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56-DURC
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58-EDIFICIO UNIFAMILIARE
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62-INCARICHI PROFESSIONALI E PROGETTUALI
63-INCENTIVO PROGETTAZIONE (ora INCENTIVO FUNZIONI TECNICHE)
64-INDUSTRIA INSALUBRE
65-L.R. 12/2005
66-L.R. 23/1997
67-L.R. 31/2014
68-LEGGE CASA LOMBARDIA
69-LICENZA EDILIZIA (necessità)
70-LOTTO EDIFICABILE - ASSERVIMENTO AREA - CESSIONE CUBATURA
71-LOTTO INTERCLUSO
72-MAPPE e/o SCHEDE CATASTALI (valore probatorio o meno)
73-MOBBING
74-MURO DI CINTA/RECINZIONE, DI CONTENIMENTO/SOSTEGNO, ECC.
75-OPERE PRECARIE
76-PARERE DI REGOLARITA' TECNICA, CONTABILE E DI LEGITTIMITA'
77-PATRIMONIO
78-PERGOLATO e/o GAZEBO e/o BERCEAU e/o DEHORS e/o POMPEIANA e/o PERGOTENDA e/o TETTOIA
79-PERMESSO DI COSTRUIRE (annullamento e/o impugnazione)
80-PERMESSO DI COSTRUIRE (decadenza)
81-PERMESSO DI COSTRUIRE (deroga)
82-PERMESSO DI COSTRUIRE (legittimazione richiesta titolo)
83-PERMESSO DI COSTRUIRE (parere commissione edilizia)
84-PERMESSO DI COSTRUIRE (prescrizioni)
85-PERMESSO DI COSTRUIRE (proroga)
86-PERMESSO DI COSTRUIRE (verifica in istruttoria dei limiti privatistici al rilascio)
87
-
PERMESSO DI COSTRUIRE (volturazione)
88-
PERTINENZE EDILIZIE ED URBANISTICHE
89-PIANI PIANIFICATORI ED ATTUATIVI
90-PIANI PIANIFICATORI ED ATTUATIVI (aree a standard)
91-PIF (Piano Indirizzo Forestale)
92-PISCINE
93-PUBBLICO IMPIEGO
94-PUBBLICO IMPIEGO (quota annuale iscrizione ordine professionale)
95-RIFIUTI E BONIFICHE
96-
RINNOVO/PROROGA CONTRATTI
97-RUDERI
98-
RUMORE
99-SAGOMA EDIFICIO
100-SANATORIA GIURISPRUDENZIALE E NON (abusi edilizi)
101-SCOMPUTO OO.UU.
102-SEGRETARI COMUNALI
103-SEMINTERRATI
104-SIC-ZSC-ZPS - VAS - VIA
105-SICUREZZA SUL LAVORO
106
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SILOS
107-SINDACATI & ARAN
108-SOPPALCO
109-SOTTOTETTI
110-SUAP
111-SUE
112-STRADA PUBBLICA o PRIVATA o PRIVATA DI USO PUBBLICO
113-
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114-TENDE DA SOLE
115-TINTEGGIATURA FACCIATE ESTERNE
116-TRIBUTI LOCALI
117-VERANDA
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119-VINCOLO IDROGEOLOGICO
120-VINCOLO PAESAGGISTICO + ESAME IMPATTO PAESISTICO + VINCOLO MONUMENTALE
121-VINCOLO STRADALE
122-VOLUMI TECNICI / IMPIANTI TECNOLOGICI

123-ZONA AGRICOLA
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dossier ZONA AGRICOLA

per approfondimenti vedi anche:

deliberazione G.R. 14.10.2019 n. 2258
(Integrazione alla d.g.r. VII/20732 del 16.02.2005 «Linee guida per il riconoscimento della qualifica di imprenditore agricolo professionale»)

* * *
deliberazione G.R. 16.02.2005 n. 20732

(Linee guida per il riconoscimento della qualifica di Imprenditore Agricolo Professionale - IAP)

* * *
D.Lgs. 29.03.2004 n. 99
[Disposizioni in materia di soggetti e attività, integrità aziendale e semplificazione amministrativa in agricoltura, a norma dell'articolo 1, comma 2, lettere d), f), g), l), ee), della legge 07.03.2003, n. 38]
 

anno 2021

EDILIZIA PRIVATA - URBANISTICA: La destinazione agricola è volta a perseguire finalità paesaggistiche o ambientali.
La destinazione agricola non può esclusivamente riservarsi a zone interessate da tale attività ma è volta a perseguire finalità paesaggistiche o ambientali che trovano albergo negli strumenti urbanistici.
Osserva, sul punto, la Corte costituzionale come la pianificazione sia diretta, “al di là di letture minimalistiche”, “non solo alla disciplina coordinata della edificazione dei suoli, ma anche allo sviluppo complessivo e armonico del territorio, nonché a realizzare finalità economico-sociali della comunità locale, in attuazione di valori costituzionalmente tutelati".
La Corte Costituzionale ricorda, quindi, come la pianificazione serva a realizzare lo sviluppo complessivo ed armonico nel rispetto dei valori costituzionali tra i quali vi sono certamente, in linea generale, le esigenze di tutela di valori ambientali e paesaggistici come esposto da una copiosa giurisprudenza della Sezione.
Difatti, secondo la più recente evoluzione giurisprudenziale, all’interno della pianificazione urbanistica devono trovare spazio anche esigenze di tutela ambientale ed ecologica, tra le quali spicca proprio la necessità di evitare l’ulteriore edificazione e di mantenere un equilibrato rapporto tra aree edificate e spazi liberi.
E ciò in quanto “l’urbanistica ed il correlativo esercizio del potere di pianificazione non possono essere intesi, sul piano giuridico, solo come un coordinamento delle potenzialità edificatorie connesse al diritto di proprietà, così offrendone una visione affatto minimale, ma devono essere ricostruiti come intervento degli Enti esponenziali sul proprio territorio, in funzione dello sviluppo complessivo ed armonico del medesimo, per cui l’esercizio dei poteri di pianificazione territoriale ben può tenere conto delle esigenze legate alla tutela di interessi costituzionalmente primari, tra i quali rientrano, appunto, quelli contemplati dall’articolo 9 della Costituzione”.
Argomentazioni condivise dal Collegio che ritiene di rilievo l’ulteriore notazione compiuta dalla sentenza in esame secondo cui “la destinazione di un’area a verde agricolo non implica necessariamente che la stessa soddisfi in modo diretto e immediato interessi agricoli, ben potendo giustificarsi con le esigenze dell’ordinato governo del territorio, quale la necessità di impedire ulteriori edificazioni, ovvero di garantire l’equilibrio delle condizioni di vivibilità, assicurando la quota di valori naturalistici e ambientali necessaria a compensare gli effetti dell’espansione dell’aggregato urbano”.
Al contrario, anche laddove si sia al cospetto di aree ampiamente urbanizzate, “non per questo se ne può escludere la rilevanza dal punto di vista ambientale, poiché tali dati di fatto si prestano anzi a far emergere un interesse alla conservazione del suolo inedificato, per ragioni di compensazione ambientale”
(TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 18.02.2021 n. 459 - commento tratto da
https://camerainsubria.blogspot.com).
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SENTENZA
12.3. Prendendo l’abbrivo da tale ricostruzione, l’Amministrazione evidenzia, inoltre, come negli ultimi anni la crescita dell’urbanizzato continui senza sosta, “in un contesto economico che dapprima rallentava poi si arrestava e dove la crescita contenuta della popolazione (e un poco più consistente delle famiglie) trovava origine quasi solo nella prepotente offerta di nuove case (più che di nuovo lavoro, non solo nei perimetri dei confini comunali)”.
In secondo luogo, l’Amministrazione stigmatizza la crescita dell’urbanizzazione che avviene in modo irregolare e non trasparente e nota come alle nuove urbanizzazioni si affianchino “processi di sottoutilizzo, degrado e abbandono di spazi già urbanizzati, con un intollerabile spreco di risorsa suolo”.
Tale situazione risulta di particolare gravità nell’ambito territoriale compreso tra il fiume Lambro e l’altopiano delle Groane e della brughiera briantea, “dove i livelli di urbanizzazione sono ormai elevatissimi (più di due terzi) e il mantenimento dello spazio aperto residuo diventa elemento fondamentale di equilibro ecologico di un più ampio pezzo della regione (mantenere un minimo di permeabilità delle acque, del suolo che può assorbire carbonio e ospitare un sistema di prati e boschi ed aree coltivate capace di abbattere bolle di calore e produrre ossigeno è ormai un obiettivo inderogabile) e per garantire qualità della vita per evitare in un territorio altrimenti trasformato in una foresta edificata e cementificata”.
12.4. L’Amministrazione decide, quindi, di operare un cambio di rotta limitando una ulteriore urbanizzazione che risulta foriera di rischi ecologici “(per l’impermeabilizzazione del suolo e il venir meno di spazi per abbattimento del carbonio) economici (per la difficile gestione di una rete di urbanizzazioni primarie sempre più estesa) e socio-culturali (per il venir meno di spazi di naturalità e agricoli prossimi a quelli di lavoro e residenza, per il degrado paesistico)”. E lo fa anche nella consapevolezza dei minori introiti per oneri di urbanizzazione (sul nuovo edificato) ed imposte su terreni edificati ed edificabili (aspetto su cui pure si concentrano i ricorrenti; cfr., infra).
Ritiene il Comune che la scelta non sia nel lungo periodo economicamente vantaggiosa e determini, comunque, svantaggi superiori alla ofelimità immediata. Inoltre, secondo l’Amministrazione, eliminando le previsioni di nuove edificazioni su suoli liberi “ci si può proporre di riutilizzare il capitale fisso territoriale già presente (strade, fogne, lotti già urbanizzati), reimpiegandolo e reinterpretandolo”: “un riuso dello spazio già urbanizzato che in alcuni casi si confronta con i temi della memoria, ossia con episodi edilizi (ville edifici rurali, tessuto corte) con significativo valore storico e testimoniale”.
12.5. Il progetto urbanistico delineato “si muove allora in due direzioni: da un lato il tentativo di rendere più urbano, più qualificato, più civile, più vivibile e abitabile lo spazio già urbanizzato, dall’altro lo sforzo di promuovere una naturalità diffusa che entra non solo nell’esperienza quotidiana del nostro vivere, nel regolare alcuni aspetti dell’edificazione, nel giardino pubblico e privato sotto casa, nel grande parco a corona della città nella campagna residua che si faccia più urbana e più ricca di valori ambientali”.
12.6. In base a tali premesse l’Amministrazione decide di “superare” le logiche del P.G.T. del 2008, di procedere ad eliminare molte aree di espansione e di introdurre il “principio di compensazione ecologica preventiva che agisce, sia come elemento di riequilibrio delle convenienze relative tra gli interventi più costosi su aree già urbanizzate e quelli sua aree libere, sia come dispositivo che permette di riqualificare gli spazi aperti residui”.
A questa direttrice si ascrivono le scelte di: i) introdurre un dispositivo per i trasferimenti volumetrici al fine di ridurre la frammentazione e il degrado degli spazi aperti; ii) revisionare tutta la regolamentazione urbanistica-edilizia assumendo come obiettivo prioritario la qualificazione dei suoi differenti ambienti già urbanizzati e il lavoro sul costruito e tra il costruito; iii) individuare le aree del territorio comunale che entreranno in un grande parco di interesse sovra comunale che espande il PLIS Grugnotorto -Villoresi e della Brianza centrale. Un progetto che “recepisce le indicazioni provinciali sulla rete verde di ricomposizione paesaggistica e sugli ambiti di azione paesaggistica e a sua volta contribuisce a ridefinire in estensione i perimetri delle aree agricole strategiche di questo stesso piano” (pag. 30).
12.7. Sulla base delle indicazioni tratte dalla Relazione appaiono evidenti le direttrici del nuovo Piano che non risultano né arbitrarie né irragionevoli ma, al contrario, mirano ad un miglior utilizzo del suolo in un’area già particolarmente compromessa. Il tema della riduzione del consumo del suolo è, quindi, posto al centro del Piano che lo qualifica come “la prima e macroscopica scelta” (pag. 78) che si intende perseguire attraverso “l’individuazione di una griglia che tutela e salvaguardia lo spazio aperto rurale”.
Una griglia definita dal perimetro del territorio urbanizzato e da quello destinato ad entrare nel p.l.i.s. sovracomunale tra cui rientrano le aree dei ricorrenti. Nelle aree agricole si cerca di incentivare “usi che non comportino la frammentazione e frantumazione degli spazi e viceversa che ne valorizzino la continuità d’uso, la natura aperta alla vista”.
Caratteristiche che si rinvengono nell’area dei ricorrenti che ha le dimensioni assai cospicue (mq. 48.571,75), come tali idonee a realizzare l’obiettivo descritto.
12.8. La decisione comunale non è, quindi, in contrasto con la situazione fattuale né può considerarsi irragionevole.
La destinazione agricola, inoltre, non può esclusivamente riservarsi a zone interessate da tale attività ma è volta a perseguire finalità paesaggistiche o ambientali che trovano albergo negli strumenti urbanistici. Osserva, sul punto, la Corte costituzionale come la pianificazione sia diretta, “al di là di letture minimalistiche”, “non solo alla disciplina coordinata della edificazione dei suoli, ma anche allo sviluppo complessivo e armonico del territorio, nonché a realizzare finalità economico-sociali della comunità locale, in attuazione di valori costituzionalmente tutelati (da ultimo, Consiglio di Stato, sezione quarta, sentenze 09.05.2018, n. 2780, 22.02.2017, n. 821 e 10.05.2012, n. 2710)” (Corte Costituzionale, 16.07.2019, n. 179).
La Corte Costituzionale ricorda, quindi, come la pianificazione serva a realizzare lo sviluppo complessivo ed armonico nel rispetto dei valori costituzionali tra i quali vi sono certamente, in linea generale, le esigenze di tutela di valori ambientali e paesaggistici come esposto da una copiosa giurisprudenza della Sezione (cfr., ex multis, TAR per la Lombardia – sede di Milano, Sez. II, 29.05.2020, n. 960; Id., 14.12.2020, n. 2491).
Difatti, secondo la più recente evoluzione giurisprudenziale, all’interno della pianificazione urbanistica devono trovare spazio anche esigenze di tutela ambientale ed ecologica, tra le quali spicca proprio la necessità di evitare l’ulteriore edificazione e di mantenere un equilibrato rapporto tra aree edificate e spazi liberi (Consiglio di Stato, IV, 21.12.2012, n. 6656; TAR per la Lombardia – sede di Milano, Sez. II, 14.02.2020, n. 309).
E ciò in quanto, come affermato dalla Sezione, “l’urbanistica ed il correlativo esercizio del potere di pianificazione non possono essere intesi, sul piano giuridico, solo come un coordinamento delle potenzialità edificatorie connesse al diritto di proprietà, così offrendone una visione affatto minimale, ma devono essere ricostruiti come intervento degli Enti esponenziali sul proprio territorio, in funzione dello sviluppo complessivo ed armonico del medesimo, per cui l’esercizio dei poteri di pianificazione territoriale ben può tenere conto delle esigenze legate alla tutela di interessi costituzionalmente primari, tra i quali rientrano, appunto, quelli contemplati dall’articolo 9 della Costituzione” (TAR per la Lombardia – sede di Milano, Sez. II, 14.02.2020, n. 309; cfr., inoltre, Consiglio di Stato, IV, 10.05.2012, n. 2710; TAR Lombardia, Milano, II, 18.06.2018, n. 1534).
Argomentazioni condivise dal Collegio che ritiene di rilievo l’ulteriore notazione compiuta dalla sentenza in esame secondo cui “la destinazione di un’area a verde agricolo non implica necessariamente che la stessa soddisfi in modo diretto e immediato interessi agricoli, ben potendo giustificarsi con le esigenze dell’ordinato governo del territorio, quale la necessità di impedire ulteriori edificazioni, ovvero di garantire l’equilibrio delle condizioni di vivibilità, assicurando la quota di valori naturalistici e ambientali necessaria a compensare gli effetti dell’espansione dell’aggregato urbano” (cfr., inoltre, Consiglio di Stato, Sez. IV, 12.02.2013, n. 830; TAR Lombardia – Sede di Milano, Sez. II, 22.01.2019, n. 122).
Al contrario, anche laddove si sia al cospetto di aree ampiamente urbanizzate, “non per questo se ne può escludere la rilevanza dal punto di vista ambientale, poiché tali dati di fatto si prestano anzi a far emergere un interesse alla conservazione del suolo inedificato, per ragioni di compensazione ambientale” (v., ancora, TAR per la Lombardia – sede di Milano, Sez. II, 14.02.2020, n. 309; cfr., inoltre, TAR per la Lombardia – sede di Milano, Sez. II, 05.11.2018, n. 2479).
Valori che, nel caso di specie, necessitano di particolare tutela stante l’elevata urbanizzazione del passato e l’irrazionale consumo di suolo perpetrato sul territorio.
12.9. In ultimo, sono irrilevanti le deduzioni connesse a quanto corrisposto a titolo di imposta patrimoniale per le aree, trattandosi di contribuzione legata ad un diverso presupposto e, cioè, l’edificabilità dell’area nel periodo di imposta di riferimento. Si tratta, quindi, di un aspetto logicamente derivato dalla destinazione urbanistica ed inidoneo, quindi, a determinarla ma, al contrario, plasmato proprio dalla superiore scelta dettata nello strumento.
13. In definitiva, le domande di annullamento devono essere respinte in quanto infondate.
14. Vanno, inoltre, respinte le domande di risarcimento del danno atteso che la decretata legittimità delle scelte comunali elide la possibile predicabilità di un danno ingiusto, componente essenziale della fattispecie di cui all’art. 2043 c.c. (cfr., ex multis: C.d.S., V, 11.01.2018, n. 118; Id., IV, 25.01.2017, n. 293, Id., IV, 27.04.2015, n. 2109, Id., IV, 06.08.2013, n. 4150; Id., V, 09.05.2017, n. 2115, Id., V, 13.02.2017, n. 604, Id., V, 21.06.2016, n. 2723, Id., V, 22.03.2016, n. 1186).

anno 2020

URBANISTICA: Divieto generalizzato di insediamento per intere tipologie di attività agricole.
Il potere di regolazione del territorio riservato ai Comuni è sovraordinato, e si impone all’interno della procedura di VIA, in quanto esprime scelte discrezionali sul migliore utilizzo del territorio. Quando però nello strumento urbanistico comunale entrano valutazioni di tipo ambientale e sanitario la situazione cambia, perché vi sono altre autorità che condividono il potere di stabilire se una certa attività economica sia compatibile con le caratteristiche dei luoghi e con il livello di rischio accettabile per la collettività. Il Comune non può utilizzare lo strumento urbanistico per decidere da solo, sostituendosi alle altre autorità e rendendo inutili le garanzie previste dall’ordinamento, tra cui la procedura di VIA.
Le suddette garanzie tutelano sia i diversi interessi pubblici coinvolti sia l’interesse economico dei soggetti che intendono avviare nuove attività produttive. Un’impostazione rigida come quella urbanistica, particolarmente se articolata mediante divieti astratti e presunzioni che non ammettono la prova contraria, è inadeguata a regolare da sola la realtà flessibile e dinamica delle attività produttive, le quali possono avere impatti molto diversi a seconda dei modelli organizzativi scelti e della tecnologia impiegata. Un divieto generalizzato per intere tipologie di attività agricole, oltretutto in un contesto non adatto a destinazioni diverse da quelle agricole produttive, appare una soluzione in contrasto con il principio di proporzionalità.
La decisione sulle aspettative dei privati deve quindi essere riportata nella sede propria, ossia nella procedura di VIA, e nella successiva procedura di AIA, dove sono effettuate valutazioni sul caso concreto, e formulate prescrizioni in grado di fissare il punto di equilibrio tra la tutela ambientale e l’iniziativa economica.
...
Nella fattispecie è stata ritenuta illegittima una disciplina del PGT che, con riferimento alle zone agricole produttive, prevede lo svolgimento di attività di produzione di beni agroalimentari ad alta intensità e concentrazione, ma vieta la costruzione di nuovi allevamenti di tipo intensivo, allo scopo di tutelare le qualità geomorfologiche del territorio
(TAR Lombardia-Brescia, Sez. II, sentenza 15.09.2020 n. 643 - commento tratto da
https://camerainsubria.blogspot.com).
---------------
16. Sulle questioni rilevanti ai fini della decisione si possono svolgere le seguenti considerazioni:
   (a) in primo luogo, non appare condivisibile l’argomento che vorrebbe far derivare l’inapplicabilità del divieto di nuovi allevamenti intensivi ex art. 21.12.4 delle NTA dalla circostanza che l’allevamento in questione sarebbe un semplice ampliamento. In materia urbanistica e ambientale vi è ampliamento di una costruzione o di un impianto se esiste un collegamento materiale, oltre che funzionale, con una struttura preesistente. Non è necessario che il collegamento sia immediato e diretto, in quanto in posizione intermedia possono trovarsi fabbricati o strutture di terzi, ma è richiesta comunque una certa continuità spaziale. Nel caso in esame, invece, il nuovo allevamento si trova in un diverso punto del territorio comunale, distante alcuni chilometri e del tutto separato dall’allevamento preesistente;
   (b) il fatto che l’area sia collocata all’interno di un ambito estrattivo può ostacolare la realizzazione di un nuovo allevamento solo finché il piano cave provinciale sia efficace. Alla scadenza del piano cave, se l’area non viene reinserita in un ambito estrattivo, si espandono sia la potestà pianificatoria comunale sia le aspettative dei privati a una diversa utilizzazione produttiva;
   (c) nello specifico, l’art. 22.6.4 delle NTA prevede il ripristino delle attività agricole indicate nei precedenti articoli dal 21.1 al 21.9, compresa quindi la realizzazione di allevamenti, con la sola eccezione degli allevamenti suinicoli (v. art. 21.6.3.2), e a condizione che almeno il 25% dell’alimentazione degli animali sia prodotto in azienda (v. art. 21.6.1-d delle NTA). Il riferimento alla disciplina degli ambiti estrattivi operato dal Comune non è quindi idoneo a impedire la realizzazione dell’allevamento voluto dalla ricorrente, come del resto evidenziato anche dalla Provincia;
   (d) la disciplina urbanistica comunale relativa all’area scelta per il nuovo allevamento è però composta da più strati, in relazione ai diversi profili ambientali e pianificatori considerati. Per quanto riguarda la trasformazione del territorio, viene in rilievo la disciplina degli ambiti agricoli strategici a elevata caratterizzazione produttiva, per i quali l’art. 21.12.4 delle NTA vieta la costruzione di nuovi allevamenti di tipo intensivo, allo scopo di tutelare le qualità geomorfologiche del territorio;
   (e) non sembra al riguardo condivisibile la tesi della ricorrente, secondo cui il divieto sarebbe inapplicabile perché non richiamato nell’art. 22.6.4 delle NTA, che regola il passaggio dall’attività estrattiva alle nuove destinazioni d’uso. È vero che la tutela delle qualità geomorfologiche del territorio non ha alcun significato in relazione ad aree radicalmente trasformate dall’attività estrattiva, ma non è dimostrato che la specifica area scelta per il nuovo allevamento sia stata effettivamente e interamente modificata. D’altra parte, come evidenziato dalla difesa del Comune, i rinvii tra le norme del PGT sono dinamici, e dunque all’art. 21.12.4 delle NTA (non richiamato) si può arrivare attraverso l’art. 21.1.1 delle NTA (richiamato), che definisce gli ambiti agricoli strategici a elevata caratterizzazione produttiva, ai quali appartiene anche l’area della ricorrente;
   (f) il punto è invece se un divieto come quello contenuto nell’art. 21.12.4 delle NTA sia legittimo. La norma è stata espressamente impugnata, e tale impugnazione non può essere considerata tardiva, in quanto l’interesse al ricorso non poteva sussistere fino alla presentazione del progetto del nuovo allevamento e alla pronuncia negativa dell’amministrazione;
   (g) nel merito, la questione deve essere risolta nel senso dell’illegittimità dell’art. 21.12.4 delle NTA. Una prima criticità consiste nella contraddizione rispetto alla circostanza (accertata dall’art. 21.12.1 delle NTA) che le zone agricole produttive presentano solo limitate aree di valore naturale e ambientale. Essendovi una chiara vocazione produttiva di tipo intensivo, riconosciuta a livello sovracomunale dal PTCP, e mancando significativi elementi di naturalità, non è ragionevole estendere in via generale la disciplina restrittiva prevista per le zone agricole strategiche a elevata valenza paesistica;
   (h) una seconda criticità riguarda i rapporti tra la disciplina urbanistica comunale e la procedura di VIA gestita dalla Provincia. Il potere di regolazione del territorio riservato ai Comuni è sovraordinato, e si impone all’interno della procedura di VIA, in quanto esprime scelte discrezionali sul migliore utilizzo del territorio. Quando però nello strumento urbanistico comunale entrano valutazioni di tipo ambientale e sanitario la situazione cambia, perché vi sono altre autorità che condividono il potere di stabilire se una certa attività economica sia compatibile con le caratteristiche dei luoghi e con il livello di rischio accettabile per la collettività. Il Comune non può utilizzare lo strumento urbanistico per decidere da solo, sostituendosi alle altre autorità e rendendo inutili le garanzie previste dall’ordinamento, tra cui la procedura di VIA;
   (i) le suddette garanzie tutelano sia i diversi interessi pubblici coinvolti sia l’interesse economico dei soggetti che intendono avviare nuove attività produttive. Un’impostazione rigida come quella urbanistica, particolarmente se articolata mediante divieti astratti e presunzioni che non ammettono la prova contraria, è inadeguata a regolare da sola la realtà flessibile e dinamica delle attività produttive, le quali possono avere impatti molto diversi a seconda dei modelli organizzativi scelti e della tecnologia impiegata. Un divieto generalizzato per intere tipologie di attività agricole, oltretutto in un contesto non adatto a destinazioni diverse da quelle agricole produttive, appare una soluzione in contrasto con il principio di proporzionalità;
   (j) la decisione sulle aspettative dei privati deve quindi essere riportata nella sede propria, ossia nella procedura di VIA, e nella successiva procedura di AIA, dove sono effettuate valutazioni sul caso concreto, e formulate prescrizioni in grado di fissare il punto di equilibrio tra la tutela ambientale e l’iniziativa economica;
   (k) più specificamente, con riguardo alle preoccupazioni espresse dal Comune nella nota del 05.04.2018, è all’interno delle suddette procedure che potranno essere valutati i rischi per gli acquiferi, tenendo conto della proposta di impermeabilizzazione del suolo dell’allevamento e delle modalità di gestione della pollina e dei reflui di lavaggio.
17. In conclusione, entrambi i ricorsi devono essere accolti nella parte impugnatoria, con il conseguente annullamento degli atti impugnati.

EDILIZIA PRIVATA - URBANISTICA: Le normative comunali, che ammettono una limitata possibilità di realizzare in zona agricola interventi edilizi, devono essere interpretate nel senso che si deve comunque assicurare tutela al territorio agricolo e alla sua concreta utilizzazione a fini alimentari, dovendo al contrario ritenersi del tutto inconciliabili con le finalità di una zona agricola la realizzazione di strutture che ne pregiudichino definitivamente la destinazione naturale del territorio e comportano la sua deruralizzazione.
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Infine, è infondata anche la quarta censura.
Come correttamente eccepito dal Comune, l’attività di autotrasporto per conto terzi non ha alcuna connessione logica con la zona (agricola) in cui questa viene esercitata, rimanendo violata, di conseguenza, la normativa urbanistica. Come ritenuto in giurisprudenza, “Le normative comunali, che ammettono una limitata possibilità di realizzare in zona agricola interventi edilizi, devono essere interpretate nel senso che si deve comunque assicurare tutela al territorio agricolo e alla sua concreta utilizzazione a fini alimentari, dovendo al contrario ritenersi del tutto inconciliabili con le finalità di una zona agricola la realizzazione di strutture che ne pregiudichino definitivamente la destinazione naturale del territorio e comportano la sua deruralizzazione” (TAR Piemonte Torino Sez. II Sent., 18/01/2017, n. 134; in senso analogo Tar Campania, Napoli, Sez. VII, n. 2964/2018).
E, nel caso di specie, è pacifico che le attività in concreto esercitate siano del tutto incompatibili con la destinazione del terreno a fini alimentari (TAR Campania-Napoli, Sez. VII, sentenza 04.06.2020 n. 2200 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA - URBANISTICA: La giurisprudenza del Consiglio di Stato ha affermato il principio secondo cui l'attività agricola assolve alla funzione di difesa del territorio sotto il profilo idrogeologico, paesaggistico, ambientale e produttivo e che, pertanto, le norme contenute negli strumenti urbanistici comunali che ammettono la limitata possibilità di realizzare interventi edilizi in aree rurali devono essere interpretate nel senso che deve essere salvaguardata la tutela del territorio agricolo e la sua utilizzazione.
Ne discende che in un'area agricola non sono ammesse strutture che pregiudichino definitivamente la destinazione naturale del territorio o che alterino irreversibilmente lo stato dei luoghi.
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14. Con il secondo motivo si contesta il merito del provvedimento impugnato, il decreto dirigenziale dell’A.R.T.A. n. 5 del 23.01.2015, sostenendo come lo stesso non appaia rispettoso di quanto previsto dall’art. n. 48 delle n.t.a. del piano regolatore generale del Comune di Ragusa. Si tratta del rilievo principale mosso dagli odierni appellanti.
A detta di parte appellante proprio l’art. 48 delle n.t.a. del piano consentirebbe la possibilità di edificare nelle zone oggetto del presente procedimento anche a prescindere dalla finalità agricola.
Sotto il titolo “art. 48-Agricolo-produttivo con muri a secco", in particolare, si legge che: “Sono così definite le aree agricole destinate alla conservazione e/o all’incremento delle coltivazioni agricole. In tali aree acquistano rilevanza storica e paesaggistica i muri a secco che vanno mantenuti e preservati dal degrado.
Sono ammessi le attività e gli usi connessi con l’esecuzione dell’agricoltura compresa la residenza a servizio del fondo, nonché l’agriturismo e quelle previste dall’art. 22 della l.r. 71/1978 e successive modifiche…
Per gli insediamenti produttivi ex art. 22 della l.r. n. 71/1978, vanno osservate le condizioni di cui all’art. 6, comma 2, della legge regionale 17/1994.
È consentita la destinazione abitativa nelle zone agricole con l’indice di fabbricabilità fondiaria pari a mc/mq 0,03 in conformità al d.m. 02.04.1968 n. 1444 (art. 7)
.”
Si tratta di stabilire se l’ultimo comma debba essere letto come autonoma previsione che consenta un’edificabilità diversa da quella prevista dal secondo comma o si tratti solo di una specificazione di quanto previsto proprio dal quel comma.
Nell’interpretazione delle norme prevalenza deve darsi ai criteri che tengano conto dei principi generali che regolano complessivamente la specifica materia dell’odierna fattispecie a partire dall’art. 22 l.r. n. 71/1978.
Ebbene la scelta operata dal piano regolatore generale è quella di individuare la zona oggetto del presente procedimento come zona a vocazione agricola.
La giurisprudenza del Consiglio di Stato ha affermato il principio secondo cui l'attività agricola assolve alla funzione di difesa del territorio sotto il profilo idrogeologico, paesaggistico, ambientale e produttivo e che, pertanto, le norme contenute negli strumenti urbanistici comunali che ammettono la limitata possibilità di realizzare interventi edilizi in aree rurali devono essere interpretate nel senso che deve essere salvaguardata la tutela del territorio agricolo e la sua utilizzazione (Cons. St., sez. IV, 04.10.2011 n. 5442; sez. IV 18.03.2010 n. 1624; sez. IV, 27.07.2012 n. 4294).
Ne discende che in un'area agricola non sono ammesse strutture che pregiudichino definitivamente la destinazione naturale del territorio o che alterino irreversibilmente lo stato dei luoghi.
Sulla base di tale criterio esegetico, l’ultimo comma dell’art. 48 delle n.t.a. del p.r.g. costituisce una specificazione ed una ulteriore limitazione di quanto previsto dal secondo comma: non solo le edificazioni devono essere servili rispetto al fine agricolo, ma le dimensioni delle stesse devono rispettare quanto previsto dal terzo comma.
L’interpretazione alternativa finirebbe di privare di senso l’intero articolo perché si perverrebbe alla conclusione di vincolare una zona del territorio alla finalità agricola e contemporaneamente si consentirebbe una edificazione che nulla ha a che fare con l’agricoltura. L’assunto non appare logico.
Rileva, poi, condivisibilmente la difesa del Comune appellato: “Un’ulteriore conferma della interpretazione secondo cui il terzo comma è una specificazione dei primi due commi si trova anche nel 5° comma dell’art. 48 delle N.T.A., che è così rubricato: “Modalità di intervento, indici e parametri delle costruzioni".
Tale comma, dopo aver affermato che, nelle zone agricole, il P.R.G. si applica per intervento edilizio diretto nel rispetto di determinati indici, distingue due tipi di intervento edilizio: 1) quello per le abitazioni a servizio del fondo (per i quali vale l’indice dell’0,03 mc/mq.) e 2) quello per i fabbricati a servizio dell’agricoltura (per i quali valgono indici diversi).
Ciò significa che non vi è spazio per interventi edilizi di tipo diverso e che l’interpretazione secondo cui nella zona agricola si potrebbero realizzare abitazioni con il solo limite del rispetto dell’indice di fabbricabilità fondiaria pari a mc/mq. 0.03 sarebbe in contrasto con le NTA e con la legge regionale n. 71/1978.
Tenuto conto di quanto affermato è l’intera costruzione a doversi ritenere illegittimamente edificata non potendosi accedere alla richiesta subordinata di considerare viziata solo la DIA n. 77/2010 relativa al recupero a fini abitativi dei sottotetti
(CGARS, sentenza 26.05.2020 n. 325 - commento tratto da e link a www.giustizia-amministrativa.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA - EDILIZIA PRIVATA: Impianto di trattamento rifiuti in area agricola: è lecito?
Ai sensi dell’art. 196, co. 3, del D.L.vo n. 152/2006, le regioni privilegiano la realizzazione di impianti di smaltimento e recupero dei rifiuti in aree industriali, collocandoli preferibilmente nella zona individuata dal governo del territorio per le attività industriali.
Tuttavia, considerato che tale collocazione costituisce solo un’indicazione di massima ovvero un criterio preferenziale, la localizzazione di un impianto di trattamento e recupero di rifiuti in zona agricola non viola la norma di cui all’art. 196, comma 3, del D.L.vo 152/2006, incombendo sull’amministrazione l’onere di individuare specifiche ragioni di ostacolo alla sua ubicazione in detta zona
(massima tratta da www.tuttoambiente.it).
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Col primo motivo si denuncia l’errore commesso dal Tribunale nel ritenere compatibile la localizzazione di un impianto di trattamento e recupero di rifiuti con la destinazione agricola dell’area.
Secondo quanto si legge nella gravata sentenza, che sul punto richiama una precedente pronuncia del massimo organo di giustizia amministrativa (Cons. Stato., Sez. V, 28/06/2012, 3818), l’art. 196, comma 3, del D.Lgs. n. 03.04.2006, n. 152, prevederebbe un criterio di mera preferenza circa l’allocazione in aree industriali degli impianti di smaltimento e recupero rifiuti, onerando l’amministrazione di valutare in concreto la compatibilità del detto impianto con la destinazione dell’area di localizzazione, per cui la circostanza che il medesimo non sia ubicato in zona industriale, ma in zona agricola, non costituirebbe ex se motivo ostativo alla sua ammissibilità.
Inoltre, i provvedimenti di ritiro si porrebbero in contrasto con i numerosi atti di assenso emessi dal Comune a partire dal 1998.
Le conclusioni cui il Tribunale è giunto non sarebbero, però, condivisibili in quanto il precedente giurisprudenziale richiamato, non risulterebbe applicabile alla fattispecie, facendo esso riferimento a un tipo di impianto diverso (impianto di stoccaggio e trattamento di fanghi biologici, da avviarsi a recupero mediante spandimento in agricoltura) da quello per cui è causa (cernita, trattamento e stoccaggio degli sfridi edilizi).
L’avversata pronuncia e il precedente a cui questa si richiama, non sarebbero condivisibili nemmeno laddove, premesso che “la destinazione agricola di una determinata area è volta […] a preservarne le caratteristiche attuali di zona di salvaguardia da ogni possibile nuova edificazione”, fanno salva la localizzazione in tale zona di un impianto di recupero rifiuti, atteso che anche la realizzazione di quest’ultimo è idonea a pregiudicarne l’attuale destinazione non edificatoria.
All’odierna fattispecie si sarebbero dovuti, quindi, applicare i principi enunciati dalla sentenza del Consiglio di Stato, Sez. IV, 27/07/2011, n. 4505, la quale ha escluso la possibilità di localizzare in zona agricola un impianto di frantumazione di sfridi edilizi e di stoccaggio di inerti.
Non rileverebbe, inoltre, che il Comune abbia in passato autorizzato la realizzazione dell’impianto, che sia trascorso lungo tempo dagli atti di assenso e che la parte appellata abbia fatto affidamento sulla legittimità dei titoli rilasciati (l’affidamento risulterebbe, peraltro, escluso sia dal fatto che con l’istanza accolta col P.d.C. n. 952/2017 l’appellato non avrebbe chiesto un permesso in sanatoria, ma solo l’adeguamento e l’ampliamento dell’impianto esistente, sia dalla mancanza nella fattispecie di buona fede).
La doglianza è infondata.
La menzionata sentenza del Consiglio di Stato n. 3818 del 2012, che il Collegio condivide, ha affermato che: <<lo stesso tenore letterale del terzo comma dell’articolo 196 (del D.Lgs. n. 152/2006) esclude che la realizzazione di impianti di smaltimento e recupero dei rifiuti debba avvenire necessariamente ed esclusivamente in aree industriale, così esprimendo una previsione tendenziale e di massima, un criterio direttivo di preferenza cui devono attenersi in linea di principio le regioni, coerentemente con la peculiare forma verbale usata dal legislatore, secondo cui le regioni “privilegiano” la realizzazione dei predetti impianti in tali zone.
Del resto è agevole intuire la ratio di un simile criterio direttivo, volto a sottolineare la natura industriale di tali impianti, collocandoli quindi preferibilmente, in coerenza con il disegno urbanistico delineato dallo strumento di governo del territorio, nella zona da quest’ultimo individuata per le attività industriali; tuttavia, la circostanza che tale collocazione costituisca solo una indicazione di massima ovvero un criterio preferenziale è confermata dalla espressa previsione che essa deve essere comunque compatibile con le peculiari caratteristiche dell’area: insomma il legislatore ha inteso fissare una indicazione preferenziale, astratta, salvo poi a demandare in concreto la verifica e la valutazione della sua compatibilità.
Di per sé, quindi, il fatto che l’area su cui era stata prevista la realizzazione dell’impianto, oggetto della negata autorizzazione, non fosse urbanisticamente classificata quale zona industriale non costituiva motivo ostativo al rilascio dell’approvazione, né imponeva, così come suggestivamente insinuato dalle appellanti, al soggetto richiedente di provare l’impossibilità di collocare l’impianto da realizzare in zona industriale, spettando piuttosto all’amministrazione il potere/dovere di verificare comunque la compatibilità del sito prescelto con l’impianto da realizzare
>>.
Né può essere invocato, a fondamento del ritiro <<la circostanza che l’area su cui era stata prevista la realizzazione dell’impianto fosse urbanisticamente classificata, come zona agricola E.
E’ sufficiente ricordare al riguardo che, secondo un consolidato indirizzo giurisprudenziale, dal quale non vi è motivo di discostarsi, la destinazione agricola di una determinata area è volta non tanto e non solo a garantire il suo effettivo utilizzo a scopi agricoli, quanto piuttosto a preservarne le caratteristiche attuali di zona di salvaguardia da ogni possibile nuova edificazione, con la conseguenza che, salvo diverse specifiche previsioni, essa non può considerarsi incompatibile con la realizzazione di un impianto di discarica, tanto più che quest’ultimo deve essere ragionevolmente localizzato al di fuori della zona abitata (C.d.S., sez. V, 01.10.2010, n. 7243; 16.06.2009, n. 3853).
E’ stato anche sottolineato che il potere di pianificazione del territorio non può precludere del resto insediamenti industriali in zone a destinazione agricola, salvo che in via eccezionale, quando cioè si sia in presenza di un assetto agricolo di particolare pregio, consolidato da tempo remoto ovvero favorito da opere di bonifica, ciò anche in considerazione del fatto che la destinazione agricola ha in realtà lo scopo di impedire insediamenti abitativi residenziali e non già quello di precludere in via assoluta e radicale qualsiasi intervento urbanisticamente rilevante (C.d.S., sez. V, 18.09.2007, n. 4861).
In questa ottica deve essere apprezzata la previsione contenuta nel sesto comma dell’art. 208 del D.Lgs. 03.04.2006, n. 152, secondo cui “L’approvazione sostituisce ad ogni effetto visti, pareri, autorizzazioni e concessioni di organi regionali, provinciali e cominciali, costituisce, ove occorra, variante allo strumento urbanistico e comporta la dichiarazione di pubblica utilità, urgenza ed indifferibilità dei lavori”.
Essa invero sarebbe ultronea e priva di qualsiasi utilità se l’impianto da realizzare dovesse essere collocato obbligatoriamente ed esclusivamente in zona industriale, laddove la ricordata previsione normativa ne permette invece la collocazione anche in una zona che, secondo le previsioni urbanistiche, non la tollererebbe, subordinatamente al riscontro ed alla valutazione di compatibilità in concreto da parte dell’amministrazione
>>.
Tanto basta a ritenere corrette le conclusioni raggiunte dal giudice di prime cure, atteso che la mera localizzazione di un impianto di trattamento e recupero di rifiuti in zona agricola, di qualunque tipo esso sia, non viola la norma di cui all’art. 196, comma 3, del D.Lgs. n. 152 del 2006, incombendo sull’amministrazione, sulla base delle sopra esposte considerazioni, l’onere di individuare specifiche ragioni di ostacolo alla sua ubicazione in detta zona (Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 10.05.2020 n. 3202 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA - URBANISTICAPer quanto attiene alla nozione di area agricola strategica la giurisprudenza ha riconosciuto che il concetto di area a vocazione agricola e il concetto di area agricola strategica non sono sovrapponibili.
In particolare, è stato detto che “In disparte l’elemento storico (provenienza dei due concetti da differenti impianti normativi) e testuale (l’espressa connotazione delimitativa delle aree agricole strategiche), appare corretta la lettura del TAR che ha evidenziato come anche la Regione Lombardia avesse individuato diversamente i criteri per la definizione degli ambiti destinati all’attività agricola di interesse strategico, attraverso delibera di Giunta n. VIII/8059 del 19.09.2008, da dove si evince che gli ambiti strategici non sono tutti quelli destinati all’agricoltura, ma solo quelle parti di territorio caratterizzate da elementi di particolare rilievo”.
Tuttavia l’idoneità dei terreni della ricorrente a soddisfare esigenze agricole risulta motivata dalla Provincia con elementi che sono desunti proprio dalla delibera di Giunta n. VIII/8059 del 19.09.2008, come la valutazione della classe del valore agro-forestale e l'estensione e continuità territoriale di scala sovracomunale (v. il punto 2 della deliberazione regionale citata).
A ciò si aggiunge che il carattere strategico dell’area non è legato alle sole esigenze dell’agricoltura ma anche a quelle silvo-pastorali.
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La società ricorrente, proprietaria nel comune di Agrate Brianza di un’area a destinazione agricola secondo il PGT vigente, ha impugnato il PTCP della Provincia di Monza e Brianza in quanto l’ha inserita all’interno delle aree agricole strategiche individuate dalla tavola 7b e disciplinate dall'art. 6 delle NTA del Piano stesso.
La ricorrente premette che l’area è inserita in un contesto fortemente urbanizzato e dotato di tutte le infrastrutture di servizio ed è situata nella zona artigianale/industriale del comune di Agrate Brianza e confina con importanti aziende locali e con l’ambito di trasformazione (ATp6) produttivo. Per tali ragioni ha presentato un’osservazione alla Provincia per ottenere lo stralcio dell’area dagli ambiti agricoli strategici ma la Provincia l’ha ritenuta inaccoglibile in quanto ”l'inserimento in AAS è coerente con i criteri per l’individuazione degli ambiti e con l'impostazione metodologica del procedimento di individuazione effettuato”.
Contro il piano approvato ha quindi sollevato i seguenti motivi di ricorso.
   1. Illegittimità per violazione dell'art. 11, comma 4, della legge regionale n. 12 del 2005 sotto il profilo del mancato rispetto del criteri regionali per la definizione degli ambiti agricoli strategici. Eccesso di potere nelle sue diverse figure sintomatiche. Violazione dell'art. 41 della Costituzione.
Secondo la ricorrente la qualificazione del fondo in oggetto quale area agricola strategica si porrebbe in contrasto con la deliberazione della Giunta regionale della Lombardia n. 8059 del 2008 secondo la quale non tutti gli ambiti agricoli presentano specifiche peculiarità tali da essere definiti o riconosciuti come ambiti strategici.
Gli ambiti agricoli strategici non avrebbero funzione di salvaguardia dalla edificazione (come pure le aree agricole classiche sono state a volte considerate, sebbene con qualche contrasto in dottrina e giurisprudenza) ma assumerebbero la caratteristica di aree con vocazione economico-produttiva riguardo agli utilizzi agricoli. Gli elementi necessari per qualificare un’area agricola strategica sarebbero: a) inclusione tra le zone agricole del PGT; b) classificazione a "prati permanenti" contenuta nel DUSAF (banca dati dell'uso e copertura del suolo); c) continuità con altri ambiti agricoli strategici; d) inclusione nell'area di ricarica diretta degli acquiferi in base alla tavola 9 del PTCP di Monza come "prati permanenti".
Nessuno degli elementi innanzi considerati dalla provincia di Monza nella sua attività istruttoria per la formazione del PTCP avrebbe evidenziato quelle specifiche caratteristiche di "produttività agricola" necessarie per connotare l'area di cui è causa tra gli ambiti agricoli strategici.
...
Il primo motivo di ricorso è infondato.
Per quanto attiene alla nozione di area agricola strategica la giurisprudenza (Cons. Stato, IV, 01/09/2015 n. 4081; idem Cons. Stato, I, 04.07.2017 n. 1607; TAR Lombardia, Brescia, I, 08/05/2017 n. 614) ha riconosciuto che il concetto di area a vocazione agricola e il concetto di area agricola strategica non sono sovrapponibili.
In particolare, è stato detto che “In disparte l’elemento storico (provenienza dei due concetti da differenti impianti normativi) e testuale (l’espressa connotazione delimitativa delle aree agricole strategiche), appare corretta la lettura del TAR che ha evidenziato come anche la Regione Lombardia avesse individuato diversamente i criteri per la definizione degli ambiti destinati all’attività agricola di interesse strategico, attraverso delibera di Giunta n. VIII/8059 del 19.09.2008, da dove si evince che gli ambiti strategici non sono tutti quelli destinati all’agricoltura, ma solo quelle parti di territorio caratterizzate da elementi di particolare rilievo” (v. Cons. Stato, IV, 01/09/2015 n. 4081).
Tuttavia l’idoneità dei terreni della ricorrente a soddisfare esigenze agricole risulta motivata dalla Provincia con elementi che sono desunti proprio dalla delibera di Giunta n. VIII/8059 del 19.09.2008, come la valutazione della classe del valore agro-forestale e l'estensione e continuità territoriale di scala sovracomunale (v. il punto 2 della deliberazione regionale citata).
A ciò si aggiunge che, a differenza di quanto affermato dalla ricorrente, il carattere strategico dell’area non è legato alle sole esigenze dell’agricoltura ma anche a quelle silvo-pastorali. Né d’altro canto la ricorrente ha contestato i dati provenienti dall’ERSAF, limitandosi piuttosto ad un più generico motivo di difetto di motivazione (TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 07.02.2020 n. 266 - link a www.giustizia-amministrartiva.it).

anno 2019

EDILIZIA PRIVATAAttività connesse riconducibili all’ambito agricolo.
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Agricoltura - Attività connesse - Riconducibilità all'ambito agricolo - Presupposti.
Le attività connesse, per essere riconducibili all’ambito agricolo, devono essere svolte dallo stesso imprenditore agricolo e devono riguardare prevalentemente prodotti propri (1).
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   (1) Ha ricordato la Sezione che l’art. 2135 c.c. esclude che possano qualificarsi come connesse attività ausiliare dell’agricoltura svolte da chi già non eserciti un’attività qualificabile come essenzialmente agricola ai sensi del primo e secondo comma dello stesso art. 2135 c.c.
Il comma 423 della legge finanziaria 2006 ha ampliato le categorie delle attività agricole connesse di cui al terzo comma dell’art. 2135 c.c., riconducendovi anche la produzione di energia elettrica o calorica derivante da fonti rinnovabili agroforestali (biomasse) e fotovoltaiche.
L’art. 1, comma 369, della legge finanziaria 2007 ha sostituito il comma n. 423 sopra citato, riformulandolo nel senso di sottolineare che, sebbene la connessione sia stabilita ex lege, devono essere rispettate le condizioni di prevalenza e di esercizio da parte dello stesso imprenditore agricolo.
La Corte Costituzionale con la sentenza n. 66/2015 ha evidenziato che il legislatore ha delineato la categoria delle attività connesse utilizzando il concetto della prevalenza dell’attività propriamente agricola nell’economia complessiva dell’impresa; nello stesso senso dispone l’art. 32, d.P.R. n. 917 del 1986 ai fini dell’Irpef.
La ratio dell’art. 52, comma 2-bis, d.l. n. 83 del 2012 è quella di concentrare nello stesso imprenditore agricolo lo svolgimento dell’attività primaria diretta alla produzione agricola e quella accessoria di utilizzazione di un biodigestore, alimentato con i prodotti della propria azienda o di quella di altre aziende a lui collegate.
Nel concetto di agroindustria, da intendersi come l’insieme dei processi produttivi dedicati alla raccolta, al trattamento e alla trasformazione dei prodotti agricoli, non può rientrare, quindi, l’attività industriale di produzione di carburanti svolta dalla società appellata.
Ha aggiunto la Sezione che il tema dei sottoprodotti è particolarmente delicato perché incide sulla materia ambientale e sulla salute umana.
Sebbene la normativa europea (direttiva 2008/98/CE) promuova il riciclaggio dei rifiuti, ed incentivi le fonti rinnovabili per la produzione di energia elettrica (direttiva 2001/77/CE, direttiva 2009/28/CE), sollecitando il massimo sfruttamento delle risorse, la riduzione dei rifiuti ed il loro recupero/riciclaggio, nondimeno la qualificazione come sottoprodotto di un residuo necessita particolare cautela e presuppone la verifica della sussistenza delle condizioni caso per caso.
Nella specie l’Amministrazione, facendo applicazione del principio di precauzione e prevenzione, nel disciplinare il digestato per usi agronomici, ha ritenuto di ammettere i soli materiali per i quali l’impiego doveva ritenersi sicuramente privo di rischi sotto il profilo ambientale e sanitario e, dunque, presuntivamente innocuo per l’ambiente e per la salute umana (Consiglio diStato, Sez. III, sentenza 04.09.2019 n. 6093 - tratto da e link a www.giustizia-amministrartiva.it).

EDILIZIA PRIVATA: OGGETTO: Comune di Gressan – permesso di costruire – sottozona Eg49 – ristrutturazione, cambio di destinazione d’uso, ampliamento e potenziamento di azienda agricola – interpretazione NTA – parere (Legali Associati per Celva, nota 08.01.2019 - tratto da www.celva.it).

anno 2017

EDILIZIA PRIVATA: Costruzione di fabbricati rurali - Rilascio del permesso di costruire subordinato ad un duplice requisito - Soggettivo, costituito dallo status - Oggettivo, rapporto di strumentalità delle opere alla coltivazione del fondo - DIRITTO AGRARIO - Artt. 16, 17, 31, 44 d.p.r. n. 380/2001.
Il rilascio del permesso di costruire fabbricati rurali in zone agricole è subordinato ad un duplice requisito: il primo di natura soggettiva, costituito dallo status di proprietario coltivatore diretto, proprietario conduttore in economia, proprietario concedente, imprenditore agricolo, il secondo di natura oggettiva, rappresentato dal rapporto di strumentalità delle opere alla coltivazione del fondo, precisando che la ratio della previsione è ovviamente nel senso di evitare che qualsiasi individuo, benché sprovvisto della qualità di coltivatore, possa legittimamente costruire un immobile ad uso residenziale in zona agricola.
Ciò avrebbe l'evidente conseguenza di consentire la trasformazione di una zona agricola, tutelata dall'ordinamento, in un'area sostanzialmente residenziale e si porrebbe quindi in contrasto con la ratio della disciplina vincolistica che è volta allo scopo di attuare un equilibrato componimento tra le contrapposte esigenze e cioè, da un lato, consentire una razionale possibilità di sfruttamento edilizio delle aree agricole per scopi di sviluppo economico e, dall'altro, garantire la loro destinazione esclusiva ad attività agronomiche (Corte di Cassazione, Sez. III, sentenza 29.12.2017 n. 57914 - link a www.ambientediritto.it).

EDILIZIA PRIVATA: E' del tutto inconciliabile con la finalità agricola, e non può essere ammissibile, la realizzazione in area agricola di opere di battitura del terreno, riporto di sabbia e di materiali inerti con asfaltatura per la realizzazione di una pavimentazione per uno spessore di circa 50 cm.
La realizzazione del piazzale-deposito altera lo stato dei luoghi e costituisce un intervento di permanente trasformazione edilizia e urbanistica del territorio disciplinato dall'art. 3, d.P.R. n. 380 del 2001 che, essendo subordinato al permesso di costruire, deve necessariamente rispettare le tipologie e le destinazioni d'uso funzionali consentite per la zona agricola.

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Il Collegio ritiene che il ricorso sia infondato.
...
Riguardo, invece, al terzo motivo di diritto, l’opera di asfaltatura è stata realizzata su area agricola.
In proposito, riguardo ad altre fattispecie analoghe a quella in questione la realizzazione di un parcheggio scoperto è stata riconosciuta assolutamente fuori dalle ipotesi di legittima utilizzazione che il proprietario poteva fare del proprio terreno ed è stato, in particolare, affermato che: “E' del tutto inconciliabile con la finalità agricola, e non può essere ammissibile, la realizzazione in area agricola di opere di battitura del terreno, riporto di sabbia e di materiali inerti con asfaltatura per la realizzazione di una pavimentazione per uno spessore di circa 50 cm. La realizzazione del piazzale-deposito altera lo stato dei luoghi e costituisce un intervento di permanente trasformazione edilizia e urbanistica del territorio disciplinato dall'art. 3, d.P.R. n. 380 del 2001 che, essendo subordinato al permesso di costruire, deve necessariamente rispettare le tipologie e le destinazioni d'uso funzionali consentite per la zona agricola” (cfr. TAR Campania, sez. VIII, 10.03.2016, n. 1397; 07.11.2016, n. 5116) (TAR Lombardia-Milano, Sez. I, sentenza 01.06.2017 n. 1231 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Oggetto: Parere in merito alla determinazione del contributo di costruzione per il rilascio di permesso a costruire per la realizzazione di annessi agricoli - Comune di Vicovaro (Regione Lazio, nota 23.05.2017 n. 260672 di prot.).

URBANISTICA: Le scelte urbanistiche compiute dalle autorità preposte alla pianificazione territoriale costituiscono espressione di ampia discrezionalità. Si tratta, infatti, di scelte di merito, che non possono essere sindacate dal giudice amministrativo, a meno che risultino inficiate da arbitrarietà o irragionevolezza manifeste, ovvero da travisamento dei fatti in ordine alle esigenze che si intendono nel concreto soddisfare.
In questa prospettiva, le scelte urbanistiche non necessitano, di regola, di apposita motivazione, oltre a quella che si può evincere dai criteri generali, di ordine tecnico-discrezionale, seguiti nell'impostazione del piano, salvo che ricorra una delle evenienze che, in conformità ai consolidati indirizzi della giurisprudenza, determinano un onere motivatorio più incisivo.
Tali evenienze sono state ravvisate:
   a) nella lesione dell'affidamento qualificato del privato derivante da convenzioni di lottizzazione, da accordi di diritto privato intercorsi fra il Comune e i proprietari delle aree, da aspettative nascenti da giudicati di annullamento di dinieghi del titolo edilizio o di silenzio rifiuto su domanda di rilascio del permesso di costruire, ecc.;
   b) nel caso in cui l’autorità intenda imprimere destinazione agricola ad un lotto intercluso da fondi legittimamente edificati;
   c) nell’ipotesi in cui lo strumento urbanistico effettui un sovradimensionamento delle aree destinate ad ospitare attrezzature pubbliche e di interesse pubblico o generale (cd. aree standard), quantificandole in misura maggiore rispetto ai parametri minimi fissati dall’art. 3 del d.m. n. 1444 del 1968 e dall’art. 9, comma 3, della legge della Regione Lombardia n. 12 del 2005.
Non costituisce, invece, posizione di affidamento tutelabile in sede giurisdizionale quella del soggetto che veda semplicemente assegnata alla sua area una disciplina peggiorativa rispetto a quella dettata dai previgenti atti di pianificazione.
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La giurisprudenza ha ormai chiarito che la nozione di naturale vocazione edificatoria può essere appropriatamente impiegata soltanto nel contesto delle vicende espropriative, mentre non si attaglia al diverso ambito della disciplina d’uso dei suoli, poiché –postulando la preesistenza di una edificabilità di fatto– contraddice la sottoposizione di ogni attività edilizia alle scelte pianificatorie dell’amministrazione.
D’altro canto, è parimenti acclarato che “all’interno della pianificazione urbanistica possano trovare spazio anche esigenze di tutela ambientale ed ecologica, tra le quali spicca proprio la necessità di evitare l'ulteriore edificazione e di mantenere un equilibrato rapporto tra aree edificate e spazi liberi”. E ciò in quanto “l’urbanistica, ed il correlativo esercizio del potere di pianificazione, non possono essere intesi, sul piano giuridico, solo come un coordinamento delle potenzialità edificatorie connesse al diritto di proprietà, così offrendone una visione affatto minimale, ma devono essere ricostruiti come intervento degli enti esponenziali sul proprio territorio, in funzione dello sviluppo complessivo ed armonico del medesimo”, per cui l’esercizio dei poteri di pianificazione territoriale ben può tenere conto delle esigenze legate alla tutela di interessi costituzionalmente primari, tra i quali rientrano quelli contemplati dall’articolo 9 della Costituzione.
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In tale prospettiva, deve pure ricordarsi che, per costante giurisprudenza, la destinazione di un'area a verde agricolo non implica necessariamente che la stessa soddisfi in modo diretto e immediato interessi agricoli, ben potendo giustificarsi con le esigenze dell'ordinato governo del territorio, quale la necessità di impedire ulteriori edificazioni, ovvero di garantire l’equilibrio delle condizioni di vivibilità, assicurando la quota di valori naturalistici e ambientali necessaria a compensare gli effetti dell’espansione dell’aggregato urbano.

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Le osservazioni successive all’adozione costituiscono meri apporti collaborativi dei cittadini, in funzione di interessi generali e non individuali, per cui l’Amministrazione può semplicemente rigettarle laddove contrastino con gli interessi e le considerazioni generali sottese allo strumento urbanistico.
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5. Va quindi presa in esame l’impugnazione proposta con il ricorso R.G. n. 1171 del 2015, diretta contro la richiamata deliberazione del Consiglio comunale n. 47 del 24.09.2014, di approvazione della variante generale costituente il c.d. nuovo PGT di Desio.
5.1 Con il primo motivo di ricorso le ricorrenti lamentano che la scelta di includere le aree delle ricorrenti negli “Spazi aperti ed agricoli – aa3 – Spazi aperti agricoli a compensazione ecologica - ambientale” contrasterebbe con la vocazione edificatoria del compendio immobiliare e sarebbe contraddittoria e lesiva dell’affidamento maturato dalle stesse società.
Le censure non possono essere accolte.
5.1.1 Per costante giurisprudenza, le scelte urbanistiche compiute dalle autorità preposte alla pianificazione territoriale costituiscono espressione di ampia discrezionalità. Si tratta, infatti, di scelte di merito, che non possono essere sindacate dal giudice amministrativo, a meno che risultino inficiate da arbitrarietà o irragionevolezza manifeste, ovvero da travisamento dei fatti in ordine alle esigenze che si intendono nel concreto soddisfare (cfr., ex multis, Cons. Stato, Sez. IV, 22.05.2014, n. 2649; Id., 25.11.2013, n. 5589; TAR Lombardia, Milano, Sez. II, 15.05.2014, n. 1281).
In questa prospettiva, le scelte urbanistiche non necessitano, di regola, di apposita motivazione, oltre a quella che si può evincere dai criteri generali, di ordine tecnico-discrezionale, seguiti nell'impostazione del piano (Ad. plen., n. 24 del 1999), salvo che ricorra una delle evenienze che, in conformità ai consolidati indirizzi della giurisprudenza (più volte richiamati anche da questa Sezione; v., tra le ultime: TAR Lombardia, Milano, Sez. II, 15.09.2016, n. 1680; Id., 23.03.2015, n. 783; Id., 30.09.2014, n. 2404; Id., 22.07.2014, n. 1972), determinano un onere motivatorio più incisivo.
Tali evenienze sono state ravvisate:
   a) nella lesione dell'affidamento qualificato del privato derivante da convenzioni di lottizzazione, da accordi di diritto privato intercorsi fra il Comune e i proprietari delle aree, da aspettative nascenti da giudicati di annullamento di dinieghi del titolo edilizio o di silenzio rifiuto su domanda di rilascio del permesso di costruire, ecc.;
   b) nel caso in cui l’autorità intenda imprimere destinazione agricola ad un lotto intercluso da fondi legittimamente edificati (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 01.10.2004, n. 6401; Id., 04.03.2003, n. 1197);
   c) nell’ipotesi in cui lo strumento urbanistico effettui un sovradimensionamento delle aree destinate ad ospitare attrezzature pubbliche e di interesse pubblico o generale (cd. aree standard), quantificandole in misura maggiore rispetto ai parametri minimi fissati dall’art. 3 del d.m. n. 1444 del 1968 e dall’art. 9, comma 3, della legge della Regione Lombardia n. 12 del 2005 (cfr. Ad. plen. n. 24 del 1999; TAR Lombardia, Milano, Sez. II, 04.01.2011, n. 4).
Non costituisce, invece, posizione di affidamento tutelabile in sede giurisdizionale quella del soggetto che veda semplicemente assegnata alla sua area una disciplina peggiorativa rispetto a quella dettata dai previgenti atti di pianificazione (cfr., ex multis, Cons. Stato, Sez. VI, 20.06.2012, n. 3571; TAR Lombardia, Milano, Sez. II, 30.09.2014, n. 2404; TAR Lombardia, Brescia, Sez. II, 18.12.2013, n. 1143).
5.1.2 Nel caso oggetto del presente giudizio, le ricorrenti affermano di essere titolari di un particolare affidamento, derivante dalla circostanza di non essere pervenute alla stipulazione della convenzione di lottizzazione con il Comune –sulla base del PRG vigente fino all’entrata in vigore del PGT del 2009– soltanto per ragioni ad esse non imputabili.
Occorre tuttavia rilevare che la posizione del soggetto che semplicemente aspiri a dare corso a una lottizzazione convenzionata non può essere equiparata a quella di chi sia pervenuto a regolare i propri rapporti con il Comune mediante una convenzione che ponga diritti e obblighi in capo alle parti. Le ragioni per le quali le trattative tra le parti non abbiano condotto alla stipulazione della convenzione possono infatti assumere rilevanza eventualmente, sussistendone i presupposti, al fine di fondare un titolo di responsabilità precontrattuale. Non può invece ammettersi –in coerenza con gli indirizzi giurisprudenziali sopra riportati– l’insorgere di un affidamento al mantenimento delle previsioni contenute nello strumento urbanistico generale in un momento antecedente all’accordo con il Comune finalizzato a darvi effettiva attuazione.
D’altro canto, non può non rilevarsi che, nel caso oggetto del presente giudizio, la stipulazione della convenzione non era imminente al momento della modifica delle previsioni di piano, non essendo stato ancora elaborato neppure il progetto di piano attuativo. Pertanto –a prescindere dalla valutazione delle ragioni di tale situazione di fatto– è da escludere in ogni caso che i ricorrenti potessero vantare un affidamento qualificato alla conservazione delle previsioni di trasformazione del suolo contenute nel previgente strumento urbanistico generale.
5.1.3 Deve, poi, rimarcarsi che nel caso di specie non è neppure ravvisabile la fattispecie del c.d. lotto intercluso.
Secondo quanto risulta agli atti del giudizio, le aree interessate non costituiscono –come affermato dalle ricorrenti– un fazzoletto di terra delimitato in parte dall’autostrada Pedemontana Lombarda e in parte da zone edificate. Si tratta invece di un compendio di superficie superiore a 5.000 mq, non intercluso all’interno del tessuto urbano consolidato, ma posto ai margini di questo.
5.1.4 In coerenza con i principi sopra esposti, va quindi esclusa la sussistenza di situazioni che imponevano al Comune un onere di motivazione rafforzata delle scelte inerenti alla destinazione delle aree delle ricorrenti.
5.1.5 Ciò posto, deve ancora evidenziarsi, in punto di fatto, che tali aree ricadono nell’ambito della rete verde di ricomposizione paesaggistica di cui all’articolo 31 delle Norme Tecniche di Attuazione del PTCP e, inoltre, sono interessate dal passaggio del Corridoio trasversale della rete verde, disciplinato dall’articolo 32 delle NTA del PTCP; corridoio consistente in una fascia di rispetto di rilevante ampiezza lungo il tracciato dell’autostrada, con finalità di compensazione ambientale.
Occorre poi aggiungere che il PGT di Desio del 2014 risulta essere ispirato chiaramente all’obiettivo di contenere il consumo del suolo e di indirizzare le politiche urbanistiche verso il recupero del patrimonio edilizio esistente. Tale finalità costituisce la direttrice che informa l’intero impianto del nuovo strumento urbanistico, come reso evidente dalla relazione illustrativa, la quale si apre –significativamente– con un paragrafo 1.1 intitolato “Desio non può più espandere l’urbanizzato” (v. doc. 1 del Comune, p. 14).
5.1.6 In un tale contesto, è da ritenere che la scelta del Comune di rendere inedificabili le aree delle ricorrenti non sia manifestamente arbitraria o irragionevole, ma si ponga in linea con gli obiettivi che l’Amministrazione ha inteso perseguire.
E, in questa prospettiva, non sono condivisibili le affermazioni delle ricorrenti, secondo le quali l’illegittimità delle previsioni dello strumento urbanistico deriverebbe dall’assenza di vocazione agricola e di profili di pregio ecologico e paesistico delle aree. La giurisprudenza ha infatti ormai chiarito che la nozione di naturale vocazione edificatoria può essere appropriatamente impiegata soltanto nel contesto delle vicende espropriative, mentre non si attaglia al diverso ambito della disciplina d’uso dei suoli, poiché –postulando la preesistenza di una edificabilità di fatto– contraddice la sottoposizione di ogni attività edilizia alle scelte pianificatorie dell’amministrazione (Cons. Stato, Sez. IV, 21.12.2012, n. 6656).
D’altro canto, è parimenti acclarato che “all’interno della pianificazione urbanistica possano trovare spazio anche esigenze di tutela ambientale ed ecologica, tra le quali spicca proprio la necessità di evitare l'ulteriore edificazione e di mantenere un equilibrato rapporto tra aree edificate e spazi liberi” (così ancora Cons. Stato n. 6656 del 2012, cit.). E ciò in quanto “l’urbanistica, ed il correlativo esercizio del potere di pianificazione, non possono essere intesi, sul piano giuridico, solo come un coordinamento delle potenzialità edificatorie connesse al diritto di proprietà, così offrendone una visione affatto minimale, ma devono essere ricostruiti come intervento degli enti esponenziali sul proprio territorio, in funzione dello sviluppo complessivo ed armonico del medesimo”, per cui l’esercizio dei poteri di pianificazione territoriale ben può tenere conto delle esigenze legate alla tutela di interessi costituzionalmente primari, tra i quali rientrano quelli contemplati dall’articolo 9 della Costituzione (Cons. Stato, Sez. IV, 10.05.2012, n. 2710; in termini analoghi, tra le tante: Id. 05.09.2016, n. 3806; Id., 25.05.2016, n. 2221; Id., 21.12.2012, n. 6656; Id., 28.11.2012, n. 6040; TAR Lombardia, Milano, Sez. II, 05.06.2014, n. 1465).
In tale prospettiva, deve pure ricordarsi che, per costante giurisprudenza, la destinazione di un'area a verde agricolo non implica necessariamente che la stessa soddisfi in modo diretto e immediato interessi agricoli, ben potendo giustificarsi con le esigenze dell'ordinato governo del territorio, quale la necessità di impedire ulteriori edificazioni, ovvero di garantire l’equilibrio delle condizioni di vivibilità, assicurando la quota di valori naturalistici e ambientali necessaria a compensare gli effetti dell’espansione dell’aggregato urbano (cfr, ex multis, Cons. Stato, Sez. IV, 12.02.2013, n. 830; Id., 16.11.2011, n. 6049; TAR Lombardia, Milano, Sez. II, 30.09.2016, n. 1766; Id., 11.12.2013, n. 2808; Id., 20.06.2012, n. 1720).
Nel caso di specie, l’interesse dell’area dal punto di vista ecologico e paesaggistico è stato, del resto, espressamente riconosciuto da Piano Territoriale di Coordinamento Provinciale, non impugnato dalle ricorrenti. A questo proposito, è poi utile aggiungere che la mera circostanza che le aree siano prossime a centri abitati e a un’importante arteria stradale di per sé non vale a escluderne la rilevanza dal punto di vista ambientale, poiché tali dati di fatto si prestano anzi a far emergere un interesse alla conservazione del suolo inedificato, per ragioni di compensazione ambientale. E, a ben vedere, proprio tale valutazione risulta essere sottesa alle previsioni del PGT relative alle aree delle ricorrenti, che sono state incluse, non a caso, tra quelle “di compensazione ecologica–ambientale”.
5.1.7 In definitiva, per le ragioni sin qui esposte, le censure articolate con il primo motivo di impugnazione vanno quindi respinte.
5.2 Parimenti infondate sono le doglianze proposte con il secondo motivo, ove le ricorrenti lamentano l’eccessiva genericità delle controdeduzioni comunali alla loro osservazione e sostengono, inoltre, che –contrariamente a quanto affermato dal Comune– l’inclusione dell’area nella rete verde di ricomposizione paesaggistica e nel corridoio ambientale non la renderebbe per ciò solo inedificabile.
5.2.1 Al riguardo, occorre ricordare che per costante giurisprudenza le osservazioni successive all’adozione costituiscono meri apporti collaborativi dei cittadini, in funzione di interessi generali e non individuali, per cui l’Amministrazione può semplicemente rigettarle laddove contrastino con gli interessi e le considerazioni generali sottese allo strumento urbanistico (cfr. ex multis: Cons. Stato, Sez. IV, 01.07.2014, n. 3294).
Nel caso di specie, l’osservazione tendente a ottenere il ripristino delle potenzialità edificatorie attribuite all’area delle ricorrenti dal PRG è stata respinta evidenziando che l’area è all’esterno del tessuto urbano consolidato e ricade nella rete verde di ricomposizione paesaggistica e nel corridoio trasversale della rete verde. Da ciò la conclusione che –trattandosi di ambito non edificabile già nel PGT vigente alla data di entrata in vigore del nuovo strumento urbanistico– non fosse consentito prevedere alcuna forma di consumo di suolo (doc. 26 delle ricorrenti).
Si tratta di una motivazione per nulla generica o apodittica, né –tanto meno– errata. L’Amministrazione ha infatti rigettato la richiesta di modifica della disciplina del compendio rinviando alle prescrizioni contenute nel Piano Territoriale di Coordinamento Provinciale, che hanno imposto un regime di particolare tutela in relazione alle aree delle ricorrenti. E se è vero che gli articoli 31 e 32 del PTCP non escludono in modo assoluto l’edificazione, ma la consentono in alcuni limitati casi, è pure vero che tali fattispecie non risultano essersi verificate nel caso in esame. Il Comune ha infatti evidenziato –come detto– che il compendio era già inedificabile in base alle previsioni previgenti al nuovo PGT, per cui la possibilità di reintrodurre una destinazione edificatoria non è stata salvaguardata dalla disciplina della rete verde contenuta nel PTCP.
Quanto alla porzione inclusa nel Corridoio trasversale della rete verde, è la stessa parte ricorrente a evidenziare che la trasformazione edificatoria potrebbe essere consentita nei soli casi e modi previsti dall’articolo 32 del PTCP, che in ogni caso richiede un apposito accordo tra Comune e Provincia. Tale accordo nella specie non è intercorso, né il Comune poteva ritenersi onerato a perseguirlo.
5.2.2 Non risulta, infine, comprovato il lamentato difetto di istruttoria in relazione al recepimento delle previsioni del PTCP alla scala comunale. L’affermazione è infatti posta dalle ricorrenti in relazione alle allegate caratteristiche oggettive delle aree. Su tali caratteristiche, e sulla valutazione che è consentito operarne nel quadro delle scelte urbanistiche, valgono –tuttavia– le considerazioni sopra esposte, alle quali si rinvia
(TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 21.02.2017 n. 434 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

anno 2016

EDILIZIA PRIVATA: OGGETTO: Intervento edilizio gratuito in zona agricola da parte dello I.A.P. (Regione Lombardia - Direzione Generale Territorio, Urbanistica e Difesa del Suolo, risposta e-mail del 27.01.2016).

EDILIZIA PRIVATA: Gli strumenti del contadino vendibili dal contadino.
Vanga e rastrello in vendita dal contadino che però per vendere tavoli e sedie deve rispettare le norme commerciali. L'attività imprenditoriale agricola non va interpretata in senso stretto; e, pertanto, in base all'articolo 2135 codice civile introdotto dal dlgs 228/2001, non si può inquadrare l'azienda florovivaistica come mera attività di coltivazione di piante e fiori e della loro vendita, escludendo tutte le attività dirette alla fornitura di beni o servizi che siano strettamente connessi appunto con il florovivaismo. Con la conseguenza che va ricompresa in questo genere di attività la commercializzazione di una serie di prodotti accessori o funzionali alle attività di giardinaggio o di allestimento di spazi verdi.

In linea puramente teorica, ha chiarito il Consiglio di Stato, Sez. V, con la sentenza 18.01.2016 n. 131, si deve ammettere che il legislatore ha dato un riconoscimento a tale lettura dell'attività delle aziende attive nel giardinaggio.
In sostanza, ha precisato il Collegio, con il dlgs 228/2001 è stato dato il via a un'ampia liberalizzazione del commercio dei propri prodotti da parte delle aziende agricole, sia nella forma più semplice del fiore, del frutto o della pianta, sia in quella più complessa della loro manipolazione o di beni a questa connessi. Fatto che può inevitabilmente comprendere cose non direttamente derivanti dall'agricoltura, ma ad essa connesse come vasi, strumenti di irrigazione, concimi, insetticidi o strumenti per l'immediato utilizzo della terra come rastrelli o vanghe.
Appare però evidente che la commercializzazione dei prodotti agricoli o florovivaistici o la fornitura di beni connessi a queste attività deve rispettare le stesse regole che la ammettono, così come quelle attinenti altre attività come quella commerciale.
 Infatti, se a un'azienda florovivaistica è permessa la vendita di prodotti e beni riconducibili alla sua attività, ciò non può comportare che la medesima si renda attiva nella vendita di prodotti che solamente in senso estremamente lato possono avvicinarsi al giardinaggio: dai barbecue ai vasi in ceramica, dalle padelle alle graticole, dai tavoli e sedie in vimini o in plastica alle case in legno prefabbricate a uso deposito da giardino. In tal caso, infatti, l'imprenditore agricolo dovrà rispettare la normativa commerciale (articolo ItaliaOggi del 25.02.2016).
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MASSIMA
... per la riforma della sentenza del TAR Emilia Romagna, Bologna, Sez. II n. 776/2014, resa tra le parti, concernente l’ordine di chiusura di un esercizio commerciale abusivo;
...
5. L’appello è infondato.
Il Collegio non ravvisa elementi in senso difforme rispetto a quanto ritenuto dal giudice di primo grado relativamente alla sostanziale trasformazione dell’azienda florovivaistica Garden Ga. in esercizio commerciale di vicinato, senza i titoli necessari.
Espone in sintesi l’appellante Azienda che alla configurazione dell’attività imprenditoriale agricola non si può dare nell’ambito della legislazione vigente una ‘lettura restrittiva’, poiché secondo il nuovo testo dell’art. 2135 c.c. introdotto dall’art. 1 D.Lgs. 18.05.2001, n. 228, non si può inquadrare l’azienda florovivaistica come mera attività di coltivazione di piante e fiori e della loro vendita, escludendo tutte le attività dirette alla fornitura di beni o servizi che siano strettamente connessi appunto con il florovivaismo.
Dunque andrebbe ricompresa in questo genere di attività la commercializzazione di una serie di prodotti accessori o funzionali alle attività di giardinaggio o di allestimento di spazi verdi, cosa che non si porrebbe nemmeno contrasto con la destinazione agricola dell’area in cui ricade l’azienda, visto che tali attività devono virtualmente essere ricomprese in un tutt’uno con le gestione di serre, l’attività di florovivaismo e la conseguente vendita dei beni ordinariamente ricompresi in tali iniziative.
In linea puramente teorica, si deve ammettere che il legislatore ha dato un riconoscimento a tale lettura dell’attività delle aziende attive nel giardinaggio e ciò con i nuovi contenuti dell’art. 2135 c.c., secondo il quale «È imprenditore agricolo chi esercita una delle seguenti attività: coltivazione del fondo, selvicoltura, allevamento di animali e attività connesse. ... Si intendono comunque connesse le attività, esercitate dal medesimo imprenditore agricolo, dirette alla manipolazione, conservazione, trasformazione, commercializzazione e valorizzazione che abbiano ad oggetto prodotti ottenuti prevalentemente dalla coltivazione del fondo o del bosco o dall'allevamento di animali, nonché le attività dirette alla fornitura di beni o servizi mediante l’utilizzazione prevalente di attrezzature o risorse dell’azienda normalmente impiegate nell’attività agricola esercitata, ivi comprese le attività di valorizzazione del territorio e del patrimonio rurale e forestale, ovvero di ricezione ed ospitalità come definite dalla legge».
Quanto alla commercializzazione, i nuovi contenuti della figura dell’imprenditore agricolo vanno correlati ed insieme limitati con quanto riportato dall’art. 4 del D.Lgs. n. 228 del 2001, in particolare dal comma 1, per il quale «
Gli imprenditori agricoli, singoli o associati, iscritti nel registro delle imprese di cui all'art. 8 della legge 29.12.1993, n. 580, possono vendere direttamente al dettaglio, in tutto il territorio della Repubblica, i prodotti provenienti in misura prevalente dalle rispettive aziende, osservate le disposizioni vigenti in materia di igiene e sanità».
Per il successivo comma 5, «
La presente disciplina si applica anche nel caso di vendita di prodotti derivati, ottenuti a seguito di attività di manipolazione o trasformazione dei prodotti agricoli e zootecnici, finalizzate al completo sfruttamento del ciclo produttivo dell'impresa».
Ritiene la Sezione che
la lettura complessiva che se ne ricava è sicuramente quella di un’ampia liberalizzazione del commercio dei propri prodotti da parte delle aziende agricole, sia nella forma più semplice del fiore, del frutto o della pianta, ma anche in quella più complessa della loro manipolazione oppure di beni a questa connessi, fatto che può inevitabilmente comprendere cose non direttamente derivanti dall’agricoltura, ma ad essa strettamente connesse come vasi, strumenti di irrigazione, concimi, insetticidi o strumenti per l’immediato utilizzo della terra come rastrelli o vanghe.
Ritenuto ciò in generale, appare però evidente che
la commercializzazione dei prodotti agricoli o florovivaistici oppure la fornitura di beni connessi a queste attività deve rispettare le stesse regole che la ammettono, così come quelle attinenti altre attività come quella prettamente commerciale.
Infatti,
se ad un’azienda florovivaistica deve essere permessa la vendita dei propri prodotti e dei beni strettamente riconducibili alla sua attività, ciò non può comportare che la medesima si renda attiva nella vendita di prodotti che solamente in senso estremamente lato possono avvicinarsi al giardinaggio; dai barbecue carrellati ai vasi in ceramica, dalle padelle alle graticole, dai tavoli e sedie in vimini o in plastica alle case in legno prefabbricate ad uso deposito da giardino.
Né gli spazi di vendita, ove indicati in una superficie pari a mq. 20, possono essere ampliati ad oltre 200 senza segnalazione certificata di inizio attività nel rispetto del D.Lgs. 31.03.1998, n. 114, e successive modificazioni, e sempre nel rispetto dei relativi presupposti e delle relative leggi regionali di attuazione.
Alla luce di quanto finora rilevato, risulta evidente che l’attività dell’appellante ha largamente trasmodato le possibilità commerciali connesse con l’attività imprenditoriale agricola.

EDILIZIA PRIVATA: Sull'attività cinotecnica che –per espressa definizione normativa– è configurabile come attività agricola, diretta all’allevamento, addestramento e selezione delle razze canine.
La disciplina della cd. “cinotecnica” è racchiusa nella L. 349/1993, ai sensi della quale consiste nell’attività “volta all'allevamento, alla selezione e all'addestramento delle razze canine” (art. 1, comma 1), mentre assume natura imprenditoriale agricola “quando i redditi che ne derivano sono prevalenti rispetto a quelli di altre attività economiche non agricole svolte dallo stesso soggetto” (art. 2, comma 1): tali soggetti così definiti sono “imprenditori agricoli, ai sensi dell'articolo 2135 del codice civile”.
Una prima riflessione conduce a ritenere plausibile, in quanto giuridicamente ammissibile, l’espletamento dell’attività cinotecnica in forma non imprenditoriale, secondo quanto stabilisce lo stesso art. 2, comma 3, della L. 349/1993 per cui “Non sono comunque imprenditori agricoli gli allevatori che producono nell'arco di un anno un numero di cani inferiore a quello determinato, per tipi o per razze, con decreto del Ministro dell'agricoltura e delle foreste da emanare entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge”.
A questo proposito, il D.M. 28/01/1994 statuisce che “Non sono imprenditori agricoli gli allevatori che tengono in allevamento un numero inferiore a cinque fattrici e che annualmente producono un numero di cuccioli inferiore alle trenta unità”. Il legislatore regolamenta l’attività cinotecnica svolta in forma professionale, ponendo alcuni requisiti minimi (afferenti al reddito e al numero di capi), in difetto dei quali il soggetto interessato non assume la qualifica di imprenditore agricolo.
In buona sostanza, la L. 349/1993 non impone a colui che esercita l’attività cinotecnica di assumere necessariamente lo status di imprenditore agricolo.
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Né tale conclusione si evince dalla previsione pianificatoria del Comune per la quale nell’area ricadente nel PLIS sono ammessi soltanto “interventi connessi all’attività agricola, attività agrituristiche, realizzazione di servizi e attrezzature pubbliche o di uso o interesse pubblico”.
Innanzitutto non appare direttamente pertinente il richiamo agli artt. 59 e ss. della L.r. 12/2005, i quali disciplinano gli interventi edificatori in zona agricola, mentre l’iniziativa economica di cui si controverte non prevede la realizzazione di opere edili.
Lo stesso art. 2135 del c.c. –nello stabilire il criterio di collegamento dell'attività economica con il fattore produttivo “terra”, individuando le “attività connesse” come quelle che si inseriscono nel ciclo dell'economia agricola- è comunque rubricato “imprenditore agricolo”, e dunque si rivolge ai soggetti che (diversamente dal caso di specie) prestano l’attività in forma professionale.
Osserva infine il Collegio che l’art. 7 delle NTA già citato, nella sua formulazione letterale, permette gli interventi connessi all’attività agricola “contemplati dalla vigente legislazione”, in tal modo effettuando un rinvio recettizio di tipo dinamico alle disposizioni normative vigenti, tra le quali acquistano rilevanza gli artt. 1 e 2 della L. 349/1996.
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Un ulteriore profilo investe la definizione di attività cinotecnica, che ad avviso della resistente difesa deve necessariamente comprendere l’allevamento e la selezione canina.
Nell’ambiguità della norma, che semplicemente elenca le tre tipologie di attività (ossia allevamento, selezione e addestramento delle razze canine), il Collegio non ravvisa ragioni logiche per escludere la sua operatività nel caso di iniziative limitate al solo addestramento.
Se, come già rilevato, è ammessa l’attività in forma non imprenditoriale, è ipotizzabile che la specializzazione investa esclusivamente una delle 3 fasi normativamente contemplate e che l’operatore effettui le prestazioni coinvolgendo gli animali che vengono di volta in volta condotti in loco dai rispettivi proprietari.
Se è logico ritenere che, in via ordinaria, l’addestramento sia rivolto agli animali allevati sul fondo, è comunque ragionevole consentire che il predetto singolo segmento qualificante dell’attività possa essere valorizzato secondo l’indicazione (non esplicitamente preclusiva) fornita dalla norma.
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La pet therapy consiste effettivamente in un’attività terapeutica di promozione della salute dei soggetti beneficiari, i quali si trovano in condizioni di particolare debolezza o fragilità: l’instaurazione di una relazione positiva con l’animale domestico realizza un evidente interesse di portata generale, ossia il miglioramento del benessere degli individui in difficoltà.
La cura delle patologie che affliggono talune persone mediante l’ausilio di animali ben può rientrare nella definizione di “servizi di interesse pubblico”, adoperata dall’amministrazione per descrivere gli interventi ammessi nella zona ove la ricorrente svolge la propria attività.

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... per l'annullamento DELL’ORDINANZA DEL RESPONSABILE DELLO SPORTELLO UNICO PER LE ATTIVITA’ PRODUTTIVE IN DATA 05/08/2014, CHE HA DISPOSTO LA CESSAZIONE IMMEDIATA DELL’ATTIVITA’ DI ADDESTRAMENTO CANI ESERCITATA IN VIRTU’ DELLA SCIA DEL 16/06/2014.
...
FATTO
In data 25/11/2013 la ricorrente depositava all’amministrazione comunale una prima SCIA per l’avvio di una nuova attività di onoterapia, pet therapy, addestramento (doc. 2 Comune). Con successiva SCIA presentata il 16/06/2014, la Sig.ra Mi. integrava la dichiarazione precedente, segnalando una variazione consistente nell’addestramento di cani –singolarmente o in gruppo– con un massimo di 10 unità.
Con l’atto impugnato, il Commissario aggiunto inibiva l’esercizio dell’attività, la quale si svolgerebbe in area agricola ricadente nel Parco della Savarona, per il quale l’art. 7 delle NTA del Piano dei Servizi consente soltanto –fino all’adozione dello strumento di pianificazione specifico per il Parco– “interventi connessi all’attività agricola, attività agrituristiche, realizzazione di servizi e attrezzature pubbliche o di uso o interesse pubblico”.
Con gravame ritualmente notificato e tempestivamente depositato presso la Segreteria della Sezione, l’esponente impugna il provvedimento in epigrafe, illustrando le seguenti censure in diritto:
a) Violazione degli artt. 1 e 2 della L. 23/08/1993 n. 349, in quanto l’attività cinotecnica –per espressa definizione normativa– è configurabile come attività agricola, diretta all’allevamento, addestramento e selezione delle razze canine;
b) Violazione degli artt. 1 e 2 della L. 349/1993 sotto altro profilo, eccesso di potere per carenza di motivazione dal momento che, secondo la giurisprudenza della Corte di Cassazione, in zona agricola sono del tutto incompatibili gli insediamenti residenziali, mentre sono ammessi utilizzi di tipo intermedio tra quello agricolo e quello edificatorio (ad esempio, parcheggio, caccia, sport, agriturismo), tra l’altro in assenza di opere edilizie;
c) Eccesso di potere per illogicità manifesta, dato che la pet therapy consiste in un’attività terapeutica finalizzata a migliorare la salute di un paziente (appartenente a fasce fragili, come anziani, malati, disabili fisici e psichici) avvalendosi di animali domestici come cani, gatti, cavalli, asini, conigli, capre, maiali, volatili; dunque si realizza un chiaro interesse pubblico, trattandosi anche di favorire la convivenza tra uomo e cane.
Si è costituita in giudizio l’amministrazione, chiedendo la reiezione del gravame. In particolare sottolinea in punto di fatto che la Sig.ra Mi. è priva della qualifica di imprenditore agricolo e che l’area in cui insiste l’attività si trova all’interno di un Parco Locale di Interesse Sovracomunale (PLIS). La ricorrente è munita della sola agibilità sanitaria per un’attività asini-amatoriale (priva di collegamento con l’attività economica legata all’agricoltura).
Con la SCIA del 16/06/2014 ha introdotto l’addestramento di cani, con conseguente trasformazione dell’attività da amatoriale a professionale. In punto di diritto, l’amministrazione invoca l’art. 1 della L. 349/1993, per cui è attività riconducibile all’agricoltura soltanto quella che contempla l’allevamento e la selezione dei cani (in connessione inscindibile con l’addestramento), e che presuppone in aggiunta il titolo di imprenditore agricolo (circostanza desumibile dall’art. 7 delle NTA del Piano dei Servizi, che richiamano gli interventi regolati all’art. 59 della L.r. 12/2005). Anche la recinzione (in precedenza soltanto amovibile) non è consentita dall’art. 7.
Con ordinanza n. 1009, emessa alla Camera di consiglio del 05/12/2014, questo Tribunale ha motivatamente accolto la domanda cautelare.
Alla pubblica udienza del 02.12.2015 il gravame introduttivo è stato chiamato per la discussione e trattenuto in decisione.
DIRITTO
La ricorrente censura il provvedimento comunale che ha paralizzato gli effetti della SCIA depositata il 16/06/2014.
1. Ad avviso del Collegio sono anzitutto fondati i primi due motivi di ricorso, per le ragioni illustrate di seguito.
1.1 La disciplina della cd. “cinotecnica” è racchiusa nella L. 349/1993, ai sensi della quale consiste nell’attività “volta all'allevamento, alla selezione e all'addestramento delle razze canine” (art. 1, comma 1), mentre assume natura imprenditoriale agricola “quando i redditi che ne derivano sono prevalenti rispetto a quelli di altre attività economiche non agricole svolte dallo stesso soggetto” (art. 2, comma 1): tali soggetti così definiti sono “imprenditori agricoli, ai sensi dell'articolo 2135 del codice civile”.
1.2 Una prima riflessione conduce a ritenere plausibile, in quanto giuridicamente ammissibile, l’espletamento dell’attività cinotecnica in forma non imprenditoriale, secondo quanto stabilisce lo stesso art. 2, comma 3, della L. 349/1993 per cui “Non sono comunque imprenditori agricoli gli allevatori che producono nell'arco di un anno un numero di cani inferiore a quello determinato, per tipi o per razze, con decreto del Ministro dell'agricoltura e delle foreste da emanare entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge”.
A questo proposito, il D.M. 28/01/1994 statuisce che “Non sono imprenditori agricoli gli allevatori che tengono in allevamento un numero inferiore a cinque fattrici e che annualmente producono un numero di cuccioli inferiore alle trenta unità”. Il legislatore regolamenta l’attività cinotecnica svolta in forma professionale, ponendo alcuni requisiti minimi (afferenti al reddito e al numero di capi), in difetto dei quali il soggetto interessato non assume la qualifica di imprenditore agricolo.
1.3 In buona sostanza, la L. 349/1993 non impone a colui che esercita l’attività cinotecnica di assumere necessariamente lo status di imprenditore agricolo.
Né tale conclusione si evince dalla previsione pianificatoria del Comune di Quinzano d’Oglio (art. 7 delle NTA del Piano dei Servizi), per la quale nell’area ricadente nel PLIS sono ammessi soltanto “interventi connessi all’attività agricola, attività agrituristiche, realizzazione di servizi e attrezzature pubbliche o di uso o interesse pubblico”.
Innanzitutto non appare direttamente pertinente il richiamo agli artt. 59 e ss. della L.r. 12/2005, i quali disciplinano gli interventi edificatori in zona agricola, mentre l’iniziativa economica di cui si controverte non prevede la realizzazione di opere edili.
Lo stesso art. 2135 del c.c. –nello stabilire il criterio di collegamento dell'attività economica con il fattore produttivo “terra”, individuando le “attività connesse” come quelle che si inseriscono nel ciclo dell'economia agricola (cfr. Corte di Cassazione, sez. I civile –10/5/2013 n. 11237)– è comunque rubricato “imprenditore agricolo”, e dunque si rivolge ai soggetti che (diversamente dal caso di specie) prestano l’attività in forma professionale.
Osserva infine il Collegio che l’art. 7 delle NTA già citato, nella sua formulazione letterale, permette gli interventi connessi all’attività agricola “contemplati dalla vigente legislazione”, in tal modo effettuando un rinvio recettizio di tipo dinamico alle disposizioni normative vigenti, tra le quali acquistano rilevanza gli artt. 1 e 2 della L. 349/1996.
1.4 Un ulteriore profilo investe la definizione di attività cinotecnica, che ad avviso della resistente difesa deve necessariamente comprendere l’allevamento e la selezione canina. Nell’ambiguità della norma, che semplicemente elenca le tre tipologie di attività (ossia allevamento, selezione e addestramento delle razze canine), il Collegio non ravvisa ragioni logiche per escludere la sua operatività nel caso di iniziative limitate al solo addestramento.
Se, come già rilevato, è ammessa l’attività in forma non imprenditoriale, è ipotizzabile che la specializzazione investa esclusivamente una delle 3 fasi normativamente contemplate e che l’operatore effettui le prestazioni coinvolgendo gli animali che vengono di volta in volta condotti in loco dai rispettivi proprietari.
Se è logico ritenere che, in via ordinaria, l’addestramento sia rivolto agli animali allevati sul fondo, è comunque ragionevole consentire che il predetto singolo segmento qualificante dell’attività possa essere valorizzato secondo l’indicazione (non esplicitamente preclusiva) fornita dalla norma.
2. Appare meritevole di positivo apprezzamento anche il terzo motivo, con il quale parte ricorrente deduce l’eccesso di potere per illogicità manifesta, in quanto la pet therapy consiste effettivamente in un’attività terapeutica di promozione della salute dei soggetti beneficiari, i quali si trovano in condizioni di particolare debolezza o fragilità: l’instaurazione di una relazione positiva con l’animale domestico realizza un evidente interesse di portata generale, ossia il miglioramento del benessere degli individui in difficoltà.
La cura delle patologie che affliggono talune persone mediante l’ausilio di animali ben può rientrare nella definizione di “servizi di interesse pubblico”, adoperata dall’amministrazione per descrivere gli interventi ammessi nella zona ove la ricorrente svolge la propria attività.
In conclusione, la pretesa è fondata e merita accoglimento, con conseguente annullamento del provvedimento impugnato (TAR Lombardia-Brescia, Sez. II, sentenza 05.01.2016 n. 6 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

anno 2015

EDILIZIA PRIVATA: La mera qualifica di imprenditore agricolo non è sufficiente ai fini dell’esonero dall’onere di pagare il contributo di costruzione, occorrendo all’uopo quella di imprenditore agricolo “a titolo principale ai sensi dell'articolo 12 della legge 09.05.1975, n. 153” e, quindi, oggigiorno, ai sensi dell’art. 1, comma 5-quater, del D.Lgs. 29/03/2004 n. 99 (secondo cui “Qualunque riferimento nella legislazione vigente all'imprenditore agricolo a titolo principale si intende riferito all'imprenditore agricolo professionale, come definito nel presente articolo”), quella di “imprenditore agricolo a titolo professionale”.
Quest’ultima, postula il possesso di requisiti ulteriori rispetto a quelli che connotano la figura del semplice imprenditore agricolo.
In base all’art. 1, comma 1, del citato D.Lgs. n. 99/2004, infatti, “è imprenditore agricolo professionale (IAP) colui il quale, in possesso di conoscenze e competenze professionali ai sensi dell'articolo 5 del regolamento (CE) n. 1257/1999 del 17.05.1999, del Consiglio, dedichi alle attività agricole di cui all'articolo 2135 del codice civile, direttamente o in qualità di socio di società, almeno il cinquanta per cento del proprio tempo di lavoro complessivo e che ricavi dalle attività medesime almeno il cinquanta per cento del proprio reddito globale da lavoro”.
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Il riconoscimento della qualifica in parola presuppone la sussistenza, in capo all’interessato, dei requisiti indicati nel comma 1 dell’art. 1 del D.Lgs. n. 99/2004 e il possesso di questi ultimi deve essere, in base al comma 2 del medesimo articolo, accertato “ad ogni effetto” dalle Regioni (o dalle altre autorità dalle medesime individuate).
Per cui solo dal momento in cui tale accertamento è compiuto ed è consacrato in un atto, la qualifica può ritenersi acquisita.
Diversamente da quanto si afferma nella suddetta memoria difensiva, nessun argomento a favore della tesi della natura dichiarativa dell’atto di attribuzione della qualifica di imprenditore agricolo professionale può trarsi dal menzionato art. 1, comma 5-quater, del D.Lgs. n. 99/2004, il quale si limita a disporre l’estensione, alla nuova figura dell’imprenditore agricolo professionale, di tutte le norme previgenti che facevano riferimento a quella dell’imprenditore agricolo a titolo principale (non più esistente, in considerazione dell’abrogazione dell’art. 12 della L. 09/05/1975, n. 153, operata dall’art. 1, comma 5-quinquies, del D.Lgs. 99/2004).

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... per la riforma della sentenza del TAR Lombardia–Brescia, Sez. I, n. 817/2014, resa tra le parti, concernente restituzione somme erogate a titolo di oneri di urbanizzazione.
...
Passando al merito dell’appello, occorre partire dal primo motivo, col quale il Comune di Curtatone deduce che il giudice di prime cure avrebbe errato nel ritenere sufficiente, ai fini dell’esenzione prevista dall’art. 17, comma 3, lett. a), del D.P.R. n. 380/2001, la mera qualifica di imprenditore agricolo, come definito dall’art. 2135 cod. civ., occorrendo, invece, quella di imprenditore agricolo professionale.
La doglianza è fondata.
Dispone l’art. 17, comma 3, del D.P.R. n. 380/2001: “Il contributo di costruzione non è dovuto:
a) per gli interventi da realizzare nelle zone agricole, ivi comprese le residenze, in funzione della conduzione del fondo e delle esigenze dell'imprenditore agricolo a titolo principale, ai sensi dell'articolo 12 della legge 09.05.1975, n. 153
”.
Come si ricava chiaramente dalla trascritta norma, la mera qualifica di imprenditore agricolo non è sufficiente ai fini dell’esonero dall’onere di pagare il contributo di costruzione, occorrendo all’uopo quella di imprenditore agricolo “a titolo principale ai sensi dell'articolo 12 della legge 09.05.1975, n. 153” e, quindi, oggigiorno, ai sensi dell’art. 1, comma 5-quater, del D.Lgs. 29/03/2004 n. 99 (secondo cui “Qualunque riferimento nella legislazione vigente all'imprenditore agricolo a titolo principale si intende riferito all'imprenditore agricolo professionale, come definito nel presente articolo”), quella di “imprenditore agricolo a titolo professionale” (Cons. Stato, Sez. V, 14/05/2013 n. 2609).
Quest’ultima, postula il possesso di requisiti ulteriori rispetto a quelli che connotano la figura del semplice imprenditore agricolo.
In base all’art. 1, comma 1, del citato D.Lgs. n. 99/2004, infatti, “è imprenditore agricolo professionale (IAP) colui il quale, in possesso di conoscenze e competenze professionali ai sensi dell'articolo 5 del regolamento (CE) n. 1257/1999 del 17.05.1999, del Consiglio, dedichi alle attività agricole di cui all'articolo 2135 del codice civile, direttamente o in qualità di socio di società, almeno il cinquanta per cento del proprio tempo di lavoro complessivo e che ricavi dalle attività medesime almeno il cinquanta per cento del proprio reddito globale da lavoro”.
Nella fattispecie, al momento del rilascio del permesso di costruire n. 31/10, avvenuto in data 01/10/2010, la sig.ra Ro., pur essendo imprenditore agricolo, non possedeva la qualifica imprenditore agricolo professionale.
Quest’ultima, infatti, le è stata riconosciuta (peraltro a titolo provvisorio) solo in data 18/04/2011, (si veda determinazione del Dirigente Area Programmazione Territoriale Settore Agricoltura, Parchi, Caccia e Pesca della Provincia di Milano 18/04/2011 n. 65928).
Obietta l’appellata (memoria di costituzione depositata in data 07/01/2015), che tale riconoscimento avrebbe natura dichiarativa e non costitutiva.
La tesi non convince.
Infatti, il riconoscimento della qualifica in parola presuppone la sussistenza, in capo all’interessato, dei requisiti indicati nel comma 1 dell’art. 1 del D.Lgs. n. 99/2004 e il possesso di questi ultimi deve essere, in base al comma 2 del medesimo articolo, accertato “ad ogni effetto” dalle Regioni (o dalle altre autorità dalle medesime individuate).
Per cui solo dal momento in cui tale accertamento è compiuto ed è consacrato in un atto, la qualifica può ritenersi acquisita.
Diversamente da quanto si afferma nella suddetta memoria difensiva, nessun argomento a favore della tesi della natura dichiarativa dell’atto di attribuzione della qualifica di imprenditore agricolo professionale può trarsi dal menzionato art. 1, comma 5-quater, del D.Lgs. n. 99/2004, il quale si limita a disporre l’estensione, alla nuova figura dell’imprenditore agricolo professionale, di tutte le norme previgenti che facevano riferimento a quella dell’imprenditore agricolo a titolo principale (non più esistente, in considerazione dell’abrogazione dell’art. 12 della L. 09/05/1975, n. 153, operata dall’art. 1, comma 5-quinquies, del D.Lgs. 99/2004).
Peraltro, l’appellata non avrebbe diritto all’esenzione dal contributo di costruzione, nemmeno se al riconoscimento della qualifica di imprenditore agricolo professionale potesse assegnarsi valore dichiarativo.
Difatti, dagli atti prodotti in giudizio, risulta per tabulas come la stessa, alla data di rilascio del permesso di costruire, non possedesse i requisiti per ottenere la qualifica di che trattasi.
Ed invero, nella domanda, presentata in data 05/04/2011 per il riconoscimento della qualifica di imprenditore agricolo professionale, la sig.ra Rovere ha esplicitamente dichiarato “…di non poter al momento dimostrare il possesso dei requisiti previsti dalla normativa L.R. e successive modifiche, in quanto solo nel corso degli ultimi anni sta strutturando dal punto di vista tecnico ed organizzativo la sua attività in modo da renderla professionale a tutti gli effetti e non oltre il termine massimo di due anni dalla data della presente istanza”.
Nel certificato rilasciato dalla Camera di Commercio Industria, Artigianato e Agricoltura di Milano, si attesta che l’appellata, iscritta come piccolo imprenditore dal 30/12/2004, “si considera imprenditore agricolo professionale e svolge l’attività dal 18/04/2011”.
Per contro, diversamente da quanto la stessa appellata mostra di ritenere, non sono idonee a dimostrare che la stessa possedesse i requisiti richiesti dall’art. 1 comma 1, del D.Lgs. n. 99/2004 in epoca precedente al rilascio del permesso di costruire n. 31/10, le note della Provincia di Milano in data 21/07/2011 e 25/07/2011 (rispettivamente docc. 4 e 5 del fascicolo di primo grado di parte ricorrente) dalla medesima invocate.
La prima (doc. 4) afferma -per quanto qui rileva- che “già a far data dal 11/03/2010 la stipula del contratto di affitto agricolo con la integrazione del 16/03/2010 evidenziava il consistente numero di immobili e terreni in condizione agricola, tale condizione unita alla valutazione dell’ordinamento produttivo come descritto nel fascicolo aziendale permettevano il rilascio della qualifica di imprenditore agricolo professionale in data 18/4/2011”.
Nel confermare che il rilascio (a titolo provvisorio) della qualifica di che trattasi è avvenuta nell’aprile del 2011, la nota attesta che nel marzo 2010 la sig.ra Ro. ha stipulato contratti di affitto per numerose aree agricole, ma tutto ciò evidentemente basta soltanto a dimostrare l’acquisita disponibilità di terreni agricoli, ma non anche il loro effettivo sfruttamento per usi agrari, né, ovviamente, dimostra la sussistenza di tutti gli ulteriori requisiti occorrenti ai fini di poter acquistare la qualifica in parola.
La seconda nota (doc. 5), riporta, invece, le dichiarazioni rese da un soggetto privato (tal sig.ra Ci.Vi.) secondo cui “alla data del 15/11/2010 ed ancor prima a far data dal 11/03/2010, la dr.ssa Ro. aveva tutti i requisiti per ottenere il riconoscimento IAP”.
Ovviamente, tale generica dichiarazione, peraltro in contrasto con tutte le risultanze processuali, risulta inidonea a dimostrare il possesso dei requisiti necessari per il conseguimento della qualifica di cui si discute.
Occorre a questo punto esaminare il secondo motivo del ricorso di primo grado non esaminato dal TAR è riproposto dall’appellata con la memoria di costituzione.
Deduce la sig.ra Ro. che l’esenzione sarebbe, comunque, spettata ai sensi dell’art. 17, comma 3, lett. e), del D.P.R. n. 380/2001, in base al quale il contributo non è dovuto “per i nuovi impianti, lavori, opere, modifiche, installazioni, relativi alle fonti rinnovabili di energia, alla conservazione, al risparmio e all'uso razionale dell'energia, nel rispetto delle norme urbanistiche, di tutela artistico-storica e ambientale”.
Ed invero, il tetto del manufatto sarebbe stato realizzato con pannelli fotovoltaici, per cui senza questi la struttura non sarebbe stata idonea alla sua funzione, con la conseguenza che la reclamata esenzione avrebbe dovuto coprire l’intera costruzione.
La doglianza è priva di pregio.
Al riguardo è sufficiente rilevare che, come emerge dagli atti di causa, i permessi di costruire nn. 31/10 e 48/10, non contemplavano l’installazione dell’impianto fotovoltaico, per cui non sussistevano i presupposti per ottenere l’esenzione di cui all’invocato art. 17, comma 3, lett. e).
In definitiva l’appello va accolto (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 26.11.2015 n. 5363 - link a www.giustizia-amministratva.it).

anno 2014

EDILIZIA PRIVATA1. Sulla natura delle controversie in materia di oneri di urbanizzazione.
Le controversie in tema di oneri di urbanizzazione e di costo di costruzione introducono un giudizio su un rapporto involgente posizioni di diritto soggettivo, che, come tale, sfugge ai termini decadenziali del giudizio impugnatorio ed è attivabile nell’ordinario termine di prescrizione.
2. Sulle condizioni di operatività dell'esonero dal contributo per le opere da realizzare in zona agricola in funzione della conduzione del fondo e delle esigenze dell'imprenditore agricolo ex art. 9, co. 1, lett. a), legge n. 10/1977.
L’esonero dal contributo per il rilascio della concessione edilizia relativamente alle opere da realizzare nelle zone agricole in funzione della conduzione del fondo e delle esigenze dell'imprenditore agricolo a titolo principale previsto dall’art. 9, co. 1, lett. a), della legge n. 10/1977, subordinava la gratuità della concessione a due condizioni: la destinazione dell’opera alla conduzione del fondo la titolarità della qualifica di imprenditore agricolo a titolo principale, per tale dovendosi intendere “l'imprenditore che dedichi alla attività agricola almeno due terzi del proprio tempo di lavoro complessivo e che ricavi dall'attività medesima almeno due terzi del proprio reddito globale da lavoro risultante dalla propria posizione fiscale”, la cui sussistenza è onere del ricorrente dimostrare.
3. Rilevanza anche dei volumi interrati ai fini del computo degli oneri di urbanizzazione.
Ove non si tratti di opere di modeste dimensioni e con destinazione delle stesse ad usi episodici o meramente complementari, o comunque escluse dagli strumenti urbanistici, anche i locali interrati producono carico urbanistico e rilevano ai fini del computo degli oneri di urbanizzazione.

3.1. Le censure, che saranno esaminate congiuntamente, sono infondate.
3.1.1. L’art. 9, co. 1, lett. a), della legge n. 10/1977, applicabile ratione temporis, prevedeva l’esonero dal contributo per il rilascio della concessione edilizia relativamente alle opere da realizzare nelle zone agricole in funzione della conduzione del fondo e delle esigenze dell'imprenditore agricolo a titolo principale, ai sensi dell'art. 12 della legge n. 153/1975.
Come si vede, la norma subordinava la gratuità della concessione a due condizioni, una oggettiva, ovvero la destinazione dell’opera alla conduzione del fondo, e l’altra soggettiva, ovvero la titolarità della qualifica di imprenditore agricolo a titolo principale, per tale dovendosi intendere “l'imprenditore che dedichi alla attività agricola almeno due terzi del proprio tempo di lavoro complessivo e che ricavi dall'attività medesima almeno due terzi del proprio reddito globale da lavoro risultante dalla propria posizione fiscale”, secondo la definizione dettata dall’art. 12 l. n. 153/1975 cit.; ed anche a voler ammettere che lo scantinato abusivo per cui è causa debba presumersi destinato a contribuire alla conduzione del fondo di proprietà del ricorrente, nella specie è proprio il requisito soggettivo a fare difetto: non solo, infatti, il ricorrente medesimo non ne ha dimostrato la sussistenza, come sarebbe stato suo onere (cfr. da ultimo Cons. Stato, sez. V, 09.04.2013, n. 1935), ma la documentazione in atti attesta il contrario (basti esaminare la nota di trascrizione dell’atto d’obbligo del 12.04.1991, ove il ricorrente è qualificato come “infermiere professionale”, circostanza palesemente incompatibile con il contestuale possesso della qualità di imprenditore agricolo a titolo principale.
Del pari, gli altri soggetti menzionati nella nota vi sono qualificati, rispettivamente come “bidella” la signora D.V., moglie del ricorrente, e “pensionato” il signor F.G.).
3.1.2. Quanto alla debenza o meno del contributo di concessione per la realizzazione di locali interrati, ai sensi dell’art. 18 delle N.T.A. del P.R.G. di San Giuliano Terme, non può dubitarsi del fatto che la disposizione dianzi citata, nell’indicare al punto 5 i volumi rilevanti ai fini della individuazione delle caratteristiche quantitative delle opere realizzabili nel territorio comunale, vi comprenda anche i volumi interrati, di modo che il successivo rinvio alle “superfici utili” indicate al precedente punto 4 non può essere inteso ai soli piani fuori terra, come pretenderebbe il ricorrente in virtù di una interpretazione rigidamente letterale, ma a tutte le superfici utili di calpestio, ivi incluse quelle interrate e con la sola eccezione prevista dallo strumento urbanistico per le superfici –fuori terra o interrate– aventi specifiche destinazioni pertinenziali (autorimesse e locali tecnici, le cui caratteristiche non ha il manufatto realizzato dal ricorrente, oltretutto di dimensioni oggettivamente non esigue).
Diversamente, la menzione dei volumi interrati al punto 5 resterebbe priva di effetti, in aperto contrasto, peraltro, con il principio invalso secondo cui, ove non si tratti di opere di modeste dimensioni e con destinazione delle stesse ad usi episodici o meramente complementari, o comunque escluse dagli strumenti urbanistici, anche i locali interrati producono carico urbanistico e rilevano ai fini del computo degli oneri di urbanizzazione (fra le altre, cfr. Cons. Stato, sez. V, 15.02.2001, n. 790; id., sez. IV, 03.05.2000, n. 2614).
Conferma ne sia che lo stesso ricorrente, nell’istanza di condono, definisce “superficie utile” di 50,04 mq quella del manufatto in questione, salvo invocare le agevolazioni di legge previste per la destinazione all’attività agricola (massima tratta da www.ricerca-amministrativa.it - TAR Toscana, Sez. III, sentenza 21.11.2014 n. 1826 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: La zona interessata dagli abusi di cui è causa ha –pacificamente– destinazione agricola, trattandosi di “Zona E”, disciplinata dall’art. 19 delle Norme Tecniche (NTA) del Piano delle Regole del PGT.
Nella zona “E2” sono ammesse le sole attività agricole, nel rispetto degli obiettivi di tutela ambientale e paesaggistica, oltre agli interventi per le zone agricole di cui all’art. 59 della LR 12/2005 (si tratta dei soli interventi per l’esercizio dell’impresa agricola di cui all’art. 2135 c.c.).
Le opere realizzate dai ricorrenti hanno determinato uno stravolgimento dell’area, che da zona per la sola attività agricola è stata -di fatto e senza alcun idoneo titolo giuridico- trasformata in area per lo svolgimento dell’attività industriale dei ricorrenti; in particolare si tratta di attività di autotrasporto, mai peraltro autorizzata sull’area di cui è causa.
E’ escluso, pertanto, qualsivoglia esercizio di impresa agricola avendo l’attività di trasporto carattere di impresa commerciale e non agricola (cfr. l’art. 2195 del codice civile).
Ai fini della valutazione della trasformazione urbanistica dell’area occorre avere riguardo agli interventi edilizi nel loro complesso –essendo tutti finalizzati a consentire l’attività di autotrasporto– e non appare possibile, come vorrebbero invece i ricorrenti, parcellizzare gli interventi, come se ciascuno di essi avesse una autonoma e distinta rilevanza sul piano urbanistico ed edilizio.

Nel terzo motivo, si sostiene che gli interventi edilizi posti in essere sull’area avrebbero carattere tutto sommato precario e limitato e non sarebbero idonei a determinare alcuna trasformazione urbanistica ed edilizia del fondo, come invece indicato dal Comune.
La doglianza è infondata.
La zona interessata dagli abusi di cui è causa ha –pacificamente– destinazione agricola, trattandosi di “Zona E”, disciplinata dall’art. 19 delle Norme Tecniche (NTA) del Piano delle Regole, vale a dire uno dei tre atti che compongono il Piano di Governo del Territorio (PGT), strumento urbanistico generale comunale ai sensi della legge regionale della Lombardia n. 12/2005 (cfr. il doc. 9 dei ricorrenti per il testo delle citate NTA).
Nella zona “E2” sono ammesse le sole attività agricole, nel rispetto degli obiettivi di tutela ambientale e paesaggistica, oltre agli interventi per le zone agricole di cui all’art. 59 della LR 12/2005 (si tratta dei soli interventi per l’esercizio dell’impresa agricola di cui all’art. 2135 c.c.).
Le opere realizzate dai ricorrenti –descritte analiticamente non solo nel provvedimento impugnato (doc. 1 dei ricorrenti), ma anche nei verbali di sopralluogo del Comune, in specie quello del 20.06.2014, cfr. i docc. 14, 17 e 18 del resistente, questi ultimi costituenti le fotografie scattate nel corso dei sopralluoghi– hanno, infatti, determinato uno stravolgimento dell’area, che da zona per la sola attività agricola è stata -di fatto e senza alcun idoneo titolo giuridico- trasformata in area per lo svolgimento dell’attività industriale dei ricorrenti; in particolare si tratta di attività di autotrasporto, mai peraltro autorizzata sull’area di cui è causa (cfr. il doc. 5 dei ricorrenti, copia delle visure della Camera di Commercio, da cui si desume che la Cooperativa CTL svolge attività di autotrasporto per conto terzi con autoveicoli dotati di notevole massa).
E’ escluso, pertanto, qualsivoglia esercizio di impresa agricola –del resto neppure sostenuto dagli esponenti– avendo l’attività di trasporto carattere di impresa commerciale e non agricola (cfr. l’art. 2195 del codice civile).
Ai fini della valutazione della trasformazione urbanistica dell’area occorre avere riguardo agli interventi edilizi nel loro complesso –essendo tutti finalizzati a consentire l’attività di autotrasporto– e non appare possibile, come vorrebbero invece i ricorrenti, parcellizzare gli interventi, come se ciascuno di essi avesse una autonoma e distinta rilevanza sul piano urbanistico ed edilizio
(TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 29.07.2014 n. 2114 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: La precarietà deve escludersi quando l’opera assolve esigenze durature (come nel caso di specie, dove le strutture sono tutte finalizzate a garantire un’attività di impresa svolta da anni) e ciò a prescindere dalla eventuale facile amovibilità dell’opera sul piano strettamente materiale.
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La nozione urbanistica di “pertinenza” si differenzia profondamente da quella del diritto privato ed è circoscritta ad opere non aventi rilievo sul piano urbanistico e prive di autonomia e valore di mercato.
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Il serbatoio del gasolio, coperto da una tettoia appoggiata su un basamento in cemento, oltre ad essere incompatibile con la destinazione agricola dell’area –il serbatoio serve per il rifornimento degli automezzi aziendali– ha carattere di stabilità, essendo la tettoia stabilmente collocata su una base di cemento e pertanto necessitante di titolo edilizio.
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La pavimentazione in ghiaia rullata e cemento di vasta parte del compendio, in zona agricola, è soggetta al rilascio di titolo edilizio, trattandosi di attività di trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio; parimenti soggetta a titolo deve reputarsi la buca in calcestruzzo per la riparazione dei mezzi di trasporto, avente profondità di circa 1,5 metri.

Ad ogni buon conto, e fermo restando quanto sopra esposto, non è neppure possibile ritenere che le singole opere indicate in ricorso abbiano carattere precario e non siano soggette a titolo edilizio.
La precarietà, infatti, deve escludersi quando l’opera assolve esigenze durature (come nel caso di specie, dove le strutture sono tutte finalizzate a garantire un’attività di impresa svolta da anni) e ciò a prescindere dalla eventuale facile amovibilità dell’opera sul piano strettamente materiale (cfr., fra le tante, Consiglio di Stato, sez. V, 07.07.2014, n. 3438 e TAR Lombardia, Milano, sez. II, 26.09.2013, n. 2210).
Così, con riguardo alle singole opere descritte nel terzo motivo e tutte prive di titolo edilizio, si può osservare che:
- il fabbricato condonato nel 1985 quale “deposito” (cfr. il doc. 19 del resistente), è stato modificato mediante realizzazione di una veranda chiusa con vetri, utilizzata quale ufficio (cfr. il doc. 14 del resistente e le fotografie docc. 17 e 18); dunque è un’opera stabile, non compatibile con la destinazione agricola (peraltro nessuna attività agricola è svolta nel fondo) e neppure avente carattere pertinenziale, visto che la nozione urbanistica di “pertinenza” si differenzia profondamente da quella del diritto privato ed è circoscritta ad opere non aventi rilievo sul piano urbanistico e prive di autonomia e valore di mercato (così, Consiglio di Stato, sez. V, 17.06.2014, n. 3074);
- il prefabbricato in pannelli di alluminio coibentati, con porta e finestra ad uso spogliatoio e ricreativo, appoggiato su traversine in cemento, costituisce un’opera avente stabilità e continuità, necessaria all’esercizio dell’impresa dei ricorrenti;
- analoga considerazione per quattro box (per il Comune, sarebbero in realtà cinque), in lamiera e legno, appoggiati su una platea in calcestruzzo, assolutamente incompatibili con la destinazione di zona e per tre contanier in lamiera, usati come deposito e appoggiati anch’essi ad una platea in calcestruzzo, quindi con carattere di stabilità nell’utilizzo;
- il serbatoio del gasolio, coperto da una tettoia appoggiata su un basamento in cemento, oltre ad essere incompatibile con la destinazione agricola dell’area –il serbatoio serve per il rifornimento degli automezzi aziendali– ha carattere di stabilità, essendo la tettoia stabilmente collocata su una base di cemento e pertanto necessitante di titolo edilizio (cfr. TAR Lazio, Roma, sez. I-quater, 11.04.2012, n. 3258 e Corte d’Appello di Napoli, sez. III penale, 11.12.2012, n. 5577);
- la pavimentazione in ghiaia rullata e cemento di vasta parte del compendio, in zona agricola, è soggetta al rilascio di titolo edilizio, trattandosi di attività di trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio (cfr. TAR Lombardia, Milano, sez. II, 19.03.2014, n. 709); parimenti soggetta a titolo deve reputarsi la buca in calcestruzzo per la riparazione dei mezzi di trasporto, avente profondità di circa 1,5 metri.
Ancora in ordine al terzo mezzo di ricorso, si ricordi che, secondo l’art. 3 del DPR 380/2001, costituiscono “nuove costruzioni”, necessitanti pertanto di titolo edilizio: <<e.5) l'installazione di manufatti leggeri, anche prefabbricati, e di strutture di qualsiasi genere, quali roulottes, campers, case mobili, imbarcazioni, che siano utilizzati come abitazioni, ambienti di lavoro, oppure come depositi, magazzini e simili, e che non siano diretti a soddisfare esigenze meramente temporanee e salvo che siano installati, con temporaneo ancoraggio al suolo, all'interno di strutture ricettive all'aperto, in conformità alla normativa regionale di settore, per la sosta ed il soggiorno di turisti; (…) e.7) la realizzazione di depositi di merci o di materiali, la realizzazione di impianti per attività produttive all'aperto ove comportino l'esecuzione di lavori cui consegua la trasformazione permanente del suolo in edificato>>.
Si conferma, pertanto, il rigetto del terzo motivo
(TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 29.07.2014 n. 2114 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAIl deposito di materiale (in questione) non può ritenersi irrilevante dal punto di vista urbanistico, essendo stato da tempo chiarito che deve essere assentita dal Comune ogni attività comportante trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio, ivi comprese quelle non consistenti in attività di edificazione, ma nella modificazione dello stato materiale e della conformazione del suolo per adattarlo ad un impiego diverso da quello che gli è proprio, in relazione alla sua condizione naturale e alla sua qualificazione.
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Anche l'attività di spargimento di ghiaia, su di un'area che ne era precedentemente priva, è soggetta a concessione edilizia, allorché appaia preordinata alla modifica della precedente destinazione d'uso, nel caso in esame pacificamente agricola.
Detta impostazione <<...sembra, oggi, avere un testuale riscontro nel nuovo Testo unico in materia edilizia … (che non ha certo potenzialità applicativa e di risoluzione del caso in esame, ma che può rappresentare un valido ausilio interpretativo, specie ove "codifica" un orientamento giurisprudenziale pregresso): l'art. 3, in materia di definizione degli interventi edilizi, assoggetta a permesso di costruire -ascrivendole al genus delle nuove costruzioni- "la realizzazione di infrastrutture e di impianti, anche per pubblici servizi, che comporti la trasformazione in via permanente di suolo inedificato" (lett. e. 3) e "la realizzazione di depositi di merci o di materiali, la realizzazione di impianti per attività produttive all'aperto ove comportino l'esecuzione di lavori cui consegua la trasformazione permanente del suolo inedificato" (e. 7); si tratta, come è facile rilevare, di interventi privi di connotazione strettamente edilizia e, nondimeno, assoggettati a titolo abilitativo (oggi permesso di costruire)>>.
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A prescindere dal titolo edilizio valido per richiedere l’assenso all’intervento posto in essere (D.I.A. o domanda di concessione edilizia), decisiva è la circostanza messa in evidenza dalla difesa comunale, ossia la collocazione in zona E1 “agricola produttiva”, ove lo strumento urbanistico per tempo vigente ammetteva esclusivamente la destinazione ad attrezzature di servizio dell’agricoltura e di allevamenti zootecnici, nonché a residenza a servizio dell’azienda agricola.
Pertanto è irrilevante la previsione di uno specifico e puntuale divieto per i depositi, quando l’incompatibilità degli stessi si evince “a contrario” dalla norme pianificatorie evocate dal Comune.
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La tolleranza ventennale non integra un’aspettativa tutelabile alla luce del consolidato orientamento ai sensi del quale gli illeciti in materia urbanistica, edilizia e paesistica hanno carattere di illeciti permanenti, che si protraggono nel tempo e vengono meno solo con il cessare della situazione di illiceità, vale a dire con il conseguimento delle prescritte autorizzazioni: pertanto il potere amministrativo repressivo può essere esercitato senza limiti di tempo e senza necessità di motivazione in ordine al ritardo nell'esercizio del potere.
In altri termini, l'autorità non emana un atto "a distanza di tempo" dall'abuso, ma reprime una situazione antigiuridica ancora sussistente.
Peraltro, nel caso di specie il Comune ha sottolineato che l’autorizzazione era stata sempre accordata in via provvisoria, e detta “qualità” dei provvedimenti rende non configurabile un affidamento meritevole di protezione giuridica.

... per l'annullamento:
- DEL PROVVEDIMENTO IN DATA 17/07/1996, RECANTE IL PARERE CONTRARIO SULLA D.I.A. PER IL DEPOSITO DI MATERIALE SUL TERRENO DI PROPRIETA’;
- DELL’ORDINANZA 01/10/1996, CHE HA DISPOSTO IL RIPRISTINO DELLO STATO DEI LUOGHI SECONDO L’ACCERTAMENTO EFFETTUATO CON ORDINANZA N. 16/1996;
...
Il thema decidendum del presente gravame verte sulla legittimità dei provvedimenti che hanno dapprima manifestato la contrarietà alla D.I.A. presentata per regolarizzare il deposito di materiale inerte sul terreno di proprietà, e di seguito ordinato il ripristino dello stato dei luoghi.
Il ricorso è infondato e deve essere respinto, per le ragioni di seguito precisate.
1. Anzitutto, osserva il Collegio che il deposito in questione non può ritenersi irrilevante dal punto di vista urbanistico, essendo stato da tempo chiarito che deve essere assentita dal Comune ogni attività comportante trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio, ivi comprese quelle non consistenti in attività di edificazione, ma nella modificazione dello stato materiale e della conformazione del suolo per adattarlo ad un impiego diverso da quello che gli è proprio, in relazione alla sua condizione naturale e alla sua qualificazione (Consiglio di Stato, sez. V – 31/12/2008 n. 6756, che ha rammentato la rilevanza urbanistica anche del solo spianamento di un terreno agricolo con riporto di sabbia e ghiaia, al fine di ottenere un piazzale per deposito e smistamento di autocarri).
2. Secondo un condivisibile indirizzo giurisprudenziale, anche l'attività di spargimento di ghiaia, su di un'area che ne era precedentemente priva, è soggetta a concessione edilizia, allorché appaia preordinata alla modifica della precedente destinazione d'uso, nel caso in esame pacificamente agricola (Consiglio di Stato, sez. V – 27/04/2012 n. 2450, che ha richiamato i propri precedenti sez. V – 22/12/2005 n. 7343 e 11/11/2004 n. 7324). La pronuncia da ultimo citata ha altresì evidenziato come detta impostazione <<...sembra, oggi, avere un testuale riscontro nel nuovo Testo unico in materia edilizia … (che non ha certo potenzialità applicativa e di risoluzione del caso in esame, ma che può rappresentare un valido ausilio interpretativo, specie ove "codifica" un orientamento giurisprudenziale pregresso): l'art. 3, in materia di definizione degli interventi edilizi, assoggetta a permesso di costruire -ascrivendole al genus delle nuove costruzioni- "la realizzazione di infrastrutture e di impianti, anche per pubblici servizi, che comporti la trasformazione in via permanente di suolo inedificato" (lett. e. 3) e "la realizzazione di depositi di merci o di materiali, la realizzazione di impianti per attività produttive all'aperto ove comportino l'esecuzione di lavori cui consegua la trasformazione permanente del suolo inedificato" (e. 7); si tratta, come è facile rilevare, di interventi privi di connotazione strettamente edilizia e, nondimeno, assoggettati a titolo abilitativo (oggi permesso di costruire)>>.
3. In ogni caso, a prescindere dal titolo edilizio valido per richiedere l’assenso all’intervento posto in essere (D.I.A. o domanda di concessione edilizia), decisiva è la circostanza messa in evidenza dalla difesa comunale, ossia la collocazione in zona E1 “agricola produttiva”, ove lo strumento urbanistico per tempo vigente ammetteva esclusivamente la destinazione ad attrezzature di servizio dell’agricoltura e di allevamenti zootecnici, nonché a residenza a servizio dell’azienda agricola. Pertanto è irrilevante la previsione di uno specifico e puntuale divieto per i depositi, quando l’incompatibilità degli stessi si evince “a contrario” dalla norme pianificatorie evocate dal Comune nell’impugnata nota del 17/07/1996, poi chiaramente illustrata dalla difesa comunale nella propria memoria di costituzione.
4. La tolleranza ventennale non integra un’aspettativa tutelabile alla luce del consolidato orientamento ai sensi del quale gli illeciti in materia urbanistica, edilizia e paesistica hanno carattere di illeciti permanenti, che si protraggono nel tempo e vengono meno solo con il cessare della situazione di illiceità, vale a dire con il conseguimento delle prescritte autorizzazioni: pertanto il potere amministrativo repressivo può essere esercitato senza limiti di tempo e senza necessità di motivazione in ordine al ritardo nell'esercizio del potere. In altri termini, l'autorità non emana un atto "a distanza di tempo" dall'abuso, ma reprime una situazione antigiuridica ancora sussistente (cfr. sentenze sez. I – 21/05/2012 n. 848; 16/01/2012 n. 59 e la giurisprudenza ivi richiamata). Peraltro, nel caso di specie il Comune ha sottolineato che l’autorizzazione era stata sempre accordata in via provvisoria, e detta “qualità” dei provvedimenti rende non configurabile un affidamento meritevole di protezione giuridica.
5. Non è degna di apprezzamento neppure l’ulteriore argomentazione del ricorrente, circa l’avvenuta maturazione del silenzio-assenso, in quanto l’intervento repressivo è comunque intervenuto a distanza di breve tempo (poco più di 1 mese), circostanza che depotenzia l’obbligo di motivazione dell’esercizio del potere di autotutela.
In conclusione il ricorso è privo di fondamento (TAR Lombardia-Brescia, Sez. II, sentenza 12.03.2014 n. 245 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATALa giurisprudenza è sempre stata orientata alla tutela dell’insopprimibile funzione agricola del territorio sotto il profilo produttivo, ambientale, paesaggistico ed idrogeologico.
Le normative comunali che ammettono una limitata possibilità di realizzare in zona E3 interventi edilizi devono sempre essere interpretate nel senso che si debba assicurare comunque la tutela del territorio agricolo e alla sua concreta utilizzazione ai fini alimentari, dovendo al contrario ritenersi del tutto inconciliabili con le finalità di una zona agricola, la realizzazione di strutture che ne pregiudichino definitivamente la destinazione naturale del territorio.
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E’ del tutto inconciliabile con la finalità agricola, e non può dunque essere ammissibile, la realizzazione in area agricola di opere di battitura del terreno, riporto di sabbia e di materiali inerti con asfaltatura per la realizzazione di una pavimentazione per uno spessore di circa 50 cm..
La realizzazione del piazzale- deposito altera lo stato dei luoghi e costituisce un intervento di permanente trasformazione edilizia ed urbanistica del territorio disciplinato dall'art. 3 d.P.R. n. 380 del 2001 che, essendo subordinato al permesso di costruire, deve necessariamente rispettare le tipologia e le destinazioni d'uso funzionali consentite per la zona agricola.

Si deve ricordare che la giurisprudenza è sempre stata orientata alla tutela dell’insopprimibile funzione agricola del territorio sotto il profilo produttivo, ambientale, paesaggistico ed idrogeologico. Le normative comunali che ammettono una limitata possibilità di realizzare in zona E3 interventi edilizi devono sempre essere interpretate nel senso che si debba assicurare comunque la tutela del territorio agricolo e alla sua concreta utilizzazione ai fini alimentari, dovendo al contrario ritenersi del tutto inconciliabili con le finalità di una zona agricola, la realizzazione di strutture che ne pregiudichino definitivamente la destinazione naturale del territorio (cfr. Consiglio di Stato sez. IV 04.10.2011 n. 5442; Consiglio di Stato sez. IV 18/03/2010 n. 1624; Consiglio di Stato sez. IV 23/07/2012 n. 4204).
E’ dunque del tutto inconciliabile con la finalità agricola, e non può dunque essere ammissibile, la realizzazione in area agricola di opere di battitura del terreno, riporto di sabbia e di materiali inerti con asfaltatura per la realizzazione di una pavimentazione per uno spessore di circa 50 cm..
La realizzazione del piazzale- deposito altera lo stato dei luoghi e costituisce un intervento di permanente trasformazione edilizia ed urbanistica del territorio disciplinato dall'art. 3 d.P.R. n. 380 del 2001 che, essendo subordinato al permesso di costruire, deve necessariamente rispettare le tipologia e le destinazioni d'uso funzionali consentite per la zona agricola.
Nella specie la realizzazione di un parcheggio scoperto è assolutamente fuori dalle ipotesi di legittima utilizzazione che il proprietario ritenga di fare del proprio terreno.
Infatti le NTA del PRG che in “Zona E) "rurale" prevedono che: “Gli interventi in queste zone devono essere rivolti allo sviluppo delle attività agricola - produttive ed alla tutela del territorio non edificato. Sono consentiti esclusivamente le attività di coltivazione agricola, quelle residenziali connesse, nonché le attività di trasformazione e commercializzazione di prodotti agricoli produzione propria. Sono consentiti, altresì, le attività di tipo agrituristico, nel rispetto delle normative vigenti in materia".
In base alla predetta disposizione, l’area in questione non poteva essere assolutamente essere finalizzata alla realizzazione di un piazzale destinato all'attività di deposito giudiziario ed amministrativo di autoveicoli in quanto si risolveva in una sostanziale inammissibile “deruralizzazione” dell’area (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 10.03.2014 n. 1099 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

anno 2013

EDILIZIA PRIVATA: Imprenditore agricolo oneri concessori e variante da agricola a residenziale.
La mancanza del requisito dell’imprenditore agricolo a titolo principale è sufficiente a ritenere dovuto il contributo concessorio e insussistente il diritto alla esenzione, legato a ipotesi tassative.
Inoltre, va aggiunto che ai fini del mutamento di destinazione d’uso (nella specie, da agricola a residenziale) si ritiene che comporti aumento del carico urbanistico il passaggio tra due categorie funzionalmente autonome, in quanto il mutamento di destinazione d’uso, in sé, nella specie, a differenza di quanto sostiene l’appellata, comporta un maggiore carico urbanistico, al quale si correla la imposizione di pagamento.

Occorre ora esaminare la correttezza del ragionamento del primo giudice, contestato dall’appello, sulla base sia degli accertamenti effettuati sulla natura dell’intervento che sulla base della disciplina normativa sulla dovutezza del contributo.
In fatto, la verificazione ha dato modo di accertare che:
a) l’intervento (che secondo il Comune è consistito nella demolizione e ricostruzione del preesistente edificio ubicato in zona agricola ed individuato come fabbricato rurale di rilevante valore dal Piano regolatore con contestuale cambio di destinazione di uso poiché la nuova costruzione oggetto di sanatoria non avrebbe più destinazione agricola ma residenziale) deve essere qualificato come ristrutturazione edilizia e non come restauro e risanamento conservativo; b) non sussistono elementi univoci nel senso che esso avrebbe comportato mutamenti di destinazione d’uso, anche se le previsioni divisorie interne e le modifiche alle aperture esistenti non pregiudicano tale possibilità; c) non si può ritenere dalla documentazione esistente che sussista il requisito dell’imprenditore agricolo a titolo principale e anzi, deve ritenersi, tale qualifica non sussiste.
La legge invocata 28/01/1977, n. 10 all’articolo 9 prevede (prevedeva perché trattasi di articolo abrogato dall'articolo 136, comma 1, lettera c), del D.P.R. 06.06.2001, n. 380, a decorrere dal 01.01.2002; tuttavia applicabile ratione temporis, poiché l’intervento è degli anni novanta e il ricorso originario dell’anno 1998) che il contributo di cui al precedente articolo 3 non è dovuto per (lettera a) le opere da realizzare nelle zone agricole, ivi comprese le residenze, in funzione della conduzione del fondo e delle esigenze dell'imprenditore agricolo a titolo principale, ai sensi dell'art. 12, L. 09.05.1975, n. 153.
Si intende quindi (tra tante, si veda Consiglio Stato sez. V, 30.08.2005, n. 4424) che l'esonero dal pagamento degli oneri concessori per gli edifici destinati alla conduzione del fondo e alle esigenze dell'imprenditore agricolo, stabilito dalla lett. a), art. 9, l. n. 10 del 1977, spetta soltanto a tutti i soggetti che esercitino l'attività agricola a titolo principale, tanto persone fisiche che persone giuridiche.
Pertanto, una volta accertata la insussistenza della qualifica di imprenditore agricolo a titolo principale, l’esenzione è del tutto ingiustificata, né si giustifica l’accoglimento motivato sulla base di una asserita disparità di trattamento con situazione, invero del tutto differente, di un altro soggetto, anch’egli proprietario di un edificio unifamiliare (che però ricade in zona diversamente classificata dal PRG), che non sarebbe esonerato da tale obbligazione, a fronte di un intervento edilizio medesimo avente le medesime caratteristiche.
A meno di non incorrere in una interpretazione arbitraria, si deve soltanto accertare, a tal fine –salvo valutare altresì la natura dell’intervento realizzato– se sussiste il requisito della imprenditore agricolo a titolo principale (che è oggetto di una specifica disciplina, ora a seguito della c.d. Legge di orientamento sull’imprenditore agricolo), in quanto solo in tal caso sussiste il diritto (e invero ovviamente la ragione legislativa) alla esenzione del contributo di concessione per le opere da realizzare in zona agricola.
Con riguardo alla effettiva natura dell’intervento, è evidente che non possa essere accolta la tesi della parte appellata, riproposta in memoria, secondo cui si tratterebbe nella specie soltanto di restauro o risanamento conservativo.
Sia sufficiente osservare come in relazione alla natura di ristrutturazione dell’intervento si sono espressi con chiarezza sia la verificazione sia lo stesso primo giudice, che ha accolto il ricorso, come visto, sulla base di diverso iter logico interpretativo. Né, al riguardo, l’appellata ha fornito argomenti in grado di sovvertire le conclusioni del verificatore.
La caratteristica degli interventi di mero restauro è quella di essere effettuati mediante interventi che non comportano l’alterazione delle caratteristiche edilizie dell’immobile da restaurare, rispettando gli elementi formali e strutturali dell’immobile stesso, dovendosi privilegiare la funzione di ripristino della individualità originaria dell’immobile (Cassazione penale, III, 01.09.2009, n. 33536), mentre la ristrutturazione edilizia si caratterizza per essere idonea ad introdurre un quid novi rispetto al precedente assetto dell’edificio.
Nella specie è stato demolito il secondo corpo di fabbrica e parzialmente ricostruito con pareti portanti dal piano terra al piano primo a sostegno del solaio e le opere realizzate sono tali da essere definite variazioni essenziali recanti il mutamento delle caratteristiche dell’intervento edilizio; il verificatore aggiunge che non è da escludersi –e anzi tutte le circostanze di fatto portano a ritenerlo probabile- il successivo mutamento di destinazione d’uso da agricolo a residenziale.
La mancanza del requisito dell’imprenditore agricolo a titolo principale è sufficiente a ritenere dovuto il contributo concessorio e insussistente il diritto alla esenzione, legato a ipotesi tassative.
Inoltre, va aggiunto che ai fini del mutamento di destinazione d’uso (nella specie, da agricola a residenziale) si ritiene che comporti aumento del carico urbanistico il passaggio tra due categorie funzionalmente autonome, in quanto il mutamento di destinazione d’uso, in sé, nella specie (per tali considerazioni, si veda di recente tra varie Cons. Stato, V, 30.08.2013, n. 4326) a differenza di quanto sostiene l’appellata, comporta un maggiore carico urbanistico, al quale si correla la imposizione di pagamento
(massima tratta da www.lexambiente.it - Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 13.12.2013 n. 6005 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

URBANISTICA: La destinazione a verde agricolo di un'area non implica necessariamente che la stessa soddisfi in modo diretto ed immediato interessi agricoli, ben potendo giustificarsi con le esigenze dell'ordinato governo del territorio, quale la necessità di impedire un'ulteriore edificazione delle aree, mantenendo un equilibrato rapporto tra aree libere ed edificate o industriali.
La giurisprudenza è, invero, concorde nell’affermare che la destinazione a verde agricolo di un'area non implica necessariamente che la stessa soddisfi in modo diretto ed immediato interessi agricoli, ben potendo giustificarsi con le esigenze dell'ordinato governo del territorio, quale –come è avvenuto nel caso di specie- la necessità di impedire un'ulteriore edificazione delle aree, mantenendo un equilibrato rapporto tra aree libere ed edificate o industriali (Consiglio di Stato, sez. IV, 12.02.2013, n. 830; Tar Lombardia, Milano, sez. II, 20.06.2012, n. 1720) (TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 11.12.2013 n. 2808 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: E’ legittima la sua collocazione in zona agricola in quanto l’impianto di distribuzione di carburanti per la sua natura di opera di urbanizzazione secondaria può essere collocato, salvo particolari ragioni, in qualsiasi parte del territorio comunale.
E’ legittima la sua collocazione in zona agricola in quanto l’impianto di distribuzione di carburanti per la sua natura di opera di urbanizzazione secondaria può essere collocato, salvo particolari ragioni, in qualsiasi parte del territorio comunale (C. di S., V, 23.01.2007, n. 192) (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 20.11.2013 n. 5469 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: W. Fumagalli. In Lombardia chi può costruire nelle zone agricole? NUOVI DUBBI DI INCOSTITUZIONALITÀ POTREBBERO INVESTIRE LA LEGGE REGIONALE N. 12/2005 - La disciplina regionale relativa all’edificazione nelle zone agricole forse non è compatibile con l’articolo 117 della Costituzione (AL n. 493/2013).

EDILIZIA PRIVATA: C. Basciu, Impianti fotovoltaici in zona agricola: i diritti degli agricoltori e gli obblighi nei confronti dell’Unione Europea (16.10.2013 - link a www.lexambiente.it).

EDILIZIA PRIVATALa l.r. lombarda n. 93/1980, nel disciplinare in modo puntuale i limiti dell'utilizzazione edilizia delle zone agricole, con l'individuazione tipologica degli interventi ammessi, la loro necessaria connotazione funzionale all'esercizio delle attività agricole, l'enucleazione di restrittivi indici fondiari ed edilizi, il collegamento imprescindibile con ineludibili requisiti soggettivi è ispirata ad una trasparente ratio tesa a evitare e minimizzare il c.d. consumo di suolo.
In tale prospettiva, mentre deve evidentemente escludersi che gli strumenti urbanistici possano modificare in senso ampliativo i predetti limiti e parametri, non può viceversa sostenersi che, sia pure con specifica e congrua motivazione, essi non possano, invece, introdurre limitazioni più penetranti, col limite ovvio di non poter precludere l'utilizzazione agricola, la conservazione dei manufatti esistenti, la loro ristrutturazione a fini e usi produttivi.
La giurisprudenza di questa Sezione ha già avuto modo di chiarire che "Nella regione Lombardia l'art. 2 l.r. 07.06.1980 n. 93, nel prevedere la normativa applicabile nei territori dei comuni per le zone agricole E, non ha precluso all'autorità urbanistica l'esercizio del più pieno potere di pianificazione del territorio anche in funzione di salvaguardia dei valori ambientali e paesaggistici, con la conseguenza che le disposizioni da esso introdotte si applicano in via sussidiaria ove manchino specifiche prescrizioni dello strumento urbanistico, e non rendono illegittime le scelte inerenti alla assoluta inedificabilità e immodificabilità delle aree agricole, ovvero quelle che subordinano l'identificazione delle possibili modifiche all'adozione di un piano attuativo, volto alla razionale gestione del territorio posto all'interno dell'istituendo parco".
L'art. 4 della legge, nello stabilire che "Le disposizioni di cui agli artt. 2 e 3 della presente legge sono immediatamente prevalenti sulle norme e sulle previsioni degli strumenti urbanistici e dei regolamenti edilizi e di igiene comunali che risultino in contrasto con esse", intende soltanto evidenziare che diverse e/o più favorevoli prescrizioni, condizioni, indici e parametri eventualmente previsti negli strumenti urbanistici e nei regolamenti comunali sono sostituiti in via diretta e automatica, previa doverosa disapplicazione, da quelli contemplati direttamente dalla legge regionale, che ha contenuti immediatamente precettivi e non richiede, quindi, l'avvio di alcuna procedura di recepimento mediante variante urbanistica.
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La legge regionale lombarda n. 12/2005, a differenza della legge regionale n. 93/1980, ha espressamente indicato e previsto che gli strumenti urbanistici comunali debbano recepire le prescrizioni ivi recate relative alle aree destinate all'agricoltura, dovendo assicurare la "conformità" della normativa d'uso, valorizzazione e salvaguardia di livello comunale con i requisiti, condizioni, limiti e parametri direttamente individuati dagli artt. 59 e 60.

Il giudice amministrativo lombardo muove, in effetti, da una erronea interpretazione dell'art. 4 della l.r. n. 93/1980 e più in generale sul rapporto tra le previsioni della predetta legge regionale e i poteri pianificatori comunali in assenza di strumenti di pianificazione intermedia con valenza anche paesistico-ambientale.
La legge regionale 07.06.1980, n. 93, nel disciplinare in modo puntuale i limiti dell'utilizzazione edilizia delle zone agricole, con l'individuazione tipologica degli interventi ammessi, la loro necessaria connotazione funzionale all'esercizio delle attività agricole, l'enucleazione di restrittivi indici fondiari ed edilizi, il collegamento imprescindibile con ineludibili requisiti soggettivi (riconosciuto pienamente legittimo dalla nota sentenza della Corte Costituzionale, 16.05.1995, n. 167) è ispirata ad una trasparente ratio tesa a evitare e minimizzare il c.d. consumo di suolo.
In tale prospettiva, mentre deve evidentemente escludersi che gli strumenti urbanistici possano modificare in senso ampliativo i predetti limiti e parametri, non può viceversa sostenersi che, sia pure con specifica e congrua motivazione, essi non possano, invece, introdurre limitazioni più penetranti, col limite ovvio di non poter precludere l'utilizzazione agricola, la conservazione dei manufatti esistenti, la loro ristrutturazione a fini e usi produttivi.
La giurisprudenza di questa Sezione ha già avuto modo di chiarire che "Nella regione Lombardia l'art. 2 l.r. 07.06.1980 n. 93, nel prevedere la normativa applicabile nei territori dei comuni per le zone agricole E, non ha precluso all'autorità urbanistica l'esercizio del più pieno potere di pianificazione del territorio anche in funzione di salvaguardia dei valori ambientali e paesaggistici, con la conseguenza che le disposizioni da esso introdotte si applicano in via sussidiaria ove manchino specifiche prescrizioni dello strumento urbanistico, e non rendono illegittime le scelte inerenti alla assoluta inedificabilità e immodificabilità delle aree agricole, ovvero quelle che subordinano l'identificazione delle possibili modifiche all'adozione di un piano attuativo, volto alla razionale gestione del territorio posto all'interno dell'istituendo parco" (Cons. Stato, Sez. IV, 19.02.2007, n. 860).
L'art. 4 della legge, nello stabilire che "Le disposizioni di cui agli artt. 2 e 3 della presente legge sono immediatamente prevalenti sulle norme e sulle previsioni degli strumenti urbanistici e dei regolamenti edilizi e di igiene comunali che risultino in contrasto con esse", intende soltanto evidenziare che diverse e/o più favorevoli prescrizioni, condizioni, indici e parametri eventualmente previsti negli strumenti urbanistici e nei regolamenti comunali sono sostituiti in via diretta e automatica, previa doverosa disapplicazione, da quelli contemplati direttamente dalla legge regionale, che ha contenuti immediatamente precettivi e non richiede, quindi, l'avvio di alcuna procedura di recepimento mediante variante urbanistica.
In tale chiave interpretativa si comprende anche la previsione contenuta nell'art. 2, comma 7, della legge, a tenore della quale "Le disposizioni di cui al comma 2°, 3°, 4°, 5° e 6° del presente articolo si applicano fino all'approvazione del piano territoriale comprensoriale di cui alla sezione II, titolo II, della legge regionale 15.04.1975, n. 51", che ha inteso evidentemente demandare l'individuazione di una più articolata e specifica disciplina dell'utilizzazione delle zone agricole allo strumento di pianificazione intermedio di livello comprensoriale, al quale rimane affidata la funzione di dettare una normativa rapportata agli ambiti territoriali di riferimento, e quindi in grado di valutare e valorizzare le loro precipue caratteristiche.
In altri termini, se il piano territoriale comprensoriale (strumento rimasto inattuato, come pure riconosciuto dal giudice amministrativo lombardo, salvo che per la provincia di Lodi) avrebbe potuto introdurre nuovi, diversi, anche più ampliativi, limiti e parametri, non per questo ai comuni era precluso, nell'esercizio del potere di pianificazione, l'enucleazione di limiti e parametri più restrittivi, e ciò anche in vista di esigenze di tutela lato sensu ambientale e paesistica.
Non può infatti obliterarsi che l'art. 18, comma 1, n. 1) della stessa della legge regionale 15.04.1975, n. 51 (recante "Disciplina urbanistica del territorio regionale e misure di salvaguardia del patrimonio naturale e paesistico") demandava ai piani regolatori comunali, tra l'altro, di individuare "le aree agricole, di riserva naturale e di tutela dei beni paesaggistici", e che nella diversa forma del territorio possono essere e sono normalmente compresenti in una stessa area valenze produttive e connotazioni naturalistiche, ambientali e paesistiche.
Né ai fini della corretta interpretazione dell'art. 4 della l.r. n. 93/1980 può soccorrere, al contrario di quanto opinato dal giudice amministrativo bresciano, la disposizione dell'art. 61 della l.r. 11.03.2005, n. 12 (recante "Legge per il governo del territorio"), ossia la successiva legge urbanistica regionale, poiché la inderogabilità delle previsioni e prescrizioni di cui agli artt. 59 e 60 della medesima ivi si ricollega alla vincolante e specifica indicazione di cui al precedente art. 10, comma 4, lettera a), n. 1), secondo cui "Il piano delle regole: a) per le aree destinate all'agricoltura: 1) detta la disciplina d'uso, di valorizzazione e di salvaguardia, in conformità con quanto previsto dal titolo terzo della parte seconda".
In altri termini, la legge regionale n. 12/2005, a differenza della legge regionale n. 93/1980, ha espressamente indicato e previsto che gli strumenti urbanistici comunali debbano recepire le prescrizioni ivi recate relative alle aree destinate all'agricoltura, dovendo assicurare la "conformità" della normativa d'uso, valorizzazione e salvaguardia di livello comunale con i requisiti, condizioni, limiti e parametri direttamente individuati dagli artt. 59 e 60 (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 30.09.2013 n. 4848 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: M. Viviani, Allevamenti intensivi di pollame o di suini (27.07.2013).
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Ringraziamo l'amico Avv. Mario Viviani -del foro di Milano- per l'utile contributo.
29.07.2013 - LA SEGRETERIA PTPL

EDILIZIA PRIVATA: Oneri di edificazione in area agricola.
Per interventi di nuova edificazione, a destinazione turistico-residenziale, ancorché realizzati in via eccezionale e derogatoria in zona agricola o a prevalente vocazione rurale, l’incidenza degli oneri di urbanizzazione, proprio in funzione della più marcata ed evidente incidenza dei suddetti interventi sul territorio e in vista della necessaria maggiore infrastrutturazione, non possono comportare scostamenti dai coefficienti relativi ad altri usi di natura residenziale.
D’altro canto è di intuitiva evidenza che per interventi di nuova edificazione, a destinazione turistico-residenziale, ancorché realizzati in via eccezionale e derogatoria in zona agricola o a prevalente vocazione rurale, l’incidenza degli oneri di urbanizzazione, proprio in funzione della più marcata ed evidente incidenza dei suddetti interventi sul territorio e in vista della necessaria maggiore infrastrutturazione, non possono comportare scostamenti dai coefficienti relativi ad altri usi di natura residenziale (massima tratta da www.lexambiente.it - Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 16.05.2013 n. 2673 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: In ordine alla gratuità degli interventi in zona agricola, l’art. 9, comma 1, lett. a), della l. n. 10 del 1977 (oggi art. 17, co. 3, lett. a), t.u. edilizia) prevede una duplice condizione:
a) che la zona di intervento abbia nello strumento urbanistico destinazione agricola;
b) che l’intervento sia funzionale allo sfruttamento agricolo del fondo.
Non è sufficiente quindi la destinazione agricola dell’area interessata dalla costruzione, essendo, invece, necessaria la concorrenza della destinazione della costruzione allo sfruttamento del fondo che presuppone la qualità soggettiva del richiedente, di imprenditore agricolo a titolo principale.
In ordine al requisito soggettivo, poi, la giurisprudenza è univoca nell’interpretazione restrittiva della norma, sì da delimitarne l’ambito esclusivamente all’imprenditore agricolo a titolo principale ai sensi dell’art. 12, l. 09.05.1975, n. 153.
La gratuità della concessione edilizia è, dunque, prevista ove concorrano qualità soggettive del richiedente, che deve essere imprenditore agricolo a titolo principale, e qualità oggettive del fabbricato da erigersi.

In ordine alla gratuità degli interventi in zona agricola, l’art. 9, comma 1, lett. a), della l. n. 10 del 1977 (oggi art. 17, co. 3, lett. a), t.u. edilizia), rinviando all’art. 12 della l. 09.05.1975, n. 153 (successivamente abrogato dall’art. 1 del d.lgs. 29.03.2004 n. 99 a sua volta modificato dall’art. 1 d.lgs. 27.05.2005, n. 101), prevede una duplice condizione:
a) che la zona di intervento abbia nello strumento urbanistico destinazione agricola;
b) che l’intervento sia funzionale allo sfruttamento agricolo del fondo.
Non è sufficiente quindi la destinazione agricola dell’area interessata dalla costruzione, essendo, invece, necessaria la concorrenza della destinazione della costruzione allo sfruttamento del fondo che presuppone la qualità soggettiva del richiedente, di imprenditore agricolo a titolo principale.
In ordine al requisito soggettivo, poi, la giurisprudenza è univoca nell’interpretazione restrittiva della norma, sì da delimitarne l’ambito esclusivamente all’imprenditore agricolo a titolo principale ai sensi dell’art. 12, l. 09.05.1975, n. 153 (cfr. Cons. Stato, sez. V, 02.09.1990, n. 682; TAR Sicilia, Catania, sez. I, 03.10.2005, n. 1533; Palermo, sez. I, 15.07.2004, n. 1554).
La gratuità della concessione edilizia è, dunque, prevista ove concorrano qualità soggettive del richiedente, che deve essere imprenditore agricolo a titolo principale, e qualità oggettive del fabbricato da erigersi.
Nel caso non sussistevano tali requisiti soggettivi, in disparte ogni considerazione sul tipo di costruzione, consistente nell’ampliamento di una villa residenziale destinata ad abitazione permanente, che per struttura è ben lontana da potersi ritenere destinata a scopi agricoli.
Quanto all’asserita applicabilità della esenzione al fabbricato da destinare ad abitazione dell’imprenditore agricolo, in disparte la questione di principio sull’ammissibilità della interpretazione estensiva di una norma derogatoria, nel caso non poteva trovare ingresso l’esenzione non avendo mai la ricorrente provato la qualità di imprenditore agricolo ai sensi della richiamata l. n. 153 del 1975, che deve coesistere con la destinazione dell’intervento alla destinazione agricola.
In conclusione, il Sindaco legittimamente ha richiesto il pagamento degli oneri contemplati dall’art. 3 della l. 28.01.1977, n. 10 per il rilascio della concessione edilizia in questione, in mancanza di allegazione da parte dell’istante della documentazione attestante il possesso dei requisiti per beneficiare di siffatta esenzione (in termini, Cons. Stato, sez. V, 02.09.1990, n. 682) (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 14.05.2013 n. 2609 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

URBANISTICA: Deve ritenersi legittima la variante di piano regolatore che, al fine di tutelare una parte del territorio comunale particolarmente rilevante per il suo pregio ambientale, storico o artistico, dispone restrizioni edificatorie e particolari salvaguardie della zona agricola, la cui funzione non è solo quella di valorizzare l’attività agricola vera e propria, ma anche quella di garantire ai cittadini l’equilibrio delle condizioni di vivibilità, assicurando loro quella quota di valori naturalistici necessaria a compensare gli effetti dell’espansione dell'aggregato urbano.
Come, peraltro, condivisibilmente statuito da questo Consiglio di Stato in materia di pianificazione urbanistica, deve ritenersi legittima la variante di piano regolatore che, al fine di tutelare una parte del territorio comunale particolarmente rilevante per il suo pregio ambientale, storico o artistico, dispone restrizioni edificatorie e particolari salvaguardie della zona agricola, la cui funzione non è solo quella di valorizzare l’attività agricola vera e propria, ma anche quella di garantire ai cittadini l’equilibrio delle condizioni di vivibilità, assicurando loro quella quota di valori naturalistici necessaria a compensare gli effetti dell’espansione dell'aggregato urbano (v., sul punto, per tutte, C.d.S., Sez. IV, 13.10.2010, n. 7478, in una fattispecie connotata dall’apposizione di un termine alle previsioni di una variante di piano regolatore in attesa dell’elaborazione di una futura variante generale, ritenuta legittima sulla base del condivisibile rilievo che la previsione di tale limite temporale costituiva una ragionevole misura cautelativa rientrante nei poteri di buona amministrazione e, per di più, introduceva una disciplina più favorevole ai privati, poiché, in mancanza di una tempestiva adozione della variante generale, le previsioni temporanee sarebbero state destinate a cadere) (Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 05.04.2013 n. 1882 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: M. Acquasaliente, I parcheggi interrati della legge Tognoli non si possono realizzare in zona agricola (11.03.2013 - link a http://venetoius.it).

EDILIZIA PRIVATAE’ fondato il motivo di ricorso, con il quale il ricorrente rileva l’erroneità della tesi sostenuta dal Comune, in forza della quale la concessione edilizia in zona agricola può essere rilasciata soltanto al coltivatore diretto a titolo principale, in quanto l’unico requisito rilevante per il rilascio del permesso di costruire è, invece, oltre che la titolarità del diritto di proprietà sul fondo, la compatibilità urbanistico edilizia dell’intervento.
Ed invero contrasta con i principi in materia urbanistica un atto che a prescindere dal tipo di opera realizzanda e dalla verifica di compatibilità con le previsioni dello strumento urbanistico si fondi sulle qualità personali del richiedente, in quanto la qualità indebitamente richiesta assume valore ai soli fini dell’applicazione dei benefici economici previsti in favore dei coltivatori diretti dall’articolo 9, lettera a), della legge 28.01.1977 n. 10.
Ne consegue che l'elemento soggettivo relativo alla qualifica (agricoltore o imprenditore agricolo, o proprietario concedente il fondo in affitto) del richiedente il permesso di costruire in zona agricola è del tutto irrilevante, se il soggetto non intende avvalersi dell'esonero del pagamento degli oneri per costruire.
Elemento oggettivo indispensabile è invece la titolarità della proprietà o l'esistenza di altro titolo idoneo di disponibilità del bene, oltre naturalmente alla compatibilità con gli strumenti urbanistici.

Il ricorso è fondato e va accolto.
E’ in particolare fondato il secondo motivo di ricorso, con il quale il ricorrente rileva l’erroneità della tesi sostenuta dal Comune, in forza della quale la concessione edilizia in zona agricola può essere rilasciata soltanto al coltivatore diretto a titolo principale, in quanto l’unico requisito rilevante per il rilascio del permesso di costruire è, invece, oltre che la titolarità del diritto di proprietà sul fondo, la compatibilità urbanistico edilizia dell’intervento.
Ed invero contrasta con i principi in materia urbanistica un atto che a prescindere dal tipo di opera realizzanda e dalla verifica di compatibilità con le previsioni dello strumento urbanistico si fondi sulle qualità personali del richiedente, in quanto la qualità indebitamente richiesta assume valore ai soli fini dell’applicazione dei benefici economici previsti in favore dei coltivatori diretti dall’articolo 9, lettera a), della legge 28.01.1977 n. 10.
Ne consegue che l'elemento soggettivo relativo alla qualifica (agricoltore o imprenditore agricolo, o proprietario concedente il fondo in affitto) del richiedente il permesso di costruire in zona agricola è del tutto irrilevante, se il soggetto non intende avvalersi dell'esonero del pagamento degli oneri per costruire.
Elemento oggettivo indispensabile è invece la titolarità della proprietà o l'esistenza di altro titolo idoneo di disponibilità del bene, oltre naturalmente alla compatibilità con gli strumenti urbanistici (TAR Lazio, Roma, sez. II, 02.11.2010, n. 33106; TAR Sicilia, Palermo, sez. III, 04.01.2008, n. 3) (TAR Sicilia-Catania, Sez. I, sentenza 07.03.2013 n. 771 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAParere in merito alla possibilità di rilasciare titolo abilitativo edilizio per completare edifici, con permesso di costruire scaduto, di cui è stata realizzata la sola struttura portante, senza tamponatura, in zona agricola - Comune di Sant'Angelo Romano (Regione Lazio, parere 27.02.2013 n. 322042 di prot.).

EDILIZIA PRIVATA Il semplice scarico e spianamento su un terreno di una certa quantità di detriti non integra l’ipotesi di trasformazione della destinazione a zona agricola dello stesso, né quella di occupazione di suolo mediante deposito di materiali di cui all’art. 7 d.l. 23.01.1982 n. 9 per le quali sia necessaria specifica autorizzazione dell’autorità comunale, concretando piuttosto un’ipotesi di mera utilizzazione che il proprietario ritenga fare del proprio terreno, per la quale è esclusa la necessità di un titolo concessorio.
Il provvedimento impugnato non specifica e non dà modo di comprendere per quali ragioni, e sotto quali profili, il deposito di materiale di risulta sull’area di proprietà della società ricorrente sia stato ritenuto “difforme” dalle denunce di inizio attività presentate dall’interessata.
Il richiamo, fatto nel preambolo dell’atto impugnato, al contenuto della relazione istruttoria dell’ufficio tecnico comunale non è conferente sotto tale profilo, dal momento che detta relazione si era limitata a riferire dell’esistenza di difformità “del muro di cinta” rispetto al progetto allegato alla DIA, non del deposito del materiale di risulta, al quale l’ufficio tecnico aveva accennato solo come elemento sintomatico, unitamente alla realizzazione delle opere di recinzione, dell’esistenza in atto di una lottizzazione abusiva del terreno.
Soprattutto, e più in generale, il semplice scarico e spianamento su un terreno di una certa quantità di detriti non integra l’ipotesi di trasformazione della destinazione a zona agricola dello stesso, né quella di occupazione di suolo mediante deposito di materiali di cui all’art. 7 d.l. 23.01.1982 n. 9 per le quali sia necessaria specifica autorizzazione dell’autorità comunale (Cons. St. Ad Plen. 05.12.1984, n. 22), concretando piuttosto un’ipotesi di mera utilizzazione che il proprietario ritenga fare del proprio terreno, per la quale è esclusa la necessità di un titolo concessorio (TAR Piemonte, Sez. I, sentenza 08.02.2013 n. 184 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Deve escludersi il carattere agricolo dell'attività di molitura delle olive e lavorazione della pasta disoleata, giacché il ciclo produttivo dell'impianto è finalizzato al trattamento non solo di olive, ma anche di derivati di seconda lavorazione conferiti da altri opifici.
La caratterizzazione principale dell'attività consiste dunque in una lavorazione di prodotti di terzi mediante una complessa tecnologia che di per sé non è espressione di tipica attività agricola.
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È stato precisato che la predetta attività connessa dell'imprenditore agricolo deve restare collegata all'attività dal medesimo esercitata in via principale mediante un vincolo di strumentalità o complementarietà funzionale, in assenza del quale essa non rientra nell'esercizio normale dell'agricoltura ed assume invece il carattere prevalente o esclusivo dell'attività commerciale o industriale.
Con specifico riguardo all'attività di molitura delle olive è stato rilevato che, qualora sia svolta anche a favore di terzi, può definirsi agricola solo se quest'ultima attività non sia prevalente.
In ogni caso, allorquando l'attività della cui connessione con un'attività propriamente agricola si discute, abbia in concreto dimensioni tali (anche nell'ambito della medesima impresa) che la rendono principale rispetto quella agricola, deve escludersi il carattere agricolo dell'attività stess.
Alla stregua delle predette considerazioni deve senz'altro escludersi il carattere agricolo dell'attività in questione, giacché, in genere in tali casi, come anche nella specie, il ciclo produttivo dell'impianto è finalizzato al trattamento, come si ripete, non solo di olive, ma anche di derivati di seconda lavorazione conferiti da altri opifici.
La caratterizzazione principale dell'attività consiste dunque in una lavorazione di prodotti di terzi mediante una complessa tecnologia che di per sé non è espressione di tipica attività agricola.
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Già è stato ritenuto legittimo il diniego di concessione edilizia opposto dal Comune alla realizzazione in zona agricola di un impianto per la molitura delle olive e la trasformazione delle paste derivate, ove come nel caso, per dimensioni e tipologia, esso sia destinato prevalentemente alla lavorazione dei prodotti di terzi rispetto a quelli provenienti dal fondo; la lavorazione e trasformazione dei prodotti agricoli -per poter essere considerata "attività connessa" all'agricoltura e rientrare nella nozione di "impresa agricola" di cui all'art. 2135 c.c.- deve infatti avere carattere strettamente strumentale e complementare all' attività principale di coltivazione del fondo, ciò che non accade allorché essa abbia prevalentemente ad oggetto la trasformazione di prodotti agricoli per conto terzi.

Questo Consesso ha già sostenuto che deve escludersi il carattere agricolo dell'attività di molitura delle olive e lavorazione della pasta disoleata, giacché il ciclo produttivo dell'impianto è finalizzato al trattamento non solo di olive, ma anche di derivati di seconda lavorazione conferiti da altri opifici.
La caratterizzazione principale dell'attività consiste dunque in una lavorazione di prodotti di terzi mediante una complessa tecnologia che di per sé non è espressione di tipica attività agricola.
Deve rilevarsi che la lavorazione per conto terzi (“da un ristretto numero di clienti”) non è smentita e anzi ammessa anche da parte del De Giorgi (relazione dott. Salerno, in particolare).
È stato precisato che la predetta attività connessa dell'imprenditore agricolo deve restare collegata all'attività dal medesimo esercitata in via principale mediante un vincolo di strumentalità o complementarietà funzionale, in assenza del quale essa non rientra nell'esercizio normale dell'agricoltura ed assume invece il carattere prevalente o esclusivo dell'attività commerciale o industriale (in tal senso: Cons. stato, sez. IV 14.05.2001 n. 2669).
Con specifico riguardo all'attività di molitura delle olive è stato rilevato che, qualora sia svolta anche a favore di terzi, può definirsi agricola solo se quest'ultima attività non sia prevalente (Cass. 29.03.1990 n. 2571).
In ogni caso, allorquando l'attività della cui connessione con un'attività propriamente agricola si discute, abbia in concreto dimensioni tali (anche nell'ambito della medesima impresa) che la rendono principale rispetto quella agricola, deve escludersi il carattere agricolo dell'attività stessa (Cass. 06.06.1974 n. 1682).
Alla stregua delle predette considerazioni deve senz'altro escludersi il carattere agricolo dell'attività in questione, giacché, in genere in tali casi, come anche nella specie, il ciclo produttivo dell'impianto è finalizzato al trattamento, come si ripete, non solo di olive, ma anche di derivati di seconda lavorazione conferiti da altri opifici.
La caratterizzazione principale dell'attività consiste dunque in una lavorazione di prodotti di terzi mediante una complessa tecnologia che di per sé non è espressione di tipica attività agricola.
Venendo in considerazione un impianto anche per la lavorazione della pasta disoleata, il processo tecnologico consiste in ciò: una volta molite le olive si procede, attraverso particolari strutture (oggetto della denegata concessione in sanatoria) ad estrarre, per separazione, oli e pasta disoleata, dopo di che tale pasta, costituita da un miscuglio di sansa più acqua contenuta nelle olive, subisce ulteriori cicli di trasformazione grazie ai quali viene recuperata la pasta esausta, dalla quale, poi, per successive lavorazioni tecnologiche, si ottengono nuovi derivati, alcuni dei quali, come ad esempio l'olio d'oliva "lampante", devono essere sottoposti ad un ultimo trattamento di trasformazione, che prevede l'uso di processi chimici, per poter diventare commestibili.
Non si è in definitiva in presenza di una semplice attività connessa ad un'attività tipicamente agricola svolta in via principale, bensì di una vera e propria attività industriale.
Con il medesimo motivo l’appellante lamenta che il Comune non avrebbe svolto adeguata istruttoria per sostenere le ragioni del diniego.
Il diniego del Comune ha preso le mosse dalla disciplina urbanistica vigente; in particolare le NTA della zona B (Completamento), zona in cui è posto il fondo in oggetto, che non prevede, in tali zone, l’edificazione di locali per attività artigianali moleste e rumorose, e il Regolamento Comunale di Polizia Urbana, che all’art. 61 qualifica come rumorosi e incomodi, dopo una serie non tassativa di esempi, tutti quei mestieri che, per l’azione di macchine, di motori o per l’uso continuo di strumenti manuali, rechino molestia al vicinato.
E’ quindi immune da censure la qualificazione operata dagli uffici comunali, laddove si assume non a torto che nel progetto di frantoio (ciclo continuo di trasformazione, lavorazione per conto terzi, sistema degli scarichi) si ravviserebbe un impianto produttivo “del tutto avulso dal tessuto edilizio di completamento”.
Giova in proposito ricordare come già è stato ritenuto legittimo il diniego di concessione edilizia opposto dal Comune alla realizzazione in zona agricola di un impianto per la molitura delle olive e la trasformazione delle paste derivate, ove come nel caso, per dimensioni e tipologia, esso sia destinato prevalentemente alla lavorazione dei prodotti di terzi rispetto a quelli provenienti dal fondo; la lavorazione e trasformazione dei prodotti agricoli -per poter essere considerata "attività connessa" all'agricoltura e rientrare nella nozione di "impresa agricola" di cui all'art. 2135 c.c.- deve infatti avere carattere strettamente strumentale e complementare all' attività principale di coltivazione del fondo, ciò che non accade allorché essa abbia prevalentemente ad oggetto la trasformazione di prodotti agricoli per conto terzi (così Consiglio Stato sez. V, 06.03.2007, n. 1051)
(Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 04.02.2013 n. 651 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Comune di Monteleone Sabino - Parere in merito alla sanabilità di una piscina abusiva in zona agricola (Regione Lazio, parere 30.01.2013 n. 533364 di prot.).

EDILIZIA PRIVATA: Il semplice scarico e spianamento su un terreno di una certa quantità di detriti non integra l’ipotesi di trasformazione della destinazione a zona agricola dello stesso, né quella di occupazione di suolo mediante deposito di materiali di cui all’art. 7 d.l. 23.01.1982 n. 9 per le quali sia necessaria specifica autorizzazione dell’autorità comunale, concretando piuttosto un’ipotesi di mera utilizzazione che il proprietario ritenga fare del proprio terreno, per la quale è esclusa la necessità di un titolo concessorio.
Più in generale, il semplice scarico e spianamento su un terreno di una certa quantità di detriti non integra l’ipotesi di trasformazione della destinazione a zona agricola dello stesso, né quella di occupazione di suolo mediante deposito di materiali di cui all’art. 7 d.l. 23.01.1982 n. 9 per le quali sia necessaria specifica autorizzazione dell’autorità comunale (Cons. St. Ad Plen. 05.12.1984, n. 22), concretando piuttosto un’ipotesi di mera utilizzazione che il proprietario ritenga fare del proprio terreno, per la quale è esclusa la necessità di un titolo concessorio (TAR Piemonte, Sez. I, sentenza 08.01.2013 n. 184 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

anno 2012

URBANISTICA: La regola generale, che non richiede la puntuale motivazione delle nuove destinazioni urbanistiche conferite dallo strumento urbanistico, subisce delle eccezioni in alcune situazioni specifiche, in cui il principio della tutela dell'affidamento impone che lo strumento urbanistico dia conto del modo in cui sia stata effettuata la ponderazione degli interessi pubblici e siano state operate le scelte di pianificazione; in particolare, detto affidamento si verifica nei casi di:
a) superamento degli standard minimi di cui al D.M. 02.04.1968, con l'avvertenza che la motivazione ulteriore va riferita esclusivamente alle previsioni urbanistiche complessive di sovradimensionamento, indipendentemente dal riferimento alla destinazione di zona di determinate aree;
b) lesione dell'affidamento qualificato del privato derivante da convenzioni di lottizzazione, accordi di diritto privato intercorsi tra il Comune e i proprietari delle aree, o dalle aspettative nascenti da giudicati di annullamento di dinieghi di permesso di costruire o di silenzio rifiuto su una domanda di concessione;
c) modificazione in “zona agricola” della destinazione di un'area limitata, interclusa da fondi edificati in modo non abusivo

In ordine al punto A) va osservato che la regola generale, che non richiede la puntuale motivazione delle nuove destinazioni urbanistiche conferite dallo strumento urbanistico, subisce delle eccezioni in alcune situazioni specifiche, in cui il principio della tutela dell'affidamento impone che lo strumento urbanistico dia conto del modo in cui sia stata effettuata la ponderazione degli interessi pubblici e siano state operate le scelte di pianificazione; in particolare, detto affidamento si verifica nei casi di:
a) superamento degli standard minimi di cui al D.M. 02.04.1968, con l'avvertenza che la motivazione ulteriore va riferita esclusivamente alle previsioni urbanistiche complessive di sovradimensionamento, indipendentemente dal riferimento alla destinazione di zona di determinate aree;
b) lesione dell'affidamento qualificato del privato derivante da convenzioni di lottizzazione, accordi di diritto privato intercorsi tra il Comune e i proprietari delle aree, o dalle aspettative nascenti da giudicati di annullamento di dinieghi di permesso di costruire o di silenzio rifiuto su una domanda di concessione;
c) modificazione in “zona agricola” della destinazione di un'area limitata, interclusa da fondi edificati in modo non abusivo (Tar Lazio, sez. II-bis, 02.03.2011, n.1950; TAR Toscana, sez. I, 27.04.2011, n. 730)
(TAR Lazio-Roma, Sez. II-bis, sentenza 29.11.2012 n. 9903 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Sul diniego del permesso di costruire, in zona agricola, di una casa di campagna di lusso mascherata con sembianze attinenti all'edificio agricolo.
Considerato, nel merito, che:
- il gravato diniego di permesso di costruire è da ritenersi sorretto da adeguata e autosufficiente istruttoria e motivazione, nella misura in cui illustra perspicuamente e compiutamente le ragioni poste a suo fondamento;
- in particolare, l’amministrazione resistente ha evidenziato:
   -- l’incompatibilità dei manufatti progettati –per la relativa connotazione, propria delle “residenze di lusso, di livello superiore all’ordinario, con un’ampia consistenza e dotazione di impianti e servizi”– con la destinazione dell’area di intervento, ricadente in zona E (“verde agricolo”) ai sensi del vigente p.r.g. del Comune di Carinaro, nonché “sprovvista di opere di urbanizzazione, quali luce, strade, fogne, ecc.”;
   -- a riprova della vocazione non rurale dei predetti manufatti, la sostanziale coincidenza tra questi ultimi e quelli prospettati in altra domanda di permesso di costruire avente per oggetto “un edificio country house”;
   -- il significativo impatto volumetrico di quelle che indebitamente risultano qualificate come “pertinenze agricole” in sede di domanda di permesso di costruire;
   -- la sussistenza dei “presupposti di una lottizzazione abusiva sia materiale che cartolare ai sensi dell’art. 18 della l. n. 47/1985”;
- siffatti rilievi trovano, peraltro, concreto riscontro nella relazione tecnica allegata alla domanda di permesso di costruire del 14.10.2008 (prot. n. 9072) e depositata in giudizio dalla ricorrente il 29.04.2009;
- a tenore della citata relazione tecnica, il denegato progetto di “casa rurale” e di relative “pertinenze agricole” prevedeva, innanzitutto, un edificio articolato in “un piano seminterrato destinato al ricovero delle auto e/o macchine agricole”, in “un piano rialzato adibito in parte a residenza e in parte a pertinenza” e in “un primo piano in parte chiuso, da destinare al deposito/stoccaggio temporaneo del frumento, e in parte aperto, tale da garantire l’essiccazione dello stesso”;
- la parte residenziale, posta al piano rialzato ed avente una superficie complessiva pari a mq 159,36, era, a sua volta, suddivisa in una “zona giorno”, costituita da cucina e bagno, e in una “zona notte”, costituita da tre camere da letto e doppi accessori;
- l’accesso al primo piano era assicurato da un montacarichi, oltre che da una scala a tre rampe;
- un ulteriore corpo di fabbrica a pianta “pressoché rettangolare”, articolato su due livelli (piano interrato e piano terra) risultava, poi, adibito alle “pertinenze agricole”;
- trattasi, dunque, all’evidenza, di un complesso edilizio di cui l’amministrazione resistente, per il concorso di una serie di fattori architettonici, dimensionali e costruttivi –quali, segnatamente, lo sviluppo su due piani fuori terra, l’estensione, la distribuzione e la dotazione di servizi dell’abitazione, la presenza di un montacarichi, la consistenza delle strutture ‘pertinenziali’–, ha correttamente ravvisato la natura residenziale, incompatibile con la destinazione agricola dell’area di intervento (cfr. Cons. Stato, sez. V, 16.06.2009, n. 3853; sez. IV, 27.07.2011, n. 4505; 02.10.2012, n. 5188; TAR Sardegna, Cagliari, sez. II, 15.02.2010, n. 178; 14.09.2011, n. 926; TAR Sicilia, Palermo, sez. III, 18.11.2011, n. 2143), e, per il collegamento puramente fittizio alla coltivazione ed allo sfruttamento produttivo del suolo –desumibile anche dalla coincidenza del progetto non assentito con quello implicante tutt’altra destinazione delle opere previste (“country house”)–, ha ragionevolmente inferito gli estremi di una lottizzazione abusiva (cfr. Cass. pen., sez. III, 27.10.2011, n. 46343) (TAR Campania-Napoli, Sez. VIII, sentenza 08.11.2012 n. 4490 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

URBANISTICALe osservazioni dei privati ai progetti di strumenti urbanistici sono un mero apporto collaborativo alla formazione di detti strumenti e non danno luogo a peculiari aspettative, con la conseguenza che il loro rigetto non richiede una specifica motivazione, essendo sufficiente che esse siano state esaminate e ritenute in contrasto con gli interessi e le considerazioni generali poste a base della formazione del piano, così come è avvenuto nel caso in esame.
Le scelte discrezionali dell'amministrazione riguardo alla destinazione di singole aree non necessitano, dunque, di apposita motivazione, oltre a quella che si può evincere dai criteri generali -di ordine tecnico-discrezionale- seguiti nell'impostazione del piano stesso, salvo che particolari situazioni non abbiano creato aspettative o affidamenti in favore di soggetti le cui posizioni appaiano meritevoli di specifiche considerazioni.
Le evenienze che giustificano una più incisiva e singolare motivazione degli strumenti urbanistici generali sono state ravvisate dalla giurisprudenza:
a) nel superamento degli standard minimi di cui al d.m. 02.04.1968, con l'avvertenza che la motivazione ulteriore va riferita esclusivamente alle previsioni urbanistiche complessive di sovradimensionamento, indipendentemente dal riferimento alla destinazione di zona di determinate aree;
b) nella lesione dell'affidamento qualificato del privato – convenzioni di lottizzazione, accordi di diritto privato intercorsi fra il Comune e i proprietari delle aree, aspettative nascenti da giudicati di annullamento di dinieghi di concessione edilizia o di silenzio rifiuto su domanda di concessione edilizia;
c) nella modificazione in zona agricola della destinazione di un'area limitata, interclusa da fondi edificati in modo non abusivo.

Per giurisprudenza costante, le osservazioni dei privati ai progetti di strumenti urbanistici sono un mero apporto collaborativo alla formazione di detti strumenti e non danno luogo a peculiari aspettative, con la conseguenza che il loro rigetto non richiede una specifica motivazione, essendo sufficiente che esse siano state esaminate e ritenute in contrasto con gli interessi e le considerazioni generali poste a base della formazione del piano (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 07.07.2008, nr. 3358), così come è avvenuto nel caso in esame.
Le scelte discrezionali dell'amministrazione riguardo alla destinazione di singole aree non necessitano, dunque, di apposita motivazione, oltre a quella che si può evincere dai criteri generali -di ordine tecnico-discrezionale- seguiti nell'impostazione del piano stesso (cfr. Cons. Stato, Ad. Plen., n. 24/1999; Sez. IV, n. 2639/2000; n. 245/2000; n. 1943/1999; n. 887/1995), salvo che particolari situazioni non abbiano creato aspettative o affidamenti in favore di soggetti le cui posizioni appaiano meritevoli di specifiche considerazioni (Cons. Stato, Sez. VI., n. 173/2002; Sez. IV, n. 6917/2002; Sez. IV, n. 2899/2002).
Le evenienze che giustificano una più incisiva e singolare motivazione degli strumenti urbanistici generali sono state ravvisate dalla giurisprudenza (cfr. Cons. Stato, Ad. Plen. n. 24/1999 cit.; Sez. IV, 2369/2000):
a) nel superamento degli standard minimi di cui al d.m. 02.04.1968, con l'avvertenza che la motivazione ulteriore va riferita esclusivamente alle previsioni urbanistiche complessive di sovradimensionamento, indipendentemente dal riferimento alla destinazione di zona di determinate aree;
b) nella lesione dell'affidamento qualificato del privato – convenzioni di lottizzazione, accordi di diritto privato intercorsi fra il Comune e i proprietari delle aree, aspettative nascenti da giudicati di annullamento di dinieghi di concessione edilizia o di silenzio rifiuto su domanda di concessione edilizia (cfr. Cons. Stato, Ad. Plen. n. 24/1999);
c) nella modificazione in zona agricola della destinazione di un'area limitata, interclusa da fondi edificati in modo non abusivo (cfr. Cons. Stato, sez. IV, n. 594/1999)
(TAR Lombardia-Milano, Se. II, sentenza 05.09.2012 n. 2223 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Requisiti necessari per la voltura di concessioni in zona agricola.
Per la edificazione in zona agricola il titolo abilitativo viene concesso ad un soggetto non esclusivamente in quanto titolare di un diritto di proprietà, ma in ragione del possesso da parte sua di una delle necessarie qualifiche, perché la caratterizzazione di imprenditore agricolo viene ritenuta l'unica garanzia della prescritta destinazione delle opere all'agricoltura (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 29.08.2012 n. 33381 - tratto da www.lexambiente.it).

EDILIZIA PRIVATA: Il decreto di annullamento dell’autorizzazione paesaggistica deve spiegare il contrasto delle opere con l’ambiente e non può travalicare in una non consentita valutazione di merito.
La destinazione di un’area a zona agricola ben può essere effettuata a salvaguardia del paesaggio o dell’ambiente, non presuppone necessariamente che l’area stessa venga utilizzata ad uso agricolo e ben può consentire la realizzazione di manufatti nei limiti delle previsioni del piano regolatore generale ad essa relative.
Nei casi in cui la discrezionalità tecnico/amministrativa abbia un ruolo considerevole, un diniego di nulla osta deve essere assistito da una motivazione concreta sulla realtà dei fatti e sulle ragioni ambientali ed estetiche che sconsigliano alla P.A. di non ammettere un determinato intervento: affermare che un determinato intervento compromette gli equilibri ambientali della zona interessata per le incongruenze fra tipologia e materiali scelti e contesto paesaggistico senza nulla aggiungere, non spiega alcunché sul futuro danno alle bellezze ambientali che ne deriverebbe ed è un mero postulato apodittico.
Per quanto concerne la motivazione idonea a sorreggere un provvedimento di diniego del richiesto nulla osta per la costruzione in area soggetta a vincolo paesaggistico, deve chiarirsi che l’Amministrazione non può limitare la sua valutazione al mero riferimento ad un pregiudizio ambientale, utilizzando espressioni vaghe o formule stereotipate, ma tale motivazione deve contenere una sufficiente esternazione delle specifiche ragioni per le quali si ritiene che un’opera non sia idonea ad inserirsi nell’ambiente, attraverso l’individuazione degli elementi di contrasto; pertanto, occorre un concreto ed analitico accertamento del disvalore delle valenze paesaggistiche.

La giurisprudenza, relativamente all’esercizio dei poteri inibitori della Soprintendenza, ha più volte sostenuto che “il decreto di annullamento dell’autorizzazione paesaggistica deve spiegare il contrasto delle opere con l’ambiente e non può travalicare in una non consentita valutazione di merito” (ex multis, Cons. St., Sez. VI, 27.02.2012 n. 1096).
Questo Collegio, di recente (sent. n. 882/2012, depositata in data 11.05.2012), ha ricordato che la destinazione di un’area a zona agricola ben può essere effettuata a salvaguardia del paesaggio o dell’ambiente, non presuppone necessariamente che l’area stessa venga utilizzata ad uso agricolo (Cons. St., sez. VI, 03.11.2008, n. 5478) e ben può consentire la realizzazione di manufatti nei limiti delle previsioni del piano regolatore generale ad essa relative (Cons. St., sez. VI, 25.09.2002, n. 259).
In fattispecie affini alla presente, la giurisprudenza amministrativa ha avuto modo di precisare che “nei casi in cui –come quello in esame– la discrezionalità tecnico/amministrativa abbia un ruolo considerevole, un diniego di nulla osta deve essere assistito da una motivazione concreta sulla realtà dei fatti e sulle ragioni ambientali ed estetiche che sconsigliano alla P.A. di non ammettere un determinato intervento: affermare che un determinato intervento compromette gli equilibri ambientali della zona interessata per le incongruenze fra tipologia e materiali scelti e contesto paesaggistico senza nulla aggiungere, non spiega alcunché sul futuro danno alle bellezze ambientali che ne deriverebbe ed è un mero postulato apodittico” (TAR Liguria, sez. I, 22.12.2008, n. 2187; TAR Piemonte, sez. I, n. 1153/2011).
Ed ancora: “Per quanto concerne la motivazione idonea a sorreggere un provvedimento di diniego del richiesto nulla osta per la costruzione in area soggetta a vincolo paesaggistico, deve chiarirsi che l’Amministrazione non può limitare la sua valutazione al mero riferimento ad un pregiudizio ambientale, utilizzando espressioni vaghe o formule stereotipate, ma tale motivazione deve contenere una sufficiente esternazione delle specifiche ragioni per le quali si ritiene che un’opera non sia idonea ad inserirsi nell’ambiente, attraverso l’individuazione degli elementi di contrasto; pertanto, occorre un concreto ed analitico accertamento del disvalore delle valenze paesaggistiche” (TAR Campania, Napoli, sez. VIII, 10.11.2010, n. 23751) (TAR Campania-Salerno, Sez. II, sentenza 01.08.2012 n. 1591 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA - URBANISTICA: Rifiuti. Ubicazione impianto di smaltimento.
L'impianto di smaltimento dei rifiuti non necessariamente deve essere realizzato in zona industriale.
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La destinazione agricola di una determinata area è volta non tanto e non solo a garantire il suo effettivo utilizzo a scopi agricoli, quanto piuttosto a preservarne le caratteristiche attuali di zona di salvaguardia da ogni possibile nuova edificazione, con la conseguenza che, salvo diverse specifiche previsioni, essa non può considerarsi incompatibile con la realizzazione di un impianto di discarica, tanto più che quest’ultimo deve essere ragionevolmente localizzato al di fuori della zona abitata.
Il potere di pianificazione del territorio non può precludere del resto insediamenti industriali in zone a destinazione agricola, salvo che in via eccezionale, quando cioè si sia in presenza di un assetto agricolo di particolare pregio, consolidato da tempo remoto ovvero favorito da opere di bonifica, ciò anche in considerazione del fatto che la destinazione agricola ha in realtà lo scopo di impedire insediamenti abitativi residenziali e non già quello di precludere in via assoluta e radicale qualsiasi intervento urbanisticamente rilevante.
Deve rilevarsi che, come emerge dalla lettura della determinazione REGTA/669/2009 del 04.11.2009 del dirigente del Settore Tutela Territoriale ed Ambientale della Provincia di Lodi, il diniego di autorizzazione (per la realizzazione e l’esercizio di un impianto di stoccaggio e trattamento di fanghi biologici, da avviarsi a recupero mediante spandimento in agricoltura, su un’area di sua proprietà sita nel Comune di Meleti) è stato innanzitutto imperniato proprio sulla destinazione urbanistica dell’area, classificata -nello strumento urbanistico vigente del Comune di Meleti, sia in quello vigente, sia nel PGT adottato- come zona E, agricola, precisandosi poi, per un verso, che l’articolo 196 del D.Lgs. 03.04.2006, n. 152, prevedeva che per la realizzazione di impianti di smaltimento e recupero dei rifiuti dovevano essere privilegiate le aree industriali, e, per altro verso, che la previsione contenuta nell’art 27, comma 5, del D.Lgs. n. 22 del 1997 (ora 208 del D.Lgs. 03.04.2006, n. 152), secondo cui l’approvazione del progetto di un nuovo impianto di smaltimento o di recupero di rifiuti, anche pericolosi, costituiva automatica variante allo strumento urbanistico “ove occorra”, comportava che la collocazione dell’impianto in zona diversa da quella industriale doveva essere considerata un’eccezione, dovendosi provare l’impossibilità di una diversa collocazione dell’impianto da realizzare.
Peraltro detta motivazione, ad avviso della Sezione, è frutto di un’erronea interpretazione delle disposizioni contenute nei ricordati articoli 196 e 208 del D.Lgs. 03.04.2006, n. 152.
Invero lo stesso tenore letterale del terzo comma dell’articolo 196 esclude che la realizzazione di impianti di smaltimento e recupero dei rifiuti debba avvenire necessariamente ed esclusivamente in aree industriale, così esprimendo una previsione tendenziale e di massima, un criterio direttivo di preferenza cui devono attenersi in linea di principio le regioni, coerentemente con la peculiare forma verbale usata dal legislatore, secondo cui le regioni “privilegiano” la realizzazione dei predetti impianti in tali zone.
Del resto è agevole intuire la ratio di un simile criterio direttivo, volto a sottolineare la natura industriale di tali impianti, collocandoli quindi preferibilmente, in coerenza con il disegno urbanistico delineato dallo strumento di governo del territorio, nella zona da quest’ultimo individuata per le attività industriali; tuttavia, la circostanza che tale collocazione costituisca solo una indicazione di massima ovvero un criterio preferenziale è confermata dalla espressa previsione che essa deve essere comunque compatibile con le peculiari caratteristiche dell’area: insomma il legislatore ha inteso fissare una indicazione preferenziale, astratta, salvo poi a demandare in concreto la verifica e la valutazione della sua compatibilità.
Di per sé, quindi, il fatto che l’area su cui era stata prevista la realizzazione dell’impianto, oggetto della negata autorizzazione, non fosse urbanisticamente classificata quale zona industriale non costituiva motivo ostativo al rilascio dell’approvazione, né imponeva, così come suggestivamente insinuato dalle appellanti, al soggetto richiedente di provare l’impossibilità di collocare l’impianto da realizzare in zona industriale, spettando piuttosto all’amministrazione il potere/dovere di verificare comunque la compatibilità del sito prescelto con l’impianto da realizzare.
Né poteva essere invocato, a fondamento del diniego di autorizzazione, la circostanza che l’area su cui era stata prevista la realizzazione dell’impianto fosse urbanisticamente classificata, come zona agricola E.
E’ sufficiente ricordare al riguardo che, secondo un consolidato indirizzo giurisprudenziale, dal quale non vi è motivo di discostarsi, la destinazione agricola di una determinata area è volta non tanto e non solo a garantire il suo effettivo utilizzo a scopi agricoli, quanto piuttosto a preservarne le caratteristiche attuali di zona di salvaguardia da ogni possibile nuova edificazione, con la conseguenza che, salvo diverse specifiche previsioni, essa non può considerarsi incompatibile con la realizzazione di un impianto di discarica, tanto più che quest’ultimo deve essere ragionevolmente localizzato al di fuori della zona abitata (C.d.S., sez. V, 01.10.2010, n. 7243; 16.06.2009, n. 3853).
E’ stato anche sottolineato che il potere di pianificazione del territorio non può precludere del resto insediamenti industriali in zone a destinazione agricola, salvo che in via eccezionale, quando cioè si sia in presenza di un assetto agricolo di particolare pregio, consolidato da tempo remoto ovvero favorito da opere di bonifica, ciò anche in considerazione del fatto che la destinazione agricola ha in realtà lo scopo di impedire insediamenti abitativi residenziali e non già quello di precludere in via assoluta e radicale qualsiasi intervento urbanisticamente rilevante (C.d.S., sez. V, 18.09.2007, n. 4861).
In questa ottica deve essere apprezzata la previsione contenuta nel sesto comma dell’art. 208 del D.Lgs. 03.04.2006, n. 152, secondo cui “L’approvazione sostituisce ad ogni effetto visti, pareri, autorizzazioni e concessioni di organi regionali, provinciali e cominciali, costituisce, ove occorra, variante allo strumento urbanistico e comporta la dichiarazione di pubblica utilità, urgenza ed indifferibilità dei lavori”.
Essa invero sarebbe ultronea e priva di qualsiasi utilità se l’impianto da realizzare dovesse essere collocato obbligatoriamente ed esclusivamente in zona industriale, laddove la ricordata previsione normativa ne permette invece la collocazione anche in una zona che, secondo le previsioni urbanistiche, non la tollererebbe, subordinatamente al riscontro ed alla valutazione di compatibilità in concreto da parte dell’amministrazione
(Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 28.06.2012 n. 3818 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATALa fattispecie di esonero dal contributo di costruzione contemplata dall’art. 17, terzo comma, lett. b), del d.P.R. n. 380/2001, già art. 9 della l. 28.01.1977, n. 10, trova applicazione per gli interventi di ristrutturazione e di ampliamento, in misura non superiore al 20 per cento, di edifici unifamiliari, anche ove ricadenti in zona agricola.
Il ricorso è fondato.
Il Collegio non ravvisa ragioni per discostarsi dall’orientamento giurisprudenziale di questo Tribunale Amministrativo, di cui alla sentenza, richiamata anche in sede cautelare, n. 854 del 05.08.2009.
Merita condivisione, in particolare, il profilo, sollevato anche con l’odierna impugnativa, della disparità di trattamento che verrebbe a determinarsi tra proprietari di edifici unifamiliari nelle zone urbane, esonerati dal pagamento degli oneri concessori, e proprietari di edifici unifamiliari in zone agricole, che, in mancanza della qualifica di imprenditore agricolo a titolo principale, sarebbero tenuti al pagamento degli oneri concessori, pur a fronte di un intervento edilizio con le medesime caratteristiche.
Deve ritenersi, pertanto, che la fattispecie di esonero dal contributo di costruzione contemplata dall’art. 17, terzo comma, lett. b), del d.P.R. n. 380/2001, già art. 9 della l. 28.01.1977, n. 10, trovi applicazione per gli interventi di ristrutturazione e di ampliamento, in misura non superiore al 20 per cento, di edifici unifamiliari, anche ove ricadenti in zona agricola (TAR Marche, sentenza 22.06.2012 n. 449 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

URBANISTICA: Il potere di pianificazione del territorio non può, per se stante, precludere insediamenti industriali in zone a destinazione agricola se non in via eccezionale, vale a dire nei casi in cui si discuta di assetto agricolo di particolare pregio, consolidato da tempo remoto e magari accompagnato e favorito da opere di bonifica, posto che la destinazione agricola ha -di per sé- lo scopo di impedire gli insediamenti abitativi residenziali e non anche di precludere in via radicale qualsiasi intervento urbanisticamente rilevante.
In tale frangente è stata reputata legittima la realizzazione in area destinata dal vigente strumento urbanistico comunale ad attività agricola di un deposito temporaneo di carbone all’interno di un sito più vasto e già adibito ad attività estrattiva.
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L’area pianificata dal vigente strumento urbanistico primario come “area agricola” non deve essere necessariamente destinata ad attività agricole ma è sufficiente che soddisfi la vocazione del suolo sottraendolo a nuove edificazioni va coniugata comunque con il contenuto di quelle che sono le concrete decisioni assunte dall’Amministrazione Comunale in sede di pianificazione del territorio, laddove soprattutto qualora essa abbia ivi espressamente enunciato la tipologia delle ulteriori attività, rispetto a quelle strettamente agricole, che possono insediarsi nelle aree E di cui al D.M. 02.04.1968 n. 1444: e tanto più che è stata recisamente esclusa dalla stessa giurisprudenza l’insediabilità in area agricola di attività comunque comportanti la realizzazione di opere che in ragione all’uso cui sono preposte recano necessariamente caratteristiche strutturali e tipologiche del tutto inconciliabili con la destinazione agricola e tanto con riferimento non solo all’utilizzo concreto del suolo, ma alla naturale vocazione dei terreni; ovvero che comunque determinano una cementificazione della zona agricola (cfr. in tal senso la stessa sentenza n. 4505 del 2011 che ha affermato l’impossibilità di realizzare in zona agricola E un impianto di frantumazione di inerti).
Va evidenziato che questo stesso giudice d’appello, con decisione n. 4961 dd. 18.09.2007 resa dalla Sezione V proprio con riguardo ad altra fattispecie attinente ad altro Comune ubicato nel territorio della Regione Puglia, ha invero già avuto modo di affermare che il potere di pianificazione del territorio non può, per se stante, precludere insediamenti industriali in zone a destinazione agricola se non in via eccezionale, vale a dire nei casi in cui si discuta di assetto agricolo di particolare pregio, consolidato da tempo remoto e magari accompagnato e favorito da opere di bonifica, posto che la destinazione agricola ha -di per sé- lo scopo di impedire gli insediamenti abitativi residenziali e non anche di precludere in via radicale qualsiasi intervento urbanisticamente rilevante.
In tale frangente è stata reputata legittima la realizzazione in area destinata dal vigente strumento urbanistico comunale ad attività agricola di un deposito temporaneo di carbone all’interno di un sito più vasto e già adibito ad attività estrattiva.
Tuttavia, va pure considerato che questo giudice d’appello è pervenuto a tale conclusione non già forzando con una propria petizione di principio il dato letterale delle norme tecniche di attuazione annesse allo strumento urbanistico comunale, ma interpretandolo anche in correlazione alle risultanze fattuali in quello specifico contesto processuale, posto che –come si legge nella decisione stessa– “la disciplina recata dall'art. 17 delle N.T.A. del Comune di Statte non risulta tale da precludere l'intervento oggetto della domanda di permesso di costruire presentata dalla Italcave. La prescrizione in parola … non impedisce infatti che un sito già vocato a servizio di attività produttive (attività estrattiva, giusta legittimi titoli) possa ospitare al suo interno un deposito temporaneo di carbone. Ciò, appunto, anche perché non è predicabile, nell’area in questione, la preesistenza di un incontaminato e pregiato assetto agricolo ossia quella ipotesi eccezionale che sola avrebbe potuto lasciare ipotizzare una indiscriminata limitazione degli interventi di carattere produttivo in zona agricola. D’altronde, la documentazione in atti dimostra non soltanto la preesistenza della cava ma anche la presenza nella più vasta area limitrofa di altre attività produttive”.
Nell’ipotesi qui in esame, il vigente art. 20 delle N.T.A. del P.R.G. di Gioia del Colle dispone, per quanto qui segnatamente interessa, nel senso che le zone agricole E2 “sono destinate prevalentemente all’esercizio delle attività boschive ed agricole e di quelle connesse alla predetta attività. In tali zone sono consentite: a) case di abitazione, fabbricati rurali quali stalle, porcili, ricoveri per macchine agricole, serbatoi idrici e simili; b) costruzioni adibite alla lavorazione dei prodotti delle attività di queste zone, ed all’esercizio delle necessarie macchine”.
Ben emerge in tal senso, quindi, che la volontà del pianificatore deroga alla vocazione strettamente agricola degli insediamenti programmabili per tale zona soltanto con espresso e tassativo riferimento alle “costruzioni adibite alla lavorazione dei prodotti delle attività di queste zone, ed all’esercizio delle necessarie macchine”, ossia contemplando anche ipotesi di insediamento di attività industriali quale è per certo quella del mulino, ma soltanto poiché all’evidenza costitutive di un indotto di quella agricola, ossia proprio in quanto “adibite alla lavorazione dei prodotti” dell’agricoltura locale.
In tale contesto, pertanto, la tralatizia e ormai del tutto consolidata giurisprudenza di questo giudice secondo cui l’area pianificata dal vigente strumento urbanistico primario come “area agricola” non deve essere necessariamente destinata ad attività agricole ma è sufficiente che soddisfi la vocazione del suolo sottraendolo a nuove edificazioni (cfr., ad es., tra le più recenti Cons. Stato, Sez. , 27.07.2011 n. 4505) va coniugata comunque con il contenuto di quelle che sono le concrete decisioni assunte dall’Amministrazione Comunale in sede di pianificazione del territorio, laddove soprattutto qualora essa abbia ivi espressamente enunciato la tipologia delle ulteriori attività, rispetto a quelle strettamente agricole, che possono insediarsi nelle aree E di cui al D.M. 02.04.1968 n. 1444: e tanto più che è stata recisamente esclusa dalla stessa giurisprudenza l’insediabilità in area agricola di attività comunque comportanti la realizzazione di opere che in ragione all’uso cui sono preposte recano necessariamente caratteristiche strutturali e tipologiche del tutto inconciliabili con la destinazione agricola e tanto con riferimento non solo all’utilizzo concreto del suolo , ma alla naturale vocazione dei terreni; ovvero che comunque determinano una cementificazione della zona agricola (cfr. in tal senso la stessa sentenza n. 4505 del 2011 che ha affermato l’impossibilità di realizzare in zona agricola E un impianto di frantumazione di inerti).
Nel caso in esame, va quindi tenuto conto della circostanza che la vigente strumentazione urbanistica primaria del Comune di Gioia del Colle espressamente contempla la possibilità di realizzare alberghi in altre zone appositamente a ciò destinate e che, pertanto, nella zona agricola di cui trattasi non può essere ragionevolmente assentito l’insediamento di strutture ricettive ulteriori e diverse da quelle destinate all’attività agrituristica, notoriamente complementare a quella agricola: e men che meno può ricavarsi una deroga a ciò nella predetta circostanza che il molino costituiva comunque attività industriale e non agricola e che pertanto ciò ex se legittimerebbe la prosecuzione nel relativo immobile di un’attività comunque diversa da quella strettamente agricola, posto che la deroga accordata dalle N.T.A. del P.R.G. per l’anzidetta attività industriale era ed è fondata sull’espressa enunciazione di un criterio di complementarietà rispetto all’uso agricolo del territorio non applicabile –all’evidenza– per un insediamento alberghiero ben diverso da quello agrituristico (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 19.06.2012 n. 3570 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

URBANISTICALe scelte effettuate dall'Amministrazione in sede di pianificazione urbanistica costituiscono apprezzamento di merito, sottratte al sindacato di legittimità, salvo che non siano inficiate da errori di fatto o da abnormi illogicità.
Esse, inoltre, quando si concretano nella destinazione di singole aree, non necessitano di apposita motivazione, oltre quella che si può evincere dai criteri generali di ordine tecnico-discrezionale seguiti nell'impostazione del piano, essendo necessaria una motivazione specifica soltanto in presenza di un <<affidamento qualificato>>.
A tal riguardo, si evidenziano i casi di:
a) superamento degli standard minimi di cui al d.m. 02.04.1968 — con l'avvertenza che la motivazione ulteriore va riferita esclusivamente alle previsioni urbanistiche complessive di sovradimensionamento, indipendentemente dal riferimento alla destinazione di zona di determinate aree;
b) lesione dell'affidamento qualificato del privato derivante da convenzioni di lottizzazione, accordi di diritto privato intercorsi tra il Comune e i proprietari delle aree, dalle aspettative nascenti da giudicati di annullamento di dinieghi di permesso di costruire o di silenzio-rifiuto su una domanda di concessione;
c) modificazione in zona agricola della destinazione di un'area limitata, interclusa da fondi edificati in modo non abusivo.
Né si può ritenere che l'obbligo di motivazione venga rafforzato, imposto o mutato in base alla sola presentazione delle osservazioni al piano da parte dei privati; queste, infatti, sono semplici apporti collaborativi offerti dai cittadini alla formazione dello strumento urbanistico ed il loro rigetto non richiede una specifica motivazione, essendo sufficiente che siano state esaminate e ritenute in contrasto con gli interessi e le considerazioni generali poste a base della formazione del piano.
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La giurisprudenza è costante nel ritenere necessaria la ripubblicazione di un piano urbanistico allorché vi sia stata una rielaborazione complessivamente innovativa del piano stesso, e cioè un mutamento delle sue caratteristiche essenziali e dei criteri che alla sua impostazione rispettivamente hanno presieduto e presiedono.
L’art. 13, co. 9, della l.r. 12/2005, d’altro canto, espressamente esclude l’assoggettamento a ripubblicazione della deliberazione comunale di recepimento delle prescrizioni provinciali o regionali, senza ulteriori specificazioni
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Secondo l’orientamento consolidato della giurisprudenza (cfr. ex multis, Cons. giust. amm. Sicilia, sez. giurisd., 19.03.2012, n. 307; Cons. Stato, sez. IV, 24.02.2011, n. 1222, id. 13.02.2009, n. 811; id. 13.03.2008, n. 1095), le scelte effettuate dall'Amministrazione in sede di pianificazione urbanistica costituiscono apprezzamento di merito, sottratte al sindacato di legittimità, salvo che non siano inficiate da errori di fatto o da abnormi illogicità. Esse, inoltre, quando si concretano nella destinazione di singole aree, non necessitano di apposita motivazione, oltre quella che si può evincere dai criteri generali di ordine tecnico-discrezionale seguiti nell'impostazione del piano, essendo necessaria una motivazione specifica soltanto in presenza di un <<affidamento qualificato>> del privato (cfr. a proposito delle situazioni ritenute meritevoli di particolare tutela, in quanto caratterizzate da un affidamento «qualificato»: TAR Lazio, Roma, sez. II, 02.03.2011, n. 1950, che elenca i casi di:
a) superamento degli standard minimi di cui al d.m. 02.04.1968 — con l'avvertenza che la motivazione ulteriore va riferita esclusivamente alle previsioni urbanistiche complessive di sovradimensionamento, indipendentemente dal riferimento alla destinazione di zona di determinate aree;
b) lesione dell'affidamento qualificato del privato derivante da convenzioni di lottizzazione, accordi di diritto privato intercorsi tra il Comune e i proprietari delle aree, dalle aspettative nascenti da giudicati di annullamento di dinieghi di permesso di costruire o di silenzio-rifiuto su una domanda di concessione;
c) modificazione in zona agricola della destinazione di un'area limitata, interclusa da fondi edificati in modo non abusivo).
In nessuna di siffatte situazioni si trova la ricorrente, la quale vanta una generica aspettativa alla conservazione della precedente previsione urbanistica, onde conseguire un utilizzo, nella sua prospettiva, più proficuo dell'area in questione (cfr. Cons. Stato, Ad. Plen. 22.12.1999 n. 24; Sez. IV, 25.07.2001 n. 4077; TAR Catania, sez. I, 13.02.2012 n. 386; TAR Salerno, 17.12.2002, n. 2358).
Né si può ritenere che l'obbligo di motivazione venga rafforzato, imposto o mutato in base alla sola presentazione delle osservazioni al piano da parte dei privati; queste, infatti, sono semplici apporti collaborativi offerti dai cittadini alla formazione dello strumento urbanistico ed il loro rigetto non richiede una specifica motivazione, essendo sufficiente che siano state esaminate e ritenute in contrasto con gli interessi e le considerazioni generali poste a base della formazione del piano (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 11.10.2007, n. 5357; id. 30.06.2004, n. 4804; TAR Campania Salerno, sez. I, 08.01.2010, n. 15).
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Quanto alla presunta necessità di ripubblicazione del piano, va ricordato che, nella interpretazione dell'art. 10 della legge n. 1150 del 1942 (nel testo modificato dall'art. 3 della legge n. 765 del 1967) e nello sforzo di delineare il "giusto procedimento" di perfezionamento di un piano urbanistico, la giurisprudenza è costante nel ritenere necessaria la ripubblicazione del piano allorché vi sia stata una rielaborazione complessivamente innovativa del piano stesso, e cioè un mutamento delle sue caratteristiche essenziali e dei criteri che alla sua impostazione rispettivamente hanno presieduto e presiedono (cfr., fra le tante: Consiglio Stato, sez. IV, 12.03.2009, n. 1477; Consiglio Stato, sez. IV, 25.11.2003, n. 7782).
Questo non è, tuttavia, il caso di specie, ove si tratta della modifica della destinazione impressa ad una singola area (P2), che non appare idonea ad alterare i criteri d’impostazione del Piano (cfr. TAR Lombardia, sez. II, sent. 197/2009, per cui: <<…La modifica apportata dal Comune, in ottemperanza a tale indicazione, non richiedeva una nuova pubblicazione della variante: è stata, difatti, dettata dalla necessità di assicurare il rispetto delle finalità di tutela paesaggistiche oggetto del piano territoriale di coordinamento provinciale>>).
L’art. 13, co. 9, della legge reg. 12/2005, d’altro canto, espressamente esclude l’assoggettamento a ripubblicazione della deliberazione comunale di recepimento delle prescrizioni provinciali o regionali, senza ulteriori specificazioni (cfr. Cons. Stato, IV, 09.03.2011 n. 1503; TAR Lombardia, Milano, II, n. 742/2006).
Anche laddove la modifica fosse da intendersi quale mera raccomandazione ed avesse, dunque, carattere facoltativo, non sussisterebbe, comunque, un obbligo di ripubblicazione del piano, in quanto l’ampliamento dell’ambito boschivo della rete ecologica in relazione all’area dell’esponente non comporta una rielaborazione complessiva del piano stesso o un mutamento delle sue caratteristiche essenziali, nei sensi poc’anzi precisati (cfr. Cons. Stato, IV, 15.07.2008, n. 3518; id. 05.03.2008 n. 925; id. 31.01.2005 n. 259)
(TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 25.05.2012 n. 1440 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

URBANISTICASussiste l’ampia discrezionalità assegnata alle Amministrazioni locali in sede di pianificazione territoriale: invero, la destinazione agricola di una determinata porzione di territorio ben può giustificarsi per necessità di salvaguardia ambientale, prescindendo dall’effettivo svolgimento dell’attività di impresa agricola.
L’esistenza di divieti di edificazione in zona agricola non si pone di per sé neppure in contrasto con le particolari previsioni della legge regionale 12/2005, articoli da 59 a 62, visto che la giurisprudenza di questo Tribunale ha più volte affermato che gli articoli richiamati non garantiscono sempre l’attività edificatoria e di conseguenza non impediscono ai Comune di porre i divieti di cui sopra.
Se il divieto di edificazione al di sopra del piano di campagna appare al Collegio rispettoso sia delle norme di legge sopra indicate sia dei canoni di logicità e ragionevolezza che devono presiedere all’esercizio dell’azione amministrativa, tale non appare invece la scelta comunale di vietare in ogni modo la realizzazione di vivai, in asserita applicazione dei citati articoli 148 e 156 del Piano delle Regole, che contengono in effetti una esplicita previsione in tal senso (<<non impiantare colture arboree o vivai>>).
L’impianto di un vivaio o di una coltura arborea non appare, infatti, di per sé lesivo dei valori paesaggistici ed ambientali tutelati dal PGT: occorre semmai fare riferimento alle concrete caratteristiche della piantagione, per accertare l’effettivo contrasto di quest’ultima con i suindicati valori.
Il divieto assoluto ed apodittico di realizzare un vivaio o altre colture finirebbe, infatti, per pregiudicare irrimediabilmente l’attività dell’impresa agricola, sostanzialmente paralizzando l’attività stessa, in violazione di un diritto di rilevanza costituzionale, quale quello di libertà di iniziativa economica privata (cfr. art. 41 della Costituzione).
Certamente quest’ultimo diritto deve trovare un giusto contemperamento con altri diritti posti a protezione di beni di rilevanza costituzionale (quale è ad esempio il paesaggio, ai sensi dell’art. 9 della Costituzione), tuttavia la preclusione all’esercizio di qualsivoglia attività d’impresa agricola (ai sensi dell’art. 2135 del codice civile), derivante dal divieto di realizzare in ogni caso vivai o altre colture, non appare rispettosa del principio di proporzionalità e ragionevolezza dell’azione amministrativa.
Lo stesso legislatore, del resto, ha in più occasioni introdotto una disciplina edilizia in qualche modo “di favore”, nei confronti dell’attività agricola, qualora la stessi si sostanzi non in una vera e propria attività edificatoria ma in una serie di opere di minore impatto, funzionali alla conduzione del fondo (cfr. art. 6, comma 1, lettera d e lettera e, del DPR 380/2001, sull’attività edilizia libera).
E anche questo Tribunale ha -in talune occasioni- censurato per illogicità previsioni urbanistiche comunali eccessivamente ed irrazionalmente penalizzati dell’impresa agricola.

... Non può che ricordarsi la consolidata giurisprudenza che richiama non solo l’ampia discrezionalità assegnata alle Amministrazioni locali in sede di pianificazione territoriale, ma che afferma altresì che la destinazione agricola di una determinata porzione di territorio ben può giustificarsi per necessità di salvaguardia ambientale, prescindendo dall’effettivo svolgimento dell’attività di impresa agricola (cfr. Consiglio di Stato, sez. V, 18.01.2011, n. 352; TRGA del Trentino Alto-Adige, Trento, 06.04.2011, n. 105 e TAR Campania, Napoli, sez. VIII, 17.09.2009, n. 4977).
L’esistenza di divieti di edificazione in zona agricola non si pone di per sé neppure in contrasto con le particolari previsioni della legge regionale 12/2005, articoli da 59 a 62, visto che la giurisprudenza di questo Tribunale ha più volte affermato che gli articoli richiamati non garantiscono sempre l’attività edificatoria e di conseguenza non impediscono ai Comune di porre i divieti di cui sopra (cfr. TAR Lombardia, Milano, sez. II, 08.06.2011, n. 1468 e sez. IV, 13.12.2010, n. 7519).
Se il divieto di edificazione al di sopra del piano di campagna appare al Collegio rispettoso sia delle norme di legge sopra indicate sia dei canoni di logicità e ragionevolezza che devono presiedere all’esercizio dell’azione amministrativa, tale non appare invece la scelta comunale, esplicitata nella motivazione del diniego di titolo edilizio, di vietare in ogni modo la realizzazione di vivai, in asserita applicazione dei citati articoli 148 e 156 del Piano delle Regole, che contengono in effetti una esplicita previsione in tal senso (<<non impiantare colture arboree o vivai>>, cfr. doc. 5 del resistente).
L’impianto di un vivaio o di una coltura arborea non appare, infatti, di per sé lesivo dei valori paesaggistici ed ambientali tutelati dal PGT: occorre semmai fare riferimento alle concrete caratteristiche della piantagione, per accertare l’effettivo contrasto di quest’ultima con i suindicati valori.
Il divieto assoluto ed apodittico di realizzare un vivaio o altre colture finirebbe, infatti, per pregiudicare irrimediabilmente l’attività dell’impresa agricola, sostanzialmente paralizzando l’attività stessa, in violazione di un diritto di rilevanza costituzionale, quale quello di libertà di iniziativa economica privata (cfr. art. 41 della Costituzione).
Certamente quest’ultimo diritto deve trovare un giusto contemperamento con altri diritti posti a protezione di beni di rilevanza costituzionale (quale è ad esempio il paesaggio, ai sensi dell’art. 9 della Costituzione), tuttavia la preclusione all’esercizio di qualsivoglia attività d’impresa agricola (ai sensi dell’art. 2135 del codice civile), derivante dal divieto di realizzare in ogni caso vivai o altre colture, non appare rispettosa del principio di proporzionalità e ragionevolezza dell’azione amministrativa.
Lo stesso legislatore, del resto, ha in più occasioni introdotto una disciplina edilizia in qualche modo “di favore”, nei confronti dell’attività agricola, qualora la stessi si sostanzi non in una vera e propria attività edificatoria ma in una serie di opere di minore impatto, funzionali alla conduzione del fondo (cfr. art. 6, comma 1, lettera d e lettera e, del DPR 380/2001, sull’attività edilizia libera).
E anche questo Tribunale ha -in talune occasioni- censurato per illogicità previsioni urbanistiche comunali eccessivamente ed irrazionalmente penalizzati dell’impresa agricola (cfr. TAR Lombardia, Milano, sez. II, 07.07.2011, n. 1843).
In conclusione, il presente ricorso merita parziale accoglimento, con annullamento del diniego di titolo edilizio del 07.07.2011, nella parte in cui vieta di realizzare vivai o colture arboree (cfr. doc. 1 dei ricorrenti, pag. 6/7, ultimo alinea) (TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 05.04.2012 n. 1020 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Zone agricole ed interventi realizzabili.
Tutte le attività e gli interventi che si ritengono realizzabili in zona agricola restano comunque funzionali ad un'attività tipicamente agricola o alle altre attività alla stessa intimamente connesse con esclusione, quindi, di tutto ciò che è riferibile ad altre zone individuate in sede di pianificazione del territorio comunale, con la conseguenza che una struttura eminentemente residenziale o turistico-alberghiera non potrebbe in ogni caso realizzarsi in Zona “E” (fattispecie relativa a «punti di ristoro» nella regione Sardegna) (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 09.03.2012 n. 9369 - tratto da www.lexambiente.it).

EDILIZIA PRIVATAE' illegittimo il permesso di costruire rilasciato in zona agricola per la costruzione di residenze dei figli dell'imprenditore agricolo.
Con il secondo motivo aggiunto, il WWF rileva che il permesso di costruire è stato rilasciato in assenza dei presupposti richiesti dall’art. 59 della L.R. n. 12/2005 per gli interventi in area agricola, che consente di costruire solo abitazioni da destinare alla residenza dell’imprenditore agricolo e dei dipendenti, mentre le tre abitazioni assentite sono destinate alla residenza dei tre figli, i quali non costituiscono la forza lavoro dell’azienda, ma partecipano solo saltuariamente all’attività agricola.
La doglianza risulta fondata.
La legislazione regionale lombarda in tema di governo del territorio (L.R. 11.3.2005 n. 12), agli artt. 59, 60, 61 e 62, disciplina le modalità di edificazione in ambito agricolo. Con tali norme, riprendendo sostanzialmente i contenuti dell’ antecedente L. R. 07.06.1980 n. 93, in materia di edificazione nelle zone agricole, si persegue lo scopo di valorizzare e recuperare il patrimonio agricolo, limitare l'utilizzazione edilizia dei territori agricoli, assicurando il soddisfacimento delle esigenze degli imprenditori e dei lavoratori agricoli.
La giurisprudenza formatasi sulla L.R. n. 93 del 1980 aveva rilevato che tale disciplina non autorizzava il rilascio di concessioni ad altri che all'imprenditore agricolo, previo accertamento di effettiva esistenza e funzionamento dell'azienda agricola (art. 3); il che significa che sono ammessi soltanto opere o interventi attinenti all'agricoltura, mentre restano interdette le trasformazioni del territorio che non siano funzionali all'attività agricola (cfr. TAR Milano, Sez. 2, 25.01.1995 n. 90, T.A.R. Brescia 04.10.1993 n. 798).
Ora l’art. 59 della L.R. 11.3.2005 n. 12, al c.1, dispone che in zona classificata agricola “sono ammesse esclusivamente le opere realizzate in funzione della conduzione del fondo e destinate alle residenze dell'imprenditore agricolo e dei dipendenti dell'azienda, nonché alle attrezzature e infrastrutture produttive necessarie per lo svolgimento delle attività di cui all'articolo 2135 del codice civile quali stalle, silos, serre, magazzini, locali per la lavorazione e la conservazione e vendita dei prodotti agricoli secondo i criteri e le modalità previsti dall'articolo 60”.
Il secondo comma soggiunge che “La costruzione di nuovi edifici residenziali di cui al comma 1 è ammessa qualora le esigenze abitative non possano essere soddisfatte attraverso interventi sul patrimonio edilizio esistente”.
Può dunque affermarsi che la disciplina legislativa consente l’edificazione in zona agricola solo al ricorrere dei restrittivi e tassativi (“esclusivamente”) requisiti indicati
(TAR Lombardia-Brescia, Sez. I, sentenza 27.02.2012 n. 274 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA... Né la qualificazione di un’area come “Zona agricola” ha natura residuale per cui consentirebbe comunque utilizzi non coincidenti con la coltivazione dei relativi fondi. Al contrario, in un territorio che, negli ultimi trent’anni, ha visto un’inarrestabile consumazione del suolo e la definitiva compromissione in moltissime regioni della campagna italiana, tale zonizzazione è specificamente diretta alla conservazione a verde e ad evitare ulteriori espansioni degli insediamenti.
Per tale ragione, sono sempre e comunque esclusi tutti gli interventi diversi da quelli strettamente funzionali all'attività agricola ed alla eventuale esigenza dell'imprenditore agricolo di risiedere sul fondo (se ed in quanto comunque non pregiudizievoli per l'assetto territoriale agricolo). Le restrizioni edificatorie nella suddetta zona hanno dunque lo scopo non solo di valorizzare l'attività agricola vera a propria, ma altresì quella di garantire ai cittadini l'equilibrio delle condizioni di vivibilità, nonché di assicurare loro quella quota di valori naturalistici necessaria a compensare gli effetti dell'espansione dell'aggregato urbano.

Né, contrariamente a quanto mostra di ritenere la ricorrente, la qualificazione di un’area come “Zona agricola” ha natura residuale per cui consentirebbe comunque utilizzi non coincidenti con la coltivazione dei relativi fondi. Al contrario, in un territorio che, negli ultimi trent’anni, ha visto un’inarrestabile consumazione del suolo e la definitiva compromissione in moltissime regioni della campagna italiana (così come era stata immortalata dai pittori paesaggistici per lo meno fino a dopo la metà dell’ottocento), tale zonizzazione è specificamente diretta alla conservazione a verde e ad evitare ulteriori espansioni degli insediamenti.
Per tale ragione, sono sempre e comunque esclusi tutti gli interventi diversi da quelli strettamente funzionali all'attività agricola ed alla eventuale esigenza dell'imprenditore agricolo di risiedere sul fondo (se ed in quanto comunque non pregiudizievoli per l'assetto territoriale agricolo). Le restrizioni edificatorie nella suddetta zona hanno dunque lo scopo non solo di valorizzare l'attività agricola vera a propria, ma altresì quella di garantire ai cittadini l'equilibrio delle condizioni di vivibilità, nonché di assicurare loro quella quota di valori naturalistici necessaria a compensare gli effetti dell'espansione dell'aggregato urbano (cfr. Consiglio Stato, sez. IV, 13.10.2010, n. 7478).
In tale prospettiva interpretativa va dunque inquadrato l’art. 32 delle Norme Tecniche di Attuazione del P.R.G. del Comune, che consente solo interventi a servizio dell’uso produttivo del suolo ed alle attività connesse; sicché del tutto priva di fondamento è l’asserita compatibilità di trasformazioni del suolo e di usi non funzionali all’agricoltura.
Tale disposizione del resto, si pone in coerenza con l’art. 44 della l. reg. Veneto n. 11/2004 (Norme per il governo del territorio), che in zona agricola consente esclusivamente interventi edilizi funzionali all’attività agricola, rimessi, sulla base di un piano aziendale, ai soli imprenditori agricoli titolari di azienda agricola (cfr. Consiglio Stato, sez. IV, 12.02.2010, n. 798).
Ne discende, come esattamente ricordato dal TAR, che va applicato l’art. 4, comma 3, della L.R. 05.11.2004 n. 21, secondo il quale l’oblazione per i “mutamenti di destinazione con opere” va corrisposta nella misura prevista dalla Tipologia 3 della Tabella C di cui sopra.
Deve quindi escludersi, in relazione alla precisa individuazione normativa della fattispecie, che, come pretende l’appellante, l’intervento potesse essere oggetto di oblazione in misura forfettaria quale “tipologia residuale” di cui al punto 6 della Tabella C allegata al D.L. n. 269/2003, il quale concerne le opere o le modalità di esecuzione non valutabili in termini di superficie o di volume.
Inoltre, a fronte del radicale mutamento della disciplina in ordine agli interventi qui esaminati, del tutto inconferente risulta il risalente precedente citato dall'appellante (Cons. Stato, sez. IV, 08/03/1983, n. 103) (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 23.02.2012 n. 976 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

URBANISTICALe scelte effettuate dall'Amministrazione nell'adozione degli strumenti urbanistici costituiscono apprezzamenti di merito, come tali sottratti al sindacato di legittimità, salvo che non siano inficiate da errori di fatto o da abnormi illogicità. Per tale via, anche la destinazione data alle singole aree non necessita di apposita motivazione, oltre quella che si può evincere dai criteri generali, di ordine tecnico discrezionale, seguiti nell'impostazione del piano stesso, salvo che particolari situazioni, nel caso di specie non allegate, non abbiano creato aspettative o affidamenti in favore di soggetti le cui posizioni appaiano meritevoli di specifiche considerazioni.
L''attribuzione di una destinazione agricola ad un determinato terreno è volta non tanto e non solo a garantire il suo effettivo utilizzo a scopi agricoli, quanto piuttosto a preservarne le caratteristiche attuali di zona di salvaguardia da ogni possibile nuova edificazione, anche in funzione conservativa di valori naturalistici, nonché a favorire il recupero di aree dismesse o congestionate.
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Il potere di pianificazione urbanistica riveste un carattere ampiamente discrezionale, e si concretizza in scelte che, nel merito, appaiono insindacabili e che sono per ciò stesso attaccabili solo per errori di fatto, per abnormità e irrazionalità.
In ragione di tale discrezionalità, l'Amministrazione non è tenuta a fornire apposita motivazione in ordine alle scelte operate nella predetta sede di pianificazione del territorio comunale, se non richiamando le ragioni di carattere generale che giustificano l'impostazione del piano.
Ne consegue che le scelte adottate per ciò che attiene la destinazione di singole aree non necessitano di una specifica motivazione, se non nel caso in cui esse vadano ad incidere negativamente su posizioni giuridicamente differenziate, rispetto alle quali il principio della tutela dell'affidamento impone che lo strumento urbanistico dia conto del modo in cui sia stata effettuata la ponderazione degli interessi pubblici e siano state operate le scelte di pianificazione, rendendole, così, sindacabili davanti al giudice amministrativo.
Ciò che si verifica solo nei casi in cui la nuova destinazione urbanistica innovi rispetto alla precedente, incidendo con ciò su singole posizioni, connotate da una fondata aspettativa alla conservazione della destinazione dell'area, che per questo si differenziano dalle posizioni degli altri soggetti interessati.
In tali evenienze, l'Amministrazione ha il dovere di valutare attentamente l'opportunità di una modifica della precedente destinazione urbanistica dell'area e, dove ritenga di doverla diversamente disciplinare, sacrificando gli interessi dei soggetti coinvolti, deve indicare le ragioni che l’hanno indotta a tale nuova scelta pianificatoria.
Le situazioni che, per costante giurisprudenza, vengono riconosciute meritevoli di questa particolare forma di tutela sono, infatti, solo quelle caratterizzate da un affidamento «qualificato», presente nei casi di:
   a) superamento degli standard minimi di cui al d.m. 02.04.1968 — con l'avvertenza che la motivazione ulteriore va riferita esclusivamente alle previsioni urbanistiche complessive di sovradimensionamento, indipendentemente dal riferimento alla destinazione di zona di determinate aree;
   b) lesione dell'affidamento qualificato del privato derivante da convenzioni di lottizzazione, accordi di diritto privato intercorsi tra il Comune e i proprietari delle aree, dalle aspettative nascenti da giudicati di annullamento di dinieghi di permesso di costruire o di silenzio-rifiuto su una domanda di concessione;
   c) modificazione in zona agricola della destinazione di un'area limitata, interclusa da fondi edificati in modo non abusivo.

Come ripetutamente affermato in giurisprudenza (da ultimo anche con la più volte citata sentenza n. 133/2011), le scelte effettuate dall'Amministrazione nell'adozione degli strumenti urbanistici costituiscono apprezzamenti di merito, come tali sottratti al sindacato di legittimità, salvo che non siano inficiate da errori di fatto o da abnormi illogicità. Per tale via, anche la destinazione data alle singole aree non necessita di apposita motivazione, oltre quella che si può evincere dai criteri generali, di ordine tecnico discrezionale, seguiti nell'impostazione del piano stesso, salvo che particolari situazioni, nel caso di specie non allegate, non abbiano creato aspettative o affidamenti in favore di soggetti le cui posizioni appaiano meritevoli di specifiche considerazioni.
Con precipuo riguardo alla fattispecie in esame, giova anche osservare che, sempre secondo la prevalente giurisprudenza (cfr. fra le tante, Consiglio di Stato, sez. IV, 15.09.2010, n. 6874; id. 30.12.2008, n. 6600; id n. 3559/2004; id. n. 4466/2004; id. n. 1181/2003, id. n. 8146/2003; id. n. 3817/2002 e n. 6177/2000), l'attribuzione di una destinazione agricola ad un determinato terreno è volta non tanto e non solo a garantire il suo effettivo utilizzo a scopi agricoli, quanto piuttosto a preservarne le caratteristiche attuali di zona di salvaguardia da ogni possibile nuova edificazione, anche in funzione conservativa di valori naturalistici, nonché a favorire il recupero di aree dismesse o congestionate (cfr. di recente, in termini, anche TAR Campania Salerno, sez. II, 17.02.2011, n. 255).
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Giova rammentare come, per consolidata opinione dottrinale e giurisprudenziale, il potere di pianificazione urbanistica rivesta un carattere ampiamente discrezionale, e si concretizzi in scelte che, nel merito, appaiono insindacabili e che sono per ciò stesso attaccabili solo per errori di fatto, per abnormità e irrazionalità (cfr., ex multis, Consiglio di Stato, Sez. IV, 16.02.2011, n. 1015, ove si ribadisce come dette scelte urbanistiche per la disciplina del territorio possano formare oggetto di sindacato giurisdizionale nei soli casi di arbitrarietà, irrazionalità o irragionevolezza ovvero di palese travisamento dei fatti, che costituiscono i limiti della discrezionalità amministrativa; analogamente, Consiglio di Stato, Sez. III, 17.09.2010, n. 2536; id. Sez. IV, 27.07.2010 n. 4920; id., 21.04.2010, n. 2264; id., 18.06.2009, n. 4024; id., 06.02.2002 n. 664).
In ragione di tale discrezionalità, l'Amministrazione non è tenuta a fornire apposita motivazione in ordine alle scelte operate nella predetta sede di pianificazione del territorio comunale, se non richiamando le ragioni di carattere generale che giustificano l'impostazione del piano (cfr. ancora Consiglio di Stato, Sez. IV, 16.02.2011, n. 1015; id. 10.08.2004 n. 4550).
Ne consegue, come già accennato, che le scelte adottate per ciò che attiene la destinazione di singole aree non necessitano di una specifica motivazione, se non nel caso in cui esse vadano ad incidere negativamente su posizioni giuridicamente differenziate, rispetto alle quali il principio della tutela dell'affidamento impone che lo strumento urbanistico dia conto del modo in cui sia stata effettuata la ponderazione degli interessi pubblici e siano state operate le scelte di pianificazione, rendendole, così, sindacabili davanti al giudice amministrativo.
Ciò che si verifica solo nei casi in cui la nuova destinazione urbanistica innovi rispetto alla precedente, incidendo con ciò su singole posizioni, connotate da una fondata aspettativa alla conservazione della destinazione dell'area, che per questo si differenziano dalle posizioni degli altri soggetti interessati.
In tali evenienze, l'Amministrazione ha il dovere di valutare attentamente l'opportunità di una modifica della precedente destinazione urbanistica dell'area e, dove ritenga di doverla diversamente disciplinare, sacrificando gli interessi dei soggetti coinvolti, deve indicare le ragioni che l’hanno indotta a tale nuova scelta pianificatoria.
Le situazioni che, per costante giurisprudenza, vengono riconosciute meritevoli di questa particolare forma di tutela sono, infatti, solo quelle caratterizzate da un affidamento «qualificato», presente nei casi di:
a) superamento degli standard minimi di cui al d.m. 02.04.1968 — con l'avvertenza che la motivazione ulteriore va riferita esclusivamente alle previsioni urbanistiche complessive di sovradimensionamento, indipendentemente dal riferimento alla destinazione di zona di determinate aree;
b) lesione dell'affidamento qualificato del privato derivante da convenzioni di lottizzazione, accordi di diritto privato intercorsi tra il Comune e i proprietari delle aree, dalle aspettative nascenti da giudicati di annullamento di dinieghi di permesso di costruire o di silenzio-rifiuto su una domanda di concessione;
c) modificazione in zona agricola della destinazione di un'area limitata, interclusa da fondi edificati in modo non abusivo (cfr. in tal senso, ex plurimis, Consiglio di Stato, Sez. IV, 10.02.2009 n. 2418; TAR Lombardia, Milano, Sez. II, 06.10.2011 n. 2379; TAR Lazio, Roma, Sez. II, 02.03.2011, n. 1950)
(TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 27.01.2012 n. 297 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: La costruzione ex novo di un capannone prefabbricato in cemento armato in zona agricola necessita del preventivo permesso di costruire e non della DIA giacché l’art. 60 della L.R. n. 12/2005 dispone espressamente -al primo comma– che “Nelle aree destinate all'agricoltura, gli interventi edificatori relativi alla realizzazione di nuovi fabbricati sono assentiti unicamente mediante permesso di costruire”.
Conseguentemente, per la richiesta di sanatoria di un abuso edilizio di che trattasi va applicato l’art. 36 e non l’art. 37 del DPR n. 380/2001.

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L’art. 36 del DPR 06.06.2001 n. 380 -al secondo comma– dispone che “Il rilascio del permesso in sanatoria è subordinato al pagamento, a titolo di oblazione, del contributo di costruzione in misura doppia, ovvero, in caso di gratuità a norma di legge, in misura pari a quella prevista dall'articolo 16.”.
E’ quindi evidente che la norma prevede che il rilascio del permesso di costruire in sanatoria sia subordinato al pagamento di una somma di danaro anche per le ipotesi in cui il permesso originariamente non richiesto sia a titolo gratuito.
In altri termini, nel caso di permesso oneroso il pagamento dell’oblazione ha duplice funzione: a) di partecipazione agli oneri urbanistici; b) di riparazione pecuniaria del pregiudizio arrecato all’ordinamento giuridico; mentre nel caso di permesso gratuito svolge esclusivamente la funzione di cui sub b).

Con il ricorso all’esame, l’Azienda agricola ... chiede l’annullamento degli atti con cui il Comune di Suisio -nel rilasciare il richiesto permesso di costruire in sanatoria per la realizzazione sine titulo, in zona agricola, di un capannone prefabbricato ad uso deposito attrezzi e derrate agricole- ha richiesto il pagamento dell’oblazione, determinata in complessivi € 61.923,10.
...
Con il primo motivo la ricorrente Azienda agricola ... afferma che erroneamente il Comune ha qualificato l’intervento in questione come assentibile solo mediante permesso di costruire, mentre esso rientrerebbe nel novero di quelli consentiti dall’art. 62 LR 12/2005 (ampliamento dell’attività agricola) per i quali può essere presentata DIA, sicché non andava applicato l’art. 36, ma l’art. 37 del DPR n. 380/2001 il quale non prevede l’oblazione.
Con il secondo motivo, afferma che -quand’anche fosse applicabile l’art. 36 del DPR n. 380/2001-non sarebbe comunque dovuto il pagamento dell’oblazione, in quanto proprio l’art. 36 rimanda all’art. 16 del T.U. edil. che, al c. 1, fa salvo quanto disposto dall’art. 17, c. 3, vale a dire i casi in cui non è dovuto il contributo di costruzione sicché opererebbe la gratuità spettante agli imprenditori agricoli in forza dell’art. 62 della L.R. n. 12/2005.
I due motivi debbono essere disaminati congiuntamente.
Occorre muovere dalla disciplina regionale in tema di attività edificatoria.
L’art. 60 della L.R. n. 12/2005 dispone espressamente -al primo comma– che “Nelle aree destinate all'agricoltura, gli interventi edificatori relativi alla realizzazione di nuovi fabbricati sono assentiti unicamente mediante permesso di costruire;”.
L’intervento in questione è costituito dalla costruzione ex novo di un capannone prefabbricato in cemento armato, sicché risulta un fuor d’opera il richiamo alla disciplina di cui all’art. 62 della L.R. n. 12/2005 che attiene a interventi sull’esistente e di piccole dimensioni.
Una volta chiarito che l’intervento edilizio in questione non era assentibile a mezzo dichiarazione d’inizio d’attività, va rilevata la necessaria applicabilità alla fattispecie della disposizione in tema di rilascio di permesso in sanatoria dettata dall’art. 36 del T.U. edil.
L’art. 36 del DPR 06.06.2001 n. 380 -al secondo comma– dispone che “Il rilascio del permesso in sanatoria è subordinato al pagamento, a titolo di oblazione, del contributo di costruzione in misura doppia, ovvero, in caso di gratuità a norma di legge, in misura pari a quella prevista dall'articolo 16.”.
E’ quindi evidente che la norma prevede che il rilascio del permesso di costruire in sanatoria sia subordinato al pagamento di una somma di danaro anche per le ipotesi in cui il permesso originariamente non richiesto sia a titolo gratuito.
In altri termini, nel caso di permesso oneroso il pagamento dell’oblazione ha duplice funzione: a) di partecipazione agli oneri urbanistici; b) di riparazione pecuniaria del pregiudizio arrecato all’ordinamento giuridico; mentre nel caso di permesso gratuito svolge esclusivamente la funzione di cui sub b) (TAR Lombardia-Brescia, Sez. I, sentenza 11.01.2012 n. 11 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

anno 2011

EDILIZIA PRIVATAGli allevamenti equini possono stare vicino alle case.
Un allevamento equino può insediarsi, in zona agricola, vicino alle abitazioni, non essendovi obblighi legali di distanza (e fatta salva la tutela civilistica in caso di immissioni moleste). Di interesse le considerazioni sulla disciplina regionale lombarda in materia di infrastrutture agricole che, essendo contenuta in mera deliberazione della Giunta Regionale, non ha carattere normativo.

... per l'annullamento del permesso di costruire n. 7/2010 del 25.05.2010 rilasciato dal Comune di Sesto Calende alle Aziende Agricole ... e ... per la realizzazione in Via Legnate, di una nuova stalla per l'allevamento dei cavalli e di ogni altro atto comunque preordinato, connesso e/o dipendente, ivi compresi, per quanto occorra, il Regolamento Comunale di Igiene, qualora lo stesso sia da interpretare come non dispositivo di una distanza minima tra allevamenti di equini e bovini e abitazioni e l'art. 70 del Piano delle Regole del P.G.T. adottato, nonché dell'Autorizzazione Paesaggistica prot. n. 115/2501/08 del 31.03.2008 rilasciata dal Consorzio Parco Lombardo della Valle del Ticino per la "realizzazione di allevamento per cavalli" nonostante una pregressa contestazione non sanata di opere non autorizzate di movimento terra e con l'estensione dell'impugnativa alla nota comunale 02.09.2010 e relativi allegati con la quale è stata comunicata la revoca della sospensione temporanea dell'efficacia del permesso di costruire n. 7/2010.
...
Con il primo mezzo di censura i ricorrenti assumono, indicando tra le norme violate l’art. 216 del T.U.L.P.S., che l’opera illegittimamente assentita non rispetta le distanze minime imposte tra gli allevamenti di animali e le abitazioni.
Le norme violate prescrivono, infatti, che “dette attività (insalubri) debbono essere isolate nelle campagne e tenute lontane dalle abitazioni”.
In realtà, è ben vero che le norme invocate esprimono il principio di cautela sopraenunciato, ma è altrettanto vero che l’art. 216, comma 5, del TULP, non prescrive alcuna distanza minima, ponendo, come spiegato, una regola di carattere generale in base alla quale gli opifici classificati come industrie insalubri devono essere tenuti ad una distanza adeguata dalle abitazioni, in funzione dei rischi concreti che rappresentano e tenuto conto delle possibili opere di mitigazione degli stessi.
Non sussiste quindi, quantomeno nel T.U.L.P.S. alcuna norma che prescriva per gli allevamenti equini la distanza dalle abitazioni preesistenti nella misura prudenzialmente ritenuta applicabile dai ricorrenti (100 metri lineari).
Né risultano prescrittive di distanze minime le linee guida regionali adottate con DDG n. 20109 del 29.12.2005 e richiamate dall’art. 33, punto 8, del PGT, di cui i ricorrenti invocano l’applicazione, trascurando che le distanze minime ivi suggerite sono espressamente riferite al settore bovino e suino con esclusione, quantomeno implicita, di quello equino.
Il decreto dirigenziale che approva le Linee Guida Regionali: criteri igienici e di sicurezza in edilizia rurale è, d’altronde, assolutamente chiaro sul punto specifico, e non può essere oggetto di interpretazione estensiva, come pretendono i ricorrenti, non solo perché le linee guida si sostanziano nella formulazione di “criteri di valutazione e parametri di riferimento in materia di igiene e sicurezza nonché di indicazioni tecniche allineate allo stato dell’arte”, che in quanto tali non possono che inerire a ciò che da esse è espressamente previsto e richiamato, ma anche perché, non essendo ascrivibili ad una fonte normativa tipica (né essendo chiaro, oltretutto, da quale fonte normativa traggano la loro efficacia) non è possibile applicare alle stesse un criterio di interpretazione che è esclusivamente riferibile alle fonti normative.
E non solo: posto, infatti, che le linee guida in questione ineriscono al rapporto tra l’amministrazione regionale, che dispone del potere normativo su un determinato ambito di attività (nella specie quella relativa all’igiene e alla sicurezza in materia di edilizia rurale) e le amministrazioni destinatarie (nella specie i comuni) che dispongono dei poteri regolamentari o di gestione nella stessa materia, è escluso che l’inosservanza delle linee guida (che consistono, come già chiarito in una serie di parametri di riferimento generali, indicativi e orientativi, che non hanno, in quanto tali, un valore cogente o prescrittivo né normativo per i terzi) possa integrare il dedotto vizio di violazione di legge se la prescrizione o l’indirizzo non sia stato recepito in una norma interna dell’amministrazione stessa, e da quest’ultima, successivamente al recepimento, violata.
E comunque, non trattandosi, come è pacifico, di atto a contenuto normativo, le linee guida non possono mai prevalere sulle norme regolamentari e, a fortiori, primarie che eventualmente disciplinino specificamente la materia e quindi fissino, per stare all’oggetto della controversia, distanze diverse da quelle in esse contenute.
Ciò premesso, e chiarito che la censura dedotta dai ricorrenti in merito all’opportunità che le linee guida sulle distanze (degli allevamenti suini e bovini) vengano estese in via interpretativa anche agli allevamenti equini è inconferente e infondata , per quanto già ampiamente rilevato sul contenuto e sulla natura della fonte, non è tuttavia superfluo sottolineare la genericità della stessa censura che si incentra su una serie di considerazioni di cd. "opportunità" che trascurano come il legislatore (termine comprensivo anche della regolamentazione locale) abbia già effettuato una scelta discriminante tra i diversi tipi di allevamento, tenendo conto verosimilmente anche della natura e della vocazione delle diverse zone del proprio territorio comunale (nel senso che in zona agricola, e soprattutto in zone storicamente già destinate a talune tipologie di allevamento le distanze dalle abitazioni sono state ritenute, all’evidenza, compatibili con le preesistenze assai più di quanto non lo siano state attività diverse da quelle ovvero collocate nelle zone contigue alle aree residenziali o caratterizzate da maggiore consistenza insediativa.
Invero i ricorrenti trascurano, per quanto attiene al luogo di ubicazione delle opere contestate, che l’area di localizzazione dell’allevamento dei resistenti è classificata agricola; che la stessa si trova in una zona di campagna dove preesistono altri impianti di allevamento equino (scuderie e stalle); e, da ultimo, ma unicamente per sottolineare la vocazione della zona, che gli stessi ricorrenti sono titolari di un allevamento agricolo.
Va soggiunto, inoltre, che la censura mossa in ordine all’opportunità di mantenere l'edificio più vicino ad una distanza di 100 mt. dall’abitazione dei ricorrenti, non attiene, come correttamente opposto dai resistenti, a profili di legittimità edilizi e/o urbanistici, bensì ai diversi interessi di matrice civilistica rappresentati, nella specie, dalle molestie derivanti dal nuovo (e più consistente) allevamento realizzato a ridosso delle abitazioni, ma piuttosto, come si avrà modo di chiarire in prosieguo e soprattutto in sede di disamina del ricorso per motivi aggiunti, a profili che non ineriscono al legittimo rilascio del titolo edilizio, in quanto tale, ma al supposto invasivo esercizio dell’attività sottostante.
Ne consegue che è questa concreta attività, e non il rilascio del permesso di costruire impugnato,che può eventualmente giustificare (non questo ma) altri tipi di azione a salvaguardia della salute con specifico riferimento alle temute immissioni nocive o pericolose.
E’ infatti evidente che chi colloca la propria attività potenzialmente insalubre in prossimità di abitazioni di terzi, anche quando le norme non fissino distanze minime, non può sottrarsi all’obbligo di esercitare tali attività in maniera compatibile con i limiti e con i diritti dei terzi, sia che discendono dalle norme del codice civile che dalle disposizioni speciali riferite alla natura delle suddette attività,.
Ne consegue che la violazione di tali norme può, in astratto, comportare l’applicazione delle sanzioni previste dalla legge (tra cui l’inibizione dell’attività ovvero l’imposizione di prescrizioni per la riduzione degli effetti nei limiti di legge); il che è quanto avverrebbe se l’allevamento equino dell’Azienda Agricola “La Corte” e dell’Azienda Agricola “I Mulini” dovesse generare emissioni dannose o pericolose, della cui tollerabilità i titolari dell’azienda sono tenuti a rispondere in funzione della localizzazione aziendale prescelta e attuata (e quindi in funzione della maggiore o minore distanza delle strutture aziendali dalla proprietà di terzi).
I controinteressati, d’altra parte, proprio per contrastare tale profilo, evidenziano che l’impianto di maggiore impatto (la vasca di raccolta del letame) è stata collocata a ben maggior distanza (circa 200 metri ) rispetto ai 10 metri dei box e che l’allevamento (complessivamente di 42 cavalli, di cui 14 al pascolo per tutto l’anno e 21 capi adulti allevati nei 21 box di progetto oltre ai 7 collocati nella struttura preesistente) è di dimensioni tali da essere compatibile, quanto ad allocazione, con la zona di insediamento, e, quanto a dislocazione delle strutture fisse, con le abitazioni esistenti in prossimità.
Per tali condivise ragioni il primo motivo di ricorso va quindi respinto.
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Per considerazioni parzialmente analoghe merita di essere respinto anche il secondo motivo, con cui i ricorrenti si dolgono del fatto che mentre le norme esistenti prevedono distanze minime di mt. 10 per porcilaie pollai e conigliaie a carattere familiare, nulla di specifico viene previsto per le stalle e gli allevamenti di cavalli, ritenendo, pertanto, il regolamento comunale illegittimo nella parte in cui omette di disciplinare la materia, trascurando i gravi problemi igienici che possono derivare dalla contiguità tra animali di grossa taglia e abitazioni limitrofe.
In realtà come già sopra evidenziato dal Collegio, nella specie non si pone un problema di vuoto normativo da colmare con la creazione di una regola ad hoc; la norma regolamentare comunale sulle distanze, infatti, sussiste, ma non ritiene di prescrivere una distanza maggiore di 10 metri per gli allevamenti equini, che evidentemente non sono ritenuti (si può supporre in funzione della natura e della vocazione delle zone agricole) impattanti quanto e più di altri tipi di allevamento.
E tutto ciò appare legittimo, quantomeno in sede di rilascio dei permessi di costruire per la realizzazione delle strutture aziendali: l’eventuale profilo igienico sanitario resta infatti affidato, anche qui come già in precedenza evidenziato, ad altre e diverse norme che non rilevano sulla legittimità dei permessi assentiti.
Per analoghe ragioni è infondato e va respinto anche il terzo motivo con cui si ripropone, sotto altro profilo, la dedotta illegittimità del permesso di costruire per la mancata applicazione delle linee guida regionali e per violazione dell’art. 70 (in materia di disposizioni transitorie) del PGT adottato, in quanto si assume che la pratica , alla data del 28.02.2009 non sarebbe stata “completa ai fini istruttori”, difettando ogni riferimento, in essa, alle distanze dai confini e l’indicazione degli edifici confinanti, oltre che per una falsa rappresentazione dei livelli altimetrici.
In realtà, a parte il rilievo assorbente, relativo all’inconferenza delle più volte menzionate linee guida regionali, il Collegio osserva che quand’anche la pratica edilizia non avesse contenuto adeguati riferimenti alle distanze dai confini e dagli edifici confinanti, ciò che la documentazione in atti peraltro smentisce, la stessa pratica sarebbe rientrata comunque nella previsione dell’art. 70 (id est di pratica in corso di istruzione) e quindi sarebbe stata comunque esclusa dall’applicazione delle norme a regime (TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 14.12.2011 n. 3167 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA - URBANISTICALa finalità perseguita dal legislatore lombardo con la l.r. 93/1980 –confermata negli articoli da 59 a 62 della vigente legge regionale 12/2005– è quella di mantenere e conservare le zone agricole o a destinazione agricola della Regione, attraverso la limitazione degli usi residenziali, ammessi soltanto se a servizio dell’impresa agricola, per impedire la definitiva ed irrimediabile perdita delle porzioni territoriali a vocazione rurale.
Tale scopo è reso evidente dal particolare procedimento previsto per gli interventi edificatori in zona agricola (ora disciplinato dall’art. 60 della LR 12/2005), caratterizzato dalla presentazione al Comune di un impegno al mantenimento della destinazione, da trascriversi nei pubblici registri e costituente un vero e proprio vincolo sull’immobile.
Tale vincolo non può venire meno se non in caso di variazione urbanistica dell’area interessata (così l’art. 60 della LR 12/2005 ma anche la pregressa LR 93/1980), essendo pertanto indifferenti, sul regime del vincolo, le eventuali vicende personali dell’imprenditore agricolo o dei suoi aventi causa.
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Il vincolo di asservimento della residenza a servizio dell’impresa agricola non è nella disponibilità di chi pone in essere l’atto di impegno, né sussiste decadenza del vincolo per cessazione dell’attività agricola o vendita dell’immobile; il vincolo appare necessario per la piena salvaguardia del patrimonio agricolo della Regione; gli strumenti urbanistici possono ovviamente disporre un motivato cambio d’uso ma la signora ..., che ha realizzato di fatto tale mutamento in violazione dello strumento urbanistico, non ha alcuna pretesa tutelata a che il Comune, attraverso il PGT, adegui la situazione di diritto a quella di fatto illecitamente realizzata.
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Non appare né illogico né arbitrario che l’Amministrazione, nel confermare la vocazione agricola dell’area dell’esponente, abbia escluso di utilizzare lo strumento urbanistico quale improprio mezzo per realizzare una sorta di surrettizia sanatoria, che avrebbe finito così di fatto per eliminare l’abuso posto in essere dall’esponente.
E’ del resto escluso dallo stesso art. 36, citato dalla ricorrente, che la sola conformità dell’opera abusiva allo strumento urbanistico sopravvenuto consenta la sanatoria dell’abuso, essendo invece necessaria anche la conformità allo strumento vigente al momento di esecuzione dell’opera (c.d. doppia conformità).

La finalità perseguita dal legislatore lombardo con la l.r. 93/1980 –confermata negli articoli da 59 a 62 della vigente legge regionale 12/2005– è quella di mantenere e conservare le zone agricole o a destinazione agricola della Regione, attraverso la limitazione degli usi residenziali, ammessi soltanto se a servizio dell’impresa agricola, per impedire la definitiva ed irrimediabile perdita delle porzioni territoriali a vocazione rurale (su tale finalità, si veda TAR Lombardia, Milano, sez. II, 07.07.2011, n. 1843, oltre all’importante ordinanza della Corte Costituzionale n. 167/1995, di declaratoria della manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale degli articoli 2 e 3 della legge regionale 93/1980).
Tale scopo è reso evidente dal particolare procedimento previsto per gli interventi edificatori in zona agricola (ora disciplinato dall’art. 60 della LR 12/2005), caratterizzato dalla presentazione al Comune di un impegno al mantenimento della destinazione, da trascriversi nei pubblici registri e costituente un vero e proprio vincolo sull’immobile.
Tale vincolo non può venire meno se non in caso di variazione urbanistica dell’area interessata (così l’art. 60 della LR 12/2005 ma anche la pregressa LR 93/1980), essendo pertanto indifferenti, sul regime del vincolo, le eventuali vicende personali dell’imprenditore agricolo o dei suoi aventi causa.
D’altronde, se così non fosse, la disciplina regionale sulla conservazione e sul mantenimento delle aree agricole sarebbe facilmente elusa, ad esempio attraverso la cessione dell’immobile dall’imprenditore agricolo ad un soggetto privo di tale qualità, oppure mediante la cessazione dell’attività di impresa agricola.
Non può pertanto configurarsi, contrariamente a quanto sostenuto dall’esponente, una sostanziale assimilazione fra la ordinaria destinazione abitativa e la residenza a servizio dell’impresa agricola.
Sul punto preme ancora ribadire –e si perdoni l’ovvietà– che non è certamente vietata in senso assoluto la trasformazione di una zona da agricola a residenziale; nel caso di specie tuttavia, l’esponente giustifica la propria pretesa all’accoglimento della sua osservazione al PGT, sulla base dell’intervenuto mutamento di destinazione realizzato in via di fatto, dopo l’acquisto dell’immobile.
Non pare certo al Collegio che la signora ... possa reputarsi titolata ad esigere un simile cambio d’uso, visto anche l’orientamento della giurisprudenza amministrativa, che riconosce ai Comuni ampia discrezionalità nelle scelte urbanistiche –nel caso di specie si è trattato di confermare la destinazione agricola già esistente– scelte che richiedono una specifica motivazione solo in caso di affidamento qualificato del privato, rientrando in tale ultima ipotesi le situazioni di chi ha ottenuto un giudicato di annullamento di una precedente destinazione di zona ovvero di un diniego di titolo edilizio oppure ancora del silenzio-rifiuto formatosi su una domanda edilizia (si veda, sul punto, la ancora fondamentale decisione del Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria, 08.01.1986, n. 1).
Alle situazioni sopra indicate, viene inoltre equiparata la condizione del privato che ha stipulato accordi vincolanti con la Pubblica Amministrazione, quale ad esempio una convenzione di lottizzazione (cfr. sul punto, fra le tante, TAR Lombardia, Milano, sez. II, 24.02.2010, n. 452).
La posizione dell’esponente non rientra in nessuna di quelle sopra indicate, sicché la stessa non appare titolare di una particolare o qualificata posizione di affidamento nei confronti del Comune.
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Il vincolo di asservimento della residenza a servizio dell’impresa agricola non è nella disponibilità di chi pone in essere l’atto di impegno, né sussiste decadenza del vincolo per cessazione dell’attività agricola o vendita dell’immobile; il vincolo appare necessario per la piena salvaguardia del patrimonio agricolo della Regione; gli strumenti urbanistici possono ovviamente disporre un motivato cambio d’uso ma la signora ..., che ha realizzato di fatto tale mutamento in violazione dello strumento urbanistico, non ha alcuna pretesa tutelata a che il Comune, attraverso il PGT, adegui la situazione di diritto a quella di fatto illecitamente realizzata.
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Nel sesto ed ultimo motivo del gravame principale, viene denunciata la presunta violazione da parte del Comune dell’art. 36 del DPR 380/2001, in quanto, a detta dell’esponente, lo strumento urbanistico comunale potrebbe anche sanare un abuso edilizio.
Il mezzo non può però trovare accoglimento, in quanto –con specifico riferimento alla presente fattispecie– non appare né illogico né arbitrario che l’Amministrazione, nel confermare la vocazione agricola dell’area dell’esponente, abbia escluso di utilizzare lo strumento urbanistico quale improprio mezzo per realizzare una sorta di surrettizia sanatoria, che avrebbe finito così di fatto per eliminare l’abuso posto in essere dall’esponente.
E’ del resto escluso dallo stesso art. 36, citato dalla ricorrente, che la sola conformità dell’opera abusiva allo strumento urbanistico sopravvenuto consenta la sanatoria dell’abuso, essendo invece necessaria anche la conformità allo strumento vigente al momento di esecuzione dell’opera (c.d. doppia conformità).
Infine, in merito alla nota del legale del Comune dell’08.08.2001 (doc. 1 della ricorrente in data 01.09.2011), la stessa non avalla in alcun modo il comportamento dell’esponente, visto che il difensore dell’Amministrazione indica chiaramente a quest’ultima come appaia insuperabile il vincolo pattizio gravante sulla costruzione della ricorrente
(TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 22.11.2011 n. 2823 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

URBANISTICALe osservazioni dei privati ai progetti di strumenti urbanistici sono un mero apporto collaborativo alla formazione di detti strumenti e non danno luogo a peculiari aspettative, con la conseguenza che il loro rigetto non richiede una specifica motivazione, essendo sufficiente che esse siano state esaminate e ritenute in contrasto con gli interessi e le considerazioni generali poste a base della formazione del piano.
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Le scelte effettuate dall’Amministrazione nell’adozione degli strumenti urbanistici costituiscono apprezzamento di merito sottratto al sindacato di legittimità, salvo che non siano inficiate da errori di fatto o da abnormi illogicità, sicché anche la destinazione data alle singole aree non necessita di apposita motivazione, oltre quella che si può evincere dai criteri generali, di ordine tecnico-discrezionale, seguiti nell’impostazione del piano stesso, essendo sufficiente l’espresso riferimento alla relazione di accompagnamento al progetto di modificazione al piano regolatore generale, salvo che particolari situazioni non abbiano creato aspettative o affidamenti in favore di soggetti le cui posizioni appaiano meritevoli di specifiche considerazioni; in sostanza le uniche evenienze, che richiedono una più incisiva e singolare motivazione degli strumenti urbanistici generali, sono date dal superamento degli standards minimi di cui al d.m. 02.04.1968, con riferimento alle previsioni urbanistiche complessive di sovradimensionamento, indipendentemente dal riferimento alla destinazione di zona di determinate aree; dalla lesione dell’affidamento qualificato del privato, derivante da convenzioni di lottizzazione, accordi di diritto privato intercorsi fra il Comune e i proprietari delle aree, aspettative nascenti da giudicati di annullamento di concessioni edilizie o di silenzio rifiuto su una domanda di concessione e, infine, dalla modificazione in zona agricola della destinazione di un’area limitata, interclusa da fondi edificati in modo non abusivo.
Nessuna aspettativa, invece, deriva dalla diversa destinazione urbanistica pregressa della medesima area, rispetto alla quale l’Amministrazione conserva ampia discrezionalità, potendo modificare in peius rispetto agli interessi del proprietario la destinazione urbanistica.
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La destinazione agricola di un suolo non deve rispondere necessariamente all’esigenza di promuovere specifiche attività di coltivazione, e quindi essere funzionale ad un uso strettamente agricolo del terreno, potendo essere concretamente volta a sottrarre parti del territorio comunale a nuove edificazioni, ovvero a garantire ai cittadini l’equilibrio delle condizioni di vivibilità, assicurando loro quella quota di valori naturalistici e ambientali necessaria a compensare gli effetti dell’espansione dell’aggregato urbano.

Con un primo motivo di impugnazione, si reitera la doglianza di mancato esame da parte del Comune delle osservazioni proposte dall’originario ricorrente nella fase di approvazione della c.d. “variante di salvaguardia”: censura respinta dal TAR sul rilievo che in ricorso non erano stati neanche richiamati i contenuti delle osservazioni medesime, di modo che non era dato comprendere se e come il divisato vizio procedimentale avesse pregiudicato le ragioni dell’istante.
Il motivo è infondato, dovendo richiamarsi il pacifico indirizzo giurisprudenziale secondo cui le osservazioni dei privati ai progetti di strumenti urbanistici sono un mero apporto collaborativo alla formazione di detti strumenti e non danno luogo a peculiari aspettative, con la conseguenza che il loro rigetto non richiede una specifica motivazione, essendo sufficiente che esse siano state esaminate e ritenute in contrasto con gli interessi e le considerazioni generali poste a base della formazione del piano (cfr. ex plurimis Cons. Stato, sez. IV, 12.01.2011, nr. 133; id., 15.09.2010, nr. 6911; Cons. Stato, sez. III, 26.08.2010, parere nr. 3146; Cons. Stato, sez. IV, 11.10.2007, nr. 5357).
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Privi di pregio sono anche i motivi con i quali vengono reiterate le censure dirette avverso la motivazione addotta dal Comune a sostegno della contestata destinazione agricola del suolo.
Al riguardo, va richiamata la consolidata giurisprudenza secondo cui le scelte effettuate dall’Amministrazione nell’adozione degli strumenti urbanistici costituiscono apprezzamento di merito sottratto al sindacato di legittimità, salvo che non siano inficiate da errori di fatto o da abnormi illogicità, sicché anche la destinazione data alle singole aree non necessita di apposita motivazione, oltre quella che si può evincere dai criteri generali, di ordine tecnico-discrezionale, seguiti nell’impostazione del piano stesso, essendo sufficiente l’espresso riferimento alla relazione di accompagnamento al progetto di modificazione al piano regolatore generale, salvo che particolari situazioni non abbiano creato aspettative o affidamenti in favore di soggetti le cui posizioni appaiano meritevoli di specifiche considerazioni; in sostanza le uniche evenienze, che richiedono una più incisiva e singolare motivazione degli strumenti urbanistici generali, sono date dal superamento degli standards minimi di cui al d.m. 02.04.1968, con riferimento alle previsioni urbanistiche complessive di sovradimensionamento, indipendentemente dal riferimento alla destinazione di zona di determinate aree; dalla lesione dell’affidamento qualificato del privato, derivante da convenzioni di lottizzazione, accordi di diritto privato intercorsi fra il Comune e i proprietari delle aree, aspettative nascenti da giudicati di annullamento di concessioni edilizie o di silenzio rifiuto su una domanda di concessione e, infine, dalla modificazione in zona agricola della destinazione di un’area limitata, interclusa da fondi edificati in modo non abusivo (cfr. Cons. Stato, sez. IV, nr. 133/2011, cit.; id., 09.12.2010, nr. 8682; id., 13.10.2010, nr. 7492; id., 12.05.2010, nr. 2843).
Nessuna aspettativa, invece, deriva dalla diversa destinazione urbanistica pregressa della medesima area, rispetto alla quale l’Amministrazione conserva ampia discrezionalità, potendo modificare in peius rispetto agli interessi del proprietario la destinazione urbanistica (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 29.12.2009, nr. 9006).
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Vanno disattese anche le ulteriori doglianze con le quali si assume un utilizzo distorto della richiamata destinazione urbanistica, cui il Comune sarebbe ricorso impropriamente per perseguire finalità di conservazione paesaggistica e ambientale.
Sul punto, la Sezione reputa sufficiente richiamare il proprio pregresso indirizzo secondo cui la destinazione agricola di un suolo non deve rispondere necessariamente all’esigenza di promuovere specifiche attività di coltivazione, e quindi essere funzionale ad un uso strettamente agricolo del terreno, potendo essere concretamente volta a sottrarre parti del territorio comunale a nuove edificazioni (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 27.07.2011, nr. 4505; id., 16.04.2010, nr. 2166), ovvero a garantire ai cittadini l’equilibrio delle condizioni di vivibilità, assicurando loro quella quota di valori naturalistici e ambientali necessaria a compensare gli effetti dell’espansione dell’aggregato urbano (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 13.10.2010, nr. 7478; id., 06.07.2009, nr. 4308).
Né può convenirsi con l’assunto dell’istante secondo cui con la destinazione de qua sarebbe stata introdotta sul suolo una anomala e atipica misura di salvaguardia, a carattere sostanzialmente espropriativo, al di fuori delle ipotesi consentite dalla legge: ciò perché, alla luce di quanto fin qui esposto, l’imposizione della destinazione urbanistica risulta costituire legittimo esercizio dell’ordinaria potestà pianificatorie e conformativa dei suoli riconosciuta al Comune (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 16.11.2011 n. 6049 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATALa lombricoltura in sé non può qualificarsi come attività a carattere industriale, essendo legata ad un uso agricolo del suolo, e non al trattamento dei rifiuti in senso industriale.
Conseguentemente, è illegittimo il diniego comunale sulla istanza per il rilascio di concessione edilizia per la realizzazione di un impianto di lombricoltura motivato con riferimento ad una pretesa incompatibilità dell’intervento con la destinazione agricola del suolo in oggetto: l’ufficio ha invero qualificato l’intervento tra quelli a carattere industriale, non localizzabile in zona agricola.

Il presente ricorso verte sulla legittimità del diniego di concessione edilizia per la realizzazione di un impianto di lombricoltura in località agricola del Comune di Nola, motivato dalla amministrazione con riferimento ad una pretesa incompatibilità dell’intervento con la destinazione agricola del suolo in oggetto: l’ufficio ha invero qualificato l’intervento tra quelli a carattere industriale, non localizzabile in zona agricola.
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Va premesso che la lombricoltura in sé non può qualificarsi come attività a carattere industriale, essendo legata ad un uso agricolo del suolo, e non al trattamento dei rifiuti in senso industriale.
Ed infatti, la stessa amministrazione ha dedotto elementi ostativi che attengono più alla fase posteriore di concreto funzionamento dell’impianto, che non alla valutazione ex ante degli elementi del proposto progetto, in riferimento alla compatibilità urbanistica dell’intervento con la destinazione di zona.
Gli elementi ritenuti ostativi, in quanto presumono una lavorazione di rifiuti in situ, ovvero l’esercizio di un’attività insalubre, non costituiscono un adeguato substrato motivazionale del gravato diniego, come autorevolmente ritenuto in fattispecie analoga dal Consiglio di Stato.
Il giudice di appello ha affermato (CdS sez. IV 07.10.2009 n. 6117, peraltro con riferimento ad un impianto più complesso in quanto destinato alla produzione di energia elettrica con il biogas) che non si tratta affatto di impianti che smaltiscano o trattino in qualche modo rifiuti: “…… si tratta, invece, di impianti che producono energia, mediante quel particolare procedimento che si concreta nel cosiddetto biogas, per cui vengono inizialmente introdotti elementi organici che procedono ad un’attività riproduttiva rispetto alle sostanze immesse, donde la caratteristica relativamente alla quale i residui in parola non sono utilizzati per essere smaltiti o in qualche modo trattati, ma servono solo per iniziare l’attività di decomposizione delle sostanze immesse, ai fini della produzione energetica.
Il fatto che inizialmente, all’atto dell’avvio dell’impianto, vi fosse l’immissione di sostanze organiche, rifiuti animali in senso lato, non determina solo per questo la classificazione dell’impianto fra quelli afferenti il trattamento dei rifiuti, in quanto le sostanze organiche suddette, lungi dall’essere l’oggetto del trattamento, ne sono invece uno strumento operativo, con il quale l’impianto funziona, alla stregua di un meccanismo di messa in moto.
Né rientrano gli impianti medesimi nell’ambito delle industrie insalubri, non essendo i medesimi menzionati fra quelli e non potendo peraltro operare l’analogia nella materia della elencazione degli impianti che rientrano nella insalubrità, nelle varie classi di cui essa consiste
.”
Dette argomentazioni (riferibili specularmente all’impianto di lombricoltura in cui i lombrichi trasformano i rifiuti organici in fertilizzante attraverso la naturale attività di decomposizione, come documentato da parte ricorrente nelle note tecniche del prof. D’Errico prodotte nella istruttoria procedimentale), che il Collegio condivide pienamente, comportano la illegittimità del gravato diniego per difetto di motivazione (TAR Campania-Napoli, Sez. II, sentenza 04.11.2011 n. 5135 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

URBANISTICAIn occasione dell’indirizzo di politica urbanistica espresso negli strumenti generali di pianificazione, le scelte ampiamente discrezionali dell’Amministrazione in ordine ai tempi ed alle modalità di intervento sul proprio territorio circa la destinazione di singole aree, in funzione delle concrete possibilità operative che essa soltanto è in grado di accertare, nonché la stessa natura di atto a contenuto generale, valgono ad escludere l’obbligo di un’apposita motivazione, oltre quella che si può evincere dai criteri generali seguiti nell’impostazione del piano stesso, essendo sindacabili in sede giurisdizionale solo laddove emergano errori di fatto, abnormi illogicità o profili di eccesso di potere per palese travisamento dei fatti o manifesta irrazionalità. La motivazione in ordine alle scelte generali compiute dall’Amministrazione in sede di P.R.G. non deve essere necessariamente contenuta nel solo atto che conclude il procedimento, ma può essere ricavata anche dagli elaborati tecnici che lo accompagnano, che il provvedimento conclusivo richiami e a condizione che in essi siano chiaramente illustrate le esigenze che hanno indotto l’Amministrazione ad adottare la nuova disciplina.
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Non esiste una preclusione assoluta a nuovi interventi di pianificazione urbanistica, che vanifichino in tutto o in parte le aspettative edilizie dei privati, atteso che lo ius variandi, relativo alle prescrizioni di Piano Regolatore Generale, include -eventualmente- anche uno ius poenitendi, relativo ai successivi vincoli assunti dal Comune mediante convenzioni di lottizzazione, salva la necessità di motivazione, intesa pure come giusta considerazione di quelle aspettative. Nelle delibere di adozione di un Piano Regolatore o di una sua variante, la motivazione può desumersi per relationem dal contenuto dell'atto deliberato, cioè dall'insieme di esso e particolarmente dalla relazione illustrativa, che ne forma parte integrante e le cui considerazioni s'intendano accettate e fatte proprie dal Consiglio comunale.
Gli apprezzamenti di merito del Comune in ordine alle scelte urbanistiche non sono sindacabili in sede di giudizio di legittimità, a meno che non risultino inficiati da errori di fatto o da vizi di grave illogicità.
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Una motivazione specifica si impone solo in presenza di situazioni idonee a creare aspettative e affidamenti nei privati, quali l’esistenza un piano di lottizzazione debitamente approvato e convenzionato ovvero un giudicato di annullamento del diniego di concessione edilizia. Le evenienze che in particolare giustificano una più incisiva e singolare motivazione nelle scelte pianificatorie degli strumenti urbanistici generali sono state ravvisate:
1) nel superamento degli standards minimi di cui al DM 02.04.1968, con l’avvertenza che la motivazione ulteriore va riferita esclusivamente alle previsioni urbanistiche complessive di sovradimensionamento, indipendentemente dal riferimento alla destinazione di zona di determinate aree;
2) nella lesione dell’affidamento qualificato del privato derivante dall’avvenuta stipula di convenzioni di lottizzazione, accordi di diritto privato intercorsi tra il Comune e i proprietari delle aree, aspettative legittime nascenti da sentenze passate in giudicato di annullamento di dinieghi di concessione edilizia o di silenzio - rifiuto su una domanda di concessione;
3) nella modificazione in zona agricola della destinazione di un’area limitata, interclusa da fondi edificati in modo non abusivo.
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Le Amministrazioni comunali possono e devono costruire gli strumenti urbanistici intorno a linee guida che esaltino il momento del recupero e della razionalizzazione del patrimonio edilizio esistente, atteso che lo strumento urbanistico generale non presuppone inderogabilmente tendenze espansive edilizie e demografiche, ma, al contrario, una moderna e realistica concezione dell’urbanistica appare incentrata sulla necessità di tener conto della fortissima antropizzazione del territorio nazionale concentrata in specifiche aree, del calo demografico generale, dell’ineludibile bisogno di tutela delle ormai rare zone non edificate.
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Le scelte effettuate dalla Amministrazione in sede di pianificazione urbanistica non necessitano invero di dettagliata motivazione oltre quella che si evince dai criteri generali, di ordine tecnico-discrezionale, seguiti nella predisposizione del piano stesso.
In proposito, è sufficiente l'espresso riferimento alla relazione di accompagnamento al progetto di modifica del piano, salvo i casi particolari innanzi evidenziati -individuati dalla giurisprudenza per il caso di affidamenti particolarmente qualificati e qui non ricorrenti- in cui si configuri uno specifico obbligo motivazionale a carico dell'Amministrazione.
I provvedimenti comunali di pianificazione urbanistica e le varianti hanno infatti natura discrezionale e possono, in sede di variante, incidere su precedenti, difformi, destinazioni di zona, comportare modifiche radicali al piano vigente e rettificare direttive urbanistiche pregresse al fine di realizzare un processo di adeguamento e modernizzazione delle strutture al servizio del territorio.
In sede di pianificazione generale o di variante generale, e salvi i casi individuati dalla giurisprudenza in cui sono riscontrabili posizioni di aspettativa qualificata da particolari situazioni verificatesi in sede amministrativa o giurisdizionale, il Comune ha in definitiva la facoltà ampiamente discrezionale di modificare le precedenti previsioni e non è tenuto a dettare una motivazione specifica per le singole zone o aree a destinazione innovata.
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Le osservazioni proposte dai cittadini nei confronti degli atti di pianificazione urbanistica non costituiscono veri e propri rimedi giuridici, ma semplici apporti collaborativi e, pertanto non danno luogo a peculiari aspettative; conseguentemente il loro rigetto o il loro accoglimento non richiede una motivazione analitica, essendo sufficiente che esse siano state esaminate e confrontate con gli interessi generali dello strumento pianificatorio.
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La classificazione a zona agricola possiede anche una valenza conservativa dei valori naturalistici, venendo a costituire il polmone dell’insediamento urbano ed assumendo, per tale via, la funzione decongestionante e di contenimento dell’espansione dell’aggregato urbano.
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L’art. 2, 1° comma, della L. 19.11.1968 n. 1187 e l’analogo art. 9 del T.U. sulle espropriazioni n. 327 del 2001 hanno fissato entro il limite temporale del quinquennio l'efficacia delle prescrizioni dei piani regolatori generali «nella parte in cui incidono su beni determinati ed assoggettano i beni stessi a vincoli preordinati all'espropriazione od a vincoli che comportino l'inedificabilità». Tale disposto per la giurisprudenza è applicabile “non solo con riferimento ai vincoli preordinati all’esproprio o a quei vincoli che svuotano il contenuto del diritto di proprietà, rendendolo inutilizzabile rispetto alla sua destinazione naturale, ma anche ai vincoli c.d. "strumentali", a quei vincoli cioè che subordinano l’edificabilità di un’area all’inserimento della stessa in un programma pluriennale, oppure alla formazione di uno strumento esecutivo”.
In considerazione della limitata efficacia temporale del vincolo preordinato all’esproprio, l’obbligo di corresponsione dell’indennizzo sorge solo nell’ipotesi di reiterazione del vincolo medesimo.
Prima della reiterazione oltre del suddetto limite temporale del vincolo preordinato all’esproprio o dell’avvio della procedura espropriativa alcun pretesa indennitaria può vantare parte ricorrente. Infatti, come chiarito dalla giurisprudenza, “il fatto costitutivo del diritto all'indennizzo non è individuabile nell'imposizione originaria di un vincolo di inedificabilità, e neppure nella protrazione di fatto del medesimo dopo la sua decadenza -giacché in tal caso ben può il proprietario sollecitare l'esercizio del potere pianificatorio attraverso la procedura di messa in mora, e far accertare, di risulta, l'illegittimità del silenzio-, bensì nell'atto che esplicitamente lo reitera".

In relazione alla materia della pianificazione urbanistica il Collegio condivide quella giurisprudenza assolutamente prevalente (ex multis, Consiglio di stato, sez. IV, 15.09.2010, n. 6911; Consiglio Stato, sez. IV, 18.06.2009, n. 4024; Consiglio Stato, IV, 26.04.2009, n. 2293; TAR Campania, Napoli, IV, 31.12.2007, n. 16679; I, 16.11.2007, n. 13722; 09.07.2007, n. 6605; Cons. Stato, IV, 19.02.2007, n. 861; 13.04.2005, n. 1743; 22.02.2000, n. 2934; 19.01.2000, n. 245; 24.12.1999, n. 1943; Ad. Plen., 22.12.1999, n. 24; IV, 02.11.1995, n. 887; 25.02.1988, n. 99) orientata nel senso che, in occasione dell’indirizzo di politica urbanistica espresso negli strumenti generali di pianificazione, le scelte ampiamente discrezionali dell’Amministrazione in ordine ai tempi ed alle modalità di intervento sul proprio territorio circa la destinazione di singole aree, in funzione delle concrete possibilità operative che essa soltanto è in grado di accertare, nonché la stessa natura di atto a contenuto generale, valgono ad escludere l’obbligo di un’apposita motivazione, oltre quella che si può evincere dai criteri generali seguiti nell’impostazione del piano stesso, essendo sindacabili in sede giurisdizionale solo laddove emergano errori di fatto, abnormi illogicità o profili di eccesso di potere per palese travisamento dei fatti o manifesta irrazionalità (Consiglio Stato, sez. IV, 18.06.2009, n. 4024; TAR Calabria, Reggio Calabria, 11.05.2006, n. 786; Cons. Stato, IV, 06.10.2003, n. 5869; 08.02.1999, n. 121). La motivazione in ordine alle scelte generali compiute dall’Amministrazione in sede di P.R.G. non deve essere necessariamente contenuta nel solo atto che conclude il procedimento, ma può essere ricavata anche dagli elaborati tecnici che lo accompagnano, che il provvedimento conclusivo richiami e a condizione che in essi siano chiaramente illustrate le esigenze che hanno indotto l’Amministrazione ad adottare la nuova disciplina (Cons. Stato, IV, 03.10.2001, n. 5207).
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La giurisprudenza ha inoltre precisato che non esiste una preclusione assoluta a nuovi interventi di pianificazione urbanistica, che vanifichino in tutto o in parte le aspettative edilizie dei privati, atteso che lo ius variandi, relativo alle prescrizioni di Piano Regolatore Generale, include -eventualmente- anche uno ius poenitendi, relativo ai successivi vincoli assunti dal Comune mediante convenzioni di lottizzazione, salva la necessità di motivazione, intesa pure come giusta considerazione di quelle aspettative (Cons. Stato, IV, 01.07.1992, n. 653). La stessa giurisprudenza ha poi chiarito che, nelle delibere di adozione di un Piano Regolatore o di una sua variante, la motivazione può desumersi per relationem dal contenuto dell'atto deliberato, cioè dall'insieme di esso e particolarmente dalla relazione illustrativa, che ne forma parte integrante e le cui considerazioni s'intendano accettate e fatte proprie dal Consiglio comunale (Cons. Stato, IV, 03.06.1987, n. 326).
Naturalmente, poi, occorre tener presente che gli apprezzamenti di merito del Comune in ordine alle scelte urbanistiche non sono sindacabili in sede di giudizio di legittimità, a meno che non risultino inficiati da errori di fatto o da vizi di grave illogicità (Cons. Stato, IV, 17.01.1989, n. 5; 15.07.1986, n. 522).
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Ora, contrariamente a quanto dedotto in ricorso circa l’eccesso di potere per insufficienza e carenza della motivazione, questo Tribunale è dell’avviso che una motivazione specifica si impone solo in presenza di situazioni idonee a creare aspettative e affidamenti nei privati, quali l’esistenza un piano di lottizzazione debitamente approvato e convenzionato ovvero un giudicato di annullamento del diniego di concessione edilizia (Cons. Stato, IV, 22.02.1999, n. 209). Le evenienze che in particolare giustificano una più incisiva e singolare motivazione nelle scelte pianificatorie degli strumenti urbanistici generali sono state ravvisate (TAR Umbria, 02.10.2006, n. 497; Cons. Stato, Ad. plen., 22.12.1999, n. 24):
1) nel superamento degli standards minimi di cui al DM 02/04/1968, con l’avvertenza che la motivazione ulteriore va riferita esclusivamente alle previsioni urbanistiche complessive di sovradimensionamento, indipendentemente dal riferimento alla destinazione di zona di determinate aree;
2) nella lesione dell’affidamento qualificato del privato derivante dall’avvenuta stipula di convenzioni di lottizzazione, accordi di diritto privato intercorsi tra il Comune e i proprietari delle aree, aspettative legittime nascenti da sentenze passate in giudicato di annullamento di dinieghi di concessione edilizia o di silenzio - rifiuto su una domanda di concessione;
3) nella modificazione in zona agricola della destinazione di un’area limitata, interclusa da fondi edificati in modo non abusivo.
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In sintesi non è comunque configurabile un'aspettativa qualificata ad una destinazione edificatoria in relazione ad una precedente determinazione dell'Amministrazione, ma soltanto un'aspettativa generica ad una reformatio in melius, analoga a quella di ogni altro proprietario di aree che aspira ad una utilizzazione più proficua dell'immobile. Le Amministrazioni comunali possono e devono costruire gli strumenti urbanistici intorno a linee guida che esaltino il momento del recupero e della razionalizzazione del patrimonio edilizio esistente, atteso che lo strumento urbanistico generale non presuppone inderogabilmente tendenze espansive edilizie e demografiche, ma, al contrario, una moderna e realistica concezione dell’urbanistica appare incentrata sulla necessità di tener conto della fortissima antropizzazione del territorio nazionale concentrata in specifiche aree, del calo demografico generale, dell’ineludibile bisogno di tutela delle ormai rare zone non edificate (Cons. Stato, IV, 08.05.2000, n. 2639).
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Con riguardo all'alto livello di discrezionalità nelle scelte di piano, che determina il conseguente dovere motivazionale, le scelte effettuate dalla Amministrazione in sede di pianificazione urbanistica non necessitano invero di dettagliata motivazione oltre quella che si evince dai criteri generali, di ordine tecnico-discrezionale, seguiti nella predisposizione del piano stesso.
In proposito, è sufficiente l'espresso riferimento alla relazione di accompagnamento al progetto di modifica del piano, salvo i casi particolari innanzi evidenziati- individuati dalla giurisprudenza per il caso di affidamenti particolarmente qualificati e qui non ricorrenti - in cui si configuri uno specifico obbligo motivazionale a carico dell'Amministrazione (in tal senso, Consiglio Stato, IV, 26.04.2009, n. 2293; Consiglio di stato, sez. IV, 15.09.2010, n. 6911).
I provvedimenti comunali di pianificazione urbanistica e le varianti hanno infatti natura discrezionale e possono, in sede di variante, incidere su precedenti, difformi, destinazioni di zona, comportare modifiche radicali al piano vigente e rettificare direttive urbanistiche pregresse al fine di realizzare un processo di adeguamento e modernizzazione delle strutture al servizio del territorio (Consiglio Stato, IV, 25.11.2003, n. 7782).
In sede di pianificazione generale o di variante generale, e salvi i casi individuati dalla giurisprudenza in cui sono riscontrabili posizioni di aspettativa qualificata da particolari situazioni verificatesi in sede amministrativa o giurisdizionale, il Comune ha in definitiva la facoltà ampiamente discrezionale di modificare le precedenti previsioni e non è tenuto a dettare una motivazione specifica per le singole zone o aree a destinazione innovata (Consiglio Stato, IV, 13.05.1992, n. 511).
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Le osservazioni proposte dai cittadini nei confronti degli atti di pianificazione urbanistica non costituiscono veri e propri rimedi giuridici, ma semplici apporti collaborativi e, pertanto non danno luogo a peculiari aspettative; conseguentemente il loro rigetto o il loro accoglimento non richiede una motivazione analitica (peraltro presente nell’ipotesi di specie), essendo sufficiente che esse siano state esaminate e confrontate con gli interessi generali dello strumento pianificatorio (Consiglio Stato, IV, 19.03.2009, n. 1652; Consiglio Stato, sez. IV, 18.06.2009, n. 4024; Cons. St., IV, 01.03.2010, n. 1182; Consiglio Stato, sez. IV, 15.09.2010, n. 6911).
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Non si può ignorare che la classificazione a zona agricola possiede anche una valenza conservativa dei valori naturalistici, venendo a costituire il polmone dell’insediamento urbano ed assumendo, per tale via, la funzione decongestionante e di contenimento dell’espansione dell’aggregato urbano (TAR Lombardia, Milano, II, 24.11.2006, n. 2847; Cons. Stato, IV, 20.09.2005, n. 4828).
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E’ infatti noto che l’art. 2, 1° comma, della L. 19.11.1968 n. 1187 e l’analogo art. 9 del T.U. sulle espropriazioni n. 327 del 2001 hanno fissato entro il limite temporale del quinquennio l'efficacia delle prescrizioni dei piani regolatori generali «nella parte in cui incidono su beni determinati ed assoggettano i beni stessi a vincoli preordinati all'espropriazione od a vincoli che comportino l'inedificabilità». Tale disposto per la giurisprudenza è applicabile “non solo con riferimento ai vincoli preordinati all’esproprio o a quei vincoli che svuotano il contenuto del diritto di proprietà, rendendolo inutilizzabile rispetto alla sua destinazione naturale, ma anche ai vincoli c.d. "strumentali", a quei vincoli cioè che subordinano l’edificabilità di un’area all’inserimento della stessa in un programma pluriennale, oppure alla formazione di uno strumento esecutivo” (cfr Consiglio di Stato Sez. IV - sentenza 24.03.2009, n. 1765).
Peraltro, in considerazione della limitata efficacia temporale del vincolo preordinato all’esproprio, l’obbligo di corresponsione dell’indennizzo sorge solo nell’ipotesi di reiterazione del vincolo medesimo.
Infatti l’art. 39 del T.U. sulle espropriazioni n. 327 del 2001 (“Indennità dovuta in caso di incidenza di previsioni urbanistiche su particolari aree comprese in zone edificabili”) al comma 1 prevede “In attesa di una organica risistemazione della materia, nel caso di reiterazione di un vincolo preordinato all'esproprio o di un vincolo sostanzialmente espropriativo è dovuta al proprietario una indennità, commisurata all'entità del danno effettivamente prodotto”.
Pertanto prima della reiterazione oltre del suddetto limite temporale del vincolo preordinato all’esproprio o dell’avvio della procedura espropriativa alcun pretesa indennitaria può vantare parte ricorrente.
Infatti, come chiarito dalla giurisprudenza, “il fatto costitutivo del diritto all'indennizzo non è individuabile nell'imposizione originaria di un vincolo di inedificabilità, e neppure nella protrazione di fatto del medesimo dopo la sua decadenza -giacché in tal caso ben può il proprietario sollecitare l'esercizio del potere pianificatorio attraverso la procedura di messa in mora, e far accertare, di risulta, l'illegittimità del silenzio-, bensì nell'atto che esplicitamente lo reitera" (Cass., Sez. I, sent. n. 1754 del 26.01.2007)
(TAR Valle d'Aosta, sentenza 02.11.2011 n. 73 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Non sussiste una pregiudiziale incompatibilità tra la destinazione agricola di un'area e la sua utilizzazione a parcheggio: la giurisprudenza amministrativa, infatti, ha avuto occasione di chiarire che la destinazione a zona agricola di un'area, salva la previsione di particolari vincoli ambientali o paesistici, non impone un obbligo specifico di utilizzazione effettiva in tal senso, avendo solo lo scopo di evitare insediamenti residenziali; essa, pertanto, non costituisce ostacolo alla installazione di opere che non riguardino l'edilizia residenziale e che, per contro, si rivelino per ovvi motivi incompatibili con zone abitate e quindi necessariamente da realizzare in aperta campagna.
Non è precluso al proprietario di un terreno agricolo la “possibilità di sfruttamento ulteriore e diverso da quello agricolo, ed in particolare avendo riguardo ad utilizzazioni intermedie rispetto all'uso agricolo e quello edificatorio quali, ad esempio, il parcheggio, la caccia, lo sport e l'agriturismo.
Quanto alla non utilizzabilità dell’area a fini diversi da quelli agricoli, la Sezione si è già pronunciata con la sentenza n. 178 del 2010, nella quale ha evidenziato che “non sussiste una pregiudiziale incompatibilità tra la destinazione agricola di un'area e la sua utilizzazione a parcheggio: la giurisprudenza amministrativa, infatti, ha avuto occasione di chiarire che la destinazione a zona agricola di un'area, salva la previsione di particolari vincoli ambientali o paesistici, non impone un obbligo specifico di utilizzazione effettiva in tal senso, avendo solo lo scopo di evitare insediamenti residenziali; essa, pertanto, non costituisce ostacolo alla installazione di opere che non riguardino l'edilizia residenziale e che, per contro, si rivelino per ovvi motivi incompatibili con zone abitate e quindi necessariamente da realizzare in aperta campagna (cfr., CdS, Sez. V, 15.06.2001 n. 3178; TAR Veneto, Sez. II, 31.10.2000 n. 1952 e Sez. III, 18.03.2002 n. 1108)”.
Anche la Corte di Cassazione è pacifica nel ritenere che non è precluso al proprietario di un terreno agricolo la “possibilità di sfruttamento ulteriore e diverso da quello agricolo, ed in particolare avendo riguardo ad utilizzazioni intermedie rispetto all'uso agricolo e quello edificatorio quali, ad esempio, il parcheggio, la caccia, lo sport e l'agriturismo" (cfr. Cass. SS.UU 10.11.2010 n. 22802, cass. n. 12862 del 2010; cass. n. 10280 del 2004)
(TAR Sardegna, Sez. II, sentenza 14.09.2011 n. 926 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Consiglio di Stato: no alla cementificazione del territorio in aree agricole.
Il Consiglio di Stato (IV sezione, sentenza 27.07.2011 n. 4505) si è occupato di un caso nel quale un Comune aveva denegato una concessione in sanatoria avente ad oggetto la richiesta di costruzione –in un'area classificata come agricola- di un impianto di frantumazione di sfridi derivati da lavorazioni edilizia nonché il deposito dei materiali prodotti.
La ragione fondamentale che aveva indotto il Comune a negare la concessione in sanatoria era rappresentata dal fatto che l’impianto di trattamento e stoccaggio di rifiuti inerti risultava posizionato in area classificata in base al vigente Piano Regolatore Generale "all’esercizio dell’agricoltura".
Quindi, la questione centrale dell’intero contenzioso può essere così riassunta: la compatibilità o meno della struttura poco fa descritta con la destinazione agricola impressa urbanisticamente all’area sulla quale il manufatto insiste.
I Giudici di Palazzo Spada, nel dare risposta negativa al quesito (confermando quindi la bontà della scelta del Comune di negare la concessione in sanatoria), ricordano che uno degli scopi per cui non si ammette l’edificazione di tipo residenziale in aree agricole (fatte salve alcune eccezioni) è quello di evitare la cementificazione del territorio.
Di conseguenza, a maggior ragione, non si può consentire la realizzazione di un'opera che, quanto alle sue caratteristiche costruttive e di utilizzazione, introduce un impatto negativo sul territorio ancor più marcato e devastante in ragione vuoi della tipologia edilizia, vuoi dell’attività esercitata.
In realtà il manufatto oggetto della invocata sanatoria era da considerarsi un vero e proprio opificio produttivo che, in quanto tale, poteva e doveva essere realizzato in altre aree a ciò dedicate, quelle appunto con destinazione industriale e/o produttive (Zona D) situate in parti del territorio specificatamente vocate ad ospitare tali tipologie di opere.
Sono peraltro al più ammesse in zona agricola opere edilizie che siano in qualche modo connesse funzionalmente con la coltivazione dei suoli (e con la relativa attività produttiva), ovvero connesse con la vocazione naturalistica di aree agricole. Connotazioni, queste, del tutto assenti nella fattispecie di un impianto di frantumazione e stoccaggio di inerti che, per sua stessa natura, è distante anni luce dalla concezione di sfruttamento agricolo di un’area (commento tratto da www.professioni-imprese24.ilsole24ore.com - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA - URBANISTICALa costruzione di un impianto di frantumazione di sfridi edilizi e stoccaggio di inerti non è ammissibile in relazione alla previsione di zona agricola impressa all’area dallo strumento urbanistico.
Le scelte urbanistiche come fissate dall’Amministrazione comunale nel Piano Regolatore costituiscono valutazioni connotate da amplissima discrezionalità, sottratte al sindacato di legittimità salvo che non siano inficiate da errori di fatto abnormi ovvero da manifesta irragionevolezza. Altresì, la scelta di classificare un‘area come destinata ad uso agricolo risponde, nell’ambito di una pianificazione omogenea del territorio comunale da effettuarsi a mezzo di una razionale applicazione delle tipologie di zona previste dalla normativa urbanistica, all’esigenza di salvaguardare la vocazione agricola di specifici ambiti territoriali ai fini di conservazione delle aree stesse anche ai fini naturalistici.

Il Collegio ritiene di dover fornire al predetto quesito interpretativo una risposta di contenuto negativo, nel senso che la costruzione di un impianto del genere di quello in discussione ( frantumazione di sfridi edilizi e stoccaggio di inerti) non è ammissibile in relazione alla previsione di zona agricola impressa all’area dallo strumento urbanistico.
Vanno in primo luogo qui richiamati alcuni orientamenti giurisprudenziali più volte espressi da questo Consiglio di Stato secondo cui:
a) le scelte urbanistiche come fissate dall’Amministrazione comunale nel Piano Regolatore costituiscono valutazioni connotate da amplissima discrezionalità , sottratte al sindacato di legittimità salvo che non siano inficiate da errori di fatto abnormi ovvero da manifesta irragionevolezza (cfr. Cons. Stato Sezione IV 09/07/2002 n. 3817; idem 06/02/2002 n. 664);
b) la scelta di classificare un‘area come destinata ad uso agricolo risponde, nell’ambito di una pianificazione omogenea del territorio comunale da effettuarsi a mezzo di una razionale applicazione delle tipologie di zona previste dalla normativa urbanistica, all’esigenza di salvaguardare la vocazione agricola di specifici ambiti territoriali ai fini di conservazione delle aree stesse anche ai fini naturalistici (cfr. questa Sezione 27/07/2010 n. 4920).
Ciò precisato, sono ben noti al Collegio i principi più volte ribaditi sempre da questa Sezione (ex multis, cfr. decisione del 18/01/2011 n. 352) secondo i quali la prevista destinazione agricola di un suolo non deve rispondere necessariamente all’esigenza di promuovere specifiche attività di coltivazione (e quindi non essere funzionale ad un uso strettamente agricolo del terreno) mentre siffatta destinazione risulta concretamente volta a sottrarre parti del territorio comunale a nuove edificazioni (in tal senso, decisione n. 2166 del 2010), ma tali assunti interpretativi non valgono punto a far propendere (come invece propugnato da parte appellante) per l’ammissibilità della realizzazione e dell’esercizio di un impianto di frantumazione di inerti in zona agricola.
Invero, si è in presenza di un’opera che in ragione all’uso cui è preposta reca necessariamente caratteristiche strutturali e tipologiche del tutto inconciliabili con la destinazione agricola e tanto con riferimento non solo all’utilizzo concreto del suolo, ma alla naturale vocazione dei terreni, stante l’evidente compromissione a causa della presenza di un “opificio” delle finalità proprie di quella parte del territorio vocata e destinata a fini agricoli.
D’altra parte se considera che uno degli scopi per cui non si ammette l’edificazione di tipo residenziale in aree agricole (se non in determinate eccezioni) è quello di evitare la cementificazione del territorio, a maggior ragione non si può consentire la realizzazione di un’opus che, quanto alle sue caratteristiche costruttive e di utilizzazione introduce un impatto negativo sul territorio ancor più marcato e devastante in ragione vuoi della tipologia edilizia vuoi dell’attività dell’opus vuoi dell’attività in esso esercitata.
In realtà il manufatto, con le opere e le aree ad esso pertinenziali, oggetto della chiesta sanatoria , è un vero e proprio opificio produttivo che, in quanto tale, può e deve essere realizzate in altre aree a ciò dedicate, quelle appunto destinazione industriale e/o produttive (Zona D), in parti del territorio cioè specificatamente vocate ad ospitare tali tipologie di opere con i connessi usi.
Un avallo inconfutabile a tale assunto interpretativo viene peraltro fornito (ammesso che ce ne fosse stato bisogno) dal dato di dritto positivo rappresentato dalla legge Regione Lombardia 07.06.1980 n. 93 recante norme in materia di edificazione nelle zone agricole, lì dove all’art. 2 è previsto che nelle aree destinate dallo strumento urbanistico generale a zona agricola sono ammesse esclusivamente opere realizzate in funzione della conduzione del fondo e destinate alla residenza dell’imprenditore agricolo e dei dipendenti, risultando ammesse anche strutture produttive come silos, serre, stalle, locali per la lavorazione di prodotti agricoli.
Ora al di là dell’elemento letterale recato dalla normativa all’uopo dettata dalla legge regionale summenzionata, la ”ratio” di detta legge è certamente quella di ammettere in zona agricola opere edilizie che siano in qualche modo connesse funzionalmente con la coltivazione dei suoli (e relativa attività produttiva) ma anche con la vocazione naturalistica di aree agricole, connotazioni, queste, affatto presenti nella fattispecie di un impianto di frantumazione e stoccaggio di inerti che, per sua stessa natura è distante anni luce dalla concezione di sfruttamento agricolo di un’area .
Così gli esempi di manufatti che parte appellante indica come ritenuti, per effetto di alcune sentenze del giudice amministrativo, come assentibili in area agricola riguardano sempre opere che hanno un minima “contiguità” con la natura agricola dei terreni ma tale condizione nella specie è del tutto insussistente, sicché alcuna omologazione ad altri casi può sul punto essere validamente invocata.
Sulla scorta di tali osservazioni e considerazioni, il diniego di sanatoria opposto dal Comune di Nerviano in ragione del rilevato contrasto urbanistico dell’impianto de quo con il regime giuridico di tipo urbanistico vigente per l’area in questione si appalesa corretto, senza che tale determinazione sia inficiata dai vizi di legittimità dedotti dalla parte appellante (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 27.07.2011 n. 4505 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Autorizzazione alla costruzione ed esercizio di impianti di energia da fonti rinnovabili - Art. 12 d.lgs. n. 387/2003 - Conferenza di servizi - Proprietari dei terreni interessati da servitù di elettrodotto - Titolarità di diritti partecipativi - Esclusione.
In tema di autorizzazione alla costruzione ed all’esercizio degli impianti di energia elettrica prodotta da fonti rinnovabili, l’art. 12 del d.lgs. n. 387/2003 prevede un procedimento ispirato a principi di semplificazione e accelerazione, che sostituisce tutti i pareri e le autorizzazioni necessari, tramite il modulo della conferenza di servizi (Cons. St. Sez. VI, 22.02.2010 n. 1020).
La lettera e la ratio dell’art. 14-ter della legge n. 241/1990 sul funzionamento della conferenza di servizi, richiamata dall’art. 12, prevede la partecipazione delle sole autorità amministrative interessate direttamente al provvedimento da emanare, che sono destinatarie immediate e beneficiarie delle garanzie partecipative previste per i lavori della conferenza (Cons. St. Sez. V, 13.09.2010, n. 6562; 04.03.2008, n. 824).
E’ pertanto da escludersi che le società proprietarie dei terreni interessati da servitù di elettrodotto, in quanto non destinatarie dell’atto finale, siano titolari di diritti partecipativi al procedimento di rilascio di autorizzazione unica prevista dal citato art. 12.
Impianti di energia da fonti rinnovabili - Autorizzazione - Conferenza di servizi - Partecipazione dei proprietari di terreni interessati da servitù di elettrodotto - Termini applicabili.
Anche ove si ritenesse che la determinazione dell’amministrazione di invitare alla conferenza di servizi i soggetti proprietari dei terreni interessati da servitù di elettrodotto comportasse l’accettazione di un loro coinvolgimento anche nel procedimento di autorizzazione, non si potrebbe comunque loro applicare altro termine se non quello di cinque giorni di cui le stesse amministrazioni partecipanti beneficiano, stabilito dall’art. 14-ter della L n. 241/1990.
Non può, invero, ritenersi applicabile l’art. 10-bis della legge n. 241/1990 sul preavviso di rigetto (che prevede un termine di dieci giorni), nei confronti di soggetti diversi dal richiedente l’autorizzazione.
Art. 12 d.lgs. n. 387/2003 - Comunicazione di avvio del procedimento - Destinatari - Proprietari di suoli confinanti con l’area di intervento - Esclusione.
La p.a. è tenuta a notificare la comunicazione di avvio del procedimento amministrativo ai soli soggetti nei confronti dei quali il provvedimento finale è destinato a produrre effetti diretti e a quelli che per legge debbono intervenirvi (Cons. Stato Sez. IV Sent., 03-03-2009, n. 1213), tra cui non sono ricompresi, in base al chiaro disposto dell’art. 12 d.lgs. n. 387/2003, i proprietari di suoli confinanti con l’area di intervento.
Conferenza di servizi ex art. 12, c. 3, d.lgs. n. 387/2003 - Convocazione - Termine di trenta giorni - Termine di 180 gg. per la conclusione del procedimento - Natura acceleratoria.
Il termine di trenta giorni entro il quale la conferenza di servizi deve essere convocata ai sensi dell’art. 12, c. 3 del d.lgs. n. 387/2003 ha natura acceleratoria, non potendosi considerare il mancato rispetto di tale termine, per di più giustificato dalla complessità dell’istruttoria, come vizio del provvedimento finale.
Parimenti, il superamento del termine finale di 180 giorni previsto dall’art. 12, comma 4 (nel testo all’epoca vigente), per la conclusione del procedimento di autorizzazione non priva l’amministrazione del potere di adottare il provvedimento finale, dovendo essere riconosciuta anche a questo termine natura acceleratoria e non perentoria (Cons. St. 11.05.2010, n. 2825).
Impianti a fonti rinnovabili - Ubicazione in zona agricola - Possibilità - Art. 12 d.lgs. n. 387/2003.
L’art. 12 d.lgs. n. 387/2003 consente l’ubicazione di impianti a fonti rinnovabili anche in zone classificate agricole (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 25.07.2011 n. 4454 - link a www.ambientediritto.it).

ATTI AMMINISTRATIVI - EDILIZIA PRIVATA - URBANISTICAQualora un atto amministrativo a carattere generale sia sottoposto a plurime forme di pubblicità, la decorrenza del termine di impugnazione deve essere ancorata alla scadenza dell’ultima forma di pubblicità prevista dalla legge o in base alla legge.
- L’interesse all’impugnazione da parte dei destinatari delle scelte urbanistiche, proprio per evitare di addivenire ad una legitimatio generalis, richiede che le “determinazioni lesive” fondanti siffatto interesse siano effettivamente “condizionate”, ossia causalmente riconducibili in modo decisivo alle preliminari conclusioni raggiunte in sede di VAS.
- Sono inammissibili le censure concernenti la disciplina urbanistica di aree estranee a quelle di proprietà del ricorrente, sul presupposto che le prescrizioni dello strumento urbanistico vanno considerate scindibili ai fini del loro eventuale annullamento in sede giurisdizionale, rimanendo salva la possibilità eccezionale di proporre impugnativa solo quando la nuova destinazione urbanistica, pur concernendo un'area non appartenente al ricorrente, incida direttamente sul godimento o sul valore di mercato dell'area stessa, o comunque su interessi propri e specifici del medesimo esponente. Si rammenti l’importanza dei limiti che si frappongono alla configurabilità dell’interesse c.d. strumentale all’impugnazione di uno strumento urbanistico, nel senso che tale impugnazione deve pur sempre ancorarsi a specifici vizi ravvisati con riferimento alle determinazioni adottate dall’Amministrazione in ordine al regime dei suoli in proprietà del ricorrente, e non può fondarsi sul generico interesse a una migliore pianificazione del proprio suolo, che in quanto tale non si differenzia dall’eguale interesse che quisque de populo potrebbe nutrire.
- La destinazione data alle singole aree non necessita di apposita motivazione, oltre quella che si può evincere dai criteri generali, di ordine tecnico-discrezionale seguiti nell’impostazione del piano, salvo che particolari situazioni non abbiano creato aspettative o affidamenti in favore di soggetti le cui posizioni appaiano meritevoli di specifiche considerazioni. In sostanza, le evenienze che giustificano una più incisiva e singolare motivazione degli strumenti urbanistici generali sono soltanto quelle:
a) del superamento degli standards minimi di cui al d.m. 02.04.1968, con riferimento alle previsioni urbanistiche complessive di sovradimensionamento, indipendentemente dal riferimento alla destinazione di zona di determinate aree;
b) della lesione dell’affidamento qualificato del privato, derivante da convenzioni di lottizzazione e accordi di diritto privato intercorsi fra il Comune e i proprietari delle aree;
c) delle aspettative nascenti da giudicati di annullamento di concessioni edilizie o di silenzio rifiuto su una domanda di concessione e, infine,
d) dalla modificazione in zona agricola della destinazione di un’area limitata, interclusa da fondi edificati in modo non abusivo.

Come già chiarito dalla giurisprudenza amministrativa (cfr. Consiglio di Stato, IV, 31.05.2011 n. 3297; Cons. Stato, sez. IV, 19.01.1988, n. 3; TAR Lombardia, Milano, II, 27.01.2010 n. 187), qualora un atto amministrativo a carattere generale sia sottoposto a plurime forme di pubblicità, la decorrenza del termine di impugnazione deve essere ancorata alla scadenza dell’ultima forma di pubblicità prevista dalla legge o in base alla legge (art. 41, co. 2° c.p.a.).
Ebbene, con particolare riguardo alla Regione Lombardia, la L.R. 11-3-2005 n. 12 (Legge per il governo del territorio) all’art. 13 (Approvazione degli atti costituenti il piano di governo del territorio), ha previsto che (comma 11°): <<Gli atti di PGT acquistano efficacia con la pubblicazione dell'avviso della loro approvazione definitiva sul Bollettino Ufficiale della Regione, da effettuarsi a cura del comune…>>.
Ne consegue che, quando –come nel caso che qui occupa- la deliberazione di approvazione del P.G.T. sia stata dapprima pubblicata sull’Albo Pretorio e solo in seguito assoggettata alla pubblicazione sul B.U.R., la presunzione legale di conoscenza non avrà luogo sino a che non si sia perfezionata l'intera fase della pubblicità legale.
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Come rammentato anche di recente dalla giurisprudenza amministrativa, l’interesse all’impugnazione da parte dei destinatari delle scelte urbanistiche, proprio per evitare di addivenire ad una legitimatio generalis, richiede che le “determinazioni lesive” fondanti siffatto interesse siano effettivamente “condizionate”, ossia causalmente riconducibili in modo decisivo alle preliminari conclusioni raggiunte in sede di VAS (così Consiglio di Stato, IV, 12.01.2011 n. 133).
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È utile rammentare il consolidato indirizzo giurisprudenziale secondo cui sono inammissibili le censure concernenti la disciplina urbanistica di aree estranee a quelle di proprietà del ricorrente, sul presupposto che le prescrizioni dello strumento urbanistico vanno considerate scindibili ai fini del loro eventuale annullamento in sede giurisdizionale, rimanendo salva la possibilità eccezionale di proporre impugnativa solo quando la nuova destinazione urbanistica, pur concernendo un'area non appartenente al ricorrente, incida direttamente sul godimento o sul valore di mercato dell'area stessa, o comunque su interessi propri e specifici del medesimo esponente (cfr. Cons. Stato IV, 24.12.2007 n. 6619; Cons. Stato, sez. IV, 10.06.2004, n. 3755; sez. IV, 05.09.2003, n. 4980).
Ebbene, nel caso in esame non sussiste affatto la prova di tale diretta incidenza della nuova destinazione urbanistica delle aree agricole sull’indice edificatorio dell’area a destinazione produttiva dell’istante.
Per cogliere al meglio tale aspetto, è sufficiente richiamare, anche qui, l’orientamento espresso dalla più recente giurisprudenza del Consiglio di Stato, la quale ha sottolineato l’importanza dei limiti che si frappongono alla configurabilità dell’interesse c.d. strumentale all’impugnazione di uno strumento urbanistico, nel senso che: <<tale impugnazione deve pur sempre ancorarsi a specifici vizi ravvisati con riferimento alle determinazioni adottate dall’Amministrazione in ordine al regime dei suoli in proprietà del ricorrente, e non può fondarsi sul generico interesse a una migliore pianificazione del proprio suolo, che in quanto tale non si differenzia dall’eguale interesse che quisque de populo potrebbe nutrire>> (cfr. Consiglio di Stato, IV, 12.01.2011 n. 133; Cons. Stato, sez. IV, 13.07.2010, nr. 4546).
In altri termini, sempre a mente del Supremo Consesso: <<l’utilità rappresentata dal possibile vantaggio che astrattamente il ricorrente potrebbe ottenere per effetto della riedizione dell’attività amministrativa non è ex se indicativa della titolarità di una posizione di interesse giuridicamente qualificata e differenziata, idonea a legittimare la tutela giurisdizionale>> (cfr. decisione n. 133/2011 cit.).
Né, sempre secondo la cit. decisione, tale utilità potrebbe essere ravvisata nella “reviviscenza” del previgente e più favorevole P.R.G., che si avrebbe per effetto dell’annullamento giurisdizionale del P.G.T., posto che tale utilità, <<oltre a essere anch’essa non indicativa dell’esistenza di un interesse giuridicamente tutelabile, quand’anche effettivamente sussistente sarebbe comunque provvisoria, essendo jus receptum che l’effetto immediato dell’annullamento di uno strumento urbanistico consiste nel dovere dell’Amministrazione di riesercitare la propria potestà di pianificazione del territorio>> (cfr. dec. n. 133/2011 cit., nonché: Cons. Stato, sez. IV, 07.06.2004, nr. 3563; Cons. Stato, sez. V, 23.04.2001, nr. 2415).
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È oltremodo pacifico che anche la destinazione data alle singole aree non necessiti di apposita motivazione, oltre quella che si può evincere dai criteri generali, di ordine tecnico-discrezionale seguiti nell’impostazione del piano, salvo che particolari situazioni non abbiano creato aspettative o affidamenti in favore di soggetti le cui posizioni appaiano meritevoli di specifiche considerazioni.
In sostanza, le evenienze che giustificano una più incisiva e singolare motivazione degli strumenti urbanistici generali sono soltanto quelle:
a) del superamento degli standards minimi di cui al d.m. 02.04.1968, con riferimento alle previsioni urbanistiche complessive di sovradimensionamento, indipendentemente dal riferimento alla destinazione di zona di determinate aree;
b) della lesione dell’affidamento qualificato del privato, derivante da convenzioni di lottizzazione e accordi di diritto privato intercorsi fra il Comune e i proprietari delle aree;
c) delle aspettative nascenti da giudicati di annullamento di concessioni edilizie o di silenzio rifiuto su una domanda di concessione e, infine,
d) dalla modificazione in zona agricola della destinazione di un’area limitata, interclusa da fondi edificati in modo non abusivo (cfr. ex plurimis Cons. Stato, sez. IV, 13.10.2010, nr. 7492; id., 04.05.2010, nr. 2545; id., 28.09.2009, nr. 5834; id., 21.06.2007, nr. 3400)
(TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 12.07.2011 n. 1882 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAEventuali divieti assoluti di edificazione nelle aree agricole richiedono una specifica e particolare motivazione, in quanto le stesse ledono la legittima aspettativa dell’imprenditore agricolo allo sviluppo della propria attività.
La legislazione regionale sull’edificazione nelle aree agricole (articoli da 59 a 62 della legge regionale 12/2005, che ricalcano l’abrogata legge regionale 93/1980), é ispirata da una duplice finalità: da una parte la preservazione delle aree agricole e dei valori che le stesse rappresentano nell’economia e nella società lombarda, dall’altra la salvaguardia e lo sviluppo delle imprese agricole, per un concreto sostegno di tale settore economico.
Così l’art. 59, comma 1°, della LR 12/2005, consente nelle aree agricole la realizzazione delle attrezzature e delle infrastrutture necessarie all’attività di cui all’art. 2135 del codice civile (vale a dire l’attività di imprenditore agricolo), fra le quali –l’indicazione è solo esemplificativa– stalle, silos, serre, magazzini e locali per la lavorazione, conservazioni e vendita dei prodotti agricoli.
E’ ammessa anche l’edificazione di abitazioni per l’imprenditore, nel rispetto dei limiti massimi di densità fondiaria previsti dal comma 3° dell’art. 59 citato.
Tenuto conto che le norme legislative di cui sopra sono immediatamente prevalenti sulle contrastanti disposizioni del PGT (così espressamente, l’art. 61 della LR 12/2005), la giurisprudenza del TAR Lombardia ha da tempo stabilito che eventuali divieti assoluti di edificazione nelle aree agricole richiedono una specifica e particolare motivazione, in quanto le stesse ledono la legittima aspettativa dell’imprenditore agricolo allo sviluppo della propria attività (cfr. TAR Lombardia, Brescia, 27.06.2005, n. 674; TAR Lombardia, Milano, sez. II, 29.09.2009 n. 4749 e 08.01.2010, n. 3, dove si specifica che la potestà pianificatoria comunale in area agricola coesiste e si armonizza con le prevalenti previsioni legislative).
In questo senso, il divieto assoluto di edificazione di cui al citato art. 38 non appare logico o coerente con le finalità legislative di sviluppo dell’impresa agricola (TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 07.07.2011 n. 1843 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

URBANISTICAAree agricole - Divieto assoluto di edificazione - Necessità di specifica motivazione - Sussiste.
Eventuali divieti assoluti di edificazione nelle aree agricole richiedono una specifica e particolare motivazione, in quanto le stesse ledono la legittima aspettativa dell'imprenditore agricolo allo sviluppo della propria attività (tratto da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 07.07.2011 n. 1843 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Aree agricole - Divieti assoluti di edificazione - Specifica e particolare motivazione.
Eventuali divieti assoluti di edificazione nelle aree agricole richiedono una specifica e particolare motivazione, in quanto le stesse ledono la legittima aspettativa dell’imprenditore agricolo allo sviluppo della propria attività (cfr. TAR Lombardia, Brescia, 27.06.2005, n. 674; TAR Lombardia, Milano, sez. II, 29.09.2009 n. 4749 e 08.01.2010, n. 3, dove si specifica che la potestà pianificatoria comunale in area agricola coesiste e si armonizza con le prevalenti previsioni legislative).
Presenza del bosco - Esclusione del carattere agricolo dell’area - Inconfigurabilità.
La presenza del bosco non esclude il carattere agricolo dell’area -e dell’attività in essa svolta- tanto è vero che l’art. 59, comma 3°, lett. b), della l.r. Lombardia n. 12/2005 riconosce un indice fondiario anche su <<terreni a bosco>>.
Salvaguardia delle aree boschive - Regione Lombardia - Competenza - Province, comunità montane e enti gestori di parchi.
La salvaguardia delle aree boschive, nella Regione Lombardia, non appartiene in via esclusiva ai comuni, ma è riconosciuta in primo luogo alle province, alle comunità montane ed agli enti gestori di parchi e riserve regionali (TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 07.07.2011 n. 1843 - link a www.ambientediritto.it).

URBANISTICA: Le scelte relative alla destinazione dei suoli operate dagli strumenti urbanistici generali necessitano di specifica motivazione quando sussista, in capo al privato, un'aspettativa qualificata.
E' pertinente il richiamo al consolidato orientamento giurisprudenziale (a cui questa Sezione ha fatto recentemente riferimento nella sentenza 14.02.2011 n. 304) secondo cui le scelte relative alla destinazione dei suoli operate dagli strumenti urbanistici generali non necessitano, in linea di massima, di specifica motivazione, salvo i casi in cui non sussista, in capo al privato, un’aspettativa qualificata, che tuttavia non può derivare dalla diversa destinazione urbanistica precedentemente attribuita alla medesima area, rispetto alla quale l'amministrazione conserva ampia discrezionalità, potendo anche modificare in peius la destinazione stessa (cfr. Consiglio di Stato, Sez. V, 29.12.2009 n. 9006).
Nell'elaborazione giurisprudenziale posizioni di aspettativa qualificata, tali da imporre all'amministrazione di motivare le proprie scelte pianificatorie, sono state riconosciute in relazione alle seguenti situazioni:
a) superamento degli standards minimi di cui al d.m. 02.04.1968, con l'avvertenza che la motivazione ulteriore va riferita esclusivamente alle previsioni urbanistiche complessive di sovradimensionamento, indipendentemente dal riferimento alla destinazione di zona di determinate aree;
b) convenzioni di lottizzazione, accordi di diritto privato intercorsi tra il Comune e i proprietari delle aree, giudicati di annullamento di dinieghi di un titolo edilizio o di silenzio-rifiuto su una domanda edilizia;
c) modificazione in zona agricola della destinazione di un'area limitata, interclusa da fondi edificati in modo non abusivo (cfr. Consiglio di Stato, Sez. IV, 12.05.2010 n. 2843 e 22.06.2006 n. 3880; TAR Firenze, Sez. I, 06.07.2010 n. 2307; TAR Napoli, Sez. II, 20.04.2010 n. 2034; TAR Milano, Sez. II, 24.02.2010 n. 452) (TAR Toscana, Sez. I, sentenza 27.06.2011 n. 1092 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

URBANISTICALa regola generale della non necessità di un puntuale onere motivazionale delle nuove destinazioni urbanistiche conferite dallo strumento urbanistico subisce delle eccezioni in alcune situazioni specifiche, in cui il principio della tutela dell'affidamento impone che lo strumento urbanistico dia conto del modo in cui sia stata effettuata la ponderazione degli interessi pubblici e siano state operate le scelte di pianificazione: ciò si verifica nei casi in cui la nuova destinazione urbanistica rispetto alla precedente va ad incidere su singole posizioni, connotate da una fondata aspettativa sulla destinazione dell'area, che per questo si differenziano dalle posizioni degli altri soggetti interessati; l'Amministrazione in tali casi ha il dovere di valutare con attenzione l'opportunità di modificare la precedente destinazione urbanistica di un'area e, se ritiene di dover diversamente disciplinare tale area e sacrificare comunque gli interessi dei soggetti coinvolti, deve indicare le ragioni logiche che hanno portato a tale nuova scelta pianificatoria.
E' stato ripetutamente affermato dalla giurisprudenza amministrativa che la regola generale della non necessità di un puntuale onere motivazionale delle nuove destinazioni urbanistiche conferite dallo strumento urbanistico subisce delle eccezioni in alcune situazioni specifiche, in cui il principio della tutela dell'affidamento impone che lo strumento urbanistico dia conto del modo in cui sia stata effettuata la ponderazione degli interessi pubblici e siano state operate le scelte di pianificazione (rendendole, quindi, sindacabili davanti al giudice amministrativo): ciò si verifica nei casi in cui la nuova destinazione urbanistica rispetto alla precedente va ad incidere su singole posizioni, connotate da una fondata aspettativa sulla destinazione dell'area, che per questo si differenziano dalle posizioni degli altri soggetti interessati; l'Amministrazione in tali casi ha il dovere di valutare con attenzione l'opportunità di modificare la precedente destinazione urbanistica di un'area e, se ritiene di dover diversamente disciplinare tale area e sacrificare comunque gli interessi dei soggetti coinvolti, deve indicare le ragioni logiche che hanno portato a tale nuova scelta pianificatoria.
In tal senso, vengono riconosciute meritevoli di questa particolare forma di tutela quelle situazioni caratterizzate da un affidamento "qualificato", ossia nei casi di:
a) superamento degli standard minimi di cui al d.m. 02.04.1968 - con l'avvertenza che la motivazione ulteriore va riferita esclusivamente alle previsioni urbanistiche complessive di sovradimensionamento, indipendentemente dal riferimento alla destinazione di zona di determinate aree;
b) lesione dell'affidamento qualificato del privato derivante da convenzioni di lottizzazione, accordi di diritto privato intercorsi tra il Comune e i proprietari delle aree, dalle aspettative nascenti da giudicati di annullamento di dinieghi di permesso di costruire o di silenzio-rifiuto su una domanda di concessione;
c) modificazione in zona agricola della destinazione di un'area limitata, interclusa da fondi edificati in modo non abusivo (cfr., da ultimo e tra le tante, TAR Lazio, sez. II, 02.03.2011, n. 1950)
(TAR Lombardia-Milano, Sez. IV, sentenza 21.06.2011 n. 1581 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

URBANISTICA1. Adozione del Piano di Governo del Territorio - Parere della Regione - Art. 13, comma 5-bis, L.R. 12/2005 - Limiti - Previsioni infrastrutturali - Politica territoriale statale - Prevalenza ex lege.
2. Impugnazione dell'atto di adozione dello strumento urbanistico - Presupposti - Generico interesse a una migliore pianificazione del suolo del privato - Insufficienza.
3. Strumenti urbanistici generali - Destinazione di singole aree - Discrezionalità - Sussiste - In caso di aspettativa qualificata - Obbligo di specifica motivazione - Sussiste.
4. PGT - Destinazione a zona agricola - Utilizzo per coltivazione - Non necessita - Finalità di tutela ambientale - Legittimità.

1. Il parere rilasciato dalla Regione ex art. 13, comma 5-bis, L.R. n. 12/2005 ai comuni appartenenti a province non dotate di Piano territoriale di coordinamento da osservarsi a pena di inefficacia, è vincolante per il Comune solo in relazione agli indirizzi regionali di politica territoriale, mentre le previsioni infrastrutturali citate nel parere, attengono non alla politica della Regione stessa, bensì a quella dello Stato: tali prescrizioni statali relative alle infrastrutture strategiche sono in ogni caso destinate a prevalere ex lege -art. 165, codice dei contratti pubblici- "in sostituzione" delle eventuali norme di piano difformi, secondo un meccanismo analogo a quello della "inserzione automatica di clausole", ex art. 1339 c.c., ovvero, a quello dell'"integrazione del contratto", ex art. 1374 c.c. (cfr. TAR Milano, sent. 727/2011; TAR Genova, sent. n. 347/2006).
2. Affinché possa configurarsi l'interesse c.d. strumentale all'impugnazione di uno strumento urbanistico, tale impugnazione deve pur sempre ancorarsi a specifici vizi ravvisati con riferimento alle determinazioni adottate dalla P.A. in ordine al regime dei suoli in proprietà del ricorrente, mentre non può fondarsi sul generico interesse a una migliore pianificazione del proprio suolo, che, in quanto tale, non si differenzia dall'eguale interesse che un quisque de populo potrebbe nutrire (cfr. Cons. di Stato, sent. n. 133/2011, n. 4546/2010, n. 3563/2004, n. 2415/2001).
3. In occasione della formazione di uno strumento urbanistico generale, le scelte discrezionali della P.A. riguardo alla destinazione di singole aree non necessitano di apposita motivazione oltre quella che si può evincere dai criteri generali -di ordine tecnico-discrezionale- seguiti nella impostazione del piano, salvo che particolari situazioni non abbiano creato aspettative o ingenerato affidamenti in favore di soggetti le cui posizioni appaiano meritevoli di specifiche considerazioni (cfr. Cons. di Stato, Ad. Plen. sent. n. 24/1999, Cons. di Stato, sent. n. 5210/2010, n. 5357/2007, n. 5713/2005).
4. La destinazione a zona agricola può essere utilizzata a salvaguardia del paesaggio o dell'ambiente e non presuppone necessariamente che l'area stessa venga utilizzata per colture tipiche o sia già in possesso di tutte le caratteristiche previste dalla legge per tale utilizzazione, rientrando nell'ampia discrezionalità del Comune di orientare gli insediamenti urbani e produttivi in determinate direzioni, ovvero di salvaguardare precisi equilibri dell'assetto territoriale (cfr. Cons. di Stato, sent. n. 1015/2011, n. 6874/2010, n. 547/2008, n. 5723/2005, n. 1456/2003; TAR Milano, sent. n. 1074/2011, n. 7508/2010) (tratto da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 15.06.2011 n. 1554 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAZona agricola - Opere realizzate in funzione della conduzione del fondo - Edificabilità - E' mera possibilità.
La L.R. n. 12/2005 prevedendo, all'art. 59, che nelle aree destinate all'agricoltura dal piano delle regole sono ammesse esclusivamente le opere realizzate in funzione della conduzione del fondo e destinate alle residenze dell'imprenditore agricolo e dei dipendenti dell'azienda, nonché alle attrezzature e infrastrutture produttive necessarie per lo svolgimento delle attività di cui all'art. 2135 c.c., pone un limite alla tipologia di costruzioni che possono essere realizzate in zona agricola proprio a tutela di queste aree, ma non prevede affatto che debba essere sempre e comunque prevista la possibilità di realizzare tali costruzioni (tratto da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 08.06.2011 n. 1468 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

URBANISTICA1. Piano di governo del territorio - Impugnazione - Art. 13, comma 5-bis, L.R. n. 12/2005 - Parere regionale - Carattere vincolante per il Comune - Sussiste in relazione agli indirizzi regionali di politica territoriale - Non sussiste in relazione alle previsioni infrastrutturali strategiche del "Sistema Viabilistico Pedemontano" - Applicabilità del Codice dei Contratti - Sussiste - Prevalenza sulla legge regionale e sulle prescrizioni difformi degli strumenti urbanistici locali - Sussiste.
2. Piano di governo del territorio - Impugnazione - Necessità di ravvisare specifici vizi incidenti sul regime dei suoli in proprietà del ricorrente - Sussiste.
3. Piano di governo del territorio - Impugnazione - Carattere discrezionale delle scelte pianificatorie comunali - Sussiste - Sindacato di legittimità - Non sussiste, salvi errori di fatto o abnormi illogicità.
4. Piano di governo del territorio - Impugnazione - Destinazione di singole aree - Necessità di motivazione ulteriore rispetto ai criteri generali di impostazione del piano - Non sussiste, salva la presenza di particolari aspettative.
5. Piano di governo del territorio - Impugnazione - Destinazione a zona agricola - Utilizzabilità a salvaguardia del paesaggio o dell'ambiente - Sussiste.

1. Il parere regionale prescritto, ai sensi dell'art. 13, comma 5-bis, L.R. n. 12/2005, per i Comuni appartenenti a province non dotate di piano territoriale di coordinamento (P.T.C.P.), e rilasciato dalla Regione Lombardia nella seduta di Giunta del 13.12.2006, è vincolante per il Comune soltanto in relazione agli indirizzi regionali di politica territoriale, mentre le previsioni infrastrutturali citate nel parere della Regione attengono non alla politica territoriale della Regione, bensì a quella dello Stato, trattandosi di interventi previsti dal CIPE che, con la citata deliberazione n. 77/2006, ha approvato il progetto preliminare del "Sistema Viabilistico Pedemontano", ai sensi del D.Lgs. n. 190/2002 e s.m.i., sulla realizzazione delle infrastrutture strategiche e della legge n. 443/2001 (c.d. legge obiettivo).
Si tratta, quindi, di infrastrutture di rilevanza nazionale regolate dal Codice dei contratti pubblici (D.Lgs. n. 163/2006, artt. 161 e ss.), prevalente ex lege (art. 165, comma 7, D. Lgs. n. 163/2006) sulla legge regionale e sulle eventuali prescrizioni difformi degli strumenti urbanistici locali, secondo un meccanismo analogo a quello della "inserzione automatica di clausole", di cui all'art. 1339 cod. civ., ovvero, a quello dell'"integrazione del contratto", ex art. 1374 cod. civ.
2. L'impugnazione di uno strumento urbanistico deve sempre ancorarsi a specifici vizi ravvisati con riferimento alle determinazioni adottate dall'Amministrazione in ordine al regime dei suoli in proprietà del ricorrente, e non può fondarsi sul generico interesse a una migliore pianificazione del proprio suolo, che in quanto tale non si differenzia dall'eguale interesse che quisque de populo potrebbe nutrire.
3. Le scelte effettuate dall'Amministrazione in sede di adozione-approvazione degli atti di pianificazione del territorio costituiscono apprezzamenti di merito o, comunque, espressione di ampia potestà discrezionale, sottratte al sindacato di legittimità, salvo che non siano inficiate da errori di fatto o abnormi illogicità.
4. In occasione della formazione di uno strumento urbanistico generale, le scelte discrezionali dell'Amministrazione riguardo alla destinazione di singole aree non necessitano di apposita motivazione, oltre quella che si può evincere dai criteri generali -di ordine tecnico-discrezionale- seguiti nella impostazione del piano, salvo che particolari situazioni non abbiano creato aspettative o ingenerato affidamenti in favore di soggetti le cui posizioni appaiano meritevoli di specifiche considerazioni.
5. La destinazione a zona agricola può essere utilizzata a salvaguardia del paesaggio o dell'ambiente e non presuppone necessariamente che l'area stessa venga utilizzata per colture tipiche o sia già in possesso di tutte le caratteristiche previste dalla legge per tale utilizzazione, rientrando nell'ampia discrezionalità del Comune di orientare gli insediamenti urbani e produttivi in determinate direzioni, ovvero di salvaguardare precisi equilibri dell'assetto territoriale (tratto da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 04.05.2011 n. 1144 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA: RIFIUTI - Discarica di rifiuti in area a destinazione agricola - Limiti - Attività di gestione di rifiuti - Specifica localizzazione - PRG - Giurisprudenza amministrativa condivisa.
La realizzazione di un impianto destinato a discarica ed attività di gestione di rifiuti in area a destinazione agricola non può non riguardare opere per le quali gli strumenti urbanistici non prevedano una specifica localizzazione e che, per loro natura, non possono essere ubicati altro che in zona agricola.
Diversamente argomentando, verrebbe vanificata la zonizzazione del territorio e l'individuazione delle diverse destinazioni d'uso. Tale opzione ermeneutica pare peraltro condivisa anche dalla giurisprudenza amministrativa (Cons. Stato Sez. V n. 7243, 01.10.2010; Sez. V n. 1557, 18.03.2002) (Cass. Sez. III, 10/04/2002 n. 13641) (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 28.04.2011 n. 16592 - link a www.ambientediritto.it).

URBANISTICA: PGT - Destinazione a zona agricola - Utilizzo per coltivazione - Non necessita - Finalità di tutela ambientale - Legittimità.
La destinazione agricola di un'area non implica necessariamente l'esercizio dell'attività agricola sulla stessa, potendo invece essere ispirata anche da esigenze di salvaguardia ambientale (cfr. TAR Milano, sent. 7508/2010; Cons. di Stato, sent. n. 1015/2011, n. 6874/2010) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 27.04.2011 n. 1074 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAL’ubicazione del canile è compatibile con la destinazione d’uso a zona agricola e non rende necessaria alcuna variante dello strumento urbanistico generale.
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Sia il canile che l’azienda venatoria sono compatibili con la destinazione agricola dell’area e non è pacificamente necessaria la DIA per il canile, così come per l’azienda venatoria.

Comune di Bagnoregio ... contro Comune di Viterbo ...
per l'annullamento della DELIBERA 25/06 AVENTE AD OGGETTO: LAVORI DI COSTRUZIONE DEL CANILE MUNICIPALE IN LOC. FRACASSA - STRADA PROVINCIALE PRATOLEVA - IX CIRCOSCRIZIONE - CONTRODEDUZIONI E OSSERVAZIONI - 23-BIS.
...
Ritenuto e considerato in fatto ed in diritto quanto segue:
1 – Che a seguito di avviso pubblico in data 03.06.2004 il Comune di Viterbo si rendeva acquirente del terreno agricolo sito in località Fracassa, al confine del territorio del Comune di Viterbo con quelli di Bagnoregio e Celleno e ricadente nel perimetro dell'Azienda Faunistico- Venatoria "Carbonara", ed in data 16.12.2004 il Consiglio Comunale approvava il progetto preliminare dell'erigendo canile e contestualmente la variante urbanistica con la quale il terreno acquistato, "zonizzato" come E4 (zona agricola), veniva trasformato in F3 (servizi e attrezzature tecnologici e specializzati);
2 – Che, avendo avuto notizia di tali vicende, facevano pervenire osservazioni in opposizione al Comune, in tempi diversi, l'ing. Tecchi, la Signora Michelina Tecchi Cristofori Celiani (proprietaria di un'azienda agricola limitrofa alla zona in questione), il Comune di Bagnoregio, e alcuni cittadini (circa sessanta) residenti in prossimità del luogo;
...
9 – Che, tuttavia, ogni ulteriore approfondimento sull’eccezione in esame appare superfluo, considerato che il ricorso palesa comunque la propria non fondatezza nel merito;
10- Che, in particolare, quanto ai singoli motivi di ricorso:
1) l’ubicazione del canile è compatibile con la destinazione d’uso a zona agricola e non rende necessaria alcuna variante dello strumento urbanistico generale, e ciò fa perdere ogni rilievo alle censure sub 1;
2) dagli atti depositati in giudizio risulta lo svolgimento di un’adeguata istruttoria, che ha in particolare consentito di escludere la presenza di “insediamenti abitativi” in prossimità, senza con ciò escludere, ed anzi dando atto della presenza, di alcune abitazioni rurali, che risultano (restando del tutto irrilevanti eventuali fenomeni di edilizia “spontanea” o abusiva) del tutto compatibili con il canile, sulla premessa della sua compatibilità (riconosciuta dalla costante giurisprudenza) con la destinazione agricola della zona, facendo ciò cadere le censure sub 2;
3) la presenza di un inceneritore di portata maggiore rispetto alla taglia media di un cane viene adeguatamente motivata, nel progetto, con ragioni di economia di gestione, e da sola non lascia ipotizzare alcuno sviamento, come invece sostenuto nella censura sub 3;
4) le censure sub 4, comunque estranee allo osservazioni ed alla conseguenti controdeduzioni della delibera impugnata, non si sostanziano in alcuna specifica evidenziazione di illegittimità, e comunque appaiono contraddette dalle norme che sottopongono il canile municipale ad un’adeguata sorveglianza sanitaria e veterinaria, sempre necessaria, indipendentemente dal fatto che i possibili bersagli delle temute infezioni siano animali selvatici o domestici diversi da quelli dell’azienda venatoria in questione e dai cani da caccia dei relativi clienti;
5) quanto infine alla contestata violazione della normativa ambientale ed alla affermata mancata ponderazione dei valori ambientali, di cui l’azienda venatoria ricorrente sarebbe portatrice, osserva il Collegio che sia il canile che l’azienda venatoria sono compatibili con la destinazione agricola dell’area e che non è pacificamente necessaria la DIA per il canile, così come per l’azienda venatoria. Pertanto, non venendo neppure allegata alcuna censura relativa a specifiche presunte violazioni ambientali in danno dell’azienda (ed essendo, in ogni caso, gli “ospiti” del canile ristretti in un’area sorvegliata e ben confinata), la dedotta censura si palesa priva di consistenza;
11 – Che il ricorso , in disparte ogni considerazione circa la sua inammissibilità, palesa quindi la propria non fondatezza e deve pertanto essere respinto (TAR Lazio-Roma, Sez. II-bis, sentenza 26.04.2011 n. 3583 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Realizzazione in zona a verde agricolo di una strada posta al servizio di un nuovo immobile a destinazione residenziale, nel caso in cui la normativa regionale consenta esclusivamente la realizzazione di opere funzionali alla conduzione del fondo agricolo.
Ove una disposizione normativa regionale preveda espressamente che nelle zone agricole possono realizzarsi esclusivamente opere funzionali alla conduzione del fondo agricolo e, pertanto, limiti gli interventi in tali zone non solo dal punto di vista della realizzazione di volumetria fruibile, ma anche in relazione a qualsiasi tipo di attrezzatura o infrastruttura che possa comunque incidere sulla copertura della superficie, deve ritenersi che anche l’intervento consistente nella realizzazione di una strada, debba essere subordinato e/o possa essere assentito all’esito positivo della preventiva verifica della effettiva necessità della medesima strada per la conduzione del fondo; in tal caso, pertanto, è legittimo il provvedimento con il quale l’ente locale ha evidenziato la non compatibilità con la destinazione agricola della zona, di una strada costruita per essere posta al servizio di un nuovo immobile a destinazione residenziale, non sussistendo alcun collegamento tra l’opera realizzata e la funzionalizzazione imposta dalla norma regionale (1).
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(1) Nella motivazione della sentenza in rassegna si ammette lealmente che, secondo il più diffuso orientamento giurisprudenziale, "non può riconoscersi incompatibilità –e pertanto non occorre la preventiva approvazione di una variante– fra la destinazione a zona agricola contenuta in uno strumento urbanistico e la costruzione di una strada che l’attraversi, qualora la destinazione specifica non sia alterata e turbata" (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 09.12.1983 n. 907; TAR Sicilia-Catania, 18.11.1987, n. 1395), sebbene tale impostazione conti anche decisioni in senso contrario (si veda TAR Campania-Napoli, sez. V, 11.09.2001, n. 4102).
Tuttavia, il criterio generale, di carattere interpretativo, non può trovare applicazione ove questo venga a scontrarsi con espresse previsioni normative in senso opposto.
Nella specie infatti era applicabile (ratione temporis), la legge regionale della Lombardia 07.06.1980, n. 93 recante "Norme in materia di edificazione nelle zone agricole", che all’art. 2, comma 1, recita: "In tutte le aree destinate dagli strumenti urbanistici generali a zona agricola sono ammesse esclusivamente le opere realizzate in funzione della conduzione del fondo e destinate alle residenze dell'imprenditore agricolo e dei dipendenti dell'azienda, nonché alle attrezzature e infrastrutture produttive quali stalle, silos, serre, magazzini, locali per la lavorazione e la conservazione e vendita dei prodotti agricoli secondo i criteri e le modalità previsti dal successivo art. 3".
Lo stesso articolo, al comma 3, precisa: "Nel computo dei volumi realizzabili non sono conteggiate le attrezzature e le infrastrutture produttive di cui al comma 1° del presente articolo, le quali non sono sottoposte a limiti volumetrici; esse comunque non possono superare il rapporto di copertura del 10% dell'intera superficie aziendale, salvo che per le serre per le quali tale rapporto non può superare il 40% della predetta superficie".
Dalla lettura della norma, secondo la sentenza in rassegna, appare palese l’attenzione del legislatore a limitare gli interventi nelle aree agricole non solo dal punto di vista della realizzazione di volumetria fruibile, ma anche in relazione a qualsiasi tipo di attrezzatura o infrastruttura che possa comunque incidere sulla copertura della superficie. In questa ottica, anche una strada, sebbene tipologia di intervento non indicata nella casistica non esaustiva del comma 1, va certamente fatta ricadere nella tipologia di opere ivi regolate (massima tratta da www.regione.piemonte.it - Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 01.04.2011 n. 2041 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: OGGETTO: Quesiti inerenti le possibilità di intervento in aree con destinazione agricola di cui agli artt. 59-62 della L.R. n. 12/2005. Richiesta parere circa la corretta interpretazione applicativa della norma (Regione Lombardia, Direzione Generale Territorio e Urbanistica, Programmazione e Pianificazione Territoriale, nota 30.03.2011 n. 9064 di prot.).

URBANISTICA: 1. PRG - Osservazioni alla variante - Analisi separata delle Osservazioni - Non occorre.
2. Scelte discrezionali dell'amministrazione nell'adozione di strumenti urbanistici - Sindacato di legittimità - Esclusione.
3. Strumenti urbanistici generali - Motivazione necessaria - Fattispecie.

1. La disposizione di cui all'art. 3, comma 4, lett. b), Legge Regionale n. 23/1997, interpretata in un'ottica sostanzialistica, non prevede affatto che le singole osservazioni debbano essere analizzate singolarmente, ma più semplicemente obbliga l'Amministrazione a prenderle tutte in considerazione e a fornire una motivazione in relazione alle stesse.
2. Le scelte effettuate dall'Amministrazione nell'adozione degli strumenti urbanistici costituiscono apprezzamento di merito sottratto al sindacato di legittimità, salvo che non siano inficiate da errori di fatto o abnormi illogicità e che in occasione della formazione di uno strumento urbanistico generale le scelte discrezionali dell'amministrazione non necessitino di apposita motivazione, oltre quella che si può evincere dai criteri generali seguiti nell'impostazione del piano stesso.
3. Le uniche evenienze che giustificano una più incisiva e singolare motivazione degli strumenti urbanistici generali sono:
a) il superamento degli standards minimi di cui al D.M. 02.04.1968, con riferimento alle previsioni urbanistiche complessive di sovradimensionamento, indipendentemente dal riferimento alla destinazione di zona di determinate aree;
b) la lesione dell'affidamento qualificato del privato derivante da convenzioni di lottizzazione, accordi di diritto privato intercorsi fra il Comune e i proprietari delle aree, aspettative nascenti da giudicati di annullamento di concessioni edilizie o di silenzio-rifiuto su una domanda di concessione;
c) nella modificazione in zona agricola della destinazione di un'area limitata, interclusa da fondi edificati in modo non abusivo (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. IV, sentenza 04.02.2011 n. 357 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVI: Atti a contenuto urbanistico o edilizio - Associazioni ambientaliste - Legittimazione ad agire - Sussiste - Fattispecie: lottizzazione abusiva in area agricola.
Le associazioni ambientaliste riconosciute sono legittimate ad agire in giudizio non solo per la tutela degli interessi ambientali "in senso stretto", ma anche per quelli ambientali "in senso lato", comprendenti cioè la conservazione e valorizzazione dell'ambiente in senso ampio, del paesaggio urbano, rurale, naturale, dei monumenti e dei centri storici, intesi tutti quali beni e valori idonei a caratterizzare in modo originale, peculiare ed irripetibile un certo ambito geografico territoriale rispetto ad altri. Ne consegue che dette associazioni possono agire anche in relazione ad atti a contenuto urbanistico o edilizio, purché idonei a pregiudicare il bene dell'ambiente come definito in termini normativi.
Nella specie, è stata riconosciuta, piena legittimazione all’ass. Legambiente, dovendo ritenersi ormai pacifico che la destinazione di un'area a zona agricola riveste una finalità di tutela a valenza conservativa anche dei valori ambientali, venendo a costituire il polmone dell'insediamento urbano ed assumendo per tale via la funzione decongestionante e di contenimento dell'espansione dell'aggregato urbano (Corte di cassazione, Sez. III penale, sentenza 03.02.2011 n. 3872 - link a www.ambientediritto.it).

anno 2010

URBANISTICA: La destinazione di un'area a zona agricola ben può essere disposta a salvaguardia del paesaggio o dell'ambiente.
La giurisprudenza è costante nel ritenere che le scelte effettuate dall'amministrazione in sede di adozione-approvazione degli atti di pianificazione del territorio costituiscano apprezzamento di merito o, comunque, espressione di ampia potestà discrezionale, sottratto al sindacato di legittimità salvo che non siano inficiate da errori di fatto o abnormi illogicità (cfr., fra le tante, Cons. Stato, Sez. IV, 21.05.2007, n. 2571).
Per giurisprudenza costante, invero, la destinazione di un'area a zona agricola ben può essere disposta a salvaguardia del paesaggio o dell'ambiente e non presuppone necessariamente che l'area stessa venga utilizzata ad uso agricolo (cfr. Cons. St., sez. IV, 03.11.2008, n. 5478; Tar Trentino Alto Adige-Trento, 09.02.2010, n. 41; Tar Abruzzo, Pescara, sez. I, 12.01.2009, n. 33; Tar Campania Napoli, sez. II, 23.09.2009, n. 5043) (TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 10.12.2010 n. 7508 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

URBANISTICA1. PGT - Osservazioni dei privati - Termine ultimo per la decisione del Comune sulle osservazioni - Art. 13, comma 7, L.R. 12/2005 - Interpretazione letterale - Inammissibilità.
2. PGT - Osservazioni dei privati - Termine ultimo per la decisione del Comune sulle osservazioni - Art. 13, comma 7, L.R. 12/2005 - Inefficacia degli atti assunti fuori termine - Presupposti - Solo in caso di adozione atti non preceduta dalla decisione sulle osservazioni presentate dagli interessati.
3. PGT - Osservazioni dei privati - Termine ultimo per la decisione del Comune sulle osservazioni - Art. 13, comma 7, L.R. 12/2005 - Natura ordinatoria.
4. Scelte della P.A. in sede di PRG e sue varianti generali - Ampia discrezionalità - Sindacato del giudice amministrativo - Solo nei limiti di errori di fatto o di abnormi illogicità.
5. PGT - Destinazione a zona agricola - Utilizzo per coltivazione - Non necessita - Finalità di tutela ambientale - Legittimità.

1. Non è ammissibile un'interpretazione letterale della previsione di cui all'art. 13, comma 7, L.R. 12/2005, poiché individuando la ratio dell'art. 13 nell'esigenza di dettare una rigida tempistica procedimentale a fini acceleratori, correlando alla mera violazione del termine previsto dal comma 7 l'inefficacia degli atti del p.g.t., si otterrebbero esiti contrastanti con il principio di buon andamento dell'azione amministrativa, posto dall'art. 97 Cost.; in particolare, qualora si ritenesse che all'inutile scadenza del termine entro il quale il Consiglio Comunale deve decidere sulle osservazioni consegua la perdita di efficacia del provvedimento di adozione del p.g.t., allora l'attività amministrativa precedentemente esercitata verrebbe posta nel nulla, con conseguente obbligo per l'amministrazione di rinnovare l'intero procedimento, il tutto in contrasto con il principio di economicità oltre che con la stessa ratio acceleratoria sottesa alla norma.
2. L'inefficacia prevista ex art. 13, comma 7, L.R. 12/2005 integra una sanzione dettata non a tutela di adempimenti formali, come il mero rispetto della tempistica procedimentale, bensì di esigenze sostanziali, emergenti nell'ipotesi in cui il piano di governo del territorio sia approvato in assenza di una decisione sulle osservazioni o non recepisca le osservazioni accolte, con la conseguenza che l'inefficacia degli atti assunti dal Comune si verifica solo quando la loro adozione non sia stata preceduta dalla decisione delle osservazioni presentate dagli interessati.
3. In materia di PGT, la mera violazione del termine di novanta giorni previsto dall'art. 13, comma 7, L.R. 12/2005, in caso di adozione di atti di pianificazione del territorio preceduta dalla decisione del Comune sulle osservazioni presentate dagli interessati, non comporta conseguenza alcuna, dovendo detto termine ritenersi meramente ordinatorio.
4. Le scelte effettuate dalla P.A. in sede di adozione-approvazione degli atti di pianificazione del territorio costituiscono apprezzamento di merito o, comunque, espressione di ampia potestà discrezionale, sottratto al sindacato di legittimità salvo che tali scelte non siano inficiate da errori di fatto o abnormi illogicità (cfr. Cons. di Stato, sent. n. 2571/2007; TAR Milano, sent. n. 1093/2010, n. 1277/2006).
5. La destinazione di un'area a zona agricola a ragione può essere disposta a salvaguardia del paesaggio o dell'ambiente e non presuppone necessariamente che l'area stessa venga utilizzata ad uso agricolo (cfr. Cons. di Stato, sent. n. 5478/2008; TAR Trento, sent. n. 41/2010; TAR Pescara, sent. n. 33/2009) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 10.12.2010 n. 7508 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

URBANISTICA: 1. Piano regolatore - Motivazione dettagliata delle scelte urbanistiche - Non sempre necessaria.
2. Piano regolatore - Area agricola - Utilizzo culture tipiche - Non necessario.

1. L'obbligo di una più puntuale motivazione delle scelte urbanistiche adottate dall'Amministrazione sussiste solo in specifiche evenienze, quali il superamento degli standards minimi, l'esistenza in favore del privato di giudicati favorevoli ovvero la presenza di accordi con l'Ente locale, quali le convenzioni di lottizzazione.
Tali ipotesi non ricorrono nel caso in cui non esiste alcun atto o provvedimento dell'Amministrazione comunale dal quale si possa ragionevolmente desumersi l'esistenza in favore dei ricorrenti di un affidamento qualificato.
2. La destinazione a zona agricola di una determinata area non presuppone necessariamente che essa sia utilizzata per culture tipiche o possegga le caratteristiche per una simile utilizzazione, trattandosi di una scelta, tipicamente e ampiamente discrezionale, con la quale l'Amministrazione comunale ben può avere l'interesse a tutelare e salvaguardare il paesaggio o a conservare valori naturalistici ovvero a decongestionare o contenere l'espansione dell'aggregato urbano (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. IV, sentenza 25.11.2010 n. 7362 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: 1. Zona agricola - Possibilità per Comune e Provincia di dettare disciplina differenziata - Sussiste.
2. Zona agricola - Indici edificatori - Possibilità di fissazione di limiti inferiori - Sussiste.

1. In materia di edificazione nelle zone agricole, la vigente L.R. 12/2005 sul governo del territorio consente al Comune di dettare una disciplina differenziata per le zone agricole, dal momento che essa demanda agli strumenti urbanistici comunali ed in particolare al piano delle regole, la definizione, per le aree destinate all'agricoltura, della relativa disciplina "d'uso, di valorizzazione e di salvaguardia" (cfr. TAR Brescia, sent. n. 1/2009); analogo potere conformativo sulle aree agricole è attribuito alla Provincia, attraverso il piano territoriale di coordinamento provinciale (PTCP), dall'art. 15, comma 4, della L.R. 12/2005.
2. In ordine agli indici edificatori, ex art. 59, comma 3, L.R. 12/2005, è previsto soltanto un limite massimo di densità fondiaria, con conseguente possibilità di fissazione di limiti inferiori, nell'ambito della potestà di pianificazione urbanistica (cfr. TAR Brescia, sent. n. 1/2009) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 22.11.2010 n. 7305 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: L'elemento soggettivo relativo alla qualifica del richiedente (agricoltore o imprenditore agricolo) il permesso di costruire in zona agricola è del tutto irrilevante se il soggetto non intende avvalersi dell'esonero del pagamento degli oneri per costruire.
Elemento oggettivo indispensabile è, invece, la titolarità della proprietà o l'esistenza di altro titolo idoneo di disponibilità del bene, oltre naturalmente alla compatibilità con gli strumenti urbanistici.

Come già affermato dal TAR Sicilia (Palermo Sez. III sentenza n. 3 del 2008) l'elemento soggettivo relativo alla qualifica del richiedente (agricoltore o imprenditore agricolo) il permesso di costruire in zona agricola è del tutto irrilevante se il soggetto non intende avvalersi dell'esonero del pagamento degli oneri per costruire.
Elemento oggettivo indispensabile è invece la titolarità della proprietà o l'esistenza di altro titolo idoneo di disponibilità del bene, oltre naturalmente alla compatibilità con gli strumenti urbanistici (TAR Lazio-Roma, Sez. II, sentenza 02.11.2010 n. 33106 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Comune di Bassano in Teverina - Parere in merito alla possibilità di realizzare una piscina in zona agricola soggetta a vincolo paesaggistico (Regione Lazio, parere 24.05.2010 n. 128441 di prot.).

URBANISTICA: Pianificazione urbanistica - Potere discrezionale dell’amministrazione - Motivazione - Limiti.
Nelle scelte di pianificazione, la valutazione dell’idoneità delle singole aree a soddisfare, con riferimento alle possibili destinazioni, specifici interessi urbanistici, costituisce espressione del potere discrezionale dell’amministrazione (fra le più recenti: Consiglio Stato, sez. IV, 04.12.2009, n. 7654): nell’esercizio di tale potere l’amministrazione non ha la necessità di dare una motivazione specifica sulle scelte adottate in ordine alla destinazione delle singole aree in quanto le stesse trovano giustificazione nei criteri generali di impostazione del piano (Consiglio di Stato, sez. IV, 24.04.2009, n. 2630; sez. V, 02.03.2009, n. 1149), con la conseguenza che tali scelte possono essere censurate soltanto in presenza di evidenti vizi logico-giuridici nel quadro delle linee portanti della pianificazione.
Pianificazione urbanistica - Osservazioni dei cittadini - Natura - Apporto collaborativo - Rigetto o accoglimento - Motivazione - Limiti.
Le osservazioni proposte dai cittadini nei confronti degli atti di pianificazione urbanistica non costituiscono veri e propri rimedi giuridici ma semplici apporti collaborativi e, pertanto, il loro rigetto o il loro accoglimento non richiede una motivazione analitica, essendo sufficiente che esse siano state esaminate e confrontate con gli interessi generali dello strumento pianificatorio (Consiglio di Stato, sez. IV, 18.06.2009, n. 4024 cit.).
Pianificazione urbanistica - Scelte - Sindacato giurisdizionale - Limiti - Comparazione con la destinazione urbanistica impressa ad aree adiacenti - Vizio di eccesso di potere per disparità di trattamento - Inconfigurabilità.
Le scelte urbanistiche circa la disciplina del territorio possono formare oggetto di sindacato giurisdizionale nei soli casi di arbitrarietà, irrazionalità o irragionevolezza ovvero di palese travisamento dei fatti, che costituiscono i limiti della discrezionalità amministrativa (Consiglio di Stato, sez. IV, 18.06.2009, n. 4024 cit.), con la conseguenza che, a meno che non siano riscontrabili errori di fatto o abnormi illogicità, non è configurabile neppure il vizio di eccesso di potere per disparità di trattamento basata sulla comparazione con la destinazione impressa ad altre zone adiacenti (fra le tante: Consiglio di Stato, sez. IV, 18.06.2009, n. 4024)
Pianificazione urbanistica - Discrezionalità amministrativa - Limite - Affidamento qualificato - Esempi - Connesso onere motivazionale.
La regola generale dell’ampia discrezionalità amministrativa nelle scelte di pianificazione urbanistica subisce un'eccezione in alcune situazioni specifiche in cui il principio della tutela dell’affidamento impone che il piano regolatore dia conto del modo in cui è stata effettuata la ponderazione degli interessi pubblici e sono state operate le scelte di pianificazione.
Meritevoli di questa particolare forma di tutela sono peraltro solo quelle situazioni caratterizzate da un affidamento “qualificato” (Consiglio di Stato, sez. IV, 07.04.2008, n. 1476).
Tale posizione è stata riconosciuta:
a) nel superamento degli standard minimi di cui al d.m. 02.04.1968, con l'avvertenza che la motivazione ulteriore va riferita esclusivamente alle previsioni urbanistiche complessive di sovradimensionamento, indipendentemente dal riferimento alla destinazione di zona di determinate aree;
b) nella lesione dell'affidamento qualificato del privato derivante da convenzioni di lottizzazione, accordi di diritto privato intercorsi tra il Comune e i proprietari delle aree, dalle aspettative nascenti da giudicati di annullamento di dinieghi di concessione edilizia (oggi permesso di costruire) o di silenzio-rifiuto su una domanda di concessione;
c) nella modificazione in zona agricola della destinazione di un'area limitata, interclusa da fondi edificati in modo non abusivo (Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria, 22.12.1999, n. 24, Consiglio di Stato, sez. III, 06.10.2009, n. 1610; sez. V, 02.03.2009, n. 1149; sez. VI, 18.04.2007, n. 1784).
Negli altri casi l’esistenza di una precedente diversa previsione urbanistica non comporta invece per l’amministrazione la necessità di fornire particolari spiegazioni sulle ragioni delle diverse scelte operate anche quando queste sono nettamente peggiorative per i proprietari (e per le loro aspettative), dovendosi (in tali altri casi) dare prevalente rilievo all’interesse pubblico che le nuove scelte pianificatorie intendono perseguire.
Destinazione urbanistica difforme da quella previgente - Esistenza di fabbricati - Ostacolo - Esclusione - Fattispecie: interventi edilizi esistenti in zona agricola.
L'esistenza di fabbricati, anche di recente costruzione, non può essere considerata di ostacolo all'introduzione di destinazioni urbanistiche difformi da quelle previgenti sulle corrispondenti aree di sedime (TAR Lombardia Brescia, 12.01.2001, n. 2; Consiglio di Stato, sez. IV, 02.11.1995, n. 887).
In particolare, per quanto riguarda l’esistenza di immobili in zona agricola, nonostante la realizzazione di interventi edilizi sul suolo, la destinazione a verde agricolo può considerarsi pur sempre rispondente ad apprezzabili esigenze funzionali di sviluppo equilibrato e sostenibile dell'agglomerato, nonché di salvaguardia della vivibilità urbana (TAR Lombardia, Brescia, 20.10.2005, n. 1043), della salubrità (Consiglio di Stato, sez. V, 19.04.2005, n. 1782; sez. IV, 20.09.2005, n. 4818 e n. 4828) e della qualità ambientale.
Destinazione a verde agricolo - Finalità di contenimento dell’espansione dell’aggregato urbano.
La destinazione a verde agricolo di un'area, che rientra nell'ampia discrezionalità del comune di orientare gli insediamenti urbani in determinate direzioni, ovvero di salvaguardare precisi equilibri dell'assetto territoriale, può legittimamente anche essere preordinata ad un uso non strettamente agricolo, ma alla finalità di conservazione dei valori naturalistici ed ambientali e di contenimento del fenomeno di espansione dell'aggregato urbano (Consiglio di Stato, sez. IV, 25.07.2007, n. 4149; 03.11.2008, n. 5478), con una finalità che non è preclusa in radice dall'esecuzione di attività costruttive sull'area medesima, ma, anzi, concretizzabile nell'arresto di tali attività (TAR Campania Napoli, sez. VIII, 17.09.2009, n. 4977).
Strumento urbanistico - Procedimento di approvazione - Atto complesso ineguale.
Il procedimento di approvazione di uno strumento urbanistico (o di una sua variante) costituisce un atto complesso ineguale in ragione del fatto che deve intendersi la risultante del concorso di diversi atti di volontà, quello di livello comunale, esponenziale e rappresentativo della collettività e degli interessi locali, e quello regionale (e provinciale), espressione di un più ampio potere di indirizzo e coordinamento in materia urbanistica.
Ciò comporta che sul piano procedimentale, la dialettica che si instaura tra i diversi livelli di governo non ha una dimensione statica ed immutabile bensì presenta margini di variabilità in ragione della misura di convergenza delle valutazioni effettuate nei due diversi stadi decisori.
Strumento urbanistico - Approvazione in “stralci” - Nuova disciplina urbanistica diretta a completare la pianificazione - Potere comunale - Permanenza - Motivazione dello stralcio - Natura di raccomandazione.
L’approvazione di uno strumento urbanistico in stralci lascia integro ed impregiudicato il potere del Comune di riproporre una nuova disciplina urbanistica diretta a completare la pianificazione relativamente alle aree oggetto di stralcio e l'autorità comunale resta libera nell'attività di completamento della disciplina urbanistica, costituendo la motivazione dello stralcio una "raccomandazione" in funzione del (rinnovato) esercizio della potestà pianificatoria da parte dell'Ente (Consiglio di Stato, Sezione IV, 29.10.2002, n. 5912).
Non assumendo poi la "raccomandazione" natura di atto autoritativo, vincolante, il Comune può recepire le indicazioni provenienti dall'autorità cui l'ordinamento riconosce il potere di approvare la strumentazione urbanistica, condividendo le considerazioni esposte da tale autorità, ovvero discostarsene motivatamente in sede di variante integrativa (TAR Campania-Napoli, Sez. II, sentenza 20.04.2010 n. 2043 - link a www.ambientediritto.it).

URBANISTICA: 1. Scelte effettuate dalla P.A. in sede di PRG e sue varianti generali - Ampia discrezionalità - Sussiste - Sindacabilità da parte del giudice amministrativo - Solo nei limiti della manifesta illogicità ed evidente travisamento dei fatti.
2. Scelte effettuate dalla P.A. in sede di PRG e sue varianti generali - Apposita motivazione - Necessità - Non sussiste.
3. Scelte effettuate dalla P.A. in sede di PRG e sue varianti generali - Aspettative o affidamenti in favore di soggetti le cui posizioni appaiano meritevoli di specifiche considerazioni - Presupposti - Numerus clausus.

1. Le scelte compiute dalla P.A. in sede di formazione del piano regolatore o di variante dello stesso sono espressione dell'ampia discrezionalità tecnica di cui essa dispone in materia: pertanto, la sindacabilità di tali scelte è ammissibile solo nei ristretti limiti della manifesta illogicità, arbitrarietà ed evidente travisamento dei fatti (Cons. di Stato, sent. n. 6686/2007; TAR Milano, sent. n. 3653/2009).
2. Le scelte discrezionali della P.A. riguardo alla destinazione di singole aree, di regola, non necessitano di apposita motivazione, oltre a quella che si può evincere dai criteri generali, di ordine tecnico-discrezionale, seguiti nell'impostazione del piano stesso mediante l'espresso riferimento alla relazione di accompagnamento al piano regolatore generale (cfr. Cons. Stato, Ad. Plen., sent. n. 24/1999; Cons. Stato, sent. n. 173/2002; Sez. IV, n. 6917/2002; Sez. IV, n. 2899/2002).
3. Le evenienze ritenute idonee a creare aspettative o affidamenti in favore di soggetti le cui posizioni appaiano meritevoli di specifiche considerazioni sono sussumibili sotto le tre seguenti fattispecie:
a) superamento degli standards minimi di cui al DM 02.04.1968, con l'avvertenza che la motivazione ulteriore va riferita esclusivamente alle previsioni urbanistiche complessive di sovradimensionamento, indipendentemente dal riferimento alla destinazione di zona di determinate aree;
b) nella lesione dell'affidamento qualificato del privato derivante da convenzioni di lottizzazione, accordi di diritto privato intercorsi fra il Comune e i proprietari delle aree, aspettative nascenti da giudicati di annullamento di dinieghi di concessione edilizia o di silenzio rifiuto su domanda di concessione edilizia etc. (cfr. Cons. di Stato, Ad. Plen., sent. n. 24/1999);
c) nella modificazione in zona agricola della destinazione di un'area limitata, interclusa da fondi edificati in modo non abusivo (cfr. Cons. di Stato, sent. n. 594/1999) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 15.04.2010 n. 1093 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

URBANISTICATRASFORMAZIONE DA ZONA AGRICOLA A ZONA RESIDENZIALE-COMMERCIALE: CHI E COME SI PUO' RICORRERE A TUTELA DELL'AMBIENTE.
1. Giudizio amministrativo - Procedura - Legittimazione - Attiva - Associazioni di protezione ambientale - Strutture territoriali - Non sussiste - Ragioni.
2. Giudizio amministrativo - Procedura - Legittimazione - Attiva - Concessione edilizia - Proprietario di immobile sito in zona interessata dalla costruzione -Sussiste.
3. Piani urbanistici - Regolatore generale - Impugnazione - Inammissibilità - In caso di mancata notifica alla Regione - Sussistenza - Ragioni.

1. La speciale legittimazione delle associazioni di protezione ambientale a ricorrere in sede di giurisdizione amministrativa per l'annullamento di atti illegittimi, riconosciuta dall'art. 18, L. n. 349/1986, riguarda l'associazione ambientalistica nazionale formalmente riconosciuta e non le sue strutture territoriali, che non possono ritenersi munite di autonoma legittimazione processuale neppure per l'impugnazione di provvedimenti ed efficacia territorialmente limitata.
Ed infatti, il carattere nazionale o ultraregionale dell'Associazione costituisce al tempo stesso presupposto del riconoscimento e limite della legittimazione speciale, che ha dunque carattere ontologicamente unitario.
Solo l'Associazione nazionale in quanto tale è dunque titolare ex lege, proprio in virtù delle caratteristiche che ne consentono il riconoscimento, della legittimazione alla causa e solo questa è giusta parte anche nel caso di giudizio introdotto dall'impugnazione di provvedimenti ad effetti ambientali circoscritti (Cons. Stato, sez. IV, 14-04-2006 n. 2151; vedi anche cfr. TAR Veneto, sez. II, 26-02-2007 n. 513).
2. La legittimazione a impugnare una concessione edilizia deve essere riconosciuta al proprietario di un immobile sito nella zona interessata alla costruzione, o comunque a chi si trovi in una situazione di stabile collegamento con la zona stessa, senza che sia necessario dimostrare ulteriormente la sussistenza di un interesse qualificato alla tutela giurisdizionale (Cons. Stato, sez. V, 07-05-2008 n. 2086; Cons. Stato, sez. IV, 12-09-2007 n. 4821; Cons. Stato, sez. V, 05-02-2007 n. 452).
3. Il ricorso avverso le disposizioni di P.R.G. deve essere notificato, oltre che al Comune, anche alla Regione, in considerazione della natura complessa dell'atto impugnato e del concorso della volontà di entrambi gli enti alla sua formazione definitiva.
L'omesso assolvimento di tale onere implica l'inammissibilità del ricorso, per la sua mancata notificazione a una delle autorità emananti (Cons. Stato, sez. V, 19-05-1998 n. 616) (massima tratta da http://mondolegale.it - TAR Veneto, Sez. II, sentenza 12.04.2010 n. 1323 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Non sussiste una pregiudiziale incompatibilità tra la destinazione agricola di un'area e la sua utilizzazione a parcheggio.
La destinazione a zona agricola di un'area, salva la previsione di particolari vincoli ambientali o paesistici, non impone un obbligo specifico di utilizzazione effettiva in tal senso, avendo solo lo scopo di evitare insediamenti residenziali; essa, pertanto, non costituisce ostacolo alla installazione di opere che non riguardino l'edilizia residenziale e che, per contro, si rivelino per ovvi motivi incompatibili con zone abitate e quindi necessariamente da realizzare in aperta campagna.

Non sussiste una pregiudiziale incompatibilità tra la destinazione agricola di un'area e la sua utilizzazione a parcheggio: la giurisprudenza amministrativa, infatti, ha avuto occasione di chiarire che la destinazione a zona agricola di un'area, salva la previsione di particolari vincoli ambientali o paesistici, non impone un obbligo specifico di utilizzazione effettiva in tal senso, avendo solo lo scopo di evitare insediamenti residenziali; essa, pertanto, non costituisce ostacolo alla installazione di opere che non riguardino l'edilizia residenziale e che, per contro, si rivelino per ovvi motivi incompatibili con zone abitate e quindi necessariamente da realizzare in aperta campagna (cfr., CdS, Sez. V, 15.06.2001 n. 3178; TAR Veneto, Sez. II, 31.10.2000 n. 1952 e Sez. III, 18.03.2002 n. 1108) (TAR Sardegna, Sez. II, sentenza 15.02.2010 n. 178 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

anno 2009

EDILIZIA PRIVATA: Applicazione artt. 16-17 D.P.R. 380/2001 in area agricola.
E’ chiesto parere in merito all’applicazione degli artt. 16 e 17 del D.P.R. n. 380/2001 in area agricola.
Il Comune richiedente presenta, in particolare, tre quesiti del seguente tenore:
1) con riferimento ai requisiti delle figure professionali operanti in agricoltura, si chiede di chiarire quali siano i casi di esenzione al pagamento del contributo di costruzione di cui all’art. 17, comma 3, lettera a) del D.P.R. n. 380/2001 e s.m.i.;
2) in caso di applicazione del contributo di costruzione in area agricola, si chiede di chiarire quali siano i parametri da utilizzare per il calcolo degli oneri di urbanizzazione e del costo di costruzione di cui all’art. 16 del D.P.R. 380/2001 e s.m.i.;
3) in caso di applicazione del contributo di costruzione in area agricola, si chiede di chiarire se sia comunque richiesta la presentazione dell’atto di impegno previsto dall’art. 25, comma 7, della L.R. 56/1977 e s.m.i. (Regione Piemonte, parere n. 110/2009 - tratto da www.regione.piemonte.it).

EDILIZIA PRIVATA: Permesso di costruzione in area agricola di una strada di accesso a proprietà privata.
E’ chiesto parere in merito alla legittimità del rilascio di permesso di costruire per la realizzazione, in area agricola, di una strada di accesso a proprietà privata.

Il Comune richiedente segnala che in data 21.07.2008 è stata presentata, presso i propri uffici, istanza di permesso di costruire per la realizzazione di una “strada di accesso alla proprietà e formazione di recinzione” in area agricola di P.R.G.C., soggetta sia a vincolo paesaggistico sia a vincolo idrogeologico.
Come precisato dal Comune, a seguito di richiesta di ulteriori informazioni, la strada in progetto consentirebbe l’accesso carraio –e non soltanto pedonale, come consente l’attuale passaggio– ad un nucleo costituito da alcuni fabbricati ad uso abitativo siti, come detto, in area agricola di piano regolatore generale.
Il Comune segnala inoltre –dopo aver precisato che il “progetto definitivo del nuovo P.R.G.I. è stato adottato con D.C.C.M.M.R. n. 17 del 21.09.2006”- che “sia nell’art. 41 delle N.T.A. del P.R.G.C. vigente che nell’art. 3.5.1 Aree E1 delle N.T.A. del PRGC adottato non è normata la realizzazione delle opere di cui sopra, bensì la nuova costruzione è intesa come realizzazione di fabbricati accessori per la residenza ed attrezzature rurali-agricole, ma non è trattata la realizzazione di strade e viali di accesso alla proprietà”.
Il Comune precisa, infine, che, per quanto concerne il P.R.G.C. adottato, l’intervento in questione sarebbe normato, in particolare, dall’art. 3.5.6 delle N.T.A. contenente “norme particolari per gli edifici esistenti nel territorio agricolo adibiti ad usi extra-agricoli o abbandonati”.
Il Comune chiede, dunque, se “davanti ad un vuoto normativo a livello locale in merito a tale intervento sia legittimo autorizzare tali opere o se la mancata regolamentazione nelle NTA del PRGC operanti nel Comune sia presupposto legittimo per il diniego del permesso di costruire
(Regione Piemonte, parere n. 109/2009 - tratto da www.regione.piemonte.it).

URBANISTICA: PRG - Natura di atto complesso - Interpretazione unilaterale - Esclusione.
Il PRG essendo un atto complesso comporta che, dal momento dell'approvazione regionale, non è più possibile una interpretazione unilaterale da parte del Comune o della Regione ma essa va effettuata d'intesa tra le due autorità.
Pianificazione generale - Zona agricola - Funzione.
Ai sensi del T.U. n. 380/2001, la destinazione a zona agricola di un'area, costituisce espressione del potere conformativo del diritto di proprietà e non determina disparità di trattamento, in quanto la valutazione sulla possibilità di edificazione non si ricollega ad una distinzione tra cittadini, ma solo alla particolare destinazione dei beni.
Pianificazione urbanistica - Individuazione delle zone agricole - Funzione - Fattispecie.
L’individuazione delle zone agricole nell'ambito del contesto pianificatorio svolge anche una funzione ambientale, considerando che la loro individuazione può essere utilizzata pure a salvaguardia del paesaggio e dell'ambiente "e non presuppone necessariamente che l'area stessa venga utilizzata per colture tipiche o sia già in possesso di tutte le caratteristiche previste dalla legge per tale utilizzazione" (Consiglio di Stato, Sez. IV: 14.10.2005, n. 5713; 31.01.2005, n. 259; 22.06.2004, n. 4466; 10.12.2003, n. 8146).
Nella specie, diventa superflua, conseguentemente, ogni discettazione circa la delimitazione interpretativa della categoria degli "addetti all'agricoltura", a fronte di una situazione di fatto che oggettivamente vanifica la valenza conservativa dei valori naturalistici attribuita alla zona agricola (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 08.10.2009 n. 39078 - link a www.ambientediritto.it).

EDILIZIA PRIVATA: EDIFICABILITA' NELLE AREE AGRICOLE.
1.- Attività edilizia - Limitata - Per le zone agricole "E" - Normativa applicabile - Art. 2, L.R. Lombardia n. 93/1980 - In via sussidiaria alla pianificazione urbanistica comunale.
2.- Autorizzazione - Alla escavazione di un pozzo - Tutela affidamento privato alla successiva realizzazione di un edificio - Non sussiste.
3.- Zone agricole "E" - Poteri comunali - Sussistenza - Delimitazione - In relazione alla L.R. Lombardia n. 12/2005.
4.- Edificabilità su aree agricole - Art. 59, co. 3, L.R. Lombardia n. 12/2005 - Limiti massimi - Potere comunale - Esercitabile - Entro i limiti.
5.- Edificabilità in aree agricole - Art. 59, L.R. Lombardia n. 12/2005 - Criteri di riferimento per individuare i soggetti legittimati a costruire.

1.- L'articolo 2 della L.R. n. 93/1980, nel prevedere la normativa applicabile nei territori dei Comuni per le zone agricole "E", non ha precluso all'autorità urbanistica l'esercizio del più pieno potere di pianificazione del territorio, anche in funzione di salvaguardia dei valori ambientali e paesaggistici.
Le disposizioni dell'art. 2 della legge regionale si applicano in via sussidiaria, solo ove manchino specifiche prescrizioni dello strumento urbanistico, e non rendono illegittime le scelte inerenti alla assoluta inedificabilità e immodificabilità delle aree agricole, ovvero quelle che subordinano l'identificazione delle possibili modifiche all'adozione di un piano attuativo, volto alla razionale gestione del territorio.
2.- Nessuna tutela dell'affidamento può derivare da atti diretti a scopi diversi ed aventi ad oggetto beni diversi da quelli che il privato si aspetta di acquisire dall'amministrazione. Non è possibile ritenere che l'autorizzazione all'escavazione di un pozzo possa costituire implicita manifestazione di assenso alla realizzazione di edifici in zona agricola in quanto si tratta di atto relativo semplicemente alla conduzione agricola del fondo indipendentemente dalle sue modalità.
3.- La L.R. n. 12/2005 (che ha sostanzialmente riprodotto le disposizioni della L.R. 07.06.1980 n. 93 - Norme in materia di edificazione nelle zone agricole) demanda alla strumentazione urbanistica comunale (oggi Piano delle regole) oltre all'individuazione delle aree destinate all'agricoltura, la definizione della relativa "disciplina d'uso, di valorizzazione e di salvaguardia" (art. 10, co. 4, lett. a, punto 1), in conformità con quanto previsto dagli artt. 59 ss. della stessa legge regionale.
4.- Con riferimento, alle costruzioni con finalità (anche) residenziale, occorre evidenziare che l'art. 59, co. 3, L.R. n. 12/2005 stabilisce indici edificatori che costituiscono per il pianificatore comunale solo un limite massimo.
Tale inciso, letto in correlazione con i nuovi poteri pianificatori comunali di cui all'art. 10, co. 4, lett. a) punto 1 e con il principio di sussidiarietà verticale di cui all'art. 118, co. 1, Cost., porta alla conclusione che se il Comune non può prevedere limiti superiori a quelli contenuti nell'art. 59 (in forza della norma di prevalenza ex art. 61) non per questo allo stesso è sottratto il potere di stabilire limiti inferiori od altri tipi di limiti, nel rispetto delle altre fonti normative e dei principi generali dell'azione amministrativa.
In sostanza la previsione di uno "statuto" della disciplina edificatoria nelle aree agricole, determinato direttamente con legge, mediante una disciplina edificatoria inderogabile e direttamente applicabile sull'intero territorio regionale, pare volto a dettare una disciplina uniforme nei limiti massimi, diretta a tutelare, piuttosto che le esigenze edificatorie dell'agricoltura intesa come produzione, la funzione generale di contenimento dell'attività edilizia in zona agricola anche prevalendo su norme più permissive introdotte a livello locale.
Ne consegue che tale disciplina non impedisce al Comune di individuare altri interessi di valore preminente che, riguardando anche le zone agricole, comportino l'adozione di una disciplina più restrittiva dell'edificabilità agricola.
5.- L'articolo 59 della L.R. n. 12/2005 prevede che l'azienda costituisca il criterio di riferimento per individuare i soggetti legittimati a costruire in zona agricola (l'imprenditore agricolo ed i dipendenti dell'azienda) e correla i limiti volumetrici per le attrezzature e le infrastrutture produttive alla superficie aziendale.
Il riferimento contenuto nell'art. 12.4 delle n.t.a. al complesso aziendale per disciplinare l'edificabilità costituisce quindi un criterio che trova fondamento nello statuto delle aree agricole stabilito dalla legge regionale (
massima tratta da
http://mondolegale.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 29.09.2009 n. 4749 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

URBANISTICA: POTERI DISCREZIONALI DELL’AMMINISTRAZIONE IN AMBITI URBANISTICI.
1- Destinazione uso – Destinazione di singole aree non necessitino di apposita motivazione – Scelte discrezionali dell’Amministrazione – Motivazione degli strumenti urbanistici generali – Non è necessaria – Eccezioni - Ratio.
2- Programmi urbani complessi – Partecipazione dei privati – Osservazioni - Natura.
1-
Le scelte discrezionali dell'amministrazione riguardo alla destinazione di singole aree non necessitino di apposita motivazione, oltre a quella che si può evincere dai criteri generali -di ordine tecnico-discrezionale- seguiti nell'impostazione del piano stesso (Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria, n. 24/1999; Sez. IV, n. 2639/2000; n. 245/2000; n. 1943/1999; n. 887/1995), essendo sufficiente l'espresso riferimento alla relazione di accompagnamento al piano regolatore generale, salvo che particolari situazioni non abbiano creato aspettative o affidamenti in favore di soggetti le cui posizioni appaiano meritevoli di specifiche considerazioni (Consiglio di Stato, Sez. VI, n. 173/2002; Sez. IV, n. 6917/2002 e 2899/2002).
Le evenienze che giustificano una più incisiva e singolare motivazione degli strumenti urbanistici generali sono state ravvisate dalla giurisprudenza (Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria, citata):
a) nel superamento degli standards minimi di cui al d.m. 02.04.1968, con l'avvertenza che la motivazione ulteriore va riferita esclusivamente alle previsioni urbanistiche complessive di sovradimensionamento, indipendentemente dal riferimento alla destinazione di zona di determinate aree;
b) nella lesione dell'affidamento qualificato del privato – convenzioni di lottizzazione, accordi di diritto privato intercorsi fra il Comune e i proprietari delle aree, aspettative nascenti da giudicati di annullamento di dinieghi di concessione edilizia o di silenzio rifiuto su domanda di concessione edilizia (Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria citata);
c) nella modificazione in zona agricola della destinazione di un'area limitata, interclusa da fondi edificati in modo non abusivo (Consiglio di Stato, Sez. IV, numero 594/1999).
Le scelte effettuate dall'amministrazione in sede di adozione-approvazione del piano regolatore generale o di sue varianti costituiscono apprezzamento di merito o, comunque, espressione di ampia potestà discrezionale, sottratto al sindacato di legittimità salvo che non siano inficiate da errori di fatto o abnormi illogicità (Consiglio di Stato, Sez. IV, 21.05.2007, n. 2571).
2- Le osservazioni dei privati ai progetti di strumenti urbanistici sono un mero apporto collaborativo alla formazione di detti strumenti e non danno luogo a peculiari aspettative, con la conseguenza che il loro rigetto non richiede una specifica motivazione, essendo sufficiente che esse siano state esaminate e ritenute in contrasto con gli interessi e le considerazioni generali poste a base della formazione del piano (Consiglio di Stato, Sez. IV, 07.07.2008, n. 3358) (massima tratta da http://mondolegale.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 10.09.2009 n. 4646 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

URBANISTICA: Destinazione agricola.
La destinazione di un'area a zona agricola non dipende necessariamente dalla relativa vocazione ma può essere sorretta dalla scelta discrezionale, e motivata sul piano generale, di orientare gli insediamenti urbani e produttivi in date direzioni ovvero di salvaguardare precisi equilibri dell'assetto territoriale tra zone edificate e non, al fine di impedire addensamenti edilizi che possano risultare pregiudizievoli per le condizioni di vivibilità delle popolazioni insediate (TAR Lombardia-Brescia, sentenza 24.06.2009 n. 1318 - link a www.lexambiente.it).

URBANISTICA: La destinazione a zona agricola di una determinata area non presuppone necessariamente che essa sia utilizzata per culture tipiche o possegga le caratteristiche per un simile utilizzazione, trattandosi di una scelta tipicamente e ampiamente discrezionale.
La destinazione di un'area a zona agricola non dipende necessariamente dalla relativa vocazione ma può essere sorretta dalla scelta discrezionale, e motivata sul piano generale, di orientare gli insediamenti urbani e produttivi in date direzioni ovvero di salvaguardare precisi equilibri dell'assetto territoriale tra zone edificate e non, al fine di impedire addensamenti edilizi che possano risultare pregiudizievoli per le condizioni di vivibilità delle popolazioni insediate (TAR Milano, Sez. II, sent. n. 1092 del 27-05-2005; conforme Tar Milano, sez. II, sent. n. 935 del 10-05-2005; nello stesso senso Cons. Stato, sez. IV, 30.12.2008, n. 6600 “la destinazione a zona agricola di una determinata area non presuppone necessariamente che essa sia utilizzata per culture tipiche o possegga le caratteristiche per un simile utilizzazione, trattandosi di una scelta, tipicamente e ampiamente discrezionale, con la quale l'amministrazione comunale ben può aver interesse a tutelare e salvaguardare il paesaggio o a conservare valori naturalistici ovvero a decongestionare o contenere l'espansione dell'aggregato urbano”) (TAR Lombardia-Brescia, sentenza 24.06.2009 n. 1318 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Esercizio impresa riparazione macchine agricole. Zona agricola P.R.G..
Si pone una questione spesso presente, dotata di notevole rilievo: si chiedono chiarimenti in merito alla legittimità, o meno, dell’esercizio di una piccola impresa artigiana di riparazione di macchine agricole in zona agricola di P.R.G..
In particolare, il Comune chiede se sia giuridicamente consentita l’installazione di un’attività artigianale di riparazione di macchinari agricoli in un’area individuata come “agricola” nel P.R.G.C., precisando che le relative Norme Tecniche di Attuazione, pur non contenendo disposizioni specifiche, vietano l’esercizio di attività aventi “caratteristiche industriali o commerciali” (Regione Piemonte, parere n. 69/2009 - link a www.regione.piemonte.it).

URBANISTICA: PRG - Destinazione a zona agricola - Utilizzo per coltivazione - Non necessita - Discrezionalità - Sussistenza.
La destinazione a zona agricola di una determinata area non presuppone necessariamente che essa sia utilizzata per colture tipiche o possegga le caratteristiche per un simile utilizzazione, trattandosi di una scelta, tipicamente e ampiamente discrezionale, con la quale l'amministrazione comunale ben può aver interesse a tutelare e salvaguardare il paesaggio o a conservare valori naturalistici ovvero a decongestionare o contenere l'espansione dell'aggregato urbano (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Brescia, Sez. I, sentenza 13.05.2009 n. 1022 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Zona agricola - Immobile poggiante su blocchi di cemento - Carattere permanente dell'opera - Sussiste - Incidenza sull'assetto urbanistico ed edilizio del terreno - Sussiste.
Un immobile in zona agricola che non appoggi direttamente sul terreno, ma su blocchi di cemento, è opera a carattere permanente che imprime all'area una trasformazione di consistenza tale da incidere in modo rilevante sull'assetto urbanistico ed edilizio dei terreni (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 24.04.2009 n. 3586 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: ENERGIA - Impianti alimentati da fonti rinnovabili - Inizio dei lavori - Individuazione - Art. 2, c. 159, Legge finanziaria 2008 - Normativa speciale rispetto alla materia edilizia - Differenza rispetto al concetto “classico” di inizio lavori.
Per l’individuazione del momento in cui devono ritenersi iniziati i lavori relativi agli impianti alimentati da fonti rinnovabili occorre fare riferimento al disposto dell’art. 2, comma 159, legge n. 244 del 24.12.2007 (legge finanziaria 2008).
La norma correttamente intesa richiede la disponibilità delle aree destinate ad ospitare l’impianto e l'accettazione del preventivo di allacciamento alla rete elettrica formulato dal gestore competente, o, in alternativa alla suddetta accettazione del preventivo di allacciamento alla rete elettrica, a) l'indizione di gare di appalto o la stipulazione di contratti per l'acquisizione di macchinari o per l a costruzione di opere relative all'impianto, ovvero b) la stipulazione di contratti di finanziamento dell'iniziativa o l'ottenimento in loro favore di misure di incentivazione previste da altre leggi a carico del bilancio dello Stato.
Tale normativa è speciale e successiva a quella generale prevista in materia edilizia: non può, quindi, essere condivisa la prospettazione che ritiene trattarsi di opere meramente edilizie a cui si applicherebbe il concetto classico di “inizio lavori” in base al quale i lavori possono ritenersi iniziati solo allorquando le opere intraprese sono di consistenza tale da manifestare in modo concreto e palese il serio intento di realizzare il complesso delle opere autorizzate.
ENERGIA - Fonti rinnovabili - Art. 12, cc. 1 e 7, d.lgs. 387/2003 - Favor legis - Protocollo di Kyoto - Installazione degli impianti in zona agricola - Comuni - Governo del territorio - Previsioni di aree specificamente destinate agli impianti eolici - Legittimità.
L'utilizzazione delle fonti di energia rinnovabile è considerata di pubblico interesse e di pubblica utilità, e le opere relative sono dichiarate indifferibili ed urgenti (art. 12, comma 1, del d.lgs. 387/2003), anche in considerazione del fatto che la riduzione delle emissioni di gas ad effetto serra attraverso la ricerca, la promozione, lo sviluppo e la maggior utilizzazione di fonti energetiche rinnovabili e di tecnologie avanzate e compatibili con l'ambiente costituisce un impegno internazionale assunto dall'Italia con la sottoscrizione del Protocollo di Kyoto dell'11 dicembre 1997. Espressione evidente di tale favor legislativo per le fonti rinnovabili è la previsione dell'articolo 12, comma 7, del d.lgs. 387/2003, sulla possibilità di installare gli impianti anche in zona agricola.
Peraltro, detta possibilità non è senza limiti. I Comuni possono infatti prevedere, nell'esercizio della propria discrezionalità in materia di governo del territorio, aree specificamente destinate ad impianti eolici. Solo in mancanza di una simile previsione conformativa, detti impianti possono essere localizzati, senza distinzione (almeno, per quanto riguarda la valutazione di compatibilità urbanistica), in tutte le zone agricole (TAR Umbria, 15.07.2007, n. 518) (TAR Puglia-Bari, Sez. III, sentenza 22.04.2009 n. 983 - link a www.ambientediritto.it).

EDILIZIA PRIVATAMutamento destinazione d’uso (da agricola ad artigianale).
E’ chiesto parere in merito alla legittimità dell’accoglimento dell’istanza di permesso di costruire, presentata da un ex imprenditore agricolo a titolo principale ormai in pensione, volta ad ottenere il mutamento della destinazione d’uso –da agricola ad artigianale– ex art. 25, comma 10, L.R. n. 56/1977, di un preesistente magazzino agricolo di proprietà (Regione Piemonte, parere n. 12/2009 - link a www.regione.piemonte.it).

EDILIZIA PRIVATAIl favor legislativo per le fonti rinnovabili si riverbera sulla possibilità di installare gli impianti fotovoltaici anche in zona agricola.
E’ infondata la censura relativa all’assenza, in capo al Comune, del potere di disciplinare la realizzazione e, più in particolare, l’ubicazione degli impianti di energia rinnovabile.
Il favor legislativo per le fonti rinnovabili, che si riverbera tra l’altro sulla possibilità di installare gli impianti suddetti anche in zona agricola, non è infatti senza limiti.
Ciò in quanto, ai sensi dell’art. 12, comma 7, del decreto legislativo n. 387 del 2003, i Comuni possono certamente prevedere, nell’esercizio della propria discrezionalità in materia di governo del territorio, aree specificamente destinate o meno a tal fine. La disposizione citata sottintende proprio tale potere, laddove prevede che “nell’ubicazione si dovrà tenere conto delle disposizioni in materia di sostegno nel settore agricolo, con particolare riferimento alla valorizzazione delle tradizioni agroalimentari locali, alla tutela della biodiversità, così come del patrimonio culturale e del paesaggio rurale” (cfr. TAR Umbria, 15.06.2007, n. 518).
Emerge dunque come le amministrazioni comunali, nel favorire l’installazione di impianti di energia pulita, conservino in ogni caso un certo potere discrezionale teso a disciplinare –se del caso anche mediante atti regolamentari a carattere generale, come nella specie– il corretto inserimento di tali strutture nel rispetto dei fondamentali valori della tradizione agroalimentare locale e del paesaggio rurale
(TAR Puglia-Lecce, Sez. I, sentenza 15.01.2009 n. 59 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

URBANISTICA: P.R.G. e P.G.T. - Zona agricola di salvaguardia - Previsione - Legittimità - Sussistenza.
Va ritenuta la legittimità delle previsioni urbanistiche locali che, nell'ambito della zona agricola, introducono una disciplina edificatoria differenziata, e più restrittiva, rispetto a quella della zona agricola tradizionale dove potrebbero trovare applicazione diretta le prescrizioni edificatorie di cui agli artt. 2, 3 e 4 della L.r. n. 93/1980 (nel caso di specie Zona E1 - Agricola di salvaguardia, finalizzata di garantire distanze adeguate tra le aree di espansione residenziale e gli edifici destinati all'attività agricola), anche al di fuori dalle ipotesi di cui al richiamato art. 1 comma 3 della L.r. n. 93/1980, ed anche dopo l'entrata in vigore della L.r. n. 12/2005 che demanda alla strumentazione urbanistica comunale (oggi Piano delle regole) oltre all'individuazione delle aree destinate all'agricoltura, la definizione della relativa "disciplina d'uso, di valorizzazione e di salvaguardia" (art. 10, comma 4, lett. a), punto 1), in conformità con quanto previsto dagli artt. 59 ss. della stessa L.r..
La citata disposizione contiene l'inciso secondo cui detti indici "non possono superare" i limiti ivi indicati, che, letto in correlazione con i nuovi poteri pianificatori comunali di cui all'art. 10, co. 4, lett. a), p.to 1, e con il principio di sussidiarietà verticale di cui all'art. 118 Cost., porta alla conclusione che se il Comune non può prevedere limiti superiori a quelli contenuti nell'art. 59 (in forza della norma di prevalenza ex art. 61) non per questo allo stesso è sottratto il potere di stabilire limiti inferiori.
Se il Legislatore regionale post riforma del Titolo V della Costituzione avesse, infatti, voluto dettare una disciplina edificatoria uniforme, inderogabile e direttamente applicabile sull'intero territorio regionale (derogando così, per esigenze unitarie, al ridetto principio di sussidiarietà), avrebbe certamente usato espressioni chiare e univoche, senza quindi predefinire limiti massimi di edificabilità attraverso il richiamato art. 61 della L.r. 12/2005 (norma che, nel caso in esame, svolge solo l'ovvia funzione generale di contenimento dell'attività edilizia in zona agricola anche prevalendo su norme più permissive introdotte a livello locale) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Brescia, sentenza 08.01.2009 n. 1 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

anno 2008

EDILIZIA PRIVATA: Costruzioni in zona agricola e qualifica d'imprenditore agricolo.
In tema di reati edilizi, non è sufficiente il possesso temporaneo di fatto della qualifica d'imprenditore agricolo professionale (art. 1, comma 5-ter, D.Lgs. 29.03.2004, n. 99) ai fini del rilascio del permesso di costruire in zona agricola, in quanto i requisiti soggettivi per il rilascio di tale permesso devono esistere al momento della richiesta ed al momento del rilascio del titolo abilitativo (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 15.12.2008 n. 46085 - link a www.lexambiente.it).

EDILIZIA PRIVATA: Comune di Sora - Parere in merito alla ammissibilità di demolizione e ricostruzione in zona agricola con spostamento dell'area di sedime (Regione Lazio, parere 24.11.2008 n. 163967 di prot.).

EDILIZIA PRIVATA: 1. Zona agricola - Permesso di costruire - Rilascio - Normativa - Ratio.
2. Zona agricola - Permesso di costruire - Rilascio - Azienda Agricola - Esistenza - Interpretazione.

1. La ratio delle disposizioni che regolano il rilascio del permesso di costruire nelle zone agricole è quella di far sì che l'edificazione in tali zone venga accordata solo all'imprenditore agricolo e per la sola realizzazione di opere funzionali alla conduzione del fondo o comunque strumentali all'attività produttiva. Tale funzionalità all'attività agricola è dunque il parametro base con cui interpretare l'obbligo del Sindaco di verificare l'effettiva esistenza ed il funzionamento dell'azienda agricola.
2. L'accertamento da parte del Sindaco dell'effettiva esistenza e funzionamento dell'attività agricola di cui all'art. 3 della legge regionale n. 93/1980, le cui disposizioni sono oggi confluite nell'art. 60 della legge regionale n. 12/2005 deve soffermarsi sull'effettiva destinazione funzionale dei manufatti progettati all'attività di produzione agricola, indipendentemente dalla preesistenza sull'area di un'azienda agricola, essendo sufficiente l'esistenza dell'azienda agricola sia pure agli inizi (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 17.10.2008 n. 5151).

EDILIZIA PRIVATA: Zona agricola - Divieto di edificazione di costruzioni non a servizio dell'attività agricola.
L'utilizzo di un'area agricola per il parcheggio degli autoveicoli determina un utilizzo duraturo del territorio quale area attrezzata per la sosta che si pone in contrasto con la normativa tecnica di piano che vieta la realizzazione di nuove costruzioni non a servizio dell'attività agricola
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 09.06.2008 n. 1945).

EDILIZIA PRIVATA: Venuti meni i requisiti soggettivi per l'edificazione gratuita in zona gratuita appena due anni dopo l'edificazione.
Il primo motivo di ricorso, in base al quale avendo l’immobile comunque una destinazione residenziale non vi sarebbe il presupposto per l’applicazione dell’art. 19, comma 3, del DPR 380/2001 e dell’art. 52, comma 3, della LR 12/2005, non appare condivisibile.
Le suddette norme prendono in considerazione l’uso qualificato che deriva dalla presenza di un’azienda agricola, e quindi presuppongono il collegamento tra l’edificio residenziale e la coltivazione del fondo.
Se viene meno l’attività agricola a titolo principale l’abitazione fuoriesce dalla fattispecie particolare che giustificava la deroga al divieto di edificazione e al principio di onerosità e acquista una destinazione residenziale semplice, come tale sottoposta alle normali regole previste dagli strumenti urbanistici per gli interventi edificatori.
Solo se la perdita del collegamento con l’attività agricola professionale avviene oltre il termine previsto dalla legge (10 anni dall’ultimazione dei lavori) scatta una presunzione assoluta circa il consolidamento della situazione sotto il profilo urbanistico.
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Con il secondo motivo il ricorrente lamenta la violazione dell’art. 19, comma 3, del DPR 380/2001 e dell’art. 52, comma 3, della LR 12/2005, in quanto il trasferimento di proprietà avvenuto per via ereditaria dovrebbe essere considerato irrilevante ai fini del cambio di destinazione. Neppure questa tesi può essere condivisa.
Il regime di favore collegato alla posizione di imprenditore agricolo a titolo principale è strettamente personale e non si trasmette agli eredi se questi ultimi non siano a loro volta imprenditori agricoli allo stesso titolo.
L’esenzione dagli oneri di concessione ha il proprio fondamento nella presenza di un’azienda agricola per una durata minima di 10 anni. Entro questo limite temporale la normativa sopra richiamata impone che l’uso residenziale dell’edificio sia strumentale allo svolgimento di attività agricola professionale, e dunque i soggetti che a qualunque titolo si succedono nella proprietà del bene devono garantire questa condizione.
Se il nuovo proprietario non è in grado di assicurare la continuità del suddetto collegamento tra l’edificio e l’attività agricola professionale si riespandono le esigenze di natura urbanistica che richiedono un bilanciamento in termini economici tra l’utilità derivante dall’edificazione e il peso che il nuovo edificio aggiunge al territorio.

... per l'annullamento del provvedimento del responsabile dell’Area Tecnica prot. n. 14113 del 09.04.2004, con il quale è stato ingiunto al ricorrente il pagamento degli oneri di urbanizzazione primaria e secondaria e del contributo sul costo di costruzione;
...
Il Comune di Castiglione delle Stiviere aveva rilasciato al signor S.D.S. la concessione edilizia n. 619/2000 del 24.05.2001 per la realizzazione di una casa rurale in via Casino Pernestano sul mappale n. 406. L’area è situata in zona agricola. La concessione edilizia è stata rilasciata in quanto il richiedente era imprenditore agricolo a titolo principale. Per lo stesso motivo vi è stato esonero dal contributo di costruzione in base alla deroga prevista dall’art. 9, comma 1, lett. a), della legge 28.01.1977 n. 10 e dall’art. 3, comma 1, lett. a), della LR 07.06.1980 n. 93. Il medesimo trattamento è ora previsto dall’art. 17, comma 3, del DPR 06.06.2001 n. 380 e dall’art. 60, comma 1, lett. a), della LR 11.03.2005 n. 12.
Dopo il decesso del signor S.D.S., avvenuto il 13.03.2002, nel titolo edilizio è subentrato il figlio M.D.S.. Quest’ultimo ha presentato una DIA in data 20.03.2002 per realizzare una variante in corso d’opera consistente nell’ampliamento della cantina e nella modifica di aperture, scala e recinzione. La costruzione dell’edificio è stata ultimata il 16.06.2002 (come risulta dalla dichiarazione di fine lavori depositata in Comune il 10.03.2003).
Poiché il signor M.D.S. non possiede i requisiti soggettivi per edificare in zona agricola il Comune con provvedimento del responsabile dell’Area Tecnica prot. n. 14113 del 09.04.2004 ha ingiunto il pagamento degli oneri di urbanizzazione primaria e secondaria e del contributo sul costo di costruzione (complessivamente € 9.418,13). Questa decisione si basa sul presupposto che il subentro di un diverso soggetto nel titolo edilizio avrebbe modificato la destinazione d’uso dell’immobile realizzando una fattispecie assimilabile a quella dell’art. 10, comma 3, della legge 10/1977 (v. ora l’art. 19, comma 3, del DPR 380/2001 e l’art. 52, comma 3, della LR 12/2005).
Contro il suddetto provvedimento il signor M.D.S. ha presentato ricorso con atto notificato il 07.05.2004 e depositato il 14.05.2004. Le censure possono essere sintetizzate nei punti seguenti: a) travisamento dei fatti, in quanto la destinazione dell’immobile è comunque residenziale; b) violazione dell’art. 19, comma 3, del DPR 380/2001, in quanto il trasferimento di proprietà rilevante sarebbe solo quello determinato dalla cessione inter vivos. Il Comune si è costituito in giudizio chiedendo la reiezione della domanda del ricorrente.
Il primo motivo di ricorso, in base al quale avendo l’immobile comunque una destinazione residenziale non vi sarebbe il presupposto per l’applicazione dell’art. 19, comma 3, del DPR 380/2001 e dell’art. 52, comma 3, della LR 12/2005, non appare condivisibile. Le suddette norme prendono in considerazione l’uso qualificato che deriva dalla presenza di un’azienda agricola, e quindi presuppongono il collegamento tra l’edificio residenziale e la coltivazione del fondo. Se viene meno l’attività agricola a titolo principale l’abitazione fuoriesce dalla fattispecie particolare che giustificava la deroga al divieto di edificazione e al principio di onerosità e acquista una destinazione residenziale semplice, come tale sottoposta alle normali regole previste dagli strumenti urbanistici per gli interventi edificatori. Solo se la perdita del collegamento con l’attività agricola professionale avviene oltre il termine previsto dalla legge (10 anni dall’ultimazione dei lavori) scatta una presunzione assoluta circa il consolidamento della situazione sotto il profilo urbanistico.
Il fatto che il ricorrente abbia acquisito l’iscrizione nel registro delle imprese come imprenditore agricolo a decorrere dal 10.05.2002 non è sufficiente a garantire la continuità dell’originario titolo di esenzione dagli oneri di concessione, in quanto non è dimostrato che l’attività agricola sia svolta a titolo principale secondo i parametri individuati dalla Regione (DGR 02.07.2001 n. 7/5326 e successive modifiche).
Con il secondo motivo il ricorrente lamenta la violazione dell’art. 19, comma 3, del DPR 380/2001 e dell’art. 52, comma 3, della LR 12/2005, in quanto il trasferimento di proprietà avvenuto per via ereditaria dovrebbe essere considerato irrilevante ai fini del cambio di destinazione. Neppure questa tesi può essere condivisa. Il regime di favore collegato alla posizione di imprenditore agricolo a titolo principale è strettamente personale e non si trasmette agli eredi se questi ultimi non siano a loro volta imprenditori agricoli allo stesso titolo. L’esenzione dagli oneri di concessione ha il proprio fondamento nella presenza di un’azienda agricola per una durata minima di 10 anni. Entro questo limite temporale la normativa sopra richiamata impone che l’uso residenziale dell’edificio sia strumentale allo svolgimento di attività agricola professionale, e dunque i soggetti che a qualunque titolo si succedono nella proprietà del bene devono garantire questa condizione. Se il nuovo proprietario non è in grado di assicurare la continuità del suddetto collegamento tra l’edificio e l’attività agricola professionale si riespandono le esigenze di natura urbanistica che richiedono un bilanciamento in termini economici tra l’utilità derivante dall’edificazione e il peso che il nuovo edificio aggiunge al territorio.
Il ricorso deve quindi essere respinto (
TAR Lombardia-Brescia, sentenza 03.06.2008 n. 595 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAImprenditore agricolo - Esenzione oneri di concessione - Strettamente personale - Eredi - Intrasmissibilità.
Il regime di favore collegato alla posizione di imprenditore agricolo a titolo principale è strettamente personale e non si trasmette agli eredi se questi ultimi non siano a loro volta imprenditori agricoli allo stesso titolo. L'esenzione dagli oneri di concessione ha il proprio fondamento nella presenza di un'azienda agricola per una durata minima di 10 anni. Entro questo limite temporale la normativa sopra richiamata impone che l'uso residenziale dell'edificio sia strumentale allo svolgimento di attività agricola professionale, e dunque i soggetti che a qualunque titolo si succedono nella proprietà del bene devono garantire questa condizione. Se il nuovo proprietario non è in grado di assicurare la continuità del suddetto collegamento tra l'edificio e l'attività agricola professionale si riespandono le esigenze di natura urbanistica che richiedono un bilanciamento in termini economici tra l'utilità derivante dall'edificazione e il peso che il nuovo edificio aggiunge al territorio
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Brescia, sentenza 03.06.2008 n. 595 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Quesito 8 - Il regime di favore collegato alla posizione di imprenditore agricolo a titolo principale è strettamente personale e non si trasmette agli eredi (Geometra Orobico n. 5/2008).

EDILIZIA PRIVATAProblematiche su istanza di costruzione in zona agricola.
Viene posto un quesito in ordine all’esenzione dal contributo di costruzione prevista dall’art. 17, c. II, lett. a) del D.P.R. 380/2001, recante Testo Unico dell’edilizia.
Il caso concreto è il seguente.
Una società semplice, avente quale oggetto sociale l’attività agricola, ha presentato istanza di permesso di costruire volta alla realizzazione di strutture rurali, oltre che di tre abitazioni. La società è composta di tre soci, dei quali uno solo ha la qualifica di imprenditore agricolo professionale.
Il Comune territorialmente competente chiede di conoscere se tutte tre le residenze potranno beneficiare dell’esonero dal contributo concessorio di cui al citato art. 17, c. II, lett. a) D.P.R. 380/2001, a mente del quale il contributo di costruzione non è dovuto “per gli interventi da realizzare nelle zone agricole, ivi comprese le residenze, in funzione della conduzione del fondo e delle esigenze dell’imprenditore agricolo a titolo principale” (Regione Piemonte, parere n. 70/2008 - link a www.regione.piemonte.it).

EDILIZIA PRIVATA: Quesito 8 - Possibilità di utilizzo di terreno inserito in zona agricola ai fini insediativi di unità produttiva (Geometra Orobico n. 2/2008).

EDILIZIA PRIVATA: La destinazione di zona agricola è compatibile con la realizzazione di impianti a rete di urbanizzazione primaria (quali cavidotti, condutture del gas, elettrodotti, impianti di telefonia, anche mobile, reti fognarie, etc.).
Per giurisprudenza pacifica la destinazione di zona agricola è compatibile con la realizzazione di impianti a rete di urbanizzazione primaria (quali cavidotti, condutture del gas, elettrodotti, impianti di telefonia, anche mobile, reti fognarie, etc.).
Altrimenti opinando, e guardando al caso di specie in esame, l’allacciamento della rete fognaria cittadina con gli impianti di depurazione, che sono normalmente ubicati fuori dal centro abitato, sarebbe praticamente impossibile.
Il generico richiamo a pretese norme tecniche di attuazione del p.r.g. –non indicate, né precisate in ricorso– al di là della genericità della prospettazione, risulta comunque superabile in base a un’interpretazione logico-sistematica della disciplina urbanistica che, comunque, non può condurre ad esiti aberranti, quali l’impossibilità di collegare la rete fognaria a quella di collettamento e depurazione (TAR Campania-Napoli, Sez. V, sentenza 04.04.2008 n. 1858 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: OGGETTO: Applicazione dell’art. 17, comma 3, lett. b) del D.P.R. 06.06.2001, n. 380.
Si risponde al quesito di cui all’oggetto -inviato dal Comune al Servizio legislativo e affari istituzionali e da questo trasmesso per competenza al Servizio governo del territorio- con il quale si chiede se per la ristrutturazione di un fabbricato colonico unifamiliare in zona agricola, in conformità ai disposti del censimento dei fabbricati rurali e senza aumento di volumetria ”da parte di un soggetto non avente i requisiti di coltivatore agricolo a titolo principale” si “debba procedere al rilascio del Permesso di Costruire a titolo gratuito ai sensi dell’art. 17, comma 3, lettera b), della L. 10/1977 (rectius: del D.P.R. n. 380/2001) o se si debba richiedere il pagamento degli oneri concessori in riferimento al cambio di destinazione d’uso, da edificio rurale a civile abitazione” (Regione Marche, parere 19.03.2008 n. 83/2008).

EDILIZIA PRIVATALa destinazione a zona E agricola non è imposta necessariamente ai fini della salvaguardia di interessi agricoli, ma come mezzo di disciplina urbanistica del territorio allo scopo di evitare addensamenti edilizi ed espansioni pregiudizievoli ad un corretto insediamento urbano del territorio, anche a fini di tutela ambientale.
Per il rilascio di un permesso di costruire in zona agricola, occorre accertare la compatibilità di un intervento con le specifiche previsioni urbanistiche vigenti in quel territorio, per cui, ove il P.R.G. consenta soltanto le costruzioni necessarie per la conduzione agricola, va verificata in concreto la sussistenza di un’effettiva ed obiettiva connessione funzionale dell’opera da realizzare, tenendo conto da una parte delle caratteristiche dell’edificio e dall’altra delle esigenze agricole da soddisfare.
La realizzazione di un parco-giochi non può ontologicamente rientrare nella categoria delle costruzioni necessarie per la conduzione agricola dei terreni né può comunque considerarsi complementare all’attività agricola, ma, anzi, con la stessa in potenziale conflitto.

Non ignora il Collegio che, di regola, in sede di pianificazione urbanistica, la destinazione a zona E agricola non è imposta necessariamente ai fini della salvaguardia di interessi agricoli, ma come mezzo di disciplina urbanistica del territorio allo scopo di evitare addensamenti edilizi ed espansioni pregiudizievoli ad un corretto insediamento urbano del territorio, anche a fini di tutela ambientale (cfr., tra le tante, Consiglio di Stato, Sezione V, 23.01.2007, n. 192; Sezione IV, 14.10.2005, n. 5713 e 25.05.1998, n. 869).
Tuttavia, è stato anche precisato che, per il rilascio di un permesso di costruire in zona agricola, occorre accertare la compatibilità di un intervento con le specifiche previsioni urbanistiche vigenti in quel territorio, per cui, ove il P.R.G. consenta soltanto le costruzioni necessarie per la conduzione agricola, va verificata in concreto la sussistenza di un’effettiva ed obiettiva connessione funzionale dell’opera da realizzare, tenendo conto da una parte delle caratteristiche dell’edificio e dall’altra delle esigenze agricole da soddisfare (cfr. Consiglio di Stato, Sezione V, 15.01.2003, n. 156; 20.12.2001, n. 6327).
La realizzazione di un parco-giochi non può ontologicamente rientrare nella categoria delle costruzioni necessarie per la conduzione agricola dei terreni né può comunque considerarsi complementare all’attività agricola, ma, anzi, con la stessa in potenziale conflitto. La rilevante struttura realizzata, per qualità, quantità ed estensione è tale, infatti, da alterare l’assetto agricolo della zona, anche di riflesso, per il conseguente rilevante carico di traffico veicolare, in grado di incidere significativamente sulla stessa conduzione dell’attività agricola dei fondi gravitanti nella zona oggetto di intervento
(TAR Campania-Napoli, Sez. II, sentenza 07.03.2008 n. 1172 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAPossibilità zona agricola per utilizzazione attività di aeromodellismo.
Il Comune XXX chiede un chiarimento in merito alla possibilità di assentire in zona agricola interventi funzionali all’utilizzazione di un’area per l’attività di aeromodellismo (Regione Piemonte, parere n. 16/2008 - link a www.regione.piemonte.it).

anno 2007

URBANISTICA: 1. Contraddittorietà tra provvedimenti - Contrasto tra atti di uno stesso procedimento - Sussiste.
2. Zona agricola - Variante che attribuisce ad un'area tale connotato - Valori dell'ambiente e del paesaggio.
3. Motivazione più incisiva, singolare e specifica degli strumenti urbanistici generali - Fattispecie.

1. Il vizio di contraddittorietà tra provvedimenti può configurarsi in caso di contrasto tra atti di uno stesso procedimento, non tra atti di distinti ed autonomi procedimenti (Cons. Stato 2^, 10.07.1996 n. 962/1994); il vizio non è ravvisabile, in particolare, rispetto ad atti che siano stati o caducati dalla stessa Amministrazione, nell'esercizio dello jus poenitendi, o superati da nuovi provvedimenti, in esito ad una rinnovata valutazione della vicenda (cfr. TAR Milano 17.04.2007 n. 1788).
2. Secondo costante giurisprudenza la zona agricola possiede anche valenza conservativa dei valori naturalistici, nonché funzione di contenimento dell'espansione dell'aggregato urbano, sicché una variante che attribuisca ad un'area tale connotato non richiede una diffusa analisi argomentativa, avuto riguardo ai valori dell'ambiente e del paesaggio, che sono fondamentali a mente della Carta costituzionale (cfr. Cons. Stato IV 31.01.2005 n. 259).
3. Una motivazione più incisiva, singolare e specifica degli strumenti urbanistici generali si impone nelle seguenti fattispecie:
a) superamento degli standard minimi di cui al d.m. 02.04.1968;
b) lesione dell'affidamento qualificato del privato derivante da convenzioni di lottizzazione, accordi di diritto privato intercorso tra il Comune e i proprietari delle aree, aspettative nascenti da giudicati di annullamento di dinieghi di concessione edilizi o di silenzio-rifiuto su una domanda di concessione;
c) modificazione in zona agricola della destinazione di un'area limitata, interclusa da fondi edificati in modo non abusivo (cfr. Cons. Stato IV 05.08.2005 n. 4166, 30.06.2005 n. 3524, 22.05.2000 n. 2934) (TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 10.10.2007 n. 5834 - massima tratta da www.solom.it - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: OGGETTO: Intervento di ristrutturazione edilizia e possibilità dì spostamento del fabbricato.
Il Comune chiede se un fabbricato ex colonico “in zona agricola all’interno di una zona individuata dal PAI come area di dissesto idrogeologico F - 07 - 0313 con grado di pericolosità elevata P3”, il quale insiste su di un terreno di circa 4-5 ettari che “in parte risulta ricompreso all’interno della zona in frana e in parte no”, possa essere oggetto di un intervento di ristrutturazione attraverso la demolizione “e la sua ricostruzione, rispettandone la stessa sagoma e volumetria, ma posizionato in altro sito al di fuori della zona definita in dissesto dal PAI, con il rispetto della distanza dai confini” e sempre all’interno del terreno di pertinenza che si trova interamente nella zona agricola ai sensi del vigente PRG, nella quale sono ammessi tutti gli interventi edilizi previsti dalla L.R. n. 13/1990.
Il Comune ritiene che tale intervento possa essere considerato di “ristrutturazione” ai sensi del D.P.R. n. 380/2001 e successive modifiche ed integrazioni, in quanto con l’entrata in vigore di questo “nella ristrutturazione è stato compreso anche l’intervento di demolizione e ricostruzione con la stessa volumetria e sagoma senza un chiaro richiamo all’area di sedime” e la Circolare del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti del 07.08.2003, n. 4174/316/26 “con cui si è cercato di chiarire il rispetto dell’area di sedime, con l’intento di escludere la possibilità di ricostruire il fabbricato in altro sito, ovvero posizionarlo all’interno dello stesso lotto in maniera del tutto discrezionale, poiché in caso contrario non si avrebbe più un intervento di recupero”, precisa tuttavia che resta possibile nel diverso posizionamento dell’edificio “adeguarsi alle disposizioni contenute nella strumentazione urbanistica vigente per quanto attiene allineamenti, distanze e distacchi” (Regione Marche, parere 09.08.2007 n. 60/2007).

EDILIZIA PRIVATA: In zona agricola non è applicabile la normativa della cosiddetta “legge Tognoli” che consente la realizzazione di autorimesse nel sottosuolo anche in deroga gli strumenti urbanistici, essendo questa consentita solo nelle zone residenziali, e ciò a prescindere dall'ulteriore considerazione postulante l'esclusione della deroga in presenza di vincoli ambientali.
Va poi ribadito che trattandosi di intervento in zona agricola non è applicabile, per giurisprudenza pacifica, la normativa della cosiddetta “legge Tognoli” che consente la realizzazione di autorimesse nel sottosuolo anche in deroga gli strumenti urbanistici, essendo questa consentita solo nelle zone residenziali, e ciò a prescindere dall'ulteriore considerazione postulante l'esclusione della deroga in presenza di vincoli ambientali (TAR Veneto, Sez. II, sentenza 02.05.2007 n. 1331 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATACompatibilità piano regolatore comunale su richiesta di opera edilizia di azienda privata.
Secondo quanto enunciato nella richiesta di parere del Comune XXX, i termini della questione sono i seguenti:
- un’azienda ha richiesto al Comune parere preventivo in ordine alla possibilità di destinare un’area sita in zona agricola a deposito temporaneo di materiali terrosi/pietrosi non costituenti rifiuti;
- la Commissione Edilizia, interpellata sul punto, ha espresso parere contrario, ritenendo che siffatta attività non sia riconducibile ad alcuno degli interventi consentiti dal Piano Regolatore nelle zone destinate ad usi agricoli;
- sono però insorti dubbi in merito alla possibilità di ricondurre nel novero degli “interventi di trasformazione urbanistica o edilizia” la creazione di un deposito temporaneo di materiali, poiché tale fatto non pare produrre alcuna significativa trasformazione del territorio rilevante (appunto) a livello urbanistico e/o edilizio.
Dovendo comunque il Comune fornire univoca risposta all’azienda, si domanda quale sia l’esatta natura dell’opera, ossia se essa concreti una trasformazione urbanistico–edilizia del territorio subordinata alla verifica di compatibilità con le previsioni del PRGC e soggetta all’obbligo di un titolo abilitativo edilizio (Regione Piemonte, parere n. 20/2007 - link a www.regione.piemonte.it).

anno 2006

URBANISTICA: Destinazione a zona agricola - Finalità di tutela ambientale.
Osservazioni al P.R.G. - Reiezione - Motivazione - Obbligo - Non sussiste.

L'attribuzione ad una data area della destinazione a zona agricola ben può essere dettata da finalità di tutela ambientale. Essendo le osservazioni presentate nei riguardi del P.R.G. dei semplici apporti collaborativi, la loro reiezione non richiede una specifica motivazione e ciò quand'anche esse siano state accettate con deliberazione del consiglio comunale.
Tale conclusione si giustifica con il fatto che le osservazioni dei privati al P.R.G. adottato, seppur accettate dal Comune, non entrano a far parte del Piano se non a seguito del loro eventuale recepimento nello strumento urbanistico per effetto di una specifica modifica che l'Ente territoriale a ciò deputato -di regola la Regione- ritenga di apportarvi (TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 24.11.2006 n. 2847 - massima tratta da www.solom.it - link a www.giustizia-amministrativa.it).

URBANISTICA: Modifiche al P.R.G. in sede regionale e destinazione a zona agricola.
L’art. 10, secondo comma, lett. c), della l. n. 1150/1942 prevede il potere della Regione di proporre le modifiche d’ufficio al P.R.G. riconosciute indispensabili per assicurare la tutela del paesaggio, nonché di complessi storici, monumentali, ambientali ed archeologici. La giurisprudenza costante afferma che l’attribuzione ad una data area della destinazione a zona agricola ben può essere dettata da finalità di tutela ambientale.
Se ne desume che l’attribuzione ad opera della Regione, in sede di proposta di modifiche d’ufficio del P.R.G., al terreno di proprietà della ricorrente, della destinazione a zona agricola sia pienamente riconducibile alla previsione di cui all’art. 10, secondo comma, lett. c), della l. n. 1150/1942.
Sul punto va anzi aggiunto che la riconduzione della fattispecie in esame all’art. 10, secondo comma, lett. c), della l. n. 1150/1942 dimostra, altresì, che la doglianza basata sull’asserito carattere di innovazione sostanziale della modifica contestata, oltre che non decisiva, è anche infondata. Infatti, secondo la costante giurisprudenza, le modifiche finalizzate –com’è nel caso di specie– alla tutela dell’ambiente e del paesaggio, essendo, per l’appunto, distintamente previste dalla lett. c) del secondo comma dell’art. 10 cit., non soggiacciono al limite concernente il divieto di innovazioni sostanziali posto dalla prima parte del secondo comma del medesimo art. 10
(TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 24.11.2006 n. 2847 - link a www.altalex.com).

EDILIZIA PRIVATA: Realizzazione di box a servizio di un canile - Destinazione “zona agricola” - Incompatibilità urbanistica oggettiva e assoluta - Esclusione - Permesso di costruire - Diniego - Illegittimità - Fattispecie.
In materia urbanistica, non è configurabile una pretesa incompatibilità urbanistica oggettiva e assoluta tra la destinazione agricola e la realizzazione di box a servizio del canile, sia in quanto la destinazione agricola di una zona comporta che la stessa non può essere destinata ad insediamento abitativo residenziale, ma non preclude l'installazione di opere che nulla hanno a che vedere con la localizzazione della residenza della popolazione, sia in quanto, per ovvie ragioni, un ricovero per cani randagi è preferibile che venga ubicato in aperta campagna e quindi in zona agricola, salvo che il piano regolatore generale non preveda apposite localizzazioni (cfr., circa la compatibilità di un canile municipale con la destinazione a zona agricola, Consiglio di Stato, IV Sezione, 31.01.2005, n. 253).
Nella specie, è stato ritenuto illegittimo il provvedimento che negava il rilascio del permesso di costruire, per la realizzazione di 21 box destinati al ricovero di cani randagi, sul presupposto che “la zona interessata è classificata secondo il vigente P.R.G. come Zona E Agricola e viabilità esistente” e che le norme tecniche di attuazione, di detta zona, non contemplano l’intervento richiesto (TAR Campania-Napoli, Sez. II, sentenza 21.11.2006 n. 10065 - link a www.ambientediritto.it).

EDILIZIA PRIVATASui mutamenti di destinazione d’uso di fabbricati in zona agricola.
Le particelle interessate da un intervento di cambiamento dell’uso di una porzione di immobile su di esse insistente (da residenza civile ad attività artigianale, gommista) ed inserite in zona "E1 agricola" (nella quale è prevista la realizzazione di immobili ad uso di residenza o di servizi strettamente legati al fondo agricolo) vedono preclusa la realizzazione di immobili per lo svolgimento di attività artigianale, per cui la stessa destinazione non può essere ottenuta in sede di cambio d’uso (TAR Campania-Salerno, Sez. II, sentenza 17.11.2006 n. 2059 - link a www.altelex.com).

EDILIZIA PRIVATA: Comune di Cerveteri - Parere in merito alla sanabilità del cambio di destinazione d'uso da agricolo a residenziale ed altre casistiche (Regione Lazio, parere 10.11.2006 n. 133863 di prot.).

EDILIZIA PRIVATA: Comune di Sabaudia - parere in merito alla legittimazione dell'affittuario imprenditore agricolo ad ottenere il rilascio del permesso di costruire (Regione Lazio, parere 30.10.2006 n. 136839 di prot.).

anno 2005

EDILIZIA PRIVATA: OGGETTO: parere in merito localizzazione canile in zona agricola (Provincia di Pesaro e Urbino, parere 13.12.2005 n. 41339 di prot.).

URBANISTICAa) le scelte effettuate dall'amministrazione nell'adozione del piano costituiscono apprezzamento di merito sottratto al sindacato di legittimità, salvo che non siano inficiate da errori di fatto o da abnormi illogicità;
b) in occasione della formazione di uno strumento urbanistico generale, le scelte discrezionali dell’amministrazione, riguardo alla destinazione di singole aree, non necessitano di apposita motivazione, oltre quella che si può evincere dai criteri generali -di ordine tecnico discrezionale- seguiti nell’impostazione del piano stesso, essendo sufficiente l'espresso riferimento alla relazione di accompagnamento al progetto di modificazione al piano regolatore generale, salvo che particolari situazioni non abbiano creato aspettative o affidamenti in favore di soggetti le cui posizioni appaiano meritevoli di specifiche considerazioni.
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Le evenienze che giustificano una più incisiva e singolare motivazione degli strumenti urbanistici generali, sono state, segnatamente, individuate dalla giurisprudenza di questo Consiglio:
a) nel superamento degli standards minimi di cui al d.m. 02.04.1968, con l'avvertenza che la motivazione ulteriore va riferita esclusivamente alle previsioni urbanistiche complessive di sovradimensionamento, e non anche con riguardo alla destinazione di zona di determinate aree;
b) nella lesione dell'affidamento qualificato del privato, a sua volta integrato dalla conclusione di convenzioni di lottizzazione o di accordi di diritto privato intercorsi tra il comune e i proprietari delle aree, ovvero da aspettative nascenti da giudicati di annullamento di dinieghi di concessione edilizia o di silenzio-rifiuto su domande di concessione;
c) nella modificazione in zona agricola della destinazione di un'area limitata, interclusa da fondi edificati in modo non abusivo.

L'indirizzo di politica urbanistica espresso negli strumenti generali di pianificazione implica importanti conseguenze (di seguito illustrate) in ordine ai limiti del sindacato di legittimità del giudice amministrativo ed al contenuto della motivazione in concreto indispensabile, specie in considerazione di quanto previsto dal comma 2 dell’art. 3 della legge 07.08.1990, n. 241, là dove esclude, dall’obbligo di motivazione, gli atti normativi e quelli a contenuto generale (nel cui novero rientra lo strumento urbanistico generale).
In coerenza con i caratteri, appena segnalati, delle determinazioni pianificatorie, si è, in particolare, affermato che:
a) le scelte effettuate dall'amministrazione nell'adozione del piano costituiscono apprezzamento di merito sottratto al sindacato di legittimità, salvo che non siano inficiate da errori di fatto o da abnormi illogicità (cfr. ex multis, Cons. St., sez. IV, 08.02.1999, n. 121);
b) in occasione della formazione di uno strumento urbanistico generale, le scelte discrezionali dell’amministrazione, riguardo alla destinazione di singole aree, non necessitano di apposita motivazione, oltre quella che si può evincere dai criteri generali -di ordine tecnico discrezionale- seguiti nell’impostazione del piano stesso (Cons. St., ad. plen., 22.12.1999, n. 24; sez. IV, 19.01.2000, n. 245; sez. IV, 24.12.1999, n. 1943; sez. IV, 02.11.1995, n. 887, sez. IV, 25.02.1988, n. 99), essendo sufficiente l'espresso riferimento alla relazione di accompagnamento al progetto di modificazione al piano regolatore generale, salvo che particolari situazioni non abbiano creato aspettative o affidamenti in favore di soggetti le cui posizioni appaiano meritevoli di specifiche considerazioni.
Le evenienze che giustificano una più incisiva e singolare motivazione degli strumenti urbanistici generali, sono state, segnatamente, individuate dalla giurisprudenza di questo Consiglio (Ad. plen. n. 24 del 1999 cit.):
a) nel superamento degli standards minimi di cui al d.m. 02.04.1968, con l'avvertenza che la motivazione ulteriore va riferita esclusivamente alle previsioni urbanistiche complessive di sovradimensionamento, e non anche con riguardo alla destinazione di zona di determinate aree (come infondatamente sostenuto, nella fattispecie, dalla Casal Brunori);
b) nella lesione (parimenti non ricorrente nella specie) dell'affidamento qualificato del privato, a sua volta integrato dalla conclusione di convenzioni di lottizzazione o di accordi di diritto privato intercorsi tra il comune e i proprietari delle aree, ovvero da aspettative nascenti da giudicati di annullamento di dinieghi di concessione edilizia o di silenzio-rifiuto su domande di concessione (Cons. St., ad. plen., n. 24 del 1999 cit.; 08.01.1986, n. 1);
c) nella modificazione (anche questa non ravvisabile nella fattispecie in esame) in zona agricola della destinazione di un'area limitata, interclusa da fondi edificati in modo non abusivo (Cons. St., sez. IV, 09.04.1999, n. 594)
(Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 20.09.2005 n. 4818 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

URBANISTICALa zona agricola, o, comunque, destinata a verde pubblico, possiede anche una valenza conservativa dei valori naturalistici, venendo a costituire il polmone dell’insediamento urbano ed assumendo -per tale via- la funzione decongestionante e di contenimento dell’espansione dell’aggregato urbano.
Che la zona agricola, o, comunque, destinata a verde pubblico, possieda anche una valenza conservativa dei valori naturalistici, venendo a costituire il polmone dell’insediamento urbano ed assumendo -per tale via- la funzione decongestionante e di contenimento dell’espansione dell’aggregato urbano, risulta, inoltre, principio espresso dalla giurisprudenza di questo Consiglio ormai da alcuni lustri ( Cons. St., sez. IV, n. 245 del 2000 cit.; n. 1943 del 1999 cit.; 13.03.1998, n. 431; sez. IV, 01.10.1997, n. 1059; sez. IV, 28.09.1993, n. 968; sez. IV, 01.06.1993, n. 581; sez. V, 19.09.1991, n. 1168; sez. IV, 11.06.1990, n. 464, sez. IV, 17.01.1989, n. 5) (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 20.09.2005 n. 4818 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAParte ricorrente ha richiamato precedenti giurisprudenziali del Consiglio di Stato con i quali è stato affermato quanto segue:
● “La destinazione ad area agricola del terreno interessato non è sufficiente a giustificare il diniego di autorizzazione all'esercizio di una discarica per rifiuti solidi urbani, giacché la classificazione di aree come agricole non impone un obbligo di utilizzazione effettiva in tal senso e consente, di regola, interventi edilizi di vario genere, sicché, nell'ambito e nei limiti delle prescrizioni di zona, e salve diverse previsioni normative, può risultare non incompatibile la realizzazione di un impianto di discarica che, per ovvie ragioni, non può che essere ubicato in aperta campagna e quindi in zona agricola, se il piano regolatore generale non preveda apposite localizzazioni”.
● “La destinazione a zona agricola di un'area ove non insistano vincoli ambientali o paesistici non impone, in positivo, un obbligo specifico di utilizzazione effettiva in tal senso, bensì, in negativo, ha solo lo scopo di evitare insediamenti residenziali, per cui detta destinazione non costituisce ostacolo alla realizzazione di una discarica, al pari di tutte le opere che non riguardano l'edilizia residenziale e che si rivelino anzi necessariamente da realizzare in aperta campagna, senza che per ciò occorra una previa variante di destinazione urbanistica”.
● “La zona destinata a verde agricolo è suscettibile di usi anche diversi dalla coltivazione dei fondi e tale destinazione non è di ostacolo alla realizzazione di opere che non implichino l'ampliamento degli insediamenti abitativi. Tuttavia tali vocazioni differenziate e complementari devono trovare la loro legittima causa in un atto pianificatorio approvato ed efficace”.
● “L’esercizio dell'attività di discarica di rifiuti e gli interventi costruttivi intesi all'ampliamento di quest'ultimo non sono di per sé incompatibili con la destinazione agricola impressa dallo strumento urbanistico alla zona in cui essa è ubicata -e, pertanto, è illegittimo il diniego di concessione edilizia statuito con riferimento a tale destinazione-, perché la classificazione agricola dell'area in questione non ne impone un obbligo di utilizzazione in tal senso, consentendo piuttosto interventi edilizi di vario genere, qual è, appunto, l'insediamento di una discarica che, per sua natura, non può essere ubicato che in aperta campagna, laddove il piano regolatore non ne preveda altra localizzazione”.
La sezione deve evidenziare che in nessuna delle pronunce sopra riportate si afferma che nelle zone in esame erano consentite esclusivamente attività edilizie connesse all’esercizio dell’agricoltura.
La sezione ritiene che l’orientamento giurisprudenziale or ora richiamato possa trovare applicazione solo quando la disciplina urbanistica classifichi come agricola una determinata zona, senza null’altro aggiungere.
Ma quando, come nel caso, di specie, la disciplina dispone in positivo che è consentita l’edificazione al solo servizio delle attività agricole, resta preclusa qualsiasi altra attività.
Tale previsione può ritenersi astrattamente illegittima, ma (se tale) va impugnata indicando (ciò che non è stato fatto) le norme o i principi che inibiscono all’amministrazione di imprimere una determinata conformazione al territorio escludendo qualsiasi attività costruttiva diversa da quelle al solo servizio delle attività agricole.

... PER L’ANNULLAMENTO della nota del 09/05/2003, n. 11086 con cui il responsabile UTC del Comune di S. Antimo (Napoli) ha respinto l’istanza per il rilascio di concessione edilizia presentata dal ricorrente per la realizzazione di un autolavaggio.
...
Il ricorrente, in data 03.10.2002, presentava istanza per ottenere una con-cessione edilizia per la realizzazione di un autolavaggio.
Nella relazione tecnica allegata, a firma del progettista geometra Antonio Allocca) si affermava che: “Tale stazione di autolavaggio nascerà in con-formità al DLGS dell’11/02/1998, n. 32 come deliberato nella dicitura stazione di servizio, che la stessa può essere edificata anche nella fascia di rispetto stradale ed in terreni agricoli, a condizione che venga demolita una volta smantellato l’impianto di che trattasi (vedi Bollettino Ufficiale della Regione Campania 07.02.2000, n. 7: deliberazione di Giunta Regionale 30.12.1999, n. 8835)”.
La deliberazione regionale, or ora richiamata, disciplina i “Criteri, requisiti e caratteristiche delle aree sulle quali possono essere installati gli impianti di distribuzione di carburanti (a. 2, c. 1, del DLGS 11.02.1998, n. 32, modificato ed integrato dal DLGS 08.09.1999, n. 346 e dal D.L. 29.10.1999, n. 383). Intervento sostitutivo regionale”.
Il provvedimento impugnato motiva ampiamente il diniego assumendo che l’intervento da realizzare potesse essere equiparato ad una stazione di servizio e ciò perché, al fine di ottenere il rilascio della concessione, il ricorrente aveva esplicitamente invocato la disciplina contenuta nella deliberazione della Regione Campania. La sezione ritiene che tale parte del provvedimento debba ritenersi superflua perché la richiesta avanzata dal ricorrente riguardava un autolavaggio e non una stazione di servizio.
Resta quindi da esaminare l’ulteriore parte della motivazione con la quale si afferma che “le opere di cui al progetto allegato all’istanza del ricorrente devono considerarsi a tutti gli effetti attività produttive e come tali non compatibili con la destinazione agricola prevista dal vigente P.R.G. approvato con D.P.G.R. 4586/1977, né con la destinazione E1 (agricola ordinaria) prevista nel P.R.G. adottato con deliberazione del Commissario Straordinario del 07.04.2003, n. 82”.
Dalla documentazione acquisita agli atti del giudizio risulta che nella zona E è consentita l’edificazione al solo servizio delle attività agricole.
La sezione deve subito evidenziare che le argomentazioni svolte nella memoria depositata dall’amministrazione in data 12.11.2004 (in ordine all’insalubrità dell’intervento ai sensi dell’articolo 60 delle NTA) non possono essere esaminate in quanto costituiscono un’inammissibile integrazione della motivazione del provvedimento impugnato che potrà essere riadottato dal Comune di S. Antimo anche al fine di consentire un’appropriata tutela giurisdizionale dell’interessato.
Con memoria depositata in data 12.11.2004 parte ricorrente ha richiamato precedenti giurisprudenziali del Consiglio di Stato con i quali è stato affermato quanto segue:
La destinazione ad area agricola del terreno interessato non è sufficiente a giustificare il diniego di autorizzazione all'esercizio di una discarica per rifiuti solidi urbani, giacché la classificazione di aree come agricole non impone un obbligo di utilizzazione effettiva in tal senso e consente, di regola, interventi edilizi di vario genere, sicché, nell'ambito e nei limiti delle prescrizioni di zona, e salve diverse previsioni normative, può risultare non incompatibile la realizzazione di un impianto di discarica che, per ovvie ragioni, non può che essere ubicato in aperta campagna e quindi in zona agricola, se il piano regolatore generale non preveda apposite localizzazioni” (Consiglio Stato, V, 18.03.2002, n. 1557).
La destinazione a zona agricola di un'area ove non insistano vincoli ambientali o paesistici non impone, in positivo, un obbligo specifico di utilizzazione effettiva in tal senso, bensì, in negativo, ha solo lo scopo di evitare insediamenti residenziali, per cui detta destinazione non costituisce ostacolo alla realizzazione di una discarica, al pari di tutte le opere che non riguardano l'edilizia residenziale e che si rivelino anzi necessariamente da realizzare in aperta campagna, senza che per ciò occorra una previa variante di destinazione urbanistica” (C.S., V, 15.06.2001, n. 3178).
La zona destinata a verde agricolo è suscettibile di usi anche diversi dalla coltivazione dei fondi e tale destinazione non è di ostacolo alla realizzazione di opere che non implichino l'ampliamento degli insediamenti abitativi. Tuttavia tali vocazioni differenziate e complementari devono trovare la loro legittima causa in un atto pianificatorio approvato ed efficace” (C.S., IV, 10.02.2000, n. 721).
L’esercizio dell'attività di discarica di rifiuti e gli interventi costruttivi intesi all'ampliamento di quest'ultimo non sono di per sé incompatibili con la destinazione agricola impressa dallo strumento urbanistico alla zona in cui essa è ubicata -e, pertanto, è illegittimo il diniego di concessione edilizia statuito con riferimento a tale destinazione-, perché la classificazione agricola dell'area in questione non ne impone un obbligo di utilizzazione in tal senso, consentendo piuttosto interventi edilizi di vario genere, qual è, appunto, l'insediamento di una discarica che, per sua natura, non può essere ubicato che in aperta campagna, laddove il piano regolatore non ne preveda altra localizzazione” (C.S., V, 26.01.1996, n. 85).
La sezione deve evidenziare che in nessuna delle pronunce sopra riportate si afferma che nelle zone in esame erano consentite esclusivamente attività edilizie connesse all’esercizio dell’agricoltura.
La sezione ritiene che l’orientamento giurisprudenziale or ora richiamato possa trovare applicazione solo quando la disciplina urbanistica classifichi come agricola una determinata zona, senza null’altro aggiungere.
Ma quando, come nel caso, di specie, la disciplina dispone in positivo che è consentita l’edificazione al solo servizio delle attività agricole, resta preclusa qualsiasi altra attività.
Tale previsione può ritenersi astrattamente illegittima, ma (se tale) va impugnata indicando (ciò che non è stato fatto) le norme o i principi che inibiscono all’amministrazione di imprimere una determinata conformazione al territorio escludendo qualsiasi attività costruttiva diversa da quelle al solo servizio delle attività agricole.
Il ricorso va pertanto respinto con compensazione delle spese, delle competenze e degli onorari di giudizio per giusti motivi (TAR Campania-Napoli, Sez. II, sentenza 03.03.2005 n. 1527 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA - EDILIZIA PRIVATA: B.U.R. Lombardia, serie ordinaria n. 9 del 28.02.2005, "Linee guida per il riconoscimento della qualifica di Imprenditore Agricolo Professionale (IAP)" (deliberazione G.R. 16.02.2005 n. 20732).

EDILIZIA PRIVATAE' legittimo costruire un canile in zona agricola tenuto conto che la destinazione a zona agricola di un'area non impone un obbligo specifico di utilizzazione effettiva in tal senso, avendo solo lo scopo di evitare insediamenti residenziali.
La circostanza che la realizzazione del canile municipale sia inserita in zona agricola non è di per sé idonea a rendere illegittimo l’operato dell’Amministrazione, atteso che la destinazione a zona agricola di un'area, e fatta salva la previsione di particolari vincoli ambientali o paesistici, non impone un obbligo specifico di utilizzazione effettiva in tal senso, avendo solo lo scopo di evitare insediamenti residenziali; la stessa, pertanto, non costituisce ostacolo alla installazione di opere, come quella di cui trattasi, che non riguardino l'edilizia residenziale e che, per contro, si rivelino, per ovvi motivi, incompatibili con zone abitate e quindi necessariamente da realizzare in aperta campagna (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 31.01.2005 n. 253 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

anno 2002

EDILIZIA PRIVATALa deroga (eccezionale) della Tognoli non è applicabile in zona agricola.
L’art. 9 legge n. 122/1989, introducendo una deroga alla disciplina urbanistica, deve considerarsi norma di carattere eccezionale e come tale deve essere interpretata con specifico riferimento alla finalità perseguita dalla legge citata (risoluzione dei problemi relativi ai parcheggi nelle aree urbane); conseguentemente l’operatività della stessa non può ritenersi estesa anche alle zone agricole (TAR Veneto, Sez. II, sentenza 06.09.2002 n. 5229 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

anno 2000

EDILIZIA PRIVATA1. Concessione - Diniego - Sanatoria art. 13 L. 47/1985 - Motivazione - Indicazione generica di contrasto con le norme tecniche di attuazione - Insufficienza - Illegittimità.
2. Concessione - Pertinenza - Nozione - Piscina in zona agricola di dimensioni contenute e ridotto impatto urbanistico - Costituisce pertinenza - Autorizzazione.

1. E' illegittimo per carenza di motivazione il diniego di concessione edilizia in sanatoria, richiesta ai sensi dell'art. 13 L. 47/1985, recante la generica affermazione che "la costruzione di piscina in zona agricola non è conforme alle Norme Tecniche di Attuazione dello strumento urbanistico vigente - P.R.G. comunale".
I provvedimenti di diniego di concessione di costruzione in sanatoria devono essere congruamente motivati con l'indicazione delle ragioni che ostano al suo rilascio e con particolare riferimento alle norme urbanistiche violate, in modo da consentire all'interessato da un lato, di rendersi conto degli impedimenti che si frappongono alla realizzazione del suo progetto e di poterlo adeguare alle esigenze pubbliche che l'Amministrazione ha inteso tutelare; dall'altro, di confutare in maniera esaustiva la legittimità del provvedimento davanti al giudice competente.
E' quindi carente di motivazione, il diniego di concessione in sanatoria fondato su un generico contrasto del progetto edilizio con norme legislative e regolamentari in materia edilizia, dovendo, invece, diffondersi il provvedimento di diniego in ordine alle disposizioni che si assumono ostative al rilascio del provvedimento concessorio.
2. La nozione di pertinenza di cui all'art. 7 L. 94/1982 (che non coincide con quella più ampia descritta dall'art. 817 c.c.) è ancorata non solo alla necessarietà ed oggettività del rapporto pertinenziale, ma anche alla consistenza dell'opera, la quale deve contenersi entro misure minime, sì da non alterare in modo significativo l'assetto del territorio; né la localizzazione in zona agricola impedisce l'applicazione della citata norma che non distingue tra edifici residenziali o meno, agricoli ovvero urbani.
Pertanto, nella fattispecie di piscina di contenuto rilievo dimensionale e di ridotto impatto dal punto di vista urbanistico, si verte in ambito di manufatto avente rilievo pertinenziale ed in quanto tale assoggettato a regime autorizzatorio (massima tratta da www.sentenzetoscane.it - TAR Toscana, Sez. II, sentenza 31.01.2000 n. 22 - link a www.giustizia-amministrativa.it).