di rilievo l’ulteriore notazione
compiuta dalla sentenza in esame secondo cui
“la destinazione di un’area a verde agricolo
non implica necessariamente che la stessa
soddisfi in modo diretto e immediato
interessi agricoli, ben potendo
giustificarsi con le esigenze dell’ordinato
governo del territorio, quale la necessità
di impedire ulteriori edificazioni, ovvero
di garantire l’equilibrio delle condizioni
di vivibilità, assicurando la quota di
valori naturalistici e ambientali necessaria
a compensare gli effetti dell’espansione
dell’aggregato urbano”.
Al contrario, anche laddove si sia al
cospetto di aree ampiamente urbanizzate,
“non per questo se ne può escludere la
rilevanza dal punto di vista ambientale,
poiché tali dati di fatto si prestano anzi a
far emergere un interesse alla conservazione
del suolo inedificato, per ragioni di
compensazione ambientale”
(TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 18.02.2021 n.
459 - commento tratto da
https://camerainsubria.blogspot.com).
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SENTENZA
12.3.
Prendendo l’abbrivo da tale ricostruzione,
l’Amministrazione evidenzia, inoltre, come
negli ultimi anni la crescita
dell’urbanizzato continui senza sosta, “in
un contesto economico che dapprima
rallentava poi si arrestava e dove la
crescita contenuta della popolazione (e un
poco più consistente delle famiglie) trovava
origine quasi solo nella prepotente offerta
di nuove case (più che di nuovo lavoro, non
solo nei perimetri dei confini comunali)”.
In secondo luogo, l’Amministrazione
stigmatizza la crescita dell’urbanizzazione
che avviene in modo irregolare e non
trasparente e nota come alle nuove
urbanizzazioni si affianchino “processi di
sottoutilizzo, degrado e abbandono di spazi
già urbanizzati, con un intollerabile spreco
di risorsa suolo”.
Tale situazione risulta
di particolare gravità nell’ambito
territoriale compreso tra il fiume Lambro e
l’altopiano delle Groane e della brughiera
briantea, “dove i livelli di urbanizzazione
sono ormai elevatissimi (più di due terzi) e
il mantenimento dello spazio aperto residuo
diventa elemento fondamentale di equilibro
ecologico di un più ampio pezzo della
regione (mantenere un minimo di permeabilità
delle acque, del suolo che può assorbire
carbonio e ospitare un sistema di prati e
boschi ed aree coltivate capace di abbattere
bolle di calore e produrre ossigeno è ormai
un obiettivo inderogabile) e per garantire
qualità della vita per evitare in un
territorio altrimenti trasformato in una
foresta edificata e cementificata”.
12.4. L’Amministrazione decide, quindi, di
operare un cambio di rotta limitando una
ulteriore urbanizzazione che risulta foriera
di rischi ecologici “(per
l’impermeabilizzazione del suolo e il venir
meno di spazi per abbattimento del carbonio)
economici (per la difficile gestione di una
rete di urbanizzazioni primarie sempre più
estesa) e socio-culturali (per il venir meno
di spazi di naturalità e agricoli prossimi a
quelli di lavoro e residenza, per il degrado
paesistico)”. E lo fa anche nella
consapevolezza dei minori introiti per oneri
di urbanizzazione (sul nuovo edificato) ed
imposte su terreni edificati ed edificabili
(aspetto su cui pure si concentrano i
ricorrenti; cfr., infra).
Ritiene il Comune
che la scelta non sia nel lungo periodo
economicamente vantaggiosa e determini,
comunque, svantaggi superiori alla ofelimità
immediata. Inoltre, secondo
l’Amministrazione, eliminando le previsioni
di nuove edificazioni su suoli liberi “ci si
può proporre di riutilizzare il capitale
fisso territoriale già presente (strade,
fogne, lotti già urbanizzati), reimpiegandolo e reinterpretandolo”: “un
riuso dello spazio già urbanizzato che in
alcuni casi si confronta con i temi della
memoria, ossia con episodi edilizi (ville
edifici rurali, tessuto corte) con
significativo valore storico e
testimoniale”.
12.5. Il progetto urbanistico delineato “si
muove allora in due direzioni: da un lato il
tentativo di rendere più urbano, più
qualificato, più civile, più vivibile e
abitabile lo spazio già urbanizzato,
dall’altro lo sforzo di promuovere una
naturalità diffusa che entra non solo
nell’esperienza quotidiana del nostro
vivere, nel regolare alcuni aspetti
dell’edificazione, nel giardino pubblico e
privato sotto casa, nel grande parco a
corona della città nella campagna residua
che si faccia più urbana e più ricca di
valori ambientali”.
12.6. In base a tali premesse
l’Amministrazione decide di “superare” le
logiche del P.G.T. del 2008, di procedere ad
eliminare molte aree di espansione e di
introdurre il “principio di compensazione
ecologica preventiva che agisce, sia come
elemento di riequilibrio delle convenienze
relative tra gli interventi più costosi su
aree già urbanizzate e quelli sua aree
libere, sia come dispositivo che permette di
riqualificare gli spazi aperti residui”.
A
questa direttrice si ascrivono le scelte di:
i) introdurre un dispositivo per i
trasferimenti volumetrici al fine di ridurre
la frammentazione e il degrado degli spazi
aperti; ii) revisionare tutta la
regolamentazione urbanistica-edilizia
assumendo come obiettivo prioritario la
qualificazione dei suoi differenti ambienti
già urbanizzati e il lavoro sul costruito e
tra il costruito; iii) individuare le aree
del territorio comunale che entreranno in un
grande parco di interesse sovra comunale che
espande il PLIS Grugnotorto -Villoresi e
della Brianza centrale. Un progetto che
“recepisce le indicazioni provinciali sulla
rete verde di ricomposizione paesaggistica e
sugli ambiti di azione paesaggistica e a sua
volta contribuisce a ridefinire in
estensione i perimetri delle aree agricole
strategiche di questo stesso piano” (pag.
30).
12.7. Sulla base delle indicazioni tratte
dalla Relazione appaiono evidenti le
direttrici del nuovo Piano che non risultano
né arbitrarie né irragionevoli ma, al
contrario, mirano ad un miglior utilizzo del
suolo in un’area già particolarmente
compromessa. Il tema della riduzione del
consumo del suolo è, quindi, posto al centro
del Piano che lo qualifica come “la prima e
macroscopica scelta” (pag. 78) che si
intende perseguire attraverso
“l’individuazione di una griglia che tutela
e salvaguardia lo spazio aperto rurale”.
Una
griglia definita dal perimetro del
territorio urbanizzato e da quello destinato
ad entrare nel p.l.i.s. sovracomunale tra
cui rientrano le aree dei ricorrenti. Nelle
aree agricole si cerca di incentivare “usi
che non comportino la frammentazione e
frantumazione degli spazi e viceversa che ne
valorizzino la continuità d’uso, la natura
aperta alla vista”.
Caratteristiche che si
rinvengono nell’area dei ricorrenti che ha
le dimensioni assai cospicue (mq.
48.571,75), come tali idonee a realizzare
l’obiettivo descritto.
12.8. La decisione comunale non è, quindi,
in contrasto con la situazione fattuale né
può considerarsi irragionevole.
La
destinazione agricola, inoltre, non può
esclusivamente riservarsi a zone interessate
da tale attività ma è volta a perseguire
finalità paesaggistiche o ambientali che
trovano albergo negli strumenti urbanistici.
Osserva, sul punto, la Corte costituzionale
come la pianificazione sia diretta, “al di
là di letture minimalistiche”, “non solo
alla disciplina coordinata della
edificazione dei suoli, ma anche allo
sviluppo complessivo e armonico del
territorio, nonché a realizzare finalità
economico-sociali della comunità locale, in
attuazione di valori costituzionalmente
tutelati (da ultimo, Consiglio di Stato,
sezione quarta, sentenze 09.05.2018, n.
2780, 22.02.2017, n. 821 e 10.05.2012, n. 2710)” (Corte Costituzionale, 16.07.2019, n. 179).
La Corte Costituzionale ricorda, quindi,
come la pianificazione serva a realizzare lo
sviluppo complessivo ed armonico nel
rispetto dei valori costituzionali tra i
quali vi sono certamente, in linea generale,
le esigenze di tutela di valori ambientali e
paesaggistici come esposto da una copiosa
giurisprudenza della Sezione (cfr., ex multis, TAR per la Lombardia – sede di
Milano, Sez. II, 29.05.2020, n. 960; Id.,
14.12.2020, n. 2491).
Difatti, secondo
la più recente evoluzione giurisprudenziale,
all’interno della pianificazione urbanistica
devono trovare spazio anche esigenze di
tutela ambientale ed ecologica, tra le quali
spicca proprio la necessità di evitare
l’ulteriore edificazione e di mantenere un
equilibrato rapporto tra aree edificate e
spazi liberi (Consiglio di Stato, IV, 21.12.2012, n. 6656; TAR per la
Lombardia – sede di Milano, Sez. II, 14.02.2020, n. 309).
E ciò in quanto, come affermato dalla
Sezione, “l’urbanistica ed il correlativo
esercizio del potere di pianificazione non
possono essere intesi, sul piano giuridico,
solo come un coordinamento delle
potenzialità edificatorie connesse al
diritto di proprietà, così offrendone una
visione affatto minimale, ma devono essere
ricostruiti come intervento degli Enti
esponenziali sul proprio territorio, in
funzione dello sviluppo complessivo ed
armonico del medesimo, per cui l’esercizio
dei poteri di pianificazione territoriale
ben può tenere conto delle esigenze legate
alla tutela di interessi costituzionalmente
primari, tra i quali rientrano, appunto,
quelli contemplati dall’articolo 9 della
Costituzione” (TAR per la Lombardia –
sede di Milano, Sez. II, 14.02.2020,
n. 309; cfr., inoltre, Consiglio di Stato,
IV, 10.05.2012, n. 2710; TAR
Lombardia, Milano, II, 18.06.2018, n.
1534).
Argomentazioni condivise dal Collegio che
ritiene di rilievo l’ulteriore notazione
compiuta dalla sentenza in esame secondo cui
“la destinazione di un’area a verde agricolo
non implica necessariamente che la stessa
soddisfi in modo diretto e immediato
interessi agricoli, ben potendo
giustificarsi con le esigenze dell’ordinato
governo del territorio, quale la necessità
di impedire ulteriori edificazioni, ovvero
di garantire l’equilibrio delle condizioni
di vivibilità, assicurando la quota di
valori naturalistici e ambientali necessaria
a compensare gli effetti dell’espansione
dell’aggregato urbano” (cfr., inoltre,
Consiglio di Stato, Sez. IV, 12.02.2013, n. 830; TAR Lombardia – Sede di
Milano, Sez. II, 22.01.2019, n. 122).
Al contrario, anche laddove si sia al
cospetto di aree ampiamente urbanizzate,
“non per questo se ne può escludere la
rilevanza dal punto di vista ambientale,
poiché tali dati di fatto si prestano anzi a
far emergere un interesse alla conservazione
del suolo inedificato, per ragioni di
compensazione ambientale” (v., ancora,
TAR per la Lombardia – sede di Milano, Sez. II, 14.02.2020, n. 309; cfr.,
inoltre, TAR per la Lombardia – sede di
Milano, Sez. II, 05.11.2018, n. 2479).
Valori che, nel caso di specie, necessitano
di particolare tutela stante l’elevata
urbanizzazione del passato e l’irrazionale
consumo di suolo perpetrato sul territorio.
12.9. In ultimo, sono irrilevanti le
deduzioni connesse a quanto corrisposto a
titolo di imposta patrimoniale per le aree,
trattandosi di contribuzione legata ad un
diverso presupposto e, cioè, l’edificabilità
dell’area nel periodo di imposta di
riferimento. Si tratta, quindi, di un
aspetto logicamente derivato dalla
destinazione urbanistica ed inidoneo,
quindi, a determinarla ma, al contrario,
plasmato proprio dalla superiore scelta
dettata nello strumento.
13. In definitiva, le domande di
annullamento devono essere respinte in
quanto infondate.
14. Vanno, inoltre, respinte le domande di
risarcimento del danno atteso che la
decretata legittimità delle scelte comunali
elide la possibile predicabilità di un danno
ingiusto, componente essenziale della
fattispecie di cui all’art. 2043 c.c. (cfr.,
ex multis: C.d.S., V, 11.01.2018, n. 118; Id.,
IV, 25.01.2017, n. 293, Id., IV, 27.04.2015,
n. 2109, Id., IV, 06.08.2013, n. 4150; Id., V,
09.05.2017, n. 2115, Id., V, 13.02.2017, n.
604, Id., V, 21.06.2016, n. 2723, Id., V,
22.03.2016, n. 1186). |
anno
2020 |
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URBANISTICA: Divieto
generalizzato di insediamento per intere
tipologie di attività agricole.
Il potere di regolazione del territorio
riservato ai Comuni è sovraordinato, e si
impone all’interno della procedura di VIA,
in quanto esprime scelte discrezionali sul
migliore utilizzo del territorio. Quando
però nello strumento urbanistico comunale
entrano valutazioni di tipo ambientale e
sanitario la situazione cambia, perché vi
sono altre autorità che condividono il
potere di stabilire se una certa attività
economica sia compatibile con le
caratteristiche dei luoghi e con il livello
di rischio accettabile per la collettività.
Il Comune non può utilizzare lo strumento
urbanistico per decidere da solo,
sostituendosi alle altre autorità e rendendo
inutili le garanzie previste
dall’ordinamento, tra cui la procedura di
VIA.
Le suddette garanzie tutelano sia i diversi
interessi pubblici coinvolti sia l’interesse
economico dei soggetti che intendono avviare
nuove attività produttive. Un’impostazione
rigida come quella urbanistica,
particolarmente se articolata mediante
divieti astratti e presunzioni che non
ammettono la prova contraria, è inadeguata a
regolare da sola la realtà flessibile e
dinamica delle attività produttive, le quali
possono avere impatti molto diversi a
seconda dei modelli organizzativi scelti e
della tecnologia impiegata. Un divieto
generalizzato per intere tipologie di
attività agricole, oltretutto in un contesto
non adatto a destinazioni diverse da quelle
agricole produttive, appare una soluzione in
contrasto con il principio di
proporzionalità.
La decisione sulle aspettative dei privati
deve quindi essere riportata nella sede
propria, ossia nella procedura di VIA, e
nella successiva procedura di AIA, dove sono
effettuate valutazioni sul caso concreto, e
formulate prescrizioni in grado di fissare
il punto di equilibrio tra la tutela
ambientale e l’iniziativa economica.
...
Nella fattispecie è stata ritenuta
illegittima una disciplina del PGT che, con
riferimento alle zone agricole produttive,
prevede lo svolgimento di attività di
produzione di beni agroalimentari ad alta
intensità e concentrazione, ma vieta la
costruzione di nuovi allevamenti di tipo
intensivo, allo scopo di tutelare le qualità
geomorfologiche del territorio
(TAR Lombardia-Brescia, Sez. II,
sentenza 15.09.2020 n. 643 - commento tratto da
https://camerainsubria.blogspot.com).
---------------
16. Sulle questioni rilevanti ai fini della
decisione si possono svolgere le seguenti
considerazioni:
(a) in primo luogo, non appare condivisibile
l’argomento che vorrebbe far derivare
l’inapplicabilità del divieto di nuovi
allevamenti intensivi ex art. 21.12.4 delle
NTA dalla circostanza che l’allevamento in
questione sarebbe un semplice ampliamento.
In materia urbanistica e ambientale vi è
ampliamento di una costruzione o di un
impianto se esiste un collegamento
materiale, oltre che funzionale, con una
struttura preesistente. Non è necessario che
il collegamento sia immediato e diretto, in
quanto in posizione intermedia possono
trovarsi fabbricati o strutture di terzi, ma
è richiesta comunque una certa continuità
spaziale. Nel caso in esame, invece, il
nuovo allevamento si trova in un diverso
punto del territorio comunale, distante
alcuni chilometri e del tutto separato
dall’allevamento preesistente;
(b) il fatto che l’area sia collocata
all’interno di un ambito estrattivo può
ostacolare la realizzazione di un nuovo
allevamento solo finché il piano cave
provinciale sia efficace. Alla scadenza del
piano cave, se l’area non viene reinserita
in un ambito estrattivo, si espandono sia la
potestà pianificatoria comunale sia le
aspettative dei privati a una diversa
utilizzazione produttiva;
(c) nello specifico, l’art. 22.6.4 delle NTA
prevede il ripristino delle attività
agricole indicate nei precedenti articoli
dal 21.1 al 21.9, compresa quindi la
realizzazione di allevamenti, con la sola
eccezione degli allevamenti suinicoli (v.
art. 21.6.3.2), e a condizione che almeno il
25% dell’alimentazione degli animali sia
prodotto in azienda (v. art. 21.6.1-d delle
NTA). Il riferimento alla disciplina degli
ambiti estrattivi operato dal Comune non è
quindi idoneo a impedire la realizzazione
dell’allevamento voluto dalla ricorrente,
come del resto evidenziato anche dalla
Provincia;
(d) la disciplina urbanistica comunale
relativa all’area scelta per il nuovo
allevamento è però composta da più strati,
in relazione ai diversi profili ambientali e
pianificatori considerati. Per quanto
riguarda la trasformazione del territorio,
viene in rilievo la disciplina degli ambiti
agricoli strategici a elevata
caratterizzazione produttiva, per i quali
l’art. 21.12.4 delle NTA vieta la
costruzione di nuovi allevamenti di tipo
intensivo, allo scopo di tutelare le qualità
geomorfologiche del territorio;
(e) non sembra al riguardo condivisibile la
tesi della ricorrente, secondo cui il
divieto sarebbe inapplicabile perché non
richiamato nell’art. 22.6.4 delle NTA, che
regola il passaggio dall’attività estrattiva
alle nuove destinazioni d’uso. È vero che la
tutela delle qualità geomorfologiche del
territorio non ha alcun significato in
relazione ad aree radicalmente trasformate
dall’attività estrattiva, ma non è
dimostrato che la specifica area scelta per
il nuovo allevamento sia stata
effettivamente e interamente modificata.
D’altra parte, come evidenziato dalla difesa
del Comune, i rinvii tra le norme del PGT
sono dinamici, e dunque all’art. 21.12.4
delle NTA (non richiamato) si può arrivare
attraverso l’art. 21.1.1 delle NTA
(richiamato), che definisce gli ambiti
agricoli strategici a elevata
caratterizzazione produttiva, ai quali
appartiene anche l’area della ricorrente;
(f) il punto è invece se un divieto come
quello contenuto nell’art. 21.12.4 delle NTA
sia legittimo. La norma è stata
espressamente impugnata, e tale impugnazione
non può essere considerata tardiva, in
quanto l’interesse al ricorso non poteva
sussistere fino alla presentazione del
progetto del nuovo allevamento e alla
pronuncia negativa dell’amministrazione;
(g) nel merito, la questione deve essere
risolta nel senso dell’illegittimità
dell’art. 21.12.4 delle NTA. Una prima
criticità consiste nella contraddizione
rispetto alla circostanza (accertata
dall’art. 21.12.1 delle NTA) che le zone
agricole produttive presentano solo limitate
aree di valore naturale e ambientale.
Essendovi una chiara vocazione produttiva di
tipo intensivo, riconosciuta a livello
sovracomunale dal PTCP, e mancando
significativi elementi di naturalità, non è
ragionevole estendere in via generale la
disciplina restrittiva prevista per le zone
agricole strategiche a elevata valenza
paesistica;
(h) una seconda criticità riguarda i
rapporti tra la disciplina urbanistica
comunale e la procedura di VIA gestita dalla
Provincia. Il potere di regolazione del
territorio riservato ai Comuni è
sovraordinato, e si impone all’interno della
procedura di VIA, in quanto esprime scelte
discrezionali sul migliore utilizzo del
territorio. Quando però nello strumento
urbanistico comunale entrano valutazioni di
tipo ambientale e sanitario la situazione
cambia, perché vi sono altre autorità che
condividono il potere di stabilire se una
certa attività economica sia compatibile con
le caratteristiche dei luoghi e con il
livello di rischio accettabile per la
collettività. Il Comune non può utilizzare
lo strumento urbanistico per decidere da
solo, sostituendosi alle altre autorità e
rendendo inutili le garanzie previste
dall’ordinamento, tra cui la procedura di
VIA;
(i) le suddette garanzie tutelano sia i
diversi interessi pubblici coinvolti sia
l’interesse economico dei soggetti che
intendono avviare nuove attività produttive.
Un’impostazione rigida come quella
urbanistica, particolarmente se articolata
mediante divieti astratti e presunzioni che
non ammettono la prova contraria, è
inadeguata a regolare da sola la realtà
flessibile e dinamica delle attività
produttive, le quali possono avere impatti
molto diversi a seconda dei modelli
organizzativi scelti e della tecnologia
impiegata. Un divieto generalizzato per
intere tipologie di attività agricole,
oltretutto in un contesto non adatto a
destinazioni diverse da quelle agricole
produttive, appare una soluzione in
contrasto con il principio di
proporzionalità;
(j) la decisione sulle aspettative dei
privati deve quindi essere riportata nella
sede propria, ossia nella procedura di VIA,
e nella successiva procedura di AIA, dove
sono effettuate valutazioni sul caso
concreto, e formulate prescrizioni in grado
di fissare il punto di equilibrio tra la
tutela ambientale e l’iniziativa economica;
(k) più specificamente, con riguardo alle
preoccupazioni espresse dal Comune nella
nota del 05.04.2018, è all’interno delle
suddette procedure che potranno essere
valutati i rischi per gli acquiferi, tenendo
conto della proposta di impermeabilizzazione
del suolo dell’allevamento e delle modalità
di gestione della pollina e dei reflui di
lavaggio.
17. In conclusione, entrambi i ricorsi
devono essere accolti nella parte
impugnatoria, con il conseguente
annullamento degli atti impugnati. |
EDILIZIA PRIVATA - URBANISTICA:
Le normative comunali, che ammettono una limitata possibilità di
realizzare in zona agricola interventi edilizi, devono essere interpretate
nel senso che si deve comunque assicurare tutela al territorio agricolo e
alla sua concreta utilizzazione a fini alimentari, dovendo al contrario
ritenersi del tutto inconciliabili con le finalità di una zona agricola la
realizzazione di strutture che ne pregiudichino definitivamente la
destinazione naturale del territorio e comportano la sua deruralizzazione.
---------------
Infine, è infondata anche la quarta censura.
Come correttamente eccepito dal Comune, l’attività di autotrasporto per
conto terzi non ha alcuna connessione logica con la zona (agricola) in cui
questa viene esercitata, rimanendo violata, di conseguenza, la normativa
urbanistica. Come ritenuto in giurisprudenza, “Le normative comunali, che
ammettono una limitata possibilità di realizzare in zona agricola interventi
edilizi, devono essere interpretate nel senso che si deve comunque
assicurare tutela al territorio agricolo e alla sua concreta utilizzazione a
fini alimentari, dovendo al contrario ritenersi del tutto inconciliabili con
le finalità di una zona agricola la realizzazione di strutture che ne
pregiudichino definitivamente la destinazione naturale del territorio e
comportano la sua deruralizzazione” (TAR Piemonte Torino Sez. II Sent.,
18/01/2017, n. 134; in senso analogo Tar Campania, Napoli, Sez. VII, n.
2964/2018).
E, nel caso di specie, è pacifico che le attività in concreto esercitate
siano del tutto incompatibili con la destinazione del terreno a fini
alimentari
(TAR Campania-Napoli, Sez. VII,
sentenza 04.06.2020 n. 2200 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA - URBANISTICA:
La giurisprudenza del Consiglio di Stato ha affermato il principio secondo
cui l'attività agricola assolve alla funzione di difesa del territorio sotto
il profilo idrogeologico, paesaggistico, ambientale e produttivo e che,
pertanto, le norme contenute negli strumenti urbanistici comunali che
ammettono la limitata possibilità di realizzare interventi edilizi in aree
rurali devono essere interpretate nel senso che deve essere salvaguardata la
tutela del territorio agricolo e la sua utilizzazione.
Ne discende che in un'area agricola non sono ammesse strutture che
pregiudichino definitivamente la destinazione naturale del territorio o che
alterino irreversibilmente lo stato dei luoghi.
---------------
14. Con il secondo motivo si contesta il merito del provvedimento
impugnato, il decreto dirigenziale dell’A.R.T.A. n. 5 del 23.01.2015,
sostenendo come lo stesso non appaia rispettoso di quanto previsto dall’art.
n. 48 delle n.t.a. del piano regolatore generale del Comune di Ragusa. Si
tratta del rilievo principale mosso dagli odierni appellanti.
A detta di parte appellante proprio l’art. 48 delle n.t.a. del piano
consentirebbe la possibilità di edificare nelle zone oggetto del presente
procedimento anche a prescindere dalla finalità agricola.
Sotto il titolo “art. 48-Agricolo-produttivo con muri a secco", in
particolare, si legge che: “Sono così definite le aree agricole destinate
alla conservazione e/o all’incremento delle coltivazioni agricole. In tali
aree acquistano rilevanza storica e paesaggistica i muri a secco che vanno
mantenuti e preservati dal degrado.
Sono ammessi le attività e gli usi connessi con l’esecuzione
dell’agricoltura compresa la residenza a servizio del fondo, nonché
l’agriturismo e quelle previste dall’art. 22 della l.r. 71/1978 e successive
modifiche…
Per gli insediamenti produttivi ex art. 22 della l.r. n. 71/1978, vanno
osservate le condizioni di cui all’art. 6, comma 2, della legge regionale
17/1994.
È consentita la destinazione abitativa nelle zone agricole con l’indice di
fabbricabilità fondiaria pari a mc/mq 0,03 in conformità al d.m. 02.04.1968
n. 1444 (art. 7).”
Si tratta di stabilire se l’ultimo comma debba essere letto come autonoma
previsione che consenta un’edificabilità diversa da quella prevista dal
secondo comma o si tratti solo di una specificazione di quanto previsto
proprio dal quel comma.
Nell’interpretazione delle norme prevalenza deve darsi ai criteri che
tengano conto dei principi generali che regolano complessivamente la
specifica materia dell’odierna fattispecie a partire dall’art. 22 l.r. n.
71/1978.
Ebbene la scelta operata dal piano regolatore generale è quella di
individuare la zona oggetto del presente procedimento come zona a vocazione
agricola.
La giurisprudenza del Consiglio di Stato ha affermato il principio secondo
cui l'attività agricola assolve alla funzione di difesa del territorio sotto
il profilo idrogeologico, paesaggistico, ambientale e produttivo e che,
pertanto, le norme contenute negli strumenti urbanistici comunali che
ammettono la limitata possibilità di realizzare interventi edilizi in aree
rurali devono essere interpretate nel senso che deve essere salvaguardata la
tutela del territorio agricolo e la sua utilizzazione (Cons. St., sez. IV,
04.10.2011 n. 5442; sez. IV 18.03.2010 n. 1624; sez. IV, 27.07.2012 n.
4294).
Ne discende che in un'area agricola non sono ammesse strutture che
pregiudichino definitivamente la destinazione naturale del territorio o che
alterino irreversibilmente lo stato dei luoghi.
Sulla base di tale criterio esegetico, l’ultimo comma dell’art. 48 delle
n.t.a. del p.r.g. costituisce una specificazione ed una ulteriore
limitazione di quanto previsto dal secondo comma: non solo le edificazioni
devono essere servili rispetto al fine agricolo, ma le dimensioni delle
stesse devono rispettare quanto previsto dal terzo comma.
L’interpretazione alternativa finirebbe di privare di senso l’intero
articolo perché si perverrebbe alla conclusione di vincolare una zona del
territorio alla finalità agricola e contemporaneamente si consentirebbe una
edificazione che nulla ha a che fare con l’agricoltura. L’assunto non appare
logico.
Rileva, poi, condivisibilmente la difesa del Comune appellato: “Un’ulteriore
conferma della interpretazione secondo cui il terzo comma è una
specificazione dei primi due commi si trova anche nel 5° comma dell’art. 48
delle N.T.A., che è così rubricato: “Modalità di intervento, indici e
parametri delle costruzioni".
Tale comma, dopo aver affermato che, nelle zone agricole, il P.R.G. si
applica per intervento edilizio diretto nel rispetto di determinati indici,
distingue due tipi di intervento edilizio: 1) quello per le abitazioni a
servizio del fondo (per i quali vale l’indice dell’0,03 mc/mq.) e 2) quello
per i fabbricati a servizio dell’agricoltura (per i quali valgono indici
diversi).
Ciò significa che non vi è spazio per interventi edilizi di tipo diverso e
che l’interpretazione secondo cui nella zona agricola si potrebbero
realizzare abitazioni con il solo limite del rispetto dell’indice di
fabbricabilità fondiaria pari a mc/mq. 0.03 sarebbe in contrasto con le NTA
e con la legge regionale n. 71/1978.
Tenuto conto di quanto affermato è l’intera costruzione a doversi ritenere
illegittimamente edificata non potendosi accedere alla richiesta subordinata
di considerare viziata solo la DIA n. 77/2010 relativa al recupero a fini
abitativi dei sottotetti
(CGARS,
sentenza 26.05.2020 n. 325 -
commento tratto da e link a www.giustizia-amministrativa.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA -
EDILIZIA PRIVATA: Impianto
di trattamento rifiuti in area agricola: è lecito?
Ai sensi dell’art. 196, co. 3, del D.L.vo n. 152/2006, le regioni privilegiano
la realizzazione di impianti di smaltimento e recupero dei rifiuti in aree
industriali, collocandoli preferibilmente nella zona individuata dal governo
del territorio per le attività industriali.
Tuttavia, considerato che tale
collocazione costituisce solo un’indicazione di massima ovvero un criterio
preferenziale, la localizzazione di un impianto di trattamento e recupero di
rifiuti in zona agricola non viola la norma di cui all’art. 196, comma 3,
del D.L.vo 152/2006, incombendo sull’amministrazione l’onere di individuare
specifiche ragioni di ostacolo alla sua ubicazione in detta zona
(massima tratta da www.tuttoambiente.it).
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Col primo motivo si denuncia l’errore commesso dal Tribunale nel
ritenere compatibile la localizzazione di un impianto di trattamento e
recupero di rifiuti con la destinazione agricola dell’area.
Secondo quanto si legge nella gravata sentenza, che sul punto richiama una
precedente pronuncia del massimo organo di giustizia amministrativa (Cons.
Stato., Sez. V, 28/06/2012, 3818), l’art. 196, comma 3, del D.Lgs. n.
03.04.2006, n. 152, prevederebbe un criterio di mera preferenza circa
l’allocazione in aree industriali degli impianti di smaltimento e recupero
rifiuti, onerando l’amministrazione di valutare in concreto la compatibilità
del detto impianto con la destinazione dell’area di localizzazione, per cui
la circostanza che il medesimo non sia ubicato in zona industriale, ma in
zona agricola, non costituirebbe ex se motivo ostativo alla sua
ammissibilità.
Inoltre, i provvedimenti di ritiro si porrebbero in contrasto con i numerosi
atti di assenso emessi dal Comune a partire dal 1998.
Le conclusioni cui il Tribunale è giunto non sarebbero, però, condivisibili
in quanto il precedente giurisprudenziale richiamato, non risulterebbe
applicabile alla fattispecie, facendo esso riferimento a un tipo di impianto
diverso (impianto di stoccaggio e trattamento di fanghi biologici, da
avviarsi a recupero mediante spandimento in agricoltura) da quello per cui è
causa (cernita, trattamento e stoccaggio degli sfridi edilizi).
L’avversata pronuncia e il precedente a cui questa si richiama, non
sarebbero condivisibili nemmeno laddove, premesso che “la destinazione
agricola di una determinata area è volta […] a preservarne le
caratteristiche attuali di zona di salvaguardia da ogni possibile nuova
edificazione”, fanno salva la localizzazione in tale zona di un impianto
di recupero rifiuti, atteso che anche la realizzazione di quest’ultimo è
idonea a pregiudicarne l’attuale destinazione non edificatoria.
All’odierna fattispecie si sarebbero dovuti, quindi, applicare i principi
enunciati dalla sentenza del Consiglio di Stato, Sez. IV, 27/07/2011, n.
4505, la quale ha escluso la possibilità di localizzare in zona agricola un
impianto di frantumazione di sfridi edilizi e di stoccaggio di inerti.
Non rileverebbe, inoltre, che il Comune abbia in passato autorizzato la
realizzazione dell’impianto, che sia trascorso lungo tempo dagli atti di
assenso e che la parte appellata abbia fatto affidamento sulla legittimità
dei titoli rilasciati (l’affidamento risulterebbe, peraltro, escluso sia dal
fatto che con l’istanza accolta col P.d.C. n. 952/2017 l’appellato non
avrebbe chiesto un permesso in sanatoria, ma solo l’adeguamento e
l’ampliamento dell’impianto esistente, sia dalla mancanza nella fattispecie
di buona fede).
La doglianza è infondata.
La menzionata sentenza del Consiglio di Stato n. 3818 del 2012, che il
Collegio condivide, ha affermato che: <<lo stesso tenore letterale del
terzo comma dell’articolo 196 (del D.Lgs. n. 152/2006) esclude che la
realizzazione di impianti di smaltimento e recupero dei rifiuti debba
avvenire necessariamente ed esclusivamente in aree industriale, così
esprimendo una previsione tendenziale e di massima, un criterio direttivo di
preferenza cui devono attenersi in linea di principio le regioni,
coerentemente con la peculiare forma verbale usata dal legislatore, secondo
cui le regioni “privilegiano” la realizzazione dei predetti impianti in tali
zone.
Del resto è agevole intuire la ratio di un simile criterio direttivo, volto
a sottolineare la natura industriale di tali impianti, collocandoli quindi
preferibilmente, in coerenza con il disegno urbanistico delineato dallo
strumento di governo del territorio, nella zona da quest’ultimo individuata
per le attività industriali; tuttavia, la circostanza che tale collocazione
costituisca solo una indicazione di massima ovvero un criterio preferenziale
è confermata dalla espressa previsione che essa deve essere comunque
compatibile con le peculiari caratteristiche dell’area: insomma il
legislatore ha inteso fissare una indicazione preferenziale, astratta, salvo
poi a demandare in concreto la verifica e la valutazione della sua
compatibilità.
Di per sé, quindi, il fatto che l’area su cui era stata prevista la
realizzazione dell’impianto, oggetto della negata autorizzazione, non fosse
urbanisticamente classificata quale zona industriale non costituiva motivo
ostativo al rilascio dell’approvazione, né imponeva, così come
suggestivamente insinuato dalle appellanti, al soggetto richiedente di
provare l’impossibilità di collocare l’impianto da realizzare in zona
industriale, spettando piuttosto all’amministrazione il potere/dovere di
verificare comunque la compatibilità del sito prescelto con l’impianto da
realizzare>>.
Né può essere invocato, a fondamento del ritiro <<la circostanza che
l’area su cui era stata prevista la realizzazione dell’impianto fosse
urbanisticamente classificata, come zona agricola E.
E’ sufficiente ricordare al riguardo che, secondo un consolidato indirizzo
giurisprudenziale, dal quale non vi è motivo di discostarsi, la destinazione
agricola di una determinata area è volta non tanto e non solo a garantire il
suo effettivo utilizzo a scopi agricoli, quanto piuttosto a preservarne le
caratteristiche attuali di zona di salvaguardia da ogni possibile nuova
edificazione, con la conseguenza che, salvo diverse specifiche previsioni,
essa non può considerarsi incompatibile con la realizzazione di un impianto
di discarica, tanto più che quest’ultimo deve essere ragionevolmente
localizzato al di fuori della zona abitata (C.d.S., sez. V, 01.10.2010, n.
7243; 16.06.2009, n. 3853).
E’ stato anche sottolineato che il potere di pianificazione del territorio
non può precludere del resto insediamenti industriali in zone a destinazione
agricola, salvo che in via eccezionale, quando cioè si sia in presenza di un
assetto agricolo di particolare pregio, consolidato da tempo remoto ovvero
favorito da opere di bonifica, ciò anche in considerazione del fatto che la
destinazione agricola ha in realtà lo scopo di impedire insediamenti
abitativi residenziali e non già quello di precludere in via assoluta e
radicale qualsiasi intervento urbanisticamente rilevante (C.d.S., sez. V,
18.09.2007, n. 4861).
In questa ottica deve essere apprezzata la previsione contenuta nel sesto
comma dell’art. 208 del D.Lgs. 03.04.2006, n. 152, secondo cui
“L’approvazione sostituisce ad ogni effetto visti, pareri, autorizzazioni e
concessioni di organi regionali, provinciali e cominciali, costituisce, ove
occorra, variante allo strumento urbanistico e comporta la dichiarazione di
pubblica utilità, urgenza ed indifferibilità dei lavori”.
Essa invero sarebbe ultronea e priva di qualsiasi utilità se l’impianto da
realizzare dovesse essere collocato obbligatoriamente ed esclusivamente in
zona industriale, laddove la ricordata previsione normativa ne permette
invece la collocazione anche in una zona che, secondo le previsioni
urbanistiche, non la tollererebbe, subordinatamente al riscontro ed alla
valutazione di compatibilità in concreto da parte dell’amministrazione>>.
Tanto basta a ritenere corrette le conclusioni raggiunte dal giudice di
prime cure, atteso che la mera localizzazione di un impianto di trattamento
e recupero di rifiuti in zona agricola, di qualunque tipo esso sia, non
viola la norma di cui all’art. 196, comma 3, del D.Lgs. n. 152 del 2006,
incombendo sull’amministrazione, sulla base delle sopra esposte
considerazioni, l’onere di individuare specifiche ragioni di ostacolo alla
sua ubicazione in detta zona
(Consiglio di Stato, Sez. VI,
sentenza 10.05.2020 n. 3202 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA - URBANISTICA: Per
quanto attiene alla nozione di area agricola strategica la
giurisprudenza ha riconosciuto che il concetto di area a vocazione
agricola e il concetto di area agricola strategica non sono
sovrapponibili.
In particolare, è stato detto che “In disparte l’elemento storico
(provenienza dei due concetti da differenti impianti normativi) e testuale
(l’espressa connotazione delimitativa delle aree agricole strategiche),
appare corretta la lettura del TAR che ha evidenziato come anche la Regione
Lombardia avesse individuato diversamente i criteri per la definizione degli
ambiti destinati all’attività agricola di interesse strategico, attraverso
delibera di Giunta n. VIII/8059 del 19.09.2008, da dove si evince che gli
ambiti strategici non sono tutti quelli destinati all’agricoltura, ma solo
quelle parti di territorio caratterizzate da elementi di particolare
rilievo”.
Tuttavia l’idoneità dei terreni della ricorrente a soddisfare esigenze
agricole risulta motivata dalla Provincia con elementi che sono desunti
proprio dalla delibera di Giunta n. VIII/8059 del 19.09.2008, come la
valutazione della classe del valore agro-forestale e l'estensione e
continuità territoriale di scala sovracomunale (v. il punto 2 della
deliberazione regionale citata).
A ciò si aggiunge che il carattere strategico dell’area non è legato alle
sole esigenze dell’agricoltura ma anche a quelle silvo-pastorali.
---------------
La società ricorrente, proprietaria nel comune di Agrate Brianza di un’area
a destinazione agricola secondo il PGT vigente, ha impugnato il PTCP della
Provincia di Monza e Brianza in quanto l’ha inserita all’interno delle aree
agricole strategiche individuate dalla tavola 7b e disciplinate dall'art. 6
delle NTA del Piano stesso.
La ricorrente premette che l’area è inserita in un contesto fortemente
urbanizzato e dotato di tutte le infrastrutture di servizio ed è situata
nella zona artigianale/industriale del comune di Agrate Brianza e confina
con importanti aziende locali e con l’ambito di trasformazione (ATp6)
produttivo. Per tali ragioni ha presentato un’osservazione alla Provincia
per ottenere lo stralcio dell’area dagli ambiti agricoli strategici ma la
Provincia l’ha ritenuta inaccoglibile in quanto ”l'inserimento in AAS è
coerente con i criteri per l’individuazione degli ambiti e con
l'impostazione metodologica del procedimento di individuazione effettuato”.
Contro il piano approvato ha quindi sollevato i seguenti motivi di ricorso.
1. Illegittimità per violazione dell'art. 11, comma 4, della legge
regionale n. 12 del 2005 sotto il profilo del mancato rispetto del criteri
regionali per la definizione degli ambiti agricoli strategici. Eccesso di
potere nelle sue diverse figure sintomatiche. Violazione dell'art. 41 della
Costituzione.
Secondo la ricorrente la qualificazione del fondo in oggetto quale area
agricola strategica si porrebbe in contrasto con la deliberazione della
Giunta regionale della Lombardia n. 8059 del 2008 secondo la quale non tutti
gli ambiti agricoli presentano specifiche peculiarità tali da essere
definiti o riconosciuti come ambiti strategici.
Gli ambiti agricoli strategici non avrebbero funzione di salvaguardia dalla
edificazione (come pure le aree agricole classiche sono state a volte
considerate, sebbene con qualche contrasto in dottrina e giurisprudenza) ma
assumerebbero la caratteristica di aree con vocazione economico-produttiva
riguardo agli utilizzi agricoli. Gli elementi necessari per qualificare
un’area agricola strategica sarebbero: a) inclusione tra le zone agricole
del PGT; b) classificazione a "prati permanenti" contenuta nel DUSAF
(banca dati dell'uso e copertura del suolo); c) continuità con altri ambiti
agricoli strategici; d) inclusione nell'area di ricarica diretta degli
acquiferi in base alla tavola 9 del PTCP di Monza come "prati permanenti".
Nessuno degli elementi innanzi considerati dalla provincia di Monza nella
sua attività istruttoria per la formazione del PTCP avrebbe evidenziato
quelle specifiche caratteristiche di "produttività agricola"
necessarie per connotare l'area di cui è causa tra gli ambiti agricoli
strategici.
...
Il primo motivo di ricorso è infondato.
Per quanto attiene alla nozione di area agricola strategica la
giurisprudenza (Cons. Stato, IV, 01/09/2015 n. 4081; idem Cons. Stato, I,
04.07.2017 n. 1607; TAR Lombardia, Brescia, I, 08/05/2017 n. 614) ha
riconosciuto che il concetto di area a vocazione agricola e il
concetto di area agricola strategica non sono sovrapponibili.
In particolare, è stato detto che “In disparte l’elemento storico
(provenienza dei due concetti da differenti impianti normativi) e testuale
(l’espressa connotazione delimitativa delle aree agricole strategiche),
appare corretta la lettura del TAR che ha evidenziato come anche la Regione
Lombardia avesse individuato diversamente i criteri per la definizione degli
ambiti destinati all’attività agricola di interesse strategico, attraverso
delibera di Giunta n. VIII/8059 del 19.09.2008, da dove si evince che gli
ambiti strategici non sono tutti quelli destinati all’agricoltura, ma solo
quelle parti di territorio caratterizzate da elementi di particolare rilievo”
(v. Cons. Stato, IV, 01/09/2015 n. 4081).
Tuttavia l’idoneità dei terreni della ricorrente a soddisfare esigenze
agricole risulta motivata dalla Provincia con elementi che sono desunti
proprio dalla delibera di Giunta n. VIII/8059 del 19.09.2008, come la
valutazione della classe del valore agro-forestale e l'estensione e
continuità territoriale di scala sovracomunale (v. il punto 2 della
deliberazione regionale citata).
A ciò si aggiunge che, a differenza di quanto affermato dalla ricorrente, il
carattere strategico dell’area non è legato alle sole esigenze
dell’agricoltura ma anche a quelle silvo-pastorali. Né d’altro canto la
ricorrente ha contestato i dati provenienti dall’ERSAF, limitandosi
piuttosto ad un più generico motivo di difetto di motivazione (TAR
Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 07.02.2020 n. 266 - link a
www.giustizia-amministrartiva.it). |
anno
2019 |
|
EDILIZIA PRIVATA: Attività
connesse riconducibili all’ambito agricolo.
---------------
Agricoltura - Attività connesse - Riconducibilità all'ambito agricolo -
Presupposti.
Le attività connesse, per essere riconducibili
all’ambito agricolo, devono essere svolte dallo stesso imprenditore agricolo
e devono riguardare prevalentemente prodotti propri (1).
---------------
(1) Ha ricordato la Sezione che l’art. 2135 c.c. esclude che
possano qualificarsi come connesse attività ausiliare dell’agricoltura
svolte da chi già non eserciti un’attività qualificabile come essenzialmente
agricola ai sensi del primo e secondo comma dello stesso art. 2135 c.c.
Il comma 423 della legge finanziaria 2006 ha ampliato le categorie delle
attività agricole connesse di cui al terzo comma dell’art. 2135 c.c.,
riconducendovi anche la produzione di energia elettrica o calorica derivante
da fonti rinnovabili agroforestali (biomasse) e fotovoltaiche.
L’art. 1, comma 369, della legge finanziaria 2007 ha sostituito il comma n.
423 sopra citato, riformulandolo nel senso di sottolineare che, sebbene la
connessione sia stabilita ex lege, devono essere rispettate le
condizioni di prevalenza e di esercizio da parte dello stesso imprenditore
agricolo.
La Corte Costituzionale con la sentenza n. 66/2015 ha evidenziato che il
legislatore ha delineato la categoria delle attività connesse utilizzando il
concetto della prevalenza dell’attività propriamente agricola nell’economia
complessiva dell’impresa; nello stesso senso dispone l’art. 32, d.P.R. n.
917 del 1986 ai fini dell’Irpef.
La ratio dell’art. 52, comma 2-bis, d.l. n. 83 del 2012 è quella di
concentrare nello stesso imprenditore agricolo lo svolgimento dell’attività
primaria diretta alla produzione agricola e quella accessoria di
utilizzazione di un biodigestore, alimentato con i prodotti della propria
azienda o di quella di altre aziende a lui collegate.
Nel concetto di agroindustria, da intendersi come l’insieme dei processi
produttivi dedicati alla raccolta, al trattamento e alla trasformazione dei
prodotti agricoli, non può rientrare, quindi, l’attività industriale di
produzione di carburanti svolta dalla società appellata.
Ha aggiunto la Sezione che il tema dei sottoprodotti è particolarmente
delicato perché incide sulla materia ambientale e sulla salute umana.
Sebbene la normativa europea (direttiva 2008/98/CE) promuova il riciclaggio
dei rifiuti, ed incentivi le fonti rinnovabili per la produzione di energia
elettrica (direttiva 2001/77/CE, direttiva 2009/28/CE), sollecitando il
massimo sfruttamento delle risorse, la riduzione dei rifiuti ed il loro
recupero/riciclaggio, nondimeno la qualificazione come sottoprodotto di un
residuo necessita particolare cautela e presuppone la verifica della
sussistenza delle condizioni caso per caso.
Nella specie l’Amministrazione, facendo applicazione del principio di
precauzione e prevenzione, nel disciplinare il digestato per usi agronomici,
ha ritenuto di ammettere i soli materiali per i quali l’impiego doveva
ritenersi sicuramente privo di rischi sotto il profilo ambientale e
sanitario e, dunque, presuntivamente innocuo per l’ambiente e per la salute
umana
(Consiglio diStato, Sez. III,
sentenza 04.09.2019 n. 6093 -
tratto da e link a www.giustizia-amministrartiva.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
OGGETTO: Comune di Gressan – permesso di costruire –
sottozona Eg49 – ristrutturazione, cambio di destinazione
d’uso, ampliamento e potenziamento di azienda agricola –
interpretazione NTA – parere (Legali Associati per Celva,
nota 08.01.2019 - tratto da www.celva.it). |
anno
2017 |
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EDILIZIA PRIVATA:
Costruzione di fabbricati rurali - Rilascio del
permesso di costruire subordinato ad un duplice requisito -
Soggettivo, costituito dallo status - Oggettivo, rapporto di
strumentalità delle opere alla coltivazione del fondo -
DIRITTO AGRARIO - Artt. 16, 17, 31, 44 d.p.r. n. 380/2001.
Il rilascio del permesso di costruire fabbricati rurali in
zone agricole è subordinato ad un duplice requisito: il
primo di natura soggettiva, costituito dallo status di
proprietario coltivatore diretto, proprietario conduttore in
economia, proprietario concedente, imprenditore agricolo, il
secondo di natura oggettiva, rappresentato dal rapporto di
strumentalità delle opere alla coltivazione del fondo,
precisando che la ratio della previsione è ovviamente
nel senso di evitare che qualsiasi individuo, benché
sprovvisto della qualità di coltivatore, possa
legittimamente costruire un immobile ad uso residenziale in
zona agricola.
Ciò avrebbe l'evidente conseguenza di consentire la
trasformazione di una zona agricola, tutelata
dall'ordinamento, in un'area sostanzialmente residenziale e
si porrebbe quindi in contrasto con la ratio della
disciplina vincolistica che è volta allo scopo di attuare un
equilibrato componimento tra le contrapposte esigenze e
cioè, da un lato, consentire una razionale possibilità di
sfruttamento edilizio delle aree agricole per scopi di
sviluppo economico e, dall'altro, garantire la loro
destinazione esclusiva ad attività agronomiche (Corte
di Cassazione, Sez. III,
sentenza 29.12.2017 n. 57914
- link a www.ambientediritto.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
E' del tutto inconciliabile con la finalità
agricola, e non può essere ammissibile, la realizzazione in
area agricola di opere di battitura del terreno, riporto di
sabbia e di materiali inerti con asfaltatura per la
realizzazione di una pavimentazione per uno spessore di
circa 50 cm.
La realizzazione del piazzale-deposito altera lo stato dei
luoghi e costituisce un intervento di permanente
trasformazione edilizia e urbanistica del territorio
disciplinato dall'art. 3, d.P.R. n. 380 del 2001 che,
essendo subordinato al permesso di costruire, deve
necessariamente rispettare le tipologie e le destinazioni
d'uso funzionali consentite per la zona agricola.
---------------
Il Collegio ritiene che il ricorso sia infondato.
...
Riguardo, invece, al terzo motivo di diritto, l’opera
di asfaltatura è stata realizzata su area agricola.
In proposito, riguardo ad altre fattispecie analoghe a
quella in questione la realizzazione di un parcheggio
scoperto è stata riconosciuta assolutamente fuori dalle
ipotesi di legittima utilizzazione che il proprietario
poteva fare del proprio terreno ed è stato, in particolare,
affermato che: “E' del tutto inconciliabile con la
finalità agricola, e non può essere ammissibile, la
realizzazione in area agricola di opere di battitura del
terreno, riporto di sabbia e di materiali inerti con
asfaltatura per la realizzazione di una pavimentazione per
uno spessore di circa 50 cm. La realizzazione del
piazzale-deposito altera lo stato dei luoghi e costituisce
un intervento di permanente trasformazione edilizia e
urbanistica del territorio disciplinato dall'art. 3, d.P.R.
n. 380 del 2001 che, essendo subordinato al permesso di
costruire, deve necessariamente rispettare le tipologie e le
destinazioni d'uso funzionali consentite per la zona
agricola” (cfr. TAR Campania, sez. VIII, 10.03.2016, n.
1397; 07.11.2016, n. 5116)
(TAR Lombardia-Milano, Sez. I,
sentenza 01.06.2017 n. 1231 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Oggetto: Parere in merito alla determinazione del
contributo di costruzione per il rilascio di permesso a
costruire per la realizzazione di annessi agricoli - Comune
di Vicovaro (Regione Lazio,
nota 23.05.2017 n. 260672 di prot.). |
URBANISTICA:
Le scelte urbanistiche compiute dalle autorità
preposte alla pianificazione territoriale costituiscono
espressione di ampia discrezionalità. Si tratta, infatti, di
scelte di merito, che non possono essere sindacate dal
giudice amministrativo, a meno che risultino inficiate da
arbitrarietà o irragionevolezza manifeste, ovvero da
travisamento dei fatti in ordine alle esigenze che si
intendono nel concreto soddisfare.
In questa prospettiva, le scelte urbanistiche non
necessitano, di regola, di apposita motivazione, oltre a
quella che si può evincere dai criteri generali, di ordine
tecnico-discrezionale, seguiti nell'impostazione del piano,
salvo che ricorra una delle evenienze che, in conformità ai
consolidati indirizzi della giurisprudenza, determinano un
onere motivatorio più incisivo.
Tali evenienze sono state ravvisate:
a) nella lesione dell'affidamento qualificato del privato derivante
da convenzioni di lottizzazione, da accordi di diritto
privato intercorsi fra il Comune e i proprietari delle aree,
da aspettative nascenti da giudicati di annullamento di
dinieghi del titolo edilizio o di silenzio rifiuto su
domanda di rilascio del permesso di costruire, ecc.;
b) nel caso in cui l’autorità intenda imprimere destinazione
agricola ad un lotto intercluso da fondi legittimamente
edificati;
c) nell’ipotesi in cui lo strumento urbanistico effettui un
sovradimensionamento delle aree destinate ad ospitare
attrezzature pubbliche e di interesse pubblico o generale
(cd. aree standard), quantificandole in misura maggiore
rispetto ai parametri minimi fissati dall’art. 3 del d.m. n.
1444 del 1968 e dall’art. 9, comma 3, della legge della
Regione Lombardia n. 12 del 2005.
Non costituisce, invece, posizione di affidamento tutelabile
in sede giurisdizionale quella del soggetto che veda
semplicemente assegnata alla sua area una disciplina
peggiorativa rispetto a quella dettata dai previgenti atti
di pianificazione.
---------------
La giurisprudenza ha ormai chiarito
che la nozione di naturale vocazione edificatoria può essere
appropriatamente impiegata soltanto nel contesto delle
vicende espropriative, mentre non si attaglia al diverso
ambito della disciplina d’uso dei suoli, poiché –postulando
la preesistenza di una edificabilità di fatto– contraddice
la sottoposizione di ogni attività edilizia alle scelte
pianificatorie dell’amministrazione.
D’altro canto, è parimenti acclarato che “all’interno della
pianificazione urbanistica possano trovare spazio anche
esigenze di tutela ambientale ed ecologica, tra le quali
spicca proprio la necessità di evitare l'ulteriore
edificazione e di mantenere un equilibrato rapporto tra aree
edificate e spazi liberi”. E ciò in quanto “l’urbanistica,
ed il correlativo esercizio del potere di pianificazione,
non possono essere intesi, sul piano giuridico, solo come un
coordinamento delle potenzialità edificatorie connesse al
diritto di proprietà, così offrendone una visione affatto
minimale, ma devono essere ricostruiti come intervento degli
enti esponenziali sul proprio territorio, in funzione dello
sviluppo complessivo ed armonico del medesimo”, per cui
l’esercizio dei poteri di pianificazione territoriale ben
può tenere conto delle esigenze legate alla tutela di
interessi costituzionalmente primari, tra i quali rientrano
quelli contemplati dall’articolo 9 della Costituzione.
---------------
In tale prospettiva, deve pure ricordarsi che, per costante
giurisprudenza, la destinazione di un'area a verde agricolo
non implica necessariamente che la stessa soddisfi in modo
diretto e immediato interessi agricoli, ben potendo
giustificarsi con le esigenze dell'ordinato governo del
territorio, quale la necessità di impedire ulteriori
edificazioni, ovvero di garantire l’equilibrio delle
condizioni di vivibilità, assicurando la quota di valori
naturalistici e ambientali necessaria a compensare gli
effetti dell’espansione dell’aggregato urbano.
---------------
Le osservazioni successive all’adozione costituiscono meri
apporti collaborativi dei cittadini, in funzione di
interessi generali e non individuali, per cui
l’Amministrazione può semplicemente rigettarle laddove
contrastino con gli interessi e le considerazioni generali
sottese allo strumento urbanistico.
---------------
5. Va quindi presa
in esame l’impugnazione proposta con il ricorso R.G. n. 1171
del 2015, diretta contro la richiamata deliberazione del
Consiglio comunale n. 47 del 24.09.2014, di approvazione
della variante generale costituente il c.d. nuovo PGT di
Desio.
5.1 Con il primo motivo di ricorso le ricorrenti
lamentano che la scelta di includere le aree delle
ricorrenti negli “Spazi aperti ed agricoli – aa3 – Spazi
aperti agricoli a compensazione ecologica - ambientale”
contrasterebbe con la vocazione edificatoria del compendio
immobiliare e sarebbe contraddittoria e lesiva
dell’affidamento maturato dalle stesse società.
Le censure non possono essere accolte.
5.1.1 Per costante giurisprudenza, le scelte urbanistiche
compiute dalle autorità preposte alla pianificazione
territoriale costituiscono espressione di ampia
discrezionalità. Si tratta, infatti, di scelte di merito,
che non possono essere sindacate dal giudice amministrativo,
a meno che risultino inficiate da arbitrarietà o
irragionevolezza manifeste, ovvero da travisamento dei fatti
in ordine alle esigenze che si intendono nel concreto
soddisfare (cfr., ex multis, Cons. Stato, Sez. IV,
22.05.2014, n. 2649; Id., 25.11.2013, n. 5589; TAR
Lombardia, Milano, Sez. II, 15.05.2014, n. 1281).
In questa prospettiva, le scelte urbanistiche non
necessitano, di regola, di apposita motivazione, oltre a
quella che si può evincere dai criteri generali, di ordine
tecnico-discrezionale, seguiti nell'impostazione del piano
(Ad. plen., n. 24 del 1999), salvo che ricorra una delle
evenienze che, in conformità ai consolidati indirizzi della
giurisprudenza (più volte richiamati anche da questa
Sezione; v., tra le ultime: TAR Lombardia, Milano, Sez. II,
15.09.2016, n. 1680; Id., 23.03.2015, n. 783; Id.,
30.09.2014, n. 2404; Id., 22.07.2014, n. 1972), determinano
un onere motivatorio più incisivo.
Tali evenienze sono state ravvisate:
a) nella lesione dell'affidamento qualificato del privato derivante
da convenzioni di lottizzazione, da accordi di diritto
privato intercorsi fra il Comune e i proprietari delle aree,
da aspettative nascenti da giudicati di annullamento di
dinieghi del titolo edilizio o di silenzio rifiuto su
domanda di rilascio del permesso di costruire, ecc.;
b) nel caso in cui l’autorità intenda imprimere destinazione
agricola ad un lotto intercluso da fondi legittimamente
edificati (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 01.10.2004, n. 6401;
Id., 04.03.2003, n. 1197);
c) nell’ipotesi in cui lo strumento urbanistico effettui un
sovradimensionamento delle aree destinate ad ospitare
attrezzature pubbliche e di interesse pubblico o generale
(cd. aree standard), quantificandole in misura maggiore
rispetto ai parametri minimi fissati dall’art. 3 del d.m. n.
1444 del 1968 e dall’art. 9, comma 3, della legge della
Regione Lombardia n. 12 del 2005 (cfr. Ad. plen. n. 24 del
1999; TAR Lombardia, Milano, Sez. II, 04.01.2011, n. 4).
Non costituisce, invece, posizione di affidamento tutelabile
in sede giurisdizionale quella del soggetto che veda
semplicemente assegnata alla sua area una disciplina
peggiorativa rispetto a quella dettata dai previgenti atti
di pianificazione (cfr., ex multis, Cons. Stato, Sez.
VI, 20.06.2012, n. 3571; TAR Lombardia, Milano, Sez. II,
30.09.2014, n. 2404; TAR Lombardia, Brescia, Sez. II,
18.12.2013, n. 1143).
5.1.2 Nel caso oggetto del presente giudizio, le ricorrenti
affermano di essere titolari di un particolare affidamento,
derivante dalla circostanza di non essere pervenute alla
stipulazione della convenzione di lottizzazione con il
Comune –sulla base del PRG vigente fino all’entrata in
vigore del PGT del 2009– soltanto per ragioni ad esse non
imputabili.
Occorre tuttavia rilevare che la posizione del soggetto che
semplicemente aspiri a dare corso a una lottizzazione
convenzionata non può essere equiparata a quella di chi sia
pervenuto a regolare i propri rapporti con il Comune
mediante una convenzione che ponga diritti e obblighi in
capo alle parti. Le ragioni per le quali le trattative tra
le parti non abbiano condotto alla stipulazione della
convenzione possono infatti assumere rilevanza
eventualmente, sussistendone i presupposti, al fine di
fondare un titolo di responsabilità precontrattuale. Non può
invece ammettersi –in coerenza con gli indirizzi
giurisprudenziali sopra riportati– l’insorgere di un
affidamento al mantenimento delle previsioni contenute nello
strumento urbanistico generale in un momento antecedente
all’accordo con il Comune finalizzato a darvi effettiva
attuazione.
D’altro canto, non può non rilevarsi che, nel caso oggetto
del presente giudizio, la stipulazione della convenzione non
era imminente al momento della modifica delle previsioni di
piano, non essendo stato ancora elaborato neppure il
progetto di piano attuativo. Pertanto –a prescindere dalla
valutazione delle ragioni di tale situazione di fatto– è da
escludere in ogni caso che i ricorrenti potessero vantare un
affidamento qualificato alla conservazione delle previsioni
di trasformazione del suolo contenute nel previgente
strumento urbanistico generale.
5.1.3 Deve, poi, rimarcarsi che nel caso di specie non è
neppure ravvisabile la fattispecie del c.d. lotto
intercluso.
Secondo quanto risulta agli atti del giudizio, le aree
interessate non costituiscono –come affermato dalle
ricorrenti– un fazzoletto di terra delimitato in parte
dall’autostrada Pedemontana Lombarda e in parte da zone
edificate. Si tratta invece di un compendio di superficie
superiore a 5.000 mq, non intercluso all’interno del tessuto
urbano consolidato, ma posto ai margini di questo.
5.1.4 In coerenza con i principi sopra esposti, va quindi
esclusa la sussistenza di situazioni che imponevano al
Comune un onere di motivazione rafforzata delle scelte
inerenti alla destinazione delle aree delle ricorrenti.
5.1.5 Ciò posto, deve ancora evidenziarsi, in punto di
fatto, che tali aree ricadono nell’ambito della rete verde
di ricomposizione paesaggistica di cui all’articolo 31 delle
Norme Tecniche di Attuazione del PTCP e, inoltre, sono
interessate dal passaggio del Corridoio trasversale della
rete verde, disciplinato dall’articolo 32 delle NTA del PTCP;
corridoio consistente in una fascia di rispetto di rilevante
ampiezza lungo il tracciato dell’autostrada, con finalità di
compensazione ambientale.
Occorre poi aggiungere che il PGT di Desio del 2014 risulta
essere ispirato chiaramente all’obiettivo di contenere il
consumo del suolo e di indirizzare le politiche urbanistiche
verso il recupero del patrimonio edilizio esistente. Tale
finalità costituisce la direttrice che informa l’intero
impianto del nuovo strumento urbanistico, come reso evidente
dalla relazione illustrativa, la quale si apre
–significativamente– con un paragrafo 1.1 intitolato “Desio
non può più espandere l’urbanizzato” (v. doc. 1 del
Comune, p. 14).
5.1.6 In un tale contesto, è da ritenere che la scelta del
Comune di rendere inedificabili le aree delle ricorrenti non
sia manifestamente arbitraria o irragionevole, ma si ponga
in linea con gli obiettivi che l’Amministrazione ha inteso
perseguire.
E, in questa prospettiva, non sono condivisibili le
affermazioni delle ricorrenti, secondo le quali
l’illegittimità delle previsioni dello strumento urbanistico
deriverebbe dall’assenza di vocazione agricola e di profili
di pregio ecologico e paesistico delle aree. La
giurisprudenza ha infatti ormai chiarito che la nozione di
naturale vocazione edificatoria può essere appropriatamente
impiegata soltanto nel contesto delle vicende espropriative,
mentre non si attaglia al diverso ambito della disciplina
d’uso dei suoli, poiché –postulando la preesistenza di una
edificabilità di fatto– contraddice la sottoposizione di
ogni attività edilizia alle scelte pianificatorie
dell’amministrazione (Cons. Stato, Sez. IV, 21.12.2012, n.
6656).
D’altro canto, è parimenti acclarato che “all’interno
della pianificazione urbanistica possano trovare spazio
anche esigenze di tutela ambientale ed ecologica, tra le
quali spicca proprio la necessità di evitare l'ulteriore
edificazione e di mantenere un equilibrato rapporto tra aree
edificate e spazi liberi” (così ancora Cons. Stato n.
6656 del 2012, cit.). E ciò in quanto “l’urbanistica, ed
il correlativo esercizio del potere di pianificazione, non
possono essere intesi, sul piano giuridico, solo come un
coordinamento delle potenzialità edificatorie connesse al
diritto di proprietà, così offrendone una visione affatto
minimale, ma devono essere ricostruiti come intervento degli
enti esponenziali sul proprio territorio, in funzione dello
sviluppo complessivo ed armonico del medesimo”, per cui
l’esercizio dei poteri di pianificazione territoriale ben
può tenere conto delle esigenze legate alla tutela di
interessi costituzionalmente primari, tra i quali rientrano
quelli contemplati dall’articolo 9 della Costituzione (Cons.
Stato, Sez. IV, 10.05.2012, n. 2710; in termini analoghi,
tra le tante: Id. 05.09.2016, n. 3806; Id., 25.05.2016, n.
2221; Id., 21.12.2012, n. 6656; Id., 28.11.2012, n. 6040;
TAR Lombardia, Milano, Sez. II, 05.06.2014, n. 1465).
In tale prospettiva, deve pure ricordarsi che, per costante
giurisprudenza, la destinazione di un'area a verde agricolo
non implica necessariamente che la stessa soddisfi in modo
diretto e immediato interessi agricoli, ben potendo
giustificarsi con le esigenze dell'ordinato governo del
territorio, quale la necessità di impedire ulteriori
edificazioni, ovvero di garantire l’equilibrio delle
condizioni di vivibilità, assicurando la quota di valori
naturalistici e ambientali necessaria a compensare gli
effetti dell’espansione dell’aggregato urbano (cfr, ex
multis, Cons. Stato, Sez. IV, 12.02.2013, n. 830; Id.,
16.11.2011, n. 6049; TAR Lombardia, Milano, Sez. II,
30.09.2016, n. 1766; Id., 11.12.2013, n. 2808; Id.,
20.06.2012, n. 1720).
Nel caso di specie, l’interesse dell’area dal punto di vista
ecologico e paesaggistico è stato, del resto, espressamente
riconosciuto da Piano Territoriale di Coordinamento
Provinciale, non impugnato dalle ricorrenti. A questo
proposito, è poi utile aggiungere che la mera circostanza
che le aree siano prossime a centri abitati e a
un’importante arteria stradale di per sé non vale a
escluderne la rilevanza dal punto di vista ambientale,
poiché tali dati di fatto si prestano anzi a far emergere un
interesse alla conservazione del suolo inedificato, per
ragioni di compensazione ambientale. E, a ben vedere,
proprio tale valutazione risulta essere sottesa alle
previsioni del PGT relative alle aree delle ricorrenti, che
sono state incluse, non a caso, tra quelle “di
compensazione ecologica–ambientale”.
5.1.7 In definitiva, per le ragioni sin qui esposte, le
censure articolate con il primo motivo di impugnazione vanno
quindi respinte.
5.2 Parimenti infondate sono le doglianze proposte con il
secondo motivo, ove le ricorrenti lamentano l’eccessiva
genericità delle controdeduzioni comunali alla loro
osservazione e sostengono, inoltre, che –contrariamente a
quanto affermato dal Comune– l’inclusione dell’area nella
rete verde di ricomposizione paesaggistica e nel corridoio
ambientale non la renderebbe per ciò solo inedificabile.
5.2.1 Al riguardo, occorre ricordare che per costante
giurisprudenza le osservazioni successive all’adozione
costituiscono meri apporti collaborativi dei cittadini, in
funzione di interessi generali e non individuali, per cui
l’Amministrazione può semplicemente rigettarle laddove
contrastino con gli interessi e le considerazioni generali
sottese allo strumento urbanistico (cfr. ex multis:
Cons. Stato, Sez. IV, 01.07.2014, n. 3294).
Nel caso di specie, l’osservazione tendente a ottenere il
ripristino delle potenzialità edificatorie attribuite
all’area delle ricorrenti dal PRG è stata respinta
evidenziando che l’area è all’esterno del tessuto urbano
consolidato e ricade nella rete verde di ricomposizione
paesaggistica e nel corridoio trasversale della rete verde.
Da ciò la conclusione che –trattandosi di ambito non
edificabile già nel PGT vigente alla data di entrata in
vigore del nuovo strumento urbanistico– non fosse consentito
prevedere alcuna forma di consumo di suolo (doc. 26 delle
ricorrenti).
Si tratta di una motivazione per nulla generica o
apodittica, né –tanto meno– errata. L’Amministrazione ha
infatti rigettato la richiesta di modifica della disciplina
del compendio rinviando alle prescrizioni contenute nel
Piano Territoriale di Coordinamento Provinciale, che hanno
imposto un regime di particolare tutela in relazione alle
aree delle ricorrenti. E se è vero che gli articoli 31 e 32
del PTCP non escludono in modo assoluto l’edificazione, ma
la consentono in alcuni limitati casi, è pure vero che tali
fattispecie non risultano essersi verificate nel caso in
esame. Il Comune ha infatti evidenziato –come detto– che il
compendio era già inedificabile in base alle previsioni
previgenti al nuovo PGT, per cui la possibilità di
reintrodurre una destinazione edificatoria non è stata
salvaguardata dalla disciplina della rete verde contenuta
nel PTCP.
Quanto alla porzione inclusa nel Corridoio trasversale della
rete verde, è la stessa parte ricorrente a evidenziare che
la trasformazione edificatoria potrebbe essere consentita
nei soli casi e modi previsti dall’articolo 32 del PTCP, che
in ogni caso richiede un apposito accordo tra Comune e
Provincia. Tale accordo nella specie non è intercorso, né il
Comune poteva ritenersi onerato a perseguirlo.
5.2.2 Non risulta, infine, comprovato il lamentato difetto
di istruttoria in relazione al recepimento delle previsioni
del PTCP alla scala comunale. L’affermazione è infatti posta
dalle ricorrenti in relazione alle allegate caratteristiche
oggettive delle aree. Su tali caratteristiche, e sulla
valutazione che è consentito operarne nel quadro delle
scelte urbanistiche, valgono –tuttavia– le considerazioni
sopra esposte, alle quali si rinvia
(TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 21.02.2017 n. 434 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
anno
2016 |
|
EDILIZIA PRIVATA: OGGETTO: Intervento edilizio gratuito in zona agricola da parte dello I.A.P. (Regione Lombardia - Direzione Generale Territorio, Urbanistica e Difesa del Suolo,
risposta e-mail del 27.01.2016). |
EDILIZIA PRIVATA:
Gli strumenti del contadino vendibili dal
contadino.
Vanga e rastrello in vendita dal contadino che però per
vendere tavoli e sedie deve rispettare le norme commerciali.
L'attività imprenditoriale agricola non va interpretata in
senso stretto; e, pertanto, in base all'articolo 2135 codice
civile introdotto dal dlgs 228/2001, non si può inquadrare
l'azienda florovivaistica come mera attività di coltivazione
di piante e fiori e della loro vendita, escludendo tutte le
attività dirette alla fornitura di beni o servizi che siano
strettamente connessi appunto con il florovivaismo. Con la
conseguenza che va ricompresa in questo genere di attività
la commercializzazione di una serie di prodotti accessori o
funzionali alle attività di giardinaggio o di allestimento
di spazi verdi.
In linea puramente teorica, ha chiarito il Consiglio di
Stato, Sez. V, con la
sentenza 18.01.2016 n. 131, si deve ammettere che
il legislatore ha dato un riconoscimento a tale lettura
dell'attività delle aziende attive nel giardinaggio.
In sostanza, ha precisato il Collegio, con il dlgs 228/2001
è stato dato il via a un'ampia liberalizzazione del
commercio dei propri prodotti da parte delle aziende
agricole, sia nella forma più semplice del fiore, del frutto
o della pianta, sia in quella più complessa della loro
manipolazione o di beni a questa connessi. Fatto che può
inevitabilmente comprendere cose non direttamente derivanti
dall'agricoltura, ma ad essa connesse come vasi, strumenti
di irrigazione, concimi, insetticidi o strumenti per
l'immediato utilizzo della terra come rastrelli o vanghe.
Appare però evidente che la commercializzazione dei prodotti
agricoli o florovivaistici o la fornitura di beni connessi a
queste attività deve rispettare le stesse regole che la
ammettono, così come quelle attinenti altre attività come
quella commerciale.
Infatti, se a un'azienda florovivaistica è permessa la vendita di prodotti
e beni riconducibili alla sua attività, ciò non può
comportare che la medesima si renda attiva nella vendita di
prodotti che solamente in senso estremamente lato possono
avvicinarsi al giardinaggio: dai barbecue ai vasi in
ceramica, dalle padelle alle graticole, dai tavoli e sedie
in vimini o in plastica alle case in legno prefabbricate a
uso deposito da giardino. In tal caso, infatti,
l'imprenditore agricolo dovrà rispettare la normativa
commerciale (articolo ItaliaOggi del 25.02.2016).
---------------
MASSIMA
... per la riforma della sentenza del TAR Emilia
Romagna, Bologna, Sez. II n. 776/2014, resa tra le parti,
concernente l’ordine di chiusura di un esercizio commerciale
abusivo;
...
5. L’appello è infondato.
Il Collegio non ravvisa elementi in senso difforme rispetto
a quanto ritenuto dal giudice di primo grado relativamente
alla sostanziale trasformazione dell’azienda florovivaistica
Garden Ga. in esercizio commerciale di vicinato, senza i
titoli necessari.
Espone in sintesi l’appellante Azienda che alla
configurazione dell’attività imprenditoriale agricola non si
può dare nell’ambito della legislazione vigente una ‘lettura
restrittiva’, poiché secondo il nuovo testo dell’art.
2135 c.c. introdotto dall’art. 1 D.Lgs. 18.05.2001, n. 228,
non si può inquadrare l’azienda florovivaistica come mera
attività di coltivazione di piante e fiori e della loro
vendita, escludendo tutte le attività dirette alla fornitura
di beni o servizi che siano strettamente connessi appunto
con il florovivaismo.
Dunque andrebbe ricompresa in questo genere di attività la
commercializzazione di una serie di prodotti accessori o
funzionali alle attività di giardinaggio o di allestimento
di spazi verdi, cosa che non si porrebbe nemmeno contrasto
con la destinazione agricola dell’area in cui ricade
l’azienda, visto che tali attività devono virtualmente
essere ricomprese in un tutt’uno con le gestione di serre,
l’attività di florovivaismo e la conseguente vendita dei
beni ordinariamente ricompresi in tali iniziative.
In linea puramente teorica, si deve ammettere che il
legislatore ha dato un riconoscimento a tale lettura
dell’attività delle aziende attive nel giardinaggio e ciò
con i nuovi contenuti dell’art. 2135 c.c., secondo il quale
«È imprenditore agricolo chi esercita una delle seguenti
attività: coltivazione del fondo, selvicoltura, allevamento
di animali e attività connesse. ... Si intendono comunque
connesse le attività, esercitate dal medesimo imprenditore
agricolo, dirette alla manipolazione, conservazione,
trasformazione, commercializzazione e valorizzazione che
abbiano ad oggetto prodotti ottenuti prevalentemente dalla
coltivazione del fondo o del bosco o dall'allevamento di
animali, nonché le attività dirette alla fornitura di beni o
servizi mediante l’utilizzazione prevalente di attrezzature
o risorse dell’azienda normalmente impiegate nell’attività
agricola esercitata, ivi comprese le attività di
valorizzazione del territorio e del patrimonio rurale e
forestale, ovvero di ricezione ed ospitalità come definite
dalla legge».
Quanto alla commercializzazione, i nuovi contenuti della
figura dell’imprenditore agricolo vanno correlati ed insieme
limitati con quanto riportato dall’art. 4 del D.Lgs. n. 228
del 2001, in particolare dal comma 1, per il quale «Gli
imprenditori agricoli, singoli o associati, iscritti nel
registro delle imprese di cui all'art. 8 della legge
29.12.1993, n. 580, possono vendere direttamente al
dettaglio, in tutto il territorio della Repubblica, i
prodotti provenienti in misura prevalente dalle rispettive
aziende, osservate le disposizioni vigenti in materia di
igiene e sanità».
Per il successivo comma 5, «La presente
disciplina si applica anche nel caso di vendita di prodotti
derivati, ottenuti a seguito di attività di manipolazione o
trasformazione dei prodotti agricoli e zootecnici,
finalizzate al completo sfruttamento del ciclo produttivo
dell'impresa».
Ritiene la Sezione che
la lettura complessiva che se ne ricava è sicuramente quella
di un’ampia liberalizzazione del commercio dei propri
prodotti da parte delle aziende agricole, sia nella forma
più semplice del fiore, del frutto o della pianta, ma anche
in quella più complessa della loro manipolazione oppure di
beni a questa connessi, fatto che può inevitabilmente
comprendere cose non direttamente derivanti
dall’agricoltura, ma ad essa strettamente connesse come
vasi, strumenti di irrigazione, concimi, insetticidi o
strumenti per l’immediato utilizzo della terra come
rastrelli o vanghe.
Ritenuto ciò in generale, appare però evidente che
la commercializzazione dei prodotti agricoli o
florovivaistici oppure la fornitura di beni connessi a
queste attività deve rispettare le stesse regole che la
ammettono, così come quelle attinenti altre attività come
quella prettamente commerciale.
Infatti,
se ad un’azienda florovivaistica deve essere permessa la
vendita dei propri prodotti e dei beni strettamente
riconducibili alla sua attività, ciò non può comportare che
la medesima si renda attiva nella vendita di prodotti che
solamente in senso estremamente lato possono avvicinarsi al
giardinaggio; dai barbecue carrellati ai vasi in ceramica,
dalle padelle alle graticole, dai tavoli e sedie in vimini o
in plastica alle case in legno prefabbricate ad uso deposito
da giardino.
Né gli spazi di vendita, ove indicati in una superficie pari
a mq. 20, possono essere ampliati ad oltre 200 senza
segnalazione certificata di inizio attività nel rispetto del
D.Lgs. 31.03.1998, n. 114, e successive modificazioni, e
sempre nel rispetto dei relativi presupposti e delle
relative leggi regionali di attuazione.
Alla luce di quanto finora rilevato, risulta evidente che
l’attività dell’appellante ha largamente trasmodato le
possibilità commerciali connesse con l’attività
imprenditoriale agricola. |
EDILIZIA PRIVATA: Sull'attività cinotecnica
che –per espressa definizione
normativa– è configurabile come attività agricola, diretta
all’allevamento, addestramento e selezione delle razze
canine.
La disciplina della cd. “cinotecnica” è
racchiusa nella L. 349/1993, ai sensi della quale consiste
nell’attività “volta all'allevamento, alla selezione e
all'addestramento delle razze canine” (art. 1, comma 1),
mentre assume natura imprenditoriale agricola “quando i
redditi che ne derivano sono prevalenti rispetto a quelli di
altre attività economiche non agricole svolte dallo stesso
soggetto” (art. 2, comma 1): tali soggetti così definiti
sono “imprenditori agricoli, ai sensi dell'articolo 2135 del
codice civile”.
Una prima riflessione conduce a ritenere plausibile, in
quanto giuridicamente ammissibile, l’espletamento
dell’attività cinotecnica in forma non imprenditoriale,
secondo quanto stabilisce lo stesso art. 2, comma 3, della
L. 349/1993 per cui “Non sono comunque imprenditori agricoli
gli allevatori che producono nell'arco di un anno un numero
di cani inferiore a quello determinato, per tipi o per
razze, con decreto del Ministro dell'agricoltura e delle
foreste da emanare entro trenta giorni dalla data di entrata
in vigore della presente legge”.
A questo proposito, il D.M. 28/01/1994 statuisce che “Non
sono imprenditori agricoli gli allevatori che tengono in
allevamento un numero inferiore a cinque fattrici e che
annualmente producono un numero di cuccioli inferiore alle
trenta unità”. Il legislatore regolamenta l’attività
cinotecnica svolta in forma professionale, ponendo alcuni
requisiti minimi (afferenti al reddito e al numero di capi),
in difetto dei quali il soggetto interessato non assume la
qualifica di imprenditore agricolo.
In buona sostanza, la L. 349/1993 non impone a colui che
esercita l’attività cinotecnica di assumere necessariamente
lo status di imprenditore agricolo.
----------------
Né tale conclusione si evince dalla previsione
pianificatoria del Comune per la quale nell’area ricadente
nel PLIS sono ammessi soltanto “interventi connessi
all’attività agricola, attività agrituristiche,
realizzazione di servizi e attrezzature pubbliche o di uso o
interesse pubblico”.
Innanzitutto non appare direttamente pertinente il richiamo
agli artt. 59 e ss. della L.r. 12/2005, i quali disciplinano
gli interventi edificatori in zona agricola, mentre
l’iniziativa economica di cui si controverte non prevede la
realizzazione di opere edili.
Lo stesso art. 2135 del c.c. –nello stabilire il criterio di
collegamento dell'attività economica con il fattore
produttivo “terra”, individuando le “attività connesse” come
quelle che si inseriscono nel ciclo dell'economia agricola-
è comunque rubricato “imprenditore agricolo”, e dunque si
rivolge ai soggetti che (diversamente dal caso di specie)
prestano l’attività in forma professionale.
Osserva infine il Collegio che l’art. 7 delle NTA già
citato, nella sua formulazione letterale, permette gli
interventi connessi all’attività agricola “contemplati dalla
vigente legislazione”, in tal modo effettuando un rinvio
recettizio di tipo dinamico alle disposizioni normative
vigenti, tra le quali acquistano rilevanza gli artt. 1 e 2
della L. 349/1996.
---------------
Un ulteriore profilo investe la definizione di attività
cinotecnica, che ad avviso della resistente difesa deve
necessariamente comprendere l’allevamento e la selezione
canina.
Nell’ambiguità della norma, che semplicemente elenca le tre
tipologie di attività (ossia allevamento, selezione e
addestramento delle razze canine), il Collegio non ravvisa
ragioni logiche per escludere la sua operatività nel caso di
iniziative limitate al solo addestramento.
Se, come già rilevato, è ammessa l’attività in forma non
imprenditoriale, è ipotizzabile che la specializzazione
investa esclusivamente una delle 3 fasi normativamente
contemplate e che l’operatore effettui le prestazioni
coinvolgendo gli animali che vengono di volta in volta
condotti in loco dai rispettivi proprietari.
Se è logico ritenere che, in via ordinaria, l’addestramento
sia rivolto agli animali allevati sul fondo, è comunque
ragionevole consentire che il predetto singolo segmento
qualificante dell’attività possa essere valorizzato secondo
l’indicazione (non esplicitamente preclusiva) fornita dalla
norma.
---------------
La pet therapy consiste effettivamente in un’attività
terapeutica di promozione della salute dei soggetti
beneficiari, i quali si trovano in condizioni di particolare
debolezza o fragilità: l’instaurazione di una relazione
positiva con l’animale domestico realizza un evidente
interesse di portata generale, ossia il miglioramento del
benessere degli individui in difficoltà.
La cura delle patologie che affliggono talune persone
mediante l’ausilio di animali ben può rientrare nella
definizione di “servizi di interesse pubblico”, adoperata
dall’amministrazione per descrivere gli interventi ammessi
nella zona ove la ricorrente svolge la propria attività.
---------------
...
per l'annullamento
DELL’ORDINANZA DEL RESPONSABILE DELLO SPORTELLO UNICO PER LE
ATTIVITA’ PRODUTTIVE IN DATA 05/08/2014, CHE HA DISPOSTO LA
CESSAZIONE IMMEDIATA DELL’ATTIVITA’ DI ADDESTRAMENTO CANI
ESERCITATA IN VIRTU’ DELLA SCIA DEL 16/06/2014.
...
FATTO
In data 25/11/2013 la ricorrente depositava
all’amministrazione comunale una prima SCIA per l’avvio di
una nuova attività di onoterapia, pet therapy, addestramento
(doc. 2 Comune). Con successiva SCIA presentata il
16/06/2014, la Sig.ra Mi. integrava la dichiarazione
precedente, segnalando una variazione consistente
nell’addestramento di cani –singolarmente o in gruppo– con
un massimo di 10 unità.
Con l’atto impugnato, il Commissario
aggiunto inibiva l’esercizio dell’attività, la quale si
svolgerebbe in area agricola ricadente nel Parco della Savarona, per il quale l’art. 7 delle NTA del Piano dei
Servizi consente soltanto –fino all’adozione dello
strumento di pianificazione specifico per il Parco–
“interventi connessi all’attività agricola, attività
agrituristiche, realizzazione di servizi e attrezzature
pubbliche o di uso o interesse pubblico”.
Con gravame ritualmente notificato e tempestivamente
depositato presso la Segreteria della Sezione, l’esponente
impugna il provvedimento in epigrafe, illustrando le
seguenti censure in diritto:
a) Violazione degli artt. 1 e 2 della L. 23/08/1993 n. 349,
in quanto l’attività cinotecnica –per espressa definizione
normativa– è configurabile come attività agricola, diretta
all’allevamento, addestramento e selezione delle razze
canine;
b) Violazione degli artt. 1 e 2 della L. 349/1993 sotto altro
profilo, eccesso di potere per carenza di motivazione dal
momento che, secondo la giurisprudenza della Corte di
Cassazione, in zona agricola sono del tutto incompatibili
gli insediamenti residenziali, mentre sono ammessi utilizzi
di tipo intermedio tra quello agricolo e quello edificatorio
(ad esempio, parcheggio, caccia, sport, agriturismo), tra
l’altro in assenza di opere edilizie;
c) Eccesso di potere per illogicità manifesta, dato che la
pet therapy consiste in un’attività terapeutica finalizzata
a migliorare la salute di un paziente (appartenente a fasce
fragili, come anziani, malati, disabili fisici e psichici)
avvalendosi di animali domestici come cani, gatti, cavalli,
asini, conigli, capre, maiali, volatili; dunque si realizza
un chiaro interesse pubblico, trattandosi anche di favorire
la convivenza tra uomo e cane.
Si è costituita in giudizio l’amministrazione, chiedendo la
reiezione del gravame. In particolare sottolinea in punto di
fatto che la Sig.ra Mi. è priva della qualifica di
imprenditore agricolo e che l’area in cui insiste l’attività
si trova all’interno di un Parco Locale di Interesse Sovracomunale (PLIS). La ricorrente è munita della sola
agibilità sanitaria per un’attività asini-amatoriale (priva
di collegamento con l’attività economica legata
all’agricoltura).
Con la SCIA del 16/06/2014 ha introdotto
l’addestramento di cani, con conseguente trasformazione
dell’attività da amatoriale a professionale. In punto di
diritto, l’amministrazione invoca l’art. 1 della L. 349/1993,
per cui è attività riconducibile all’agricoltura soltanto
quella che contempla l’allevamento e la selezione dei cani
(in connessione inscindibile con l’addestramento), e che
presuppone in aggiunta il titolo di imprenditore agricolo
(circostanza desumibile dall’art. 7 delle NTA del Piano dei
Servizi, che richiamano gli interventi regolati all’art. 59
della L.r. 12/2005). Anche la recinzione (in precedenza
soltanto amovibile) non è consentita dall’art. 7.
Con ordinanza n. 1009, emessa alla Camera di consiglio del
05/12/2014, questo Tribunale ha motivatamente accolto la
domanda cautelare.
Alla pubblica udienza del 02.12.2015 il gravame
introduttivo è stato chiamato per la discussione e
trattenuto in decisione.
DIRITTO
La ricorrente censura il provvedimento comunale che ha
paralizzato gli effetti della SCIA depositata il 16/06/2014.
1. Ad avviso del Collegio sono anzitutto fondati i primi due
motivi di ricorso, per le ragioni illustrate di seguito.
1.1 La disciplina della cd. “cinotecnica” è racchiusa nella
L. 349/1993, ai sensi della quale consiste nell’attività
“volta all'allevamento, alla selezione e all'addestramento
delle razze canine” (art. 1, comma 1), mentre assume natura
imprenditoriale agricola “quando i redditi che ne derivano
sono prevalenti rispetto a quelli di altre attività
economiche non agricole svolte dallo stesso soggetto” (art.
2, comma 1): tali soggetti così definiti sono “imprenditori
agricoli, ai sensi dell'articolo 2135 del codice civile”.
1.2 Una prima riflessione conduce a ritenere plausibile, in
quanto giuridicamente ammissibile, l’espletamento
dell’attività cinotecnica in forma non imprenditoriale,
secondo quanto stabilisce lo stesso art. 2, comma 3, della L.
349/1993 per cui “Non sono comunque imprenditori agricoli gli
allevatori che producono nell'arco di un anno un numero di
cani inferiore a quello determinato, per tipi o per razze,
con decreto del Ministro dell'agricoltura e delle foreste da
emanare entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore
della presente legge”.
A questo proposito, il D.M. 28/01/1994
statuisce che “Non sono imprenditori agricoli gli allevatori
che tengono in allevamento un numero inferiore a cinque
fattrici e che annualmente producono un numero di cuccioli
inferiore alle trenta unità”. Il legislatore regolamenta
l’attività cinotecnica svolta in forma professionale,
ponendo alcuni requisiti minimi (afferenti al reddito e al
numero di capi), in difetto dei quali il soggetto
interessato non assume la qualifica di imprenditore
agricolo.
1.3 In buona sostanza, la L. 349/1993 non impone a colui che
esercita l’attività cinotecnica di assumere necessariamente
lo status di imprenditore agricolo.
Né tale conclusione si
evince dalla previsione pianificatoria del Comune di
Quinzano d’Oglio (art. 7 delle NTA del Piano dei Servizi),
per la quale nell’area ricadente nel PLIS sono ammessi
soltanto “interventi connessi all’attività agricola,
attività agrituristiche, realizzazione di servizi e
attrezzature pubbliche o di uso o interesse pubblico”.
Innanzitutto non appare direttamente pertinente il richiamo
agli artt. 59 e ss. della L.r. 12/2005, i quali disciplinano
gli interventi edificatori in zona agricola, mentre
l’iniziativa economica di cui si controverte non prevede la
realizzazione di opere edili.
Lo stesso art. 2135 del c.c. –nello stabilire il criterio di collegamento dell'attività
economica con il fattore produttivo “terra”, individuando le
“attività connesse” come quelle che si inseriscono nel ciclo
dell'economia agricola (cfr. Corte di Cassazione, sez. I
civile –10/5/2013 n. 11237)– è comunque rubricato
“imprenditore agricolo”, e dunque si rivolge ai soggetti che
(diversamente dal caso di specie) prestano l’attività in
forma professionale.
Osserva infine il Collegio che l’art. 7
delle NTA già citato, nella sua formulazione letterale,
permette gli interventi connessi all’attività agricola
“contemplati dalla vigente legislazione”, in tal modo
effettuando un rinvio recettizio di tipo dinamico alle
disposizioni normative vigenti, tra le quali acquistano
rilevanza gli artt. 1 e 2 della L. 349/1996.
1.4 Un ulteriore profilo investe la definizione di attività
cinotecnica, che ad avviso della resistente difesa deve
necessariamente comprendere l’allevamento e la selezione
canina. Nell’ambiguità della norma, che semplicemente elenca
le tre tipologie di attività (ossia allevamento, selezione e
addestramento delle razze canine), il Collegio non ravvisa
ragioni logiche per escludere la sua operatività nel caso di
iniziative limitate al solo addestramento.
Se, come già
rilevato, è ammessa l’attività in forma non imprenditoriale,
è ipotizzabile che la specializzazione investa
esclusivamente una delle 3 fasi normativamente contemplate e
che l’operatore effettui le prestazioni coinvolgendo gli
animali che vengono di volta in volta condotti in loco dai
rispettivi proprietari.
Se è logico ritenere che, in via
ordinaria, l’addestramento sia rivolto agli animali allevati
sul fondo, è comunque ragionevole consentire che il predetto
singolo segmento qualificante dell’attività possa essere
valorizzato secondo l’indicazione (non esplicitamente
preclusiva) fornita dalla norma.
2. Appare meritevole di positivo apprezzamento anche il
terzo motivo, con il quale parte ricorrente deduce l’eccesso
di potere per illogicità manifesta, in quanto la pet therapy
consiste effettivamente in un’attività terapeutica di
promozione della salute dei soggetti beneficiari, i quali si
trovano in condizioni di particolare debolezza o fragilità:
l’instaurazione di una relazione positiva con l’animale
domestico realizza un evidente interesse di portata
generale, ossia il miglioramento del benessere degli
individui in difficoltà.
La cura delle patologie che
affliggono talune persone mediante l’ausilio di animali ben
può rientrare nella definizione di “servizi di interesse
pubblico”, adoperata dall’amministrazione per descrivere gli
interventi ammessi nella zona ove la ricorrente svolge la
propria attività.
In conclusione, la pretesa è fondata e merita accoglimento,
con conseguente annullamento del provvedimento impugnato
(TAR Lombardia-Brescia, Sez. II,
sentenza 05.01.2016 n. 6 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
anno
2015 |
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EDILIZIA PRIVATA:
La mera qualifica di imprenditore agricolo non è
sufficiente ai fini dell’esonero dall’onere
di pagare il contributo di costruzione,
occorrendo all’uopo quella di imprenditore
agricolo “a titolo principale ai sensi
dell'articolo 12 della legge 09.05.1975, n.
153” e, quindi, oggigiorno, ai sensi
dell’art. 1, comma 5-quater, del D.Lgs.
29/03/2004 n. 99 (secondo cui “Qualunque
riferimento nella legislazione vigente
all'imprenditore agricolo a titolo
principale si intende riferito
all'imprenditore agricolo professionale,
come definito nel presente articolo”),
quella di “imprenditore agricolo a titolo
professionale”.
Quest’ultima, postula il possesso di
requisiti ulteriori rispetto a quelli che
connotano la figura del semplice
imprenditore agricolo.
In base all’art. 1, comma 1, del citato
D.Lgs. n. 99/2004, infatti, “è imprenditore
agricolo professionale (IAP) colui il quale,
in possesso di conoscenze e competenze
professionali ai sensi dell'articolo 5 del
regolamento (CE) n. 1257/1999 del
17.05.1999, del Consiglio, dedichi alle
attività agricole di cui all'articolo 2135
del codice civile, direttamente o in qualità
di socio di società, almeno il cinquanta per
cento del proprio tempo di lavoro
complessivo e che ricavi dalle attività
medesime almeno il cinquanta per cento del
proprio reddito globale da lavoro”.
---------------
Il riconoscimento della qualifica in parola
presuppone la sussistenza, in capo
all’interessato, dei requisiti indicati nel
comma 1 dell’art. 1 del D.Lgs. n. 99/2004 e
il possesso di questi ultimi deve essere, in
base al comma 2 del medesimo articolo,
accertato “ad ogni effetto” dalle Regioni (o
dalle altre autorità dalle medesime
individuate).
Per cui solo dal momento in cui tale
accertamento è compiuto ed è consacrato in
un atto, la qualifica può ritenersi
acquisita.
Diversamente da quanto si afferma nella
suddetta memoria difensiva, nessun argomento
a favore della tesi della natura
dichiarativa dell’atto di attribuzione della
qualifica di imprenditore agricolo
professionale può trarsi dal menzionato art.
1, comma 5-quater, del D.Lgs. n. 99/2004, il
quale si limita a disporre l’estensione,
alla nuova figura dell’imprenditore agricolo
professionale, di tutte le norme previgenti
che facevano riferimento a quella
dell’imprenditore agricolo a titolo
principale (non più esistente, in
considerazione dell’abrogazione dell’art. 12
della L. 09/05/1975, n. 153, operata
dall’art. 1, comma 5-quinquies, del D.Lgs.
99/2004).
---------------
... per la riforma della sentenza del TAR
Lombardia–Brescia, Sez. I, n. 817/2014, resa
tra le parti, concernente restituzione somme
erogate a titolo di oneri di urbanizzazione.
...
Passando al merito dell’appello, occorre
partire dal primo motivo, col quale il
Comune di Curtatone deduce che il giudice di
prime cure avrebbe errato nel ritenere
sufficiente, ai fini dell’esenzione prevista
dall’art. 17, comma 3, lett. a), del D.P.R.
n. 380/2001, la mera qualifica di
imprenditore agricolo, come definito
dall’art. 2135 cod. civ., occorrendo,
invece, quella di imprenditore agricolo
professionale.
La doglianza è fondata.
Dispone l’art. 17, comma 3, del D.P.R. n.
380/2001: “Il contributo di costruzione
non è dovuto:
a) per gli interventi da realizzare nelle
zone agricole, ivi comprese le residenze, in
funzione della conduzione del fondo e delle
esigenze dell'imprenditore agricolo a titolo
principale, ai sensi dell'articolo 12 della
legge 09.05.1975, n. 153”.
Come si ricava chiaramente dalla trascritta
norma, la mera qualifica di imprenditore
agricolo non è sufficiente ai fini
dell’esonero dall’onere di pagare il
contributo di costruzione, occorrendo
all’uopo quella di imprenditore agricolo “a
titolo principale ai sensi dell'articolo 12
della legge 09.05.1975, n. 153” e,
quindi, oggigiorno, ai sensi dell’art. 1,
comma 5-quater, del D.Lgs. 29/03/2004 n. 99
(secondo cui “Qualunque riferimento nella
legislazione vigente all'imprenditore
agricolo a titolo principale si intende
riferito all'imprenditore agricolo
professionale, come definito nel presente
articolo”), quella di “imprenditore
agricolo a titolo professionale” (Cons.
Stato, Sez. V, 14/05/2013 n. 2609).
Quest’ultima, postula il possesso di
requisiti ulteriori rispetto a quelli che
connotano la figura del semplice
imprenditore agricolo.
In base all’art. 1, comma 1, del citato
D.Lgs. n. 99/2004, infatti, “è
imprenditore agricolo professionale (IAP)
colui il quale, in possesso di conoscenze e
competenze professionali ai sensi
dell'articolo 5 del regolamento (CE) n.
1257/1999 del 17.05.1999, del Consiglio,
dedichi alle attività agricole di cui
all'articolo 2135 del codice civile,
direttamente o in qualità di socio di
società, almeno il cinquanta per cento del
proprio tempo di lavoro complessivo e che
ricavi dalle attività medesime almeno il
cinquanta per cento del proprio reddito
globale da lavoro”.
Nella fattispecie, al momento del rilascio
del permesso di costruire n. 31/10, avvenuto
in data 01/10/2010, la sig.ra Ro., pur
essendo imprenditore agricolo, non possedeva
la qualifica imprenditore agricolo
professionale.
Quest’ultima, infatti, le è stata
riconosciuta (peraltro a titolo provvisorio)
solo in data 18/04/2011, (si veda
determinazione del Dirigente Area
Programmazione Territoriale Settore
Agricoltura, Parchi, Caccia e Pesca della
Provincia di Milano 18/04/2011 n. 65928).
Obietta l’appellata (memoria di costituzione
depositata in data 07/01/2015), che tale
riconoscimento avrebbe natura dichiarativa e
non costitutiva.
La tesi non convince.
Infatti, il riconoscimento della qualifica
in parola presuppone la sussistenza, in capo
all’interessato, dei requisiti indicati nel
comma 1 dell’art. 1 del D.Lgs. n. 99/2004 e
il possesso di questi ultimi deve essere, in
base al comma 2 del medesimo articolo,
accertato “ad ogni effetto” dalle
Regioni (o dalle altre autorità dalle
medesime individuate).
Per cui solo dal momento in cui tale
accertamento è compiuto ed è consacrato in
un atto, la qualifica può ritenersi
acquisita.
Diversamente da quanto si afferma nella
suddetta memoria difensiva, nessun argomento
a favore della tesi della natura
dichiarativa dell’atto di attribuzione della
qualifica di imprenditore agricolo
professionale può trarsi dal menzionato art.
1, comma 5-quater, del D.Lgs. n. 99/2004, il
quale si limita a disporre l’estensione,
alla nuova figura dell’imprenditore agricolo
professionale, di tutte le norme previgenti
che facevano riferimento a quella
dell’imprenditore agricolo a titolo
principale (non più esistente, in
considerazione dell’abrogazione dell’art. 12
della L. 09/05/1975, n. 153, operata
dall’art. 1, comma 5-quinquies, del D.Lgs.
99/2004).
Peraltro, l’appellata non avrebbe diritto
all’esenzione dal contributo di costruzione,
nemmeno se al riconoscimento della qualifica
di imprenditore agricolo professionale
potesse assegnarsi valore dichiarativo.
Difatti, dagli atti prodotti in giudizio,
risulta per tabulas come la stessa,
alla data di rilascio del permesso di
costruire, non possedesse i requisiti per
ottenere la qualifica di che trattasi.
Ed invero, nella domanda, presentata in data
05/04/2011 per il riconoscimento della
qualifica di imprenditore agricolo
professionale, la sig.ra Rovere ha
esplicitamente dichiarato
“…di non poter al momento dimostrare il possesso dei
requisiti previsti dalla normativa L.R. e
successive modifiche, in quanto solo nel
corso degli ultimi anni sta strutturando dal
punto di vista tecnico ed organizzativo la
sua attività in modo da renderla
professionale a tutti gli effetti e non
oltre il termine massimo di due anni dalla
data della presente istanza”.
Nel certificato rilasciato dalla Camera di
Commercio Industria, Artigianato e
Agricoltura di Milano, si attesta che
l’appellata, iscritta come piccolo
imprenditore dal 30/12/2004, “si
considera imprenditore agricolo
professionale e svolge l’attività dal
18/04/2011”.
Per contro, diversamente da quanto la stessa
appellata mostra di ritenere, non sono
idonee a dimostrare che la stessa possedesse
i requisiti richiesti dall’art. 1 comma 1,
del D.Lgs. n. 99/2004 in epoca precedente al
rilascio del permesso di costruire n. 31/10,
le note della Provincia di Milano in data
21/07/2011 e 25/07/2011 (rispettivamente
docc. 4 e 5 del fascicolo di primo grado di
parte ricorrente) dalla medesima invocate.
La prima (doc. 4) afferma -per quanto qui
rileva- che “già a far data dal
11/03/2010 la stipula del contratto di
affitto agricolo con la integrazione del
16/03/2010 evidenziava il consistente numero
di immobili e terreni in condizione
agricola, tale condizione unita alla
valutazione dell’ordinamento produttivo come
descritto nel fascicolo aziendale
permettevano il rilascio della qualifica di
imprenditore agricolo professionale in data
18/4/2011”.
Nel confermare che il rilascio (a titolo
provvisorio) della qualifica di che trattasi
è avvenuta nell’aprile del 2011, la nota
attesta che nel marzo 2010 la sig.ra Ro. ha
stipulato contratti di affitto per numerose
aree agricole, ma tutto ciò evidentemente
basta soltanto a dimostrare l’acquisita
disponibilità di terreni agricoli, ma non
anche il loro effettivo sfruttamento per usi
agrari, né, ovviamente, dimostra la
sussistenza di tutti gli ulteriori requisiti
occorrenti ai fini di poter acquistare la
qualifica in parola.
La seconda nota (doc. 5), riporta, invece,
le dichiarazioni rese da un soggetto privato
(tal sig.ra Ci.Vi.) secondo cui “alla
data del 15/11/2010 ed ancor prima a far
data dal 11/03/2010, la dr.ssa Ro. aveva
tutti i requisiti per ottenere il
riconoscimento IAP”.
Ovviamente, tale generica dichiarazione,
peraltro in contrasto con tutte le
risultanze processuali, risulta inidonea a
dimostrare il possesso dei requisiti
necessari per il conseguimento della
qualifica di cui si discute.
Occorre a questo punto esaminare il secondo
motivo del ricorso di primo grado non
esaminato dal TAR è riproposto
dall’appellata con la memoria di
costituzione.
Deduce la sig.ra Ro. che l’esenzione
sarebbe, comunque, spettata ai sensi
dell’art. 17, comma 3, lett. e), del D.P.R.
n. 380/2001, in base al quale il contributo
non è dovuto “per i nuovi impianti,
lavori, opere, modifiche, installazioni,
relativi alle fonti rinnovabili di energia,
alla conservazione, al risparmio e all'uso
razionale dell'energia, nel rispetto delle
norme urbanistiche, di tutela
artistico-storica e ambientale”.
Ed invero, il tetto del manufatto sarebbe
stato realizzato con pannelli fotovoltaici,
per cui senza questi la struttura non
sarebbe stata idonea alla sua funzione, con
la conseguenza che la reclamata esenzione
avrebbe dovuto coprire l’intera costruzione.
La doglianza è priva di pregio.
Al riguardo è sufficiente rilevare che, come
emerge dagli atti di causa, i permessi di
costruire nn. 31/10 e 48/10, non
contemplavano l’installazione dell’impianto
fotovoltaico, per cui non sussistevano i
presupposti per ottenere l’esenzione di cui
all’invocato art. 17, comma 3, lett. e).
In definitiva l’appello va accolto
(Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 26.11.2015 n. 5363 -
link a www.giustizia-amministratva.it). |
anno
2014 |
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EDILIZIA PRIVATA: 1.
Sulla natura delle controversie in materia di oneri di
urbanizzazione.
Le controversie in tema di oneri di
urbanizzazione e di costo di costruzione introducono un
giudizio su un rapporto involgente posizioni di diritto
soggettivo, che, come tale, sfugge ai termini decadenziali
del giudizio impugnatorio ed è attivabile nell’ordinario
termine di prescrizione.
2. Sulle condizioni di operatività dell'esonero dal
contributo per le opere da realizzare in zona agricola in
funzione della conduzione del fondo e delle esigenze
dell'imprenditore agricolo ex art. 9, co. 1, lett. a), legge
n. 10/1977.
L’esonero dal contributo per il rilascio
della concessione edilizia relativamente alle opere da
realizzare nelle zone agricole in funzione della conduzione
del fondo e delle esigenze dell'imprenditore agricolo a
titolo principale previsto dall’art. 9, co. 1, lett. a),
della legge n. 10/1977, subordinava la gratuità della
concessione a due condizioni: la destinazione dell’opera
alla conduzione del fondo la titolarità della qualifica di
imprenditore agricolo a titolo principale, per tale
dovendosi intendere “l'imprenditore che dedichi alla
attività agricola almeno due terzi del proprio tempo di
lavoro complessivo e che ricavi dall'attività medesima
almeno due terzi del proprio reddito globale da lavoro
risultante dalla propria posizione fiscale”, la cui
sussistenza è onere del ricorrente dimostrare.
3. Rilevanza anche dei volumi interrati ai fini del computo
degli oneri di urbanizzazione.
Ove non si tratti di opere di modeste
dimensioni e con destinazione delle stesse ad usi episodici
o meramente complementari, o comunque escluse dagli
strumenti urbanistici, anche i locali interrati producono
carico urbanistico e rilevano ai fini del computo degli
oneri di urbanizzazione.
3.1. Le censure, che saranno esaminate congiuntamente, sono
infondate.
3.1.1. L’art. 9, co. 1, lett. a), della legge n. 10/1977,
applicabile ratione temporis, prevedeva l’esonero dal
contributo per il rilascio della concessione edilizia
relativamente alle opere da realizzare nelle zone agricole
in funzione della conduzione del fondo e delle esigenze
dell'imprenditore agricolo a titolo principale, ai sensi
dell'art. 12 della legge n. 153/1975.
Come si vede, la norma subordinava la gratuità della
concessione a due condizioni, una oggettiva, ovvero la
destinazione dell’opera alla conduzione del fondo, e l’altra
soggettiva, ovvero la titolarità della qualifica di
imprenditore agricolo a titolo principale, per tale
dovendosi intendere “l'imprenditore che dedichi alla
attività agricola almeno due terzi del proprio tempo di
lavoro complessivo e che ricavi dall'attività medesima
almeno due terzi del proprio reddito globale da lavoro
risultante dalla propria posizione fiscale”, secondo la
definizione dettata dall’art. 12 l. n. 153/1975 cit.; ed
anche a voler ammettere che lo scantinato abusivo per cui è
causa debba presumersi destinato a contribuire alla
conduzione del fondo di proprietà del ricorrente, nella
specie è proprio il requisito soggettivo a fare difetto: non
solo, infatti, il ricorrente medesimo non ne ha dimostrato
la sussistenza, come sarebbe stato suo onere (cfr. da ultimo
Cons. Stato, sez. V, 09.04.2013, n. 1935), ma la
documentazione in atti attesta il contrario (basti esaminare
la nota di trascrizione dell’atto d’obbligo del 12.04.1991,
ove il ricorrente è qualificato come “infermiere
professionale”, circostanza palesemente incompatibile
con il contestuale possesso della qualità di imprenditore
agricolo a titolo principale.
Del pari, gli altri soggetti menzionati nella nota vi sono
qualificati, rispettivamente come “bidella” la
signora D.V., moglie del ricorrente, e “pensionato”
il signor F.G.).
3.1.2. Quanto alla debenza o meno del contributo di
concessione per la realizzazione di locali interrati, ai
sensi dell’art. 18 delle N.T.A. del P.R.G. di San Giuliano
Terme, non può dubitarsi del fatto che la disposizione
dianzi citata, nell’indicare al punto 5 i volumi rilevanti
ai fini della individuazione delle caratteristiche
quantitative delle opere realizzabili nel territorio
comunale, vi comprenda anche i volumi interrati, di modo che
il successivo rinvio alle “superfici utili” indicate
al precedente punto 4 non può essere inteso ai soli piani
fuori terra, come pretenderebbe il ricorrente in virtù di
una interpretazione rigidamente letterale, ma a tutte le
superfici utili di calpestio, ivi incluse quelle interrate e
con la sola eccezione prevista dallo strumento urbanistico
per le superfici –fuori terra o interrate– aventi specifiche
destinazioni pertinenziali (autorimesse e locali tecnici, le
cui caratteristiche non ha il manufatto realizzato dal
ricorrente, oltretutto di dimensioni oggettivamente non
esigue).
Diversamente, la menzione dei volumi interrati al punto 5
resterebbe priva di effetti, in aperto contrasto, peraltro,
con il principio invalso secondo cui, ove non si tratti di
opere di modeste dimensioni e con destinazione delle stesse
ad usi episodici o meramente complementari, o comunque
escluse dagli strumenti urbanistici, anche i locali
interrati producono carico urbanistico e rilevano ai fini
del computo degli oneri di urbanizzazione (fra le altre,
cfr. Cons. Stato, sez. V, 15.02.2001, n. 790; id., sez. IV,
03.05.2000, n. 2614).
Conferma ne sia che lo stesso ricorrente, nell’istanza di
condono, definisce “superficie utile” di 50,04 mq
quella del manufatto in questione, salvo invocare le
agevolazioni di legge previste per la destinazione
all’attività agricola
(massima tratta da www.ricerca-amministrativa.it -
TAR Toscana, Sez. III,
sentenza 21.11.2014 n. 1826
- link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
La zona interessata dagli abusi di cui è causa ha
–pacificamente– destinazione agricola, trattandosi di “Zona
E”, disciplinata dall’art. 19 delle Norme Tecniche (NTA) del
Piano delle Regole del PGT.
Nella zona “E2” sono ammesse le sole attività agricole, nel
rispetto degli obiettivi di tutela ambientale e
paesaggistica, oltre agli interventi per le zone agricole di
cui all’art. 59 della LR 12/2005 (si tratta dei soli
interventi per l’esercizio dell’impresa agricola di cui
all’art. 2135 c.c.).
Le opere realizzate dai ricorrenti hanno determinato uno
stravolgimento dell’area, che da zona per la sola attività
agricola è stata -di fatto e senza alcun idoneo titolo
giuridico- trasformata in area per lo svolgimento
dell’attività industriale dei ricorrenti; in particolare si
tratta di attività di autotrasporto, mai peraltro
autorizzata sull’area di cui è causa.
E’ escluso, pertanto, qualsivoglia esercizio di impresa
agricola avendo l’attività di trasporto carattere di impresa
commerciale e non agricola (cfr. l’art. 2195 del codice
civile).
Ai fini della valutazione della trasformazione urbanistica
dell’area occorre avere riguardo agli interventi edilizi nel
loro complesso –essendo tutti finalizzati a consentire
l’attività di autotrasporto– e non appare possibile, come
vorrebbero invece i ricorrenti, parcellizzare gli
interventi, come se ciascuno di essi avesse una autonoma e
distinta rilevanza sul piano urbanistico ed edilizio.
Nel terzo motivo, si
sostiene che gli interventi edilizi posti in essere
sull’area avrebbero carattere tutto sommato precario e
limitato e non sarebbero idonei a determinare alcuna
trasformazione urbanistica ed edilizia del fondo, come
invece indicato dal Comune.
La doglianza è infondata.
La zona interessata dagli abusi di cui è causa ha –pacificamente– destinazione agricola, trattandosi di “Zona
E”, disciplinata dall’art. 19 delle Norme Tecniche (NTA) del
Piano delle Regole, vale a dire uno dei tre atti che
compongono il Piano di Governo del Territorio (PGT),
strumento urbanistico generale comunale ai sensi della legge
regionale della Lombardia n. 12/2005 (cfr. il doc. 9 dei
ricorrenti per il testo delle citate NTA).
Nella zona “E2” sono ammesse le sole attività agricole, nel
rispetto degli obiettivi di tutela ambientale e
paesaggistica, oltre agli interventi per le zone agricole di
cui all’art. 59 della LR 12/2005 (si tratta dei soli
interventi per l’esercizio dell’impresa agricola di cui
all’art. 2135 c.c.).
Le opere realizzate dai ricorrenti –descritte
analiticamente non solo nel provvedimento impugnato (doc. 1
dei ricorrenti), ma anche nei verbali di sopralluogo del
Comune, in specie quello del 20.06.2014, cfr. i docc. 14, 17
e 18 del resistente, questi ultimi costituenti le fotografie
scattate nel corso dei sopralluoghi– hanno, infatti,
determinato uno stravolgimento dell’area, che da zona per la
sola attività agricola è stata -di fatto e senza alcun
idoneo titolo giuridico- trasformata in area per lo
svolgimento dell’attività industriale dei ricorrenti; in
particolare si tratta di attività di autotrasporto, mai
peraltro autorizzata sull’area di cui è causa (cfr. il doc.
5 dei ricorrenti, copia delle visure della Camera di
Commercio, da cui si desume che la Cooperativa CTL svolge
attività di autotrasporto per conto terzi con autoveicoli
dotati di notevole massa).
E’ escluso, pertanto, qualsivoglia esercizio di impresa
agricola –del resto neppure sostenuto dagli esponenti–
avendo l’attività di trasporto carattere di impresa
commerciale e non agricola (cfr. l’art. 2195 del codice
civile).
Ai fini della valutazione della trasformazione urbanistica
dell’area occorre avere riguardo agli interventi edilizi nel
loro complesso –essendo tutti finalizzati a consentire
l’attività di autotrasporto– e non appare possibile, come
vorrebbero invece i ricorrenti, parcellizzare gli
interventi, come se ciascuno di essi avesse una autonoma e
distinta rilevanza sul piano urbanistico ed edilizio (TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 29.07.2014 n. 2114 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
La precarietà deve escludersi quando l’opera
assolve esigenze durature (come nel caso di specie, dove le
strutture sono tutte finalizzate a garantire un’attività di
impresa svolta da anni) e ciò a prescindere dalla eventuale
facile amovibilità dell’opera sul piano strettamente
materiale.
---------------
La nozione urbanistica di “pertinenza” si differenzia
profondamente da quella del diritto privato ed è
circoscritta ad opere non aventi rilievo sul piano
urbanistico e prive di autonomia e valore di mercato.
---------------
Il serbatoio del gasolio, coperto da una tettoia appoggiata
su un basamento in cemento, oltre ad essere incompatibile
con la destinazione agricola dell’area –il serbatoio serve
per il rifornimento degli automezzi aziendali– ha carattere
di stabilità, essendo la tettoia stabilmente collocata su
una base di cemento e pertanto necessitante di titolo
edilizio.
---------------
La pavimentazione in ghiaia rullata e cemento di vasta parte
del compendio, in zona agricola, è soggetta al rilascio di
titolo edilizio, trattandosi di attività di trasformazione
urbanistica ed edilizia del territorio; parimenti soggetta a
titolo deve reputarsi la buca in calcestruzzo per la
riparazione dei mezzi di trasporto, avente profondità di
circa 1,5 metri.
Ad ogni buon conto, e fermo restando quanto sopra esposto,
non è neppure possibile ritenere che le singole opere
indicate in ricorso abbiano carattere precario e non siano
soggette a titolo edilizio.
La precarietà, infatti, deve escludersi quando l’opera
assolve esigenze durature (come nel caso di specie, dove le
strutture sono tutte finalizzate a garantire un’attività di
impresa svolta da anni) e ciò a prescindere dalla eventuale
facile amovibilità dell’opera sul piano strettamente
materiale (cfr., fra le tante, Consiglio di Stato, sez. V,
07.07.2014, n. 3438 e TAR Lombardia, Milano, sez. II,
26.09.2013, n. 2210).
Così, con riguardo alle singole opere descritte nel terzo
motivo e tutte prive di titolo edilizio, si può osservare
che:
- il fabbricato condonato nel 1985 quale “deposito” (cfr. il
doc. 19 del resistente), è stato modificato mediante
realizzazione di una veranda chiusa con vetri, utilizzata
quale ufficio (cfr. il doc. 14 del resistente e le
fotografie docc. 17 e 18); dunque è un’opera stabile, non
compatibile con la destinazione agricola (peraltro nessuna
attività agricola è svolta nel fondo) e neppure avente
carattere pertinenziale, visto che la nozione urbanistica di
“pertinenza” si differenzia profondamente da quella del
diritto privato ed è circoscritta ad opere non aventi
rilievo sul piano urbanistico e prive di autonomia e valore
di mercato (così, Consiglio di Stato, sez. V, 17.06.2014, n.
3074);
- il prefabbricato in pannelli di alluminio coibentati, con
porta e finestra ad uso spogliatoio e ricreativo, appoggiato
su traversine in cemento, costituisce un’opera avente
stabilità e continuità, necessaria all’esercizio
dell’impresa dei ricorrenti;
- analoga considerazione per quattro box (per il Comune,
sarebbero in realtà cinque), in lamiera e legno, appoggiati
su una platea in calcestruzzo, assolutamente incompatibili
con la destinazione di zona e per tre contanier in lamiera,
usati come deposito e appoggiati anch’essi ad una platea in
calcestruzzo, quindi con carattere di stabilità
nell’utilizzo;
- il serbatoio del gasolio, coperto da una tettoia
appoggiata su un basamento in cemento, oltre ad essere
incompatibile con la destinazione agricola dell’area –il
serbatoio serve per il rifornimento degli automezzi
aziendali– ha carattere di stabilità, essendo la tettoia
stabilmente collocata su una base di cemento e pertanto
necessitante di titolo edilizio (cfr. TAR Lazio, Roma, sez. I-quater, 11.04.2012, n. 3258 e Corte d’Appello di Napoli,
sez. III penale, 11.12.2012, n. 5577);
- la pavimentazione in ghiaia rullata e cemento di vasta
parte del compendio, in zona agricola, è soggetta al
rilascio di titolo edilizio, trattandosi di attività di
trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio (cfr.
TAR Lombardia, Milano, sez. II, 19.03.2014, n. 709);
parimenti soggetta a titolo deve reputarsi la buca in
calcestruzzo per la riparazione dei mezzi di trasporto,
avente profondità di circa 1,5 metri.
Ancora in ordine al terzo mezzo di ricorso, si ricordi che,
secondo l’art. 3 del DPR 380/2001, costituiscono “nuove
costruzioni”, necessitanti pertanto di titolo edilizio:
<<e.5) l'installazione di manufatti leggeri, anche
prefabbricati, e di strutture di qualsiasi genere, quali roulottes, campers, case mobili, imbarcazioni, che siano
utilizzati come abitazioni, ambienti di lavoro, oppure come
depositi, magazzini e simili, e che non siano diretti a
soddisfare esigenze meramente temporanee e salvo che siano
installati, con temporaneo ancoraggio al suolo, all'interno
di strutture ricettive all'aperto, in conformità alla
normativa regionale di settore, per la sosta ed il soggiorno
di turisti; (…) e.7) la realizzazione di depositi di merci o
di materiali, la realizzazione di impianti per attività
produttive all'aperto ove comportino l'esecuzione di lavori
cui consegua la trasformazione permanente del suolo in
edificato>>.
Si conferma, pertanto, il rigetto del terzo motivo (TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 29.07.2014 n. 2114 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA: Il
deposito di materiale (in questione) non può ritenersi
irrilevante dal punto di vista urbanistico, essendo stato da
tempo chiarito che deve essere assentita dal Comune ogni
attività comportante trasformazione urbanistica ed edilizia
del territorio, ivi comprese quelle non consistenti in
attività di edificazione, ma nella modificazione dello stato
materiale e della conformazione del suolo per adattarlo ad
un impiego diverso da quello che gli è proprio, in relazione
alla sua condizione naturale e alla sua qualificazione.
---------------
Anche l'attività di spargimento di ghiaia, su di un'area che
ne era precedentemente priva, è soggetta a concessione
edilizia, allorché appaia preordinata alla modifica della
precedente destinazione d'uso, nel caso in esame
pacificamente agricola.
Detta impostazione <<...sembra, oggi, avere un testuale
riscontro nel nuovo Testo unico in materia edilizia … (che
non ha certo potenzialità applicativa e di risoluzione del
caso in esame, ma che può rappresentare un valido ausilio
interpretativo, specie ove "codifica" un orientamento
giurisprudenziale pregresso): l'art. 3, in materia di
definizione degli interventi edilizi, assoggetta a permesso
di costruire -ascrivendole al genus delle nuove costruzioni-
"la realizzazione di infrastrutture e di impianti, anche per
pubblici servizi, che comporti la trasformazione in via
permanente di suolo inedificato" (lett. e. 3) e "la
realizzazione di depositi di merci o di materiali, la
realizzazione di impianti per attività produttive all'aperto
ove comportino l'esecuzione di lavori cui consegua la
trasformazione permanente del suolo inedificato" (e. 7); si
tratta, come è facile rilevare, di interventi privi di
connotazione strettamente edilizia e, nondimeno,
assoggettati a titolo abilitativo (oggi permesso di
costruire)>>.
---------------
A prescindere dal titolo edilizio valido per richiedere
l’assenso all’intervento posto in essere (D.I.A. o domanda
di concessione edilizia), decisiva è la circostanza messa in
evidenza dalla difesa comunale, ossia la collocazione in
zona E1 “agricola produttiva”, ove lo strumento urbanistico
per tempo vigente ammetteva esclusivamente la destinazione
ad attrezzature di servizio dell’agricoltura e di
allevamenti zootecnici, nonché a residenza a servizio
dell’azienda agricola.
Pertanto è irrilevante la previsione di uno specifico e
puntuale divieto per i depositi, quando l’incompatibilità
degli stessi si evince “a contrario” dalla norme
pianificatorie evocate dal Comune.
---------------
La tolleranza ventennale non integra un’aspettativa
tutelabile alla luce del consolidato orientamento ai sensi
del quale gli illeciti in materia urbanistica, edilizia e
paesistica hanno carattere di illeciti permanenti, che si
protraggono nel tempo e vengono meno solo con il cessare
della situazione di illiceità, vale a dire con il
conseguimento delle prescritte autorizzazioni: pertanto il
potere amministrativo repressivo può essere esercitato senza
limiti di tempo e senza necessità di motivazione in ordine
al ritardo nell'esercizio del potere.
In altri termini, l'autorità non emana un atto "a distanza
di tempo" dall'abuso, ma reprime una situazione
antigiuridica ancora sussistente.
Peraltro, nel caso di specie il Comune ha sottolineato che
l’autorizzazione era stata sempre accordata in via
provvisoria, e detta “qualità” dei provvedimenti rende non
configurabile un affidamento meritevole di protezione
giuridica.
... per l'annullamento:
- DEL PROVVEDIMENTO IN DATA 17/07/1996, RECANTE IL PARERE
CONTRARIO SULLA D.I.A. PER IL DEPOSITO DI MATERIALE SUL
TERRENO DI PROPRIETA’;
- DELL’ORDINANZA 01/10/1996, CHE HA DISPOSTO IL RIPRISTINO
DELLO STATO DEI LUOGHI SECONDO L’ACCERTAMENTO EFFETTUATO CON
ORDINANZA N. 16/1996;
...
Il thema decidendum del presente gravame verte sulla
legittimità dei provvedimenti che hanno dapprima manifestato
la contrarietà alla D.I.A. presentata per regolarizzare il
deposito di materiale inerte sul terreno di proprietà, e di
seguito ordinato il ripristino dello stato dei luoghi.
Il ricorso è infondato e deve essere respinto, per le
ragioni di seguito precisate.
1. Anzitutto, osserva il Collegio che il deposito in
questione non può ritenersi irrilevante dal punto di vista
urbanistico, essendo stato da tempo chiarito che deve essere
assentita dal Comune ogni attività comportante
trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio, ivi
comprese quelle non consistenti in attività di edificazione,
ma nella modificazione dello stato materiale e della
conformazione del suolo per adattarlo ad un impiego diverso
da quello che gli è proprio, in relazione alla sua
condizione naturale e alla sua qualificazione (Consiglio di
Stato, sez. V – 31/12/2008 n. 6756, che ha rammentato la
rilevanza urbanistica anche del solo spianamento di un
terreno agricolo con riporto di sabbia e ghiaia, al fine di
ottenere un piazzale per deposito e smistamento di
autocarri).
2. Secondo un condivisibile indirizzo giurisprudenziale,
anche l'attività di spargimento di ghiaia, su di un'area che
ne era precedentemente priva, è soggetta a concessione
edilizia, allorché appaia preordinata alla modifica della
precedente destinazione d'uso, nel caso in esame
pacificamente agricola (Consiglio di Stato, sez. V –
27/04/2012 n. 2450, che ha richiamato i propri precedenti
sez. V – 22/12/2005 n. 7343 e 11/11/2004 n. 7324). La
pronuncia da ultimo citata ha altresì evidenziato come detta
impostazione <<...sembra, oggi, avere un testuale riscontro
nel nuovo Testo unico in materia edilizia … (che non ha
certo potenzialità applicativa e di risoluzione del caso in
esame, ma che può rappresentare un valido ausilio
interpretativo, specie ove "codifica" un orientamento
giurisprudenziale pregresso): l'art. 3, in materia di
definizione degli interventi edilizi, assoggetta a permesso
di costruire -ascrivendole al genus delle nuove costruzioni- "la realizzazione di infrastrutture e di impianti, anche
per pubblici servizi, che comporti la trasformazione in via
permanente di suolo inedificato" (lett. e. 3) e "la
realizzazione di depositi di merci o di materiali, la
realizzazione di impianti per attività produttive all'aperto
ove comportino l'esecuzione di lavori cui consegua la
trasformazione permanente del suolo inedificato" (e. 7); si
tratta, come è facile rilevare, di interventi privi di
connotazione strettamente edilizia e, nondimeno,
assoggettati a titolo abilitativo (oggi permesso di
costruire)>>.
3. In ogni caso, a prescindere dal titolo edilizio valido
per richiedere l’assenso all’intervento posto in essere
(D.I.A. o domanda di concessione edilizia), decisiva è la
circostanza messa in evidenza dalla difesa comunale, ossia
la collocazione in zona E1 “agricola produttiva”, ove lo
strumento urbanistico per tempo vigente ammetteva
esclusivamente la destinazione ad attrezzature di servizio
dell’agricoltura e di allevamenti zootecnici, nonché a
residenza a servizio dell’azienda agricola. Pertanto è
irrilevante la previsione di uno specifico e puntuale
divieto per i depositi, quando l’incompatibilità degli
stessi si evince “a contrario” dalla norme pianificatorie
evocate dal Comune nell’impugnata nota del 17/07/1996, poi
chiaramente illustrata dalla difesa comunale nella propria
memoria di costituzione.
4. La tolleranza ventennale non integra un’aspettativa
tutelabile alla luce del consolidato orientamento ai sensi
del quale gli illeciti in materia urbanistica, edilizia e
paesistica hanno carattere di illeciti permanenti, che si
protraggono nel tempo e vengono meno solo con il cessare
della situazione di illiceità, vale a dire con il
conseguimento delle prescritte autorizzazioni: pertanto il
potere amministrativo repressivo può essere esercitato senza
limiti di tempo e senza necessità di motivazione in ordine
al ritardo nell'esercizio del potere. In altri termini,
l'autorità non emana un atto "a distanza di tempo"
dall'abuso, ma reprime una situazione antigiuridica ancora
sussistente (cfr. sentenze sez. I – 21/05/2012 n. 848;
16/01/2012 n. 59 e la giurisprudenza ivi richiamata).
Peraltro, nel caso di specie il Comune ha sottolineato che
l’autorizzazione era stata sempre accordata in via
provvisoria, e detta “qualità” dei provvedimenti rende non
configurabile un affidamento meritevole di protezione
giuridica.
5. Non è degna di apprezzamento neppure l’ulteriore
argomentazione del ricorrente, circa l’avvenuta maturazione
del silenzio-assenso, in quanto l’intervento repressivo è
comunque intervenuto a distanza di breve tempo (poco più di
1 mese), circostanza che depotenzia l’obbligo di motivazione
dell’esercizio del potere di autotutela.
In conclusione il ricorso è privo di fondamento
(TAR Lombardia-Brescia, Sez. II,
sentenza 12.03.2014 n. 245 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA: La
giurisprudenza è sempre stata orientata alla tutela
dell’insopprimibile funzione agricola del territorio sotto
il profilo produttivo, ambientale, paesaggistico ed
idrogeologico.
Le normative comunali che ammettono una limitata possibilità
di realizzare in zona E3 interventi edilizi devono sempre
essere interpretate nel senso che si debba assicurare
comunque la tutela del territorio agricolo e alla sua
concreta utilizzazione ai fini alimentari, dovendo al
contrario ritenersi del tutto inconciliabili con le finalità
di una zona agricola, la realizzazione di strutture che ne
pregiudichino definitivamente la destinazione naturale del
territorio.
--------------
E’ del tutto inconciliabile con la finalità agricola, e non
può dunque essere ammissibile, la realizzazione in area
agricola di opere di battitura del terreno, riporto di
sabbia e di materiali inerti con asfaltatura per la
realizzazione di una pavimentazione per uno spessore di
circa 50 cm..
La realizzazione del piazzale- deposito altera lo stato dei
luoghi e costituisce un intervento di permanente
trasformazione edilizia ed urbanistica del territorio
disciplinato dall'art. 3 d.P.R. n. 380 del 2001 che, essendo
subordinato al permesso di costruire, deve necessariamente
rispettare le tipologia e le destinazioni d'uso funzionali
consentite per la zona agricola.
Si deve ricordare che la giurisprudenza è
sempre stata orientata alla tutela dell’insopprimibile
funzione agricola del territorio sotto il profilo
produttivo, ambientale, paesaggistico ed idrogeologico. Le
normative comunali che ammettono una limitata possibilità di
realizzare in zona E3 interventi edilizi devono sempre
essere interpretate nel senso che si debba assicurare
comunque la tutela del territorio agricolo e alla sua
concreta utilizzazione ai fini alimentari, dovendo al
contrario ritenersi del tutto inconciliabili con le finalità
di una zona agricola, la realizzazione di strutture che ne
pregiudichino definitivamente la destinazione naturale del
territorio (cfr. Consiglio di Stato sez. IV 04.10.2011
n. 5442; Consiglio di Stato sez. IV 18/03/2010 n. 1624;
Consiglio di Stato sez. IV 23/07/2012 n. 4204).
E’ dunque del tutto inconciliabile con la finalità agricola,
e non può dunque essere ammissibile, la realizzazione in
area agricola di opere di battitura del terreno, riporto di
sabbia e di materiali inerti con asfaltatura per la
realizzazione di una pavimentazione per uno spessore di
circa 50 cm..
La realizzazione del piazzale- deposito altera lo stato dei
luoghi e costituisce un intervento di permanente
trasformazione edilizia ed urbanistica del territorio
disciplinato dall'art. 3 d.P.R. n. 380 del 2001 che, essendo
subordinato al permesso di costruire, deve necessariamente
rispettare le tipologia e le destinazioni d'uso funzionali
consentite per la zona agricola.
Nella specie la realizzazione di un parcheggio scoperto è
assolutamente fuori dalle ipotesi di legittima utilizzazione
che il proprietario ritenga di fare del proprio terreno.
Infatti le NTA del PRG che in “Zona E) "rurale" prevedono
che:
“Gli interventi in queste zone devono essere rivolti allo
sviluppo delle attività agricola - produttive ed alla tutela
del territorio non edificato. Sono consentiti esclusivamente
le attività di coltivazione agricola, quelle residenziali
connesse, nonché le attività di trasformazione e
commercializzazione di prodotti agricoli produzione propria.
Sono consentiti, altresì, le attività di tipo agrituristico,
nel rispetto delle normative vigenti in materia".
In base alla predetta disposizione, l’area in questione non
poteva essere assolutamente essere finalizzata alla
realizzazione di un piazzale destinato all'attività di
deposito giudiziario ed amministrativo di autoveicoli in
quanto si risolveva in una sostanziale inammissibile “deruralizzazione”
dell’area
(Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 10.03.2014 n. 1099 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
anno
2013 |
|
EDILIZIA PRIVATA:
Imprenditore agricolo oneri concessori e variante da
agricola a residenziale.
La mancanza del requisito
dell’imprenditore agricolo a titolo principale è sufficiente
a ritenere dovuto il contributo concessorio e insussistente
il diritto alla esenzione, legato a ipotesi tassative.
Inoltre, va aggiunto che ai fini del mutamento di
destinazione d’uso (nella specie, da agricola a
residenziale) si ritiene che comporti aumento del carico
urbanistico il passaggio tra due categorie funzionalmente
autonome, in quanto il mutamento di destinazione d’uso, in
sé, nella specie, a differenza di quanto sostiene
l’appellata, comporta un maggiore carico urbanistico, al
quale si correla la imposizione di pagamento.
Occorre ora
esaminare la correttezza del ragionamento del primo giudice,
contestato dall’appello, sulla base sia degli accertamenti
effettuati sulla natura dell’intervento che sulla base della
disciplina normativa sulla dovutezza del contributo.
In fatto, la verificazione ha dato modo di accertare che:
a) l’intervento (che secondo il Comune è consistito nella
demolizione e ricostruzione del preesistente edificio
ubicato in zona agricola ed individuato come fabbricato
rurale di rilevante valore dal Piano regolatore con
contestuale cambio di destinazione di uso poiché la nuova
costruzione oggetto di sanatoria non avrebbe più
destinazione agricola ma residenziale) deve essere
qualificato come ristrutturazione edilizia e non come
restauro e risanamento conservativo; b) non sussistono
elementi univoci nel senso che esso avrebbe comportato
mutamenti di destinazione d’uso, anche se le previsioni
divisorie interne e le modifiche alle aperture esistenti non
pregiudicano tale possibilità; c) non si può ritenere dalla
documentazione esistente che sussista il requisito
dell’imprenditore agricolo a titolo principale e anzi, deve
ritenersi, tale qualifica non sussiste.
La legge invocata 28/01/1977, n. 10 all’articolo 9 prevede
(prevedeva perché trattasi di articolo abrogato
dall'articolo 136, comma 1, lettera c), del D.P.R. 06.06.2001, n. 380, a decorrere dal
01.01.2002; tuttavia
applicabile ratione temporis, poiché l’intervento è degli
anni novanta e il ricorso originario dell’anno 1998) che il
contributo di cui al precedente articolo 3 non è dovuto per
(lettera a) le opere da realizzare nelle zone agricole, ivi
comprese le residenze, in funzione della conduzione del
fondo e delle esigenze dell'imprenditore agricolo a titolo
principale, ai sensi dell'art. 12, L. 09.05.1975, n. 153.
Si intende quindi (tra tante, si veda Consiglio Stato sez.
V, 30.08.2005, n. 4424) che l'esonero dal pagamento
degli oneri concessori per gli edifici destinati alla
conduzione del fondo e alle esigenze dell'imprenditore
agricolo, stabilito dalla lett. a), art. 9, l. n. 10 del
1977, spetta soltanto a tutti i soggetti che esercitino
l'attività agricola a titolo principale, tanto persone
fisiche che persone giuridiche.
Pertanto, una volta accertata la insussistenza della
qualifica di imprenditore agricolo a titolo principale,
l’esenzione è del tutto ingiustificata, né si giustifica
l’accoglimento motivato sulla base di una asserita disparità
di trattamento con situazione, invero del tutto differente,
di un altro soggetto, anch’egli proprietario di un edificio
unifamiliare (che però ricade in zona diversamente
classificata dal PRG), che non sarebbe esonerato da tale
obbligazione, a fronte di un intervento edilizio medesimo
avente le medesime caratteristiche.
A meno di non incorrere in una interpretazione arbitraria,
si deve soltanto accertare, a tal fine –salvo valutare
altresì la natura dell’intervento realizzato– se sussiste
il requisito della imprenditore agricolo a titolo principale
(che è oggetto di una specifica disciplina, ora a seguito
della c.d. Legge di orientamento sull’imprenditore
agricolo), in quanto solo in tal caso sussiste il diritto (e
invero ovviamente la ragione legislativa) alla esenzione del
contributo di concessione per le opere da realizzare in zona
agricola.
Con riguardo alla effettiva natura dell’intervento, è
evidente che non possa essere accolta la tesi della parte
appellata, riproposta in memoria, secondo cui si tratterebbe
nella specie soltanto di restauro o risanamento
conservativo.
Sia sufficiente osservare come in relazione alla natura di
ristrutturazione dell’intervento si sono espressi con
chiarezza sia la verificazione sia lo stesso primo giudice,
che ha accolto il ricorso, come visto, sulla base di diverso
iter logico interpretativo. Né, al riguardo, l’appellata ha
fornito argomenti in grado di sovvertire le conclusioni del
verificatore.
La caratteristica degli interventi di mero restauro è quella
di essere effettuati mediante interventi che non comportano
l’alterazione delle caratteristiche edilizie dell’immobile
da restaurare, rispettando gli elementi formali e
strutturali dell’immobile stesso, dovendosi privilegiare la
funzione di ripristino della individualità originaria
dell’immobile (Cassazione penale, III, 01.09.2009, n.
33536), mentre la ristrutturazione edilizia si caratterizza
per essere idonea ad introdurre un quid novi rispetto al
precedente assetto dell’edificio.
Nella specie è stato demolito il secondo corpo di fabbrica e
parzialmente ricostruito con pareti portanti dal piano terra
al piano primo a sostegno del solaio e le opere realizzate
sono tali da essere definite variazioni essenziali recanti
il mutamento delle caratteristiche dell’intervento edilizio;
il verificatore aggiunge che non è da escludersi –e anzi
tutte le circostanze di fatto portano a ritenerlo probabile- il successivo mutamento di destinazione d’uso da agricolo
a residenziale.
La mancanza del requisito dell’imprenditore agricolo a
titolo principale è sufficiente a ritenere dovuto il
contributo concessorio e insussistente il diritto alla
esenzione, legato a ipotesi tassative.
Inoltre, va aggiunto che ai fini del mutamento di
destinazione d’uso (nella specie, da agricola a
residenziale) si ritiene che comporti aumento del carico
urbanistico il passaggio tra due categorie funzionalmente
autonome, in quanto il mutamento di destinazione d’uso, in
sé, nella specie (per tali considerazioni, si veda di
recente tra varie Cons. Stato, V, 30.08.2013, n. 4326) a
differenza di quanto sostiene l’appellata, comporta un
maggiore carico urbanistico, al quale si correla la
imposizione di pagamento
(massima tratta da www.lexambiente.it -
Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 13.12.2013 n. 6005
- link a www.giustizia-amministrativa.it). |
URBANISTICA:
La destinazione a verde
agricolo di un'area non implica necessariamente che la
stessa soddisfi in modo diretto ed immediato interessi
agricoli, ben potendo giustificarsi con le esigenze
dell'ordinato governo del territorio, quale la necessità di
impedire un'ulteriore edificazione delle aree, mantenendo un
equilibrato rapporto tra aree libere ed edificate o
industriali.
La giurisprudenza è, invero, concorde
nell’affermare che la destinazione a verde agricolo di
un'area non implica necessariamente che la stessa soddisfi
in modo diretto ed immediato interessi agricoli, ben potendo
giustificarsi con le esigenze dell'ordinato governo del
territorio, quale –come è avvenuto nel caso di specie- la
necessità di impedire un'ulteriore edificazione delle aree,
mantenendo un equilibrato rapporto tra aree libere ed
edificate o industriali (Consiglio di Stato, sez. IV, 12.02.2013, n. 830; Tar Lombardia, Milano, sez. II, 20.06.2012,
n. 1720)
(TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 11.12.2013 n. 2808 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
E’ legittima la sua collocazione in zona agricola
in quanto l’impianto di distribuzione di carburanti per la
sua natura di opera di urbanizzazione secondaria può essere
collocato, salvo particolari ragioni, in qualsiasi parte del
territorio comunale.
E’ legittima la sua collocazione in zona agricola in quanto
l’impianto di distribuzione di carburanti per la sua natura
di opera di urbanizzazione secondaria può essere collocato,
salvo particolari ragioni, in qualsiasi parte del territorio
comunale (C. di S., V, 23.01.2007, n. 192) (Consiglio di
Stato, Sez. V,
sentenza 20.11.2013 n.
5469 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
W. Fumagalli.
In Lombardia chi può costruire nelle zone agricole?
NUOVI DUBBI DI INCOSTITUZIONALITÀ POTREBBERO INVESTIRE LA
LEGGE REGIONALE N. 12/2005 -
La disciplina regionale relativa all’edificazione nelle zone
agricole forse non è compatibile con l’articolo 117 della
Costituzione (AL n. 493/2013). |
EDILIZIA PRIVATA:
C. Basciu,
Impianti fotovoltaici in zona agricola: i diritti degli
agricoltori e gli obblighi nei confronti dell’Unione Europea
(16.10.2013 - link a www.lexambiente.it). |
EDILIZIA PRIVATA: La
l.r. lombarda n. 93/1980, nel disciplinare in modo puntuale
i limiti dell'utilizzazione edilizia delle zone agricole,
con l'individuazione tipologica degli interventi ammessi, la
loro necessaria connotazione funzionale all'esercizio delle
attività agricole, l'enucleazione di restrittivi indici
fondiari ed edilizi, il collegamento imprescindibile con
ineludibili requisiti soggettivi è ispirata ad una
trasparente ratio tesa a evitare e minimizzare il c.d.
consumo di suolo.
In tale prospettiva, mentre deve evidentemente escludersi
che gli strumenti urbanistici possano modificare in senso
ampliativo i predetti limiti e parametri, non può viceversa
sostenersi che, sia pure con specifica e congrua
motivazione, essi non possano, invece, introdurre
limitazioni più penetranti, col limite ovvio di non poter
precludere l'utilizzazione agricola, la conservazione dei
manufatti esistenti, la loro ristrutturazione a fini e usi
produttivi.
La giurisprudenza di questa Sezione ha già avuto modo di
chiarire che "Nella regione Lombardia l'art. 2 l.r.
07.06.1980 n. 93, nel prevedere la normativa applicabile nei
territori dei comuni per le zone agricole E, non ha precluso
all'autorità urbanistica l'esercizio del più pieno potere di
pianificazione del territorio anche in funzione di
salvaguardia dei valori ambientali e paesaggistici, con la
conseguenza che le disposizioni da esso introdotte si
applicano in via sussidiaria ove manchino specifiche
prescrizioni dello strumento urbanistico, e non rendono
illegittime le scelte inerenti alla assoluta inedificabilità
e immodificabilità delle aree agricole, ovvero quelle che
subordinano l'identificazione delle possibili modifiche
all'adozione di un piano attuativo, volto alla razionale
gestione del territorio posto all'interno dell'istituendo
parco".
L'art. 4 della legge, nello stabilire che "Le disposizioni
di cui agli artt. 2 e 3 della presente legge sono
immediatamente prevalenti sulle norme e sulle previsioni
degli strumenti urbanistici e dei regolamenti edilizi e di
igiene comunali che risultino in contrasto con esse",
intende soltanto evidenziare che diverse e/o più favorevoli
prescrizioni, condizioni, indici e parametri eventualmente
previsti negli strumenti urbanistici e nei regolamenti
comunali sono sostituiti in via diretta e automatica, previa
doverosa disapplicazione, da quelli contemplati direttamente
dalla legge regionale, che ha contenuti immediatamente
precettivi e non richiede, quindi, l'avvio di alcuna
procedura di recepimento mediante variante urbanistica.
---------------
La legge regionale lombarda n. 12/2005, a differenza della
legge regionale n. 93/1980, ha espressamente indicato e
previsto che gli strumenti urbanistici comunali debbano
recepire le prescrizioni ivi recate relative alle aree
destinate all'agricoltura, dovendo assicurare la
"conformità" della normativa d'uso, valorizzazione e
salvaguardia di livello comunale con i requisiti,
condizioni, limiti e parametri direttamente individuati
dagli artt. 59 e 60.
Il giudice amministrativo lombardo
muove, in effetti, da una erronea interpretazione dell'art.
4 della l.r. n. 93/1980 e più in generale sul rapporto tra
le previsioni della predetta legge regionale e i poteri
pianificatori comunali in assenza di strumenti di
pianificazione intermedia con valenza anche paesistico-ambientale.
La legge regionale 07.06.1980, n. 93, nel disciplinare in
modo puntuale i limiti dell'utilizzazione edilizia delle
zone agricole, con l'individuazione tipologica degli
interventi ammessi, la loro necessaria connotazione
funzionale all'esercizio delle attività agricole,
l'enucleazione di restrittivi indici fondiari ed edilizi, il
collegamento imprescindibile con ineludibili requisiti
soggettivi (riconosciuto pienamente legittimo dalla nota
sentenza della Corte Costituzionale, 16.05.1995, n. 167)
è ispirata ad una trasparente ratio tesa a evitare e
minimizzare il c.d. consumo di suolo.
In tale prospettiva, mentre deve evidentemente escludersi
che gli strumenti urbanistici possano modificare in senso
ampliativo i predetti limiti e parametri, non può viceversa
sostenersi che, sia pure con specifica e congrua
motivazione, essi non possano, invece, introdurre
limitazioni più penetranti, col limite ovvio di non poter
precludere l'utilizzazione agricola, la conservazione dei
manufatti esistenti, la loro ristrutturazione a fini e usi
produttivi.
La giurisprudenza di questa Sezione ha già avuto modo di
chiarire che "Nella regione Lombardia l'art. 2 l.r.
07.06.1980 n. 93, nel prevedere la normativa applicabile nei
territori dei comuni per le zone agricole E, non ha precluso
all'autorità urbanistica l'esercizio del più pieno potere di
pianificazione del territorio anche in funzione di
salvaguardia dei valori ambientali e paesaggistici, con la
conseguenza che le disposizioni da esso introdotte si
applicano in via sussidiaria ove manchino specifiche
prescrizioni dello strumento urbanistico, e non rendono
illegittime le scelte inerenti alla assoluta inedificabilità
e immodificabilità delle aree agricole, ovvero quelle che
subordinano l'identificazione delle possibili modifiche
all'adozione di un piano attuativo, volto alla razionale
gestione del territorio posto all'interno dell'istituendo
parco" (Cons. Stato, Sez. IV, 19.02.2007, n. 860).
L'art. 4 della legge, nello stabilire che "Le disposizioni
di cui agli artt. 2 e 3 della presente legge sono
immediatamente prevalenti sulle norme e sulle previsioni
degli strumenti urbanistici e dei regolamenti edilizi e di
igiene comunali che risultino in contrasto con esse",
intende soltanto evidenziare che diverse e/o più favorevoli
prescrizioni, condizioni, indici e parametri eventualmente
previsti negli strumenti urbanistici e nei regolamenti
comunali sono sostituiti in via diretta e automatica, previa
doverosa disapplicazione, da quelli contemplati direttamente
dalla legge regionale, che ha contenuti immediatamente
precettivi e non richiede, quindi, l'avvio di alcuna
procedura di recepimento mediante variante urbanistica.
In tale chiave interpretativa si comprende anche la
previsione contenuta nell'art. 2, comma 7, della legge, a
tenore della quale "Le disposizioni di cui al comma 2°, 3°,
4°, 5° e 6° del presente articolo si applicano fino
all'approvazione del piano territoriale comprensoriale di
cui alla sezione II, titolo II, della legge regionale 15.04.1975, n. 51", che ha inteso evidentemente demandare
l'individuazione di una più articolata e specifica
disciplina dell'utilizzazione delle zone agricole allo
strumento di pianificazione intermedio di livello
comprensoriale, al quale rimane affidata la funzione di
dettare una normativa rapportata agli ambiti territoriali di
riferimento, e quindi in grado di valutare e valorizzare le
loro precipue caratteristiche.
In altri termini, se il piano territoriale comprensoriale
(strumento rimasto inattuato, come pure riconosciuto dal
giudice amministrativo lombardo, salvo che per la provincia
di Lodi) avrebbe potuto introdurre nuovi, diversi, anche più
ampliativi, limiti e parametri, non per questo ai comuni era
precluso, nell'esercizio del potere di pianificazione,
l'enucleazione di limiti e parametri più restrittivi, e ciò
anche in vista di esigenze di tutela lato sensu ambientale e
paesistica.
Non può infatti obliterarsi che l'art. 18, comma 1, n. 1)
della stessa della legge regionale 15.04.1975, n. 51
(recante "Disciplina urbanistica del territorio regionale e
misure di salvaguardia del patrimonio naturale e
paesistico") demandava ai piani regolatori comunali, tra
l'altro, di individuare "le aree agricole, di riserva
naturale e di tutela dei beni paesaggistici", e che nella
diversa forma del territorio possono essere e sono
normalmente compresenti in una stessa area valenze
produttive e connotazioni naturalistiche, ambientali e
paesistiche.
Né ai fini della corretta interpretazione dell'art. 4 della
l.r. n. 93/1980 può soccorrere, al contrario di quanto
opinato dal giudice amministrativo bresciano, la
disposizione dell'art. 61 della l.r. 11.03.2005, n. 12
(recante "Legge per il governo del territorio"), ossia la
successiva legge urbanistica regionale, poiché la
inderogabilità delle previsioni e prescrizioni di cui agli
artt. 59 e 60 della medesima ivi si ricollega alla
vincolante e specifica indicazione di cui al precedente art.
10, comma 4, lettera a), n. 1), secondo cui "Il piano delle
regole: a) per le aree destinate all'agricoltura: 1) detta
la disciplina d'uso, di valorizzazione e di salvaguardia, in
conformità con quanto previsto dal titolo terzo della parte
seconda".
In altri termini, la legge regionale n. 12/2005, a
differenza della legge regionale n. 93/1980, ha
espressamente indicato e previsto che gli strumenti
urbanistici comunali debbano recepire le prescrizioni ivi
recate relative alle aree destinate all'agricoltura, dovendo
assicurare la "conformità" della normativa d'uso,
valorizzazione e salvaguardia di livello comunale con i
requisiti, condizioni, limiti e parametri direttamente
individuati dagli artt. 59 e 60
(Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 30.09.2013 n. 4848 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: M.
Viviani,
Allevamenti intensivi di pollame o di suini (27.07.2013).
---------------
Ringraziamo l'amico Avv. Mario Viviani -del foro di
Milano- per l'utile contributo.
29.07.2013 - LA SEGRETERIA PTPL |
EDILIZIA PRIVATA:
Oneri di edificazione in area agricola.
Per interventi di nuova edificazione, a
destinazione turistico-residenziale, ancorché realizzati in
via eccezionale e derogatoria in zona agricola o a
prevalente vocazione rurale, l’incidenza degli oneri di
urbanizzazione, proprio in funzione della più marcata ed
evidente incidenza dei suddetti interventi sul territorio e
in vista della necessaria maggiore infrastrutturazione, non
possono comportare scostamenti dai coefficienti relativi ad
altri usi di natura residenziale.
D’altro canto è di intuitiva evidenza che per interventi di
nuova edificazione, a destinazione turistico-residenziale,
ancorché realizzati in via eccezionale e derogatoria in zona
agricola o a prevalente vocazione rurale, l’incidenza degli
oneri di urbanizzazione, proprio in funzione della più
marcata ed evidente incidenza dei suddetti interventi sul
territorio e in vista della necessaria maggiore
infrastrutturazione, non possono comportare scostamenti dai
coefficienti relativi ad altri usi di natura residenziale
(massima tratta da www.lexambiente.it - Consiglio di Stato,
Sez. IV,
sentenza 16.05.2013 n. 2673 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
In ordine alla gratuità degli interventi
in zona agricola, l’art. 9, comma 1, lett. a), della l. n.
10 del 1977 (oggi art. 17, co. 3, lett. a), t.u. edilizia)
prevede una duplice condizione:
a) che la zona di intervento abbia nello strumento
urbanistico destinazione agricola;
b) che l’intervento sia funzionale allo sfruttamento
agricolo del fondo.
Non è sufficiente quindi la destinazione agricola dell’area
interessata dalla costruzione, essendo, invece, necessaria
la concorrenza della destinazione della costruzione allo
sfruttamento del fondo che presuppone la qualità soggettiva
del richiedente, di imprenditore agricolo a titolo
principale.
In ordine al requisito soggettivo, poi, la giurisprudenza è
univoca nell’interpretazione restrittiva della norma, sì da
delimitarne l’ambito esclusivamente all’imprenditore
agricolo a titolo principale ai sensi dell’art. 12, l.
09.05.1975, n. 153.
La gratuità della concessione edilizia è, dunque, prevista
ove concorrano qualità soggettive del richiedente,
che deve essere imprenditore agricolo a titolo principale, e
qualità oggettive del fabbricato da erigersi.
In ordine alla gratuità degli interventi in zona agricola,
l’art. 9, comma 1, lett. a), della l. n. 10 del 1977 (oggi
art. 17, co. 3, lett. a), t.u. edilizia), rinviando all’art.
12 della l. 09.05.1975, n. 153 (successivamente abrogato
dall’art. 1 del d.lgs. 29.03.2004 n. 99 a sua volta
modificato dall’art. 1 d.lgs. 27.05.2005, n. 101), prevede
una duplice condizione:
a) che la zona di intervento abbia nello strumento
urbanistico destinazione agricola;
b) che l’intervento sia funzionale allo sfruttamento
agricolo del fondo.
Non è sufficiente quindi la destinazione agricola dell’area
interessata dalla costruzione, essendo, invece, necessaria
la concorrenza della destinazione della costruzione allo
sfruttamento del fondo che presuppone la qualità soggettiva
del richiedente, di imprenditore agricolo a titolo
principale.
In ordine al requisito soggettivo, poi, la giurisprudenza è
univoca nell’interpretazione restrittiva della norma, sì da
delimitarne l’ambito esclusivamente all’imprenditore
agricolo a titolo principale ai sensi dell’art. 12, l.
09.05.1975, n. 153 (cfr. Cons. Stato, sez. V, 02.09.1990, n.
682; TAR Sicilia, Catania, sez. I, 03.10.2005, n. 1533;
Palermo, sez. I, 15.07.2004, n. 1554).
La gratuità della concessione edilizia è, dunque, prevista
ove concorrano qualità soggettive del richiedente,
che deve essere imprenditore agricolo a titolo principale, e
qualità oggettive del fabbricato da erigersi.
Nel caso non sussistevano tali requisiti soggettivi, in
disparte ogni considerazione sul tipo di costruzione,
consistente nell’ampliamento di una villa residenziale
destinata ad abitazione permanente, che per struttura è ben
lontana da potersi ritenere destinata a scopi agricoli.
Quanto all’asserita applicabilità della esenzione al
fabbricato da destinare ad abitazione dell’imprenditore
agricolo, in disparte la questione di principio
sull’ammissibilità della interpretazione estensiva di una
norma derogatoria, nel caso non poteva trovare ingresso
l’esenzione non avendo mai la ricorrente provato la qualità
di imprenditore agricolo ai sensi della richiamata l. n. 153
del 1975, che deve coesistere con la destinazione
dell’intervento alla destinazione agricola.
In conclusione, il Sindaco legittimamente ha richiesto il
pagamento degli oneri contemplati dall’art. 3 della l.
28.01.1977, n. 10 per il rilascio della concessione edilizia
in questione, in mancanza di allegazione da parte
dell’istante della documentazione attestante il possesso dei
requisiti per beneficiare di siffatta esenzione (in termini,
Cons. Stato, sez. V, 02.09.1990, n. 682) (Consiglio di
Stato, Sez. V,
sentenza 14.05.2013 n. 2609 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
URBANISTICA:
Deve ritenersi
legittima la variante di piano regolatore che, al fine di
tutelare una parte del territorio comunale particolarmente
rilevante per il suo pregio ambientale, storico o artistico,
dispone restrizioni edificatorie e particolari salvaguardie
della zona agricola, la cui funzione non è solo quella di
valorizzare l’attività agricola vera e propria, ma anche
quella di garantire ai cittadini l’equilibrio delle
condizioni di vivibilità, assicurando loro quella quota di
valori naturalistici necessaria a compensare gli effetti
dell’espansione dell'aggregato urbano.
Come, peraltro, condivisibilmente statuito da questo
Consiglio di Stato in materia di pianificazione urbanistica,
deve ritenersi legittima la variante di piano regolatore
che, al fine di tutelare una parte del territorio comunale
particolarmente rilevante per il suo pregio ambientale,
storico o artistico, dispone restrizioni edificatorie e
particolari salvaguardie della zona agricola, la cui
funzione non è solo quella di valorizzare l’attività
agricola vera e propria, ma anche quella di garantire ai
cittadini l’equilibrio delle condizioni di vivibilità,
assicurando loro quella quota di valori naturalistici
necessaria a compensare gli effetti dell’espansione
dell'aggregato urbano (v., sul punto, per tutte, C.d.S.,
Sez. IV, 13.10.2010, n. 7478, in una fattispecie connotata
dall’apposizione di un termine alle previsioni di una
variante di piano regolatore in attesa dell’elaborazione di
una futura variante generale, ritenuta legittima sulla base
del condivisibile rilievo che la previsione di tale limite
temporale costituiva una ragionevole misura cautelativa
rientrante nei poteri di buona amministrazione e, per di
più, introduceva una disciplina più favorevole ai privati,
poiché, in mancanza di una tempestiva adozione della
variante generale, le previsioni temporanee sarebbero state
destinate a cadere) (Consiglio di Stato, Sez. VI,
sentenza 05.04.2013 n. 1882 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
M. Acquasaliente,
I parcheggi interrati della legge Tognoli non si possono
realizzare in zona agricola (11.03.2013 - link a
http://venetoius.it). |
EDILIZIA PRIVATA: E’
fondato il motivo di ricorso, con il quale il ricorrente
rileva l’erroneità della tesi sostenuta dal Comune, in forza
della quale la concessione edilizia in zona agricola può
essere rilasciata soltanto al coltivatore diretto a titolo
principale, in quanto l’unico requisito rilevante per il
rilascio del permesso di costruire è, invece, oltre che la
titolarità del diritto di proprietà sul fondo, la
compatibilità urbanistico edilizia dell’intervento.
Ed invero contrasta con i principi in materia urbanistica un
atto che a prescindere dal tipo di opera realizzanda e dalla
verifica di compatibilità con le previsioni dello strumento
urbanistico si fondi sulle qualità personali del
richiedente, in quanto la qualità indebitamente richiesta
assume valore ai soli fini dell’applicazione dei benefici
economici previsti in favore dei coltivatori diretti
dall’articolo 9, lettera a), della legge 28.01.1977 n. 10.
Ne consegue che l'elemento soggettivo relativo alla
qualifica (agricoltore o imprenditore agricolo, o
proprietario concedente il fondo in affitto) del richiedente
il permesso di costruire in zona agricola è del tutto
irrilevante, se il soggetto non intende avvalersi
dell'esonero del pagamento degli oneri per costruire.
Elemento oggettivo indispensabile è invece la titolarità
della proprietà o l'esistenza di altro titolo idoneo di
disponibilità del bene, oltre naturalmente alla
compatibilità con gli strumenti urbanistici.
Il ricorso è fondato e va accolto.
E’ in particolare fondato il secondo motivo di ricorso, con
il quale il ricorrente rileva l’erroneità della tesi
sostenuta dal Comune, in forza della quale la concessione
edilizia in zona agricola può essere rilasciata soltanto al
coltivatore diretto a titolo principale, in quanto l’unico
requisito rilevante per il rilascio del permesso di
costruire è, invece, oltre che la titolarità del diritto di
proprietà sul fondo, la compatibilità urbanistico edilizia
dell’intervento.
Ed invero contrasta con i principi in materia urbanistica un
atto che a prescindere dal tipo di opera realizzanda e dalla
verifica di compatibilità con le previsioni dello strumento
urbanistico si fondi sulle qualità personali del
richiedente, in quanto la qualità indebitamente richiesta
assume valore ai soli fini dell’applicazione dei benefici
economici previsti in favore dei coltivatori diretti
dall’articolo 9, lettera a), della legge 28.01.1977 n. 10.
Ne consegue che l'elemento soggettivo relativo alla
qualifica (agricoltore o imprenditore agricolo, o
proprietario concedente il fondo in affitto) del richiedente
il permesso di costruire in zona agricola è del tutto
irrilevante, se il soggetto non intende avvalersi
dell'esonero del pagamento degli oneri per costruire.
Elemento oggettivo indispensabile è invece la titolarità
della proprietà o l'esistenza di altro titolo idoneo di
disponibilità del bene, oltre naturalmente alla
compatibilità con gli strumenti urbanistici (TAR Lazio,
Roma, sez. II, 02.11.2010, n. 33106; TAR Sicilia, Palermo,
sez. III, 04.01.2008, n. 3) (TAR Sicilia-Catania, Sez. I,
sentenza 07.03.2013 n. 771 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA: Parere
in merito alla possibilità di rilasciare titolo abilitativo
edilizio per completare edifici, con permesso di costruire
scaduto, di cui è stata realizzata la sola struttura
portante, senza tamponatura, in zona agricola - Comune di
Sant'Angelo Romano (Regione Lazio,
parere 27.02.2013 n. 322042 di prot.). |
EDILIZIA PRIVATA:
Il semplice scarico e spianamento su un terreno di una certa
quantità di detriti non integra l’ipotesi di trasformazione
della destinazione a zona agricola dello stesso, né quella
di occupazione di suolo mediante deposito di materiali di
cui all’art. 7 d.l. 23.01.1982 n. 9 per le quali sia
necessaria specifica autorizzazione dell’autorità comunale,
concretando piuttosto un’ipotesi di mera utilizzazione che
il proprietario ritenga fare del proprio terreno, per la
quale è esclusa la necessità di un titolo concessorio.
Il provvedimento impugnato non specifica e non dà modo di
comprendere per quali ragioni, e sotto quali profili, il
deposito di materiale di risulta sull’area di proprietà
della società ricorrente sia stato ritenuto “difforme”
dalle denunce di inizio attività presentate
dall’interessata.
Il richiamo, fatto nel preambolo dell’atto impugnato, al
contenuto della relazione istruttoria dell’ufficio tecnico
comunale non è conferente sotto tale profilo, dal momento
che detta relazione si era limitata a riferire
dell’esistenza di difformità “del muro di cinta”
rispetto al progetto allegato alla DIA, non del deposito del
materiale di risulta, al quale l’ufficio tecnico aveva
accennato solo come elemento sintomatico, unitamente alla
realizzazione delle opere di recinzione, dell’esistenza in
atto di una lottizzazione abusiva del terreno.
Soprattutto, e più in generale, il semplice scarico e
spianamento su un terreno di una certa quantità di detriti
non integra l’ipotesi di trasformazione della destinazione a
zona agricola dello stesso, né quella di occupazione di
suolo mediante deposito di materiali di cui all’art. 7 d.l.
23.01.1982 n. 9 per le quali sia necessaria specifica
autorizzazione dell’autorità comunale (Cons. St. Ad Plen.
05.12.1984, n. 22), concretando piuttosto un’ipotesi di mera
utilizzazione che il proprietario ritenga fare del proprio
terreno, per la quale è esclusa la necessità di un titolo
concessorio (TAR Piemonte, Sez. I,
sentenza 08.02.2013 n. 184 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
Deve escludersi
il carattere agricolo dell'attività di molitura delle olive
e lavorazione della pasta disoleata, giacché il ciclo
produttivo dell'impianto è finalizzato al trattamento non
solo di olive, ma anche di derivati di seconda lavorazione
conferiti da altri opifici.
La caratterizzazione principale dell'attività consiste
dunque in una lavorazione di prodotti di terzi mediante una
complessa tecnologia che di per sé non è espressione di
tipica attività agricola.
---------------
È stato precisato che la predetta attività connessa
dell'imprenditore agricolo deve restare collegata
all'attività dal medesimo esercitata in via principale
mediante un vincolo di strumentalità o complementarietà
funzionale, in assenza del quale essa non rientra
nell'esercizio normale dell'agricoltura ed assume invece il
carattere prevalente o esclusivo dell'attività commerciale o
industriale.
Con specifico riguardo all'attività di molitura delle olive
è stato rilevato che, qualora sia svolta anche a favore di
terzi, può definirsi agricola solo se quest'ultima attività
non sia prevalente.
In ogni caso, allorquando l'attività della cui connessione
con un'attività propriamente agricola si discute, abbia in
concreto dimensioni tali (anche nell'ambito della medesima
impresa) che la rendono principale rispetto quella agricola,
deve escludersi il carattere agricolo dell'attività stess.
Alla stregua delle predette considerazioni deve senz'altro
escludersi il carattere agricolo dell'attività in questione,
giacché, in genere in tali casi, come anche nella specie, il
ciclo produttivo dell'impianto è finalizzato al trattamento,
come si ripete, non solo di olive, ma anche di derivati di
seconda lavorazione conferiti da altri opifici.
La caratterizzazione principale dell'attività consiste
dunque in una lavorazione di prodotti di terzi mediante una
complessa tecnologia che di per sé non è espressione di
tipica attività agricola.
---------------
Già è stato ritenuto legittimo il diniego di concessione
edilizia opposto dal Comune alla realizzazione in zona
agricola di un impianto per la molitura delle olive e la
trasformazione delle paste derivate, ove come nel caso, per
dimensioni e tipologia, esso sia destinato prevalentemente
alla lavorazione dei prodotti di terzi rispetto a quelli
provenienti dal fondo; la lavorazione e trasformazione dei
prodotti agricoli -per poter essere considerata "attività
connessa" all'agricoltura e rientrare nella nozione di
"impresa agricola" di cui all'art. 2135 c.c.- deve infatti
avere carattere strettamente strumentale e complementare
all' attività principale di coltivazione del fondo, ciò che
non accade allorché essa abbia prevalentemente ad oggetto la
trasformazione di prodotti agricoli per conto terzi.
Questo Consesso ha già sostenuto che deve escludersi il
carattere agricolo dell'attività di molitura delle olive e
lavorazione della pasta disoleata, giacché il ciclo
produttivo dell'impianto è finalizzato al trattamento non
solo di olive, ma anche di derivati di seconda lavorazione
conferiti da altri opifici.
La caratterizzazione principale dell'attività consiste
dunque in una lavorazione di prodotti di terzi mediante una
complessa tecnologia che di per sé non è espressione di
tipica attività agricola.
Deve rilevarsi che la lavorazione per conto terzi (“da un
ristretto numero di clienti”) non è smentita e anzi
ammessa anche da parte del De Giorgi (relazione dott.
Salerno, in particolare).
È stato precisato che la predetta attività connessa
dell'imprenditore agricolo deve restare collegata
all'attività dal medesimo esercitata in via principale
mediante un vincolo di strumentalità o complementarietà
funzionale, in assenza del quale essa non rientra
nell'esercizio normale dell'agricoltura ed assume invece il
carattere prevalente o esclusivo dell'attività commerciale o
industriale (in tal senso: Cons. stato, sez. IV 14.05.2001
n. 2669).
Con specifico riguardo all'attività di molitura delle olive
è stato rilevato che, qualora sia svolta anche a favore di
terzi, può definirsi agricola solo se quest'ultima attività
non sia prevalente (Cass. 29.03.1990 n. 2571).
In ogni caso, allorquando l'attività della cui connessione
con un'attività propriamente agricola si discute, abbia in
concreto dimensioni tali (anche nell'ambito della medesima
impresa) che la rendono principale rispetto quella agricola,
deve escludersi il carattere agricolo dell'attività stessa
(Cass. 06.06.1974 n. 1682).
Alla stregua delle predette considerazioni deve senz'altro
escludersi il carattere agricolo dell'attività in questione,
giacché, in genere in tali casi, come anche nella specie, il
ciclo produttivo dell'impianto è finalizzato al trattamento,
come si ripete, non solo di olive, ma anche di derivati di
seconda lavorazione conferiti da altri opifici.
La caratterizzazione principale dell'attività consiste
dunque in una lavorazione di prodotti di terzi mediante una
complessa tecnologia che di per sé non è espressione di
tipica attività agricola.
Venendo in considerazione un impianto anche per la
lavorazione della pasta disoleata, il processo tecnologico
consiste in ciò: una volta molite le olive si procede,
attraverso particolari strutture (oggetto della denegata
concessione in sanatoria) ad estrarre, per separazione, oli
e pasta disoleata, dopo di che tale pasta, costituita da un
miscuglio di sansa più acqua contenuta nelle olive, subisce
ulteriori cicli di trasformazione grazie ai quali viene
recuperata la pasta esausta, dalla quale, poi, per
successive lavorazioni tecnologiche, si ottengono nuovi
derivati, alcuni dei quali, come ad esempio l'olio d'oliva "lampante",
devono essere sottoposti ad un ultimo trattamento di
trasformazione, che prevede l'uso di processi chimici, per
poter diventare commestibili.
Non si è in definitiva in presenza di una semplice attività
connessa ad un'attività tipicamente agricola svolta in via
principale, bensì di una vera e propria attività
industriale.
Con il medesimo motivo l’appellante lamenta che il Comune
non avrebbe svolto adeguata istruttoria per sostenere le
ragioni del diniego.
Il diniego del Comune ha preso le mosse dalla disciplina
urbanistica vigente; in particolare le NTA della zona B
(Completamento), zona in cui è posto il fondo in oggetto,
che non prevede, in tali zone, l’edificazione di locali per
attività artigianali moleste e rumorose, e il Regolamento
Comunale di Polizia Urbana, che all’art. 61 qualifica come
rumorosi e incomodi, dopo una serie non tassativa di esempi,
tutti quei mestieri che, per l’azione di macchine, di motori
o per l’uso continuo di strumenti manuali, rechino molestia
al vicinato.
E’ quindi immune da censure la qualificazione operata dagli
uffici comunali, laddove si assume non a torto che nel
progetto di frantoio (ciclo continuo di trasformazione,
lavorazione per conto terzi, sistema degli scarichi) si
ravviserebbe un impianto produttivo “del tutto avulso dal
tessuto edilizio di completamento”.
Giova in proposito ricordare come già è stato ritenuto
legittimo il diniego di concessione edilizia opposto dal
Comune alla realizzazione in zona agricola di un impianto
per la molitura delle olive e la trasformazione delle paste
derivate, ove come nel caso, per dimensioni e tipologia,
esso sia destinato prevalentemente alla lavorazione dei
prodotti di terzi rispetto a quelli provenienti dal fondo;
la lavorazione e trasformazione dei prodotti agricoli -per
poter essere considerata "attività connessa"
all'agricoltura e rientrare nella nozione di "impresa
agricola" di cui all'art. 2135 c.c.- deve infatti avere
carattere strettamente strumentale e complementare all'
attività principale di coltivazione del fondo, ciò che non
accade allorché essa abbia prevalentemente ad oggetto la
trasformazione di prodotti agricoli per conto terzi (così
Consiglio Stato sez. V, 06.03.2007, n. 1051)
(Consiglio di Stato, Sez.
IV,
sentenza 04.02.2013 n. 651 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
Comune di Monteleone Sabino - Parere in merito alla
sanabilità di una piscina abusiva in zona agricola
(Regione Lazio,
parere 30.01.2013 n. 533364 di prot.). |
EDILIZIA
PRIVATA:
Il semplice
scarico e spianamento su un terreno di una certa quantità di
detriti non integra l’ipotesi di trasformazione della
destinazione a zona agricola dello stesso, né quella di
occupazione di suolo mediante deposito di materiali di cui
all’art. 7 d.l. 23.01.1982 n. 9 per le quali sia necessaria
specifica autorizzazione dell’autorità comunale, concretando
piuttosto un’ipotesi di mera utilizzazione che il
proprietario ritenga fare del proprio terreno, per la quale
è esclusa la necessità di un titolo concessorio.
Più in generale, il semplice scarico e spianamento su un
terreno di una certa quantità di detriti non integra
l’ipotesi di trasformazione della destinazione a zona
agricola dello stesso, né quella di occupazione di suolo
mediante deposito di materiali di cui all’art. 7 d.l.
23.01.1982 n. 9 per le quali sia necessaria specifica
autorizzazione dell’autorità comunale (Cons. St. Ad Plen.
05.12.1984, n. 22), concretando piuttosto un’ipotesi di mera
utilizzazione che il proprietario ritenga fare del proprio
terreno, per la quale è esclusa la necessità di un titolo
concessorio (TAR Piemonte, Sez. I,
sentenza 08.01.2013 n. 184 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
anno
2012 |
|
URBANISTICA:
La regola
generale, che non richiede la puntuale motivazione delle
nuove destinazioni urbanistiche conferite dallo strumento
urbanistico, subisce delle eccezioni in alcune situazioni
specifiche, in cui il principio della tutela
dell'affidamento impone che lo strumento urbanistico dia
conto del modo in cui sia stata effettuata la ponderazione
degli interessi pubblici e siano state operate le scelte di
pianificazione; in particolare, detto affidamento si
verifica nei casi di:
a) superamento degli standard minimi di cui al D.M.
02.04.1968, con l'avvertenza che la motivazione ulteriore va
riferita esclusivamente alle previsioni urbanistiche
complessive di sovradimensionamento, indipendentemente dal
riferimento alla destinazione di zona di determinate aree;
b) lesione dell'affidamento qualificato del privato
derivante da convenzioni di lottizzazione, accordi di
diritto privato intercorsi tra il Comune e i proprietari
delle aree, o dalle aspettative nascenti da giudicati di
annullamento di dinieghi di permesso di costruire o di
silenzio rifiuto su una domanda di concessione;
c) modificazione in “zona agricola” della destinazione di
un'area limitata, interclusa da fondi edificati in modo non
abusivo
In ordine al punto A) va
osservato che la regola generale, che non richiede la
puntuale motivazione delle nuove destinazioni urbanistiche
conferite dallo strumento urbanistico, subisce delle
eccezioni in alcune situazioni specifiche, in cui il
principio della tutela dell'affidamento impone che lo
strumento urbanistico dia conto del modo in cui sia stata
effettuata la ponderazione degli interessi pubblici e siano
state operate le scelte di pianificazione; in particolare,
detto affidamento si verifica nei casi di:
a) superamento degli standard minimi di cui al D.M.
02.04.1968, con l'avvertenza che la motivazione ulteriore va
riferita esclusivamente alle previsioni urbanistiche
complessive di sovradimensionamento, indipendentemente dal
riferimento alla destinazione di zona di determinate aree;
b) lesione dell'affidamento qualificato del privato
derivante da convenzioni di lottizzazione, accordi di
diritto privato intercorsi tra il Comune e i proprietari
delle aree, o dalle aspettative nascenti da giudicati di
annullamento di dinieghi di permesso di costruire o di
silenzio rifiuto su una domanda di concessione;
c) modificazione in “zona agricola” della
destinazione di un'area limitata, interclusa da fondi
edificati in modo non abusivo (Tar Lazio, sez. II-bis,
02.03.2011, n.1950; TAR Toscana, sez. I, 27.04.2011, n. 730)
(TAR Lazio-Roma, Sez.
II-bis,
sentenza 29.11.2012 n. 9903 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
Sul diniego del permesso di costruire,
in zona agricola, di una casa di campagna di lusso
mascherata con sembianze attinenti all'edificio agricolo.
Considerato, nel merito, che:
- il gravato diniego di permesso di costruire è da ritenersi
sorretto da adeguata e autosufficiente istruttoria e
motivazione, nella misura in cui illustra perspicuamente e
compiutamente le ragioni poste a suo fondamento;
- in particolare, l’amministrazione resistente ha
evidenziato:
-- l’incompatibilità dei manufatti progettati –per la
relativa connotazione, propria delle “residenze di lusso,
di livello superiore all’ordinario, con un’ampia consistenza
e dotazione di impianti e servizi”– con la destinazione
dell’area di intervento, ricadente in zona E (“verde
agricolo”) ai sensi del vigente p.r.g. del Comune di
Carinaro, nonché “sprovvista di opere di urbanizzazione,
quali luce, strade, fogne, ecc.”;
-- a riprova della vocazione non rurale dei predetti
manufatti, la sostanziale coincidenza tra questi ultimi e
quelli prospettati in altra domanda di permesso di costruire
avente per oggetto “un edificio country house”;
-- il significativo impatto volumetrico di quelle che
indebitamente risultano qualificate come “pertinenze
agricole” in sede di domanda di permesso di costruire;
-- la sussistenza dei “presupposti di una
lottizzazione abusiva sia materiale che cartolare ai sensi
dell’art. 18 della l. n. 47/1985”;
- siffatti rilievi trovano, peraltro, concreto riscontro
nella relazione tecnica allegata alla domanda di permesso di
costruire del 14.10.2008 (prot. n. 9072) e depositata in
giudizio dalla ricorrente il 29.04.2009;
- a tenore della citata relazione tecnica, il denegato
progetto di “casa rurale” e di relative “pertinenze
agricole” prevedeva, innanzitutto, un edificio
articolato in “un piano seminterrato destinato al
ricovero delle auto e/o macchine agricole”, in “un
piano rialzato adibito in parte a residenza e in parte a
pertinenza” e in “un primo piano in parte chiuso, da
destinare al deposito/stoccaggio temporaneo del frumento, e
in parte aperto, tale da garantire l’essiccazione dello
stesso”;
- la parte residenziale, posta al piano rialzato ed avente
una superficie complessiva pari a mq 159,36, era, a sua
volta, suddivisa in una “zona giorno”, costituita da
cucina e bagno, e in una “zona notte”, costituita da
tre camere da letto e doppi accessori;
- l’accesso al primo piano era assicurato da un
montacarichi, oltre che da una scala a tre rampe;
- un ulteriore corpo di fabbrica a pianta “pressoché
rettangolare”, articolato su due livelli (piano
interrato e piano terra) risultava, poi, adibito alle “pertinenze
agricole”;
- trattasi, dunque, all’evidenza, di un complesso edilizio
di cui l’amministrazione resistente, per il concorso di una
serie di fattori architettonici, dimensionali e costruttivi
–quali, segnatamente, lo sviluppo su due piani fuori terra,
l’estensione, la distribuzione e la dotazione di servizi
dell’abitazione, la presenza di un montacarichi, la
consistenza delle strutture ‘pertinenziali’–, ha
correttamente ravvisato la natura residenziale,
incompatibile con la destinazione agricola dell’area di
intervento (cfr. Cons. Stato, sez. V, 16.06.2009, n. 3853;
sez. IV, 27.07.2011, n. 4505; 02.10.2012, n. 5188; TAR
Sardegna, Cagliari, sez. II, 15.02.2010, n. 178; 14.09.2011,
n. 926; TAR Sicilia, Palermo, sez. III, 18.11.2011, n.
2143), e, per il collegamento puramente fittizio alla
coltivazione ed allo sfruttamento produttivo del suolo
–desumibile anche dalla coincidenza del progetto non
assentito con quello implicante tutt’altra destinazione
delle opere previste (“country house”)–, ha
ragionevolmente inferito gli estremi di una lottizzazione
abusiva (cfr. Cass. pen., sez. III, 27.10.2011, n. 46343)
(TAR Campania-Napoli, Sez. VIII,
sentenza 08.11.2012 n. 4490 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
URBANISTICA: Le
osservazioni dei privati ai progetti di strumenti
urbanistici sono un mero apporto collaborativo alla
formazione di detti strumenti e non danno luogo a peculiari
aspettative, con la conseguenza che il loro rigetto non
richiede una specifica motivazione, essendo sufficiente che
esse siano state esaminate e ritenute in contrasto con gli
interessi e le considerazioni generali poste a base della
formazione del piano, così come è avvenuto nel caso in
esame.
Le scelte discrezionali dell'amministrazione riguardo alla
destinazione di singole aree non necessitano, dunque, di
apposita motivazione, oltre a quella che si può evincere dai
criteri generali -di ordine tecnico-discrezionale- seguiti
nell'impostazione del piano stesso, salvo che particolari
situazioni non abbiano creato aspettative o affidamenti in
favore di soggetti le cui posizioni appaiano meritevoli di
specifiche considerazioni.
Le evenienze che giustificano una più incisiva e singolare
motivazione degli strumenti urbanistici generali sono state
ravvisate dalla giurisprudenza:
a) nel superamento degli standard minimi di cui al d.m.
02.04.1968, con l'avvertenza che la motivazione ulteriore va
riferita esclusivamente alle previsioni urbanistiche
complessive di sovradimensionamento, indipendentemente dal
riferimento alla destinazione di zona di determinate aree;
b) nella lesione dell'affidamento qualificato del privato –
convenzioni di lottizzazione, accordi di diritto privato
intercorsi fra il Comune e i proprietari delle aree,
aspettative nascenti da giudicati di annullamento di
dinieghi di concessione edilizia o di silenzio rifiuto su
domanda di concessione edilizia;
c) nella modificazione in zona agricola della destinazione
di un'area limitata, interclusa da fondi edificati in modo
non abusivo.
Per giurisprudenza costante, le
osservazioni dei privati ai progetti di strumenti
urbanistici sono un mero apporto collaborativo alla
formazione di detti strumenti e non danno luogo a peculiari
aspettative, con la conseguenza che il loro rigetto non
richiede una specifica motivazione, essendo sufficiente che
esse siano state esaminate e ritenute in contrasto con gli
interessi e le considerazioni generali poste a base della
formazione del piano (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 07.07.2008,
nr. 3358), così come è avvenuto nel caso in esame.
Le scelte discrezionali dell'amministrazione riguardo alla
destinazione di singole aree non necessitano, dunque, di
apposita motivazione, oltre a quella che si può evincere dai
criteri generali -di ordine tecnico-discrezionale- seguiti
nell'impostazione del piano stesso (cfr. Cons. Stato, Ad.
Plen., n. 24/1999; Sez. IV, n. 2639/2000; n. 245/2000; n.
1943/1999; n. 887/1995), salvo che particolari situazioni
non abbiano creato aspettative o affidamenti in favore di
soggetti le cui posizioni appaiano meritevoli di specifiche
considerazioni (Cons. Stato, Sez. VI., n. 173/2002; Sez. IV,
n. 6917/2002; Sez. IV, n. 2899/2002).
Le evenienze che giustificano una più incisiva e singolare
motivazione degli strumenti urbanistici generali sono state
ravvisate dalla giurisprudenza (cfr. Cons. Stato, Ad. Plen.
n. 24/1999 cit.; Sez. IV, 2369/2000):
a) nel superamento degli standard minimi di cui al d.m.
02.04.1968, con l'avvertenza che la motivazione ulteriore va
riferita esclusivamente alle previsioni urbanistiche
complessive di sovradimensionamento, indipendentemente dal
riferimento alla destinazione di zona di determinate aree;
b) nella lesione dell'affidamento qualificato del privato –
convenzioni di lottizzazione, accordi di diritto privato
intercorsi fra il Comune e i proprietari delle aree,
aspettative nascenti da giudicati di annullamento di
dinieghi di concessione edilizia o di silenzio rifiuto su
domanda di concessione edilizia (cfr. Cons. Stato, Ad. Plen.
n. 24/1999);
c) nella modificazione in zona agricola della destinazione
di un'area limitata, interclusa da fondi edificati in modo
non abusivo (cfr. Cons. Stato, sez. IV, n. 594/1999)
(TAR Lombardia-Milano, Se.
II,
sentenza 05.09.2012 n. 2223 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
Requisiti necessari per la voltura di
concessioni in zona agricola.
Per la
edificazione in zona agricola il titolo abilitativo viene
concesso ad un soggetto non esclusivamente in quanto
titolare di un diritto di proprietà, ma in ragione del
possesso da parte sua di una delle necessarie qualifiche,
perché la caratterizzazione di imprenditore agricolo viene
ritenuta l'unica garanzia della prescritta destinazione
delle opere all'agricoltura (Corte di Cassazione, Sez. III
penale,
sentenza 29.08.2012 n. 33381 - tratto da
www.lexambiente.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
Il decreto di annullamento
dell’autorizzazione paesaggistica deve spiegare il contrasto
delle opere con l’ambiente e non può travalicare in una non
consentita valutazione di merito.
La destinazione di un’area a zona agricola ben può essere
effettuata a salvaguardia del paesaggio o dell’ambiente, non
presuppone necessariamente che l’area stessa venga
utilizzata ad uso agricolo e ben può consentire la
realizzazione di manufatti nei limiti delle previsioni del
piano regolatore generale ad essa relative.
Nei casi in cui la discrezionalità tecnico/amministrativa
abbia un ruolo considerevole, un diniego di nulla osta deve
essere assistito da una motivazione concreta sulla realtà
dei fatti e sulle ragioni ambientali ed estetiche che
sconsigliano alla P.A. di non ammettere un determinato
intervento: affermare che un determinato intervento
compromette gli equilibri ambientali della zona interessata
per le incongruenze fra tipologia e materiali scelti e
contesto paesaggistico senza nulla aggiungere, non spiega
alcunché sul futuro danno alle bellezze ambientali che ne
deriverebbe ed è un mero postulato apodittico.
Per quanto concerne la motivazione idonea a sorreggere un
provvedimento di diniego del richiesto nulla osta per la
costruzione in area soggetta a vincolo paesaggistico, deve
chiarirsi che l’Amministrazione non può limitare la sua
valutazione al mero riferimento ad un pregiudizio
ambientale, utilizzando espressioni vaghe o formule
stereotipate, ma tale motivazione deve contenere una
sufficiente esternazione delle specifiche ragioni per le
quali si ritiene che un’opera non sia idonea ad inserirsi
nell’ambiente, attraverso l’individuazione degli elementi di
contrasto; pertanto, occorre un concreto ed analitico
accertamento del disvalore delle valenze paesaggistiche.
La giurisprudenza, relativamente all’esercizio dei poteri
inibitori della Soprintendenza, ha più volte sostenuto che “il
decreto di annullamento dell’autorizzazione paesaggistica
deve spiegare il contrasto delle opere con l’ambiente e non
può travalicare in una non consentita valutazione di merito”
(ex multis, Cons. St., Sez. VI, 27.02.2012 n. 1096).
Questo Collegio, di recente (sent. n. 882/2012, depositata
in data 11.05.2012), ha ricordato che la destinazione di
un’area a zona agricola ben può essere effettuata a
salvaguardia del paesaggio o dell’ambiente, non presuppone
necessariamente che l’area stessa venga utilizzata ad uso
agricolo (Cons. St., sez. VI, 03.11.2008, n. 5478) e ben può
consentire la realizzazione di manufatti nei limiti delle
previsioni del piano regolatore generale ad essa relative
(Cons. St., sez. VI, 25.09.2002, n. 259).
In fattispecie affini alla presente, la giurisprudenza
amministrativa ha avuto modo di precisare che “nei casi
in cui –come quello in esame– la discrezionalità
tecnico/amministrativa abbia un ruolo considerevole, un
diniego di nulla osta deve essere assistito da una
motivazione concreta sulla realtà dei fatti e sulle ragioni
ambientali ed estetiche che sconsigliano alla P.A. di non
ammettere un determinato intervento: affermare che un
determinato intervento compromette gli equilibri ambientali
della zona interessata per le incongruenze fra tipologia e
materiali scelti e contesto paesaggistico senza nulla
aggiungere, non spiega alcunché sul futuro danno alle
bellezze ambientali che ne deriverebbe ed è un mero
postulato apodittico” (TAR Liguria, sez. I, 22.12.2008,
n. 2187; TAR Piemonte, sez. I, n. 1153/2011).
Ed ancora: “Per quanto concerne la motivazione idonea a
sorreggere un provvedimento di diniego del richiesto nulla
osta per la costruzione in area soggetta a vincolo
paesaggistico, deve chiarirsi che l’Amministrazione non può
limitare la sua valutazione al mero riferimento ad un
pregiudizio ambientale, utilizzando espressioni vaghe o
formule stereotipate, ma tale motivazione deve contenere una
sufficiente esternazione delle specifiche ragioni per le
quali si ritiene che un’opera non sia idonea ad inserirsi
nell’ambiente, attraverso l’individuazione degli elementi di
contrasto; pertanto, occorre un concreto ed analitico
accertamento del disvalore delle valenze paesaggistiche”
(TAR Campania, Napoli, sez. VIII, 10.11.2010, n. 23751) (TAR
Campania-Salerno, Sez. II,
sentenza 01.08.2012 n. 1591 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA - URBANISTICA:
Rifiuti. Ubicazione impianto di smaltimento.
L'impianto di
smaltimento dei rifiuti non necessariamente deve essere
realizzato in zona industriale.
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La destinazione agricola di una determinata area è volta non
tanto e non solo a garantire il suo effettivo utilizzo a
scopi agricoli, quanto piuttosto a preservarne le
caratteristiche attuali di zona di salvaguardia da ogni
possibile nuova edificazione, con la conseguenza che, salvo
diverse specifiche previsioni, essa non può considerarsi
incompatibile con la realizzazione di un impianto di
discarica, tanto più che quest’ultimo deve essere
ragionevolmente localizzato al di fuori della zona abitata.
Il potere di pianificazione del territorio non può
precludere del resto insediamenti industriali in zone a
destinazione agricola, salvo che in via eccezionale, quando
cioè si sia in presenza di un assetto agricolo di
particolare pregio, consolidato da tempo remoto ovvero
favorito da opere di bonifica, ciò anche in considerazione
del fatto che la destinazione agricola ha in realtà lo scopo
di impedire insediamenti abitativi residenziali e non già
quello di precludere in via assoluta e radicale qualsiasi
intervento urbanisticamente rilevante.
Deve rilevarsi che, come emerge
dalla lettura della determinazione REGTA/669/2009 del
04.11.2009 del dirigente del Settore Tutela Territoriale ed
Ambientale della Provincia di Lodi, il diniego di
autorizzazione (per la realizzazione e l’esercizio di un
impianto di stoccaggio e trattamento di fanghi biologici, da
avviarsi a recupero mediante spandimento in agricoltura, su
un’area di sua proprietà sita nel Comune di Meleti) è stato
innanzitutto imperniato proprio sulla destinazione
urbanistica dell’area, classificata -nello strumento
urbanistico vigente del Comune di Meleti, sia in quello
vigente, sia nel PGT adottato- come zona E, agricola,
precisandosi poi, per un verso, che l’articolo 196 del
D.Lgs. 03.04.2006, n. 152, prevedeva che per la
realizzazione di impianti di smaltimento e recupero dei
rifiuti dovevano essere privilegiate le aree industriali, e,
per altro verso, che la previsione contenuta nell’art 27,
comma 5, del D.Lgs. n. 22 del 1997 (ora 208 del D.Lgs.
03.04.2006, n. 152), secondo cui l’approvazione del progetto
di un nuovo impianto di smaltimento o di recupero di
rifiuti, anche pericolosi, costituiva automatica variante
allo strumento urbanistico “ove occorra”, comportava
che la collocazione dell’impianto in zona diversa da quella
industriale doveva essere considerata un’eccezione,
dovendosi provare l’impossibilità di una diversa
collocazione dell’impianto da realizzare.
Peraltro detta motivazione, ad avviso della Sezione, è
frutto di un’erronea interpretazione delle disposizioni
contenute nei ricordati articoli 196 e 208 del D.Lgs.
03.04.2006, n. 152.
Invero lo stesso tenore letterale del terzo comma
dell’articolo 196 esclude che la realizzazione di impianti
di smaltimento e recupero dei rifiuti debba avvenire
necessariamente ed esclusivamente in aree industriale, così
esprimendo una previsione tendenziale e di massima, un
criterio direttivo di preferenza cui devono attenersi in
linea di principio le regioni, coerentemente con la
peculiare forma verbale usata dal legislatore, secondo cui
le regioni “privilegiano” la realizzazione dei
predetti impianti in tali zone.
Del resto è agevole intuire la ratio di un simile
criterio direttivo, volto a sottolineare la natura
industriale di tali impianti, collocandoli quindi
preferibilmente, in coerenza con il disegno urbanistico
delineato dallo strumento di governo del territorio, nella
zona da quest’ultimo individuata per le attività
industriali; tuttavia, la circostanza che tale collocazione
costituisca solo una indicazione di massima ovvero un
criterio preferenziale è confermata dalla espressa
previsione che essa deve essere comunque compatibile con le
peculiari caratteristiche dell’area: insomma il legislatore
ha inteso fissare una indicazione preferenziale, astratta,
salvo poi a demandare in concreto la verifica e la
valutazione della sua compatibilità.
Di per sé, quindi, il fatto che l’area su cui era stata
prevista la realizzazione dell’impianto, oggetto della
negata autorizzazione, non fosse urbanisticamente
classificata quale zona industriale non costituiva motivo
ostativo al rilascio dell’approvazione, né imponeva, così
come suggestivamente insinuato dalle appellanti, al soggetto
richiedente di provare l’impossibilità di collocare
l’impianto da realizzare in zona industriale, spettando
piuttosto all’amministrazione il potere/dovere di verificare
comunque la compatibilità del sito prescelto con l’impianto
da realizzare.
Né poteva essere invocato, a fondamento del diniego di
autorizzazione, la circostanza che l’area su cui era stata
prevista la realizzazione dell’impianto fosse
urbanisticamente classificata, come zona agricola E.
E’ sufficiente ricordare al riguardo che, secondo un
consolidato indirizzo giurisprudenziale, dal quale non vi è
motivo di discostarsi, la destinazione agricola di una
determinata area è volta non tanto e non solo a garantire il
suo effettivo utilizzo a scopi agricoli, quanto piuttosto a
preservarne le caratteristiche attuali di zona di
salvaguardia da ogni possibile nuova edificazione, con la
conseguenza che, salvo diverse specifiche previsioni, essa
non può considerarsi incompatibile con la realizzazione di
un impianto di discarica, tanto più che quest’ultimo deve
essere ragionevolmente localizzato al di fuori della zona
abitata (C.d.S., sez. V, 01.10.2010, n. 7243; 16.06.2009, n.
3853).
E’ stato anche sottolineato che il potere di pianificazione
del territorio non può precludere del resto insediamenti
industriali in zone a destinazione agricola, salvo che in
via eccezionale, quando cioè si sia in presenza di un
assetto agricolo di particolare pregio, consolidato da tempo
remoto ovvero favorito da opere di bonifica, ciò anche in
considerazione del fatto che la destinazione agricola ha in
realtà lo scopo di impedire insediamenti abitativi
residenziali e non già quello di precludere in via assoluta
e radicale qualsiasi intervento urbanisticamente rilevante
(C.d.S., sez. V, 18.09.2007, n. 4861).
In questa ottica deve essere apprezzata la previsione
contenuta nel sesto comma dell’art. 208 del D.Lgs.
03.04.2006, n. 152, secondo cui “L’approvazione
sostituisce ad ogni effetto visti, pareri, autorizzazioni e
concessioni di organi regionali, provinciali e cominciali,
costituisce, ove occorra, variante allo strumento
urbanistico e comporta la dichiarazione di pubblica utilità,
urgenza ed indifferibilità dei lavori”.
Essa invero sarebbe ultronea e priva di qualsiasi utilità se
l’impianto da realizzare dovesse essere collocato
obbligatoriamente ed esclusivamente in zona industriale,
laddove la ricordata previsione normativa ne permette invece
la collocazione anche in una zona che, secondo le previsioni
urbanistiche, non la tollererebbe, subordinatamente al
riscontro ed alla valutazione di compatibilità in concreto
da parte dell’amministrazione
(Consiglio di Stato, Sez.
V,
sentenza 28.06.2012 n. 3818 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA: La
fattispecie di esonero dal contributo di costruzione
contemplata dall’art. 17, terzo comma, lett. b), del d.P.R.
n. 380/2001, già art. 9 della l. 28.01.1977, n. 10, trova
applicazione per gli interventi di ristrutturazione e di
ampliamento, in misura non superiore al 20 per cento, di
edifici unifamiliari, anche ove ricadenti in zona agricola.
Il ricorso è fondato.
Il Collegio non ravvisa ragioni per discostarsi
dall’orientamento giurisprudenziale di questo Tribunale
Amministrativo, di cui alla sentenza, richiamata anche in
sede cautelare, n. 854 del 05.08.2009.
Merita condivisione, in particolare, il profilo, sollevato
anche con l’odierna impugnativa, della disparità di
trattamento che verrebbe a determinarsi tra proprietari di
edifici unifamiliari nelle zone urbane, esonerati dal
pagamento degli oneri concessori, e proprietari di edifici
unifamiliari in zone agricole, che, in mancanza della
qualifica di imprenditore agricolo a titolo principale,
sarebbero tenuti al pagamento degli oneri concessori, pur a
fronte di un intervento edilizio con le medesime
caratteristiche.
Deve ritenersi, pertanto, che la fattispecie di esonero dal
contributo di costruzione contemplata dall’art. 17, terzo
comma, lett. b), del d.P.R. n. 380/2001, già art. 9 della l.
28.01.1977, n. 10, trovi applicazione per gli interventi di
ristrutturazione e di ampliamento, in misura non superiore
al 20 per cento, di edifici unifamiliari, anche ove
ricadenti in zona agricola (TAR Marche,
sentenza 22.06.2012 n. 449 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
URBANISTICA:
Il potere
di pianificazione del territorio non può, per se stante,
precludere insediamenti industriali in zone a destinazione
agricola se non in via eccezionale, vale a dire nei casi in
cui si discuta di assetto agricolo di particolare pregio,
consolidato da tempo remoto e magari accompagnato e favorito
da opere di bonifica, posto che la destinazione agricola ha
-di per sé- lo scopo di impedire gli insediamenti abitativi
residenziali e non anche di precludere in via radicale
qualsiasi intervento urbanisticamente rilevante.
In tale frangente è stata reputata legittima la
realizzazione in area destinata dal vigente strumento
urbanistico comunale ad attività agricola di un deposito
temporaneo di carbone all’interno di un sito più vasto e già
adibito ad attività estrattiva.
---------------
L’area pianificata dal vigente strumento urbanistico
primario come “area agricola” non deve essere
necessariamente destinata ad attività agricole ma è
sufficiente che soddisfi la vocazione del suolo sottraendolo
a nuove edificazioni va coniugata comunque con il contenuto
di quelle che sono le concrete decisioni assunte
dall’Amministrazione Comunale in sede di pianificazione del
territorio, laddove soprattutto qualora essa abbia ivi
espressamente enunciato la tipologia delle ulteriori
attività, rispetto a quelle strettamente agricole, che
possono insediarsi nelle aree E di cui al D.M. 02.04.1968 n.
1444: e tanto più che è stata recisamente esclusa dalla
stessa giurisprudenza l’insediabilità in area agricola di
attività comunque comportanti la realizzazione di opere che
in ragione all’uso cui sono preposte recano necessariamente
caratteristiche strutturali e tipologiche del tutto
inconciliabili con la destinazione agricola e tanto con
riferimento non solo all’utilizzo concreto del suolo, ma
alla naturale vocazione dei terreni; ovvero che comunque
determinano una cementificazione della zona agricola (cfr.
in tal senso la stessa sentenza n. 4505 del 2011 che ha
affermato l’impossibilità di realizzare in zona agricola E
un impianto di frantumazione di inerti).
Va evidenziato che
questo stesso giudice d’appello, con decisione n. 4961 dd.
18.09.2007 resa dalla Sezione V proprio con riguardo ad
altra fattispecie attinente ad altro Comune ubicato nel
territorio della Regione Puglia, ha invero già avuto modo di
affermare che il potere di pianificazione del territorio non
può, per se stante, precludere insediamenti industriali in
zone a destinazione agricola se non in via eccezionale, vale
a dire nei casi in cui si discuta di assetto agricolo di
particolare pregio, consolidato da tempo remoto e magari
accompagnato e favorito da opere di bonifica, posto che la
destinazione agricola ha -di per sé- lo scopo di impedire
gli insediamenti abitativi residenziali e non anche di
precludere in via radicale qualsiasi intervento
urbanisticamente rilevante.
In tale frangente è stata reputata legittima la
realizzazione in area destinata dal vigente strumento
urbanistico comunale ad attività agricola di un deposito
temporaneo di carbone all’interno di un sito più vasto e già
adibito ad attività estrattiva.
Tuttavia, va pure considerato che questo giudice d’appello è
pervenuto a tale conclusione non già forzando con una
propria petizione di principio il dato letterale delle norme
tecniche di attuazione annesse allo strumento urbanistico
comunale, ma interpretandolo anche in correlazione alle
risultanze fattuali in quello specifico contesto
processuale, posto che –come si legge nella decisione
stessa– “la disciplina recata dall'art. 17 delle N.T.A.
del Comune di Statte non risulta tale da precludere
l'intervento oggetto della domanda di permesso di costruire
presentata dalla Italcave. La prescrizione in parola … non
impedisce infatti che un sito già vocato a servizio di
attività produttive (attività estrattiva, giusta legittimi
titoli) possa ospitare al suo interno un deposito temporaneo
di carbone. Ciò, appunto, anche perché non è predicabile,
nell’area in questione, la preesistenza di un incontaminato
e pregiato assetto agricolo ossia quella ipotesi eccezionale
che sola avrebbe potuto lasciare ipotizzare una
indiscriminata limitazione degli interventi di carattere
produttivo in zona agricola. D’altronde, la documentazione
in atti dimostra non soltanto la preesistenza della cava ma
anche la presenza nella più vasta area limitrofa di altre
attività produttive”.
Nell’ipotesi qui in esame, il vigente art. 20 delle N.T.A.
del P.R.G. di Gioia del Colle dispone, per quanto qui
segnatamente interessa, nel senso che le zone agricole E2
“sono destinate prevalentemente all’esercizio delle attività
boschive ed agricole e di quelle connesse alla predetta
attività. In tali zone sono consentite: a) case di
abitazione, fabbricati rurali quali stalle, porcili,
ricoveri per macchine agricole, serbatoi idrici e simili; b)
costruzioni adibite alla lavorazione dei prodotti delle
attività di queste zone, ed all’esercizio delle necessarie
macchine”.
Ben emerge in tal senso, quindi, che la volontà del
pianificatore deroga alla vocazione strettamente agricola
degli insediamenti programmabili per tale zona soltanto con
espresso e tassativo riferimento alle “costruzioni
adibite alla lavorazione dei prodotti delle attività di
queste zone, ed all’esercizio delle necessarie macchine”,
ossia contemplando anche ipotesi di insediamento di attività
industriali quale è per certo quella del mulino, ma soltanto
poiché all’evidenza costitutive di un indotto di quella
agricola, ossia proprio in quanto “adibite alla
lavorazione dei prodotti” dell’agricoltura locale.
In tale contesto, pertanto, la tralatizia e ormai del tutto
consolidata giurisprudenza di questo giudice secondo cui
l’area pianificata dal vigente strumento urbanistico
primario come “area agricola” non deve essere
necessariamente destinata ad attività agricole ma è
sufficiente che soddisfi la vocazione del suolo sottraendolo
a nuove edificazioni (cfr., ad es., tra le più recenti Cons.
Stato, Sez. , 27.07.2011 n. 4505) va coniugata comunque con
il contenuto di quelle che sono le concrete decisioni
assunte dall’Amministrazione Comunale in sede di
pianificazione del territorio, laddove soprattutto qualora
essa abbia ivi espressamente enunciato la tipologia delle
ulteriori attività, rispetto a quelle strettamente agricole,
che possono insediarsi nelle aree E di cui al D.M.
02.04.1968 n. 1444: e tanto più che è stata recisamente
esclusa dalla stessa giurisprudenza l’insediabilità in area
agricola di attività comunque comportanti la realizzazione
di opere che in ragione all’uso cui sono preposte recano
necessariamente caratteristiche strutturali e tipologiche
del tutto inconciliabili con la destinazione agricola e
tanto con riferimento non solo all’utilizzo concreto del
suolo , ma alla naturale vocazione dei terreni; ovvero che
comunque determinano una cementificazione della zona
agricola (cfr. in tal senso la stessa sentenza n. 4505 del
2011 che ha affermato l’impossibilità di realizzare in zona
agricola E un impianto di frantumazione di inerti).
Nel caso in esame, va quindi tenuto conto della circostanza
che la vigente strumentazione urbanistica primaria del
Comune di Gioia del Colle espressamente contempla la
possibilità di realizzare alberghi in altre zone
appositamente a ciò destinate e che, pertanto, nella zona
agricola di cui trattasi non può essere ragionevolmente
assentito l’insediamento di strutture ricettive ulteriori e
diverse da quelle destinate all’attività agrituristica,
notoriamente complementare a quella agricola: e men che meno
può ricavarsi una deroga a ciò nella predetta circostanza
che il molino costituiva comunque attività industriale e non
agricola e che pertanto ciò ex se legittimerebbe la
prosecuzione nel relativo immobile di un’attività comunque
diversa da quella strettamente agricola, posto che la deroga
accordata dalle N.T.A. del P.R.G. per l’anzidetta attività
industriale era ed è fondata sull’espressa enunciazione di
un criterio di complementarietà rispetto all’uso agricolo
del territorio non applicabile –all’evidenza– per un
insediamento alberghiero ben diverso da quello agrituristico
(Consiglio di Stato, Sez.
IV,
sentenza 19.06.2012 n. 3570 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
URBANISTICA: Le
scelte effettuate dall'Amministrazione in sede di
pianificazione urbanistica costituiscono apprezzamento di
merito, sottratte al sindacato di legittimità, salvo che non
siano inficiate da errori di fatto o da abnormi illogicità.
Esse, inoltre, quando si concretano nella destinazione di
singole aree, non necessitano di apposita motivazione, oltre
quella che si può evincere dai criteri generali di ordine
tecnico-discrezionale seguiti nell'impostazione del piano,
essendo necessaria una motivazione specifica soltanto in
presenza di un <<affidamento qualificato>>.
A tal riguardo, si evidenziano i casi di:
a) superamento degli standard minimi di cui al d.m.
02.04.1968 — con l'avvertenza che la motivazione ulteriore
va riferita esclusivamente alle previsioni urbanistiche
complessive di sovradimensionamento, indipendentemente dal
riferimento alla destinazione di zona di determinate aree;
b) lesione dell'affidamento qualificato del privato
derivante da convenzioni di lottizzazione, accordi di
diritto privato intercorsi tra il Comune e i proprietari
delle aree, dalle aspettative nascenti da giudicati di
annullamento di dinieghi di permesso di costruire o di
silenzio-rifiuto su una domanda di concessione;
c) modificazione in zona agricola della destinazione di
un'area limitata, interclusa da fondi edificati in modo non
abusivo.
Né si può ritenere che l'obbligo di motivazione venga
rafforzato, imposto o mutato in base alla sola presentazione
delle osservazioni al piano da parte dei privati; queste,
infatti, sono semplici apporti collaborativi offerti dai
cittadini alla formazione dello strumento urbanistico ed il
loro rigetto non richiede una specifica motivazione, essendo
sufficiente che siano state esaminate e ritenute in
contrasto con gli interessi e le considerazioni generali
poste a base della formazione del piano.
---------------
La giurisprudenza è costante nel ritenere necessaria la
ripubblicazione di un piano urbanistico allorché vi sia
stata una rielaborazione complessivamente innovativa del
piano stesso, e cioè un mutamento delle sue caratteristiche
essenziali e dei criteri che alla sua impostazione
rispettivamente hanno presieduto e presiedono.
L’art. 13, co. 9, della l.r. 12/2005, d’altro canto,
espressamente esclude l’assoggettamento a ripubblicazione
della deliberazione comunale di recepimento delle
prescrizioni provinciali o regionali, senza ulteriori
specificazioni.
Secondo l’orientamento consolidato della giurisprudenza
(cfr. ex multis, Cons. giust. amm. Sicilia, sez.
giurisd., 19.03.2012, n. 307; Cons. Stato, sez. IV,
24.02.2011, n. 1222, id. 13.02.2009, n. 811; id. 13.03.2008,
n. 1095), le scelte effettuate dall'Amministrazione in sede
di pianificazione urbanistica costituiscono apprezzamento di
merito, sottratte al sindacato di legittimità, salvo che non
siano inficiate da errori di fatto o da abnormi illogicità.
Esse, inoltre, quando si concretano nella destinazione di
singole aree, non necessitano di apposita motivazione, oltre
quella che si può evincere dai criteri generali di ordine
tecnico-discrezionale seguiti nell'impostazione del piano,
essendo necessaria una motivazione specifica soltanto in
presenza di un <<affidamento qualificato>> del
privato (cfr. a proposito delle situazioni ritenute
meritevoli di particolare tutela, in quanto caratterizzate
da un affidamento «qualificato»: TAR Lazio, Roma,
sez. II, 02.03.2011, n. 1950, che elenca i casi di:
a) superamento degli standard minimi di cui al d.m.
02.04.1968 — con l'avvertenza che la motivazione ulteriore
va riferita esclusivamente alle previsioni urbanistiche
complessive di sovradimensionamento, indipendentemente dal
riferimento alla destinazione di zona di determinate aree;
b) lesione dell'affidamento qualificato del privato
derivante da convenzioni di lottizzazione, accordi di
diritto privato intercorsi tra il Comune e i proprietari
delle aree, dalle aspettative nascenti da giudicati di
annullamento di dinieghi di permesso di costruire o di
silenzio-rifiuto su una domanda di concessione;
c) modificazione in zona agricola della destinazione di
un'area limitata, interclusa da fondi edificati in modo non
abusivo).
In nessuna di siffatte situazioni si trova la ricorrente, la
quale vanta una generica aspettativa alla conservazione
della precedente previsione urbanistica, onde conseguire un
utilizzo, nella sua prospettiva, più proficuo dell'area in
questione (cfr. Cons. Stato, Ad. Plen. 22.12.1999 n. 24;
Sez. IV, 25.07.2001 n. 4077; TAR Catania, sez. I, 13.02.2012
n. 386; TAR Salerno, 17.12.2002, n. 2358).
Né si può ritenere che l'obbligo di motivazione venga
rafforzato, imposto o mutato in base alla sola presentazione
delle osservazioni al piano da parte dei privati; queste,
infatti, sono semplici apporti collaborativi offerti dai
cittadini alla formazione dello strumento urbanistico ed il
loro rigetto non richiede una specifica motivazione, essendo
sufficiente che siano state esaminate e ritenute in
contrasto con gli interessi e le considerazioni generali
poste a base della formazione del piano (cfr. Cons. Stato,
sez. IV, 11.10.2007, n. 5357; id. 30.06.2004, n. 4804; TAR
Campania Salerno, sez. I, 08.01.2010, n. 15).
---------------
Quanto alla presunta necessità
di ripubblicazione del piano, va ricordato che, nella
interpretazione dell'art. 10 della legge n. 1150 del 1942
(nel testo modificato dall'art. 3 della legge n. 765 del
1967) e nello sforzo di delineare il "giusto procedimento"
di perfezionamento di un piano urbanistico, la
giurisprudenza è costante nel ritenere necessaria la
ripubblicazione del piano allorché vi sia stata una
rielaborazione complessivamente innovativa del piano stesso,
e cioè un mutamento delle sue caratteristiche essenziali e
dei criteri che alla sua impostazione rispettivamente hanno
presieduto e presiedono (cfr., fra le tante: Consiglio
Stato, sez. IV, 12.03.2009, n. 1477; Consiglio Stato, sez.
IV, 25.11.2003, n. 7782).
Questo non è, tuttavia, il caso di specie, ove si tratta
della modifica della destinazione impressa ad una singola
area (P2), che non appare idonea ad alterare i criteri
d’impostazione del Piano (cfr. TAR Lombardia, sez. II, sent.
197/2009, per cui: <<…La modifica apportata dal Comune,
in ottemperanza a tale indicazione, non richiedeva una nuova
pubblicazione della variante: è stata, difatti, dettata
dalla necessità di assicurare il rispetto delle finalità di
tutela paesaggistiche oggetto del piano territoriale di
coordinamento provinciale>>).
L’art. 13, co. 9, della legge reg. 12/2005, d’altro canto,
espressamente esclude l’assoggettamento a ripubblicazione
della deliberazione comunale di recepimento delle
prescrizioni provinciali o regionali, senza ulteriori
specificazioni (cfr. Cons. Stato, IV, 09.03.2011 n. 1503;
TAR Lombardia, Milano, II, n. 742/2006).
Anche laddove la modifica fosse da intendersi quale mera
raccomandazione ed avesse, dunque, carattere facoltativo,
non sussisterebbe, comunque, un obbligo di ripubblicazione
del piano, in quanto l’ampliamento dell’ambito boschivo
della rete ecologica in relazione all’area dell’esponente
non comporta una rielaborazione complessiva del piano stesso
o un mutamento delle sue caratteristiche essenziali, nei
sensi poc’anzi precisati (cfr. Cons. Stato, IV, 15.07.2008,
n. 3518; id. 05.03.2008 n. 925; id. 31.01.2005 n. 259)
(TAR Lombardia-Milano, Sez.
II,
sentenza 25.05.2012 n. 1440 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
URBANISTICA: Sussiste
l’ampia discrezionalità assegnata alle Amministrazioni
locali in sede di pianificazione territoriale: invero, la
destinazione agricola di una determinata porzione di
territorio ben può giustificarsi per necessità di
salvaguardia ambientale, prescindendo dall’effettivo
svolgimento dell’attività di impresa agricola.
L’esistenza di divieti di edificazione in zona agricola non
si pone di per sé neppure in contrasto con le particolari
previsioni della legge regionale 12/2005, articoli da 59 a
62, visto che la giurisprudenza di questo Tribunale ha più
volte affermato che gli articoli richiamati non garantiscono
sempre l’attività edificatoria e di conseguenza non
impediscono ai Comune di porre i divieti di cui sopra.
Se il divieto di edificazione al di sopra del piano di
campagna appare al Collegio rispettoso sia delle norme di
legge sopra indicate sia dei canoni di logicità e
ragionevolezza che devono presiedere all’esercizio
dell’azione amministrativa, tale non appare invece la scelta
comunale di vietare in ogni modo la realizzazione di vivai,
in asserita applicazione dei citati articoli 148 e 156 del
Piano delle Regole, che contengono in effetti una esplicita
previsione in tal senso (<<non impiantare colture arboree o
vivai>>).
L’impianto di un vivaio o di una coltura arborea non appare,
infatti, di per sé lesivo dei valori paesaggistici ed
ambientali tutelati dal PGT: occorre semmai fare riferimento
alle concrete caratteristiche della piantagione, per
accertare l’effettivo contrasto di quest’ultima con i
suindicati valori.
Il divieto assoluto ed apodittico di realizzare un vivaio o
altre colture finirebbe, infatti, per pregiudicare
irrimediabilmente l’attività dell’impresa agricola,
sostanzialmente paralizzando l’attività stessa, in
violazione di un diritto di rilevanza costituzionale, quale
quello di libertà di iniziativa economica privata (cfr. art.
41 della Costituzione).
Certamente quest’ultimo diritto deve trovare un giusto
contemperamento con altri diritti posti a protezione di beni
di rilevanza costituzionale (quale è ad esempio il
paesaggio, ai sensi dell’art. 9 della Costituzione),
tuttavia la preclusione all’esercizio di qualsivoglia
attività d’impresa agricola (ai sensi dell’art. 2135 del
codice civile), derivante dal divieto di realizzare in ogni
caso vivai o altre colture, non appare rispettosa del
principio di proporzionalità e ragionevolezza dell’azione
amministrativa.
Lo stesso legislatore, del resto, ha in più occasioni
introdotto una disciplina edilizia in qualche modo “di
favore”, nei confronti dell’attività agricola, qualora la
stessi si sostanzi non in una vera e propria attività
edificatoria ma in una serie di opere di minore impatto,
funzionali alla conduzione del fondo (cfr. art. 6, comma 1,
lettera d e lettera e, del DPR 380/2001, sull’attività
edilizia libera).
E anche questo Tribunale ha -in talune occasioni- censurato
per illogicità previsioni urbanistiche comunali
eccessivamente ed irrazionalmente penalizzati dell’impresa
agricola.
... Non può che ricordarsi la consolidata giurisprudenza che
richiama non solo l’ampia discrezionalità assegnata alle
Amministrazioni locali in sede di pianificazione
territoriale, ma che afferma altresì che la destinazione
agricola di una determinata porzione di territorio ben può
giustificarsi per necessità di salvaguardia ambientale,
prescindendo dall’effettivo svolgimento dell’attività di
impresa agricola (cfr. Consiglio di Stato, sez. V,
18.01.2011, n. 352; TRGA del Trentino Alto-Adige, Trento,
06.04.2011, n. 105 e TAR Campania, Napoli, sez. VIII,
17.09.2009, n. 4977).
L’esistenza di divieti di edificazione in zona agricola non
si pone di per sé neppure in contrasto con le particolari
previsioni della legge regionale 12/2005, articoli da 59 a
62, visto che la giurisprudenza di questo Tribunale ha più
volte affermato che gli articoli richiamati non garantiscono
sempre l’attività edificatoria e di conseguenza non
impediscono ai Comune di porre i divieti di cui sopra (cfr.
TAR Lombardia, Milano, sez. II, 08.06.2011, n. 1468 e sez.
IV, 13.12.2010, n. 7519).
Se il divieto di edificazione al di sopra del piano di
campagna appare al Collegio rispettoso sia delle norme di
legge sopra indicate sia dei canoni di logicità e
ragionevolezza che devono presiedere all’esercizio
dell’azione amministrativa, tale non appare invece la scelta
comunale, esplicitata nella motivazione del diniego di
titolo edilizio, di vietare in ogni modo la realizzazione di
vivai, in asserita applicazione dei citati articoli 148 e
156 del Piano delle Regole, che contengono in effetti una
esplicita previsione in tal senso (<<non impiantare
colture arboree o vivai>>, cfr. doc. 5 del resistente).
L’impianto di un vivaio o di una coltura arborea non appare,
infatti, di per sé lesivo dei valori paesaggistici ed
ambientali tutelati dal PGT: occorre semmai fare riferimento
alle concrete caratteristiche della piantagione, per
accertare l’effettivo contrasto di quest’ultima con i
suindicati valori.
Il divieto assoluto ed apodittico di realizzare un vivaio o
altre colture finirebbe, infatti, per pregiudicare
irrimediabilmente l’attività dell’impresa agricola,
sostanzialmente paralizzando l’attività stessa, in
violazione di un diritto di rilevanza costituzionale, quale
quello di libertà di iniziativa economica privata (cfr. art.
41 della Costituzione).
Certamente quest’ultimo diritto deve trovare un giusto
contemperamento con altri diritti posti a protezione di beni
di rilevanza costituzionale (quale è ad esempio il
paesaggio, ai sensi dell’art. 9 della Costituzione),
tuttavia la preclusione all’esercizio di qualsivoglia
attività d’impresa agricola (ai sensi dell’art. 2135 del
codice civile), derivante dal divieto di realizzare in ogni
caso vivai o altre colture, non appare rispettosa del
principio di proporzionalità e ragionevolezza dell’azione
amministrativa.
Lo stesso legislatore, del resto, ha in più occasioni
introdotto una disciplina edilizia in qualche modo “di
favore”, nei confronti dell’attività agricola, qualora
la stessi si sostanzi non in una vera e propria attività
edificatoria ma in una serie di opere di minore impatto,
funzionali alla conduzione del fondo (cfr. art. 6, comma 1,
lettera d e lettera e, del DPR 380/2001, sull’attività
edilizia libera).
E anche questo Tribunale ha -in talune occasioni- censurato
per illogicità previsioni urbanistiche comunali
eccessivamente ed irrazionalmente penalizzati dell’impresa
agricola (cfr. TAR Lombardia, Milano, sez. II, 07.07.2011,
n. 1843).
In conclusione, il presente ricorso merita parziale
accoglimento, con annullamento del diniego di titolo
edilizio del 07.07.2011, nella parte in cui vieta di
realizzare vivai o colture arboree (cfr. doc. 1 dei
ricorrenti, pag. 6/7, ultimo alinea) (TAR Lombardia-Milano,
Sez. II,
sentenza 05.04.2012 n. 1020 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
Zone agricole ed interventi
realizzabili.
Tutte le attività e gli interventi che si ritengono
realizzabili in zona agricola restano comunque funzionali ad
un'attività tipicamente agricola o alle altre attività alla
stessa intimamente connesse con esclusione, quindi, di tutto
ciò che è riferibile ad altre zone individuate in sede di
pianificazione del territorio comunale, con la conseguenza
che una struttura eminentemente residenziale o
turistico-alberghiera non potrebbe in ogni caso realizzarsi
in Zona “E” (fattispecie relativa a «punti di ristoro»
nella regione Sardegna) (Corte di Cassazione, Sez. III
penale,
sentenza 09.03.2012 n. 9369 - tratto da
www.lexambiente.it). |
EDILIZIA
PRIVATA: E'
illegittimo il permesso di costruire rilasciato in zona
agricola per la costruzione di residenze dei figli
dell'imprenditore agricolo.
Con il secondo motivo aggiunto,
il WWF rileva che il permesso di costruire è stato
rilasciato in assenza dei presupposti richiesti dall’art. 59
della L.R. n. 12/2005 per gli interventi in area agricola,
che consente di costruire solo abitazioni da destinare alla
residenza dell’imprenditore agricolo e dei dipendenti,
mentre le tre abitazioni assentite sono destinate alla
residenza dei tre figli, i quali non costituiscono la forza
lavoro dell’azienda, ma partecipano solo saltuariamente
all’attività agricola.
La doglianza risulta fondata.
La legislazione regionale lombarda in tema di governo del
territorio (L.R. 11.3.2005 n. 12), agli artt. 59, 60, 61 e
62, disciplina le modalità di edificazione in ambito
agricolo. Con tali norme, riprendendo sostanzialmente i
contenuti dell’ antecedente L. R. 07.06.1980 n. 93, in
materia di edificazione nelle zone agricole, si persegue lo
scopo di valorizzare e recuperare il patrimonio agricolo,
limitare l'utilizzazione edilizia dei territori agricoli,
assicurando il soddisfacimento delle esigenze degli
imprenditori e dei lavoratori agricoli.
La giurisprudenza formatasi sulla L.R. n. 93 del 1980 aveva
rilevato che tale disciplina non autorizzava il rilascio di
concessioni ad altri che all'imprenditore agricolo, previo
accertamento di effettiva esistenza e funzionamento
dell'azienda agricola (art. 3); il che significa che sono
ammessi soltanto opere o interventi attinenti
all'agricoltura, mentre restano interdette le trasformazioni
del territorio che non siano funzionali all'attività
agricola (cfr. TAR Milano, Sez. 2, 25.01.1995 n. 90, T.A.R.
Brescia 04.10.1993 n. 798).
Ora l’art. 59 della L.R. 11.3.2005 n. 12, al c.1, dispone
che in zona classificata agricola “sono ammesse
esclusivamente le opere realizzate in funzione della
conduzione del fondo e destinate alle residenze
dell'imprenditore agricolo e dei dipendenti dell'azienda,
nonché alle attrezzature e infrastrutture produttive
necessarie per lo svolgimento delle attività di cui
all'articolo 2135 del codice civile quali stalle, silos,
serre, magazzini, locali per la lavorazione e la
conservazione e vendita dei prodotti agricoli secondo i
criteri e le modalità previsti dall'articolo 60”.
Il secondo comma soggiunge che “La costruzione di nuovi
edifici residenziali di cui al comma 1 è ammessa qualora le
esigenze abitative non possano essere soddisfatte attraverso
interventi sul patrimonio edilizio esistente”.
Può dunque affermarsi che la disciplina legislativa consente
l’edificazione in zona agricola solo al ricorrere dei
restrittivi e tassativi (“esclusivamente”) requisiti
indicati
(TAR Lombardia-Brescia,
Sez. I,
sentenza 27.02.2012 n. 274 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA: ...
Né la qualificazione di un’area come “Zona agricola” ha
natura residuale per cui consentirebbe comunque utilizzi non
coincidenti con la coltivazione dei relativi fondi. Al
contrario, in un territorio che, negli ultimi trent’anni, ha
visto un’inarrestabile consumazione del suolo e la
definitiva compromissione in moltissime regioni della
campagna italiana, tale zonizzazione è specificamente
diretta alla conservazione a verde e ad evitare ulteriori
espansioni degli insediamenti.
Per tale ragione, sono sempre e comunque esclusi tutti gli
interventi diversi da quelli strettamente funzionali
all'attività agricola ed alla eventuale esigenza
dell'imprenditore agricolo di risiedere sul fondo (se ed in
quanto comunque non pregiudizievoli per l'assetto
territoriale agricolo). Le restrizioni edificatorie nella
suddetta zona hanno dunque lo scopo non solo di valorizzare
l'attività agricola vera a propria, ma altresì quella di
garantire ai cittadini l'equilibrio delle condizioni di
vivibilità, nonché di assicurare loro quella quota di valori
naturalistici necessaria a compensare gli effetti
dell'espansione dell'aggregato urbano.
Né, contrariamente a quanto mostra di ritenere la
ricorrente, la qualificazione di un’area come “Zona
agricola” ha natura residuale per cui consentirebbe
comunque utilizzi non coincidenti con la coltivazione dei
relativi fondi. Al contrario, in un territorio che, negli
ultimi trent’anni, ha visto un’inarrestabile consumazione
del suolo e la definitiva compromissione in moltissime
regioni della campagna italiana (così come era stata
immortalata dai pittori paesaggistici per lo meno fino a
dopo la metà dell’ottocento), tale zonizzazione è
specificamente diretta alla conservazione a verde e ad
evitare ulteriori espansioni degli insediamenti.
Per tale ragione, sono sempre e comunque esclusi tutti gli
interventi diversi da quelli strettamente funzionali
all'attività agricola ed alla eventuale esigenza
dell'imprenditore agricolo di risiedere sul fondo (se ed in
quanto comunque non pregiudizievoli per l'assetto
territoriale agricolo). Le restrizioni edificatorie nella
suddetta zona hanno dunque lo scopo non solo di valorizzare
l'attività agricola vera a propria, ma altresì quella di
garantire ai cittadini l'equilibrio delle condizioni di
vivibilità, nonché di assicurare loro quella quota di valori
naturalistici necessaria a compensare gli effetti
dell'espansione dell'aggregato urbano (cfr. Consiglio Stato,
sez. IV, 13.10.2010, n. 7478).
In tale prospettiva interpretativa va dunque inquadrato
l’art. 32 delle Norme Tecniche di Attuazione del P.R.G. del
Comune, che consente solo interventi a servizio dell’uso
produttivo del suolo ed alle attività connesse; sicché del
tutto priva di fondamento è l’asserita compatibilità di
trasformazioni del suolo e di usi non funzionali
all’agricoltura.
Tale disposizione del resto, si pone in coerenza con l’art.
44 della l. reg. Veneto n. 11/2004 (Norme per il governo del
territorio), che in zona agricola consente esclusivamente
interventi edilizi funzionali all’attività agricola,
rimessi, sulla base di un piano aziendale, ai soli
imprenditori agricoli titolari di azienda agricola (cfr.
Consiglio Stato, sez. IV, 12.02.2010, n. 798).
Ne discende, come esattamente ricordato dal TAR, che va
applicato l’art. 4, comma 3, della L.R. 05.11.2004 n. 21,
secondo il quale l’oblazione per i “mutamenti di
destinazione con opere” va corrisposta nella misura
prevista dalla Tipologia 3 della Tabella C di cui sopra.
Deve quindi escludersi, in relazione alla precisa
individuazione normativa della fattispecie, che, come
pretende l’appellante, l’intervento potesse essere oggetto
di oblazione in misura forfettaria quale “tipologia
residuale” di cui al punto 6 della Tabella C allegata al
D.L. n. 269/2003, il quale concerne le opere o le modalità
di esecuzione non valutabili in termini di superficie o di
volume.
Inoltre, a fronte del radicale mutamento della disciplina in
ordine agli interventi qui esaminati, del tutto inconferente
risulta il risalente precedente citato dall'appellante
(Cons. Stato, sez. IV, 08/03/1983, n. 103) (Consiglio di
Stato, Sez. IV,
sentenza 23.02.2012 n. 976 - link a
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URBANISTICA: Le
scelte effettuate dall'Amministrazione nell'adozione degli
strumenti urbanistici costituiscono apprezzamenti di merito,
come tali sottratti al sindacato di legittimità, salvo che
non siano inficiate da errori di fatto o da abnormi
illogicità. Per tale via, anche la destinazione data alle
singole aree non necessita di apposita motivazione, oltre
quella che si può evincere dai criteri generali, di ordine
tecnico discrezionale, seguiti nell'impostazione del piano
stesso, salvo che particolari situazioni, nel caso di specie
non allegate, non abbiano creato aspettative o affidamenti
in favore di soggetti le cui posizioni appaiano meritevoli
di specifiche considerazioni.
L''attribuzione di una destinazione agricola ad un
determinato terreno è volta non tanto e non solo a garantire
il suo effettivo utilizzo a scopi agricoli, quanto piuttosto
a preservarne le caratteristiche attuali di zona di
salvaguardia da ogni possibile nuova edificazione, anche in
funzione conservativa di valori naturalistici, nonché a
favorire il recupero di aree dismesse o congestionate.
---------------
Il potere di pianificazione urbanistica riveste un carattere
ampiamente discrezionale, e si concretizza in scelte che,
nel merito, appaiono insindacabili e che sono per ciò stesso
attaccabili solo per errori di fatto, per abnormità e
irrazionalità.
In ragione di tale discrezionalità, l'Amministrazione non è
tenuta a fornire apposita motivazione in ordine alle scelte
operate nella predetta sede di pianificazione del territorio
comunale, se non richiamando le ragioni di carattere
generale che giustificano l'impostazione del piano.
Ne consegue che le scelte adottate per ciò che attiene la
destinazione di singole aree non necessitano di una
specifica motivazione, se non nel caso in cui esse vadano ad
incidere negativamente su posizioni giuridicamente
differenziate, rispetto alle quali il principio della tutela
dell'affidamento impone che lo strumento urbanistico dia
conto del modo in cui sia stata effettuata la ponderazione
degli interessi pubblici e siano state operate le scelte di
pianificazione, rendendole, così, sindacabili davanti al
giudice amministrativo.
Ciò che si verifica solo nei casi in cui la nuova
destinazione urbanistica innovi rispetto alla precedente,
incidendo con ciò su singole posizioni, connotate da una
fondata aspettativa alla conservazione della destinazione
dell'area, che per questo si differenziano dalle posizioni
degli altri soggetti interessati.
In tali evenienze, l'Amministrazione ha il dovere di
valutare attentamente l'opportunità di una modifica della
precedente destinazione urbanistica dell'area e, dove
ritenga di doverla diversamente disciplinare, sacrificando
gli interessi dei soggetti coinvolti, deve indicare le
ragioni che l’hanno indotta a tale nuova scelta
pianificatoria.
Le situazioni che, per costante giurisprudenza, vengono
riconosciute meritevoli di questa particolare forma di
tutela sono, infatti, solo quelle caratterizzate da un
affidamento «qualificato», presente nei casi di:
a) superamento degli standard minimi di cui al d.m.
02.04.1968 — con l'avvertenza che la motivazione ulteriore
va riferita esclusivamente alle previsioni urbanistiche
complessive di sovradimensionamento, indipendentemente dal
riferimento alla destinazione di zona di determinate aree;
b) lesione dell'affidamento qualificato del privato
derivante da convenzioni di lottizzazione, accordi di
diritto privato intercorsi tra il Comune e i proprietari
delle aree, dalle aspettative nascenti da giudicati di
annullamento di dinieghi di permesso di costruire o di
silenzio-rifiuto su una domanda di concessione;
c) modificazione in zona agricola della destinazione di
un'area limitata, interclusa da fondi edificati in modo non
abusivo.
Come ripetutamente affermato in
giurisprudenza (da ultimo anche con la più volte citata
sentenza n. 133/2011), le scelte effettuate
dall'Amministrazione nell'adozione degli strumenti
urbanistici costituiscono apprezzamenti di merito, come tali
sottratti al sindacato di legittimità, salvo che non siano
inficiate da errori di fatto o da abnormi illogicità. Per
tale via, anche la destinazione data alle singole aree non
necessita di apposita motivazione, oltre quella che si può
evincere dai criteri generali, di ordine tecnico
discrezionale, seguiti nell'impostazione del piano stesso,
salvo che particolari situazioni, nel caso di specie non
allegate, non abbiano creato aspettative o affidamenti in
favore di soggetti le cui posizioni appaiano meritevoli di
specifiche considerazioni.
Con precipuo riguardo alla fattispecie in esame, giova anche
osservare che, sempre secondo la prevalente giurisprudenza
(cfr. fra le tante, Consiglio di Stato, sez. IV, 15.09.2010,
n. 6874; id. 30.12.2008, n. 6600; id n. 3559/2004; id. n.
4466/2004; id. n. 1181/2003, id. n. 8146/2003; id. n.
3817/2002 e n. 6177/2000), l'attribuzione di una
destinazione agricola ad un determinato terreno è volta non
tanto e non solo a garantire il suo effettivo utilizzo a
scopi agricoli, quanto piuttosto a preservarne le
caratteristiche attuali di zona di salvaguardia da ogni
possibile nuova edificazione, anche in funzione conservativa
di valori naturalistici, nonché a favorire il recupero di
aree dismesse o congestionate (cfr. di recente, in termini,
anche TAR Campania Salerno, sez. II, 17.02.2011, n. 255).
---------------
Giova rammentare come, per consolidata opinione dottrinale e
giurisprudenziale, il potere di pianificazione urbanistica
rivesta un carattere ampiamente discrezionale, e si
concretizzi in scelte che, nel merito, appaiono
insindacabili e che sono per ciò stesso attaccabili solo per
errori di fatto, per abnormità e irrazionalità (cfr., ex
multis, Consiglio di Stato, Sez. IV, 16.02.2011, n.
1015, ove si ribadisce come dette scelte urbanistiche per la
disciplina del territorio possano formare oggetto di
sindacato giurisdizionale nei soli casi di arbitrarietà,
irrazionalità o irragionevolezza ovvero di palese
travisamento dei fatti, che costituiscono i limiti della
discrezionalità amministrativa; analogamente, Consiglio di
Stato, Sez. III, 17.09.2010, n. 2536; id. Sez. IV,
27.07.2010 n. 4920; id., 21.04.2010, n. 2264; id.,
18.06.2009, n. 4024; id., 06.02.2002 n. 664).
In ragione di tale discrezionalità, l'Amministrazione non è
tenuta a fornire apposita motivazione in ordine alle scelte
operate nella predetta sede di pianificazione del territorio
comunale, se non richiamando le ragioni di carattere
generale che giustificano l'impostazione del piano (cfr.
ancora Consiglio di Stato, Sez. IV, 16.02.2011, n. 1015; id.
10.08.2004 n. 4550).
Ne consegue, come già accennato, che le scelte adottate per
ciò che attiene la destinazione di singole aree non
necessitano di una specifica motivazione, se non nel caso in
cui esse vadano ad incidere negativamente su posizioni
giuridicamente differenziate, rispetto alle quali il
principio della tutela dell'affidamento impone che lo
strumento urbanistico dia conto del modo in cui sia stata
effettuata la ponderazione degli interessi pubblici e siano
state operate le scelte di pianificazione, rendendole, così,
sindacabili davanti al giudice amministrativo.
Ciò che si verifica solo nei casi in cui la nuova
destinazione urbanistica innovi rispetto alla precedente,
incidendo con ciò su singole posizioni, connotate da una
fondata aspettativa alla conservazione della destinazione
dell'area, che per questo si differenziano dalle posizioni
degli altri soggetti interessati.
In tali evenienze, l'Amministrazione ha il dovere di
valutare attentamente l'opportunità di una modifica della
precedente destinazione urbanistica dell'area e, dove
ritenga di doverla diversamente disciplinare, sacrificando
gli interessi dei soggetti coinvolti, deve indicare le
ragioni che l’hanno indotta a tale nuova scelta
pianificatoria.
Le situazioni che, per costante giurisprudenza, vengono
riconosciute meritevoli di questa particolare forma di
tutela sono, infatti, solo quelle caratterizzate da un
affidamento «qualificato», presente nei casi di:
a) superamento degli standard minimi di cui al d.m.
02.04.1968 — con l'avvertenza che la motivazione ulteriore
va riferita esclusivamente alle previsioni urbanistiche
complessive di sovradimensionamento, indipendentemente dal
riferimento alla destinazione di zona di determinate aree;
b) lesione dell'affidamento qualificato del privato
derivante da convenzioni di lottizzazione, accordi di
diritto privato intercorsi tra il Comune e i proprietari
delle aree, dalle aspettative nascenti da giudicati di
annullamento di dinieghi di permesso di costruire o di
silenzio-rifiuto su una domanda di concessione;
c) modificazione in zona agricola della destinazione di
un'area limitata, interclusa da fondi edificati in modo non
abusivo (cfr. in tal senso, ex plurimis, Consiglio di
Stato, Sez. IV, 10.02.2009 n. 2418; TAR Lombardia, Milano,
Sez. II, 06.10.2011 n. 2379; TAR Lazio, Roma, Sez. II,
02.03.2011, n. 1950)
(TAR Lombardia-Milano, Sez.
II,
sentenza 27.01.2012 n. 297 - link a
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EDILIZIA
PRIVATA:
La costruzione ex novo di un capannone
prefabbricato in cemento armato in zona agricola necessita
del preventivo permesso di costruire e non della DIA giacché
l’art. 60 della L.R. n. 12/2005 dispone espressamente -al
primo comma– che “Nelle aree destinate all'agricoltura, gli
interventi edificatori relativi alla realizzazione di nuovi
fabbricati sono assentiti unicamente mediante permesso di
costruire”.
Conseguentemente, per la richiesta di sanatoria di un abuso
edilizio di che trattasi va applicato l’art. 36 e non l’art.
37 del DPR n. 380/2001.
---------------
L’art. 36 del DPR 06.06.2001 n. 380 -al
secondo comma– dispone che “Il rilascio del permesso in
sanatoria è subordinato al pagamento, a titolo di oblazione,
del contributo di costruzione in misura doppia, ovvero, in
caso di gratuità a norma di legge, in misura pari a quella
prevista dall'articolo 16.”.
E’ quindi evidente che la norma prevede che il rilascio del
permesso di costruire in sanatoria sia subordinato al
pagamento di una somma di danaro anche per le ipotesi in cui
il permesso originariamente non richiesto sia a titolo
gratuito.
In altri termini, nel caso di permesso oneroso il pagamento
dell’oblazione ha duplice funzione: a) di partecipazione
agli oneri urbanistici; b) di riparazione pecuniaria del
pregiudizio arrecato all’ordinamento giuridico; mentre nel
caso di permesso gratuito svolge esclusivamente la funzione
di cui sub b).
Con il ricorso all’esame, l’Azienda agricola ... chiede
l’annullamento degli atti con cui il Comune di Suisio -nel
rilasciare il richiesto permesso di costruire in sanatoria
per la realizzazione sine titulo, in zona agricola,
di un capannone prefabbricato ad uso deposito attrezzi e
derrate agricole- ha richiesto il pagamento dell’oblazione,
determinata in complessivi € 61.923,10.
...
Con il primo motivo la ricorrente Azienda agricola ...
afferma che erroneamente il Comune ha qualificato
l’intervento in questione come assentibile solo mediante
permesso di costruire, mentre esso rientrerebbe nel novero
di quelli consentiti dall’art. 62 LR 12/2005 (ampliamento
dell’attività agricola) per i quali può essere presentata
DIA, sicché non andava applicato l’art. 36, ma l’art. 37 del
DPR n. 380/2001 il quale non prevede l’oblazione.
Con il secondo motivo, afferma che -quand’anche fosse
applicabile l’art. 36 del DPR n. 380/2001-non sarebbe
comunque dovuto il pagamento dell’oblazione, in quanto
proprio l’art. 36 rimanda all’art. 16 del T.U. edil. che, al
c. 1, fa salvo quanto disposto dall’art. 17, c. 3, vale a
dire i casi in cui non è dovuto il contributo di costruzione
sicché opererebbe la gratuità spettante agli imprenditori
agricoli in forza dell’art. 62 della L.R. n. 12/2005.
I due motivi debbono essere disaminati congiuntamente.
Occorre muovere dalla disciplina regionale in tema di
attività edificatoria.
L’art. 60 della L.R. n. 12/2005 dispone espressamente -al
primo comma– che “Nelle aree destinate all'agricoltura,
gli interventi edificatori relativi alla realizzazione di
nuovi fabbricati sono assentiti unicamente mediante permesso
di costruire;”.
L’intervento in questione è costituito dalla costruzione
ex novo di un capannone prefabbricato in cemento armato,
sicché risulta un fuor d’opera il richiamo alla disciplina
di cui all’art. 62 della L.R. n. 12/2005 che attiene a
interventi sull’esistente e di piccole dimensioni.
Una volta chiarito che l’intervento edilizio in questione
non era assentibile a mezzo dichiarazione d’inizio
d’attività, va rilevata la necessaria applicabilità alla
fattispecie della disposizione in tema di rilascio di
permesso in sanatoria dettata dall’art. 36 del T.U. edil.
L’art. 36 del DPR 06.06.2001 n. 380 -al secondo comma–
dispone che “Il rilascio del permesso in sanatoria è
subordinato al pagamento, a titolo di oblazione, del
contributo di costruzione in misura doppia, ovvero, in caso
di gratuità a norma di legge, in misura pari a quella
prevista dall'articolo 16.”.
E’ quindi evidente che la norma prevede che il rilascio del
permesso di costruire in sanatoria sia subordinato al
pagamento di una somma di danaro anche per le ipotesi in cui
il permesso originariamente non richiesto sia a titolo
gratuito.
In altri termini, nel caso di permesso oneroso il pagamento
dell’oblazione ha duplice funzione: a) di partecipazione
agli oneri urbanistici; b) di riparazione pecuniaria del
pregiudizio arrecato all’ordinamento giuridico; mentre nel
caso di permesso gratuito svolge esclusivamente la funzione
di cui sub b) (TAR Lombardia-Brescia, Sez. I,
sentenza 11.01.2012 n. 11 - link a
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anno
2011 |
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EDILIZIA
PRIVATA: Gli
allevamenti equini possono stare vicino alle case.
Un allevamento equino può insediarsi, in zona agricola,
vicino alle abitazioni, non essendovi obblighi legali di
distanza (e fatta salva la tutela civilistica in caso di
immissioni moleste). Di interesse le considerazioni sulla
disciplina regionale lombarda in materia di infrastrutture
agricole che, essendo contenuta in mera deliberazione della
Giunta Regionale, non ha carattere normativo.
... per l'annullamento del permesso di costruire n. 7/2010
del 25.05.2010 rilasciato dal Comune di Sesto Calende alle
Aziende Agricole ... e ... per la realizzazione in Via
Legnate, di una nuova stalla per l'allevamento dei cavalli e
di ogni altro atto comunque preordinato, connesso e/o
dipendente, ivi compresi, per quanto occorra, il Regolamento
Comunale di Igiene, qualora lo stesso sia da interpretare
come non dispositivo di una distanza minima tra allevamenti
di equini e bovini e abitazioni e l'art. 70 del Piano delle
Regole del P.G.T. adottato, nonché dell'Autorizzazione
Paesaggistica prot. n. 115/2501/08 del 31.03.2008 rilasciata
dal Consorzio Parco Lombardo della Valle del Ticino per la "realizzazione
di allevamento per cavalli" nonostante una pregressa
contestazione non sanata di opere non autorizzate di
movimento terra e con l'estensione dell'impugnativa alla
nota comunale 02.09.2010 e relativi allegati con la quale è
stata comunicata la revoca della sospensione temporanea
dell'efficacia del permesso di costruire n. 7/2010.
...
Con il primo mezzo di censura i ricorrenti assumono,
indicando tra le norme violate l’art. 216 del T.U.L.P.S.,
che l’opera illegittimamente assentita non rispetta le
distanze minime imposte tra gli allevamenti di animali e le
abitazioni.
Le norme violate prescrivono, infatti, che “dette
attività (insalubri) debbono essere isolate nelle campagne e
tenute lontane dalle abitazioni”.
In realtà, è ben vero che le norme invocate esprimono il
principio di cautela sopraenunciato, ma è altrettanto vero
che l’art. 216, comma 5, del TULP, non prescrive alcuna
distanza minima, ponendo, come spiegato, una regola di
carattere generale in base alla quale gli opifici
classificati come industrie insalubri devono essere tenuti
ad una distanza adeguata dalle abitazioni, in funzione dei
rischi concreti che rappresentano e tenuto conto delle
possibili opere di mitigazione degli stessi.
Non sussiste quindi, quantomeno nel T.U.L.P.S. alcuna norma
che prescriva per gli allevamenti equini la distanza dalle
abitazioni preesistenti nella misura prudenzialmente
ritenuta applicabile dai ricorrenti (100 metri lineari).
Né risultano prescrittive di distanze minime le linee guida
regionali adottate con DDG n. 20109 del 29.12.2005 e
richiamate dall’art. 33, punto 8, del PGT, di cui i
ricorrenti invocano l’applicazione, trascurando che le
distanze minime ivi suggerite sono espressamente riferite al
settore bovino e suino con esclusione, quantomeno implicita,
di quello equino.
Il decreto dirigenziale che approva le Linee Guida
Regionali: criteri igienici e di sicurezza in edilizia
rurale è, d’altronde, assolutamente chiaro sul punto
specifico, e non può essere oggetto di interpretazione
estensiva, come pretendono i ricorrenti, non solo perché le
linee guida si sostanziano nella formulazione di “criteri
di valutazione e parametri di riferimento in materia di
igiene e sicurezza nonché di indicazioni tecniche allineate
allo stato dell’arte”, che in quanto tali non possono
che inerire a ciò che da esse è espressamente previsto e
richiamato, ma anche perché, non essendo ascrivibili ad una
fonte normativa tipica (né essendo chiaro, oltretutto, da
quale fonte normativa traggano la loro efficacia) non è
possibile applicare alle stesse un criterio di
interpretazione che è esclusivamente riferibile alle fonti
normative.
E non solo: posto, infatti, che le linee guida in questione
ineriscono al rapporto tra l’amministrazione regionale, che
dispone del potere normativo su un determinato ambito di
attività (nella specie quella relativa all’igiene e alla
sicurezza in materia di edilizia rurale) e le
amministrazioni destinatarie (nella specie i comuni) che
dispongono dei poteri regolamentari o di gestione nella
stessa materia, è escluso che l’inosservanza delle linee
guida (che consistono, come già chiarito in una serie di
parametri di riferimento generali, indicativi e orientativi,
che non hanno, in quanto tali, un valore cogente o
prescrittivo né normativo per i terzi) possa integrare il
dedotto vizio di violazione di legge se la prescrizione o
l’indirizzo non sia stato recepito in una norma interna
dell’amministrazione stessa, e da quest’ultima,
successivamente al recepimento, violata.
E comunque, non trattandosi, come è pacifico, di atto a
contenuto normativo, le linee guida non possono mai
prevalere sulle norme regolamentari e, a fortiori, primarie
che eventualmente disciplinino specificamente la materia e
quindi fissino, per stare all’oggetto della controversia,
distanze diverse da quelle in esse contenute.
Ciò premesso, e chiarito che la censura dedotta dai
ricorrenti in merito all’opportunità che le linee guida
sulle distanze (degli allevamenti suini e bovini) vengano
estese in via interpretativa anche agli allevamenti equini è
inconferente e infondata , per quanto già ampiamente
rilevato sul contenuto e sulla natura della fonte, non è
tuttavia superfluo sottolineare la genericità della stessa
censura che si incentra su una serie di considerazioni di
cd. "opportunità" che trascurano come il legislatore
(termine comprensivo anche della regolamentazione locale)
abbia già effettuato una scelta discriminante tra i diversi
tipi di allevamento, tenendo conto verosimilmente anche
della natura e della vocazione delle diverse zone del
proprio territorio comunale (nel senso che in zona agricola,
e soprattutto in zone storicamente già destinate a talune
tipologie di allevamento le distanze dalle abitazioni sono
state ritenute, all’evidenza, compatibili con le
preesistenze assai più di quanto non lo siano state attività
diverse da quelle ovvero collocate nelle zone contigue alle
aree residenziali o caratterizzate da maggiore consistenza
insediativa.
Invero i ricorrenti trascurano, per quanto attiene al luogo
di ubicazione delle opere contestate, che l’area di
localizzazione dell’allevamento dei resistenti è
classificata agricola; che la stessa si trova in una zona di
campagna dove preesistono altri impianti di allevamento
equino (scuderie e stalle); e, da ultimo, ma unicamente per
sottolineare la vocazione della zona, che gli stessi
ricorrenti sono titolari di un allevamento agricolo.
Va soggiunto, inoltre, che la censura mossa in ordine
all’opportunità di mantenere l'edificio più vicino ad una
distanza di 100 mt. dall’abitazione dei ricorrenti, non
attiene, come correttamente opposto dai resistenti, a
profili di legittimità edilizi e/o urbanistici, bensì ai
diversi interessi di matrice civilistica rappresentati,
nella specie, dalle molestie derivanti dal nuovo (e più
consistente) allevamento realizzato a ridosso delle
abitazioni, ma piuttosto, come si avrà modo di chiarire in
prosieguo e soprattutto in sede di disamina del ricorso per
motivi aggiunti, a profili che non ineriscono al legittimo
rilascio del titolo edilizio, in quanto tale, ma al supposto
invasivo esercizio dell’attività sottostante.
Ne consegue che è questa concreta attività, e non il
rilascio del permesso di costruire impugnato,che può
eventualmente giustificare (non questo ma) altri tipi di
azione a salvaguardia della salute con specifico riferimento
alle temute immissioni nocive o pericolose.
E’ infatti evidente che chi colloca la propria attività
potenzialmente insalubre in prossimità di abitazioni di
terzi, anche quando le norme non fissino distanze minime,
non può sottrarsi all’obbligo di esercitare tali attività in
maniera compatibile con i limiti e con i diritti dei terzi,
sia che discendono dalle norme del codice civile che dalle
disposizioni speciali riferite alla natura delle suddette
attività,.
Ne consegue che la violazione di tali norme può, in
astratto, comportare l’applicazione delle sanzioni previste
dalla legge (tra cui l’inibizione dell’attività ovvero
l’imposizione di prescrizioni per la riduzione degli effetti
nei limiti di legge); il che è quanto avverrebbe se
l’allevamento equino dell’Azienda Agricola “La Corte”
e dell’Azienda Agricola “I Mulini” dovesse generare
emissioni dannose o pericolose, della cui tollerabilità i
titolari dell’azienda sono tenuti a rispondere in funzione
della localizzazione aziendale prescelta e attuata (e quindi
in funzione della maggiore o minore distanza delle strutture
aziendali dalla proprietà di terzi).
I controinteressati, d’altra parte, proprio per contrastare
tale profilo, evidenziano che l’impianto di maggiore impatto
(la vasca di raccolta del letame) è stata collocata a ben
maggior distanza (circa 200 metri ) rispetto ai 10 metri dei
box e che l’allevamento (complessivamente di 42 cavalli, di
cui 14 al pascolo per tutto l’anno e 21 capi adulti allevati
nei 21 box di progetto oltre ai 7 collocati nella struttura
preesistente) è di dimensioni tali da essere compatibile,
quanto ad allocazione, con la zona di insediamento, e,
quanto a dislocazione delle strutture fisse, con le
abitazioni esistenti in prossimità.
Per tali condivise ragioni il primo motivo di ricorso va
quindi respinto.
---------------
Per considerazioni parzialmente analoghe merita di essere
respinto anche il secondo motivo, con cui i ricorrenti si
dolgono del fatto che mentre le norme esistenti prevedono
distanze minime di mt. 10 per porcilaie pollai e conigliaie
a carattere familiare, nulla di specifico viene previsto per
le stalle e gli allevamenti di cavalli, ritenendo, pertanto,
il regolamento comunale illegittimo nella parte in cui
omette di disciplinare la materia, trascurando i gravi
problemi igienici che possono derivare dalla contiguità tra
animali di grossa taglia e abitazioni limitrofe.
In realtà come già sopra evidenziato dal Collegio, nella
specie non si pone un problema di vuoto normativo da colmare
con la creazione di una regola ad hoc; la norma
regolamentare comunale sulle distanze, infatti, sussiste, ma
non ritiene di prescrivere una distanza maggiore di 10 metri
per gli allevamenti equini, che evidentemente non sono
ritenuti (si può supporre in funzione della natura e della
vocazione delle zone agricole) impattanti quanto e più di
altri tipi di allevamento.
E tutto ciò appare legittimo, quantomeno in sede di rilascio
dei permessi di costruire per la realizzazione delle
strutture aziendali: l’eventuale profilo igienico sanitario
resta infatti affidato, anche qui come già in precedenza
evidenziato, ad altre e diverse norme che non rilevano sulla
legittimità dei permessi assentiti.
Per analoghe ragioni è infondato e va respinto anche il
terzo motivo con cui si ripropone, sotto altro profilo, la
dedotta illegittimità del permesso di costruire per la
mancata applicazione delle linee guida regionali e per
violazione dell’art. 70 (in materia di disposizioni
transitorie) del PGT adottato, in quanto si assume che la
pratica , alla data del 28.02.2009 non sarebbe stata “completa
ai fini istruttori”, difettando ogni riferimento, in
essa, alle distanze dai confini e l’indicazione degli
edifici confinanti, oltre che per una falsa rappresentazione
dei livelli altimetrici.
In realtà, a parte il rilievo assorbente, relativo all’inconferenza
delle più volte menzionate linee guida regionali, il
Collegio osserva che quand’anche la pratica edilizia non
avesse contenuto adeguati riferimenti alle distanze dai
confini e dagli edifici confinanti, ciò che la
documentazione in atti peraltro smentisce, la stessa pratica
sarebbe rientrata comunque nella previsione dell’art. 70 (id
est di pratica in corso di istruzione) e quindi sarebbe
stata comunque esclusa dall’applicazione delle norme a
regime (TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 14.12.2011 n. 3167 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA - URBANISTICA: La
finalità perseguita dal legislatore lombardo con la l.r.
93/1980 –confermata negli articoli da 59 a 62 della vigente
legge regionale 12/2005– è quella di mantenere e conservare
le zone agricole o a destinazione agricola della Regione,
attraverso la limitazione degli usi residenziali, ammessi
soltanto se a servizio dell’impresa agricola, per impedire
la definitiva ed irrimediabile perdita delle porzioni
territoriali a vocazione rurale.
Tale scopo è reso evidente dal particolare procedimento
previsto per gli interventi edificatori in zona agricola
(ora disciplinato dall’art. 60 della LR 12/2005),
caratterizzato dalla presentazione al Comune di un impegno
al mantenimento della destinazione, da trascriversi nei
pubblici registri e costituente un vero e proprio vincolo
sull’immobile.
Tale vincolo non può venire meno se non in caso di
variazione urbanistica dell’area interessata (così l’art. 60
della LR 12/2005 ma anche la pregressa LR 93/1980), essendo
pertanto indifferenti, sul regime del vincolo, le eventuali
vicende personali dell’imprenditore agricolo o dei suoi
aventi causa.
---------------
Il vincolo di asservimento della residenza a servizio
dell’impresa agricola non è nella disponibilità di chi pone
in essere l’atto di impegno, né sussiste decadenza del
vincolo per cessazione dell’attività agricola o vendita
dell’immobile; il vincolo appare necessario per la piena
salvaguardia del patrimonio agricolo della Regione; gli
strumenti urbanistici possono ovviamente disporre un
motivato cambio d’uso ma la signora ..., che ha realizzato
di fatto tale mutamento in violazione dello strumento
urbanistico, non ha alcuna pretesa tutelata a che il Comune,
attraverso il PGT, adegui la situazione di diritto a quella
di fatto illecitamente realizzata.
---------------
Non appare né illogico né arbitrario che l’Amministrazione,
nel confermare la vocazione agricola dell’area
dell’esponente, abbia escluso di utilizzare lo strumento
urbanistico quale improprio mezzo per realizzare una sorta
di surrettizia sanatoria, che avrebbe finito così di fatto
per eliminare l’abuso posto in essere dall’esponente.
E’ del resto escluso dallo stesso art. 36, citato dalla
ricorrente, che la sola conformità dell’opera abusiva allo
strumento urbanistico sopravvenuto consenta la sanatoria
dell’abuso, essendo invece necessaria anche la conformità
allo strumento vigente al momento di esecuzione dell’opera
(c.d. doppia conformità).
La finalità perseguita dal legislatore lombardo con la l.r.
93/1980 –confermata negli articoli da 59 a 62 della vigente
legge regionale 12/2005– è quella di mantenere e conservare
le zone agricole o a destinazione agricola della Regione,
attraverso la limitazione degli usi residenziali, ammessi
soltanto se a servizio dell’impresa agricola, per impedire
la definitiva ed irrimediabile perdita delle porzioni
territoriali a vocazione rurale (su tale finalità, si veda
TAR Lombardia, Milano, sez. II, 07.07.2011, n. 1843, oltre
all’importante ordinanza della Corte Costituzionale n.
167/1995, di declaratoria della manifesta infondatezza della
questione di legittimità costituzionale degli articoli 2 e 3
della legge regionale 93/1980).
Tale scopo è reso evidente dal particolare procedimento
previsto per gli interventi edificatori in zona agricola
(ora disciplinato dall’art. 60 della LR 12/2005),
caratterizzato dalla presentazione al Comune di un impegno
al mantenimento della destinazione, da trascriversi nei
pubblici registri e costituente un vero e proprio vincolo
sull’immobile.
Tale vincolo non può venire meno se non in caso di
variazione urbanistica dell’area interessata (così l’art. 60
della LR 12/2005 ma anche la pregressa LR 93/1980), essendo
pertanto indifferenti, sul regime del vincolo, le eventuali
vicende personali dell’imprenditore agricolo o dei suoi
aventi causa.
D’altronde, se così non fosse, la disciplina regionale sulla
conservazione e sul mantenimento delle aree agricole sarebbe
facilmente elusa, ad esempio attraverso la cessione
dell’immobile dall’imprenditore agricolo ad un soggetto
privo di tale qualità, oppure mediante la cessazione
dell’attività di impresa agricola.
Non può pertanto configurarsi, contrariamente a quanto
sostenuto dall’esponente, una sostanziale assimilazione fra
la ordinaria destinazione abitativa e la residenza a
servizio dell’impresa agricola.
Sul punto preme ancora ribadire –e si perdoni l’ovvietà– che
non è certamente vietata in senso assoluto la trasformazione
di una zona da agricola a residenziale; nel caso di specie
tuttavia, l’esponente giustifica la propria pretesa
all’accoglimento della sua osservazione al PGT, sulla base
dell’intervenuto mutamento di destinazione realizzato in via
di fatto, dopo l’acquisto dell’immobile.
Non pare certo al Collegio che la signora ... possa
reputarsi titolata ad esigere un simile cambio d’uso, visto
anche l’orientamento della giurisprudenza amministrativa,
che riconosce ai Comuni ampia discrezionalità nelle scelte
urbanistiche –nel caso di specie si è trattato di confermare
la destinazione agricola già esistente– scelte che
richiedono una specifica motivazione solo in caso di
affidamento qualificato del privato, rientrando in tale
ultima ipotesi le situazioni di chi ha ottenuto un giudicato
di annullamento di una precedente destinazione di zona
ovvero di un diniego di titolo edilizio oppure ancora del
silenzio-rifiuto formatosi su una domanda edilizia (si veda,
sul punto, la ancora fondamentale decisione del Consiglio di
Stato, Adunanza Plenaria, 08.01.1986, n. 1).
Alle situazioni sopra indicate, viene inoltre equiparata la
condizione del privato che ha stipulato accordi vincolanti
con la Pubblica Amministrazione, quale ad esempio una
convenzione di lottizzazione (cfr. sul punto, fra le tante,
TAR Lombardia, Milano, sez. II, 24.02.2010, n. 452).
La posizione dell’esponente non rientra in nessuna di quelle
sopra indicate, sicché la stessa non appare titolare di una
particolare o qualificata posizione di affidamento nei
confronti del Comune.
---------------
Il vincolo di asservimento
della residenza a servizio dell’impresa agricola non è nella
disponibilità di chi pone in essere l’atto di impegno, né
sussiste decadenza del vincolo per cessazione dell’attività
agricola o vendita dell’immobile; il vincolo appare
necessario per la piena salvaguardia del patrimonio agricolo
della Regione; gli strumenti urbanistici possono ovviamente
disporre un motivato cambio d’uso ma la signora ..., che ha
realizzato di fatto tale mutamento in violazione dello
strumento urbanistico, non ha alcuna pretesa tutelata a che
il Comune, attraverso il PGT, adegui la situazione di
diritto a quella di fatto illecitamente realizzata.
---------------
Nel sesto ed ultimo motivo del gravame principale, viene
denunciata la presunta violazione da parte del Comune
dell’art. 36 del DPR 380/2001, in quanto, a detta
dell’esponente, lo strumento urbanistico comunale potrebbe
anche sanare un abuso edilizio.
Il mezzo non può però trovare accoglimento, in quanto –con
specifico riferimento alla presente fattispecie– non appare
né illogico né arbitrario che l’Amministrazione, nel
confermare la vocazione agricola dell’area dell’esponente,
abbia escluso di utilizzare lo strumento urbanistico quale
improprio mezzo per realizzare una sorta di surrettizia
sanatoria, che avrebbe finito così di fatto per eliminare
l’abuso posto in essere dall’esponente.
E’ del resto escluso dallo stesso art. 36, citato dalla
ricorrente, che la sola conformità dell’opera abusiva allo
strumento urbanistico sopravvenuto consenta la sanatoria
dell’abuso, essendo invece necessaria anche la conformità
allo strumento vigente al momento di esecuzione dell’opera
(c.d. doppia conformità).
Infine, in merito alla nota del legale del Comune
dell’08.08.2001 (doc. 1 della ricorrente in data
01.09.2011), la stessa non avalla in alcun modo il
comportamento dell’esponente, visto che il difensore
dell’Amministrazione indica chiaramente a quest’ultima come
appaia insuperabile il vincolo pattizio gravante sulla
costruzione della ricorrente
(TAR Lombardia-Milano, Sez.
II,
sentenza 22.11.2011 n. 2823 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
URBANISTICA: Le
osservazioni dei privati ai progetti di strumenti
urbanistici sono un mero apporto collaborativo alla
formazione di detti strumenti e non danno luogo a peculiari
aspettative, con la conseguenza che il loro rigetto non
richiede una specifica motivazione, essendo sufficiente che
esse siano state esaminate e ritenute in contrasto con gli
interessi e le considerazioni generali poste a base della
formazione del piano.
---------------
Le scelte effettuate dall’Amministrazione nell’adozione
degli strumenti urbanistici costituiscono apprezzamento di
merito sottratto al sindacato di legittimità, salvo che non
siano inficiate da errori di fatto o da abnormi illogicità,
sicché anche la destinazione data alle singole aree non
necessita di apposita motivazione, oltre quella che si può
evincere dai criteri generali, di ordine
tecnico-discrezionale, seguiti nell’impostazione del piano
stesso, essendo sufficiente l’espresso riferimento alla
relazione di accompagnamento al progetto di modificazione al
piano regolatore generale, salvo che particolari situazioni
non abbiano creato aspettative o affidamenti in favore di
soggetti le cui posizioni appaiano meritevoli di specifiche
considerazioni; in sostanza le uniche evenienze, che
richiedono una più incisiva e singolare motivazione degli
strumenti urbanistici generali, sono date dal superamento
degli standards minimi di cui al d.m. 02.04.1968, con
riferimento alle previsioni urbanistiche complessive di
sovradimensionamento, indipendentemente dal riferimento alla
destinazione di zona di determinate aree; dalla lesione
dell’affidamento qualificato del privato, derivante da
convenzioni di lottizzazione, accordi di diritto privato
intercorsi fra il Comune e i proprietari delle aree,
aspettative nascenti da giudicati di annullamento di
concessioni edilizie o di silenzio rifiuto su una domanda di
concessione e, infine, dalla modificazione in zona agricola
della destinazione di un’area limitata, interclusa da fondi
edificati in modo non abusivo.
Nessuna aspettativa, invece, deriva dalla diversa
destinazione urbanistica pregressa della medesima area,
rispetto alla quale l’Amministrazione conserva ampia
discrezionalità, potendo modificare in peius rispetto agli
interessi del proprietario la destinazione urbanistica.
---------------
La destinazione agricola di un suolo non deve rispondere
necessariamente all’esigenza di promuovere specifiche
attività di coltivazione, e quindi essere funzionale ad un
uso strettamente agricolo del terreno, potendo essere
concretamente volta a sottrarre parti del territorio
comunale a nuove edificazioni, ovvero a garantire ai
cittadini l’equilibrio delle condizioni di vivibilità,
assicurando loro quella quota di valori naturalistici e
ambientali necessaria a compensare gli effetti
dell’espansione dell’aggregato urbano.
Con un primo motivo di impugnazione, si reitera la doglianza
di mancato esame da parte del Comune delle osservazioni
proposte dall’originario ricorrente nella fase di
approvazione della c.d. “variante di salvaguardia”:
censura respinta dal TAR sul rilievo che in ricorso non
erano stati neanche richiamati i contenuti delle
osservazioni medesime, di modo che non era dato comprendere
se e come il divisato vizio procedimentale avesse
pregiudicato le ragioni dell’istante.
Il motivo è infondato, dovendo richiamarsi il pacifico
indirizzo giurisprudenziale secondo cui le osservazioni dei
privati ai progetti di strumenti urbanistici sono un mero
apporto collaborativo alla formazione di detti strumenti e
non danno luogo a peculiari aspettative, con la conseguenza
che il loro rigetto non richiede una specifica motivazione,
essendo sufficiente che esse siano state esaminate e
ritenute in contrasto con gli interessi e le considerazioni
generali poste a base della formazione del piano (cfr. ex
plurimis Cons. Stato, sez. IV, 12.01.2011, nr. 133; id.,
15.09.2010, nr. 6911; Cons. Stato, sez. III, 26.08.2010,
parere nr. 3146; Cons. Stato, sez. IV, 11.10.2007, nr.
5357).
---------------
Privi di pregio sono anche i motivi con i quali vengono
reiterate le censure dirette avverso la motivazione addotta
dal Comune a sostegno della contestata destinazione agricola
del suolo.
Al riguardo, va richiamata la consolidata giurisprudenza
secondo cui le scelte effettuate dall’Amministrazione
nell’adozione degli strumenti urbanistici costituiscono
apprezzamento di merito sottratto al sindacato di
legittimità, salvo che non siano inficiate da errori di
fatto o da abnormi illogicità, sicché anche la destinazione
data alle singole aree non necessita di apposita
motivazione, oltre quella che si può evincere dai criteri
generali, di ordine tecnico-discrezionale, seguiti
nell’impostazione del piano stesso, essendo sufficiente
l’espresso riferimento alla relazione di accompagnamento al
progetto di modificazione al piano regolatore generale,
salvo che particolari situazioni non abbiano creato
aspettative o affidamenti in favore di soggetti le cui
posizioni appaiano meritevoli di specifiche considerazioni;
in sostanza le uniche evenienze, che richiedono una più
incisiva e singolare motivazione degli strumenti urbanistici
generali, sono date dal superamento degli standards minimi
di cui al d.m. 02.04.1968, con riferimento alle previsioni
urbanistiche complessive di sovradimensionamento,
indipendentemente dal riferimento alla destinazione di zona
di determinate aree; dalla lesione dell’affidamento
qualificato del privato, derivante da convenzioni di
lottizzazione, accordi di diritto privato intercorsi fra il
Comune e i proprietari delle aree, aspettative nascenti da
giudicati di annullamento di concessioni edilizie o di
silenzio rifiuto su una domanda di concessione e, infine,
dalla modificazione in zona agricola della destinazione di
un’area limitata, interclusa da fondi edificati in modo non
abusivo (cfr. Cons. Stato, sez. IV, nr. 133/2011, cit.; id.,
09.12.2010, nr. 8682; id., 13.10.2010, nr. 7492; id.,
12.05.2010, nr. 2843).
Nessuna aspettativa, invece, deriva dalla diversa
destinazione urbanistica pregressa della medesima area,
rispetto alla quale l’Amministrazione conserva ampia
discrezionalità, potendo modificare in peius rispetto
agli interessi del proprietario la destinazione urbanistica
(cfr. Cons. Stato, sez. IV, 29.12.2009, nr. 9006).
---------------
Vanno disattese anche le ulteriori doglianze con le quali si
assume un utilizzo distorto della richiamata destinazione
urbanistica, cui il Comune sarebbe ricorso impropriamente
per perseguire finalità di conservazione paesaggistica e
ambientale.
Sul punto, la Sezione reputa sufficiente richiamare il
proprio pregresso indirizzo secondo cui la destinazione
agricola di un suolo non deve rispondere necessariamente
all’esigenza di promuovere specifiche attività di
coltivazione, e quindi essere funzionale ad un uso
strettamente agricolo del terreno, potendo essere
concretamente volta a sottrarre parti del territorio
comunale a nuove edificazioni (cfr. Cons. Stato, sez. IV,
27.07.2011, nr. 4505; id., 16.04.2010, nr. 2166), ovvero a
garantire ai cittadini l’equilibrio delle condizioni di
vivibilità, assicurando loro quella quota di valori
naturalistici e ambientali necessaria a compensare gli
effetti dell’espansione dell’aggregato urbano (cfr. Cons.
Stato, sez. IV, 13.10.2010, nr. 7478; id., 06.07.2009, nr.
4308).
Né può convenirsi con l’assunto dell’istante secondo cui con
la destinazione de qua sarebbe stata introdotta sul
suolo una anomala e atipica misura di salvaguardia, a
carattere sostanzialmente espropriativo, al di fuori delle
ipotesi consentite dalla legge: ciò perché, alla luce di
quanto fin qui esposto, l’imposizione della destinazione
urbanistica risulta costituire legittimo esercizio
dell’ordinaria potestà pianificatorie e conformativa dei
suoli riconosciuta al Comune (Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 16.11.2011 n. 6049 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA: La
lombricoltura in sé non può qualificarsi come attività a
carattere industriale, essendo legata ad un uso agricolo del
suolo, e non al trattamento dei rifiuti in senso
industriale.
Conseguentemente, è illegittimo il diniego comunale sulla
istanza per il rilascio di concessione edilizia per la
realizzazione di un impianto di lombricoltura motivato con
riferimento ad una pretesa incompatibilità dell’intervento
con la destinazione agricola del suolo in oggetto: l’ufficio
ha invero qualificato l’intervento tra quelli a carattere
industriale, non localizzabile in zona agricola.
Il presente ricorso verte sulla legittimità del diniego di
concessione edilizia per la realizzazione di un impianto di
lombricoltura in località agricola del Comune di Nola,
motivato dalla amministrazione con riferimento ad una
pretesa incompatibilità dell’intervento con la destinazione
agricola del suolo in oggetto: l’ufficio ha invero
qualificato l’intervento tra quelli a carattere industriale,
non localizzabile in zona agricola.
...
Va premesso che la lombricoltura in sé non può qualificarsi
come attività a carattere industriale, essendo legata ad un
uso agricolo del suolo, e non al trattamento dei rifiuti in
senso industriale.
Ed infatti, la stessa amministrazione ha dedotto elementi
ostativi che attengono più alla fase posteriore di concreto
funzionamento dell’impianto, che non alla valutazione ex
ante degli elementi del proposto progetto, in
riferimento alla compatibilità urbanistica dell’intervento
con la destinazione di zona.
Gli elementi ritenuti ostativi, in quanto presumono una
lavorazione di rifiuti in situ, ovvero l’esercizio di
un’attività insalubre, non costituiscono un adeguato
substrato motivazionale del gravato diniego, come
autorevolmente ritenuto in fattispecie analoga dal Consiglio
di Stato.
Il giudice di appello ha affermato (CdS sez. IV 07.10.2009
n. 6117, peraltro con riferimento ad un impianto più
complesso in quanto destinato alla produzione di energia
elettrica con il biogas) che non si tratta affatto di
impianti che smaltiscano o trattino in qualche modo rifiuti:
“…… si tratta, invece, di impianti che producono energia,
mediante quel particolare procedimento che si concreta nel
cosiddetto biogas, per cui vengono inizialmente introdotti
elementi organici che procedono ad un’attività riproduttiva
rispetto alle sostanze immesse, donde la caratteristica
relativamente alla quale i residui in parola non sono
utilizzati per essere smaltiti o in qualche modo trattati,
ma servono solo per iniziare l’attività di decomposizione
delle sostanze immesse, ai fini della produzione energetica.
Il fatto che inizialmente, all’atto dell’avvio
dell’impianto, vi fosse l’immissione di sostanze organiche,
rifiuti animali in senso lato, non determina solo per questo
la classificazione dell’impianto fra quelli afferenti il
trattamento dei rifiuti, in quanto le sostanze organiche
suddette, lungi dall’essere l’oggetto del trattamento, ne
sono invece uno strumento operativo, con il quale l’impianto
funziona, alla stregua di un meccanismo di messa in moto.
Né rientrano gli impianti medesimi nell’ambito delle
industrie insalubri, non essendo i medesimi menzionati fra
quelli e non potendo peraltro operare l’analogia nella
materia della elencazione degli impianti che rientrano nella
insalubrità, nelle varie classi di cui essa consiste.”
Dette argomentazioni (riferibili specularmente all’impianto
di lombricoltura in cui i lombrichi trasformano i rifiuti
organici in fertilizzante attraverso la naturale attività di
decomposizione, come documentato da parte ricorrente nelle
note tecniche del prof. D’Errico prodotte nella istruttoria
procedimentale), che il Collegio condivide pienamente,
comportano la illegittimità del gravato diniego per difetto
di motivazione (TAR Campania-Napoli, Sez. II,
sentenza 04.11.2011 n. 5135 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
URBANISTICA: In
occasione dell’indirizzo di politica urbanistica espresso
negli strumenti generali di pianificazione, le scelte
ampiamente discrezionali dell’Amministrazione in ordine ai
tempi ed alle modalità di intervento sul proprio territorio
circa la destinazione di singole aree, in funzione delle
concrete possibilità operative che essa soltanto è in grado
di accertare, nonché la stessa natura di atto a contenuto
generale, valgono ad escludere l’obbligo di un’apposita
motivazione, oltre quella che si può evincere dai criteri
generali seguiti nell’impostazione del piano stesso, essendo
sindacabili in sede giurisdizionale solo laddove emergano
errori di fatto, abnormi illogicità o profili di eccesso di
potere per palese travisamento dei fatti o manifesta
irrazionalità. La motivazione in ordine alle scelte generali
compiute dall’Amministrazione in sede di P.R.G. non deve
essere necessariamente contenuta nel solo atto che conclude
il procedimento, ma può essere ricavata anche dagli
elaborati tecnici che lo accompagnano, che il provvedimento
conclusivo richiami e a condizione che in essi siano
chiaramente illustrate le esigenze che hanno indotto
l’Amministrazione ad adottare la nuova disciplina.
---------------
Non esiste una preclusione assoluta a nuovi interventi di
pianificazione urbanistica, che vanifichino in tutto o in
parte le aspettative edilizie dei privati, atteso che lo ius
variandi, relativo alle prescrizioni di Piano Regolatore
Generale, include -eventualmente- anche uno ius poenitendi,
relativo ai successivi vincoli assunti dal Comune mediante
convenzioni di lottizzazione, salva la necessità di
motivazione, intesa pure come giusta considerazione di
quelle aspettative. Nelle delibere di adozione di un Piano
Regolatore o di una sua variante, la motivazione può
desumersi per relationem dal contenuto dell'atto deliberato,
cioè dall'insieme di esso e particolarmente dalla relazione
illustrativa, che ne forma parte integrante e le cui
considerazioni s'intendano accettate e fatte proprie dal
Consiglio comunale.
Gli apprezzamenti di merito del Comune in ordine alle scelte
urbanistiche non sono sindacabili in sede di giudizio di
legittimità, a meno che non risultino inficiati da errori di
fatto o da vizi di grave illogicità.
---------------
Una motivazione specifica si impone solo in presenza di
situazioni idonee a creare aspettative e affidamenti nei
privati, quali l’esistenza un piano di lottizzazione
debitamente approvato e convenzionato ovvero un giudicato di
annullamento del diniego di concessione edilizia. Le
evenienze che in particolare giustificano una più incisiva e
singolare motivazione nelle scelte pianificatorie degli
strumenti urbanistici generali sono state ravvisate:
1) nel superamento degli standards minimi di cui al DM
02.04.1968, con l’avvertenza che la motivazione ulteriore va
riferita esclusivamente alle previsioni urbanistiche
complessive di sovradimensionamento, indipendentemente dal
riferimento alla destinazione di zona di determinate aree;
2) nella lesione dell’affidamento qualificato del privato
derivante dall’avvenuta stipula di convenzioni di
lottizzazione, accordi di diritto privato intercorsi tra il
Comune e i proprietari delle aree, aspettative legittime
nascenti da sentenze passate in giudicato di annullamento di
dinieghi di concessione edilizia o di silenzio - rifiuto su
una domanda di concessione;
3) nella modificazione in zona agricola della destinazione
di un’area limitata, interclusa da fondi edificati in modo
non abusivo.
---------------
Le Amministrazioni comunali possono e devono costruire gli
strumenti urbanistici intorno a linee guida che esaltino il
momento del recupero e della razionalizzazione del
patrimonio edilizio esistente, atteso che lo strumento
urbanistico generale non presuppone inderogabilmente
tendenze espansive edilizie e demografiche, ma, al
contrario, una moderna e realistica concezione
dell’urbanistica appare incentrata sulla necessità di tener
conto della fortissima antropizzazione del territorio
nazionale concentrata in specifiche aree, del calo
demografico generale, dell’ineludibile bisogno di tutela
delle ormai rare zone non edificate.
---------------
Le scelte effettuate dalla Amministrazione in sede di
pianificazione urbanistica non necessitano invero di
dettagliata motivazione oltre quella che si evince dai
criteri generali, di ordine tecnico-discrezionale, seguiti
nella predisposizione del piano stesso.
In proposito, è sufficiente l'espresso riferimento alla
relazione di accompagnamento al progetto di modifica del
piano, salvo i casi particolari innanzi evidenziati
-individuati dalla giurisprudenza per il caso di affidamenti
particolarmente qualificati e qui non ricorrenti- in cui si
configuri uno specifico obbligo motivazionale a carico
dell'Amministrazione.
I provvedimenti comunali di pianificazione urbanistica e le
varianti hanno infatti natura discrezionale e possono, in
sede di variante, incidere su precedenti, difformi,
destinazioni di zona, comportare modifiche radicali al piano
vigente e rettificare direttive urbanistiche pregresse al
fine di realizzare un processo di adeguamento e
modernizzazione delle strutture al servizio del territorio.
In sede di pianificazione generale o di variante generale, e
salvi i casi individuati dalla giurisprudenza in cui sono
riscontrabili posizioni di aspettativa qualificata da
particolari situazioni verificatesi in sede amministrativa o
giurisdizionale, il Comune ha in definitiva la facoltà
ampiamente discrezionale di modificare le precedenti
previsioni e non è tenuto a dettare una motivazione
specifica per le singole zone o aree a destinazione
innovata.
---------------
Le osservazioni proposte dai cittadini nei confronti degli
atti di pianificazione urbanistica non costituiscono veri e
propri rimedi giuridici, ma semplici apporti collaborativi
e, pertanto non danno luogo a peculiari aspettative;
conseguentemente il loro rigetto o il loro accoglimento non
richiede una motivazione analitica, essendo sufficiente che
esse siano state esaminate e confrontate con gli interessi
generali dello strumento pianificatorio.
---------------
La classificazione a zona agricola possiede anche una
valenza conservativa dei valori naturalistici, venendo a
costituire il polmone dell’insediamento urbano ed assumendo,
per tale via, la funzione decongestionante e di contenimento
dell’espansione dell’aggregato urbano.
---------------
L’art. 2, 1° comma, della L. 19.11.1968 n. 1187 e l’analogo
art. 9 del T.U. sulle espropriazioni n. 327 del 2001 hanno
fissato entro il limite temporale del quinquennio
l'efficacia delle prescrizioni dei piani regolatori generali
«nella parte in cui incidono su beni determinati ed
assoggettano i beni stessi a vincoli preordinati
all'espropriazione od a vincoli che comportino l'inedificabilità».
Tale disposto per la giurisprudenza è applicabile “non solo
con riferimento ai vincoli preordinati all’esproprio o a
quei vincoli che svuotano il contenuto del diritto di
proprietà, rendendolo inutilizzabile rispetto alla sua
destinazione naturale, ma anche ai vincoli c.d.
"strumentali", a quei vincoli cioè che subordinano
l’edificabilità di un’area all’inserimento della stessa in
un programma pluriennale, oppure alla formazione di uno
strumento esecutivo”.
In considerazione della limitata efficacia temporale del
vincolo preordinato all’esproprio, l’obbligo di
corresponsione dell’indennizzo sorge solo nell’ipotesi di
reiterazione del vincolo medesimo.
Prima della reiterazione oltre del suddetto limite temporale
del vincolo preordinato all’esproprio o dell’avvio della
procedura espropriativa alcun pretesa indennitaria può
vantare parte ricorrente. Infatti, come chiarito dalla
giurisprudenza, “il fatto costitutivo del diritto
all'indennizzo non è individuabile nell'imposizione
originaria di un vincolo di inedificabilità, e neppure nella
protrazione di fatto del medesimo dopo la sua decadenza
-giacché in tal caso ben può il proprietario sollecitare
l'esercizio del potere pianificatorio attraverso la
procedura di messa in mora, e far accertare, di risulta,
l'illegittimità del silenzio-, bensì nell'atto che
esplicitamente lo reitera".
In relazione alla materia della pianificazione urbanistica
il Collegio condivide quella giurisprudenza assolutamente
prevalente (ex multis, Consiglio di stato, sez. IV,
15.09.2010, n. 6911; Consiglio Stato, sez. IV, 18.06.2009,
n. 4024; Consiglio Stato, IV, 26.04.2009, n. 2293; TAR
Campania, Napoli, IV, 31.12.2007, n. 16679; I, 16.11.2007,
n. 13722; 09.07.2007, n. 6605; Cons. Stato, IV, 19.02.2007,
n. 861; 13.04.2005, n. 1743; 22.02.2000, n. 2934;
19.01.2000, n. 245; 24.12.1999, n. 1943; Ad. Plen.,
22.12.1999, n. 24; IV, 02.11.1995, n. 887; 25.02.1988, n.
99) orientata nel senso che, in occasione dell’indirizzo di
politica urbanistica espresso negli strumenti generali di
pianificazione, le scelte ampiamente discrezionali
dell’Amministrazione in ordine ai tempi ed alle modalità di
intervento sul proprio territorio circa la destinazione di
singole aree, in funzione delle concrete possibilità
operative che essa soltanto è in grado di accertare, nonché
la stessa natura di atto a contenuto generale, valgono ad
escludere l’obbligo di un’apposita motivazione, oltre quella
che si può evincere dai criteri generali seguiti
nell’impostazione del piano stesso, essendo sindacabili in
sede giurisdizionale solo laddove emergano errori di fatto,
abnormi illogicità o profili di eccesso di potere per palese
travisamento dei fatti o manifesta irrazionalità (Consiglio
Stato, sez. IV, 18.06.2009, n. 4024; TAR Calabria, Reggio
Calabria, 11.05.2006, n. 786; Cons. Stato, IV, 06.10.2003,
n. 5869; 08.02.1999, n. 121). La motivazione in ordine alle
scelte generali compiute dall’Amministrazione in sede di
P.R.G. non deve essere necessariamente contenuta nel solo
atto che conclude il procedimento, ma può essere ricavata
anche dagli elaborati tecnici che lo accompagnano, che il
provvedimento conclusivo richiami e a condizione che in essi
siano chiaramente illustrate le esigenze che hanno indotto
l’Amministrazione ad adottare la nuova disciplina (Cons.
Stato, IV, 03.10.2001, n. 5207).
---------------
La giurisprudenza ha inoltre precisato che non esiste una
preclusione assoluta a nuovi interventi di pianificazione
urbanistica, che vanifichino in tutto o in parte le
aspettative edilizie dei privati, atteso che lo ius
variandi, relativo alle prescrizioni di Piano Regolatore
Generale, include -eventualmente- anche uno ius
poenitendi, relativo ai successivi vincoli assunti dal
Comune mediante convenzioni di lottizzazione, salva la
necessità di motivazione, intesa pure come giusta
considerazione di quelle aspettative (Cons. Stato, IV,
01.07.1992, n. 653). La stessa giurisprudenza ha poi
chiarito che, nelle delibere di adozione di un Piano
Regolatore o di una sua variante, la motivazione può
desumersi per relationem dal contenuto dell'atto
deliberato, cioè dall'insieme di esso e particolarmente
dalla relazione illustrativa, che ne forma parte integrante
e le cui considerazioni s'intendano accettate e fatte
proprie dal Consiglio comunale (Cons. Stato, IV, 03.06.1987,
n. 326).
Naturalmente, poi, occorre tener presente che gli
apprezzamenti di merito del Comune in ordine alle scelte
urbanistiche non sono sindacabili in sede di giudizio di
legittimità, a meno che non risultino inficiati da errori di
fatto o da vizi di grave illogicità (Cons. Stato, IV,
17.01.1989, n. 5; 15.07.1986, n. 522).
---------------
Ora, contrariamente a quanto dedotto in ricorso circa
l’eccesso di potere per insufficienza e carenza della
motivazione, questo Tribunale è dell’avviso che una
motivazione specifica si impone solo in presenza di
situazioni idonee a creare aspettative e affidamenti nei
privati, quali l’esistenza un piano di lottizzazione
debitamente approvato e convenzionato ovvero un giudicato di
annullamento del diniego di concessione edilizia (Cons.
Stato, IV, 22.02.1999, n. 209). Le evenienze che in
particolare giustificano una più incisiva e singolare
motivazione nelle scelte pianificatorie degli strumenti
urbanistici generali sono state ravvisate (TAR Umbria,
02.10.2006, n. 497; Cons. Stato, Ad. plen., 22.12.1999, n.
24):
1) nel superamento degli standards minimi di cui al DM
02/04/1968, con l’avvertenza che la motivazione ulteriore va
riferita esclusivamente alle previsioni urbanistiche
complessive di sovradimensionamento, indipendentemente dal
riferimento alla destinazione di zona di determinate aree;
2) nella lesione dell’affidamento qualificato del privato
derivante dall’avvenuta stipula di convenzioni di
lottizzazione, accordi di diritto privato intercorsi tra il
Comune e i proprietari delle aree, aspettative legittime
nascenti da sentenze passate in giudicato di annullamento di
dinieghi di concessione edilizia o di silenzio - rifiuto su
una domanda di concessione;
3) nella modificazione in zona agricola della destinazione
di un’area limitata, interclusa da fondi edificati in modo
non abusivo.
---------------
In sintesi non è comunque configurabile un'aspettativa
qualificata ad una destinazione edificatoria in relazione ad
una precedente determinazione dell'Amministrazione, ma
soltanto un'aspettativa generica ad una reformatio in
melius, analoga a quella di ogni altro proprietario di
aree che aspira ad una utilizzazione più proficua
dell'immobile. Le Amministrazioni comunali possono e devono
costruire gli strumenti urbanistici intorno a linee guida
che esaltino il momento del recupero e della
razionalizzazione del patrimonio edilizio esistente, atteso
che lo strumento urbanistico generale non presuppone
inderogabilmente tendenze espansive edilizie e demografiche,
ma, al contrario, una moderna e realistica concezione
dell’urbanistica appare incentrata sulla necessità di tener
conto della fortissima antropizzazione del territorio
nazionale concentrata in specifiche aree, del calo
demografico generale, dell’ineludibile bisogno di tutela
delle ormai rare zone non edificate (Cons. Stato, IV,
08.05.2000, n. 2639).
---------------
Con riguardo all'alto livello di discrezionalità nelle
scelte di piano, che determina il conseguente dovere
motivazionale, le scelte effettuate dalla Amministrazione in
sede di pianificazione urbanistica non necessitano invero di
dettagliata motivazione oltre quella che si evince dai
criteri generali, di ordine tecnico-discrezionale, seguiti
nella predisposizione del piano stesso.
In proposito, è sufficiente l'espresso riferimento alla
relazione di accompagnamento al progetto di modifica del
piano, salvo i casi particolari innanzi evidenziati-
individuati dalla giurisprudenza per il caso di affidamenti
particolarmente qualificati e qui non ricorrenti - in cui si
configuri uno specifico obbligo motivazionale a carico
dell'Amministrazione (in tal senso, Consiglio Stato, IV,
26.04.2009, n. 2293; Consiglio di stato, sez. IV,
15.09.2010, n. 6911).
I provvedimenti comunali di pianificazione urbanistica e le
varianti hanno infatti natura discrezionale e possono, in
sede di variante, incidere su precedenti, difformi,
destinazioni di zona, comportare modifiche radicali al piano
vigente e rettificare direttive urbanistiche pregresse al
fine di realizzare un processo di adeguamento e
modernizzazione delle strutture al servizio del territorio
(Consiglio Stato, IV, 25.11.2003, n. 7782).
In sede di pianificazione generale o di variante generale, e
salvi i casi individuati dalla giurisprudenza in cui sono
riscontrabili posizioni di aspettativa qualificata da
particolari situazioni verificatesi in sede amministrativa o
giurisdizionale, il Comune ha in definitiva la facoltà
ampiamente discrezionale di modificare le precedenti
previsioni e non è tenuto a dettare una motivazione
specifica per le singole zone o aree a destinazione innovata
(Consiglio Stato, IV, 13.05.1992, n. 511).
---------------
Le osservazioni proposte dai cittadini nei confronti degli
atti di pianificazione urbanistica non costituiscono veri e
propri rimedi giuridici, ma semplici apporti collaborativi
e, pertanto non danno luogo a peculiari aspettative;
conseguentemente il loro rigetto o il loro accoglimento non
richiede una motivazione analitica (peraltro presente
nell’ipotesi di specie), essendo sufficiente che esse siano
state esaminate e confrontate con gli interessi generali
dello strumento pianificatorio (Consiglio Stato, IV,
19.03.2009, n. 1652; Consiglio Stato, sez. IV, 18.06.2009,
n. 4024; Cons. St., IV, 01.03.2010, n. 1182; Consiglio
Stato, sez. IV, 15.09.2010, n. 6911).
---------------
Non si può ignorare che la
classificazione a zona agricola possiede anche una valenza
conservativa dei valori naturalistici, venendo a costituire
il polmone dell’insediamento urbano ed assumendo, per tale
via, la funzione decongestionante e di contenimento
dell’espansione dell’aggregato urbano (TAR Lombardia,
Milano, II, 24.11.2006, n. 2847; Cons. Stato, IV,
20.09.2005, n. 4828).
---------------
E’ infatti noto che l’art. 2, 1° comma, della L. 19.11.1968
n. 1187 e l’analogo art. 9 del T.U. sulle espropriazioni n.
327 del 2001 hanno fissato entro il limite temporale del
quinquennio l'efficacia delle prescrizioni dei piani
regolatori generali «nella parte in cui incidono su beni
determinati ed assoggettano i beni stessi a vincoli
preordinati all'espropriazione od a vincoli che comportino
l'inedificabilità». Tale disposto per la giurisprudenza
è applicabile “non solo con riferimento ai vincoli
preordinati all’esproprio o a quei vincoli che svuotano il
contenuto del diritto di proprietà, rendendolo
inutilizzabile rispetto alla sua destinazione naturale, ma
anche ai vincoli c.d. "strumentali", a quei vincoli cioè che
subordinano l’edificabilità di un’area all’inserimento della
stessa in un programma pluriennale, oppure alla formazione
di uno strumento esecutivo” (cfr Consiglio di Stato Sez.
IV - sentenza 24.03.2009, n. 1765).
Peraltro, in considerazione della limitata efficacia
temporale del vincolo preordinato all’esproprio, l’obbligo
di corresponsione dell’indennizzo sorge solo nell’ipotesi di
reiterazione del vincolo medesimo.
Infatti l’art. 39 del T.U. sulle espropriazioni n. 327 del
2001 (“Indennità dovuta in caso di incidenza di
previsioni urbanistiche su particolari aree comprese in zone
edificabili”) al comma 1 prevede “In attesa di una
organica risistemazione della materia, nel caso di
reiterazione di un vincolo preordinato all'esproprio o di un
vincolo sostanzialmente espropriativo è dovuta al
proprietario una indennità, commisurata all'entità del danno
effettivamente prodotto”.
Pertanto prima della reiterazione oltre del suddetto limite
temporale del vincolo preordinato all’esproprio o dell’avvio
della procedura espropriativa alcun pretesa indennitaria può
vantare parte ricorrente.
Infatti, come chiarito dalla giurisprudenza, “il fatto
costitutivo del diritto all'indennizzo non è individuabile
nell'imposizione originaria di un vincolo di inedificabilità,
e neppure nella protrazione di fatto del medesimo dopo la
sua decadenza -giacché in tal caso ben può il proprietario
sollecitare l'esercizio del potere pianificatorio attraverso
la procedura di messa in mora, e far accertare, di risulta,
l'illegittimità del silenzio-, bensì nell'atto che
esplicitamente lo reitera" (Cass., Sez. I, sent. n. 1754
del 26.01.2007)
(TAR Valle d'Aosta,
sentenza 02.11.2011 n. 73 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
Non sussiste una pregiudiziale
incompatibilità tra la destinazione agricola di un'area e la
sua utilizzazione a parcheggio: la giurisprudenza
amministrativa, infatti, ha avuto occasione di chiarire che
la destinazione a zona agricola di un'area, salva la
previsione di particolari vincoli ambientali o paesistici,
non impone un obbligo specifico di utilizzazione effettiva
in tal senso, avendo solo lo scopo di evitare insediamenti
residenziali; essa, pertanto, non costituisce ostacolo alla
installazione di opere che non riguardino l'edilizia
residenziale e che, per contro, si rivelino per ovvi motivi
incompatibili con zone abitate e quindi necessariamente da
realizzare in aperta campagna.
Non è precluso al proprietario di un terreno agricolo la
“possibilità di sfruttamento ulteriore e diverso da quello
agricolo, ed in particolare avendo riguardo ad utilizzazioni
intermedie rispetto all'uso agricolo e quello edificatorio
quali, ad esempio, il parcheggio, la caccia, lo sport e
l'agriturismo.
Quanto alla non utilizzabilità
dell’area a fini diversi da quelli agricoli, la Sezione si è
già pronunciata con la sentenza n. 178 del 2010, nella quale
ha evidenziato che “non sussiste una pregiudiziale
incompatibilità tra la destinazione agricola di un'area e la
sua utilizzazione a parcheggio: la giurisprudenza
amministrativa, infatti, ha avuto occasione di chiarire che
la destinazione a zona agricola di un'area, salva la
previsione di particolari vincoli ambientali o paesistici,
non impone un obbligo specifico di utilizzazione effettiva
in tal senso, avendo solo lo scopo di evitare insediamenti
residenziali; essa, pertanto, non costituisce ostacolo alla
installazione di opere che non riguardino l'edilizia
residenziale e che, per contro, si rivelino per ovvi motivi
incompatibili con zone abitate e quindi necessariamente da
realizzare in aperta campagna (cfr., CdS, Sez. V, 15.06.2001
n. 3178; TAR Veneto, Sez. II, 31.10.2000 n. 1952 e Sez. III,
18.03.2002 n. 1108)”.
Anche la Corte di Cassazione è pacifica nel ritenere che non
è precluso al proprietario di un terreno agricolo la “possibilità
di sfruttamento ulteriore e diverso da quello agricolo, ed
in particolare avendo riguardo ad utilizzazioni intermedie
rispetto all'uso agricolo e quello edificatorio quali, ad
esempio, il parcheggio, la caccia, lo sport e l'agriturismo"
(cfr. Cass. SS.UU 10.11.2010 n. 22802, cass. n. 12862 del
2010; cass. n. 10280 del 2004)
(TAR Sardegna, Sez. II,
sentenza 14.09.2011 n. 926 - link a
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EDILIZIA
PRIVATA:
Consiglio di Stato: no alla
cementificazione del territorio in aree agricole.
Il Consiglio di Stato (IV sezione,
sentenza 27.07.2011 n. 4505) si è occupato di un
caso nel quale un Comune aveva denegato una concessione in
sanatoria avente ad oggetto la richiesta di costruzione –in
un'area classificata come agricola- di un impianto di
frantumazione di sfridi derivati da lavorazioni edilizia
nonché il deposito dei materiali prodotti.
La ragione fondamentale che aveva indotto il Comune a negare
la concessione in sanatoria era rappresentata dal fatto che
l’impianto di trattamento e stoccaggio di rifiuti inerti
risultava posizionato in area classificata in base al
vigente Piano Regolatore Generale "all’esercizio
dell’agricoltura".
Quindi, la questione centrale dell’intero contenzioso può
essere così riassunta: la compatibilità o meno della
struttura poco fa descritta con la destinazione agricola
impressa urbanisticamente all’area sulla quale il manufatto
insiste.
I Giudici di Palazzo Spada, nel dare risposta negativa al
quesito (confermando quindi la bontà della scelta del Comune
di negare la concessione in sanatoria), ricordano che uno
degli scopi per cui non si ammette l’edificazione di tipo
residenziale in aree agricole (fatte salve alcune eccezioni)
è quello di evitare la cementificazione del territorio.
Di conseguenza, a maggior ragione, non si può consentire la
realizzazione di un'opera che, quanto alle sue
caratteristiche costruttive e di utilizzazione, introduce un
impatto negativo sul territorio ancor più marcato e
devastante in ragione vuoi della tipologia edilizia, vuoi
dell’attività esercitata.
In realtà il manufatto oggetto della invocata sanatoria era
da considerarsi un vero e proprio opificio produttivo che,
in quanto tale, poteva e doveva essere realizzato in altre
aree a ciò dedicate, quelle appunto con destinazione
industriale e/o produttive (Zona D) situate in parti del
territorio specificatamente vocate ad ospitare tali
tipologie di opere.
Sono peraltro al più ammesse in zona agricola opere edilizie
che siano in qualche modo connesse funzionalmente con la
coltivazione dei suoli (e con la relativa attività
produttiva), ovvero connesse con la vocazione naturalistica
di aree agricole. Connotazioni, queste, del tutto assenti
nella fattispecie di un impianto di frantumazione e
stoccaggio di inerti che, per sua stessa natura, è distante
anni luce dalla concezione di sfruttamento agricolo di
un’area (commento tratto da
www.professioni-imprese24.ilsole24ore.com - link a
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EDILIZIA
PRIVATA - URBANISTICA: La
costruzione di un impianto di frantumazione di sfridi
edilizi e stoccaggio di inerti non è ammissibile in
relazione alla previsione di zona agricola impressa all’area
dallo strumento urbanistico.
Le scelte urbanistiche come fissate dall’Amministrazione
comunale nel Piano Regolatore costituiscono valutazioni
connotate da amplissima discrezionalità, sottratte al
sindacato di legittimità salvo che non siano inficiate da
errori di fatto abnormi ovvero da manifesta
irragionevolezza. Altresì, la scelta di classificare un‘area
come destinata ad uso agricolo risponde, nell’ambito di una
pianificazione omogenea del territorio comunale da
effettuarsi a mezzo di una razionale applicazione delle
tipologie di zona previste dalla normativa urbanistica,
all’esigenza di salvaguardare la vocazione agricola di
specifici ambiti territoriali ai fini di conservazione delle
aree stesse anche ai fini naturalistici.
Il Collegio ritiene di dover fornire al predetto quesito
interpretativo una risposta di contenuto negativo, nel senso
che la costruzione di un impianto del genere di quello in
discussione ( frantumazione di sfridi edilizi e stoccaggio
di inerti) non è ammissibile in relazione alla previsione di
zona agricola impressa all’area dallo strumento urbanistico.
Vanno in primo luogo qui richiamati alcuni orientamenti
giurisprudenziali più volte espressi da questo Consiglio di
Stato secondo cui:
a) le scelte urbanistiche come fissate dall’Amministrazione
comunale nel Piano Regolatore costituiscono valutazioni
connotate da amplissima discrezionalità , sottratte al
sindacato di legittimità salvo che non siano inficiate da
errori di fatto abnormi ovvero da manifesta irragionevolezza
(cfr. Cons. Stato Sezione IV 09/07/2002 n. 3817; idem
06/02/2002 n. 664);
b) la scelta di classificare un‘area come destinata ad uso
agricolo risponde, nell’ambito di una pianificazione
omogenea del territorio comunale da effettuarsi a mezzo di
una razionale applicazione delle tipologie di zona previste
dalla normativa urbanistica, all’esigenza di salvaguardare
la vocazione agricola di specifici ambiti territoriali ai
fini di conservazione delle aree stesse anche ai fini
naturalistici (cfr. questa Sezione 27/07/2010 n. 4920).
Ciò precisato, sono ben noti al Collegio i principi più
volte ribaditi sempre da questa Sezione (ex multis,
cfr. decisione del 18/01/2011 n. 352) secondo i quali la
prevista destinazione agricola di un suolo non deve
rispondere necessariamente all’esigenza di promuovere
specifiche attività di coltivazione (e quindi non essere
funzionale ad un uso strettamente agricolo del terreno)
mentre siffatta destinazione risulta concretamente volta a
sottrarre parti del territorio comunale a nuove edificazioni
(in tal senso, decisione n. 2166 del 2010), ma tali assunti
interpretativi non valgono punto a far propendere (come
invece propugnato da parte appellante) per l’ammissibilità
della realizzazione e dell’esercizio di un impianto di
frantumazione di inerti in zona agricola.
Invero, si è in presenza di un’opera che in ragione all’uso
cui è preposta reca necessariamente caratteristiche
strutturali e tipologiche del tutto inconciliabili con la
destinazione agricola e tanto con riferimento non solo
all’utilizzo concreto del suolo, ma alla naturale vocazione
dei terreni, stante l’evidente compromissione a causa della
presenza di un “opificio” delle finalità proprie di
quella parte del territorio vocata e destinata a fini
agricoli.
D’altra parte se considera che uno degli scopi per cui non
si ammette l’edificazione di tipo residenziale in aree
agricole (se non in determinate eccezioni) è quello di
evitare la cementificazione del territorio, a maggior
ragione non si può consentire la realizzazione di un’opus
che, quanto alle sue caratteristiche costruttive e di
utilizzazione introduce un impatto negativo sul territorio
ancor più marcato e devastante in ragione vuoi della
tipologia edilizia vuoi dell’attività dell’opus vuoi
dell’attività in esso esercitata.
In realtà il manufatto, con le opere e le aree ad esso
pertinenziali, oggetto della chiesta sanatoria , è un vero e
proprio opificio produttivo che, in quanto tale, può e deve
essere realizzate in altre aree a ciò dedicate, quelle
appunto destinazione industriale e/o produttive (Zona D), in
parti del territorio cioè specificatamente vocate ad
ospitare tali tipologie di opere con i connessi usi.
Un avallo inconfutabile a tale assunto interpretativo viene
peraltro fornito (ammesso che ce ne fosse stato bisogno) dal
dato di dritto positivo rappresentato dalla legge Regione
Lombardia 07.06.1980 n. 93 recante norme in materia di
edificazione nelle zone agricole, lì dove all’art. 2 è
previsto che nelle aree destinate dallo strumento
urbanistico generale a zona agricola sono ammesse
esclusivamente opere realizzate in funzione della conduzione
del fondo e destinate alla residenza dell’imprenditore
agricolo e dei dipendenti, risultando ammesse anche
strutture produttive come silos, serre, stalle, locali per
la lavorazione di prodotti agricoli.
Ora al di là dell’elemento letterale recato dalla normativa
all’uopo dettata dalla legge regionale summenzionata, la ”ratio”
di detta legge è certamente quella di ammettere in zona
agricola opere edilizie che siano in qualche modo connesse
funzionalmente con la coltivazione dei suoli (e relativa
attività produttiva) ma anche con la vocazione naturalistica
di aree agricole, connotazioni, queste, affatto presenti
nella fattispecie di un impianto di frantumazione e
stoccaggio di inerti che, per sua stessa natura è distante
anni luce dalla concezione di sfruttamento agricolo di
un’area .
Così gli esempi di manufatti che parte appellante indica
come ritenuti, per effetto di alcune sentenze del giudice
amministrativo, come assentibili in area agricola riguardano
sempre opere che hanno un minima “contiguità” con la
natura agricola dei terreni ma tale condizione nella specie
è del tutto insussistente, sicché alcuna omologazione ad
altri casi può sul punto essere validamente invocata.
Sulla scorta di tali osservazioni e considerazioni, il
diniego di sanatoria opposto dal Comune di Nerviano in
ragione del rilevato contrasto urbanistico dell’impianto de
quo con il regime giuridico di tipo urbanistico vigente per
l’area in questione si appalesa corretto, senza che tale
determinazione sia inficiata dai vizi di legittimità dedotti
dalla parte appellante (Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 27.07.2011 n. 4505 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
Autorizzazione alla costruzione ed
esercizio di impianti di energia da fonti rinnovabili - Art.
12 d.lgs. n. 387/2003 - Conferenza di servizi - Proprietari
dei terreni interessati da servitù di elettrodotto -
Titolarità di diritti partecipativi - Esclusione.
In tema di autorizzazione alla costruzione ed all’esercizio
degli impianti di energia elettrica prodotta da fonti
rinnovabili, l’art. 12 del d.lgs. n. 387/2003 prevede un
procedimento ispirato a principi di semplificazione e
accelerazione, che sostituisce tutti i pareri e le
autorizzazioni necessari, tramite il modulo della conferenza
di servizi (Cons. St. Sez. VI, 22.02.2010 n. 1020).
La lettera e la ratio dell’art. 14-ter della legge n.
241/1990 sul funzionamento della conferenza di servizi,
richiamata dall’art. 12, prevede la partecipazione delle
sole autorità amministrative interessate direttamente al
provvedimento da emanare, che sono destinatarie immediate e
beneficiarie delle garanzie partecipative previste per i
lavori della conferenza (Cons. St. Sez. V, 13.09.2010, n.
6562; 04.03.2008, n. 824).
E’ pertanto da escludersi che le società proprietarie dei
terreni interessati da servitù di elettrodotto, in quanto
non destinatarie dell’atto finale, siano titolari di diritti
partecipativi al procedimento di rilascio di autorizzazione
unica prevista dal citato art. 12.
Impianti di energia da fonti rinnovabili
- Autorizzazione - Conferenza di servizi - Partecipazione
dei proprietari di terreni interessati da servitù di
elettrodotto - Termini applicabili.
Anche ove si ritenesse che la determinazione
dell’amministrazione di invitare alla conferenza di servizi
i soggetti proprietari dei terreni interessati da servitù di
elettrodotto comportasse l’accettazione di un loro
coinvolgimento anche nel procedimento di autorizzazione, non
si potrebbe comunque loro applicare altro termine se non
quello di cinque giorni di cui le stesse amministrazioni
partecipanti beneficiano, stabilito dall’art. 14-ter della L
n. 241/1990.
Non può, invero, ritenersi applicabile l’art. 10-bis della
legge n. 241/1990 sul preavviso di rigetto (che prevede un
termine di dieci giorni), nei confronti di soggetti diversi
dal richiedente l’autorizzazione.
Art. 12 d.lgs. n. 387/2003 -
Comunicazione di avvio del procedimento - Destinatari -
Proprietari di suoli confinanti con l’area di intervento -
Esclusione.
La p.a. è tenuta a notificare la comunicazione di avvio del
procedimento amministrativo ai soli soggetti nei confronti
dei quali il provvedimento finale è destinato a produrre
effetti diretti e a quelli che per legge debbono
intervenirvi (Cons. Stato Sez. IV Sent., 03-03-2009, n.
1213), tra cui non sono ricompresi, in base al chiaro
disposto dell’art. 12 d.lgs. n. 387/2003, i proprietari di
suoli confinanti con l’area di intervento.
Conferenza di servizi ex art. 12, c. 3,
d.lgs. n. 387/2003 - Convocazione - Termine di trenta giorni
- Termine di 180 gg. per la conclusione del procedimento -
Natura acceleratoria.
Il termine di trenta giorni entro il quale la conferenza di
servizi deve essere convocata ai sensi dell’art. 12, c. 3
del d.lgs. n. 387/2003 ha natura acceleratoria, non
potendosi considerare il mancato rispetto di tale termine,
per di più giustificato dalla complessità dell’istruttoria,
come vizio del provvedimento finale.
Parimenti, il superamento del termine finale di 180 giorni
previsto dall’art. 12, comma 4 (nel testo all’epoca
vigente), per la conclusione del procedimento di
autorizzazione non priva l’amministrazione del potere di
adottare il provvedimento finale, dovendo essere
riconosciuta anche a questo termine natura acceleratoria e
non perentoria (Cons. St. 11.05.2010, n. 2825).
Impianti a fonti rinnovabili -
Ubicazione in zona agricola - Possibilità - Art. 12 d.lgs.
n. 387/2003.
L’art. 12 d.lgs. n. 387/2003 consente l’ubicazione di
impianti a fonti rinnovabili anche in zone classificate
agricole (Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 25.07.2011 n. 4454 - link a
www.ambientediritto.it). |
ATTI
AMMINISTRATIVI - EDILIZIA PRIVATA - URBANISTICA: Qualora
un atto amministrativo a carattere generale sia sottoposto a
plurime forme di pubblicità, la decorrenza del termine di
impugnazione deve essere ancorata alla scadenza dell’ultima
forma di pubblicità prevista dalla legge o in base alla
legge.
- L’interesse all’impugnazione da parte dei destinatari
delle scelte urbanistiche, proprio per evitare di addivenire
ad una legitimatio generalis, richiede che le
“determinazioni lesive” fondanti siffatto interesse siano
effettivamente “condizionate”, ossia causalmente
riconducibili in modo decisivo alle preliminari conclusioni
raggiunte in sede di VAS.
- Sono inammissibili le censure concernenti la disciplina
urbanistica di aree estranee a quelle di proprietà del
ricorrente, sul presupposto che le prescrizioni dello
strumento urbanistico vanno considerate scindibili ai fini
del loro eventuale annullamento in sede giurisdizionale,
rimanendo salva la possibilità eccezionale di proporre
impugnativa solo quando la nuova destinazione urbanistica,
pur concernendo un'area non appartenente al ricorrente,
incida direttamente sul godimento o sul valore di mercato
dell'area stessa, o comunque su interessi propri e specifici
del medesimo esponente. Si rammenti l’importanza dei limiti
che si frappongono alla configurabilità dell’interesse c.d.
strumentale all’impugnazione di uno strumento urbanistico,
nel senso che tale impugnazione deve pur sempre ancorarsi a
specifici vizi ravvisati con riferimento alle determinazioni
adottate dall’Amministrazione in ordine al regime dei suoli
in proprietà del ricorrente, e non può fondarsi sul generico
interesse a una migliore pianificazione del proprio suolo,
che in quanto tale non si differenzia dall’eguale interesse
che quisque de populo potrebbe nutrire.
- La destinazione data alle singole aree non necessita di
apposita motivazione, oltre quella che si può evincere dai
criteri generali, di ordine tecnico-discrezionale seguiti
nell’impostazione del piano, salvo che particolari
situazioni non abbiano creato aspettative o affidamenti in
favore di soggetti le cui posizioni appaiano meritevoli di
specifiche considerazioni. In sostanza, le evenienze che
giustificano una più incisiva e singolare motivazione degli
strumenti urbanistici generali sono soltanto quelle:
a) del superamento degli standards minimi di cui al d.m.
02.04.1968, con riferimento alle previsioni urbanistiche
complessive di sovradimensionamento, indipendentemente dal
riferimento alla destinazione di zona di determinate aree;
b) della lesione dell’affidamento qualificato del privato,
derivante da convenzioni di lottizzazione e accordi di
diritto privato intercorsi fra il Comune e i proprietari
delle aree;
c) delle aspettative nascenti da giudicati di annullamento
di concessioni edilizie o di silenzio rifiuto su una domanda
di concessione e, infine,
d) dalla modificazione in zona agricola della destinazione
di un’area limitata, interclusa da fondi edificati in modo
non abusivo.
Come già chiarito dalla giurisprudenza amministrativa (cfr.
Consiglio di Stato, IV, 31.05.2011 n. 3297; Cons. Stato,
sez. IV, 19.01.1988, n. 3; TAR Lombardia, Milano, II,
27.01.2010 n. 187), qualora un atto amministrativo a
carattere generale sia sottoposto a plurime forme di
pubblicità, la decorrenza del termine di impugnazione deve
essere ancorata alla scadenza dell’ultima forma di
pubblicità prevista dalla legge o in base alla legge (art.
41, co. 2° c.p.a.).
Ebbene, con particolare riguardo alla Regione Lombardia, la
L.R. 11-3-2005 n. 12 (Legge per il governo del territorio)
all’art. 13 (Approvazione degli atti costituenti il piano di
governo del territorio), ha previsto che (comma 11°): <<Gli
atti di PGT acquistano efficacia con la pubblicazione
dell'avviso della loro approvazione definitiva sul
Bollettino Ufficiale della Regione, da effettuarsi a cura
del comune…>>.
Ne consegue che, quando –come nel caso che qui occupa- la
deliberazione di approvazione del P.G.T. sia stata dapprima
pubblicata sull’Albo Pretorio e solo in seguito assoggettata
alla pubblicazione sul B.U.R., la presunzione legale di
conoscenza non avrà luogo sino a che non si sia perfezionata
l'intera fase della pubblicità legale.
---------------
Come rammentato anche di
recente dalla giurisprudenza amministrativa, l’interesse
all’impugnazione da parte dei destinatari delle scelte
urbanistiche, proprio per evitare di addivenire ad una
legitimatio generalis, richiede che le “determinazioni
lesive” fondanti siffatto interesse siano effettivamente
“condizionate”, ossia causalmente riconducibili in
modo decisivo alle preliminari conclusioni raggiunte in sede
di VAS (così Consiglio di Stato, IV, 12.01.2011 n. 133).
-------------
È utile rammentare il consolidato indirizzo
giurisprudenziale secondo cui sono inammissibili le censure
concernenti la disciplina urbanistica di aree estranee a
quelle di proprietà del ricorrente, sul presupposto che le
prescrizioni dello strumento urbanistico vanno considerate
scindibili ai fini del loro eventuale annullamento in sede
giurisdizionale, rimanendo salva la possibilità eccezionale
di proporre impugnativa solo quando la nuova destinazione
urbanistica, pur concernendo un'area non appartenente al
ricorrente, incida direttamente sul godimento o sul valore
di mercato dell'area stessa, o comunque su interessi propri
e specifici del medesimo esponente (cfr. Cons. Stato IV,
24.12.2007 n. 6619; Cons. Stato, sez. IV, 10.06.2004, n.
3755; sez. IV, 05.09.2003, n. 4980).
Ebbene, nel caso in esame non sussiste affatto la prova di
tale diretta incidenza della nuova destinazione urbanistica
delle aree agricole sull’indice edificatorio dell’area a
destinazione produttiva dell’istante.
Per cogliere al meglio tale aspetto, è sufficiente
richiamare, anche qui, l’orientamento espresso dalla più
recente giurisprudenza del Consiglio di Stato, la quale ha
sottolineato l’importanza dei limiti che si frappongono alla
configurabilità dell’interesse c.d. strumentale
all’impugnazione di uno strumento urbanistico, nel senso
che: <<tale impugnazione deve pur sempre ancorarsi a
specifici vizi ravvisati con riferimento alle determinazioni
adottate dall’Amministrazione in ordine al regime dei suoli
in proprietà del ricorrente, e non può fondarsi sul generico
interesse a una migliore pianificazione del proprio suolo,
che in quanto tale non si differenzia dall’eguale interesse
che quisque de populo potrebbe nutrire>> (cfr. Consiglio
di Stato, IV, 12.01.2011 n. 133; Cons. Stato, sez. IV,
13.07.2010, nr. 4546).
In altri termini, sempre a mente del Supremo Consesso: <<l’utilità
rappresentata dal possibile vantaggio che astrattamente il
ricorrente potrebbe ottenere per effetto della riedizione
dell’attività amministrativa non è ex se indicativa della
titolarità di una posizione di interesse giuridicamente
qualificata e differenziata, idonea a legittimare la tutela
giurisdizionale>> (cfr. decisione n. 133/2011 cit.).
Né, sempre secondo la cit. decisione, tale utilità potrebbe
essere ravvisata nella “reviviscenza” del previgente
e più favorevole P.R.G., che si avrebbe per effetto
dell’annullamento giurisdizionale del P.G.T., posto che tale
utilità, <<oltre a essere anch’essa non indicativa
dell’esistenza di un interesse giuridicamente tutelabile,
quand’anche effettivamente sussistente sarebbe comunque
provvisoria, essendo jus receptum che l’effetto immediato
dell’annullamento di uno strumento urbanistico consiste nel
dovere dell’Amministrazione di riesercitare la propria
potestà di pianificazione del territorio>> (cfr. dec. n.
133/2011 cit., nonché: Cons. Stato, sez. IV, 07.06.2004, nr.
3563; Cons. Stato, sez. V, 23.04.2001, nr. 2415).
---------------
È oltremodo pacifico che anche la destinazione data alle
singole aree non necessiti di apposita motivazione, oltre
quella che si può evincere dai criteri generali, di ordine
tecnico-discrezionale seguiti nell’impostazione del piano,
salvo che particolari situazioni non abbiano creato
aspettative o affidamenti in favore di soggetti le cui
posizioni appaiano meritevoli di specifiche considerazioni.
In sostanza, le evenienze che giustificano una più incisiva
e singolare motivazione degli strumenti urbanistici generali
sono soltanto quelle:
a) del superamento degli standards minimi di cui al d.m.
02.04.1968, con riferimento alle previsioni urbanistiche
complessive di sovradimensionamento, indipendentemente dal
riferimento alla destinazione di zona di determinate aree;
b) della lesione dell’affidamento qualificato del privato,
derivante da convenzioni di lottizzazione e accordi di
diritto privato intercorsi fra il Comune e i proprietari
delle aree;
c) delle aspettative nascenti da giudicati di annullamento
di concessioni edilizie o di silenzio rifiuto su una domanda
di concessione e, infine,
d) dalla modificazione in zona agricola della destinazione
di un’area limitata, interclusa da fondi edificati in modo
non abusivo (cfr. ex plurimis Cons. Stato, sez. IV,
13.10.2010, nr. 7492; id., 04.05.2010, nr. 2545; id.,
28.09.2009, nr. 5834; id., 21.06.2007, nr. 3400)
(TAR Lombardia-Milano, Sez.
II,
sentenza 12.07.2011 n. 1882 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Eventuali
divieti assoluti di edificazione nelle aree agricole
richiedono una specifica e particolare motivazione, in
quanto le stesse ledono la legittima aspettativa
dell’imprenditore agricolo allo sviluppo della propria
attività.
La legislazione regionale sull’edificazione nelle aree
agricole (articoli da 59 a 62 della legge regionale 12/2005,
che ricalcano l’abrogata legge regionale 93/1980), é
ispirata da una duplice finalità: da una parte la
preservazione delle aree agricole e dei valori che le stesse
rappresentano nell’economia e nella società lombarda,
dall’altra la salvaguardia e lo sviluppo delle imprese
agricole, per un concreto sostegno di tale settore
economico.
Così l’art. 59, comma 1°, della LR 12/2005, consente nelle
aree agricole la realizzazione delle attrezzature e delle
infrastrutture necessarie all’attività di cui all’art. 2135
del codice civile (vale a dire l’attività di imprenditore
agricolo), fra le quali –l’indicazione è solo
esemplificativa– stalle, silos, serre, magazzini e locali
per la lavorazione, conservazioni e vendita dei prodotti
agricoli.
E’ ammessa anche l’edificazione di abitazioni per
l’imprenditore, nel rispetto dei limiti massimi di densità
fondiaria previsti dal comma 3° dell’art. 59 citato.
Tenuto conto che le norme legislative di cui sopra sono
immediatamente prevalenti sulle contrastanti disposizioni
del PGT (così espressamente, l’art. 61 della LR 12/2005), la
giurisprudenza del TAR Lombardia ha da tempo stabilito che
eventuali divieti assoluti di edificazione nelle aree
agricole richiedono una specifica e particolare motivazione,
in quanto le stesse ledono la legittima aspettativa
dell’imprenditore agricolo allo sviluppo della propria
attività (cfr. TAR Lombardia, Brescia, 27.06.2005, n. 674;
TAR Lombardia, Milano, sez. II, 29.09.2009 n. 4749 e
08.01.2010, n. 3, dove si specifica che la potestà
pianificatoria comunale in area agricola coesiste e si
armonizza con le prevalenti previsioni legislative).
In questo senso, il divieto assoluto di edificazione di cui
al citato art. 38 non appare logico o coerente con le
finalità legislative di sviluppo dell’impresa agricola
(TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 07.07.2011 n. 1843 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
URBANISTICA: Aree agricole - Divieto
assoluto di edificazione - Necessità di
specifica motivazione - Sussiste.
Eventuali divieti assoluti di edificazione
nelle aree agricole richiedono una specifica
e particolare motivazione, in quanto le
stesse ledono la legittima aspettativa
dell'imprenditore agricolo allo sviluppo
della propria attività
(tratto da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 07.07.2011 n.
1843 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Aree agricole - Divieti assoluti
di edificazione - Specifica e particolare
motivazione.
Eventuali divieti assoluti di edificazione
nelle aree agricole richiedono una specifica
e particolare motivazione, in quanto le
stesse ledono la legittima aspettativa
dell’imprenditore agricolo allo sviluppo
della propria attività (cfr. TAR Lombardia,
Brescia, 27.06.2005, n. 674; TAR Lombardia,
Milano, sez. II, 29.09.2009 n. 4749 e
08.01.2010, n. 3, dove si specifica che la
potestà pianificatoria comunale in area
agricola coesiste e si armonizza con le
prevalenti previsioni legislative).
Presenza del bosco -
Esclusione del carattere agricolo dell’area
- Inconfigurabilità.
La presenza del bosco non esclude il
carattere agricolo dell’area -e
dell’attività in essa svolta- tanto è vero
che l’art. 59, comma 3°, lett. b), della
l.r. Lombardia n. 12/2005 riconosce un
indice fondiario anche su <<terreni a
bosco>>.
Salvaguardia delle aree
boschive - Regione Lombardia - Competenza -
Province, comunità montane e enti gestori di
parchi.
La salvaguardia delle aree boschive, nella
Regione Lombardia, non appartiene in via
esclusiva ai comuni, ma è riconosciuta in
primo luogo alle province, alle comunità
montane ed agli enti gestori di parchi e
riserve regionali (TAR Lombardia-Milano,
Sez. II,
sentenza 07.07.2011 n. 1843 -
link a www.ambientediritto.it). |
URBANISTICA:
Le scelte relative alla destinazione dei
suoli operate dagli strumenti urbanistici generali
necessitano di specifica motivazione quando sussista, in
capo al privato, un'aspettativa qualificata.
E' pertinente il richiamo al consolidato orientamento
giurisprudenziale (a cui questa Sezione ha fatto
recentemente riferimento nella sentenza 14.02.2011 n. 304)
secondo cui le scelte relative alla destinazione dei suoli
operate dagli strumenti urbanistici generali non
necessitano, in linea di massima, di specifica motivazione,
salvo i casi in cui non sussista, in capo al privato,
un’aspettativa qualificata, che tuttavia non può derivare
dalla diversa destinazione urbanistica precedentemente
attribuita alla medesima area, rispetto alla quale
l'amministrazione conserva ampia discrezionalità, potendo
anche modificare in peius la destinazione stessa
(cfr. Consiglio di Stato, Sez. V, 29.12.2009 n. 9006).
Nell'elaborazione giurisprudenziale posizioni di aspettativa
qualificata, tali da imporre all'amministrazione di motivare
le proprie scelte pianificatorie, sono state riconosciute in
relazione alle seguenti situazioni:
a) superamento degli standards minimi di cui al d.m.
02.04.1968, con l'avvertenza che la motivazione ulteriore va
riferita esclusivamente alle previsioni urbanistiche
complessive di sovradimensionamento, indipendentemente dal
riferimento alla destinazione di zona di determinate aree;
b) convenzioni di lottizzazione, accordi di diritto privato
intercorsi tra il Comune e i proprietari delle aree,
giudicati di annullamento di dinieghi di un titolo edilizio
o di silenzio-rifiuto su una domanda edilizia;
c) modificazione in zona agricola della destinazione di
un'area limitata, interclusa da fondi edificati in modo non
abusivo (cfr. Consiglio di Stato, Sez. IV, 12.05.2010 n.
2843 e 22.06.2006 n. 3880; TAR Firenze, Sez. I, 06.07.2010
n. 2307; TAR Napoli, Sez. II, 20.04.2010 n. 2034; TAR
Milano, Sez. II, 24.02.2010 n. 452) (TAR Toscana, Sez. I,
sentenza 27.06.2011 n. 1092 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
URBANISTICA: La
regola generale della non necessità di un puntuale onere
motivazionale delle nuove destinazioni urbanistiche
conferite dallo strumento urbanistico subisce delle
eccezioni in alcune situazioni specifiche, in cui il
principio della tutela dell'affidamento impone che lo
strumento urbanistico dia conto del modo in cui sia stata
effettuata la ponderazione degli interessi pubblici e siano
state operate le scelte di pianificazione: ciò si verifica
nei casi in cui la nuova destinazione urbanistica rispetto
alla precedente va ad incidere su singole posizioni,
connotate da una fondata aspettativa sulla destinazione
dell'area, che per questo si differenziano dalle posizioni
degli altri soggetti interessati; l'Amministrazione in tali
casi ha il dovere di valutare con attenzione l'opportunità
di modificare la precedente destinazione urbanistica di
un'area e, se ritiene di dover diversamente disciplinare
tale area e sacrificare comunque gli interessi dei soggetti
coinvolti, deve indicare le ragioni logiche che hanno
portato a tale nuova scelta pianificatoria.
E' stato ripetutamente affermato dalla giurisprudenza
amministrativa che la regola generale della non necessità di
un puntuale onere motivazionale delle nuove destinazioni
urbanistiche conferite dallo strumento urbanistico subisce
delle eccezioni in alcune situazioni specifiche, in cui il
principio della tutela dell'affidamento impone che lo
strumento urbanistico dia conto del modo in cui sia stata
effettuata la ponderazione degli interessi pubblici e siano
state operate le scelte di pianificazione (rendendole,
quindi, sindacabili davanti al giudice amministrativo): ciò
si verifica nei casi in cui la nuova destinazione
urbanistica rispetto alla precedente va ad incidere su
singole posizioni, connotate da una fondata aspettativa
sulla destinazione dell'area, che per questo si
differenziano dalle posizioni degli altri soggetti
interessati; l'Amministrazione in tali casi ha il dovere di
valutare con attenzione l'opportunità di modificare la
precedente destinazione urbanistica di un'area e, se ritiene
di dover diversamente disciplinare tale area e sacrificare
comunque gli interessi dei soggetti coinvolti, deve indicare
le ragioni logiche che hanno portato a tale nuova scelta
pianificatoria.
In tal senso, vengono riconosciute meritevoli di questa
particolare forma di tutela quelle situazioni caratterizzate
da un affidamento "qualificato", ossia nei casi di:
a) superamento degli standard minimi di cui al d.m.
02.04.1968 - con l'avvertenza che la motivazione ulteriore
va riferita esclusivamente alle previsioni urbanistiche
complessive di sovradimensionamento, indipendentemente dal
riferimento alla destinazione di zona di determinate aree;
b) lesione dell'affidamento qualificato del privato
derivante da convenzioni di lottizzazione, accordi di
diritto privato intercorsi tra il Comune e i proprietari
delle aree, dalle aspettative nascenti da giudicati di
annullamento di dinieghi di permesso di costruire o di
silenzio-rifiuto su una domanda di concessione;
c) modificazione in zona agricola della destinazione di
un'area limitata, interclusa da fondi edificati in modo non
abusivo (cfr., da ultimo e tra le tante, TAR Lazio, sez. II,
02.03.2011, n. 1950)
(TAR Lombardia-Milano, Sez.
IV,
sentenza 21.06.2011 n. 1581 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
URBANISTICA: 1.
Adozione del Piano di Governo del Territorio - Parere della
Regione - Art. 13, comma 5-bis, L.R. 12/2005 - Limiti -
Previsioni infrastrutturali - Politica territoriale statale
- Prevalenza ex lege.
2. Impugnazione dell'atto di adozione dello strumento
urbanistico - Presupposti - Generico interesse a una
migliore pianificazione del suolo del privato -
Insufficienza.
3. Strumenti urbanistici generali - Destinazione di singole
aree - Discrezionalità - Sussiste - In caso di aspettativa
qualificata - Obbligo di specifica motivazione - Sussiste.
4. PGT - Destinazione a zona agricola - Utilizzo per
coltivazione - Non necessita - Finalità di tutela ambientale
- Legittimità.
1.
Il parere rilasciato dalla Regione ex art. 13, comma 5-bis,
L.R. n. 12/2005 ai comuni appartenenti a province non dotate
di Piano territoriale di coordinamento da osservarsi a pena
di inefficacia, è vincolante per il Comune solo in relazione
agli indirizzi regionali di politica territoriale, mentre le
previsioni infrastrutturali citate nel parere, attengono non
alla politica della Regione stessa, bensì a quella dello
Stato: tali prescrizioni statali relative alle
infrastrutture strategiche sono in ogni caso destinate a
prevalere ex lege -art. 165, codice dei contratti
pubblici- "in sostituzione" delle eventuali norme di
piano difformi, secondo un meccanismo analogo a quello della
"inserzione automatica di clausole", ex art. 1339
c.c., ovvero, a quello dell'"integrazione del contratto",
ex art. 1374 c.c. (cfr. TAR Milano, sent. 727/2011; TAR
Genova, sent. n. 347/2006).
2.
Affinché possa configurarsi l'interesse c.d. strumentale
all'impugnazione di uno strumento urbanistico, tale
impugnazione deve pur sempre ancorarsi a specifici vizi
ravvisati con riferimento alle determinazioni adottate dalla
P.A. in ordine al regime dei suoli in proprietà del
ricorrente, mentre non può fondarsi sul generico interesse a
una migliore pianificazione del proprio suolo, che, in
quanto tale, non si differenzia dall'eguale interesse che un
quisque de populo potrebbe nutrire (cfr. Cons. di
Stato, sent. n. 133/2011, n. 4546/2010, n. 3563/2004, n.
2415/2001).
3.
In occasione della formazione di uno strumento urbanistico
generale, le scelte discrezionali della P.A. riguardo alla
destinazione di singole aree non necessitano di apposita
motivazione oltre quella che si può evincere dai criteri
generali -di ordine tecnico-discrezionale- seguiti nella
impostazione del piano, salvo che particolari situazioni non
abbiano creato aspettative o ingenerato affidamenti in
favore di soggetti le cui posizioni appaiano meritevoli di
specifiche considerazioni (cfr. Cons. di Stato, Ad. Plen.
sent. n. 24/1999, Cons. di Stato, sent. n. 5210/2010, n.
5357/2007, n. 5713/2005).
4.
La destinazione a zona agricola può essere utilizzata a
salvaguardia del paesaggio o dell'ambiente e non presuppone
necessariamente che l'area stessa venga utilizzata per
colture tipiche o sia già in possesso di tutte le
caratteristiche previste dalla legge per tale utilizzazione,
rientrando nell'ampia discrezionalità del Comune di
orientare gli insediamenti urbani e produttivi in
determinate direzioni, ovvero di salvaguardare precisi
equilibri dell'assetto territoriale (cfr. Cons. di Stato,
sent. n. 1015/2011, n. 6874/2010, n. 547/2008, n. 5723/2005,
n. 1456/2003; TAR Milano, sent. n. 1074/2011, n. 7508/2010)
(tratto da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 15.06.2011 n. 1554 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA: Zona
agricola - Opere realizzate in funzione della conduzione del
fondo - Edificabilità - E' mera possibilità.
La L.R. n.
12/2005 prevedendo, all'art. 59, che nelle aree destinate
all'agricoltura dal piano delle regole sono ammesse
esclusivamente le opere realizzate in funzione della
conduzione del fondo e destinate alle residenze
dell'imprenditore agricolo e dei dipendenti dell'azienda,
nonché alle attrezzature e infrastrutture produttive
necessarie per lo svolgimento delle attività di cui all'art.
2135 c.c., pone un limite alla tipologia di costruzioni che
possono essere realizzate in zona agricola proprio a tutela
di queste aree, ma non prevede affatto che debba essere
sempre e comunque prevista la possibilità di realizzare tali
costruzioni (tratto da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano,
Sez. II,
sentenza 08.06.2011 n. 1468 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
URBANISTICA: 1.
Piano di governo del territorio - Impugnazione - Art. 13,
comma 5-bis, L.R. n. 12/2005 - Parere regionale - Carattere
vincolante per il Comune - Sussiste in relazione agli
indirizzi regionali di politica territoriale - Non sussiste
in relazione alle previsioni infrastrutturali strategiche
del "Sistema Viabilistico Pedemontano" - Applicabilità del
Codice dei Contratti - Sussiste - Prevalenza sulla legge
regionale e sulle prescrizioni difformi degli strumenti
urbanistici locali - Sussiste.
2. Piano di governo del territorio - Impugnazione -
Necessità di ravvisare specifici vizi incidenti sul regime
dei suoli in proprietà del ricorrente - Sussiste.
3. Piano di governo del territorio - Impugnazione -
Carattere discrezionale delle scelte pianificatorie comunali
- Sussiste - Sindacato di legittimità - Non sussiste, salvi
errori di fatto o abnormi illogicità.
4. Piano di governo del territorio - Impugnazione -
Destinazione di singole aree - Necessità di motivazione
ulteriore rispetto ai criteri generali di impostazione del
piano - Non sussiste, salva la presenza di particolari
aspettative.
5. Piano di governo del territorio - Impugnazione -
Destinazione a zona agricola - Utilizzabilità a salvaguardia
del paesaggio o dell'ambiente - Sussiste.
1.
Il parere regionale prescritto, ai sensi dell'art. 13, comma
5-bis, L.R. n. 12/2005, per i Comuni appartenenti a province
non dotate di piano territoriale di coordinamento (P.T.C.P.),
e rilasciato dalla Regione Lombardia nella seduta di Giunta
del 13.12.2006, è vincolante per il Comune soltanto in
relazione agli indirizzi regionali di politica territoriale,
mentre le previsioni infrastrutturali citate nel parere
della Regione attengono non alla politica territoriale della
Regione, bensì a quella dello Stato, trattandosi di
interventi previsti dal CIPE che, con la citata
deliberazione n. 77/2006, ha approvato il progetto
preliminare del "Sistema Viabilistico Pedemontano",
ai sensi del D.Lgs. n. 190/2002 e s.m.i., sulla
realizzazione delle infrastrutture strategiche e della legge
n. 443/2001 (c.d. legge obiettivo).
Si tratta, quindi, di infrastrutture di rilevanza nazionale
regolate dal Codice dei contratti pubblici (D.Lgs. n.
163/2006, artt. 161 e ss.), prevalente ex lege (art.
165, comma 7, D. Lgs. n. 163/2006) sulla legge regionale e
sulle eventuali prescrizioni difformi degli strumenti
urbanistici locali, secondo un meccanismo analogo a quello
della "inserzione automatica di clausole", di cui
all'art. 1339 cod. civ., ovvero, a quello dell'"integrazione
del contratto", ex art. 1374 cod. civ.
2.
L'impugnazione di uno strumento urbanistico deve sempre
ancorarsi a specifici vizi ravvisati con riferimento alle
determinazioni adottate dall'Amministrazione in ordine al
regime dei suoli in proprietà del ricorrente, e non può
fondarsi sul generico interesse a una migliore
pianificazione del proprio suolo, che in quanto tale non si
differenzia dall'eguale interesse che quisque de populo
potrebbe nutrire.
3.
Le scelte effettuate dall'Amministrazione in sede di
adozione-approvazione degli atti di pianificazione del
territorio costituiscono apprezzamenti di merito o,
comunque, espressione di ampia potestà discrezionale,
sottratte al sindacato di legittimità, salvo che non siano
inficiate da errori di fatto o abnormi illogicità.
4.
In occasione della formazione di uno strumento urbanistico
generale, le scelte discrezionali dell'Amministrazione
riguardo alla destinazione di singole aree non necessitano
di apposita motivazione, oltre quella che si può evincere
dai criteri generali -di ordine tecnico-discrezionale-
seguiti nella impostazione del piano, salvo che particolari
situazioni non abbiano creato aspettative o ingenerato
affidamenti in favore di soggetti le cui posizioni appaiano
meritevoli di specifiche considerazioni.
5.
La destinazione a zona agricola può essere utilizzata a
salvaguardia del paesaggio o dell'ambiente e non presuppone
necessariamente che l'area stessa venga utilizzata per
colture tipiche o sia già in possesso di tutte le
caratteristiche previste dalla legge per tale utilizzazione,
rientrando nell'ampia discrezionalità del Comune di
orientare gli insediamenti urbani e produttivi in
determinate direzioni, ovvero di salvaguardare precisi
equilibri dell'assetto territoriale (tratto da www.solom.it
- TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 04.05.2011 n. 1144 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
RIFIUTI - Discarica di rifiuti in area a
destinazione agricola - Limiti - Attività di gestione di
rifiuti - Specifica localizzazione - PRG - Giurisprudenza
amministrativa condivisa.
La realizzazione di un impianto destinato a discarica ed
attività di gestione di rifiuti in area a destinazione
agricola non può non riguardare opere per le quali gli
strumenti urbanistici non prevedano una specifica
localizzazione e che, per loro natura, non possono essere
ubicati altro che in zona agricola.
Diversamente argomentando, verrebbe vanificata la
zonizzazione del territorio e l'individuazione delle diverse
destinazioni d'uso. Tale opzione ermeneutica pare peraltro
condivisa anche dalla giurisprudenza amministrativa (Cons.
Stato Sez. V n. 7243, 01.10.2010; Sez. V n. 1557,
18.03.2002) (Cass. Sez. III, 10/04/2002 n. 13641) (Corte di
Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 28.04.2011 n. 16592 - link a
www.ambientediritto.it). |
URBANISTICA:
PGT - Destinazione a zona agricola -
Utilizzo per coltivazione - Non necessita - Finalità di
tutela ambientale - Legittimità.
La destinazione agricola di un'area non implica
necessariamente l'esercizio dell'attività agricola sulla
stessa, potendo invece essere ispirata anche da esigenze di
salvaguardia ambientale (cfr. TAR Milano, sent. 7508/2010;
Cons. di Stato, sent. n. 1015/2011, n. 6874/2010) (massima
tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 27.04.2011 n. 1074 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: L’ubicazione
del canile è compatibile con la destinazione d’uso a zona
agricola e non rende necessaria alcuna variante dello
strumento urbanistico generale.
---------------
Sia il canile che l’azienda venatoria sono compatibili con
la destinazione agricola dell’area e non è pacificamente
necessaria la DIA per il canile, così come per l’azienda
venatoria.
Comune di Bagnoregio ... contro Comune di Viterbo ...
per l'annullamento della DELIBERA 25/06 AVENTE AD OGGETTO:
LAVORI DI COSTRUZIONE DEL CANILE MUNICIPALE IN LOC. FRACASSA
- STRADA PROVINCIALE PRATOLEVA - IX CIRCOSCRIZIONE -
CONTRODEDUZIONI E OSSERVAZIONI - 23-BIS.
...
Ritenuto e considerato in fatto ed in diritto quanto segue:
1 – Che a seguito di avviso pubblico in data 03.06.2004 il
Comune di Viterbo si rendeva acquirente del terreno agricolo
sito in località Fracassa, al confine del territorio del
Comune di Viterbo con quelli di Bagnoregio e Celleno e
ricadente nel perimetro dell'Azienda Faunistico- Venatoria "Carbonara",
ed in data 16.12.2004 il Consiglio Comunale approvava il
progetto preliminare dell'erigendo canile e contestualmente
la variante urbanistica con la quale il terreno acquistato,
"zonizzato" come E4 (zona agricola), veniva
trasformato in F3 (servizi e attrezzature tecnologici e
specializzati);
2 – Che, avendo avuto notizia di tali vicende, facevano
pervenire osservazioni in opposizione al Comune, in tempi
diversi, l'ing. Tecchi, la Signora Michelina Tecchi
Cristofori Celiani (proprietaria di un'azienda agricola
limitrofa alla zona in questione), il Comune di Bagnoregio,
e alcuni cittadini (circa sessanta) residenti in prossimità
del luogo;
...
9 – Che, tuttavia, ogni ulteriore approfondimento
sull’eccezione in esame appare superfluo, considerato che il
ricorso palesa comunque la propria non fondatezza nel
merito;
10- Che, in particolare, quanto ai singoli motivi di
ricorso:
1) l’ubicazione del canile è compatibile con la destinazione
d’uso a zona agricola e non rende necessaria alcuna variante
dello strumento urbanistico generale, e ciò fa perdere ogni
rilievo alle censure sub 1;
2) dagli atti depositati in giudizio risulta lo svolgimento
di un’adeguata istruttoria, che ha in particolare consentito
di escludere la presenza di “insediamenti abitativi”
in prossimità, senza con ciò escludere, ed anzi dando atto
della presenza, di alcune abitazioni rurali, che risultano
(restando del tutto irrilevanti eventuali fenomeni di
edilizia “spontanea” o abusiva) del tutto compatibili
con il canile, sulla premessa della sua compatibilità
(riconosciuta dalla costante giurisprudenza) con la
destinazione agricola della zona, facendo ciò cadere le
censure sub 2;
3) la presenza di un inceneritore di portata maggiore
rispetto alla taglia media di un cane viene adeguatamente
motivata, nel progetto, con ragioni di economia di gestione,
e da sola non lascia ipotizzare alcuno sviamento, come
invece sostenuto nella censura sub 3;
4) le censure sub 4, comunque estranee allo osservazioni ed
alla conseguenti controdeduzioni della delibera impugnata,
non si sostanziano in alcuna specifica evidenziazione di
illegittimità, e comunque appaiono contraddette dalle norme
che sottopongono il canile municipale ad un’adeguata
sorveglianza sanitaria e veterinaria, sempre necessaria,
indipendentemente dal fatto che i possibili bersagli delle
temute infezioni siano animali selvatici o domestici diversi
da quelli dell’azienda venatoria in questione e dai cani da
caccia dei relativi clienti;
5) quanto infine alla contestata violazione della normativa
ambientale ed alla affermata mancata ponderazione dei valori
ambientali, di cui l’azienda venatoria ricorrente sarebbe
portatrice, osserva il Collegio che sia il canile che
l’azienda venatoria sono compatibili con la destinazione
agricola dell’area e che non è pacificamente necessaria la
DIA per il canile, così come per l’azienda venatoria.
Pertanto, non venendo neppure allegata alcuna censura
relativa a specifiche presunte violazioni ambientali in
danno dell’azienda (ed essendo, in ogni caso, gli “ospiti”
del canile ristretti in un’area sorvegliata e ben
confinata), la dedotta censura si palesa priva di
consistenza;
11 – Che il ricorso , in disparte ogni considerazione circa
la sua inammissibilità, palesa quindi la propria non
fondatezza e deve pertanto essere respinto
(TAR Lazio-Roma, Sez. II-bis,
sentenza 26.04.2011 n. 3583 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
Realizzazione in zona a verde agricolo
di una strada posta al servizio di un nuovo immobile a
destinazione residenziale, nel caso in cui la normativa
regionale consenta esclusivamente la realizzazione di opere
funzionali alla conduzione del fondo agricolo.
Ove una disposizione normativa regionale preveda
espressamente che nelle zone agricole possono realizzarsi
esclusivamente opere funzionali alla conduzione del fondo
agricolo e, pertanto, limiti gli interventi in tali zone non
solo dal punto di vista della realizzazione di volumetria
fruibile, ma anche in relazione a qualsiasi tipo di
attrezzatura o infrastruttura che possa comunque incidere
sulla copertura della superficie, deve ritenersi che anche
l’intervento consistente nella realizzazione di una strada,
debba essere subordinato e/o possa essere assentito
all’esito positivo della preventiva verifica della effettiva
necessità della medesima strada per la conduzione del fondo;
in tal caso, pertanto, è legittimo il provvedimento con il
quale l’ente locale ha evidenziato la non compatibilità con
la destinazione agricola della zona, di una strada costruita
per essere posta al servizio di un nuovo immobile a
destinazione residenziale, non sussistendo alcun
collegamento tra l’opera realizzata e la funzionalizzazione
imposta dalla norma regionale (1).
---------------
(1) Nella motivazione della sentenza in rassegna si ammette
lealmente che, secondo il più diffuso orientamento
giurisprudenziale, "non può riconoscersi incompatibilità
–e pertanto non occorre la preventiva approvazione di una
variante– fra la destinazione a zona agricola contenuta in
uno strumento urbanistico e la costruzione di una strada che
l’attraversi, qualora la destinazione specifica non sia
alterata e turbata" (cfr. Cons. Stato, sez. IV,
09.12.1983 n. 907; TAR Sicilia-Catania, 18.11.1987, n.
1395), sebbene tale impostazione conti anche decisioni in
senso contrario (si veda TAR Campania-Napoli, sez. V,
11.09.2001, n. 4102).
Tuttavia, il criterio generale, di carattere interpretativo,
non può trovare applicazione ove questo venga a scontrarsi
con espresse previsioni normative in senso opposto.
Nella specie infatti era applicabile (ratione temporis),
la legge regionale della Lombardia 07.06.1980, n. 93 recante
"Norme in materia di edificazione nelle zone agricole",
che all’art. 2, comma 1, recita: "In tutte le aree
destinate dagli strumenti urbanistici generali a zona
agricola sono ammesse esclusivamente le opere realizzate in
funzione della conduzione del fondo e destinate alle
residenze dell'imprenditore agricolo e dei dipendenti
dell'azienda, nonché alle attrezzature e infrastrutture
produttive quali stalle, silos, serre, magazzini, locali per
la lavorazione e la conservazione e vendita dei prodotti
agricoli secondo i criteri e le modalità previsti dal
successivo art. 3".
Lo stesso articolo, al comma 3, precisa: "Nel computo dei
volumi realizzabili non sono conteggiate le attrezzature e
le infrastrutture produttive di cui al comma 1° del presente
articolo, le quali non sono sottoposte a limiti volumetrici;
esse comunque non possono superare il rapporto di copertura
del 10% dell'intera superficie aziendale, salvo che per le
serre per le quali tale rapporto non può superare il 40%
della predetta superficie".
Dalla lettura della norma, secondo la sentenza in rassegna,
appare palese l’attenzione del legislatore a limitare gli
interventi nelle aree agricole non solo dal punto di vista
della realizzazione di volumetria fruibile, ma anche in
relazione a qualsiasi tipo di attrezzatura o infrastruttura
che possa comunque incidere sulla copertura della
superficie. In questa ottica, anche una strada, sebbene
tipologia di intervento non indicata nella casistica non
esaustiva del comma 1, va certamente fatta ricadere nella
tipologia di opere ivi regolate (massima tratta da
www.regione.piemonte.it - Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 01.04.2011 n. 2041 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
OGGETTO: Quesiti inerenti le possibilità di intervento in
aree con destinazione agricola di cui agli artt. 59-62 della
L.R. n. 12/2005. Richiesta parere circa la corretta
interpretazione applicativa della norma (Regione
Lombardia, Direzione Generale Territorio e Urbanistica,
Programmazione e Pianificazione Territoriale,
nota 30.03.2011 n. 9064 di prot.). |
URBANISTICA:
1. PRG - Osservazioni alla variante -
Analisi separata delle Osservazioni - Non occorre.
2. Scelte discrezionali dell'amministrazione nell'adozione
di strumenti urbanistici - Sindacato di legittimità -
Esclusione.
3. Strumenti urbanistici generali - Motivazione necessaria -
Fattispecie.
1.
La disposizione di cui all'art. 3, comma 4, lett. b), Legge
Regionale n. 23/1997, interpretata in un'ottica
sostanzialistica, non prevede affatto che le singole
osservazioni debbano essere analizzate singolarmente, ma più
semplicemente obbliga l'Amministrazione a prenderle tutte in
considerazione e a fornire una motivazione in relazione alle
stesse.
2.
Le scelte effettuate dall'Amministrazione nell'adozione
degli strumenti urbanistici costituiscono apprezzamento di
merito sottratto al sindacato di legittimità, salvo che non
siano inficiate da errori di fatto o abnormi illogicità e
che in occasione della formazione di uno strumento
urbanistico generale le scelte discrezionali
dell'amministrazione non necessitino di apposita
motivazione, oltre quella che si può evincere dai criteri
generali seguiti nell'impostazione del piano stesso.
3.
Le uniche evenienze che giustificano una più incisiva e
singolare motivazione degli strumenti urbanistici generali
sono:
a) il superamento degli standards minimi di cui al D.M.
02.04.1968, con riferimento alle previsioni urbanistiche
complessive di sovradimensionamento, indipendentemente dal
riferimento alla destinazione di zona di determinate aree;
b) la lesione dell'affidamento qualificato del privato
derivante da convenzioni di lottizzazione, accordi di
diritto privato intercorsi fra il Comune e i proprietari
delle aree, aspettative nascenti da giudicati di
annullamento di concessioni edilizie o di silenzio-rifiuto
su una domanda di concessione;
c) nella modificazione in zona agricola della destinazione
di un'area limitata, interclusa da fondi edificati in modo
non abusivo (massima tratta da www.solom.it - TAR
Lombardia-Milano, Sez. IV,
sentenza 04.02.2011 n. 357 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI
AMMINISTRATIVI:
Atti a contenuto urbanistico o edilizio
- Associazioni ambientaliste - Legittimazione ad agire -
Sussiste - Fattispecie: lottizzazione abusiva in area
agricola.
Le associazioni ambientaliste riconosciute sono legittimate
ad agire in giudizio non solo per la tutela degli interessi
ambientali "in senso stretto", ma anche per quelli
ambientali "in senso lato", comprendenti cioè la
conservazione e valorizzazione dell'ambiente in senso ampio,
del paesaggio urbano, rurale, naturale, dei monumenti e dei
centri storici, intesi tutti quali beni e valori idonei a
caratterizzare in modo originale, peculiare ed irripetibile
un certo ambito geografico territoriale rispetto ad altri.
Ne consegue che dette associazioni possono agire anche in
relazione ad atti a contenuto urbanistico o edilizio, purché
idonei a pregiudicare il bene dell'ambiente come definito in
termini normativi.
Nella specie, è stata riconosciuta, piena legittimazione
all’ass. Legambiente, dovendo ritenersi ormai pacifico che
la destinazione di un'area a zona agricola riveste una
finalità di tutela a valenza conservativa anche dei valori
ambientali, venendo a costituire il polmone
dell'insediamento urbano ed assumendo per tale via la
funzione decongestionante e di contenimento dell'espansione
dell'aggregato urbano (Corte di cassazione, Sez. III penale,
sentenza 03.02.2011 n. 3872 - link a
www.ambientediritto.it). |
anno
2010 |
|
URBANISTICA:
La destinazione di un'area a zona
agricola ben può essere disposta a salvaguardia del
paesaggio o dell'ambiente.
La giurisprudenza è costante nel ritenere che le scelte
effettuate dall'amministrazione in sede di
adozione-approvazione degli atti di pianificazione del
territorio costituiscano apprezzamento di merito o,
comunque, espressione di ampia potestà discrezionale,
sottratto al sindacato di legittimità salvo che non siano
inficiate da errori di fatto o abnormi illogicità (cfr., fra
le tante, Cons. Stato, Sez. IV, 21.05.2007, n. 2571).
Per giurisprudenza costante, invero, la destinazione di
un'area a zona agricola ben può essere disposta a
salvaguardia del paesaggio o dell'ambiente e non presuppone
necessariamente che l'area stessa venga utilizzata ad uso
agricolo (cfr. Cons. St., sez. IV, 03.11.2008, n. 5478; Tar
Trentino Alto Adige-Trento, 09.02.2010, n. 41; Tar Abruzzo,
Pescara, sez. I, 12.01.2009, n. 33; Tar Campania Napoli,
sez. II, 23.09.2009, n. 5043) (TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 10.12.2010 n. 7508 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
URBANISTICA:
1. PGT - Osservazioni dei privati -
Termine ultimo per la decisione del Comune sulle
osservazioni - Art. 13, comma 7, L.R. 12/2005 -
Interpretazione letterale - Inammissibilità.
2. PGT - Osservazioni dei privati - Termine ultimo per la
decisione del Comune sulle osservazioni - Art. 13, comma 7,
L.R. 12/2005 - Inefficacia degli atti assunti fuori termine
- Presupposti - Solo in caso di adozione atti non preceduta
dalla decisione sulle osservazioni presentate dagli
interessati.
3. PGT - Osservazioni dei privati - Termine ultimo per la
decisione del Comune sulle osservazioni - Art. 13, comma 7,
L.R. 12/2005 - Natura ordinatoria.
4. Scelte della P.A. in sede di PRG e sue varianti generali
- Ampia discrezionalità - Sindacato del giudice
amministrativo - Solo nei limiti di errori di fatto o di
abnormi illogicità.
5. PGT - Destinazione a zona agricola - Utilizzo per
coltivazione - Non necessita - Finalità di tutela ambientale
- Legittimità.
1.
Non è ammissibile un'interpretazione letterale della
previsione di cui all'art. 13, comma 7, L.R. 12/2005, poiché
individuando la ratio dell'art. 13 nell'esigenza di
dettare una rigida tempistica procedimentale a fini
acceleratori, correlando alla mera violazione del termine
previsto dal comma 7 l'inefficacia degli atti del p.g.t., si
otterrebbero esiti contrastanti con il principio di buon
andamento dell'azione amministrativa, posto dall'art. 97
Cost.; in particolare, qualora si ritenesse che all'inutile
scadenza del termine entro il quale il Consiglio Comunale
deve decidere sulle osservazioni consegua la perdita di
efficacia del provvedimento di adozione del p.g.t., allora
l'attività amministrativa precedentemente esercitata
verrebbe posta nel nulla, con conseguente obbligo per
l'amministrazione di rinnovare l'intero procedimento, il
tutto in contrasto con il principio di economicità oltre che
con la stessa ratio acceleratoria sottesa alla norma.
2.
L'inefficacia prevista ex art. 13, comma 7, L.R. 12/2005
integra una sanzione dettata non a tutela di adempimenti
formali, come il mero rispetto della tempistica
procedimentale, bensì di esigenze sostanziali, emergenti
nell'ipotesi in cui il piano di governo del territorio sia
approvato in assenza di una decisione sulle osservazioni o
non recepisca le osservazioni accolte, con la conseguenza
che l'inefficacia degli atti assunti dal Comune si verifica
solo quando la loro adozione non sia stata preceduta dalla
decisione delle osservazioni presentate dagli interessati.
3.
In materia di PGT, la mera violazione del termine di novanta
giorni previsto dall'art. 13, comma 7, L.R. 12/2005, in caso
di adozione di atti di pianificazione del territorio
preceduta dalla decisione del Comune sulle osservazioni
presentate dagli interessati, non comporta conseguenza
alcuna, dovendo detto termine ritenersi meramente
ordinatorio.
4.
Le scelte effettuate dalla P.A. in sede di
adozione-approvazione degli atti di pianificazione del
territorio costituiscono apprezzamento di merito o,
comunque, espressione di ampia potestà discrezionale,
sottratto al sindacato di legittimità salvo che tali scelte
non siano inficiate da errori di fatto o abnormi illogicità
(cfr. Cons. di Stato, sent. n. 2571/2007; TAR Milano, sent.
n. 1093/2010, n. 1277/2006).
5.
La destinazione di un'area a zona agricola a ragione può
essere disposta a salvaguardia del paesaggio o dell'ambiente
e non presuppone necessariamente che l'area stessa venga
utilizzata ad uso agricolo (cfr. Cons. di Stato, sent. n.
5478/2008; TAR Trento, sent. n. 41/2010; TAR Pescara, sent.
n. 33/2009) (massima tratta da www.solom.it - TAR
Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 10.12.2010 n. 7508 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
URBANISTICA:
1. Piano regolatore - Motivazione
dettagliata delle scelte urbanistiche - Non sempre
necessaria.
2. Piano regolatore - Area agricola - Utilizzo culture
tipiche - Non necessario.
1.
L'obbligo di una più puntuale motivazione delle scelte
urbanistiche adottate dall'Amministrazione sussiste solo in
specifiche evenienze, quali il superamento degli standards
minimi, l'esistenza in favore del privato di giudicati
favorevoli ovvero la presenza di accordi con l'Ente locale,
quali le convenzioni di lottizzazione.
Tali ipotesi non ricorrono nel caso in cui non esiste alcun
atto o provvedimento dell'Amministrazione comunale dal quale
si possa ragionevolmente desumersi l'esistenza in favore dei
ricorrenti di un affidamento qualificato.
2.
La destinazione a zona agricola di una determinata area non
presuppone necessariamente che essa sia utilizzata per
culture tipiche o possegga le caratteristiche per una simile
utilizzazione, trattandosi di una scelta, tipicamente e
ampiamente discrezionale, con la quale l'Amministrazione
comunale ben può avere l'interesse a tutelare e
salvaguardare il paesaggio o a conservare valori
naturalistici ovvero a decongestionare o contenere
l'espansione dell'aggregato urbano (massima tratta da
www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. IV,
sentenza 25.11.2010 n. 7362 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
1. Zona agricola - Possibilità per
Comune e Provincia di dettare disciplina differenziata -
Sussiste.
2. Zona agricola - Indici edificatori - Possibilità di
fissazione di limiti inferiori - Sussiste.
1.
In materia di edificazione nelle zone agricole, la vigente
L.R. 12/2005 sul governo del territorio consente al Comune
di dettare una disciplina differenziata per le zone
agricole, dal momento che essa demanda agli strumenti
urbanistici comunali ed in particolare al piano delle
regole, la definizione, per le aree destinate
all'agricoltura, della relativa disciplina "d'uso, di
valorizzazione e di salvaguardia" (cfr. TAR Brescia,
sent. n. 1/2009); analogo potere conformativo sulle aree
agricole è attribuito alla Provincia, attraverso il piano
territoriale di coordinamento provinciale (PTCP), dall'art.
15, comma 4, della L.R. 12/2005.
2.
In ordine agli indici edificatori, ex art. 59, comma 3, L.R.
12/2005, è previsto soltanto un limite massimo di densità
fondiaria, con conseguente possibilità di fissazione di
limiti inferiori, nell'ambito della potestà di
pianificazione urbanistica (cfr. TAR Brescia, sent. n.
1/2009) (massima tratta da www.solom.it - TAR
Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 22.11.2010 n. 7305 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
L'elemento soggettivo relativo alla
qualifica del richiedente (agricoltore o imprenditore
agricolo) il permesso di costruire in zona agricola è del
tutto irrilevante se il soggetto non intende avvalersi
dell'esonero del pagamento degli oneri per costruire.
Elemento oggettivo indispensabile è, invece, la titolarità
della proprietà o l'esistenza di altro titolo idoneo di
disponibilità del bene, oltre naturalmente alla
compatibilità con gli strumenti urbanistici.
Come già affermato dal TAR Sicilia (Palermo Sez. III
sentenza n. 3 del 2008) l'elemento soggettivo relativo alla
qualifica del richiedente (agricoltore o imprenditore
agricolo) il permesso di costruire in zona agricola è del
tutto irrilevante se il soggetto non intende avvalersi
dell'esonero del pagamento degli oneri per costruire.
Elemento oggettivo indispensabile è invece la titolarità
della proprietà o l'esistenza di altro titolo idoneo di
disponibilità del bene, oltre naturalmente alla
compatibilità con gli strumenti urbanistici (TAR Lazio-Roma,
Sez. II,
sentenza 02.11.2010 n. 33106 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
Comune di Bassano in Teverina - Parere in merito alla
possibilità di realizzare una piscina in zona agricola
soggetta a vincolo paesaggistico (Regione Lazio,
parere 24.05.2010 n. 128441 di prot.). |
URBANISTICA:
Pianificazione urbanistica - Potere
discrezionale dell’amministrazione - Motivazione - Limiti.
Nelle scelte di pianificazione, la valutazione dell’idoneità
delle singole aree a soddisfare, con riferimento alle
possibili destinazioni, specifici interessi urbanistici,
costituisce espressione del potere discrezionale
dell’amministrazione (fra le più recenti: Consiglio Stato,
sez. IV, 04.12.2009, n. 7654): nell’esercizio di tale potere
l’amministrazione non ha la necessità di dare una
motivazione specifica sulle scelte adottate in ordine alla
destinazione delle singole aree in quanto le stesse trovano
giustificazione nei criteri generali di impostazione del
piano (Consiglio di Stato, sez. IV, 24.04.2009, n. 2630;
sez. V, 02.03.2009, n. 1149), con la conseguenza che tali
scelte possono essere censurate soltanto in presenza di
evidenti vizi logico-giuridici nel quadro delle linee
portanti della pianificazione.
Pianificazione urbanistica -
Osservazioni dei cittadini - Natura - Apporto collaborativo
- Rigetto o accoglimento - Motivazione - Limiti.
Le osservazioni proposte dai cittadini nei confronti degli
atti di pianificazione urbanistica non costituiscono veri e
propri rimedi giuridici ma semplici apporti collaborativi e,
pertanto, il loro rigetto o il loro accoglimento non
richiede una motivazione analitica, essendo sufficiente che
esse siano state esaminate e confrontate con gli interessi
generali dello strumento pianificatorio (Consiglio di Stato,
sez. IV, 18.06.2009, n. 4024 cit.).
Pianificazione urbanistica - Scelte -
Sindacato giurisdizionale - Limiti - Comparazione con la
destinazione urbanistica impressa ad aree adiacenti - Vizio
di eccesso di potere per disparità di trattamento -
Inconfigurabilità.
Le scelte urbanistiche circa la disciplina del territorio
possono formare oggetto di sindacato giurisdizionale nei
soli casi di arbitrarietà, irrazionalità o irragionevolezza
ovvero di palese travisamento dei fatti, che costituiscono i
limiti della discrezionalità amministrativa (Consiglio di
Stato, sez. IV, 18.06.2009, n. 4024 cit.), con la
conseguenza che, a meno che non siano riscontrabili errori
di fatto o abnormi illogicità, non è configurabile neppure
il vizio di eccesso di potere per disparità di trattamento
basata sulla comparazione con la destinazione impressa ad
altre zone adiacenti (fra le tante: Consiglio di Stato, sez.
IV, 18.06.2009, n. 4024)
Pianificazione urbanistica -
Discrezionalità amministrativa - Limite - Affidamento
qualificato - Esempi - Connesso onere motivazionale.
La regola generale dell’ampia discrezionalità amministrativa
nelle scelte di pianificazione urbanistica subisce
un'eccezione in alcune situazioni specifiche in cui il
principio della tutela dell’affidamento impone che il piano
regolatore dia conto del modo in cui è stata effettuata la
ponderazione degli interessi pubblici e sono state operate
le scelte di pianificazione.
Meritevoli di questa particolare forma di tutela sono
peraltro solo quelle situazioni caratterizzate da un
affidamento “qualificato” (Consiglio di Stato, sez.
IV, 07.04.2008, n. 1476).
Tale posizione è stata riconosciuta:
a) nel superamento degli standard minimi di cui al d.m.
02.04.1968, con l'avvertenza che la motivazione ulteriore va
riferita esclusivamente alle previsioni urbanistiche
complessive di sovradimensionamento, indipendentemente dal
riferimento alla destinazione di zona di determinate aree;
b) nella lesione dell'affidamento qualificato del privato
derivante da convenzioni di lottizzazione, accordi di
diritto privato intercorsi tra il Comune e i proprietari
delle aree, dalle aspettative nascenti da giudicati di
annullamento di dinieghi di concessione edilizia (oggi
permesso di costruire) o di silenzio-rifiuto su una domanda
di concessione;
c) nella modificazione in zona agricola della destinazione
di un'area limitata, interclusa da fondi edificati in modo
non abusivo (Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria,
22.12.1999, n. 24, Consiglio di Stato, sez. III, 06.10.2009,
n. 1610; sez. V, 02.03.2009, n. 1149; sez. VI, 18.04.2007,
n. 1784).
Negli altri casi l’esistenza di una precedente diversa
previsione urbanistica non comporta invece per
l’amministrazione la necessità di fornire particolari
spiegazioni sulle ragioni delle diverse scelte operate anche
quando queste sono nettamente peggiorative per i proprietari
(e per le loro aspettative), dovendosi (in tali altri casi)
dare prevalente rilievo all’interesse pubblico che le nuove
scelte pianificatorie intendono perseguire.
Destinazione urbanistica difforme da
quella previgente - Esistenza di fabbricati - Ostacolo -
Esclusione - Fattispecie: interventi edilizi esistenti in
zona agricola.
L'esistenza di fabbricati, anche di recente costruzione, non
può essere considerata di ostacolo all'introduzione di
destinazioni urbanistiche difformi da quelle previgenti
sulle corrispondenti aree di sedime (TAR Lombardia Brescia,
12.01.2001, n. 2; Consiglio di Stato, sez. IV, 02.11.1995,
n. 887).
In particolare, per quanto riguarda l’esistenza di immobili
in zona agricola, nonostante la realizzazione di interventi
edilizi sul suolo, la destinazione a verde agricolo può
considerarsi pur sempre rispondente ad apprezzabili esigenze
funzionali di sviluppo equilibrato e sostenibile
dell'agglomerato, nonché di salvaguardia della vivibilità
urbana (TAR Lombardia, Brescia, 20.10.2005, n. 1043), della
salubrità (Consiglio di Stato, sez. V, 19.04.2005, n. 1782;
sez. IV, 20.09.2005, n. 4818 e n. 4828) e della qualità
ambientale.
Destinazione a verde agricolo - Finalità
di contenimento dell’espansione dell’aggregato urbano.
La destinazione a verde agricolo di un'area, che rientra
nell'ampia discrezionalità del comune di orientare gli
insediamenti urbani in determinate direzioni, ovvero di
salvaguardare precisi equilibri dell'assetto territoriale,
può legittimamente anche essere preordinata ad un uso non
strettamente agricolo, ma alla finalità di conservazione dei
valori naturalistici ed ambientali e di contenimento del
fenomeno di espansione dell'aggregato urbano (Consiglio di
Stato, sez. IV, 25.07.2007, n. 4149; 03.11.2008, n. 5478),
con una finalità che non è preclusa in radice
dall'esecuzione di attività costruttive sull'area medesima,
ma, anzi, concretizzabile nell'arresto di tali attività (TAR
Campania Napoli, sez. VIII, 17.09.2009, n. 4977).
Strumento urbanistico - Procedimento di
approvazione - Atto complesso ineguale.
Il procedimento di approvazione di uno strumento urbanistico
(o di una sua variante) costituisce un atto complesso
ineguale in ragione del fatto che deve intendersi la
risultante del concorso di diversi atti di volontà, quello
di livello comunale, esponenziale e rappresentativo della
collettività e degli interessi locali, e quello regionale (e
provinciale), espressione di un più ampio potere di
indirizzo e coordinamento in materia urbanistica.
Ciò comporta che sul piano procedimentale, la dialettica che
si instaura tra i diversi livelli di governo non ha una
dimensione statica ed immutabile bensì presenta margini di
variabilità in ragione della misura di convergenza delle
valutazioni effettuate nei due diversi stadi decisori.
Strumento urbanistico - Approvazione in
“stralci” - Nuova disciplina urbanistica diretta a
completare la pianificazione - Potere comunale - Permanenza
- Motivazione dello stralcio - Natura di raccomandazione.
L’approvazione di uno strumento urbanistico in stralci
lascia integro ed impregiudicato il potere del Comune di
riproporre una nuova disciplina urbanistica diretta a
completare la pianificazione relativamente alle aree oggetto
di stralcio e l'autorità comunale resta libera nell'attività
di completamento della disciplina urbanistica, costituendo
la motivazione dello stralcio una "raccomandazione"
in funzione del (rinnovato) esercizio della potestà
pianificatoria da parte dell'Ente (Consiglio di Stato,
Sezione IV, 29.10.2002, n. 5912).
Non assumendo poi la "raccomandazione" natura di atto
autoritativo, vincolante, il Comune può recepire le
indicazioni provenienti dall'autorità cui l'ordinamento
riconosce il potere di approvare la strumentazione
urbanistica, condividendo le considerazioni esposte da tale
autorità, ovvero discostarsene motivatamente in sede di
variante integrativa (TAR Campania-Napoli, Sez. II,
sentenza 20.04.2010 n. 2043 - link a
www.ambientediritto.it). |
URBANISTICA:
1. Scelte effettuate dalla P.A. in sede
di PRG e sue varianti generali - Ampia discrezionalità -
Sussiste - Sindacabilità da parte del giudice amministrativo
- Solo nei limiti della manifesta illogicità ed evidente
travisamento dei fatti.
2. Scelte effettuate dalla P.A. in sede di PRG e sue
varianti generali - Apposita motivazione - Necessità - Non
sussiste.
3. Scelte effettuate dalla P.A. in sede di PRG e sue
varianti generali - Aspettative o affidamenti in favore di
soggetti le cui posizioni appaiano meritevoli di specifiche
considerazioni - Presupposti - Numerus clausus.
1.
Le scelte compiute dalla P.A. in sede di formazione del
piano regolatore o di variante dello stesso sono espressione
dell'ampia discrezionalità tecnica di cui essa dispone in
materia: pertanto, la sindacabilità di tali scelte è
ammissibile solo nei ristretti limiti della manifesta
illogicità, arbitrarietà ed evidente travisamento dei fatti
(Cons. di Stato, sent. n. 6686/2007; TAR Milano, sent. n.
3653/2009).
2.
Le scelte discrezionali della P.A. riguardo alla
destinazione di singole aree, di regola, non necessitano di
apposita motivazione, oltre a quella che si può evincere dai
criteri generali, di ordine tecnico-discrezionale, seguiti
nell'impostazione del piano stesso mediante l'espresso
riferimento alla relazione di accompagnamento al piano
regolatore generale (cfr. Cons. Stato, Ad. Plen., sent. n.
24/1999; Cons. Stato, sent. n. 173/2002; Sez. IV, n.
6917/2002; Sez. IV, n. 2899/2002).
3.
Le evenienze ritenute idonee a creare aspettative o
affidamenti in favore di soggetti le cui posizioni appaiano
meritevoli di specifiche considerazioni sono sussumibili
sotto le tre seguenti fattispecie:
a) superamento degli standards minimi di cui al DM
02.04.1968, con l'avvertenza che la motivazione ulteriore va
riferita esclusivamente alle previsioni urbanistiche
complessive di sovradimensionamento, indipendentemente dal
riferimento alla destinazione di zona di determinate aree;
b) nella lesione dell'affidamento qualificato del privato
derivante da convenzioni di lottizzazione, accordi di
diritto privato intercorsi fra il Comune e i proprietari
delle aree, aspettative nascenti da giudicati di
annullamento di dinieghi di concessione edilizia o di
silenzio rifiuto su domanda di concessione edilizia etc.
(cfr. Cons. di Stato, Ad. Plen., sent. n. 24/1999);
c) nella modificazione in zona agricola della destinazione
di un'area limitata, interclusa da fondi edificati in modo
non abusivo (cfr. Cons. di Stato, sent. n. 594/1999)
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez.
II,
sentenza 15.04.2010 n. 1093 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
URBANISTICA: TRASFORMAZIONE
DA ZONA AGRICOLA A ZONA RESIDENZIALE-COMMERCIALE: CHI E COME
SI PUO' RICORRERE A TUTELA DELL'AMBIENTE.
1. Giudizio amministrativo - Procedura -
Legittimazione - Attiva - Associazioni di protezione
ambientale - Strutture territoriali - Non sussiste -
Ragioni.
2. Giudizio amministrativo - Procedura - Legittimazione -
Attiva - Concessione edilizia - Proprietario di immobile
sito in zona interessata dalla costruzione -Sussiste.
3. Piani urbanistici - Regolatore generale - Impugnazione -
Inammissibilità - In caso di mancata notifica alla Regione -
Sussistenza - Ragioni.
1.
La speciale legittimazione delle associazioni di protezione
ambientale a ricorrere in sede di giurisdizione
amministrativa per l'annullamento di atti illegittimi,
riconosciuta dall'art. 18, L. n. 349/1986, riguarda
l'associazione ambientalistica nazionale formalmente
riconosciuta e non le sue strutture territoriali, che non
possono ritenersi munite di autonoma legittimazione
processuale neppure per l'impugnazione di provvedimenti ed
efficacia territorialmente limitata.
Ed infatti, il carattere nazionale o ultraregionale
dell'Associazione costituisce al tempo stesso presupposto
del riconoscimento e limite della legittimazione speciale,
che ha dunque carattere ontologicamente unitario.
Solo l'Associazione nazionale in quanto tale è dunque
titolare ex lege, proprio in virtù delle
caratteristiche che ne consentono il riconoscimento, della
legittimazione alla causa e solo questa è giusta parte anche
nel caso di giudizio introdotto dall'impugnazione di
provvedimenti ad effetti ambientali circoscritti (Cons.
Stato, sez. IV, 14-04-2006 n. 2151; vedi anche cfr. TAR
Veneto, sez. II, 26-02-2007 n. 513).
2.
La legittimazione a impugnare una concessione edilizia deve
essere riconosciuta al proprietario di un immobile sito
nella zona interessata alla costruzione, o comunque a chi si
trovi in una situazione di stabile collegamento con la zona
stessa, senza che sia necessario dimostrare ulteriormente la
sussistenza di un interesse qualificato alla tutela
giurisdizionale (Cons. Stato, sez. V, 07-05-2008 n. 2086;
Cons. Stato, sez. IV, 12-09-2007 n. 4821; Cons. Stato, sez.
V, 05-02-2007 n. 452).
3.
Il ricorso avverso le disposizioni di P.R.G. deve essere
notificato, oltre che al Comune, anche alla Regione, in
considerazione della natura complessa dell'atto impugnato e
del concorso della volontà di entrambi gli enti alla sua
formazione definitiva.
L'omesso assolvimento di tale onere implica
l'inammissibilità del ricorso, per la sua mancata
notificazione a una delle autorità emananti (Cons. Stato,
sez. V, 19-05-1998 n. 616) (massima tratta da http://mondolegale.it
- TAR Veneto, Sez. II,
sentenza 12.04.2010 n. 1323 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
Non sussiste una pregiudiziale
incompatibilità tra la destinazione agricola di un'area e la
sua utilizzazione a parcheggio.
La destinazione a zona agricola di un'area, salva la
previsione di particolari vincoli ambientali o paesistici,
non impone un obbligo specifico di utilizzazione effettiva
in tal senso, avendo solo lo scopo di evitare insediamenti
residenziali; essa, pertanto, non costituisce ostacolo alla
installazione di opere che non riguardino l'edilizia
residenziale e che, per contro, si rivelino per ovvi motivi
incompatibili con zone abitate e quindi necessariamente da
realizzare in aperta campagna.
Non sussiste una pregiudiziale incompatibilità tra la
destinazione agricola di un'area e la sua utilizzazione a
parcheggio: la giurisprudenza amministrativa, infatti, ha
avuto occasione di chiarire che la destinazione a zona
agricola di un'area, salva la previsione di particolari
vincoli ambientali o paesistici, non impone un obbligo
specifico di utilizzazione effettiva in tal senso, avendo
solo lo scopo di evitare insediamenti residenziali; essa,
pertanto, non costituisce ostacolo alla installazione di
opere che non riguardino l'edilizia residenziale e che, per
contro, si rivelino per ovvi motivi incompatibili con zone
abitate e quindi necessariamente da realizzare in aperta
campagna (cfr., CdS, Sez. V, 15.06.2001 n. 3178; TAR Veneto,
Sez. II, 31.10.2000 n. 1952 e Sez. III, 18.03.2002 n. 1108)
(TAR Sardegna, Sez. II,
sentenza 15.02.2010 n. 178 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
anno
2009 |
|
EDILIZIA PRIVATA:
Applicazione artt. 16-17 D.P.R.
380/2001 in area agricola.
E’ chiesto
parere in merito all’applicazione degli
artt. 16 e 17 del D.P.R. n. 380/2001 in area
agricola.
Il Comune richiedente presenta, in
particolare, tre quesiti del seguente
tenore:
1) con riferimento ai requisiti delle figure
professionali operanti in agricoltura, si
chiede di chiarire quali siano i casi di
esenzione al pagamento del contributo di
costruzione di cui all’art. 17, comma 3,
lettera a) del D.P.R. n. 380/2001 e s.m.i.;
2) in caso di applicazione del contributo di
costruzione in area agricola, si chiede di
chiarire quali siano i parametri da
utilizzare per il calcolo degli oneri di
urbanizzazione e del costo di costruzione di
cui all’art. 16 del D.P.R. 380/2001 e s.m.i.;
3) in caso di applicazione del contributo di
costruzione in area agricola, si chiede di
chiarire se sia comunque richiesta la
presentazione dell’atto di impegno previsto
dall’art. 25, comma 7, della L.R. 56/1977 e
s.m.i. (Regione Piemonte,
parere n.
110/2009 - tratto da
www.regione.piemonte.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Permesso di costruzione in area agricola di una
strada di accesso a proprietà privata.
E’ chiesto parere in merito alla legittimità del rilascio di
permesso di costruire per la realizzazione, in area
agricola, di una strada di accesso a proprietà privata.
Il Comune richiedente segnala che in data 21.07.2008 è stata
presentata, presso i propri uffici, istanza di permesso di
costruire per la realizzazione di una “strada di accesso
alla proprietà e formazione di recinzione” in area
agricola di P.R.G.C., soggetta sia a vincolo paesaggistico
sia a vincolo idrogeologico.
Come precisato dal Comune, a
seguito di richiesta di ulteriori informazioni, la strada in
progetto consentirebbe l’accesso carraio –e non soltanto
pedonale, come consente l’attuale passaggio– ad un nucleo
costituito da alcuni fabbricati ad uso abitativo siti, come
detto, in area agricola di piano regolatore generale.
Il Comune segnala inoltre –dopo aver precisato che il “progetto
definitivo del nuovo P.R.G.I. è stato adottato con
D.C.C.M.M.R. n. 17 del 21.09.2006”- che “sia
nell’art. 41 delle N.T.A. del P.R.G.C. vigente che nell’art.
3.5.1 Aree E1 delle N.T.A. del PRGC adottato non è normata
la realizzazione delle opere di cui sopra, bensì la nuova
costruzione è intesa come realizzazione di fabbricati
accessori per la residenza ed attrezzature rurali-agricole,
ma non è trattata la realizzazione di strade e viali di
accesso alla proprietà”.
Il Comune precisa, infine, che, per quanto concerne il
P.R.G.C. adottato, l’intervento in questione sarebbe normato,
in particolare, dall’art. 3.5.6 delle N.T.A. contenente “norme
particolari per gli edifici esistenti nel territorio
agricolo adibiti ad usi extra-agricoli o abbandonati”.
Il Comune chiede, dunque, se “davanti ad un vuoto
normativo a livello locale in merito a tale intervento sia
legittimo autorizzare tali opere o se la mancata
regolamentazione nelle NTA del PRGC operanti nel Comune sia
presupposto legittimo per il diniego del permesso di
costruire”
(Regione Piemonte,
parere n. 109/2009 - tratto da
www.regione.piemonte.it). |
URBANISTICA:
PRG - Natura di atto complesso -
Interpretazione unilaterale - Esclusione.
Il PRG essendo un atto complesso comporta che, dal momento
dell'approvazione regionale, non è più possibile una
interpretazione unilaterale da parte del Comune o della
Regione ma essa va effettuata d'intesa tra le due autorità.
Pianificazione generale - Zona agricola
- Funzione.
Ai sensi del T.U. n. 380/2001, la destinazione a zona
agricola di un'area, costituisce espressione del potere
conformativo del diritto di proprietà e non determina
disparità di trattamento, in quanto la valutazione sulla
possibilità di edificazione non si ricollega ad una
distinzione tra cittadini, ma solo alla particolare
destinazione dei beni.
Pianificazione urbanistica -
Individuazione delle zone agricole - Funzione - Fattispecie.
L’individuazione delle zone agricole nell'ambito del
contesto pianificatorio svolge anche una funzione
ambientale, considerando che la loro individuazione può
essere utilizzata pure a salvaguardia del paesaggio e
dell'ambiente "e non presuppone necessariamente che
l'area stessa venga utilizzata per colture tipiche o sia già
in possesso di tutte le caratteristiche previste dalla legge
per tale utilizzazione" (Consiglio di Stato, Sez. IV:
14.10.2005, n. 5713; 31.01.2005, n. 259; 22.06.2004, n.
4466; 10.12.2003, n. 8146).
Nella specie, diventa superflua, conseguentemente, ogni
discettazione circa la delimitazione interpretativa della
categoria degli "addetti all'agricoltura", a fronte
di una situazione di fatto che oggettivamente vanifica la
valenza conservativa dei valori naturalistici attribuita
alla zona agricola (Corte di Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 08.10.2009 n. 39078 - link a
www.ambientediritto.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
EDIFICABILITA' NELLE AREE AGRICOLE.
1.- Attività edilizia - Limitata - Per
le zone agricole "E" - Normativa applicabile - Art. 2, L.R.
Lombardia n. 93/1980 - In via sussidiaria alla
pianificazione urbanistica comunale.
2.- Autorizzazione - Alla escavazione di un pozzo - Tutela
affidamento privato alla successiva realizzazione di un
edificio - Non sussiste.
3.- Zone agricole "E" - Poteri comunali - Sussistenza -
Delimitazione - In relazione alla L.R. Lombardia n. 12/2005.
4.- Edificabilità su aree agricole - Art. 59, co. 3, L.R.
Lombardia n. 12/2005 - Limiti massimi - Potere comunale -
Esercitabile - Entro i limiti.
5.- Edificabilità in aree agricole - Art. 59, L.R. Lombardia
n. 12/2005 - Criteri di riferimento per individuare i
soggetti legittimati a costruire.
1.-
L'articolo 2 della L.R. n. 93/1980, nel prevedere la
normativa applicabile nei territori dei Comuni per le zone
agricole "E", non ha precluso all'autorità urbanistica
l'esercizio del più pieno potere di pianificazione del
territorio, anche in funzione di salvaguardia dei valori
ambientali e paesaggistici.
Le disposizioni dell'art. 2 della legge regionale si
applicano in via sussidiaria, solo ove manchino specifiche
prescrizioni dello strumento urbanistico, e non rendono
illegittime le scelte inerenti alla assoluta inedificabilità
e immodificabilità delle aree agricole, ovvero quelle che
subordinano l'identificazione delle possibili modifiche
all'adozione di un piano attuativo, volto alla razionale
gestione del territorio.
2.-
Nessuna tutela dell'affidamento può derivare da atti diretti
a scopi diversi ed aventi ad oggetto beni diversi da quelli
che il privato si aspetta di acquisire dall'amministrazione.
Non è possibile ritenere che l'autorizzazione
all'escavazione di un pozzo possa costituire implicita
manifestazione di assenso alla realizzazione di edifici in
zona agricola in quanto si tratta di atto relativo
semplicemente alla conduzione agricola del fondo
indipendentemente dalle sue modalità.
3.-
La L.R. n. 12/2005 (che ha sostanzialmente riprodotto le
disposizioni della L.R. 07.06.1980 n. 93 - Norme in materia
di edificazione nelle zone agricole) demanda alla
strumentazione urbanistica comunale (oggi Piano delle
regole) oltre all'individuazione delle aree destinate
all'agricoltura, la definizione della relativa "disciplina
d'uso, di valorizzazione e di salvaguardia" (art. 10, co.
4, lett. a, punto 1), in conformità con quanto previsto
dagli artt. 59 ss. della stessa legge regionale.
4.-
Con riferimento, alle costruzioni con finalità (anche)
residenziale, occorre evidenziare che l'art. 59, co. 3, L.R.
n. 12/2005 stabilisce indici edificatori che costituiscono
per il pianificatore comunale solo un limite massimo.
Tale inciso, letto in correlazione con i nuovi poteri
pianificatori comunali di cui all'art. 10, co. 4, lett. a)
punto 1 e con il principio di sussidiarietà verticale di cui
all'art. 118, co. 1, Cost., porta alla conclusione che se il
Comune non può prevedere limiti superiori a quelli contenuti
nell'art. 59 (in forza della norma di prevalenza ex art. 61)
non per questo allo stesso è sottratto il potere di
stabilire limiti inferiori od altri tipi di limiti, nel
rispetto delle altre fonti normative e dei principi generali
dell'azione amministrativa.
In sostanza la previsione di uno "statuto" della
disciplina edificatoria nelle aree agricole, determinato
direttamente con legge, mediante una disciplina edificatoria
inderogabile e direttamente applicabile sull'intero
territorio regionale, pare volto a dettare una disciplina
uniforme nei limiti massimi, diretta a tutelare, piuttosto
che le esigenze edificatorie dell'agricoltura intesa come
produzione, la funzione generale di contenimento
dell'attività edilizia in zona agricola anche prevalendo su
norme più permissive introdotte a livello locale.
Ne consegue che tale disciplina non impedisce al Comune di
individuare altri interessi di valore preminente che,
riguardando anche le zone agricole, comportino l'adozione di
una disciplina più restrittiva dell'edificabilità agricola.
5.-
L'articolo 59 della L.R. n. 12/2005 prevede che l'azienda
costituisca il criterio di riferimento per individuare i
soggetti legittimati a costruire in zona agricola
(l'imprenditore agricolo ed i dipendenti dell'azienda) e
correla i limiti volumetrici per le attrezzature e le
infrastrutture produttive alla superficie aziendale.
Il riferimento contenuto nell'art. 12.4 delle n.t.a. al
complesso aziendale per disciplinare l'edificabilità
costituisce quindi un criterio che trova fondamento nello
statuto delle aree agricole stabilito dalla legge regionale
(massima tratta da
http://mondolegale.it
- TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 29.09.2009 n. 4749 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
URBANISTICA:
POTERI DISCREZIONALI
DELL’AMMINISTRAZIONE IN AMBITI URBANISTICI.
1- Destinazione uso – Destinazione di
singole aree non necessitino di apposita motivazione –
Scelte discrezionali dell’Amministrazione – Motivazione
degli strumenti urbanistici generali – Non è necessaria –
Eccezioni - Ratio.
2- Programmi urbani complessi – Partecipazione dei privati –
Osservazioni - Natura.
1- Le scelte
discrezionali dell'amministrazione riguardo alla
destinazione di singole aree non necessitino di apposita
motivazione, oltre a quella che si può evincere dai criteri
generali -di ordine tecnico-discrezionale- seguiti
nell'impostazione del piano stesso (Consiglio di Stato,
Adunanza Plenaria, n. 24/1999; Sez. IV, n. 2639/2000; n.
245/2000; n. 1943/1999; n. 887/1995), essendo sufficiente
l'espresso riferimento alla relazione di accompagnamento al
piano regolatore generale, salvo che particolari situazioni
non abbiano creato aspettative o affidamenti in favore di
soggetti le cui posizioni appaiano meritevoli di specifiche
considerazioni (Consiglio di Stato, Sez. VI, n. 173/2002;
Sez. IV, n. 6917/2002 e 2899/2002).
Le evenienze che giustificano una più incisiva e singolare
motivazione degli strumenti urbanistici generali sono state
ravvisate dalla giurisprudenza (Consiglio di Stato, Adunanza
Plenaria, citata):
a) nel superamento degli standards minimi di cui al d.m.
02.04.1968, con l'avvertenza che la motivazione ulteriore va
riferita esclusivamente alle previsioni urbanistiche
complessive di sovradimensionamento, indipendentemente dal
riferimento alla destinazione di zona di determinate aree;
b) nella lesione dell'affidamento qualificato del privato –
convenzioni di lottizzazione, accordi di diritto privato
intercorsi fra il Comune e i proprietari delle aree,
aspettative nascenti da giudicati di annullamento di
dinieghi di concessione edilizia o di silenzio rifiuto su
domanda di concessione edilizia (Consiglio di Stato,
Adunanza Plenaria citata);
c) nella modificazione in zona agricola della destinazione
di un'area limitata, interclusa da fondi edificati in modo
non abusivo (Consiglio di Stato, Sez. IV, numero 594/1999).
Le scelte effettuate dall'amministrazione in sede di
adozione-approvazione del piano regolatore generale o di sue
varianti costituiscono apprezzamento di merito o, comunque,
espressione di ampia potestà discrezionale, sottratto al
sindacato di legittimità salvo che non siano inficiate da
errori di fatto o abnormi illogicità (Consiglio di Stato,
Sez. IV, 21.05.2007, n. 2571).
2-
Le osservazioni dei privati
ai progetti di strumenti urbanistici sono un mero apporto
collaborativo alla formazione di detti strumenti e non danno
luogo a peculiari aspettative, con la conseguenza che il
loro rigetto non richiede una specifica motivazione, essendo
sufficiente che esse siano state esaminate e ritenute in
contrasto con gli interessi e le considerazioni generali
poste a base della formazione del piano (Consiglio di Stato,
Sez. IV, 07.07.2008, n. 3358) (massima tratta da
http://mondolegale.it
- TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 10.09.2009 n. 4646 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
URBANISTICA:
Destinazione agricola.
La
destinazione di un'area a zona agricola non dipende
necessariamente dalla relativa vocazione ma può essere
sorretta dalla scelta discrezionale, e motivata sul piano
generale, di orientare gli insediamenti urbani e produttivi
in date direzioni ovvero di salvaguardare precisi equilibri
dell'assetto territoriale tra zone edificate e non, al fine
di impedire addensamenti edilizi che possano risultare
pregiudizievoli per le condizioni di vivibilità delle
popolazioni insediate (TAR Lombardia-Brescia,
sentenza 24.06.2009 n. 1318 - link a
www.lexambiente.it). |
URBANISTICA:
La destinazione a zona agricola di una
determinata area non presuppone necessariamente che essa sia
utilizzata per culture tipiche o possegga le caratteristiche
per un simile utilizzazione, trattandosi di una scelta
tipicamente e ampiamente discrezionale.
La destinazione di un'area a zona agricola non dipende
necessariamente dalla relativa vocazione ma può essere
sorretta dalla scelta discrezionale, e motivata sul piano
generale, di orientare gli insediamenti urbani e produttivi
in date direzioni ovvero di salvaguardare precisi equilibri
dell'assetto territoriale tra zone edificate e non, al fine
di impedire addensamenti edilizi che possano risultare
pregiudizievoli per le condizioni di vivibilità delle
popolazioni insediate (TAR Milano, Sez. II, sent. n. 1092
del 27-05-2005; conforme Tar Milano, sez. II, sent. n. 935
del 10-05-2005; nello stesso senso Cons. Stato, sez. IV,
30.12.2008, n. 6600 “la destinazione a zona agricola di
una determinata area non presuppone necessariamente che essa
sia utilizzata per culture tipiche o possegga le
caratteristiche per un simile utilizzazione, trattandosi di
una scelta, tipicamente e ampiamente discrezionale, con la
quale l'amministrazione comunale ben può aver interesse a
tutelare e salvaguardare il paesaggio o a conservare valori
naturalistici ovvero a decongestionare o contenere
l'espansione dell'aggregato urbano”) (TAR
Lombardia-Brescia,
sentenza 24.06.2009 n. 1318 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
Esercizio impresa riparazione macchine
agricole. Zona agricola P.R.G..
Si pone una questione spesso
presente, dotata di notevole rilievo: si chiedono
chiarimenti in merito alla legittimità, o meno,
dell’esercizio di una piccola impresa artigiana di
riparazione di macchine agricole in zona agricola di P.R.G..
In particolare, il Comune
chiede se sia giuridicamente consentita l’installazione di
un’attività artigianale di riparazione di macchinari
agricoli in un’area individuata come “agricola” nel
P.R.G.C., precisando che le relative Norme Tecniche di
Attuazione, pur non contenendo disposizioni specifiche,
vietano l’esercizio di attività aventi “caratteristiche
industriali o commerciali” (Regione Piemonte,
parere n. 69/2009 - link a
www.regione.piemonte.it). |
URBANISTICA:
PRG - Destinazione a zona agricola -
Utilizzo per coltivazione - Non necessita - Discrezionalità
- Sussistenza.
La destinazione a zona agricola di una determinata area non
presuppone necessariamente che essa sia utilizzata per
colture tipiche o possegga le caratteristiche per un simile
utilizzazione, trattandosi di una scelta, tipicamente e
ampiamente discrezionale, con la quale l'amministrazione
comunale ben può aver interesse a tutelare e salvaguardare
il paesaggio o a conservare valori naturalistici ovvero a
decongestionare o contenere l'espansione dell'aggregato
urbano (massima tratta da www.solom.it - TAR
Lombardia-Brescia, Sez. I,
sentenza 13.05.2009 n. 1022 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
Zona agricola - Immobile poggiante su
blocchi di cemento - Carattere permanente dell'opera -
Sussiste - Incidenza sull'assetto urbanistico ed edilizio
del terreno - Sussiste.
Un immobile in zona agricola che non appoggi direttamente
sul terreno, ma su blocchi di cemento, è opera a carattere
permanente che imprime all'area una trasformazione di
consistenza tale da incidere in modo rilevante sull'assetto
urbanistico ed edilizio dei terreni (massima tratta da
www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 24.04.2009 n. 3586 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
ENERGIA - Impianti alimentati da fonti
rinnovabili - Inizio dei lavori - Individuazione - Art. 2,
c. 159, Legge finanziaria 2008 - Normativa speciale rispetto
alla materia edilizia - Differenza rispetto al concetto
“classico” di inizio lavori.
Per l’individuazione del momento in cui devono ritenersi
iniziati i lavori relativi agli impianti alimentati da fonti
rinnovabili occorre fare riferimento al disposto dell’art.
2, comma 159, legge n. 244 del 24.12.2007 (legge finanziaria
2008).
La norma correttamente intesa richiede la disponibilità
delle aree destinate ad ospitare l’impianto e l'accettazione
del preventivo di allacciamento alla rete elettrica
formulato dal gestore competente, o, in alternativa alla
suddetta accettazione del preventivo di allacciamento alla
rete elettrica, a) l'indizione di gare di appalto o la
stipulazione di contratti per l'acquisizione di macchinari o
per l a costruzione di opere relative all'impianto, ovvero
b) la stipulazione di contratti di finanziamento
dell'iniziativa o l'ottenimento in loro favore di misure di
incentivazione previste da altre leggi a carico del bilancio
dello Stato.
Tale normativa è speciale e successiva a quella generale
prevista in materia edilizia: non può, quindi, essere
condivisa la prospettazione che ritiene trattarsi di opere
meramente edilizie a cui si applicherebbe il concetto
classico di “inizio lavori” in base al quale i lavori
possono ritenersi iniziati solo allorquando le opere
intraprese sono di consistenza tale da manifestare in modo
concreto e palese il serio intento di realizzare il
complesso delle opere autorizzate.
ENERGIA - Fonti rinnovabili - Art. 12,
cc. 1 e 7, d.lgs. 387/2003 - Favor legis - Protocollo di
Kyoto - Installazione degli impianti in zona agricola -
Comuni - Governo del territorio - Previsioni di aree
specificamente destinate agli impianti eolici - Legittimità.
L'utilizzazione delle fonti di energia rinnovabile è
considerata di pubblico interesse e di pubblica utilità, e
le opere relative sono dichiarate indifferibili ed urgenti
(art. 12, comma 1, del d.lgs. 387/2003), anche in
considerazione del fatto che la riduzione delle emissioni di
gas ad effetto serra attraverso la ricerca, la promozione,
lo sviluppo e la maggior utilizzazione di fonti energetiche
rinnovabili e di tecnologie avanzate e compatibili con
l'ambiente costituisce un impegno internazionale assunto
dall'Italia con la sottoscrizione del Protocollo di Kyoto
dell'11 dicembre 1997. Espressione evidente di tale favor
legislativo per le fonti rinnovabili è la previsione
dell'articolo 12, comma 7, del d.lgs. 387/2003, sulla
possibilità di installare gli impianti anche in zona
agricola.
Peraltro, detta possibilità non è senza limiti. I Comuni
possono infatti prevedere, nell'esercizio della propria
discrezionalità in materia di governo del territorio, aree
specificamente destinate ad impianti eolici. Solo in
mancanza di una simile previsione conformativa, detti
impianti possono essere localizzati, senza distinzione
(almeno, per quanto riguarda la valutazione di compatibilità
urbanistica), in tutte le zone agricole (TAR Umbria,
15.07.2007, n. 518) (TAR Puglia-Bari, Sez. III,
sentenza 22.04.2009 n. 983 - link a
www.ambientediritto.it). |
EDILIZIA
PRIVATA: Mutamento
destinazione d’uso (da agricola ad artigianale).
E’ chiesto parere in merito alla legittimità
dell’accoglimento dell’istanza di permesso di costruire,
presentata da un ex imprenditore agricolo a titolo
principale ormai in pensione, volta ad ottenere il mutamento
della destinazione d’uso –da agricola ad artigianale– ex
art. 25, comma 10, L.R. n. 56/1977, di un preesistente
magazzino agricolo di proprietà (Regione Piemonte,
parere n. 12/2009 - link a
www.regione.piemonte.it). |
EDILIZIA
PRIVATA: Il
favor legislativo per le fonti rinnovabili si riverbera
sulla possibilità di installare gli impianti fotovoltaici
anche in zona agricola.
E’ infondata la censura
relativa all’assenza, in capo al Comune, del potere di
disciplinare la realizzazione e, più in particolare,
l’ubicazione degli impianti di energia rinnovabile.
Il favor legislativo per le fonti rinnovabili, che si
riverbera tra l’altro sulla possibilità di installare gli
impianti suddetti anche in zona agricola, non è infatti
senza limiti.
Ciò in quanto, ai sensi dell’art. 12, comma 7, del decreto
legislativo n. 387 del 2003, i Comuni possono certamente
prevedere, nell’esercizio della propria discrezionalità in
materia di governo del territorio, aree specificamente
destinate o meno a tal fine. La disposizione citata
sottintende proprio tale potere, laddove prevede che “nell’ubicazione
si dovrà tenere conto delle disposizioni in materia di
sostegno nel settore agricolo, con particolare riferimento
alla valorizzazione delle tradizioni agroalimentari locali,
alla tutela della biodiversità, così come del patrimonio
culturale e del paesaggio rurale” (cfr. TAR Umbria,
15.06.2007, n. 518).
Emerge dunque come le amministrazioni comunali, nel favorire
l’installazione di impianti di energia pulita, conservino in
ogni caso un certo potere discrezionale teso a disciplinare
–se del caso anche mediante atti regolamentari a carattere
generale, come nella specie– il corretto inserimento di tali
strutture nel rispetto dei fondamentali valori della
tradizione agroalimentare locale e del paesaggio rurale
(TAR Puglia-Lecce, Sez. I,
sentenza 15.01.2009 n. 59 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
URBANISTICA:
P.R.G. e P.G.T. - Zona agricola di
salvaguardia - Previsione - Legittimità - Sussistenza.
Va ritenuta la legittimità delle previsioni urbanistiche
locali che, nell'ambito della zona agricola, introducono una
disciplina edificatoria differenziata, e più restrittiva,
rispetto a quella della zona agricola tradizionale dove
potrebbero trovare applicazione diretta le prescrizioni
edificatorie di cui agli artt. 2, 3 e 4 della L.r. n.
93/1980 (nel caso di specie Zona E1 - Agricola di
salvaguardia, finalizzata di garantire distanze adeguate tra
le aree di espansione residenziale e gli edifici destinati
all'attività agricola), anche al di fuori dalle ipotesi di
cui al richiamato art. 1 comma 3 della L.r. n. 93/1980, ed
anche dopo l'entrata in vigore della L.r. n. 12/2005 che
demanda alla strumentazione urbanistica comunale (oggi Piano
delle regole) oltre all'individuazione delle aree destinate
all'agricoltura, la definizione della relativa "disciplina
d'uso, di valorizzazione e di salvaguardia" (art. 10,
comma 4, lett. a), punto 1), in conformità con quanto
previsto dagli artt. 59 ss. della stessa L.r..
La citata disposizione contiene l'inciso secondo cui detti
indici "non possono superare" i limiti ivi indicati,
che, letto in correlazione con i nuovi poteri pianificatori
comunali di cui all'art. 10, co. 4, lett. a), p.to 1, e con
il principio di sussidiarietà verticale di cui all'art. 118
Cost., porta alla conclusione che se il Comune non può
prevedere limiti superiori a quelli contenuti nell'art. 59
(in forza della norma di prevalenza ex art. 61) non per
questo allo stesso è sottratto il potere di stabilire limiti
inferiori.
Se il Legislatore regionale post riforma del Titolo V della
Costituzione avesse, infatti, voluto dettare una disciplina
edificatoria uniforme, inderogabile e direttamente
applicabile sull'intero territorio regionale (derogando
così, per esigenze unitarie, al ridetto principio di
sussidiarietà), avrebbe certamente usato espressioni chiare
e univoche, senza quindi predefinire limiti massimi di
edificabilità attraverso il richiamato art. 61 della L.r.
12/2005 (norma che, nel caso in esame, svolge solo l'ovvia
funzione generale di contenimento dell'attività edilizia in
zona agricola anche prevalendo su norme più permissive
introdotte a livello locale) (massima tratta da www.solom.it
- TAR Lombardia-Brescia,
sentenza 08.01.2009 n. 1 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
anno
2008 |
|
EDILIZIA
PRIVATA:
Costruzioni in zona agricola e qualifica
d'imprenditore agricolo.
In tema di
reati edilizi, non è sufficiente il possesso temporaneo di
fatto della qualifica d'imprenditore agricolo professionale
(art. 1, comma 5-ter, D.Lgs. 29.03.2004, n. 99) ai fini del
rilascio del permesso di costruire in zona agricola, in
quanto i requisiti soggettivi per il rilascio di tale
permesso devono esistere al momento della richiesta ed al
momento del rilascio del titolo abilitativo (Corte di
Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 15.12.2008 n. 46085 - link a
www.lexambiente.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
Comune di Sora - Parere in merito alla ammissibilità di
demolizione e ricostruzione in zona agricola con spostamento
dell'area di sedime (Regione Lazio,
parere
24.11.2008 n. 163967 di prot.). |
EDILIZIA
PRIVATA:
1. Zona agricola - Permesso di costruire
- Rilascio - Normativa - Ratio.
2. Zona agricola - Permesso di costruire - Rilascio -
Azienda Agricola - Esistenza - Interpretazione.
1.
La ratio delle disposizioni che regolano il rilascio
del permesso di costruire nelle zone agricole è quella di
far sì che l'edificazione in tali zone venga accordata solo
all'imprenditore agricolo e per la sola realizzazione di
opere funzionali alla conduzione del fondo o comunque
strumentali all'attività produttiva. Tale funzionalità
all'attività agricola è dunque il parametro base con cui
interpretare l'obbligo del Sindaco di verificare l'effettiva
esistenza ed il funzionamento dell'azienda agricola.
2.
L'accertamento da parte del Sindaco dell'effettiva esistenza
e funzionamento dell'attività agricola di cui all'art. 3
della legge regionale n. 93/1980, le cui disposizioni sono
oggi confluite nell'art. 60 della legge regionale n. 12/2005
deve soffermarsi sull'effettiva destinazione funzionale dei
manufatti progettati all'attività di produzione agricola,
indipendentemente dalla preesistenza sull'area di un'azienda
agricola, essendo sufficiente l'esistenza dell'azienda
agricola sia pure agli inizi (massima tratta da www.solom.it
- TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 17.10.2008 n.
5151). |
EDILIZIA
PRIVATA:
Zona agricola - Divieto di edificazione
di costruzioni non a servizio dell'attività agricola.
L'utilizzo di un'area agricola per il parcheggio degli
autoveicoli determina un utilizzo duraturo del territorio
quale area attrezzata per la sosta che si pone in contrasto
con la normativa tecnica di piano che vieta la realizzazione
di nuove costruzioni non a servizio dell'attività agricola
(massima tratta
da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 09.06.2008 n. 1945). |
EDILIZIA PRIVATA: Venuti
meni i requisiti soggettivi per l'edificazione gratuita in
zona gratuita appena due anni dopo l'edificazione.
Il primo motivo di ricorso, in
base al quale avendo l’immobile comunque una destinazione
residenziale non vi sarebbe il presupposto per
l’applicazione dell’art. 19, comma 3, del DPR 380/2001 e
dell’art. 52, comma 3, della LR 12/2005, non appare
condivisibile.
Le suddette norme prendono in considerazione l’uso
qualificato che deriva dalla presenza di un’azienda
agricola, e quindi presuppongono il collegamento tra
l’edificio residenziale e la coltivazione del fondo.
Se viene meno l’attività agricola a titolo principale
l’abitazione fuoriesce dalla fattispecie particolare che
giustificava la deroga al divieto di edificazione e al
principio di onerosità e acquista una destinazione
residenziale semplice, come tale sottoposta alle normali
regole previste dagli strumenti urbanistici per gli
interventi edificatori.
Solo se la perdita del collegamento con l’attività agricola
professionale avviene oltre il termine previsto dalla legge
(10 anni dall’ultimazione dei lavori) scatta una presunzione
assoluta circa il consolidamento della situazione sotto il
profilo urbanistico.
---------------
Con il secondo motivo il ricorrente lamenta la
violazione dell’art. 19, comma 3, del DPR 380/2001 e
dell’art. 52, comma 3, della LR 12/2005, in quanto il
trasferimento di proprietà avvenuto per via ereditaria
dovrebbe essere considerato irrilevante ai fini del cambio
di destinazione. Neppure questa tesi può essere condivisa.
Il regime di favore collegato alla posizione di imprenditore
agricolo a titolo principale è strettamente personale e non
si trasmette agli eredi se questi ultimi non siano a loro
volta imprenditori agricoli allo stesso titolo.
L’esenzione dagli oneri di concessione ha il proprio
fondamento nella presenza di un’azienda agricola per una
durata minima di 10 anni. Entro questo limite temporale la
normativa sopra richiamata impone che l’uso residenziale
dell’edificio sia strumentale allo svolgimento di attività
agricola professionale, e dunque i soggetti che a qualunque
titolo si succedono nella proprietà del bene devono
garantire questa condizione.
Se il nuovo proprietario non è in grado di assicurare la
continuità del suddetto collegamento tra l’edificio e
l’attività agricola professionale si riespandono le esigenze
di natura urbanistica che richiedono un bilanciamento in
termini economici tra l’utilità derivante dall’edificazione
e il peso che il nuovo edificio aggiunge al territorio.
... per l'annullamento del provvedimento del responsabile
dell’Area Tecnica prot. n. 14113 del 09.04.2004, con il
quale è stato ingiunto al ricorrente il pagamento degli
oneri di urbanizzazione primaria e secondaria e del
contributo sul costo di costruzione;
...
Il Comune di Castiglione delle Stiviere aveva rilasciato al
signor S.D.S. la concessione edilizia n. 619/2000 del
24.05.2001 per la realizzazione di una casa rurale in via
Casino Pernestano sul mappale n. 406. L’area è situata in
zona agricola. La concessione edilizia è stata rilasciata in
quanto il richiedente era imprenditore agricolo a titolo
principale. Per lo stesso motivo vi è stato esonero dal
contributo di costruzione in base alla deroga prevista
dall’art. 9, comma 1, lett. a), della legge 28.01.1977 n. 10
e dall’art. 3, comma 1, lett. a), della LR 07.06.1980 n. 93.
Il medesimo trattamento è ora previsto dall’art. 17, comma
3, del DPR 06.06.2001 n. 380 e dall’art. 60, comma 1, lett.
a), della LR 11.03.2005 n. 12.
Dopo il decesso del signor S.D.S., avvenuto il 13.03.2002,
nel titolo edilizio è subentrato il figlio M.D.S..
Quest’ultimo ha presentato una DIA in data 20.03.2002 per
realizzare una variante in corso d’opera consistente
nell’ampliamento della cantina e nella modifica di aperture,
scala e recinzione. La costruzione dell’edificio è stata
ultimata il 16.06.2002 (come risulta dalla dichiarazione di
fine lavori depositata in Comune il 10.03.2003).
Poiché il signor M.D.S. non possiede i requisiti soggettivi
per edificare in zona agricola il Comune con provvedimento
del responsabile dell’Area Tecnica prot. n. 14113 del
09.04.2004 ha ingiunto il pagamento degli oneri di
urbanizzazione primaria e secondaria e del contributo sul
costo di costruzione (complessivamente € 9.418,13). Questa
decisione si basa sul presupposto che il subentro di un
diverso soggetto nel titolo edilizio avrebbe modificato la
destinazione d’uso dell’immobile realizzando una fattispecie
assimilabile a quella dell’art. 10, comma 3, della legge
10/1977 (v. ora l’art. 19, comma 3, del DPR 380/2001 e
l’art. 52, comma 3, della LR 12/2005).
Contro il suddetto provvedimento il signor M.D.S. ha
presentato ricorso con atto notificato il 07.05.2004 e
depositato il 14.05.2004. Le censure possono essere
sintetizzate nei punti seguenti: a) travisamento dei fatti,
in quanto la destinazione dell’immobile è comunque
residenziale; b) violazione dell’art. 19, comma 3, del DPR
380/2001, in quanto il trasferimento di proprietà rilevante
sarebbe solo quello determinato dalla cessione inter
vivos. Il Comune si è costituito in giudizio chiedendo
la reiezione della domanda del ricorrente.
Il primo motivo di ricorso, in base al quale avendo
l’immobile comunque una destinazione residenziale non vi
sarebbe il presupposto per l’applicazione dell’art. 19,
comma 3, del DPR 380/2001 e dell’art. 52, comma 3, della LR
12/2005, non appare condivisibile. Le suddette norme
prendono in considerazione l’uso qualificato che deriva
dalla presenza di un’azienda agricola, e quindi
presuppongono il collegamento tra l’edificio residenziale e
la coltivazione del fondo. Se viene meno l’attività agricola
a titolo principale l’abitazione fuoriesce dalla fattispecie
particolare che giustificava la deroga al divieto di
edificazione e al principio di onerosità e acquista una
destinazione residenziale semplice, come tale sottoposta
alle normali regole previste dagli strumenti urbanistici per
gli interventi edificatori. Solo se la perdita del
collegamento con l’attività agricola professionale avviene
oltre il termine previsto dalla legge (10 anni
dall’ultimazione dei lavori) scatta una presunzione assoluta
circa il consolidamento della situazione sotto il profilo
urbanistico.
Il fatto che il ricorrente abbia acquisito l’iscrizione nel
registro delle imprese come imprenditore agricolo a
decorrere dal 10.05.2002 non è sufficiente a garantire la
continuità dell’originario titolo di esenzione dagli oneri
di concessione, in quanto non è dimostrato che l’attività
agricola sia svolta a titolo principale secondo i parametri
individuati dalla Regione (DGR 02.07.2001 n. 7/5326 e
successive modifiche).
Con il secondo motivo il ricorrente lamenta la
violazione dell’art. 19, comma 3, del DPR 380/2001 e
dell’art. 52, comma 3, della LR 12/2005, in quanto il
trasferimento di proprietà avvenuto per via ereditaria
dovrebbe essere considerato irrilevante ai fini del cambio
di destinazione. Neppure questa tesi può essere condivisa.
Il regime di favore collegato alla posizione di imprenditore
agricolo a titolo principale è strettamente personale e non
si trasmette agli eredi se questi ultimi non siano a loro
volta imprenditori agricoli allo stesso titolo. L’esenzione
dagli oneri di concessione ha il proprio fondamento nella
presenza di un’azienda agricola per una durata minima di 10
anni. Entro questo limite temporale la normativa sopra
richiamata impone che l’uso residenziale dell’edificio sia
strumentale allo svolgimento di attività agricola
professionale, e dunque i soggetti che a qualunque titolo si
succedono nella proprietà del bene devono garantire questa
condizione. Se il nuovo proprietario non è in grado di
assicurare la continuità del suddetto collegamento tra
l’edificio e l’attività agricola professionale si
riespandono le esigenze di natura urbanistica che richiedono
un bilanciamento in termini economici tra l’utilità
derivante dall’edificazione e il peso che il nuovo edificio
aggiunge al territorio.
Il ricorso deve quindi essere respinto (TAR
Lombardia-Brescia,
sentenza 03.06.2008 n. 595
- link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA: Imprenditore
agricolo - Esenzione oneri di concessione - Strettamente
personale - Eredi - Intrasmissibilità.
Il regime di favore collegato alla posizione di imprenditore
agricolo a titolo principale è strettamente personale e non
si trasmette agli eredi se questi ultimi non siano a loro
volta imprenditori agricoli allo stesso titolo. L'esenzione
dagli oneri di concessione ha il proprio fondamento nella
presenza di un'azienda agricola per una durata minima di 10
anni. Entro questo limite temporale la normativa sopra
richiamata impone che l'uso residenziale dell'edificio sia
strumentale allo svolgimento di attività agricola
professionale, e dunque i soggetti che a qualunque titolo si
succedono nella proprietà del bene devono garantire questa
condizione. Se il nuovo proprietario non è in grado di
assicurare la continuità del suddetto collegamento tra
l'edificio e l'attività agricola professionale si
riespandono le esigenze di natura urbanistica che richiedono
un bilanciamento in termini economici tra l'utilità
derivante dall'edificazione e il peso che il nuovo edificio
aggiunge al territorio
(massima tratta
da www.solom.it - TAR Lombardia-Brescia,
sentenza 03.06.2008 n. 595
- link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
Quesito 8 -
Il regime di favore collegato alla posizione di imprenditore
agricolo a titolo principale è strettamente personale e non
si trasmette agli eredi (Geometra Orobico n.
5/2008). |
EDILIZIA
PRIVATA: Problematiche
su istanza di costruzione in zona agricola.
Viene posto un quesito in ordine all’esenzione dal
contributo di costruzione prevista dall’art. 17, c. II,
lett. a) del D.P.R. 380/2001, recante Testo Unico
dell’edilizia.
Il caso concreto è il seguente.
Una società semplice, avente quale oggetto sociale
l’attività agricola, ha presentato istanza di permesso di
costruire volta alla realizzazione di strutture rurali,
oltre che di tre abitazioni. La società è composta di tre
soci, dei quali uno solo ha la qualifica di imprenditore
agricolo professionale.
Il Comune territorialmente competente chiede di conoscere se
tutte tre le residenze potranno beneficiare dell’esonero dal
contributo concessorio di cui al citato art. 17, c. II,
lett. a) D.P.R. 380/2001, a mente del quale il contributo di
costruzione non è dovuto “per gli interventi da
realizzare nelle zone agricole, ivi comprese le residenze,
in funzione della conduzione del fondo e delle esigenze
dell’imprenditore agricolo a titolo principale” (Regione
Piemonte,
parere n. 70/2008 - link a
www.regione.piemonte.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
Quesito 8 -
Possibilità di utilizzo di terreno inserito in zona agricola
ai fini insediativi di unità produttiva
(Geometra Orobico n. 2/2008). |
EDILIZIA
PRIVATA:
La destinazione di zona agricola è
compatibile con la realizzazione di impianti a rete di
urbanizzazione primaria (quali cavidotti, condutture del
gas, elettrodotti, impianti di telefonia, anche mobile, reti
fognarie, etc.).
Per giurisprudenza pacifica la destinazione di zona agricola
è compatibile con la realizzazione di impianti a rete di
urbanizzazione primaria (quali cavidotti, condutture del
gas, elettrodotti, impianti di telefonia, anche mobile, reti
fognarie, etc.).
Altrimenti opinando, e guardando al caso di specie in esame,
l’allacciamento della rete fognaria cittadina con gli
impianti di depurazione, che sono normalmente ubicati fuori
dal centro abitato, sarebbe praticamente impossibile.
Il generico richiamo a pretese norme tecniche di attuazione
del p.r.g. –non indicate, né precisate in ricorso– al di là
della genericità della prospettazione, risulta comunque
superabile in base a un’interpretazione logico-sistematica
della disciplina urbanistica che, comunque, non può condurre
ad esiti aberranti, quali l’impossibilità di collegare la
rete fognaria a quella di collettamento e depurazione (TAR
Campania-Napoli, Sez. V,
sentenza 04.04.2008 n. 1858 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
OGGETTO: Applicazione dell’art. 17, comma 3, lett. b) del
D.P.R. 06.06.2001, n. 380.
Si risponde al quesito di cui all’oggetto -inviato dal
Comune al Servizio legislativo e affari istituzionali e da
questo trasmesso per competenza al Servizio governo del
territorio- con il quale si chiede se per la
ristrutturazione di un fabbricato colonico unifamiliare in
zona agricola, in conformità ai disposti del censimento dei
fabbricati rurali e senza aumento di volumetria ”da parte
di un soggetto non avente i requisiti di coltivatore
agricolo a titolo principale” si “debba procedere al
rilascio del Permesso di Costruire a titolo gratuito ai
sensi dell’art. 17, comma 3, lettera b), della L. 10/1977 (rectius:
del D.P.R. n. 380/2001) o se si debba richiedere il
pagamento degli oneri concessori in riferimento al cambio di
destinazione d’uso, da edificio rurale a civile abitazione”
(Regione Marche,
parere 19.03.2008 n. 83/2008). |
EDILIZIA
PRIVATA: La
destinazione a zona E agricola non è imposta necessariamente
ai fini della salvaguardia di interessi agricoli, ma come
mezzo di disciplina urbanistica del territorio allo scopo di
evitare addensamenti edilizi ed espansioni pregiudizievoli
ad un corretto insediamento urbano del territorio, anche a
fini di tutela ambientale.
Per il rilascio di un permesso di costruire in zona
agricola, occorre accertare la compatibilità di un
intervento con le specifiche previsioni urbanistiche vigenti
in quel territorio, per cui, ove il P.R.G. consenta soltanto
le costruzioni necessarie per la conduzione agricola, va
verificata in concreto la sussistenza di un’effettiva ed
obiettiva connessione funzionale dell’opera da realizzare,
tenendo conto da una parte delle caratteristiche
dell’edificio e dall’altra delle esigenze agricole da
soddisfare.
La realizzazione di un parco-giochi non può ontologicamente
rientrare nella categoria delle costruzioni necessarie per
la conduzione agricola dei terreni né può comunque
considerarsi complementare all’attività agricola, ma, anzi,
con la stessa in potenziale conflitto.
Non ignora il Collegio che, di
regola, in sede di pianificazione urbanistica, la
destinazione a zona E agricola non è imposta necessariamente
ai fini della salvaguardia di interessi agricoli, ma come
mezzo di disciplina urbanistica del territorio allo scopo di
evitare addensamenti edilizi ed espansioni pregiudizievoli
ad un corretto insediamento urbano del territorio, anche a
fini di tutela ambientale (cfr., tra le tante, Consiglio di
Stato, Sezione V, 23.01.2007, n. 192; Sezione IV,
14.10.2005, n. 5713 e 25.05.1998, n. 869).
Tuttavia, è stato anche precisato che, per il rilascio di un
permesso di costruire in zona agricola, occorre accertare la
compatibilità di un intervento con le specifiche previsioni
urbanistiche vigenti in quel territorio, per cui, ove il
P.R.G. consenta soltanto le costruzioni necessarie per la
conduzione agricola, va verificata in concreto la
sussistenza di un’effettiva ed obiettiva connessione
funzionale dell’opera da realizzare, tenendo conto da una
parte delle caratteristiche dell’edificio e dall’altra delle
esigenze agricole da soddisfare (cfr. Consiglio di Stato,
Sezione V, 15.01.2003, n. 156; 20.12.2001, n. 6327).
La realizzazione di un parco-giochi non può ontologicamente
rientrare nella categoria delle costruzioni necessarie per
la conduzione agricola dei terreni né può comunque
considerarsi complementare all’attività agricola, ma, anzi,
con la stessa in potenziale conflitto. La rilevante
struttura realizzata, per qualità, quantità ed estensione è
tale, infatti, da alterare l’assetto agricolo della zona,
anche di riflesso, per il conseguente rilevante carico di
traffico veicolare, in grado di incidere significativamente
sulla stessa conduzione dell’attività agricola dei fondi
gravitanti nella zona oggetto di intervento
(TAR Campania-Napoli, Sez.
II,
sentenza 07.03.2008 n. 1172 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA: Possibilità
zona agricola per utilizzazione attività di aeromodellismo.
Il Comune XXX chiede un chiarimento in merito alla
possibilità di assentire in zona agricola interventi
funzionali all’utilizzazione di un’area per l’attività di
aeromodellismo (Regione Piemonte,
parere n. 16/2008 - link a
www.regione.piemonte.it). |
anno
2007 |
|
URBANISTICA:
1. Contraddittorietà tra provvedimenti - Contrasto tra
atti di uno stesso procedimento - Sussiste.
2. Zona agricola - Variante che attribuisce ad un'area tale
connotato - Valori dell'ambiente e del paesaggio.
3. Motivazione più incisiva, singolare e specifica degli
strumenti urbanistici generali - Fattispecie.
1. Il vizio di contraddittorietà tra provvedimenti
può configurarsi in caso di contrasto tra atti di uno stesso
procedimento, non tra atti di distinti ed autonomi
procedimenti (Cons. Stato 2^, 10.07.1996 n. 962/1994); il
vizio non è ravvisabile, in particolare, rispetto ad atti
che siano stati o caducati dalla stessa Amministrazione,
nell'esercizio dello jus poenitendi, o superati da nuovi
provvedimenti, in esito ad una rinnovata valutazione della
vicenda (cfr. TAR Milano 17.04.2007 n. 1788).
2. Secondo costante giurisprudenza la zona agricola
possiede anche valenza conservativa dei valori
naturalistici, nonché funzione di contenimento
dell'espansione dell'aggregato urbano, sicché una variante
che attribuisca ad un'area tale connotato non richiede una
diffusa analisi argomentativa, avuto riguardo ai valori
dell'ambiente e del paesaggio, che sono fondamentali a mente
della Carta costituzionale (cfr. Cons. Stato IV 31.01.2005
n. 259).
3. Una motivazione più incisiva, singolare e
specifica degli strumenti urbanistici generali si impone
nelle seguenti fattispecie:
a) superamento degli standard minimi di cui al d.m.
02.04.1968;
b) lesione dell'affidamento qualificato del privato
derivante da convenzioni di lottizzazione, accordi di
diritto privato intercorso tra il Comune e i proprietari
delle aree, aspettative nascenti da giudicati di
annullamento di dinieghi di concessione edilizi o di
silenzio-rifiuto su una domanda di concessione;
c) modificazione in zona agricola della destinazione di
un'area limitata, interclusa da fondi edificati in modo non
abusivo (cfr. Cons. Stato IV 05.08.2005 n. 4166, 30.06.2005
n. 3524, 22.05.2000 n. 2934) (TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 10.10.2007 n. 5834
- massima tratta da www.solom.it - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
OGGETTO: Intervento di ristrutturazione edilizia e
possibilità dì spostamento del fabbricato.
Il Comune chiede se un fabbricato ex colonico “in zona
agricola all’interno di una zona individuata dal PAI come
area di dissesto idrogeologico F - 07 - 0313 con grado di
pericolosità elevata P3”, il quale insiste su di un
terreno di circa 4-5 ettari che “in parte risulta
ricompreso all’interno della zona in frana e in parte no”,
possa essere oggetto di un intervento di ristrutturazione
attraverso la demolizione “e la sua ricostruzione,
rispettandone la stessa sagoma e volumetria, ma posizionato
in altro sito al di fuori della zona definita in dissesto
dal PAI, con il rispetto della distanza dai confini” e
sempre all’interno del terreno di pertinenza che si trova
interamente nella zona agricola ai sensi del vigente PRG,
nella quale sono ammessi tutti gli interventi edilizi
previsti dalla L.R. n. 13/1990.
Il Comune ritiene che tale intervento possa essere
considerato di “ristrutturazione” ai sensi del D.P.R.
n. 380/2001 e successive modifiche ed integrazioni, in
quanto con l’entrata in vigore di questo “nella
ristrutturazione è stato compreso anche l’intervento di
demolizione e ricostruzione con la stessa volumetria e
sagoma senza un chiaro richiamo all’area di sedime” e la
Circolare del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti
del 07.08.2003, n. 4174/316/26 “con cui si è cercato di
chiarire il rispetto dell’area di sedime, con l’intento di
escludere la possibilità di ricostruire il fabbricato in
altro sito, ovvero posizionarlo all’interno dello stesso
lotto in maniera del tutto discrezionale, poiché in caso
contrario non si avrebbe più un intervento di recupero”,
precisa tuttavia che resta possibile nel diverso
posizionamento dell’edificio “adeguarsi alle disposizioni
contenute nella strumentazione urbanistica vigente per
quanto attiene allineamenti, distanze e distacchi”
(Regione Marche,
parere 09.08.2007 n. 60/2007). |
EDILIZIA
PRIVATA:
In zona agricola
non è applicabile la normativa della cosiddetta “legge
Tognoli” che consente la realizzazione di autorimesse nel
sottosuolo anche in deroga gli strumenti urbanistici,
essendo questa consentita solo nelle zone residenziali, e
ciò a prescindere dall'ulteriore considerazione postulante
l'esclusione della deroga in presenza di vincoli ambientali.
Va poi ribadito che trattandosi di intervento in zona
agricola non è applicabile, per giurisprudenza pacifica, la
normativa della cosiddetta “legge Tognoli” che
consente la realizzazione di autorimesse nel sottosuolo
anche in deroga gli strumenti urbanistici, essendo questa
consentita solo nelle zone residenziali, e ciò a prescindere
dall'ulteriore considerazione postulante l'esclusione della
deroga in presenza di vincoli ambientali (TAR Veneto, Sez.
II,
sentenza 02.05.2007 n. 1331 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA: Compatibilità
piano regolatore comunale su richiesta di opera edilizia di
azienda privata.
Secondo quanto enunciato nella richiesta di parere del
Comune XXX, i termini della questione sono i seguenti:
- un’azienda ha richiesto al Comune parere preventivo in
ordine alla possibilità di destinare un’area sita in zona
agricola a deposito temporaneo di materiali terrosi/pietrosi
non costituenti rifiuti;
- la Commissione Edilizia, interpellata sul punto, ha
espresso parere contrario, ritenendo che siffatta attività
non sia riconducibile ad alcuno degli interventi consentiti
dal Piano Regolatore nelle zone destinate ad usi agricoli;
- sono però insorti dubbi in merito alla possibilità di
ricondurre nel novero degli “interventi di trasformazione
urbanistica o edilizia” la creazione di un deposito
temporaneo di materiali, poiché tale fatto non pare produrre
alcuna significativa trasformazione del territorio rilevante
(appunto) a livello urbanistico e/o edilizio.
Dovendo comunque il Comune fornire univoca risposta
all’azienda, si domanda quale sia l’esatta natura
dell’opera, ossia se essa concreti una trasformazione
urbanistico–edilizia del territorio subordinata alla
verifica di compatibilità con le previsioni del PRGC e
soggetta all’obbligo di un titolo abilitativo edilizio
(Regione Piemonte,
parere n. 20/2007 - link a
www.regione.piemonte.it). |
anno
2006 |
|
URBANISTICA: Destinazione
a zona agricola - Finalità di tutela ambientale.
Osservazioni al P.R.G. - Reiezione - Motivazione - Obbligo -
Non sussiste.
L'attribuzione ad una data area della destinazione a zona
agricola ben può essere dettata da finalità di tutela
ambientale. Essendo le osservazioni presentate nei riguardi
del P.R.G. dei semplici apporti collaborativi, la loro
reiezione non richiede una specifica motivazione e ciò
quand'anche esse siano state accettate con deliberazione del
consiglio comunale.
Tale conclusione si giustifica con il fatto che le
osservazioni dei privati al P.R.G. adottato, seppur
accettate dal Comune, non entrano a far parte del Piano se
non a seguito del loro eventuale recepimento nello strumento
urbanistico per effetto di una specifica modifica che l'Ente
territoriale a ciò deputato -di regola la Regione- ritenga
di apportarvi (TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 24.11.2006 n. 2847
- massima tratta da www.solom.it - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
URBANISTICA:
Modifiche al P.R.G. in sede regionale e destinazione a
zona agricola.
L’art. 10, secondo
comma, lett. c), della l. n. 1150/1942 prevede il potere
della Regione di proporre le modifiche d’ufficio al P.R.G.
riconosciute indispensabili per assicurare la tutela del
paesaggio, nonché di complessi storici, monumentali,
ambientali ed archeologici. La giurisprudenza costante
afferma che l’attribuzione ad una data area della
destinazione a zona agricola ben può essere dettata da
finalità di tutela ambientale.
Se ne desume che l’attribuzione ad opera della Regione, in
sede di proposta di modifiche d’ufficio del P.R.G., al
terreno di proprietà della ricorrente, della destinazione a
zona agricola sia pienamente riconducibile alla previsione
di cui all’art. 10, secondo comma, lett. c), della l. n.
1150/1942.
Sul punto va anzi aggiunto che la riconduzione della
fattispecie in esame all’art. 10, secondo comma, lett. c),
della l. n. 1150/1942 dimostra, altresì, che la doglianza
basata sull’asserito carattere di innovazione sostanziale
della modifica contestata, oltre che non decisiva, è anche
infondata. Infatti, secondo la costante giurisprudenza, le
modifiche finalizzate –com’è nel caso di specie– alla tutela
dell’ambiente e del paesaggio, essendo, per l’appunto,
distintamente previste dalla lett. c) del secondo comma
dell’art. 10 cit., non soggiacciono al limite concernente il
divieto di innovazioni sostanziali posto dalla prima parte
del secondo comma del medesimo art. 10
(TAR
Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 24.11.2006 n. 2847
- link a www.altalex.com). |
EDILIZIA PRIVATA:
Realizzazione di box a servizio di un canile -
Destinazione “zona agricola” - Incompatibilità urbanistica
oggettiva e assoluta - Esclusione - Permesso di costruire -
Diniego - Illegittimità - Fattispecie.
In materia urbanistica, non è configurabile una pretesa
incompatibilità urbanistica oggettiva e assoluta tra la
destinazione agricola e la realizzazione di box a servizio
del canile, sia in quanto la destinazione agricola di una
zona comporta che la stessa non può essere destinata ad
insediamento abitativo residenziale, ma non preclude
l'installazione di opere che nulla hanno a che vedere con la
localizzazione della residenza della popolazione, sia in
quanto, per ovvie ragioni, un ricovero per cani randagi è
preferibile che venga ubicato in aperta campagna e quindi in
zona agricola, salvo che il piano regolatore generale non
preveda apposite localizzazioni (cfr., circa la
compatibilità di un canile municipale con la destinazione a
zona agricola, Consiglio di Stato, IV Sezione, 31.01.2005,
n. 253).
Nella specie, è stato ritenuto illegittimo il provvedimento
che negava il rilascio del permesso di costruire, per la
realizzazione di 21 box destinati al ricovero di cani
randagi, sul presupposto che “la zona interessata è
classificata secondo il vigente P.R.G. come Zona E Agricola
e viabilità esistente” e che le norme tecniche di
attuazione, di detta zona, non contemplano l’intervento
richiesto (TAR Campania-Napoli, Sez. II,
sentenza 21.11.2006 n. 10065 - link a
www.ambientediritto.it). |
EDILIZIA
PRIVATA: Sui
mutamenti di destinazione d’uso di fabbricati in zona
agricola.
Le particelle
interessate da un intervento di cambiamento dell’uso di una
porzione di immobile su di esse insistente (da residenza
civile ad attività artigianale, gommista) ed inserite in
zona "E1 agricola" (nella quale è prevista la
realizzazione di immobili ad uso di residenza o di servizi
strettamente legati al fondo agricolo) vedono preclusa la
realizzazione di immobili per lo svolgimento di attività
artigianale, per cui la stessa destinazione non può essere
ottenuta in sede di cambio d’uso (TAR
Campania-Salerno, Sez. II,
sentenza 17.11.2006 n. 2059
- link a www.altelex.com). |
EDILIZIA
PRIVATA:
Comune di Cerveteri - Parere in merito alla sanabilità del
cambio di destinazione d'uso da agricolo a residenziale ed
altre casistiche (Regione Lazio,
parere
10.11.2006 n. 133863 di prot.). |
EDILIZIA
PRIVATA:
Comune di Sabaudia - parere in merito alla legittimazione
dell'affittuario imprenditore agricolo ad ottenere il
rilascio del permesso di costruire (Regione Lazio,
parere
30.10.2006 n. 136839 di prot.). |
anno
2005 |
|
EDILIZIA PRIVATA:
OGGETTO: parere in merito localizzazione canile in zona
agricola (Provincia di Pesaro e Urbino,
parere 13.12.2005 n. 41339 di prot.). |
URBANISTICA: a)
le scelte effettuate dall'amministrazione nell'adozione del
piano costituiscono apprezzamento di merito sottratto al
sindacato di legittimità, salvo che non siano inficiate da
errori di fatto o da abnormi illogicità;
b) in occasione della formazione di uno strumento
urbanistico generale, le scelte discrezionali
dell’amministrazione, riguardo alla destinazione di singole
aree, non necessitano di apposita motivazione, oltre quella
che si può evincere dai criteri generali -di ordine tecnico
discrezionale- seguiti nell’impostazione del piano stesso,
essendo sufficiente l'espresso riferimento alla relazione di
accompagnamento al progetto di modificazione al piano
regolatore generale, salvo che particolari situazioni non
abbiano creato aspettative o affidamenti in favore di
soggetti le cui posizioni appaiano meritevoli di specifiche
considerazioni.
---------------
Le evenienze che giustificano una più incisiva e singolare
motivazione degli strumenti urbanistici generali, sono
state, segnatamente, individuate dalla giurisprudenza di
questo Consiglio:
a) nel superamento degli standards minimi di cui al d.m.
02.04.1968, con l'avvertenza che la motivazione ulteriore va
riferita esclusivamente alle previsioni urbanistiche
complessive di sovradimensionamento, e non anche con
riguardo alla destinazione di zona di determinate aree;
b) nella lesione dell'affidamento qualificato del privato, a
sua volta integrato dalla conclusione di convenzioni di
lottizzazione o di accordi di diritto privato intercorsi tra
il comune e i proprietari delle aree, ovvero da aspettative
nascenti da giudicati di annullamento di dinieghi di
concessione edilizia o di silenzio-rifiuto su domande di
concessione;
c) nella modificazione in zona agricola della destinazione
di un'area limitata, interclusa da fondi edificati in modo
non abusivo.
L'indirizzo di politica urbanistica espresso negli strumenti
generali di pianificazione implica importanti conseguenze
(di seguito illustrate) in ordine ai limiti del sindacato di
legittimità del giudice amministrativo ed al contenuto della
motivazione in concreto indispensabile, specie in
considerazione di quanto previsto dal comma 2 dell’art. 3
della legge 07.08.1990, n. 241, là dove esclude,
dall’obbligo di motivazione, gli atti normativi e quelli a
contenuto generale (nel cui novero rientra lo strumento
urbanistico generale).
In coerenza con i caratteri, appena segnalati, delle
determinazioni pianificatorie, si è, in particolare,
affermato che:
a) le scelte effettuate dall'amministrazione nell'adozione
del piano costituiscono apprezzamento di merito sottratto al
sindacato di legittimità, salvo che non siano inficiate da
errori di fatto o da abnormi illogicità (cfr. ex multis,
Cons. St., sez. IV, 08.02.1999, n. 121);
b) in occasione della formazione di uno strumento
urbanistico generale, le scelte discrezionali
dell’amministrazione, riguardo alla destinazione di singole
aree, non necessitano di apposita motivazione, oltre quella
che si può evincere dai criteri generali -di ordine tecnico
discrezionale- seguiti nell’impostazione del piano stesso
(Cons. St., ad. plen., 22.12.1999, n. 24; sez. IV,
19.01.2000, n. 245; sez. IV, 24.12.1999, n. 1943; sez. IV,
02.11.1995, n. 887, sez. IV, 25.02.1988, n. 99), essendo
sufficiente l'espresso riferimento alla relazione di
accompagnamento al progetto di modificazione al piano
regolatore generale, salvo che particolari situazioni non
abbiano creato aspettative o affidamenti in favore di
soggetti le cui posizioni appaiano meritevoli di specifiche
considerazioni.
Le evenienze che giustificano una più incisiva e singolare
motivazione degli strumenti urbanistici generali, sono
state, segnatamente, individuate dalla giurisprudenza di
questo Consiglio (Ad. plen. n. 24 del 1999 cit.):
a) nel superamento degli standards minimi di cui al d.m.
02.04.1968, con l'avvertenza che la motivazione ulteriore va
riferita esclusivamente alle previsioni urbanistiche
complessive di sovradimensionamento, e non anche con
riguardo alla destinazione di zona di determinate aree (come
infondatamente sostenuto, nella fattispecie, dalla Casal
Brunori);
b) nella lesione (parimenti non ricorrente nella specie)
dell'affidamento qualificato del privato, a sua volta
integrato dalla conclusione di convenzioni di lottizzazione
o di accordi di diritto privato intercorsi tra il comune e i
proprietari delle aree, ovvero da aspettative nascenti da
giudicati di annullamento di dinieghi di concessione
edilizia o di silenzio-rifiuto su domande di concessione
(Cons. St., ad. plen., n. 24 del 1999 cit.; 08.01.1986, n.
1);
c) nella modificazione (anche questa non ravvisabile nella
fattispecie in esame) in zona agricola della destinazione di
un'area limitata, interclusa da fondi edificati in modo non
abusivo (Cons. St., sez. IV, 09.04.1999, n. 594)
(Consiglio di Stato, Sez.
IV,
sentenza 20.09.2005 n. 4818 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
URBANISTICA: La
zona agricola, o, comunque, destinata a verde pubblico,
possiede anche una valenza conservativa dei valori
naturalistici, venendo a costituire il polmone
dell’insediamento urbano ed assumendo -per tale via- la
funzione decongestionante e di contenimento dell’espansione
dell’aggregato urbano.
Che la zona agricola, o,
comunque, destinata a verde pubblico, possieda anche una
valenza conservativa dei valori naturalistici, venendo a
costituire il polmone dell’insediamento urbano ed assumendo
-per tale via- la funzione decongestionante e di
contenimento dell’espansione dell’aggregato urbano, risulta,
inoltre, principio espresso dalla giurisprudenza di questo
Consiglio ormai da alcuni lustri ( Cons. St., sez. IV, n.
245 del 2000 cit.; n. 1943 del 1999 cit.; 13.03.1998, n.
431; sez. IV, 01.10.1997, n. 1059; sez. IV, 28.09.1993, n.
968; sez. IV, 01.06.1993, n. 581; sez. V, 19.09.1991, n.
1168; sez. IV, 11.06.1990, n. 464, sez. IV, 17.01.1989, n.
5)
(Consiglio di Stato, Sez.
IV,
sentenza 20.09.2005 n. 4818 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Parte
ricorrente ha richiamato precedenti giurisprudenziali del
Consiglio di Stato con i quali è stato affermato quanto
segue:
● “La destinazione ad area agricola del terreno interessato
non è sufficiente a giustificare il diniego di
autorizzazione all'esercizio di una discarica per rifiuti
solidi urbani, giacché la classificazione di aree come
agricole non impone un obbligo di utilizzazione effettiva in
tal senso e consente, di regola, interventi edilizi di vario
genere, sicché, nell'ambito e nei limiti delle prescrizioni
di zona, e salve diverse previsioni normative, può risultare
non incompatibile la realizzazione di un impianto di
discarica che, per ovvie ragioni, non può che essere ubicato
in aperta campagna e quindi in zona agricola, se il piano
regolatore generale non preveda apposite localizzazioni”.
● “La destinazione a zona agricola di un'area ove non
insistano vincoli ambientali o paesistici non impone, in
positivo, un obbligo specifico di utilizzazione effettiva in
tal senso, bensì, in negativo, ha solo lo scopo di evitare
insediamenti residenziali, per cui detta destinazione non
costituisce ostacolo alla realizzazione di una discarica, al
pari di tutte le opere che non riguardano l'edilizia
residenziale e che si rivelino anzi necessariamente da
realizzare in aperta campagna, senza che per ciò occorra una
previa variante di destinazione urbanistica”.
● “La zona destinata a verde agricolo è suscettibile di usi
anche diversi dalla coltivazione dei fondi e tale
destinazione non è di ostacolo alla realizzazione di opere
che non implichino l'ampliamento degli insediamenti
abitativi. Tuttavia tali vocazioni differenziate e
complementari devono trovare la loro legittima causa in un
atto pianificatorio approvato ed efficace”.
● “L’esercizio dell'attività di discarica di rifiuti e gli
interventi costruttivi intesi all'ampliamento di
quest'ultimo non sono di per sé incompatibili con la
destinazione agricola impressa dallo strumento urbanistico
alla zona in cui essa è ubicata -e, pertanto, è illegittimo
il diniego di concessione edilizia statuito con riferimento
a tale destinazione-, perché la classificazione agricola
dell'area in questione non ne impone un obbligo di
utilizzazione in tal senso, consentendo piuttosto interventi
edilizi di vario genere, qual è, appunto, l'insediamento di
una discarica che, per sua natura, non può essere ubicato
che in aperta campagna, laddove il piano regolatore non ne
preveda altra localizzazione”.
La sezione deve evidenziare che in nessuna delle pronunce
sopra riportate si afferma che nelle zone in esame erano
consentite esclusivamente attività edilizie connesse
all’esercizio dell’agricoltura.
La sezione ritiene che l’orientamento giurisprudenziale or
ora richiamato possa trovare applicazione solo quando la
disciplina urbanistica classifichi come agricola una
determinata zona, senza null’altro aggiungere.
Ma quando, come nel caso, di specie, la disciplina dispone
in positivo che è consentita l’edificazione al solo servizio
delle attività agricole, resta preclusa qualsiasi altra
attività.
Tale previsione può ritenersi astrattamente illegittima, ma
(se tale) va impugnata indicando (ciò che non è stato fatto)
le norme o i principi che inibiscono all’amministrazione di
imprimere una determinata conformazione al territorio
escludendo qualsiasi attività costruttiva diversa da quelle
al solo servizio delle attività agricole.
... PER L’ANNULLAMENTO della nota del 09/05/2003, n. 11086
con cui il responsabile UTC del Comune di S. Antimo (Napoli)
ha respinto l’istanza per il rilascio di concessione
edilizia presentata dal ricorrente per la realizzazione di
un autolavaggio.
...
Il ricorrente, in data 03.10.2002, presentava istanza per
ottenere una con-cessione edilizia per la realizzazione di
un autolavaggio.
Nella relazione tecnica allegata, a firma del progettista
geometra Antonio Allocca) si affermava che: “Tale
stazione di autolavaggio nascerà in con-formità al DLGS
dell’11/02/1998, n. 32 come deliberato nella dicitura
stazione di servizio, che la stessa può essere edificata
anche nella fascia di rispetto stradale ed in terreni
agricoli, a condizione che venga demolita una volta
smantellato l’impianto di che trattasi (vedi Bollettino
Ufficiale della Regione Campania 07.02.2000, n. 7:
deliberazione di Giunta Regionale 30.12.1999, n. 8835)”.
La deliberazione regionale, or ora richiamata, disciplina i
“Criteri, requisiti e caratteristiche delle aree sulle
quali possono essere installati gli impianti di
distribuzione di carburanti (a. 2, c. 1, del DLGS
11.02.1998, n. 32, modificato ed integrato dal DLGS
08.09.1999, n. 346 e dal D.L. 29.10.1999, n. 383).
Intervento sostitutivo regionale”.
Il provvedimento impugnato motiva ampiamente il diniego
assumendo che l’intervento da realizzare potesse essere
equiparato ad una stazione di servizio e ciò perché, al fine
di ottenere il rilascio della concessione, il ricorrente
aveva esplicitamente invocato la disciplina contenuta nella
deliberazione della Regione Campania. La sezione ritiene che
tale parte del provvedimento debba ritenersi superflua
perché la richiesta avanzata dal ricorrente riguardava un
autolavaggio e non una stazione di servizio.
Resta quindi da esaminare l’ulteriore parte della
motivazione con la quale si afferma che “le opere di cui
al progetto allegato all’istanza del ricorrente devono
considerarsi a tutti gli effetti attività produttive e come
tali non compatibili con la destinazione agricola prevista
dal vigente P.R.G. approvato con D.P.G.R. 4586/1977, né con
la destinazione E1 (agricola ordinaria) prevista nel P.R.G.
adottato con deliberazione del Commissario Straordinario del
07.04.2003, n. 82”.
Dalla documentazione acquisita agli atti del giudizio
risulta che nella zona E è consentita l’edificazione al solo
servizio delle attività agricole.
La sezione deve subito evidenziare che le argomentazioni
svolte nella memoria depositata dall’amministrazione in data
12.11.2004 (in ordine all’insalubrità dell’intervento ai
sensi dell’articolo 60 delle NTA) non possono essere
esaminate in quanto costituiscono un’inammissibile
integrazione della motivazione del provvedimento impugnato
che potrà essere riadottato dal Comune di S. Antimo anche al
fine di consentire un’appropriata tutela giurisdizionale
dell’interessato.
Con memoria depositata in data 12.11.2004 parte ricorrente
ha richiamato precedenti giurisprudenziali del Consiglio di
Stato con i quali è stato affermato quanto segue:
●
“La destinazione ad area agricola del terreno interessato
non è sufficiente a giustificare il diniego di
autorizzazione all'esercizio di una discarica per rifiuti
solidi urbani, giacché la classificazione di aree come
agricole non impone un obbligo di utilizzazione effettiva in
tal senso e consente, di regola, interventi edilizi di vario
genere, sicché, nell'ambito e nei limiti delle prescrizioni
di zona, e salve diverse previsioni normative, può risultare
non incompatibile la realizzazione di un impianto di
discarica che, per ovvie ragioni, non può che essere ubicato
in aperta campagna e quindi in zona agricola, se il piano
regolatore generale non preveda apposite localizzazioni”
(Consiglio Stato, V, 18.03.2002, n. 1557).
●
“La destinazione a zona agricola di un'area ove non
insistano vincoli ambientali o paesistici non impone, in
positivo, un obbligo specifico di utilizzazione effettiva in
tal senso, bensì, in negativo, ha solo lo scopo di evitare
insediamenti residenziali, per cui detta destinazione non
costituisce ostacolo alla realizzazione di una discarica, al
pari di tutte le opere che non riguardano l'edilizia
residenziale e che si rivelino anzi necessariamente da
realizzare in aperta campagna, senza che per ciò occorra una
previa variante di destinazione urbanistica” (C.S., V,
15.06.2001, n. 3178).
●
“La zona destinata a verde agricolo è suscettibile di usi
anche diversi dalla coltivazione dei fondi e tale
destinazione non è di ostacolo alla realizzazione di opere
che non implichino l'ampliamento degli insediamenti
abitativi. Tuttavia tali vocazioni differenziate e
complementari devono trovare la loro legittima causa in un
atto pianificatorio approvato ed efficace” (C.S., IV,
10.02.2000, n. 721).
●
“L’esercizio dell'attività di discarica di rifiuti e gli
interventi costruttivi intesi all'ampliamento di
quest'ultimo non sono di per sé incompatibili con la
destinazione agricola impressa dallo strumento urbanistico
alla zona in cui essa è ubicata -e, pertanto, è illegittimo
il diniego di concessione edilizia statuito con riferimento
a tale destinazione-, perché la classificazione agricola
dell'area in questione non ne impone un obbligo di
utilizzazione in tal senso, consentendo piuttosto interventi
edilizi di vario genere, qual è, appunto, l'insediamento di
una discarica che, per sua natura, non può essere ubicato
che in aperta campagna, laddove il piano regolatore non ne
preveda altra localizzazione” (C.S., V, 26.01.1996, n.
85).
La sezione deve evidenziare che in nessuna delle pronunce
sopra riportate si afferma che nelle zone in esame erano
consentite esclusivamente attività edilizie connesse
all’esercizio dell’agricoltura.
La sezione ritiene che l’orientamento giurisprudenziale or
ora richiamato possa trovare applicazione solo quando la
disciplina urbanistica classifichi come agricola una
determinata zona, senza null’altro aggiungere.
Ma quando, come nel caso, di specie, la disciplina dispone
in positivo che è consentita l’edificazione al solo servizio
delle attività agricole, resta preclusa qualsiasi altra
attività.
Tale previsione può ritenersi astrattamente illegittima, ma
(se tale) va impugnata indicando (ciò che non è stato fatto)
le norme o i principi che inibiscono all’amministrazione di
imprimere una determinata conformazione al territorio
escludendo qualsiasi attività costruttiva diversa da quelle
al solo servizio delle attività agricole.
Il ricorso va pertanto respinto con compensazione delle
spese, delle competenze e degli onorari di giudizio per
giusti motivi
(TAR Campania-Napoli, Sez. II,
sentenza 03.03.2005 n. 1527 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA - EDILIZIA PRIVATA:
B.U.R. Lombardia, serie ordinaria n. 9 del
28.02.2005, "Linee guida per il
riconoscimento della qualifica di
Imprenditore Agricolo Professionale (IAP)"
(deliberazione
G.R. 16.02.2005 n. 20732). |
EDILIZIA
PRIVATA: E'
legittimo costruire un canile in zona agricola tenuto conto
che la destinazione a zona agricola di un'area non impone un
obbligo specifico di utilizzazione effettiva in tal senso,
avendo solo lo scopo di evitare insediamenti residenziali.
La circostanza che la realizzazione del canile municipale
sia inserita in zona agricola non è di per sé idonea a
rendere illegittimo l’operato dell’Amministrazione, atteso
che la destinazione a zona agricola di un'area, e fatta
salva la previsione di particolari vincoli ambientali o
paesistici, non impone un obbligo specifico di utilizzazione
effettiva in tal senso, avendo solo lo scopo di evitare
insediamenti residenziali; la stessa, pertanto, non
costituisce ostacolo alla installazione di opere, come
quella di cui trattasi, che non riguardino l'edilizia
residenziale e che, per contro, si rivelino, per ovvi
motivi, incompatibili con zone abitate e quindi
necessariamente da realizzare in aperta campagna (Consiglio
di Stato, Sez. IV,
sentenza 31.01.2005 n. 253 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
anno
2002 |
|
EDILIZIA
PRIVATA: La
deroga (eccezionale) della Tognoli non è applicabile in zona
agricola.
L’art. 9 legge n. 122/1989, introducendo una deroga alla
disciplina urbanistica, deve considerarsi norma di carattere
eccezionale e come tale deve essere interpretata con
specifico riferimento alla finalità perseguita dalla legge
citata (risoluzione dei problemi relativi ai parcheggi nelle
aree urbane); conseguentemente l’operatività della stessa
non può ritenersi estesa anche alle zone agricole (TAR
Veneto, Sez. II,
sentenza 06.09.2002 n. 5229 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
anno
2000 |
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EDILIZIA
PRIVATA: 1.
Concessione - Diniego - Sanatoria art. 13 L. 47/1985 -
Motivazione - Indicazione generica di contrasto con le norme
tecniche di attuazione - Insufficienza - Illegittimità.
2. Concessione - Pertinenza - Nozione - Piscina in zona
agricola di dimensioni contenute e ridotto impatto
urbanistico - Costituisce pertinenza - Autorizzazione.
1. E' illegittimo per carenza di motivazione il diniego di
concessione edilizia in sanatoria, richiesta ai sensi
dell'art. 13 L. 47/1985, recante la generica affermazione
che "la costruzione di piscina in zona agricola non è
conforme alle Norme Tecniche di Attuazione dello strumento
urbanistico vigente - P.R.G. comunale".
I provvedimenti di diniego di concessione di costruzione in
sanatoria devono essere congruamente motivati con
l'indicazione delle ragioni che ostano al suo rilascio e con
particolare riferimento alle norme urbanistiche violate, in
modo da consentire all'interessato da un lato, di rendersi
conto degli impedimenti che si frappongono alla
realizzazione del suo progetto e di poterlo adeguare alle
esigenze pubbliche che l'Amministrazione ha inteso tutelare;
dall'altro, di confutare in maniera esaustiva la legittimità
del provvedimento davanti al giudice competente.
E' quindi carente di motivazione, il diniego di concessione
in sanatoria fondato su un generico contrasto del progetto
edilizio con norme legislative e regolamentari in materia
edilizia, dovendo, invece, diffondersi il provvedimento di
diniego in ordine alle disposizioni che si assumono ostative
al rilascio del provvedimento concessorio.
2. La nozione di pertinenza di cui all'art. 7 L. 94/1982
(che non coincide con quella più ampia descritta dall'art.
817 c.c.) è ancorata non solo alla necessarietà ed
oggettività del rapporto pertinenziale, ma anche alla
consistenza dell'opera, la quale deve contenersi entro
misure minime, sì da non alterare in modo significativo
l'assetto del territorio; né la localizzazione in zona
agricola impedisce l'applicazione della citata norma che non
distingue tra edifici residenziali o meno, agricoli ovvero
urbani.
Pertanto, nella fattispecie di piscina di contenuto rilievo
dimensionale e di ridotto impatto dal punto di vista
urbanistico, si verte in ambito di manufatto avente rilievo
pertinenziale ed in quanto tale assoggettato a regime
autorizzatorio (massima tratta da www.sentenzetoscane.it -
TAR Toscana, Sez. II,
sentenza 31.01.2000 n. 22 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
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