dossier PERGOLATO e/o
GAZEBO e/o BERCEAU e/o DEHORS e/o POMPEIANA e/o PERGOTENDA e/o TETTOIA |
anno 2022 |
|
EDILIZIA PRIVATA: Pergolato
e muro di cinta, ecco quando si superano i confini dell'edilizia libera.
Una tettoia che si vuole interpretare come pergolato.
Se ne è occupato il
Consiglio di Stato (VI Sez.) nella
sentenza 03.01.2022 n. 8.
Il caso riguarda due manufatti realizzati nel territorio che
ricade in un comune trentino da un privato per scopi funzionali alla sua
attività economica. I manufatti, che secondo il promotore sono «del tutto
assimilabili a pergolati», erano in realtà strutture di dimensione rilevanti
(la prima di ml 10x 23 metri fino a 3,6 m di altezza; la seconda 22,35x12
metri per 4 metri di altezza); ma soprattutto realizzate in un caso con
travi e pilastri in legno e copertura in lamiera, e nell'altro caso con
setti in cemento armato con sopralzo in legno (a costituire delle «vasche»).
Tutta un'altra cosa rispetto al pergolato, che -ha ricordato il Consiglio
di Stato- per rientrare in tale definizione, ed essere quindi rubricabile
nell'edilizia libera, deve essere «un manufatto leggero, amovibile e non
infisso al pavimento, non solo privo di qualsiasi elemento in muratura da
qualsiasi lato, ma caratterizzato dalla assenza di una copertura anche
parziale con materiali di qualsiasi natura, e avente nella parte superiore
gli elementi indispensabili per sorreggere le piante che servano per
ombreggiare: in altri termini, la pergola è configurabile esclusivamente
quando vi sia una impalcatura di sostegno per piante rampicanti e viti».
Peraltro, osservano i giudici in replica alla asserita precarietà e
amovibilità delle opere realizzate, «dal punto di vista prettamente
edilizio, si è consolidato l'orientamento in base al quale si deve seguire
"non il criterio strutturale, ma il criterio funzionale", per cui un'opera
se è realizzata per soddisfare esigenze che non sono temporanee –come nel
caso di specie in cui i manufatti sono stabilmente funzionali alle esigenze
dell'impresa- non può beneficiare del regime proprio delle opere precarie
anche quando le opere sono state realizzate con materiali facilmente
amovibili».
In un'altra sentenza pubblicata i primi di gennaio di quest'anno i giudici
delle VI Sezione (sentenza
03.01.2022 n. 1) si sono pronunciati anche su un caso di diniego di
sanatoria edilizia che ha interessato anche la realizzazione di un muro di
cinta.
Al di là del caso specifico (che riguardava opere edili realizzati in
difformità al progetto e su un manufatto plurivincolato) si ricorda il
discrimine che separa il muro di cinta dal regime di edilizia libera,
realizzabile previa Scia, dalla necessità di un titolo edilizio che richiede
un assenso dell'ente locale.
«Per quanto riguarda il muro di cinta e quelli
di contenimento -osservano i giudici- va ribadito il principio di diritto
per cui i requisiti essenziali del muro di cinta sono costituiti
dall'isolamento delle facce, dall'altezza non superiore a metri tre e dalla
sua destinazione alla demarcazione della linea di confine e alla separazione
e chiusura della proprietà». «Diversamente -prosegue la sentenza-, quando
si è in presenza di un dislivello di origine artificiale, deve essere
considerato costruzione in senso tecnico-giuridico il muro che assolve in
modo permanente e definitivo anche alla funzione di contenimento di un
terrapieno creato dall'opera dell'uomo»
(articolo NT+Enti Locali & Edilizia del 17.01.2022). |
anno 2021 |
|
EDILIZIA PRIVATA:
Per la tettoia in lamiera serve il permesso di costruire
I lavori di completamento e realizzazione di tettoie in profilati in ferro
coperte da lamiere grecate, di notevoli dimensioni, con la formazione di una
cantinola interrata, sono ascrivibili alla categoria delle nuove
costruzioni, per le quali è necessario il permesso di costruire.
Lo ha stabilito il TAR Campania-Napoli, Sez. III, con la
sentenza 26.08.2021 n. 5628.
Il fatto
La sentenza in commento torna sul tema della corretta qualificazione
urbanistica della tettoia. Nel caso di specie, si discuteva di un'ordinanza
di demolizione per assenza di titolo edilizio, riguardante, tra l'altro:
a) il completamento della tettoia posta sopra il solaio del
secondo piano attualmente anche abitato;
b) la realizzazione sul versante nord del lotto, di una tettoia
con profilati in ferro coperta da lamiere grecate di circa mq 45,00 per
un'altezza media di mt 2,90 che si presenta completa ed in uso;
c) la realizzazione di una tettoia sul versante sud del lotto,
profili in ferro e copertura in lamiera grecata di circa mq 24,00 per
altezza media di mt 2,90 che si presenta completa ed in uso.
Secondo il ricorrente, queste tettoie erano riconducibili nell'ambito degli
interventi di manutenzione straordinaria, per i quali non serve il permesso
di costruire. Il Tar Campania, però, la pensa diversamente.
Nuove costruzioni
Secondo i giudici, la categoria della manutenzione straordinaria comprende
solamente "le opere e le modifiche necessarie per rinnovare e sostituire
parti anche strutturali degli edifici, nonché per realizzare ed integrare i
servizi igienico-sanitari e tecnologici".
A tale categoria, dunque, non sono riconducibili il completamento e la
realizzazione di tettoie in profilati in ferro coperte da lamiere grecate,
come quelle in esame, di notevoli dimensioni, né tanto meno, la formazione
di una cantinola interrata di circa mq 12,00 per altezza mt 4,00. Si tratta
di interventi che implicano una "apprezzabile trasformazione urbanistico
edilizia, con creazione di nuove superfici utili ed incremento della
volumetria esistente".
Pertanto, sono ascrivibili agli interventi di nuova costruzione di cui
all'art. 3, comma 1, lett. e), del Dpr 380/2001, come tali assoggettabili,
ai sensi dell'art. 10 dello stesso Dpr, al permesso di costruire.
Trasformazione del territorio
Occorre, in tale caso, fare riferimento all'impatto effettivo che le opere
generano sul territorio, con la conseguenza che si deve qualificare
l'intervento edilizio quale nuova costruzione (con quanto ne consegue ai
fini del previo rilascio dei necessari titoli abilitativi) laddove, avuto
riguardo alla sua struttura e all'estensione dell'area relativa, esso si
presenti idoneo a determinare significative trasformazioni urbanistiche ed
edilizie.
Nello specifico, "quando le tettoie incidono sull'assetto edilizio
preesistente, non possono essere considerate quali interventi di
manutenzione straordinaria ai sensi dell' art. 3, comma 1, lett. b), Dpr n.
380 del 2001, in quanto non consistono nella rinnovazione o nella
sostituzione di un elemento architettonico, ma nell'aggiunta di un elemento
strutturale dell'edificio, con modifica del prospetto, perciò la relativa
costruzione richiede il preventivo rilascio del permesso di costruire, non
essendo assentibile con semplice Dia, anche in ragione della perdurante
modifica dello stato dei luoghi".
Più in generale –si legge nella sentenza– è necessario il titolo edilizio e
l'autorizzazione paesaggistica, in zona vincolata, per "ogni opera che
arreca una trasformazione del territorio".
I precedenti in giurisprudenza
A sostengo del proprio ragionamento, il Tar richiama i precedenti
giurisprudenziali in materia. In base all'art. 10, Dpr n. 380/2001, "sono
subordinati a permesso di costruire gli interventi di nuova costruzione che,
in base alle definizioni dettate dall'art. 3, comma 1, lett. e), del
medesimo Dpr n. 380, sono quelli di trasformazione edilizia e urbanistica
del territorio non rientranti nella manutenzione ordinaria o straordinaria,
nel restauro e risanamento conservativo, ovvero nella ristrutturazione
edilizia" (Tar Campania, Napoli, sez. III, 01/03/2019, n. 1154).
"Il legislatore identifica, dunque, le nuove costruzioni non solo (e non
tanto) per le loro caratteristiche costruttive, ma piuttosto per il loro
uso, ove sia destinato a soddisfare esigenze di carattere non meramente
temporaneo" (Cons. di St., sez. IV, 28/01/2019, n. 667) (articolo
NT+Enti Locali & Edilizia del 23.09.2021).
--------------
SENTENZA
V.2.3. Con riguardo alla natura delle opere contestate, le stesse,
diversamente da quanto sostenuto con il primo motivo di ricorso, non
sono ascrivibili ad interventi di manutenzione straordinaria, concernendo,
esclusivamente, quest’ultima “Le opere e le modifiche necessarie per
rinnovare e sostituire parti anche strutturali degli edifici, nonché per
realizzare ed integrare i servizi igienico-sanitari e tecnologici”.
A tale categoria non sono infatti riconducibili il completamento e la
realizzazione di tettoie in profilati in ferro coperte da lamiere grecate,
di notevoli dimensioni, circa mq 45,00 per un’altezza media di mt 2,90,
nell’un caso, e di circa mq 24,00 per altezza media di mt 2,90, nell’altro
caso, né, tanto meno, la formazione di una cantinola interrata di circa mq
12,00 per altezza mt 4,00, che, in quanto implicanti una apprezzabile
trasformazione urbanistico edilizia, con creazione di nuove superfici utili
ed incremento della volumetria esistente, sono invece ascrivibili agli
interventi di nuova costruzione di cui all'art. 3, comma 1, lett. e), del
d.P.R. n. 380/2001, come tali assoggettabili, ai sensi dell’art. 10 del
medesimo d.P.R. 06.06.2001, n. 380, al permesso di costruire.
Occorre, in tale caso, fare riferimento all'impatto effettivo che le opere
generano sul territorio, con la conseguenza che si deve qualificare
l'intervento edilizio quale nuova costruzione (con quanto ne consegue ai
fini del previo rilascio dei necessari titoli abilitativi) laddove, avuto
riguardo alla sua struttura e all'estensione dell'area relativa, esso si
presenti idoneo a determinare significative trasformazioni urbanistiche ed
edilizie.
Nello specifico, “Quando le tettoie incidono sull'assetto edilizio
preesistente, non possono essere considerate quali interventi di
manutenzione straordinaria ai sensi dell' art. 3, comma 1, lett. b), D.P.R.
n. 380 del 2001, in quanto non consistono nella rinnovazione o nella
sostituzione di un elemento architettonico, ma nell'aggiunta di un elemento
strutturale dell'edificio, con modifica del prospetto, perciò la relativa
costruzione richiede il preventivo rilascio del permesso di costruire, non
essendo assentibile con semplice DIA, anche in ragione della perdurante
modifica dello stato dei luoghi” (TAR Campania, Napoli, sez. II,
29/04/2019, n. 2284).
Più in generale, “Necessita di titolo edilizio e di autorizzazione
paesaggistica, in zona vincolata, ogni opera che arreca una trasformazione
del territorio. In base all'art. 10, d.P.R. n. 380/2001, sono subordinati a
permesso di costruire gli interventi di nuova costruzione che, in base alle
definizioni dettate dall'art. 3, comma 1, lett. e), del medesimo d.P.R. n.
380, sono quelli di trasformazione edilizia e urbanistica del territorio non
rientranti nella manutenzione ordinaria o straordinaria, nel restauro e
risanamento conservativo, ovvero nella ristrutturazione edilizia” (TAR
Campania, Napoli, sez. III, 01/03/2019, n. 1154).
Con la precisazione che “il legislatore identifica, dunque, le nuove
costruzioni non solo (e non tanto) per le loro caratteristiche costruttive,
ma piuttosto per il loro uso, ove sia destinato a soddisfare esigenze di
carattere non meramente temporaneo” (Cons. di St., sez. IV, 28/01/2019,
n. 667) (TAR Campania-Napoli, Sez.
III,
sentenza 26.08.2021 n. 5628 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: In materia di realizzazione di
gazebo la giurisprudenza ormai prevalente
ritiene che:
- per ‘gazebo’ si intende, nella sua configurazione tipica, una
struttura leggera, non aderente ad altro immobile, coperta nella parte
superiore ed aperta ai lati, realizzata con una struttura portante in ferro
battuto, in alluminio o in legno strutturale, talvolta chiuso ai lati da
tende facilmente rimuovibili. Spesso il gazebo è utilizzato per
l'allestimento di eventi all’aperto, anche sul suolo pubblico, e in questi
casi è considerata una struttura temporanea. In altri casi il gazebo è
realizzato in modo permanente per la migliore fruibilità di spazi aperti
come giardini o ampi terrazzi;
- indubbiamente, in relazione ad alcune opere edilizie, normalmente
di limitata consistenza e di esiguo impatto sul territorio, come pergolati,
gazebo, tettoie, pensiline e pergotende, non è sempre agevole individuare il
limite entro il quale esse possono farsi rientrare nel regime dell'edilizia
libera o, invece, devono farsi ricadere nei casi di edilizia non libera per
i quali è richiesta una comunicazione all'amministrazione preposta alla
tutela del territorio o, addirittura, il rilascio di un permesso di
costruire;
- infatti, ad esempio, i gazebo che poggiano su piattaforme di
calcestruzzo non sono strutture precarie, ma sono funzionali a soddisfare
esigenze permanenti e vanno pertanto considerati come manufatti che alterano
lo stato dei luoghi, con un sicuro incremento del carico urbanistico;
- nello specifico, la natura di opera precaria non si evince
dalla tipologia dei materiali utilizzati per la sua edificazione e, più in
generale, dalle caratteristiche costruttive e di ancoraggio al suolo della
stessa, quanto piuttosto da un elemento di tipo funzionale, dovendosi
verificare se la stessa sia o meno destinata al soddisfacimento di esigenze
durevoli, stabili e permanenti nel tempo;
- in sostanza, occorre avere riguardo all’uso cui il manufatto
è destinato, nel senso che, se le opere sono dirette al soddisfacimento di
esigenze stabili e permanenti, deve escludersi la natura precaria, a
prescindere dai materiali utilizzati e dalla tecnica costruttiva applicata;
- anche ritenendo, dunque, il carattere smontabile o facilmente
amovibile della struttura in ogni caso ai fini della qualificazione della
natura dell'opera come precaria deve farsi riferimento alla sua destinazione
e quindi, per mantenere il carattere di precarietà deve costituire un’opera
che non sia funzionale al soddisfacimento di esigenze stabili e durature nel
tempo;
- non conduce a conclusioni diverse la considerazione che la
struttura abbia carattere stagionale, in quanto "l'opera stagionale,
diversamente da quella precaria, non è destinata a soddisfare esigenze
contingenti ma ricorrenti, sia pure soltanto in determinati periodi
dell'anno e, per tale motivo, è soggetta a permesso di costruire. Invero, il
carattere stagionale dell'uso non implica la provvisorietà dell'attività, né
di per sé la precarietà del manufatto ove la stessa si svolga, atteso che il
rinnovarsi dell'attività con frequenza stagionale è indicativo della
stabilità dell'attività e dell'opera a ciò destinata. Invero, la stagionalità dell'uso non esclude la destinazione del manufatto al
soddisfacimento di esigenze permanenti nel tempo, pur quando lo stesso venga
rimosso in determinati mesi dell'anno e successivamente, con cadenza
periodica predeterminata, nuovamente installato’”.
I medesimi principi sono stati recentemente ribaditi dalla giurisprudenza
della Sezione, laddove si è “precisato che ‘è fermo in giurisprudenza l’avviso per cui il
gazebo è una
struttura leggera, non aderente ad altro immobile, coperta nella parte
superiore ed aperta ai lati, realizzata con una struttura portante in ferro
battuto, in alluminio o in legno strutturale, talvolta chiuso ai lati da
tende facilmente rimovibili, che può essere realizzato perlopiù come
struttura temporanea’, con la
conseguenza che quel che distingue la natura precaria d’un gazebo, che lo
esonera dall'obbligo del possesso del p.d.c. non è solo la peculiare
leggerezza della struttura di esso, ma l’esser funzionale ad esigenze ed a
correlati usi specifici e temporalmente limitati, quindi giammai permanenti
nel tempo”.
Va da sé che quanto rilevato dalla giurisprudenza in ordine ai gazebo si
applichi –potrebbe dirsi a maggior ragione– con riferimento ai dehor, che
rispetto ai primi presentano di norma caratteristiche strutturali più
stabili e complesse.
Non è possibile, dunque, stabilire a priori ed univocamente se ai fini della
realizzazione di un dehor sia o meno necessario ottenere preventivamente uno
specifico permesso di costruire, dovendosi caso per caso operare una
specifica valutazione non soltanto sulla base della tipologia della
struttura, dei materiali in concreto utilizzati e del tipo di ancoraggio al
suolo, ma anche (e soprattutto) in ordine alla idoneità o meno del manufatto
al soddisfacimento di esigenze stabili e durature nel tempo, e questo al di
là del suo carattere stagionale o meno.
---------------
Quanto poi alla necessità o meno del preventivo permesso di costruire per la
realizzazione di un dehor (o gazebo) si osserva che, “in punto di diritto
(…):
- l’art. 10 d.P.R. 380/2001 (nel testo in vigore all’epoca dei
fatti) stabilisce che: ‘1. Costituiscono interventi di trasformazione
urbanistica ed edilizia del territorio e sono subordinati a permesso di
costruire: a) gli interventi di nuova costruzione; b) gli interventi di
ristrutturazione urbanistica; c) gli interventi di ristrutturazione edilizia
che portino ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal
precedente e che comportino modifiche della volumetria complessiva degli
edifici o dei prospetti, ovvero che, limitatamente agli immobili compresi
nelle zone omogenee A, comportino mutamenti della destinazione d'uso, nonché
gli interventi che comportino modificazioni della sagoma di immobili
sottoposti a vincoli ai sensi del decreto legislativo 22.01.2004, n. 42
e successive modificazioni. (…)’;
- l’art. 22, comma 1, del Testo unico edilizia dispone inoltre che:
‘Sono realizzabili mediante la segnalazione certificata di inizio di
attività di cui all'articolo 19 della legge 07.08.1990, n. 241, nonché in
conformità alle previsioni degli strumenti urbanistici, dei regolamenti
edilizi e della disciplina urbanistico-edilizia vigente: a) gli interventi
di manutenzione straordinaria di cui all'articolo 3, comma 1, lettera b),
qualora riguardino le parti strutturali dell'edificio; b) gli interventi di
restauro e di risanamento conservativo di cui all'articolo 3, comma 1,
lettera c), qualora riguardino le parti strutturali dell'edificio; c) gli
interventi di ristrutturazione edilizia di cui all'articolo 3, comma 1,
lettera d), diversi da quelli indicati nell'articolo 10, comma 1, lettera c.
(…)’;
- l’art. 31 d.P.R. 380/2001, commi 1 e 2 (per quel che rileva nel
presente giudizio), dispone quindi che: ‘1. Sono interventi eseguiti in
totale difformità dal permesso di costruire quelli che comportano la
realizzazione di un organismo edilizio integralmente diverso per
caratteristiche tipologiche, planovolumetriche o di utilizzazione da quello
oggetto del permesso stesso, ovvero l'esecuzione di volumi edilizi oltre i
limiti indicati nel progetto e tali da costituire un organismo edilizio o
parte di esso con specifica rilevanza ed autonomamente utilizzabile. 2. Il
dirigente o il responsabile del competente ufficio comunale, accertata
l'esecuzione di interventi in assenza di permesso, in totale difformità dal
medesimo, ovvero con variazioni essenziali, determinate ai sensi
dell’articolo 32, ingiunge al proprietario e al responsabile dell’abuso la
rimozione o la demolizione, indicando nel provvedimento l’area che viene
acquisita di diritto, ai sensi del comma 3. (…)’;
- l’art. 3, punto e5), d.P.R. 380/2001 include tra le opere di
‘nuova costruzione’ ‘l'installazione di manufatti leggeri, anche
prefabbricati, e di strutture di qualsiasi genere, quali roulottes, campers,
case mobili, imbarcazioni, che siano utilizzati come abitazioni, ambienti di
lavoro, oppure come depositi, magazzini e simili, ad eccezione di quelli che
siano diretti a soddisfare esigenze meramente temporanee o siano ricompresi
in strutture ricettive all'aperto per la sosta e il soggiorno dei turisti,
previamente autorizzate sotto il profilo urbanistico, edilizio e, ove
previsto, paesaggistico, in conformità alle normative regionali di settore’.
In materia di realizzazione di gazebo la giurisprudenza ormai prevalente
ritiene che:
- per ‘gazebo’ si intende, nella sua configurazione tipica, una
struttura leggera, non aderente ad altro immobile, coperta nella parte
superiore ed aperta ai lati, realizzata con una struttura portante in ferro
battuto, in alluminio o in legno strutturale, talvolta chiuso ai lati da
tende facilmente rimuovibili. Spesso il gazebo è utilizzato per
l'allestimento di eventi all’aperto, anche sul suolo pubblico, e in questi
casi è considerata una struttura temporanea. In altri casi il gazebo è
realizzato in modo permanente per la migliore fruibilità di spazi aperti
come giardini o ampi terrazzi (cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 25.01.2017 n.
306);
- indubbiamente, in relazione ad alcune opere edilizie, normalmente
di limitata consistenza e di esiguo impatto sul territorio, come pergolati,
gazebo, tettoie, pensiline e pergotende, non è sempre agevole individuare il
limite entro il quale esse possono farsi rientrare nel regime dell'edilizia
libera o, invece, devono farsi ricadere nei casi di edilizia non libera per
i quali è richiesta una comunicazione all'amministrazione preposta alla
tutela del territorio o, addirittura, il rilascio di un permesso di
costruire (in tal senso Cons. Stato, Sez. VI, 24.12.2018 n. 7221);
- infatti, ad esempio, i gazebo che poggiano su piattaforme di
calcestruzzo non sono strutture precarie, ma sono funzionali a soddisfare
esigenze permanenti e vanno pertanto considerati come manufatti che alterano
lo stato dei luoghi, con un sicuro incremento del carico urbanistico (cfr.
sul punto, tra le molte, Cons. Stato, Sez. VI, 12.12.2012 n. 6382 e Sez. V,
01.12.2003 n. 7822);
- nello specifico, la natura di opera precaria non si evince dalla
tipologia dei materiali utilizzati per la sua edificazione e, più in
generale, dalle caratteristiche costruttive e di ancoraggio al suolo della
stessa, quanto piuttosto da un elemento di tipo funzionale, dovendosi
verificare se la stessa sia o meno destinata al soddisfacimento di esigenze
durevoli, stabili e permanenti nel tempo (cfr. Cons. Stato, Sez. II, 30.10.2020 n. 6653);
- in sostanza, occorre avere riguardo all’uso cui il manufatto è
destinato, nel senso che, se le opere sono dirette al soddisfacimento di
esigenze stabili e permanenti, deve escludersi la natura precaria, a
prescindere dai materiali utilizzati e dalla tecnica costruttiva applicata (cfr.
Cons. Stato, Sez. II, 24.07.2020 n. 4726 e 19.03.2020 n. 1951 nonché Sez. VI, 11.01.2018 n. 150);
- anche ritenendo, dunque, il carattere smontabile o facilmente
amovibile della struttura in ogni caso ai fini della qualificazione della
natura dell'opera come precaria deve farsi riferimento alla sua destinazione
e quindi, per mantenere il carattere di precarietà deve costituire un’opera
che non sia funzionale al soddisfacimento di esigenze stabili e durature nel
tempo (cfr., ancora, Cons. Stato, Sez. VI, 03.06.2014 n. 2842);
- non conduce a conclusioni diverse la considerazione che la
struttura abbia carattere stagionale, in quanto "l'opera stagionale,
diversamente da quella precaria, non è destinata a soddisfare esigenze
contingenti ma ricorrenti, sia pure soltanto in determinati periodi
dell'anno e, per tale motivo, è soggetta a permesso di costruire. Invero, il
carattere stagionale dell'uso non implica la provvisorietà dell'attività, né
di per sé la precarietà del manufatto ove la stessa si svolga, atteso che il
rinnovarsi dell'attività con frequenza stagionale è indicativo della
stabilità dell'attività e dell'opera a ciò destinata. Invero, la stagionalità dell'uso non esclude la destinazione del manufatto al
soddisfacimento di esigenze permanenti nel tempo, pur quando lo stesso venga
rimosso in determinati mesi dell'anno e successivamente, con cadenza
periodica predeterminata, nuovamente installato’ (cfr., in termini, Cons.
Stato, Sez. VI, 13.01.2020 n. 309)” (così Consiglio di Stato, Sez. VI,
n. 1203/2021).
I medesimi principi sono stati recentemente ribaditi dalla giurisprudenza
della Sezione, laddove si è “precisato che ‘è fermo in giurisprudenza (cfr.,
per tutti, Cons. St., IV, 04.09.2013 n. 4438; id., VI, 25.01.2017
n. 306; id., II, 03.09.2019 n. 6068) l’avviso per cui il gazebo è una
struttura leggera, non aderente ad altro immobile, coperta nella parte
superiore ed aperta ai lati, realizzata con una struttura portante in ferro
battuto, in alluminio o in legno strutturale, talvolta chiuso ai lati da
tende facilmente rimovibili, che può essere realizzato perlopiù come
struttura temporanea’ (Consiglio di Stato, sez. VI, n. 2365/2021), con la
conseguenza che quel che distingue la natura precaria d’un gazebo, che lo
esonera dall'obbligo del possesso del p.d.c. non è solo la peculiare
leggerezza della struttura di esso, ma l’esser funzionale ad esigenze ed a
correlati usi specifici e temporalmente limitati, quindi giammai permanenti
nel tempo” (Consiglio di Stato, Sez. I, n. 791/2021).
Va da sé che quanto rilevato dalla giurisprudenza in ordine ai gazebo si
applichi –potrebbe dirsi a maggior ragione– con riferimento ai dehor, che
rispetto ai primi presentano di norma caratteristiche strutturali più
stabili e complesse.
Non è possibile, dunque, stabilire a priori ed univocamente se ai fini della
realizzazione di un dehor sia o meno necessario ottenere preventivamente uno
specifico permesso di costruire, dovendosi caso per caso operare una
specifica valutazione non soltanto sulla base della tipologia della
struttura, dei materiali in concreto utilizzati e del tipo di ancoraggio al
suolo, ma anche (e soprattutto) in ordine alla idoneità o meno del manufatto
al soddisfacimento di esigenze stabili e durature nel tempo, e questo al di
là del suo carattere stagionale o meno
(Consiglio di Stato, Sez. I,
parere 10.06.2021 n. 1022 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Il Collegio osserva che il gazebo in questione non riveste
le caratteristiche fissate dalla giurisprudenza per consentire al
proprietario l’esonero dall’obbligo di ottenere il permesso di costruire,
che viene ammesso solo nell’ipotesi in cui sia verificabile la peculiare
leggerezza della struttura e la sua fruibilità per esigenze temporanee e
limitate nel tempo.
Questo Consiglio di Stato ha precisato che “è fermo in giurisprudenza l’avviso per cui il
gazebo è una
struttura leggera, non aderente ad altro immobile, coperta nella parte
superiore ed aperta ai lati, realizzata con una struttura portante in ferro
battuto, in alluminio o in legno strutturale, talvolta chiuso ai lati da
tende facilmente rimovibili, che può essere realizzato perlopiù come
struttura temporanea”, con la
conseguenza che quel che distingue la natura precaria d’un gazebo, che lo
esonera dall'obbligo del possesso del p.d.c. non è solo la peculiare
leggerezza della struttura di esso, ma l’esser funzionale ad esigenze ed a
correlati usi specifici e temporalmente limitati, quindi giammai permanenti
nel tempo, che, nel caso di specie, non ricorrono.
---------------
Con il secondo motivo, i ricorrenti deducono l’illegittimità dell’ordinanza
di demolizione, che avrebbe ad oggetto un manufatto non rientrante nelle
ipotesi sanzionate dall’art. 31, T.U. edilizia, dal momento che il gazebo
sarebbe realizzabile previa presentazione di una mera d.i.a., la cui carenza
è sanzionabile ai sensi dell’art. 37, avendo la struttura natura
pertinenziale dell’appartamento sito al piano terra.
Anche tale doglianza è infondata.
L’ordinanza di rimozione è immune dai vizi denunciati anche con riferimento
a quanto stabilito dall’art. 2, lett. i), del p.r.g. del Comune di
Mercogliano, non impugnato, ai sensi del quale deve essere richiesto idoneo
titolo edilizio anche per attività di “costruzione, restauro, modifica,
demolizione e ricostruzione di: muri di cinta, cancellate, recinzioni
prospicienti spazi di uso pubblico, chioschi permanenti o provvisori”, tra i
quali si può certamente annoverare il gazebo in contestazione.
Dalla documentazione fotografica versata in atti, peraltro, è possibile
osservare che il manufatto in contestazione consiste in una struttura
ancorata al terreno tramite gettata di cemento e formata da quattro colonne
in marmo, sovrastate da una copertura in muratura.
Al riguardo, il Collegio osserva che l’opera in questione non riveste le
caratteristiche fissate dalla giurisprudenza per consentire al proprietario
l’esonero dall’obbligo di ottenere il permesso di costruire, che viene
ammesso solo nell’ipotesi in cui sia verificabile la peculiare leggerezza
della struttura e la sua fruibilità per esigenze temporanee e limitate nel
tempo.
Questo Consiglio di Stato ha precisato che “è fermo in giurisprudenza (cfr.,
per tutti, Cons. St., IV, 04.09.2013 n. 4438; id., VI, 25.01.2017
n. 306; id., II, 03.09.2019 n. 6068) l’avviso per cui il gazebo è una
struttura leggera, non aderente ad altro immobile, coperta nella parte
superiore ed aperta ai lati, realizzata con una struttura portante in ferro
battuto, in alluminio o in legno strutturale, talvolta chiuso ai lati da
tende facilmente rimovibili, che può essere realizzato perlopiù come
struttura temporanea” (Consiglio di Stato, sez. VI, n. 2365/2021), con la
conseguenza che quel che distingue la natura precaria d’un gazebo, che lo
esonera dall'obbligo del possesso del p.d.c. non è solo la peculiare
leggerezza della struttura di esso, ma l’esser funzionale ad esigenze ed a
correlati usi specifici e temporalmente limitati, quindi giammai permanenti
nel tempo, che, nel caso di specie, non ricorrono
(Consiglio di Stato, Sez. I,
parere 28.04.2021 n. 791 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
E' fermo in giurisprudenza
l’avviso per cui il gazebo è una struttura leggera, non aderente ad altro
immobile, coperta nella parte superiore ed aperta ai lati, realizzata con
una struttura portante in ferro battuto, in alluminio o in legno
strutturale, talvolta chiuso ai lati da tende facilmente rimovibili, che può
essere realizzato perlopiù come struttura temporanea.
Come si vede, quel che
distingue la natura precaria d’un gazebo, che lo esonera dall'obbligo del
possesso del PDC, non è solo la peculiare leggerezza della struttura di
esso, ma l’esser funzionale ad esigenze ed a correlati usi specifici e
temporalmente limitati, quindi giammai permanenti nel tempo.
---------------
7.
– Non a diversa conclusione ritiene il Collegio di pervenire con riferimento
alla natura del gazebo sito di fronte all’ingresso dell’esercizio
commerciale dell’appellante.
Già con la memoria del 21.10.2019 in primo grado, ella aveva precisato che
il gazebo esisteva in situ prima del 1967, con pari dimensione e
nella stessa posizione in cui si trova attualmente. Tale opera fu poi
adeguata con la SCIA n. 1766/2011, per esser poi rifatta nella sua attuale
consistenza, a seguito dei danni, compreso il disancoraggio, derivanti da un
evento atmosferico straordinario.
Ora, dall’unica fotografia rinvenibile nel PAT, a prima vista risalente alla metà degli anni ’60 del secolo scorso,
s’evince uno scorcio di gabbiotto metallico alquanto più basso dell’attuale
porta d’ingresso all’esercizio commerciale attoreo, sita a SX del portoncino
del fabbricato principale. Ma agli occhi del Collegio, in disparte l’obbligo
dell’appellante di dimostrare con serietà e rigore il tempo della
costruzione e le specifiche caratteristiche di essa (e non il contrario,
come dice, sbagliando, anzi contraddicendosi, l’appellante a pag. 11 del
ricorso in epigrafe), è comunque irrilevante che l’opera fosse lì da prima
del 1967, rilevandone piuttosto la sua sostituzione con quella oggetto della
SCIA del 2011 e, in particolare, le sue attuali consistenza e funzione.
Ebbene, è fermo in giurisprudenza (cfr., per tutti, Cons. St., IV,
04.09.2013 n. 4438; id., VI, 25.01.2017 n. 306; id., II,
03.09.2019 n. 6068)
l’avviso per cui il gazebo è una struttura leggera, non aderente ad altro
immobile, coperta nella parte superiore ed aperta ai lati, realizzata con
una struttura portante in ferro battuto, in alluminio o in legno
strutturale, talvolta chiuso ai lati da tende facilmente rimovibili, che può
essere realizzato perlopiù come struttura temporanea. Come si vede, quel che
distingue la natura precaria d’un gazebo, che lo esonera dall'obbligo del
possesso del PDC, non è solo la peculiare leggerezza della struttura di
esso, ma l’esser funzionale ad esigenze ed a correlati usi specifici e
temporalmente limitati, quindi giammai permanenti nel tempo.
Ebbene, l’impugnata sentenza ha dato specifica contezza dell’impossibilità
d’assimilare l’opera realizzata dall’odierna appellante ad un gazebo
propriamente detto, per la definizione evincibile dai citati arresti invece
ad ospitare in maniera permanente gli avventori della struttura, in
ampliamento della superficie fruibile dell’esercizio commerciale gestito
dall’appellante. Né ella smentisce in fatto tali considerazioni, poiché ha
affermato nel ricorso al TAR che «… il gazebo veniva costruito con
struttura in legno prefabbricata, semovibile ed ancorata al suolo con
bulloni facilmente svitabili …», ossia elementi che ne escludono le
caratteristiche dell’effettiva precarietà ed un uso limitato nel tempo.
Tal ultimo argomento s’appalesa dirimente: a parte che la superficie
occupata dal gazebo non è inferiore a mq 20, in ogni caso l’area
d’intervento ricade in zona E–agricola di PRG. Ma il relativo R.E.C. non
ammette opere comunque infisse al suolo a distanza inferiore a m 20 dal
ciglio stradale e, poiché detto gazebo è funzionalmente infisso al suolo
sine die —soddisfacendo un’utilità di tipo economico non limitato ad un
dato periodo ed anch’essa, quindi, di fatto non precaria—, esso non può
restare in quel luogo ed in quelle dimensioni. Infatti, l’area non consente
alcuna edificazione ex novo, se non le ordinarie manutenzioni
conservative dello stabile già esistente (Consiglio
di Stato, Sez. VI,
sentenza 18.03.2021 n. 2365 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Cos’è
il gazebo?
Il gazebo (struttura a copertura di un’area, sorretta da
pali o pilastri (aperta sui lati) costituisce opera soggetta a permesso a
costruire tutte le volte che è destinata ad esigenze non temporanee, senza
che rilevi la sua facile amovibilità o il materiale dal quale è composto
(ligneo invece che in muratura).
---------------
Sebbene, al tempo di
realizzazione dell’abuso, la giurisprudenza non fosse univoca circa la
necessità di un permesso di costruire per la realizzazione di strutture
simili a quella di cui si discute (si vedano, a favore di questa soluzione
ex plurimis TAR Bolzano, 06/05/2005, n. 172; TAR Napoli, sez. IV,
15/09/2008, n. 10138; TAR Napoli, sez. IV, 12/01/2009, n. 68; Consiglio di
Stato, sez. VI, 12/12/2012, n. 6382; contra TAR Napoli, sez. IV,
19/01/2012, n. 238; TAR Brescia, sez. II, 07/04/2011, n. 526; TAR Roma, sez.
II, 13/10/2010, n. 32802), l’orientamento si è consolidato nel senso di
ritenere che il gazebo (struttura a copertura di un’area, sorretta da pali o
pilastri (aperta sui lati) costituisce opera soggetta a permesso a costruire
tutte le volte che è destinata ad esigenze non temporanee (TAR Lecce, sez.
I, 27/02/2020, n. 257; TAR Napoli, sez. VIII, 06/12/2019, n. 5733), senza
che rilevi la sua facile amovibilità o il materiale dal quale è composto
(ligneo invece che in muratura).
Nel caso di specie, come risulta con assoluta evidenza, il gazebo della
ricorrente è stato realizzato in area cortilizia, addossandolo all’angolo
della recinzione in muratura (che rende di fatto chiusi i due lati
corrispondenti) con una struttura che, sebbene in legno, è evidentemente
stabile, ovvero preordinata ad una esigenza permanente di copertura di una
porzione di tale area, con la conseguenza che non può predicarsene una
natura meramente temporanea (TAR
Lazio-Roma, Sez. II-bis,
sentenza 05.01.2021 n. 178 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
anno 2020 |
|
EDILIZIA PRIVATA: Il
gazebo in legno è edilizia libera non soggetta alle norme antisimiche.
Il gazebo di legno non va sottoposto a collaudo sulla
staticità perché va qualificato tra gli «interventi privi di rilevanza per
la pubblica incolumità» in quanto non è del tipo di opere edilizie –quali i
conglomerati cementizi o le strutture metalliche- elencate dall'articolo 53
del Dpr 380/2001 (Testo unico dell'edilizia).
---------------
2. Avverso la sentenza del Tribunale di Rimini ha proposto ricorso per
cassazione il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Rimini.
2.1. Con il primo motivo si deduce la violazione degli artt. 95
d.P.R. 380/2001 e 53, 67, 75 d.P.R. 380/2001, in relazione ai capi f), g),
h) punto 2.
Il Tribunale avrebbe errato nel ritenere che il gazebo oggetto delle
fattispecie di reato ascritte agli imputati potesse rientrare fra i c.d.
IPRiPi (Interventi Privi di Rilevanza per la Pubblica Incolumità), senza
necessità di autorizzazione sismica.
Il giudice di primo grado avrebbe in questo modo ripetuto l'errore commesso
dal tribunale del riesame la cui decisione era stata annullata con rinvio da
parte della Suprema Corte.
Quanto al capo h) punto 2, si afferma che «anche Gu. risponde, poiché
appare di assoluta normalità che il falso sia stato concordato tra Ca. (che
non ha un interesse esclusivo sul punto) e Gu. ...».
2.2. Con il secondo motivo si deduce la violazione dell'art. 44
d.P.R. 380/2001 anche in relazione all'art. 6 d.P.R. 380/2001, quanto al
capo e). Il Tribunale avrebbe errato nel ricondurre la costruzione del
manufatto nell'ambito dell'edilizia libera.
...
1. Il ricorso è manifestamente infondato.
1.1. Quanto al capo f), deve rilevarsi che il Tribunale ha correttamente
escluso la sussistenza del reato in quanto l'art. 67 del d.P.R. 380/2001
prevede che il collaudo statico riguardi solo le costruzioni di cui
all'articolo 53, comma 1 del d.P.R.
Le strutture in legno, come quelle in esame, non rientrano tra quelle
previste nell'art. 53, comma 1, d.P.R. 380/2001 (1. Ai fini del presente
testo unico si considerano: a) opere in conglomerato cementizio armato
normale, quelle composte da un complesso di strutture in conglomerato
cementizio ed armature che assolvono ad una funzione statica; b) opere in
conglomerato cementizio armato precompresso, quelle composte di strutture in
conglomerato cementizio ed armature nelle quali si imprime artificialmente
uno stato di sollecitazione addizionale di natura ed entità tali da
assicurare permanentemente l'effetto statico voluto; c) opere a struttura
metallica quelle nelle quali la statica è assicurata in tutto o in parte da
elementi strutturali in acciaio o in altri metalli)
(Corte di Cassazione, Sez. III penale,
sentenza
24.04.2020 n. 12851). |
EDILIZIA PRIVATA: Gazebo:
quando occorre il permesso di costruire?
Con riferimento ai gazebo, si osserva che,
secondo la giurisprudenza prevalente, l'intervento edilizio che ha
comportato la sistemazione degli spazi esterni (viali pedonali e muretti di
perimetrazione, gazebo, pensiline), è annoverabile nel concetto di “nuova
costruzione” di cui all'art. 3, lett. e), d.P.R. n. 380/2001, che riguarda
ogni trasformazione urbanistica del territorio non rientrante nelle
categorie della manutenzione ordinaria e straordinaria, del restauro e
risanamento conservativo e della ristrutturazione edilizia, e che comprende
qualunque manufatto autonomo o modificativo di altro preesistente,
necessitante in base al successivo art. 10 del permesso a costruire e
sanzionabile, in sua mancanza, con la sanzione della demolizione ex art. 31.
Ancora, si rileva che i manufatti funzionali a soddisfare esigenze
permanenti, devono essere considerati come idonei ad alterare lo stato dei
luoghi, con un sicuro incremento del carico urbanistico, non rilevando la
precarietà strutturale del manufatto, la rimovibilità della struttura e
l'assenza di opere murarie; ciò in quanto il manufatto non precario (es.:
gazebo o chiosco) non è utilizzato per fini contingenti, ma è destinato ad
un utilizzo reiterato nel tempo, in quanto opere realizzate per attività
stagionali. Deve pertanto rilevarsi come, ai fini dell'esonero dall'obbligo
del possesso del permesso di costruire, l'opera precaria deve essere
destinata ad un uso temporalmente limitato del bene, mentre la stagionalità
dell'uso non esclude la destinazione del manufatto al soddisfacimento di
esigenze permanenti nel tempo.
Infine, gli interventi consistenti nella installazione di tettoie o
di altre strutture analoghe, quali i gazebo, che siano
comunque apposte a parti di preesistenti edifici come strutture accessorie
di protezione o di riparo di spazi liberi, non possono ritenersi
installabili senza permesso di costruire allorquando le loro dimensioni sono
di entità tale da arrecare una visibile alterazione all'edificio o alle
parti dello stesso su cui vengono inserite.
Orbene, nel caso in esame, i gazebo presentano delle dimensioni
importanti (circa 20 mq complessivi) e, quindi, non tali da consentire che
l’opera possa essere ritenuta, in senso urbanistico, qualificata come
meramente accessoria al manufatto principale, di cui modifica la sagoma e i
prospetti. Né possono essere ritenuti “precari”, in quanto sono destinati a
garantire un’utilità stabile nel tempo.
---------------
4.3. Con riferimento, infine, ai due gazebo, si osserva che, secondo
la giurisprudenza prevalente dalla quale non si ravvisano ragioni per
discostarsi, l'intervento edilizio che ha comportato la sistemazione degli
spazi esterni (viali pedonali e muretti di perimetrazione, gazebo,
pensiline), è annoverabile nel concetto di “nuova costruzione” di cui
all'art. 3, lett. e), d.P.R. n. 380/2001, che riguarda ogni trasformazione
urbanistica del territorio non rientrante nelle categorie della manutenzione
ordinaria e straordinaria, del restauro e risanamento conservativo e della
ristrutturazione edilizia, e che comprende qualunque manufatto autonomo o
modificativo di altro preesistente, necessitante in base al successivo art.
10 del permesso a costruire e sanzionabile, in sua mancanza, con la sanzione
della demolizione ex art. 31 (TAR Napoli n. 5313/2018).
Ancora, si rileva che i manufatti funzionali a soddisfare esigenze
permanenti, devono essere considerati come idonei ad alterare lo stato dei
luoghi, con un sicuro incremento del carico urbanistico, non rilevando la
precarietà strutturale del manufatto, la rimovibilità della struttura e
l'assenza di opere murarie; ciò in quanto il manufatto non precario (es.:
gazebo o chiosco) non è utilizzato per fini contingenti, ma è destinato ad
un utilizzo reiterato nel tempo, in quanto opere realizzate per attività
stagionali. Deve pertanto rilevarsi come, ai fini dell'esonero dall'obbligo
del possesso del permesso di costruire, l'opera precaria deve essere
destinata ad un uso temporalmente limitato del bene, mentre la stagionalità
dell'uso non esclude la destinazione del manufatto al soddisfacimento di
esigenze permanenti nel tempo (TAR Lecce n. 666/2019).
Infine, gli interventi consistenti nella installazione di tettoie o
di altre strutture analoghe, quali i gazebo, che siano
comunque apposte a parti di preesistenti edifici come strutture accessorie
di protezione o di riparo di spazi liberi, non possono ritenersi
installabili senza permesso di costruire allorquando le loro dimensioni sono
di entità tale da arrecare una visibile alterazione all'edificio o alle
parti dello stesso su cui vengono inserite.
Orbene, nel caso in esame, i gazebo presentano delle dimensioni
importanti (circa 20 mq complessivi) e, quindi, non tali da consentire che
l’opera possa essere ritenuta, in senso urbanistico, qualificata come
meramente accessoria al manufatto principale, di cui modifica la sagoma e i
prospetti. Né possono essere ritenuti “precari”, in quanto sono
destinati a garantire un’utilità stabile nel tempo.
Conseguentemente anche questa censura deve trovare accoglimento (TAR
Puglia-Lecce, Sez. I,
sentenza 27.02.2020 n. 257 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Il pergolato «ha una
funzione ornamentale, è realizzato in una struttura leggera in legno o in
altro materiale di minimo peso, deve essere facilmente amovibile in quanto
privo di fondamenta, e funge da sostegno per piante rampicanti, attraverso
le quali realizzare riparo e ombreggiatura di superfici di modeste
dimensioni».
Sicché quando il pergolato viene coperto nella parte superiore (anche
per una sola porzione) con una struttura non facilmente amovibile
(realizzata con qualsiasi materiale) viene assoggettato alle regole dettate
per la realizzazione delle tettoie.
---------------
Quanto al
pergolato (non rilevando in questa sede il fatto che sia stato
realizzato in luogo di una preesistente superfetazione non autorizzata),
esso, secondo l’indirizzo giurisprudenziale maturato nella materia, «ha una
funzione ornamentale, è realizzato in una struttura leggera in legno o in
altro materiale di minimo peso, deve essere facilmente amovibile in quanto
privo di fondamenta, e funge da sostegno per piante rampicanti, attraverso
le quali realizzare riparo e ombreggiatura di superfici di modeste
dimensioni» (Cons. di Stato, IV, sent. n. 5409/2011); sicché quando il
pergolato viene coperto nella parte superiore (anche per una sola porzione)
con una struttura non facilmente amovibile (realizzata con qualsiasi
materiale) viene assoggettato alle regole dettate per la realizzazione delle
tettoie (Cons. di Stato, VI, sent. n. 306/2017, cit.)
(TAR Campania-Napoli, Sez. VII,
sentenza 24.02.2020 n. 837 - link a www.giustizia-amministrartiva.it). |
EDILIZIA PRIVATA: La pergotenda
è una struttura destinata a rendere meglio vivibili gli spazi esterni delle
unità abitative (terrazzi o giardini) ed è volta a soddisfare esigenze non
precarie; non si connota, pertanto, per la temporaneità della sua
utilizzazione, ma costituisce un elemento di migliore fruizione dello spazio
esterno, stabile e duraturo.
Essa “è qualificabile come mero arredo esterno quando è di modeste
dimensioni, non modifica la destinazione d'uso degli spazi esterni ed è
facilmente ed immediatamente rimovibile, con la conseguenza che la sua
installazione si va ad inscrivere all'interno della categoria delle attività
di edilizia libera e non necessita quindi di alcun permesso”.
In particolare, la giurisprudenza amministrativa, “con riferimento a
strutture tipo “gazebo”, ne ha ritenuto l’inquadramento nel regime
pertinenziale e di manutenzione straordinaria solo con riferimento a
manufatti di modeste dimensioni e consistenza, aventi funzioni di riparo
dagli agenti atmosferici, costituenti semplici arredi, mentre ha escluso i
manufatti che, per le apprezzabili dimensioni strutturali, per l'impatto
visivo, il non trascurabile "carico urbanistico", la loro conformazione e
destinazione all'attività imprenditoriale, la rilevante alterazione della
sagoma esterna dell'immobile, implicano una incidenza significativa
sull'assetto urbanistico ed una consistente trasformazione del tessuto
edilizio”.
Per configurare una pergotenda, in quanto tale non necessitante di titolo
abilitativo, pur non essendo destinata a soddisfare esigenze precarie,
occorre che l’opera principale sia costituita non dalla struttura in sé, ma
dalla tenda, quale elemento di protezione dal sole o dagli agenti
atmosferici, mentre la struttura deve qualificarsi in termini di mero
elemento accessorio, necessario al sostegno e all’estensione della tenda;
non è invece configurabile una pergotenda se la struttura principale è
solida e permanente e, soprattutto, tale da determinare una evidente
variazione di sagoma e di prospetto dell'edificio.
Va altresì esclusa la connotazione di pergotenda quando la copertura e/o la
chiusura perimetrale presentino elementi di fissità, stabilità e permanenza,
anche per una limitata porzione; in tal caso, pur non potendosi parlare di
organismo edilizio connotantesi per la creazione di nuovo volume o
superficie, il titolo edilizio deve ritenersi comunque necessario.
---------------
2.1. La pergotenda è una struttura destinata a rendere meglio vivibili gli
spazi esterni delle unità abitative (terrazzi o giardini) ed è volta a
soddisfare esigenze non precarie; non si connota, pertanto, per la
temporaneità della sua utilizzazione, ma costituisce un elemento di migliore
fruizione dello spazio esterno, stabile e duraturo (Cons. Stato, sez. VI,
25.01.2017, n. 306 e 27.04.2016, n. 1619).
Essa “è qualificabile come mero arredo esterno quando è di modeste
dimensioni, non modifica la destinazione d'uso degli spazi esterni ed è
facilmente ed immediatamente rimovibile, con la conseguenza che la sua
installazione si va ad inscrivere all'interno della categoria delle attività
di edilizia libera e non necessita quindi di alcun permesso” (Consiglio
di Stato, sez. VI, 11.04.2014, n. 1777).
In particolare, la giurisprudenza amministrativa, “con riferimento a
strutture tipo “gazebo”, ne ha ritenuto l’inquadramento nel regime
pertinenziale e di manutenzione straordinaria solo con riferimento a
manufatti di modeste dimensioni e consistenza, aventi funzioni di riparo
dagli agenti atmosferici, costituenti semplici arredi, mentre ha escluso i
manufatti che, per le apprezzabili dimensioni strutturali, per l'impatto
visivo, il non trascurabile "carico urbanistico", la loro conformazione e
destinazione all'attività imprenditoriale, la rilevante alterazione della
sagoma esterna dell'immobile, implicano una incidenza significativa
sull'assetto urbanistico ed una consistente trasformazione del tessuto
edilizio” (Cons Stato, sez. IV, 01.07.2019, n. 4472).
Per configurare una pergotenda, in quanto tale non necessitante di titolo
abilitativo, pur non essendo destinata a soddisfare esigenze precarie,
occorre che l’opera principale sia costituita non dalla struttura in sé, ma
dalla tenda, quale elemento di protezione dal sole o dagli agenti
atmosferici, mentre la struttura deve qualificarsi in termini di mero
elemento accessorio, necessario al sostegno e all’estensione della tenda;
non è invece configurabile una pergotenda se la struttura principale è
solida e permanente e, soprattutto, tale da determinare una evidente
variazione di sagoma e di prospetto dell'edificio (Cons. Stato, sez. IV,
01.07.2019, n. 4472; Cons. Stato, sez. VI, 05.10.2018, n. 5737).
Va altresì esclusa la connotazione di pergotenda quando la copertura e/o la
chiusura perimetrale presentino elementi di fissità, stabilità e permanenza,
anche per una limitata porzione; in tal caso, pur non potendosi parlare di
organismo edilizio connotantesi per la creazione di nuovo volume o
superficie, il titolo edilizio deve ritenersi comunque necessario (TAR
Lombardia Brescia, sez. II, 02.07.2018, n. 646).
2.2. Ciò premesso in termini generali, nella fattispecie, ad avviso del
Collegio, l’opera realizzata, come si evince già dalla documentazione
fotografica agli atti, non rientra propriamente nella nozione di pergotenda
(pur essendo la stessa caratterizzata dalla presenza di tende retrattili in
materiale PVC); essa, infatti, ha una consistenza (per dimensioni e per
struttura) ben più rilevante di una mera tenda, incidendo sul prospetto e
sulla sagoma dell’edificio cui è agganciata, risulta ancorata stabilmente al
suolo e, nella parte più alta, addirittura integrata all’adiacente locale
(di conseguenza non qualificabile come di facile rimovibilità), è destinata
ad uso di somministrazione di alimenti e bevande dell’attività commerciale
esercitata nel medesimo locale (attività della quale, come correttamente
evidenziato dal Comune nell’atto impugnato, costituisce un ampliamento) e
non, quindi, a semplice ornamento o riparo dagli agenti atmosferici.
Peraltro, essa presenta degli elementi di fissità nelle tamponature laterali
della parte superiore (come si può verificare dalle fotografie che
ritraggono la struttura con le tende aperte) e non è del tutto separata o
facilmente separabile dall’edificio cui accede.
Tali caratteristiche escludono che possa parlarsi di un manufatto rientrante
tra quelli realizzabili in regime di edilizia libera (TAR
Marche,
sentenza 20.01.2020 n. 46 - link a www.giustizia-amministrartiva.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Le
rilevanti dimensioni della tettoia realizzata ed i materiali a tal fine
utilizzati (“tettoia in travi e tavolato in legno
lamellare di mq. 45 posta in aderenza al prospetto ovest del fabbricato”)
conducono ad escludere che essa possa ritenersi sottratta al regime del
permesso di costruire ex art. 10 d.P.R. 380/2001.
Questa Sezione ha già avuto modo di rilevare in generale
che: <<Anche la realizzazione di una tettoia è soggetta al permesso di
costruire, in quanto essa incide sull’assetto edilizio preesistente;
incisione particolarmente significativa ove -come nella fattispecie- la
tettoia insiste su un territorio vincolato. La realizzazione di una tettoia,
nella misura in cui realizza l’inserimento di nuovi elementi e impianti,
resta subordinata al regime del permesso di costruire, ai sensi dell’art.
10, comma 1, lett. c), D.P.R. n. 380/2001 laddove comporti, come nella
fattispecie, una modifica della sagoma e del prospetto del fabbricato cui
inerisce>>.
Altre sentenze si soffermano sulla giustificazione di tale impostazione,
escludendo che possano considerarsi elementi accidentali dell’intera
struttura e rilevando che: <<La realizzazione di una tettoia, anche se in
aderenza ad un muro preesistente, non può essere considerata un intervento
di manutenzione straordinaria ai sensi dell'art. 3, comma 1, lettera b), del
d.P.R. n. 380 del 2001, in quanto non consiste nella rinnovazione o nella
sostituzione di un elemento architettonico, ma nell'aggiunta di un elemento
strutturale dell'edificio, con modifica del prospetto. La sua costruzione,
pertanto, necessita del previo rilascio di permesso di costruire>>.
Fermo restando la correttezza di tale impostazione, la giurisprudenza
soggiunge che dette strutture possono ritenersi liberamente edificabili solo
qualora la loro conformazione e le loro ridotte dimensioni rendano evidente
e riconoscibile la loro finalità di arredo, riparo o protezione, anche da
agenti atmosferici, e quando, per la loro consistenza, possano ritenersi
assorbite, ovvero ricomprese in ragione della loro accessorietà,
nell'edificio principale o nella parte dello stesso cui accedono.
---------------
In relazione alla tettoia, con la terza censura è dedotta la violazione
degli artt. 3, 10 e 31 del d.P.R.380/2001, oltre all’eccesso di potere (per
difetto di istruttoria, motivazione illogica ed insufficiente, illogicità
manifesta), atteso che la tettoia rientrerebbe nell'ambito delle opere
pertinenziali ai sensi dell'articolo 3 lett. e.6), del D.P.R. 380/2001, non
essendo autonomamente utilizzabile in quanto posta ad esclusivo servizio
dell'immobile principale, senza creazione di alcun volume o superficie
utile, né, trattandosi di modestissima opera, è idonea ad aumentare il
carico urbanistico della zona.
L’ordine di idee di parte ricorrente non merita condivisione.
In argomento questa Sezione ha già avuto modo di rilevare in generale che:
<<Anche la realizzazione di una tettoia è soggetta al permesso di
costruire, in quanto essa incide sull’assetto edilizio preesistente;
incisione particolarmente significativa ove -come nella fattispecie- la
tettoia insiste su un territorio vincolato. La realizzazione di una tettoia,
nella misura in cui realizza l’inserimento di nuovi elementi e impianti,
resta subordinata al regime del permesso di costruire, ai sensi dell’art.
10, comma 1, lett. c), D.P.R. n. 380/2001 laddove comporti, come nella
fattispecie, una modifica della sagoma e del prospetto del fabbricato cui
inerisce>> (TAR Napoli, sez. III, 10.01.2014, n. 142; TAR Napoli, sez.
II, 12.07.2013, n. 3647).
Altre sentenze si soffermano sulla giustificazione di tale impostazione,
escludendo che possano considerarsi elementi accidentali dell’intera
struttura e rilevando che: <<La realizzazione di una tettoia, anche se in
aderenza ad un muro preesistente, non può essere considerata un intervento
di manutenzione straordinaria ai sensi dell'art. 3, comma 1, lettera b), del
d.P.R. n. 380 del 2001, in quanto non consiste nella rinnovazione o nella
sostituzione di un elemento architettonico, ma nell'aggiunta di un elemento
strutturale dell'edificio, con modifica del prospetto. La sua costruzione,
pertanto, necessita del previo rilascio di permesso di costruire>>
(Consiglio di Stato, sez. VI, 26/01/2015, n. 319).
Fermo restando la correttezza di tale impostazione, la giurisprudenza
soggiunge che dette strutture possono ritenersi liberamente edificabili solo
qualora la loro conformazione e le loro ridotte dimensioni rendano evidente
e riconoscibile la loro finalità di arredo, riparo o protezione, anche da
agenti atmosferici, e quando, per la loro consistenza, possano ritenersi
assorbite, ovvero ricomprese in ragione della loro accessorietà,
nell'edificio principale o nella parte dello stesso cui accedono (cfr. TAR
Campania, Napoli, sezione III, 25.07.2011 n. 3947).
Nel caso di specie, le rilevanti dimensioni della tettoia realizzata ed i
materiali a tal fine utilizzati (“tettoia in travi e tavolato in legno
lamellare di mq. 45 posta in aderenza al prospetto ovest del fabbricato”)
conducono ad escludere che essa possa ritenersi sottratta al regime del
permesso di costruire ex art. 10, d.P.R. 380/2001, per rientrare fra gli
interventi assoggettati a segnalazione certificata di inizio attività o,
addirittura, nella libera attività edilizia ai sensi del precedente art. 6.
In definitiva, nella sussistenza dei presupposti di fatto e di diritto per
ingiungere la sanzione demolitoria ai sensi dell’art. 31 D.P.R. 380/2001,
il ricorso si appalesa infondato e va, quindi, respinto, ad eccezione di
quanto rilevato per il frazionamento del piano rialzato
(TAR Campania-Napoli, Sez. III,
sentenza 07.01.2020 n. 42 - link a www.giustizia-amministrartiva.it). |
anno 2019 |
|
EDILIZIA PRIVATA: Gazebo:
caratteristiche strutturali e funzionali.
Il gazebo, nella sua configurazione tipica, è una
struttura leggera, non aderente ad altro immobile, coperta nella parte
superiore ed aperta ai lati, realizzata con una struttura portante in ferro
battuto, in alluminio o in legno strutturale, talvolta chiuso ai lati da
tende facilmente rimuovibili.
Spesso il gazebo è utilizzato per l’allestimento di eventi all’aperto, anche
sul suolo pubblico, e in questi casi è considerata una struttura temporanea.
In altri casi, è realizzato in modo permanente per la migliore fruibilità di
spazi aperti come giardini o ampi terrazzi.
(Nel caso di specie, l’opera realizzata dal ricorrente non è stata
considerata un gazebo sia per la sua forma, che non è quella tipica del
gazebo, sia per i materiali utilizzati, che non sono tutti leggeri, e perché
la struttura realizzata in aderenza ad un preesistente immobile in muratura
risulta destinata ad ospitare in maniera permanente gli avventori della
struttura, con ampliamento della superficie fruibile dell’esercizio
commerciale gestito dalla ricorrente).
---------------
5.- E’ controversa nel presente giudizio la legittimità del provvedimento,
in epigrafe meglio specificato, recante ordine di rimessione in pristino
delle seguenti opere ritenute abusive dalla resistente amministrazione
comunale:
- “un gazebo ad est del fabbricato, in legno lamellare
costituito da travi e pilastri alti circa metri 3 e avente dimensioni in
pianta pari a 5 x 5 mt. circa”;
- “un porticato ad est del fabbricato, costituito da pilastri e
travi in legno lamellare di larghezza 2,40 mt. circa ed altezza variabile
tra i 2,65 mt. e i 3,45 mt.”;
- “un porticato a sud del fabbricato costituito da pilastri e
travi in legno lamellare di larghezza che varia tra 1,40 mt. e 2,70 mt ed
altezza variabile pari a 3,45 mt.”;
- “piccola tettoia in legno costituito da pilastri e travi,
posta a nord del fabbricato con dimensioni 2,40 mt. di lunghezza, 1,60 mt.
di larghezza ed altezza variabile tra i 2,15 mt. e 2,70 mt., realizzata a
copertura dei distributori automatici”.
8.- La tesi attorea risulta radicata alla circostanze che le opere in
questione, in particolare il gazebo, non necessitino di alcun titolo, o al
limite di un titolo diverso dal permesso di costruire, rientrando nella c.
d. edilizia libera (la stessa perizia tecnica, versata in atti,
sostanzialmente ripete, quanto esposto in ricorso, risultando quest’ultimo
sovrapponibile alla prima).
8.1.- La delibazione della doglianza attorea postula la disamina delle
caratteristiche specifiche della struttura (gazebo) in esame, con
particolare riferimento ai materiali utilizzati, alla rimovibilità degli
stessi, all’aderenza o meno al fabbricato principale (cfr. ad es. Consiglio
di Stato, sez. VI, 25.01.2017, n. 306).
8.2.- Orbene, la giurisprudenza amministrativa (ex multis Cons. St.
citata) è attestata nel ritenere che il gazebo, nella sua configurazione
tipica, è una struttura leggera, non aderente ad altro immobile, coperta
nella parte superiore ed aperta ai lati, realizzata con una struttura
portante in ferro battuto, in alluminio o in legno strutturale, talvolta
chiuso ai lati da tende facilmente rimuovibili. Spesso il gazebo è
utilizzato per l'allestimento di eventi all’aperto, anche sul suolo
pubblico, e in questi casi è considerata una struttura temporanea. In altri
casi il gazebo è realizzato in modo permanente per la migliore fruibilità di
spazi aperti come giardini o ampi terrazzi.
8.2.1.- Nella fattispecie l’opera realizzata dalla ricorrente non può
ritenersi assimilabile ad un gazebo per la sua forma, che non è quella
tipica di un gazebo, per i materiali utilizzati, che non sono tutti leggeri,
e perché la struttura è stata realizzata in aderenza ad un preesistente
immobile in muratura e risulta destinata ad ospitare in maniera permanente
gli avventori della struttura, con un ampliamento della superficie fruibile
dell’esercizio commerciale gestito dalla ricorrente (Bar/Tabacchi). E’ la
stessa parte ricorrente ad affermare in ricorso che “il gazebo veniva
costruito con struttura in legno prefabbricata, semovibile ed ancorata al
suolo con bulloni facilmente svitabili”, e cioè con elementi che
escludono le caratteristiche del gazebo (TAR Campania-Napoli,
Sez. VIII,
sentenza 06.12.2019 n. 5733 - massima tratta da
www.laleggepertutti.it - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Ai
fini della valutazione circa la necessità del permesso di costruire di
un’opera e della presupposta autorizzazione paesaggistica, nonché della
conseguente sanzione, è necessario considerare nello specifico come essa è
realizzata (forma, dimensioni, ecc.).
Pertanto l'Amministrazione ha l'onere di motivare in modo esaustivo,
attraverso una corretta e completa istruttoria, che rilevi esattamente le
opere compiute, il perché non ritenga che si tratti di una struttura
realizzabile in regime di edilizia libera.
---------------
Il gazebo in legno di facile rimozione, dunque non stabilmente
infissa al suolo e a carattere non permanente, può rientrare a buon titolo
tra gli elementi di arredo delle aree pertinenziali degli edifici, ai sensi
dell’art. 6, comma 1°, lett. e-quinquies), del D.P.R. n. 380/2001, in
coordinamento con quanto stabilito dall’art. 3, comma 1°, lett. e.1),
trattandosi di struttura che non amplia il preesistente edificio, ma di un
manufatto separato a servizio dello stesso, realizzato in area pertinenziale.
Il glossario delle opere libere, di cui al D.M. del 02.03.2018 prevede,
altresì, che il gazebo realizzabile senza titoli edificatori debba essere di
limitate dimensioni e non stabilmente ancorato al suolo.
---------------
Le apparecchiature per il contenimento dei consumi energetici (pannelli
solari) rientrano nell’attività di edilizia libera, ai sensi dell’art.
6, comma 1°, lett. e-quater), del D.P.R. n. 380/2001, e come tali sono
contemplate nel glossario delle opere libere, di cui al D.M. del 02.03.2018.
---------------
La tettoia e il muro di contenimento necessitano delle
autorizzazioni.
La prima -nel caso di specie- è un’opera in legno stabilmente ancorata al
suolo (dunque a carattere permanente e, perciò, a modifica dello stato dei
luoghi) e di dimensioni medie (mq 15,00); le predette caratteristiche
rendono la struttura suscettibile di alterare l’assetto del territorio e di
incidere sul carico urbanistico in termini volumetrici.
Quanto al muro, esso è descritto quale opera “di considerevoli dimensioni” e
realizzata fuori terra; perciò, per l’impatto che essa ha sul territorio e
sull’assetto urbanistico, necessita dei titoli edificatori.
---------------
Va, invece, esaminato nel merito il contenuto dell’ordinanza n. 60/2018,
impugnata con i motivi aggiunti.
Essa ingiunge la demolizione del cancello posto sulla particella 1650 (in
quanto realizzato senza autorizzazione edilizia e paesaggistica), di un
gazebo e di una tettoia (in quanto realizzati senza titoli edilizi e
paesaggistici), di apparecchiature per i consumi energetici poste sulla
copertura dell’edificio (in quanto realizzate in assenza di titoli e non
rientranti nella tipologia di cui all’all. A del D.P.R. n. 31/2017, punto
6), di un muro di contenimento (in quanto realizzato in totale difformità
dalla D.I.A. in data 11.10.2004 e successiva variante, peraltro priva di
efficacia perché carente di autorizzazioni paesaggistiche e archeologiche).
In proposito il Collegio rileva:
1. Il cancello è stato realizzato sulla particella 1650, che
l’ordinanza n. 35/2018, annullata d’ufficio, aveva ritenuto costituire parte
della strada pubblica di proprietà comunale. Quest’affermazione è stata
corretta nell’ordinanza n. 60/2018, ivi riconoscendosi la proprietà dei
ricorrenti sulla particella 1650, in forza di contratto di cessione
stipulato il 07.06.1980, conseguito alla sdemanializzazione dell’area.
Tuttavia l’ordinanza n. 60/2018 ingiunge la demolizione del cancello
ritenendo necessari per la sua installazione titoli edilizi e paesaggistici.
Né l’ordinanza n. 35/2018, né l’ordinanza n. 60/2018 descrivono le
dimensioni e la forma dell’opera, per la cui installazione non sarebbero
necessarie autorizzazioni qualora essa non sia –per dimensioni e
conformazione– idonea ad alterare la sagoma dell’edificio o l’assetto
urbanistico del territorio (art. 22, commi 1 e 2, del D.P.R. n. 380/2001).
Orbene, ai fini della valutazione circa la necessità del permesso di
costruire di un’opera e della presupposta autorizzazione paesaggistica,
nonché della conseguente sanzione, è necessario considerare nello specifico
come essa è realizzata (forma, dimensioni, ecc.); pertanto l'Amministrazione
ha l'onere di motivare in modo esaustivo, attraverso una corretta e completa
istruttoria, che rilevi esattamente le opere compiute, il perché non ritenga
che si tratti di una struttura realizzabile in regime di edilizia libera (cfr.
Cons. St., VI, 29.11.2018 n. 6798; id. n. 5781/2018; n. 2715/2018; n.
2701/2018).
2. Il gazebo è descritto come opera in legno di facile rimozione,
dunque non stabilmente infissa al suolo e a carattere non permanente. Essa,
pertanto, può rientrare a buon titolo tra gli elementi di arredo delle aree
pertinenziali degli edifici, ai sensi dell’art. 6, comma 1°, lett.
e-quinquies), del D.P.R. n. 380/2001, in coordinamento con quanto stabilito
dall’art. 3, comma 1°, lett. e.1), trattandosi di struttura che non amplia
il preesistente edificio, ma di un manufatto separato a servizio dello
stesso, realizzato in area pertinenziale (cfr. Cass. pen., III, 02.10.2018
n. 54692); il glossario delle opere libere, di cui al D.M. del 02.03.2018
prevede, altresì, che il gazebo realizzabile senza titoli edificatori debba
essere di limitate dimensioni e non stabilmente ancorato al suolo.
3. Le apparecchiature per il contenimento dei consumi energetici
(pannelli solari), la cui installazione era stata comunicata
all’Amministrazione il 16.03.2004, rientrano nell’attività di edilizia
libera, ai sensi dell’art. 6, comma 1°, lett. e-quater), del D.P.R. n.
380/2001, e come tali sono contemplate nel glossario delle opere libere, di
cui al D.M. del 02.03.2018.
L’installazione delle predette opere (cancello, gazebo e impianti ecologici)
non richiede, dunque, preventivi titoli edificatori o nulla osta.
Diversamente, la tettoia e il muro di contenimento necessitano delle
autorizzazioni. La prima è un’opera in legno stabilmente ancorata al suolo
(dunque a carattere permanente e, perciò, a modifica dello stato dei luoghi)
e di dimensioni medie (mq 15,00); le predette caratteristiche rendono la
struttura suscettibile di alterare l’assetto del territorio e di incidere
sul carico urbanistico in termini volumetrici (cfr.: TAR Campania, Napoli,
III, 27.6.2018 n. 4282; Salerno, II, 02.01.2019 n. 1).
Quanto al muro, esso è descritto quale opera “di considerevoli dimensioni”
e realizzata fuori terra; perciò, per l’impatto che essa ha sul territorio e
sull’assetto urbanistico, necessita dei titoli edificatori (Cons. St., VI,
09.07.2018 n. 4169; TAR Veneto, II, 21.06.2018 n. 663; TAR Piemonte, II,
07.02.2018 n. 160; Cass. pen., III, 21.11.2018 n. 55366).
In conclusione, delle opere per le quali l’ordinanza n. 60/2018 ingiunge la
demolizione solo il gazebo, il cancello e le apparecchiature tecnologiche
sono insuscettibili di titoli edificatori. Perciò sul punto il provvedimento
deve essere annullato, mentre può essere confermato per il resto
(TAR Lazio-Latina,
sentenza 04.10.2019 n. 564 - link a www.giustizia-amministrartiva.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
La riconducibilità di una struttura alla categoria di “pergola”
si verifica se trattasi di strutture in legno o metallo costituite da
elementi verticali portanti e “aperte su tutti i lati e non coperte”.
Sul punto peraltro il Consiglio di Stato, nel delineare i tratti distintivi
delle diverse tipologie di strutture realizzabili all’aperto, ha affermato
che il pergolato ha una funzione ornamentale, è realizzato in una
struttura leggera in legno o in altro materiale di minimo peso, deve essere
facilmente amovibile in quanto privo di fondamenta, e funge da sostegno per
piante rampicanti, attraverso le quali realizzare riparo e ombreggiatura di
superfici di modeste dimensioni.
Dalla pergola si distingue poi il gazebo quale una struttura leggera,
non aderente ad altro immobile, coperta nella parte superiore ed aperta ai
lati, realizzata con una struttura portante in ferro battuto, in alluminio o
in legno strutturale, talvolta chiuso ai lati da tende facilmente
rimuovibili, che può essere realizzato sia come struttura temporanea, sia in
modo permanente per la migliore fruibilità di spazi aperti come giardini o
ampi terrazzi.
Diversamente la veranda, realizzabile su balconi, terrazzi, attici o
giardini, è caratterizzata quindi da ampie superfici vetrate che
all’occorrenza si aprono tramite finestre scorrevoli o a libro, per essa,
dal punto di vista edilizio, determina un aumento della volumetria
dell’edificio e una modifica della sua sagoma e necessita quindi del
permesso di costruire.
---------------
2.2 Di qui correttamente l’istanza di sanatoria avente ad oggetto una
struttura asseritamente amovibile è stata valutata dall’amministrazione
comunale sulla base delle caratteristiche dell’intervento concretamente
realizzato, consistente nella chiusura della terrazza a livello
dell’abitazione di proprietà dei ricorrente attraverso l’installazione di
una struttura in legno chiusa lateralmente da infissi e copertura.
Sicché legittimamente è stata esclusa la riconducibilità della struttura
alla categoria di “pergola” assentibile ai sensi dell’art. 6,
comma 1, del regolamento edilizio, a tenore del quale, esse sono
configurabili quali strutture in legno o metallo costituite da elementi
verticali portanti e “aperte su tutti i lati e non coperte”, mentre
nella specie trattasi di una struttura annessa all’abitazione dei ricorrenti
e dotata di copertura e di chiusure laterali.
Sul punto peraltro il Consiglio di Stato, nel delineare i tratti distintivi
delle diverse tipologie di strutture realizzabili all’aperto, ha affermato
che il pergolato ha una funzione ornamentale, è realizzato in una
struttura leggera in legno o in altro materiale di minimo peso, deve essere
facilmente amovibile in quanto privo di fondamenta, e funge da sostegno per
piante rampicanti, attraverso le quali realizzare riparo e ombreggiatura di
superfici di modeste dimensioni (Consiglio di Stato, Sezione IV, n. 5409 del
29.09.2011).
Dalla pergola si distingue poi il gazebo quale una struttura leggera,
non aderente ad altro immobile, coperta nella parte superiore ed aperta ai
lati, realizzata con una struttura portante in ferro battuto, in alluminio o
in legno strutturale, talvolta chiuso ai lati da tende facilmente
rimuovibili, che può essere realizzato sia come struttura temporanea, sia in
modo permanente per la migliore fruibilità di spazi aperti come giardini o
ampi terrazzi.
Diversamente la veranda, realizzabile su balconi, terrazzi, attici o
giardini, è caratterizzata quindi da ampie superfici vetrate che
all’occorrenza si aprono tramite finestre scorrevoli o a libro, per essa,
dal punto di vista edilizio, determina un aumento della volumetria
dell’edificio e una modifica della sua sagoma e necessita quindi del
permesso di costruire (cfr C.d.S. sez. VI, n. 306/2017)
(TAR Abruzzo-Pescara,
sentenza 04.10.2019 n. 233 - link a www.giustizia-amministrartiva.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Per
costante giurisprudenza, per la realizzazione di verande, tettoie,
pergolati, pensiline e gazebi, è necessario il permesso di costruire o la
S.c.i.a, ove si alteri la sagoma dell’edificio; difettino i requisiti tipici
delle pertinenze e degli interventi precari; le strutture siano infisse al
suolo; si determini l’aumento della superficie utile; ovvero, le opere non
siano facilmente amovibili e di modeste dimensioni e non abbiano natura
puramente ornamentale.
---------------
6.5.1. Al riguardo, il Collegio evidenzia che:
a) non si ravvisa il dedotto errore, atteso che il primo giudice,
nella pagina n. 6 della citata sentenza, fa riferimento alla autorizzazione
n. 51 del 04.08.1994 esclusivamente per ricordare la sussistenza del titolo
edilizio per l’avvenuta realizzazione del portale in pietra;
b) per converso, la dichiarazione, peraltro effettuata in via
meramente incidentale, in ordine alla condivisione del rilievo della
illegittimità ha riguardato correttamente l’autorizzazione n. 4 del
04.11.1998 (v. pag. n. 9 della sentenza Tar);
c) a prescindere dall’individuazione dello specifico oggetto della
richiamata D.I.A. del 17.02.2003, è pacifico che la presente controversia
attiene (quanto meno in parte) all’opera realizzata sulla particella 796,
non rilevando in questa sede quanto insistente sulla particella 1014, come
correttamente statuito nella pronuncia impugnata;
d) per costante giurisprudenza (Cons. Stato, sez. VI, n. 306 del
2017; sez. IV, n. 2864 del 2016; sez. VI, n. 1619 del 2016; sez. VI, n. 1777
del 2014; Cass. pen., sez. III, 20.06.2013, n. 26952; 25.10.2012, n. 41698;
25.01.2012, n. 3093), per la realizzazione di verande, tettoie, pergolati,
pensiline e gazebi, è necessario il permesso di costruire o la S.c.i.a, ove
si alteri la sagoma dell’edificio; difettino i requisiti tipici delle
pertinenze e degli interventi precari; le strutture siano infisse al suolo;
si determini l’aumento della superficie utile; ovvero, le opere non siano
facilmente amovibili e di modeste dimensioni e non abbiano natura puramente
ornamentale;
e) nel caso di specie l’opera non presenta natura precaria, atteso
che, da quanto emerge dalla approfondita istruttoria posta a fondamento
dell’impugnato provvedimento, trattasi di un capanno o manufatto di mq 16,53
(4,35 x 3,80), con pareti in calcestruzzo armato, con copertura di lastre di
zinco, pavimentato;
f) pertanto, condividendo quanto statuito sul punto dal primo
giudice, atteso che i connotati strutturali di detto manufatto denotano una
destinazione naturale a fornire una utilità prolungata nel tempo, la
struttura può essere ritenuta di carattere residenziale, determinando
incremento di volumetria
(Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 17.09.2019 n. 6194 - link a www.giustizia-amministrartiva.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Il realizzato gazebo in legno occupa una superficie di mq.
25, è alto m. 3,00, ed è stato realizzato su di una platea in calcestruzzo
con annessi muri ornamentali, panchine in muratura, impianto elettrico e
idrico, elettrodomestici e banco-bar.
Sicché, il gazebo in questione non può per certo essere
ricondotto ad un’operazione di “sistemazione di spazi esterni”, a’
sensi dell’art. 22 del d.P.R. 06.06.2001, n. 380, ovvero di “ristrutturazione
edilizia”, posto che quest’ultima, coerentemente alla definizione che ne
è data all’art. 3, comma 1, lett. d), del medesimo d.P.R. 06.06.2001, n.
380, nel testo vigente all’epoca dei fatti di causa, consisteva -per quanto
qui segnatamente interessa- negli “interventi rivolti a trasformare gli
organismi edilizi mediante un insieme sistematico di opere che possono
portare ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente.
Tali interventi comprendono il ripristino o la sostituzione di alcuni
elementi costitutivi dell’edificio, l’eliminazione, la modifica e
l'inserimento di nuovi elementi ed impianti”.
In linea di principio, infatti, i gazebo che poggiano su piattaforme di
calcestruzzo non sono strutture precarie (nella specie, come si è visto poc’anzi,
quanto realizzato sostanzia addirittura un vero e proprio bar all’aperto),
ma sono funzionali a soddisfare esigenze permanenti e vanno pertanto
considerati come manufatti che alterano lo stato dei luoghi, con un sicuro
incremento del carico urbanistico.
Oltre a tutto, la loro realizzazione determina, ove siano annessi –come nel
caso di specie- ad un’attività di vendita, di somministrazione e ricettiva,
l’incremento della superficie commerciale.
In dipendenza di ciò, pertanto, tale tipologia di intervento deve essere
realizzata mediante permesso di costruire (olim concessione edilizia) se
–sempre come nel caso di specie– non solo incrementa la superficie
commerciale ma trasforma comunque in modo rilevante una superficie per
l’innanzi adibita a giardino o ad attività agricola in uno spazio destinato
a soddisfare la non precaria esigenza di sistemare nel migliore dei modi la
propria clientela.
---------------
Tertium non datur.
Per inciso, la presenza nel fascicolo di causa relativo al primo grado di
giudizio di una relazione illustrativa depositata in data 19.11.2008 a cura
del patrocinio della stessa parte ivi ricorrente fa ragionevolmente
presumere che il Di Mo. abbia da ultimo optato proprio per tale possibilità,
progettando –tra l’altro– la realizzazione non più di una piscina
prefabbricata da contingentemente "trasformare” –al bisogno, per così
dire, “burocratico”– in una vasca per la raccolta delle acque
meteoriche, ma di “una piscina ludico-relax costituita da due vasche
poste a quote differenti in modo da creare un salto d’acqua” (cfr. ivi a
pag. 8: e ciò senza sottacere che la complessiva lettura del piano medesimo
offre la netta impressione che l’attuale appellante si sia con esso
discostato dall’originaria connotazione agricola dell’azienda privilegiando
un’attività marcatamente ricettiva se non addirittura ludico-ricreativa,
tanto da suscitare anche un dubbio non evanescente circa l’effettiva
permanenza, nella specie, di un suo effettivo interesse alla coltivazione
della presente causa).
Ad ogni buon conto, quindi, anche per il caso di specie va ribadito che
dalla realizzazione di opere edilizia in assenza del permesso di costruire,
discende –sempre e comunque– la sanzione della demolizione delle opere
medesime, a’ sensi dell’art. 31 del t.u. 06.06.2001, n. 380.,
Ma –soprattutto– va considerato che la realizzazione della piscina ora in
questione era ed è materialmente inibita sia dall’art. 21, comma 3, del
Regolamento edilizio del Comune di Napoli, che, con disposizione oltremodo
commendevole, fa divieto di completare le opere abusive realizzate nello
stesso suolo, sia dall’art. 24 della variante anzidetta, che al comma 2
dispone a sua volta nel senso che “nelle zone riportate nella tavola 12
con instabilità media e alta” –tra le quali rientra anche il sedime su
cui è stata eretta la piscina in questione- “è vietata la realizzazione
di qualsiasi tipo di costruzione”: disposizioni, anche queste, che
naturalmente implicano la necessità della demolizione del manufatto in
questione.
4.2.3. Non diversamente deve concludersi per il gazebo.
Giova evidenziare che tale manufatto in legno occupa una superficie di mq.
25, è alto m. 3,00, ed è stato realizzato su di una platea in calcestruzzo
con annessi muri ornamentali, panchine in muratura, impianto elettrico e
idrico, elettrodomestici e banco-bar.
L’appellante riconduce la realizzazione di tale gazebo ad un mero intervento
di “ristrutturazione edilizia” ai fini delle esigenze delle “abitazioni
agricole”, ovvero “della realizzazione di attività agricole e di
produzione e commercio dei prodotti agricoli all’origine e relative funzioni
di servizio”, o –ancora- delle “attività ricettive di tipo
agrituristico e relative funzioni di servizio”, tutte invero
astrattamente assentibili a’ sensi del combinato disposto degli artt. 39,
comma 6, e 21, comma 1, lett. b), delle norme tecniche di attuazione della
variante al Piano regolatore generale del Comune di Napoli.
Tuttavia la realizzazione del gazebo in questione non può per certo essere
ricondotta ad un’operazione di “sistemazione di spazi esterni”, a’
sensi dell’art. 22 del d.P.R. 06.06.2001, n. 380, ovvero di “ristrutturazione
edilizia”, posto che quest’ultima, coerentemente alla definizione che ne
è data all’art. 3, comma 1, lett. d), del medesimo d.P.R. 06.06.2001, n.
380, nel testo vigente all’epoca dei fatti di causa, consisteva -per quanto
qui segnatamente interessa- negli “interventi rivolti a trasformare gli
organismi edilizi mediante un insieme sistematico di opere che possono
portare ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente.
Tali interventi comprendono il ripristino o la sostituzione di alcuni
elementi costitutivi dell’edificio, l’eliminazione, la modifica e
l'inserimento di nuovi elementi ed impianti”.
In linea di principio, infatti, i gazebo che poggiano su piattaforme di
calcestruzzo non sono strutture precarie (nella specie, come si è visto poc’anzi,
quanto realizzato sostanzia addirittura un vero e proprio bar all’aperto),
ma sono funzionali a soddisfare esigenze permanenti e vanno pertanto
considerati come manufatti che alterano lo stato dei luoghi, con un sicuro
incremento del carico urbanistico (cfr. sul punto, ad es., Cons. Stato, Sez.
VI, 12.12.2012, n. 6382 e Sez. V, 01.12.2003, n. 7822).
Oltre a tutto, la loro realizzazione determina, ove siano annessi –come nel
caso di specie- ad un’attività di vendita, di somministrazione e ricettiva,
l’incremento della superficie commerciale (così, ad es., la sentenza di
Cons. Stato, Sez. V, n. 7822 del 2003).
In dipendenza di ciò, pertanto, tale tipologia di intervento deve essere
realizzata mediante permesso di costruire (olim concessione edilizia)
se –sempre come nel caso di specie– non solo incrementa la superficie
commerciale ma trasforma comunque in modo rilevante una superficie per
l’innanzi adibita a giardino o ad attività agricola in uno spazio destinato
a soddisfare la non precaria esigenza di sistemare nel migliore dei modi la
propria clientela (così, ad es., non solo la già citata sentenza di Cons.
Stato, Sez. V, n. 7822 del 2003, e –ancora– Cons. Stato, Sez. V, 27.01.2003,
n. 419 e 11.02.2003, n. 696, rese per omologhe fattispecie)
(Consiglio di Stato, Sez. II,
sentenza 03.09.2019 n. 6068 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
La
realizzazione di un porticato non può considerarsi attività attratta alla
natura pertinenziale dell’opera, di talché necessita di un apposito permesso
di costruire per la sua costruzione.
Invero, “una tettoia pertinenziale ad un'unità immobiliare, costituita da un
porticato in muratura sormontato da una tettoia di rilevanti dimensioni,
ancorata a terra, e da un muro perimetrale, non può essere considerata una
struttura equiparabile ad un gazebo o pergolato e, pertanto, non è
riconducibile nell'ambito dell'edilizia libera”.
---------------
10. - In ragione di quanto sopra
appare essere documentalmente comprovato che i fabbricati di proprietà della
odierna appellante presentano gli interventi edilizi abusivi per come
contestati dal comune appellato e plasticamente riprodotti con puntualità
nei provvedimenti impugnati in primo grado ed in particolare nella
determinazione n. 8 del 02.05.2011.
Le opere realizzate anche in difformità avrebbero dovuto esserlo solo dopo
avere ottenuto un permesso di costruire e non successivamente alla
presentazione di una denuncia di inizio attività edilizia, peraltro
realizzati in area paesaggisticamente vincolata.
Ed infatti la realizzazione di un porticato non può considerarsi attività
attratta alla natura pertinenziale dell’opera, di talché necessita di un
apposito permesso di costruire per la sua costruzione (cfr. Cons. Stato,
Sez. VI, 26.09.2018 n. 5541, nella quale osserva che “una tettoia
pertinenziale ad un'unità immobiliare, costituita da un porticato in
muratura sormontato da una tettoia di rilevanti dimensioni, ancorata a
terra, e da un muro perimetrale, non può essere considerata una struttura
equiparabile ad un gazebo o pergolato e, pertanto, non è riconducibile
nell'ambito dell'edilizia libera”) (Consiglio
di Stato, Sez. VI,
sentenza 14.05.2019 n. 3133 - link a
www.giustizia-amministrartiva.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Gazebo
funzionale a soddisfare esigenze permanenti.
Nelle ipotesi in cui il gazebo costituisca una struttura
funzionale a soddisfare esigenze permanenti, va considerato come manufatto
in grado di alterare lo stato dei luoghi, con riflessi non solo per il
profilo urbanistico ma anche per quello paesaggistico-ambientale.
Ad avviso di costante e condivisa giurisprudenza, un’opera può essere
qualificata come precaria ove sia destinata ad essere rimossa non appena
siano venuti meno i bisogni, meramente occasionali, che ne hanno determinato
l’installazione, viceversa, ove la costruzione sia precostituita al
soddisfacimento di interessi stabili e permanenti, come accade nell’ipotesi
in esame, viene meno il requisito della precarietà
---------------
2.- Le censure non convincono il Collegio ed il ricorso è infondato.
2.1.- Diversamente dagli assunti del ricorrente, sia il gazebo sia il
capannone, per le caratteristiche costruttive, unite alla zona in cui sono
state erette (E1 agricola normale), peraltro in area vincolata ai sensi del
d.lgs. 42/2004, sono opere che avrebbero richiesto il permesso di costruire
unitamente all’autorizzazione paesaggistica.
Il gazebo descritto nel provvedimento impugnato rientra tra le opere “prive
dei connotati della precarietà e dell’amovibilità”.
Ed invero, nelle ipotesi in cui il gazebo costituisca una struttura
funzionale a soddisfare esigenze permanenti, va considerato come manufatto
in grado di alterare lo stato dei luoghi, con riflessi non solo per il
profilo urbanistico ma anche per quello paesaggistico-ambientale.
Ad avviso di costante e condivisa giurisprudenza, un’opera può essere
qualificata come precaria ove sia destinata ad essere rimossa non appena
siano venuti meno i bisogni, meramente occasionali, che ne hanno determinato
l’installazione, viceversa, ove la costruzione sia precostituita al
soddisfacimento di interessi stabili e permanenti, come accade nell’ipotesi
in esame, viene meno il requisito della precarietà (cfr. ex multis, TAR
Firenze. Sez. III, 17.04.2018, n. 556).
Le riproduzioni fotografiche allegate alla memoria di costituzione del
comune lasciano pochi dubbi sulle caratteristiche del gazebo, il quale si
palesa per essere una struttura solida, con tetto a spiovente, copertura in
coppi, grondaia per il convogliamento dell’acqua pluviale e sottostanti
travi in legno, tutti elementi che la rendono una struttura solida ed
affatto provvisoria (TAR Campania-Napoli, Sez. III,
sentenza 01.04.2019 n. 1783 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Decadenza
della concessione del gazebo aperto: è legittima?
È legittima (anzi, rappresenta un atto vincolato) la
decadenza della concessione se invece di un gazebo aperto è stata realizzata
una struttura chiusa di dimensioni peraltro più ampie di quelle assentite.
Ai fini della verifica del comportamento del concessionario nell’uso del
titolo abilitativo, infatti, rilevano non solo gli aspetti relativi
all’ampiezza della superficie occupata ma anche quelli relativi alla natura
e consistenza dell’opera edilizia sulla stessa realizzata.
Il concessionario, pertanto, viola gli obblighi nascenti dal titolo
abilitativo relativo all’utilizzo del suolo pubblico e, dunque, non ne
rispetta i limiti, non solo se occupa un’estensione maggiore di quella
autorizzata, ma anche quando realizza sulla stessa un’opera diversa rispetto
a quella assentita, risultando l’autorizzazione all’occupazione del suolo
pubblico essere stata concessa espressamente per la collocazione su di esso
di tale manufatto (Consiglio
di Stato, Sez. VI,
sentenza 27.03.2019 n. 2028 - massima tratta da
www.laleggepertutti.it - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
anno 2018 |
|
EDILIZIA PRIVATA:
La realizzazione
di un box-container, stabilmente
appoggiato al terreno,
pur nella precarietà dei materiali e nella funzione pertinenziale
alla quale il soggetto che lo installa intende impiegarlo in
modo stabile nel tempo, costituisce permanente alterazione
del terreno ai fini urbanistico-edilizi e richiede,
pertanto, il rilascio del previo titolo edilizio.
---------------
Vale un analogo discorso per la tettoia (“realizzata
con vecchi pali di cemento e copertura in eternit”), che
per dimensioni e caratteristiche non può certo considerarsi
indifferente rispetto all’assetto del territorio nel quale
si colloca.
La giurisprudenza ha già avuto modo di affermare che la
realizzazione di una tettoia necessita di permesso di
costruire quale “nuova costruzione”, comportando una
trasformazione del territorio e dell’assetto edilizio
anteriore; essa arreca, infatti, un proprio impatto
volumetrico e, se e in quanto priva di connotati di
precarietà, è destinata a soddisfare esigenze non già
temporanee e contingenti, ma durevoli nel tempo, con
conseguente incremento del godimento dell’immobile cui inerisce
e del relativo carico urbanistico.
---------------
7 – Con
un’ulteriore censura si deduce la violazione dell’art. 7
della l. 47/1985 in relazione all’art. 1 l. 28.01.1977 n.
10 e all’art. 7 d.l. 663 del 1981.
Secondo la prospettazione dell’appellante, la realizzazione
della tettoia e del box-container non necessitavano della
concessione edilizia, bensì della autorizzazione ex art. 10
della legge 47/1985.
7.1 - La censura è infondata.
In primo luogo, deve evidenziarsi l’inconferenza della
giurisprudenza citata nell’atto di appello riferibile alla
differente sanzione dell’acquisizione gratuita, trattandosi,
come già innanzi spiegato, di una sanzione differente ed
autonoma rispetto alla demolizione.
Da un altro punto di vista, l’appellante non introduce alcun
elemento concreto dal quale desumere che le opere in
questione –tettoia e box– non debbano essere soggette a
licenzia edilizia.
7.2 - In particolare, per quanto riguarda il box, valgono le
considerazioni già espresse dal TAR, che ha sottolineato
come la realizzazione di un box-container, stabilmente
appoggiato al terreno (nel verbale di accertamento si
specifica che il box poggia su pavimentazione di cemento),
pur nella precarietà dei materiali e nella funzione pertinenziale alla quale il soggetto che lo installa intende
impiegarlo in modo stabile nel tempo, costituisce permanente
alterazione del terreno ai fini urbanistico-edilizi e
richiede, pertanto, il rilascio del previo titolo edilizio (cfr.
Cons. Stato, sez V, 24.02.2003, n. 986).
7.3 - Vale un analogo discorso per la tettoia (“realizzata
con vecchi pali di cemento e copertura in eternit”), che
per dimensioni e caratteristiche non può certo considerarsi
indifferente rispetto all’assetto del territorio nel quale
si colloca.
La giurisprudenza ha già avuto modo di affermare che la
realizzazione di una tettoia necessita di permesso di
costruire quale “nuova costruzione”, comportando una
trasformazione del territorio e dell’assetto edilizio
anteriore; essa arreca, infatti, un proprio impatto
volumetrico e, se e in quanto priva di connotati di
precarietà, è destinata a soddisfare esigenze non già
temporanee e contingenti, ma durevoli nel tempo, con
conseguente incremento del godimento dell’immobile cui inerisce e del relativo carico urbanistico (cfr. Cons. St.,
sez. VI, n. 2715/2018 C.d.S. sez. IV 08.01.2018 n. 12 e
sez. VI 16.02.2017 n. 694).
7.4 - Infine, ad ulteriore conferma dell’infondatezza del
motivo di appello in esame, deve evidenziarsi la circostanza
che l’area sulla quale sono stati realizzate senza titolo le
opere in discorso è soggetta anche a vincolo ambientale, con
quanto ne consegue in termini di disciplina autorizzatoria e
di repressione degli abusi (Consiglio
di Stato, Sez. VI,
sentenza 24.12.2018 n. 7210 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Gazebo
con coperture di vetri.
La costruzione di un gazebo in legno con coperture di
vetri senza permesso di costruire integra il reato edilizio (nel caso di
specie, era stato costruito su un balcone in aderenza con il confine del
vicino) (TRIBUNALE di Chieti,
sentenza 15.11.2018 n. 1204 - massima
tratta da www.laleggepertutti.it - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
In termini generali costituiscono interventi di
ristrutturazione edilizia quegli interventi rivolti a
trasformare gli organismi edilizi mediante un insieme
sistematico di opere che possano portare ad un organismo
edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente.
In tale
prospettiva, la ristrutturazione ‒nelle forme
dell’intervento “conservativo” o “ricostruttivo”‒ si pone
in continuità con tutti gli altri interventi edilizi
cosiddetti minori (manutenzione ordinaria, manutenzione
straordinaria, restauro e risanamento conservativo), che
hanno per finalità il recupero del patrimonio edilizio
esistente.
Ai sensi dell’art. 10, comma 1, lettera c), del TUE, le
opere di ristrutturazione edilizia necessitano di permesso
di costruire se consistenti in interventi che portino ad un
organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal
precedente e che comportino, modifiche del volume, dei
prospetti, ovvero che, limitatamente agli immobili compresi
nelle zone omogenee A, comportino mutamenti della
destinazione d’uso (ristrutturazione edilizia).
In via
residuale, la SCIA assiste invece i restanti interventi di
ristrutturazione c.d. «leggera» (compresi gli interventi di
demolizione e ricostruzione che non rispettino la sagoma
dell’edificio preesistente). In relazione, invece, agli
immobili sottoposti a vincolo ai sensi del d.lgs. n. 42 del
2004 sono soggetti a SCIA solo gli interventi che non
alterano la sagoma dell’edificio.
L’art. 22, comma 3, del TUE prevede tre diverse tipologie di
interventi edificatori ‒di cui la prima è costituita proprio
da quelli di ristrutturazione, come individuati dal
precedente art. 10, comma 1, lettera c)‒ sottoposti al
regime del permesso di costruire, per i quali, per ragioni
di carattere acceleratorio, si consente all’interessato di
optare per la presentazione della DIA (c.d. “super DIA”).
Tale facoltà di opzione esaurisce i propri effetti sul piano
prettamente procedimentale, atteso che su quello sostanziale
(dei presupposti), penale e contributivo resta ferma
l’applicazione della disciplina dettata per il permesso di
costruire.
---------------
Il rilascio del permesso di costruire per la realizzazione
di una tettoia è necessario solo quando, per le sue
caratteristiche costruttive, essa sia idonea ad alterare la
sagoma dell’edificio.
L’installazione della tettoia è invece sottratta al regime
del permesso di costruire ove la sua conformazione e le
ridotte dimensioni ne rendano evidente e riconoscibile la
finalità di mero arredo e di riparo e protezione
dell’immobile cui accedono.
---------------
1.– Il presente giudizio di appello riguarda il provvedimento
del Comune di Roma prot. n. 16018, notificato il 26.04.2006, recante demolizione d’ufficio di una tettoia di 64 mq
e di un bagno di 4 mq, collocati su un plateatico in
calcestruzzo, realizzati su terreno di proprietà degli
odierni appellanti, ubicato in Roma, via ... n. 32,
gravato da vincolo paesaggistico.
2.– Secondo il Collegio, la sentenza appellata ha
correttamente rilevato che per la realizzazione delle opere
in contestazione sarebbe stato necessario il previo rilascio
del permesso di costruire.
2.1.– In termini generali costituiscono interventi di
ristrutturazione edilizia quegli interventi rivolti a
trasformare gli organismi edilizi mediante un insieme
sistematico di opere che possano portare ad un organismo
edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente.
In tale
prospettiva, la ristrutturazione ‒nelle forme
dell’intervento “conservativo” o “ricostruttivo”‒ si pone
in continuità con tutti gli altri interventi edilizi
cosiddetti minori (manutenzione ordinaria, manutenzione
straordinaria, restauro e risanamento conservativo), che
hanno per finalità il recupero del patrimonio edilizio
esistente.
Ai sensi dell’art. 10, comma 1, lettera c), del TUE, le
opere di ristrutturazione edilizia necessitano di permesso
di costruire se consistenti in interventi che portino ad un
organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal
precedente e che comportino, modifiche del volume, dei
prospetti, ovvero che, limitatamente agli immobili compresi
nelle zone omogenee A, comportino mutamenti della
destinazione d’uso (ristrutturazione edilizia).
In via
residuale, la SCIA assiste invece i restanti interventi di
ristrutturazione c.d. «leggera» (compresi gli interventi di
demolizione e ricostruzione che non rispettino la sagoma
dell’edificio preesistente). In relazione, invece, agli
immobili sottoposti a vincolo ai sensi del d.lgs. n. 42 del
2004 sono soggetti a SCIA solo gli interventi che non
alterano la sagoma dell’edificio.
L’art. 22, comma 3, del TUE prevede tre diverse tipologie di
interventi edificatori ‒di cui la prima è costituita proprio
da quelli di ristrutturazione, come individuati dal
precedente art. 10, comma 1, lettera c)‒ sottoposti al
regime del permesso di costruire, per i quali, per ragioni
di carattere acceleratorio, si consente all’interessato di
optare per la presentazione della DIA (c.d. “super DIA”).
Tale facoltà di opzione esaurisce i propri effetti sul piano
prettamente procedimentale, atteso che su quello sostanziale
(dei presupposti), penale e contributivo resta ferma
l’applicazione della disciplina dettata per il permesso di
costruire.
2.2.– Il rilascio del permesso di costruire per la
realizzazione di una tettoia è necessario solo quando, per
le sue caratteristiche costruttive, essa sia idonea ad
alterare la sagoma dell’edificio (Consiglio di Stato, sez.
VI, 16.02.2017, n. 694). L’installazione della tettoia
è invece sottratta al regime del permesso di costruire ove
la sua conformazione e le ridotte dimensioni ne rendano
evidente e riconoscibile la finalità di mero arredo e di
riparo e protezione dell’immobile cui accedono (Consiglio di
Stato, sez. V, 13.03.2014 n. 1272).
2.3.– Nel caso in esame, la realizzazione di una tettoia di
rilevanti dimensioni e di un nuovo volume (il bagno), avendo
innovato il preesistente fabbricato, sia dal punto di vista
morfologico che funzionale, era soggetta al regime
autorizzatorio. Peraltro, l’esecuzione delle opere in
discorso è avvenuta all’interno del Parco di Veio, istituito
per l’elevato valore paesaggistico dell’area (Consiglio
di Stato, Sez. VI,
sentenza 19.10.2018 n. 5983 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Sulla base del quadro normativo vigente emerge che non è
possibile affermare in assoluto che la tettoia richieda, o
non richieda, il titolo edilizio maggiore e assoggettarla, o
non assoggettarla, alla relativa sanzione senza considerare
nello specifico come essa è realizzata.
In proposito, quindi, l’amministrazione ha l’onere di
motivare in modo esaustivo, attraverso una corretta e
completa istruttoria che rilevi esattamente le opere
compiute e spieghi per quale ragione esse superano i limiti
entro i quali si può trattare di una copertura realizzabile
in regime di edilizia libera.
La disciplina delle tettoie non è
definita in modo univoco né nella normativa né in
giurisprudenza.
Dal punto di vista normativo, va considerato l’art. 6 del
T.U. 06.06.2001 n. 380, che contiene l’elenco delle opere di
cd edilizia libera, le quali non necessitano di alcun titolo
abilitativo; a prescindere dalla natura esemplificativa o
tassativa che si voglia riconoscere a tale elenco, va poi
osservato che esso comprende voci di per sé abbastanza
generiche, tali da poter ricomprendere anche opere non
espressamente nominate.
Con riferimento alle tettoie, rileva in particolare la voce
di cui alla lettera e)-quinquies, che considera opere di
edilizia libera gli “elementi di arredo delle aree
pertinenziali degli edifici”, concetto nel quale può
sicuramente rientrare una tettoia genericamente intesa, come
copertura comunque realizzata di un’area pertinenziale, come
il terrazzo.
La norma è stata introdotta dall’art. 3 del d.lgs.
25.11.2016 n. 222, ma si deve considerare applicabile anche
alle costruzioni precedenti, come quella per cui è causa,
per due ragioni. In primo luogo, nel diritto delle
sanzioni è principio generale quello per cui non si possano
subire conseguenze sfavorevoli per un comportamento in
ipotesi illecito nel momento in cui è stato realizzato, che
più non lo sia quando si tratti di applicare le sanzioni
stesse. In secondo luogo, la giurisprudenza di cui
subito si dirà, anche in epoca anteriore alla modifica
legislativa di cui s’è detto, distingueva all’interno della
categoria in esame costruzione da costruzione
assoggettandola a regime diverso a seconda delle sue
caratteristiche.
In materia, è poi intervenuto di recente un chiarimento da
parte del legislatore, ovvero il recente D.M. 02.03.2018, di
“Approvazione del glossario contenente l'elenco non
esaustivo delle principali opere edilizie realizzabili in
regime di attività edilizia libera”, ai sensi dell'articolo
1, comma 2 del citato d.lgs. 222/2016. Tale decreto
comprende, al n. 50 del glossario delle opere realizzabili
senza titolo edilizio alcuno, in particolare le cd
pergotende, ovvero, per comune esperienza, strutture di
copertura di terrazzi e lastrici solari, di superficie anche
non modesta, formate da montanti ed elementi orizzontali di
raccordo e sormontate da una copertura fissa o ripiegabile
formata da tessuto o altro materiale impermeabile, che
ripara dal sole, ma anche dalla pioggia, aumentando la
fruibilità della struttura. Si tratta quindi di un manufatto
molto simile alla tettoia, che se ne distingue secondo
logica solo per presentare una struttura più leggera.
Al polo opposto, v’è l’art. 10, comma 1, lettera a), del
T.U. 380/2001, che assoggetta invece al titolo edilizio
maggiore, ovvero al permesso di costruire, “gli interventi
di nuova costruzione”.
La giurisprudenza si fonda su tale ultima disposizione per
richiedere appunto il permesso di costruire nel caso di
tettoie di particolari dimensioni e caratteristiche. Si
afferma infatti in via generale che tale struttura
costituisce intervento di nuova costruzione e richiede il
permesso di costruire nel momento in cui difetta dei
requisiti richiesti per le pertinenze e gli interventi
precari, ovvero quando modifica la sagoma dell’edificio.
Sulla base di tale quadro normativo emerge chiara una
conseguenza: non è possibile affermare in assoluto che la
tettoia richieda, o non richieda, il titolo edilizio
maggiore e assoggettarla, o non assoggettarla, alla relativa
sanzione senza considerare nello specifico come essa è
realizzata. In proposito, quindi, l’amministrazione ha
l’onere di motivare in modo esaustivo, attraverso una
corretta e completa istruttoria che rilevi esattamente le
opere compiute e spieghi per quale ragione esse superano i
limiti entro i quali si può trattare di una copertura
realizzabile in regime di edilizia libera.
---------------
Ciò a maggior ragione nel caso di specie, a fronte della
limitata estensione e consistenza del manufatto, sia in
relazione alla necessità di esplicare le ragioni sottese
alla reputata contrarietà al vincolo esistente in loco ed
alla sussistenza della rilevata alterazione dell'aspetto
esteriore dei luoghi. A quest’ultimo riguardo infatti, solo
una corretta ricostruzione e qualificazione del manufatto
costituisce la necessaria base su cui svolgere la doverosa
valutazione di carattere paesaggistico.
Tutto ciò non si ritrova nel provvedimento impugnato, che si
limita ad una descrizione generica di quanto rilevato, a
fronte della quale, si noti, la difesa di parte appellante
ha sin dal ricorso di prime cure evidenziato una serie di
elementi in fatto, a partire dalle dimensioni inferiori ai
sei mq, dal fatto di non essere infissa al suolo e dalla
stretta pertinenzialità rispetto al manufatto esistente.
---------------
Va quindi ribadito che non ogni opera che interessi la
superficie esterna dell’edificio determina una automatica
alterazione dei luoghi soggetti a tutela, ma esclusivamente
quella che ne immuti le caratteristiche essenziali in
maniera rilevante; spetta alla p.a. l’onere di esplicare,
una volta verificata la consistenza del manufatto, la
rilevata alterazione.
---------------
... per la riforma della sentenza breve del Tribunale
Amministrativo Regionale per la Campania (Sezione Sesta) n.
5499/2011, resa tra le parti, concernente demolizione opere
abusive
...
Con l’appello in esame l’odierna parte appellante impugnava
la sentenza n. 5499 del 2011 con cui il Tar Campania ha
respinto l’originario gravame.
Quest’ultimo era stato proposto dalla medesima parte, in
qualità di proprietaria del compendio immobiliare coinvolto
sito in comune di Procida, al fine di ottenere
l’annullamento degli atti concernenti l’ordine di
demolizione di una tettoia in legno con copertura in tegole
di cotto di circa sei metri quadrati, con altezza variabile
tra mt. 3,00 e 2,50.
...
1. L’appello è fondato in ordine ai profili dedotti in
merito alla qualificazione dell’opera.
2.1 In linea di fatto appaiono pacifici i seguenti elementi:
la (limitata) consistenza dell’intervento, la qualificazione
in termini di tettoia, l’assenza di titolo edilizio e la
relativa collocazione in area sottoposta a vincolo
paesaggistico.
2.2 In linea di diritto, va richiamato quanto ancora di
recente evidenziato dalla sezione (cfr. decisione n.
07.05.2018 n. 2715) nel senso che la disciplina delle
tettoie non è definita in modo univoco né nella normativa né
in giurisprudenza.
Dal punto di vista normativo, va considerato l’art.
6 del T.U. 06.06.2001 n. 380, che contiene
l’elenco delle opere di cd edilizia libera, le quali non
necessitano di alcun titolo abilitativo; a prescindere dalla
natura esemplificativa o tassativa che si voglia riconoscere
a tale elenco, va poi osservato che esso comprende voci di
per sé abbastanza generiche, tali da poter ricomprendere
anche opere non espressamente nominate.
Con riferimento alle tettoie, rileva in particolare la voce
di cui alla lettera e)-quinquies, che considera opere di
edilizia libera gli “elementi di arredo delle aree
pertinenziali degli edifici”, concetto nel quale può
sicuramente rientrare una tettoia genericamente intesa, come
copertura comunque realizzata di un’area pertinenziale, come
il terrazzo.
La norma è stata introdotta dall’art.
3 del d.lgs. 25.11.2016 n. 222, ma si deve
considerare applicabile anche alle costruzioni precedenti,
come quella per cui è causa, per due ragioni. In primo
luogo, nel diritto delle sanzioni è principio generale
quello per cui non si possano subire conseguenze sfavorevoli
per un comportamento in ipotesi illecito nel momento in cui
è stato realizzato, che più non lo sia quando si tratti di
applicare le sanzioni stesse. In secondo luogo, la
giurisprudenza di cui subito si dirà, anche in epoca
anteriore alla modifica legislativa di cui s’è detto,
distingueva all’interno della categoria in esame costruzione
da costruzione assoggettandola a regime diverso a seconda
delle sue caratteristiche.
In materia, è poi intervenuto di recente un chiarimento da
parte del legislatore, ovvero il recente
D.M. 02.03.2018, di “Approvazione del
glossario contenente l'elenco non esaustivo delle principali
opere edilizie realizzabili in regime di attività edilizia
libera”, ai sensi dell'articolo
1, comma 2, del citato d.lgs. 222/2016.
Tale decreto comprende, al n. 50 del glossario delle opere
realizzabili senza titolo edilizio alcuno, in particolare le
cd pergotende, ovvero, per comune esperienza, strutture di
copertura di terrazzi e lastrici solari, di superficie anche
non modesta, formate da montanti ed elementi orizzontali di
raccordo e sormontate da una copertura fissa o ripiegabile
formata da tessuto o altro materiale impermeabile, che
ripara dal sole, ma anche dalla pioggia, aumentando la
fruibilità della struttura. Si tratta quindi di un manufatto
molto simile alla tettoia, che se ne distingue secondo
logica solo per presentare una struttura più leggera.
Al polo opposto, v’è l’art. 10, comma 1, lettera a), del
T.U. 380/2001, che assoggetta invece al titolo edilizio
maggiore, ovvero al permesso di costruire, “gli
interventi di nuova costruzione”.
La giurisprudenza si fonda su tale ultima disposizione per
richiedere appunto il permesso di costruire nel caso di
tettoie di particolari dimensioni e caratteristiche. Si
afferma infatti in via generale che tale struttura
costituisce intervento di nuova costruzione e richiede il
permesso di costruire nel momento in cui difetta dei
requisiti richiesti per le pertinenze e gli interventi
precari, ovvero quando modifica la sagoma dell’edificio: fra
le molte, C.d.S. sez. IV 08.01.2018 n. 12 e sez. VI
16.02.2017 n. 694.
2.3 Sulla base di tale quadro normativo emerge chiara una
conseguenza: non è possibile affermare in assoluto che la
tettoia richieda, o non richieda, il titolo edilizio
maggiore e assoggettarla, o non assoggettarla, alla relativa
sanzione senza considerare nello specifico come essa è
realizzata. In proposito, quindi, l’amministrazione ha
l’onere di motivare in modo esaustivo, attraverso una
corretta e completa istruttoria che rilevi esattamente le
opere compiute e spieghi per quale ragione esse superano i
limiti entro i quali si può trattare di una copertura
realizzabile in regime di edilizia libera.
Ciò a maggior ragione nel caso di specie, a fronte della
limitata estensione e consistenza del manufatto, sia in
relazione alla necessità di esplicare le ragioni sottese
alla reputata contrarietà al vincolo esistente in loco ed
alla sussistenza della rilevata alterazione dell'aspetto
esteriore dei luoghi. A quest’ultimo riguardo infatti, solo
una corretta ricostruzione e qualificazione del manufatto
costituisce la necessaria base su cui svolgere la doverosa
valutazione di carattere paesaggistico.
Tutto ciò non si ritrova nel provvedimento impugnato, che si
limita ad una descrizione generica di quanto rilevato, a
fronte della quale, si noti, la difesa di parte appellante
ha sin dal ricorso di prime cure evidenziato una serie di
elementi in fatto, a partire dalle dimensioni inferiori ai
sei mq, dal fatto di non essere infissa al suolo e dalla
stretta pertinenzialità rispetto al manufatto esistente.
2.4 Va quindi ribadito che non ogni opera che interessi la
superficie esterna dell’edificio determina una automatica
alterazione dei luoghi soggetti a tutela, ma esclusivamente
quella che ne immuti le caratteristiche essenziali in
maniera rilevante; spetta alla p.a. l’onere di esplicare,
una volta verificata la consistenza del manufatto, la
rilevata alterazione.
...
4. Alla luce delle considerazioni che precedono l’appello va
accolto in ordine ai profili indicati; per l’effetto, in
riforma della sentenza appellata, va accolto il ricorso di
primo grado (Consiglio di Stato, Sez. VI,
sentenza 09.10.2018 n. 5781 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Con riferimento al caso
di specie, pur nella consapevolezza della mancanza
di un orientamento giurisdizionale univoco, la Sezione ritiene che, come si
evince anche dal materiale fotografico in atti, il gazebo configuri una
struttura leggera, non ancorata al suolo con bulloni o cemento, agevolmente
rimuovibile al termine della stagione estiva, aperta su tutti i lati e di
modestissime dimensioni senza alcuna incidenza sulla capacità insediativa.
Funge, pertanto, da mero arredo per spazi esterni senza creare incremento
volumetrico dell’esistente o nuove superfici utili.
In merito, il Consiglio di Stato ha avuto modo più volte di precisare, ad
esempio, che il manufatto aperto su tre lati, che non sviluppa cubatura e
non rientra tra gli interventi di trasformazione urbanistica ed edilizia del
territorio, costituisce opera pertinenziale e non necessita di permesso di
costruire.
In particolare, è stata esclusa la preventiva acquisizione del titolo
abilitativo per l’istallazione di una tettoia costituita da struttura
leggera e amovibile, se questa:
- resta nei limiti di una "struttura di arredo” installata su
pareti esterne dell’unità immobiliare di cui è ad esclusivo servizio;
- è caratterizzata da elementi in metallo o in legno, ed è aperta
su più lati con una copertura anche retrattile di tela, di plastica, di
pellicola trasparente, di stuoie in canna o bambù;
- è priva di opere murarie e di pareti chiuse di qualsiasi genere o
tetti di tegole;
- è costituita da elementi leggeri, assemblati tra loro, tali da
rendere possibile la loro rimozione previo smontaggio e non demolizione.
In tali ipotesi l’installazione sul lastrico degli edifici in città di
gazebi, tende o pergolati a pareti variabili è, infatti, inidonea a
modificare la destinazione d’uso degli spazi esterni interessati, e non
comporta aumenti di volume.
Tali strutture accessorie non necessitano di nulla-osta in quanto, per la
facile e completa rimovibilità e per l’assenza di tamponature verticali, non
configurano un aumento del volume e della superficie coperta, non danno
luogo alla creazione o modificazione di un organismo edilizio, non producono
alterazione architettonica del prospetto o della sagoma dell’edificio cui
sono connesse e comunque sono inidonee a modificare la destinazione d’uso
degli spazi esterni interessati.
---------------
1. La ricorrente ritiene che le opere realizzate non siano ascrivibili alla
categoria delle “costruzioni” per caratteristiche dei materiali, tipologia e
funzione. Evidenzia, al riguardo, che il provvedimento finale è supportato
da argomenti nuovi, non anticipati dalla comunicazione del procedimento
amministrativo dell’11.12.2008; in particolare, lamenta che, con quest’ultima comunicazione, l’amministrazione richiama per la prima volta il
difetto della creazione di una superficie coperta e la necessità di verifica
in ordine alla superficie permeabile, rispetto alla pavimentazione in
piastrelle forate di polipropilene in contrasto, rispettivamente, con
l’articolo pr7 del piano delle regole e con l’articolo 3 del regolamento
locale di igiene.
Sostiene, infine, che il gazebo e le piastrelle forate in polipropilene non
possono rientrare nella categoria delle nuove costruzioni in quanto il
gazebo funge da mero arredo per spazi esterni, presenta modeste dimensioni
ed è aperto su tutti i lati, oltre a risultare facilmente smontabile e
rimovibile.
2. Il ricorso è fondato.
In materia edilizia, come principio generale, è necessario il previo
rilascio di un adeguato titolo edilizio per realizzare ogni alterazione
dello stato dei luoghi ed ogni struttura volta a soddisfare esigenze di
carattere durevole, a prescindere dalla tecnica e dai materiali impiegati
per la realizzazione della struttura; pertanto, nella nozione di “nuova
costruzione” deve essere ricondotto qualsiasi manufatto non completamente
interrato avente i requisiti della solidità e della immobilizzazione al
suolo anche mediante appoggio, incorporazione o collegamento fisso ad una
preesistente fabbrica (ad esempio, casa prefabbricata, baracca in lamiera
ondulata, capanna in legno ad uso ricovero animali o deposito attrezzi
agricoli).
Ai sensi dell'art. 3, comma 1, lett. e.5), del D.P.R. n. 380 del 06.06.2001, sono da considerarsi nuove costruzioni, comportanti la trasformazione
edilizia e urbanistica del territorio, "l'installazione di manufatti
leggeri, anche prefabbricati, e di strutture di qualsiasi genere, quali roulottes, campers, case mobili, imbarcazioni, che siano utilizzati come
abitazioni, ambienti di lavoro, oppure come depositi, magazzini e simili, ad
eccezione di quelli che siano diretti a soddisfare esigenze meramente
temporanee o siano ricompresi in strutture ricettive all'aperto per la sosta
e il soggiorno dei turisti, previamente autorizzate sotto il profilo
urbanistico, edilizio e, ove previsto, paesaggistico, in conformità alle
normative regionali di settore".
Tale principio subisce eccezioni per le attività libere indicate nell'art. 6
T.U. 06.06.2001 n. 380, recante il T.U. delle disposizioni legislative e
regolamentari in materia edilizia.
Detta disposizione prevede che, fatte salve le prescrizioni degli strumenti
urbanistici comunali, e comunque nel rispetto delle altre normative di
settore aventi incidenza sulla disciplina dell’attività edilizia, in
particolare delle norme antisismiche, di sicurezza, antincendio,
igienico-sanitarie ecc. alcuni interventi specificamente individuati possono
essere effettuati senza nessun titolo abilitativo. Al secondo comma prevede
che, nel rispetto dei medesimi presupposti di cui al comma 1, previa
comunicazione all’amministrazione comunale, anche per via telematica,
dell’inizio dei lavori, possono essere eseguiti senza alcun titolo
abilitativo alcuni interventi tra cui “le opere dirette a soddisfare
obiettive esigenze contingenti e temporanee e ad essere immediatamente
rimosse al cessare della necessità e, comunque, entro un termine non
superiore a novanta giorni”.
A prescindere dalla natura esemplificativa o tassativa che si voglia
riconoscere alle indicazioni legislative, va osservato che il testo
normativo comprende voci di per sé abbastanza generiche, tali da poter
riguardare anche opere non espressamente nominate. Proprio per l’incertezza
circa l’esatta perimetrazione delle opere “libere” è stato operato un doppio
intervento. Il primo, di carattere integrativo, con il d.lgs. 25.11.2016 n. 222; il secondo, di natura esemplificativa, attuato con il D.M.
02.03.2018 (approvazione del glossario contenente l'elenco non esaustivo
delle principali opere edilizie realizzabili in regime di attività edilizia
libera, ai sensi dell'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 25.11.2016, n. 222).
In ogni caso, in via generale, non possono essere considerate “nuove
costruzioni” le strutture dirette a soddisfare esigenze meramente
temporanee, non determinandosi una trasformazione irreversibile o permanente
del territorio su cui insistono, a prescindere dai materiali usati.
Con riferimento al caso specifico, pur nella consapevolezza della mancanza
di un orientamento giurisdizionale univoco, la Sezione ritiene che, come si
evince anche dal materiale fotografico in atti, il gazebo configuri una
struttura leggera, non ancorata al suolo con bulloni o cemento, agevolmente
rimuovibile al termine della stagione estiva, aperta su tutti i lati e di
modestissime dimensioni senza alcuna incidenza sulla capacità insediativa.
Funge, pertanto, da mero arredo per spazi esterni senza creare incremento
volumetrico dell’esistente o nuove superfici utili.
In merito, il Consiglio di Stato ha avuto modo più volte di precisare, ad
esempio, che il manufatto aperto su tre lati, che non sviluppa cubatura e
non rientra tra gli interventi di trasformazione urbanistica ed edilizia del
territorio, costituisce opera pertinenziale e non necessita di permesso di
costruire (Consiglio di Stato, sez. VI, sent. n. 320 del 2015).
In particolare, è stata esclusa la preventiva acquisizione del titolo
abilitativo per l’istallazione di una tettoia costituita da struttura
leggera e amovibile, se questa:
- resta nei limiti di una "struttura di arredo” installata su
pareti esterne dell’unità immobiliare di cui è ad esclusivo servizio;
- è caratterizzata da elementi in metallo o in legno, ed è aperta
su più lati con una copertura anche retrattile di tela, di plastica, di
pellicola trasparente, di stuoie in canna o bambù;
- è priva di opere murarie e di pareti chiuse di qualsiasi genere o
tetti di tegole;
- è costituita da elementi leggeri, assemblati tra loro, tali da
rendere possibile la loro rimozione previo smontaggio e non demolizione.
In tali ipotesi l’installazione sul lastrico degli edifici in città di
gazebi, tende o pergolati a pareti variabili è, infatti, inidonea a
modificare la destinazione d’uso degli spazi esterni interessati, e non
comporta aumenti di volume (Consiglio di Stato, VI sezione, sent. 11.04.2014 n. 1777).
Tali strutture accessorie non necessitano di nulla-osta in quanto, per la
facile e completa rimovibilità e per l’assenza di tamponature verticali, non
configurano un aumento del volume e della superficie coperta, non danno
luogo alla creazione o modificazione di un organismo edilizio, non producono
alterazione architettonica del prospetto o della sagoma dell’edificio cui
sono connesse e comunque sono inidonee a modificare la destinazione d’uso
degli spazi esterni interessati (Consiglio di Stato, sezione, VI sentenza,
sent. 21.01.2015 n. 171).
Il gazebo, nelle dimensioni risultanti dagli atti e dall’esame del materiale
fotografico disponibile non si pone, infine, neanche in contrasto con le
norme che violano il tessuto storico urbano (in particolare con l’art. 27,
lett. e), della legge regionale Lombardia 11.03.2005, n. 12) atteso che
risulta posizionato sul retro dell’edificio immediatamente adiacente, cioè
in zona non visibile e circondato da un muro di notevole altezza da cui
fuoriesce soltanto una modesta punta di copertura telata bianca, escludendo
qualsiasi impatto visivo.
In conclusione, il gazebo secondo gli elementi risultanti in atti, tenuto
conto delle caratteristiche e della sua funzione, non configura l’ipotesi
della costruzione sia sotto il profilo strutturale (in considerazione dei
materiali usati, dell’agevole smontaggio, delle modeste dimensioni e
dell’apertura su quattro lati) né sotto il profilo funzionale in quanto non
attua una trasformazione urbanistica edilizia del territorio, con perdurante
modifica dello stato dei luoghi.
Rileva, al riguardo la voce di cui all’art. 6 comma 1, lett. e)-quinquies,
del d.P.R. n. 380/2001 che considera opere di edilizia libera gli “elementi
di arredo delle aree pertinenziali degli edifici”, concetto nel quale può
sicuramente rientrare un gazebo dalle caratteristiche innanzi richiamate.
Sebbene tale norma sia stata introdotta dall’art. 3 del d.lgs. 25.11.2016
n. 222, deve considerarsi applicabile anche alle costruzioni precedenti,
come quella per cui è causa.
Per completezza la Sezione evidenzia che il richiamato D.M. 02.03.2018, al
n. 44 dell’allegato 1, prevede espressamente che rientrano tra le opere
edilizie realizzabili in regime di attività edilizia libera il “gazebo di
limitate dimensioni e non stabilmente infisso al suolo”.
Sulla base delle considerazioni che precedono il ricorso deve essere accolto
con conseguente annullamento dell’atto impugnato
(Consiglio d Stato, Sez. I,
parere 08.10.2018 n. 2292 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Per aversi una pergotenda occorre che l’opera
principale sia costituita non dalla struttura in sé, ma
dalla tenda, quale elemento di protezione dal sole o dagli
agenti atmosferici, con la conseguenza che la struttura deve
qualificarsi in termini di mero elemento accessorio,
necessario al sostegno e all’estensione della tenda.
---------------
3. L’appello è infondato e va respinto.
In base alla foto-documentazione dimessa
dall’Amministrazione, nella specie, non ci si trova di
fronte a due pergotende, bensì a vere e proprie tettoie,
come tali interventi di ristrutturazione edilizia non
rientranti nell’edilizia libera.
Per aversi una pergotenda occorrerebbe, infatti che l’opera
principale sia costituita non dalla struttura in sé, ma
dalla tenda, quale elemento di protezione dal sole o dagli
agenti atmosferici, con la conseguenza che la struttura deve
qualificarsi in termini di mero elemento accessorio,
necessario al sostegno e all’estensione della tenda.
Nel caso in esame, infatti, trattasi di struttura con
travetti lignei di una certa consistenza che sorreggono una
tenda, struttura che può essere senz’altro definita solida e
permanente e, soprattutto, tale da determinare una evidente
variazione di sagoma e prospetto dell’edificio.
Contrariamente a quanto affermato dagli appellanti,
l’elemento principale non è quindi la tenda sorretta dalla
struttura in travi di legno, ma, invece, quest’ultima.
Non trattandosi nel caso in esame di pergotende non può
nemmeno, diversamente da come affermato dagli appellanti,
trovare applicazione l’art. 17, comma 2°, del D.P.R. n.
31/2017 che stabilisce: “Non può disporsi la rimessione
in pristino nel caso di interventi e opere ricompresi
nell’ambito di applicazione dell’articolo 2 del presente
decreto e realizzati anteriormente alla data di entrata in
vigore del presente regolamento non soggette ad altro titolo
abilitativo all’infuori dell’autorizzazione paesaggistica”.
Nella specie, infatti, non si è in presenza di un intervento
riconducibile nella cd. edilizia libera, per cui non è
soddisfatto il presupposto per cui la struttura non
necessita di alcuna autorizzazione all’infuori del vincolo
paesaggistico. In base all’art. 17 del DPR 31/2017 poteva
quindi essere ben emessa la determinazione dirigenziale di
demolizione.
4. Conclusivamente, il gravame va respinto e la sentenza
impugnata va confermata (Consiglio di Stato, Sez. VI,
sentenza 05.10.2018 n. 5737 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Costruzione di un gazebo in zona sismica
Risponde dei reati di cui all’art. 44, lett. b), e artt. 88, 93, 95, DPR
380/2001, e di cui all’art. 2, L.Reg. 07.01.1983, n. 9, colui che, in
zona sismica, omettendo di depositare prima dell’inizio dei lavori gli atti
progettuali presso l’Ufficio del Genio Civile competente, realizzi, in
assenza del permesso di costruire, ma depositando soltanto una DIA, un
gazebo in legno delle dimensioni di 36 mq.
(TRIBUNALE di Napoli, Sez. I, sentenza 03.10.2018 n. 10908 - massima
tratta da www.laleggepertutti.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
La
indiscussa natura di “intervento libero” che deve essere
riconosciuta alla struttura progettata dal ricorrente (ndr:
installazione di una tettoia con copertura
retrattile -cd. “pergotenda”- della superficie di 16 mq)
impedisce solo che questa debba essere assoggettata a
provvedimenti abilitativi di matrice comunale, tendenti a
valutare la fattibilità urbanistica ed edilizia del
manufatto.
Ma, nel caso di specie, la realizzazione di una struttura da
collocare sulla terrazza sommitale di un edificio risulta
potenzialmente idonea ad incidere su valori (diversi da
quelli urbanistici) di carattere paesaggistico, in ragione
del fatto che l’intera area comunale è sottoposta a vincolo
di notevole interesse pubblico istituito nel lontano 1978.
Pertanto, è di intuitiva evidenza che il medesimo intervento
-non assoggettato ad alcun limite o atto di assenso sul
piano edilizio- richieda il preventivo parere dell’organo
tutorio se inserito all’interno di un comune soggetto a
vincolo paesaggistico, mentre potrebbe essere liberamente
eseguito nell’ambito di un territorio comunale che non fosse
assoggettato a tali vincoli.
Sicché, risulta irrilevante sia il fatto che l’intervento
sia qualificabile come “neutro” (o libero) dal punto di
vista edilizio, sia l’asserito errore di fatto commesso
dalla Soprintendenza nel qualificare il manufatto come
“tettoia” piuttosto che “tenda”.
Sia che si trattasse di una “tettoia”, che in ipotesi mera
“tenda”, la Soprintendenza non avrebbe potuto sottrarsi
all’obbligo di valutare (peraltro, su richiesta dello stesso
soggetto interessato) l’incidenza dell’intervento progettato
rispetto ai valori paesaggistici ed ambientali affidati per
legge alla sua cura.
In una vicenda per certi versi analoga, infatti, la
giurisprudenza ha affermato che “Una serra mobile, sebbene
ricada nell'attività edilizia libera, richiede
l'autorizzazione paesaggistica, poiché anche tale tipologia
di manufatto può recare pregiudizio ai valori paesistici e
ambientali protetti ed esige, quindi, un esame preventivo da
parte dell'autorità competente”.
---------------
La Soprintendenza di Messina ha respinto l’istanza
presentata dal ricorrente D’Al., con la quale si richiedeva
il parere di compatibilità paesaggistica ai fini
dell’installazione di una tettoia con copertura retrattile
(cd. “pergotenda”), della superficie di 16 mq, da
collocare su una terrazza posta all’ultimo piano di un
edificio sito nel Comune di Castelmola.
Il provvedimento, in particolare, rilevava l’esistenza di un
vincolo di notevole interesse pubblico apposto su tutto il
territorio del Comune di Castelmola con DPRS 2976/1978, e
del Piano Paesaggistico Ambito 9 approvato con D.A.
6682/2016; aggiungeva inoltre la circostanza che
l’intervento proposto ricade in area soggetta al livello di
tutela 1 del citato P.P.A.
In applicazione di tali strumenti di tutela del territorio,
la Soprintendenza ha ritenuto di dover esprimere –con l’atto
ora impugnato– parere contrario al progetto, trattandosi di
intervento che “comporterebbe un notevole impatto
negativo al paesaggio tutelato” essendo “ricadente in
zona di notevole intervisibilità panoramica ai margini del
tessuto urbano di Castelmola”.
Il ricorrente ha allora impugnato in questa sede il parere
negativo espresso dalla Soprintendenza, assumendo che sia
affetto dai seguenti vizi: ...
...
Il primo motivo
di ricorso è infondato.
La indiscussa natura di “intervento libero” che deve
essere riconosciuta alla struttura progettata dal ricorrente
impedisce solo che questa debba essere assoggettata a
provvedimenti abilitativi di matrice comunale, tendenti a
valutare la fattibilità urbanistica ed edilizia del
manufatto.
Ma, nel caso di specie, la realizzazione di una struttura da
collocare sulla terrazza sommitale di un edificio risulta
potenzialmente idonea ad incidere su valori (diversi da
quelli urbanistici) di carattere paesaggistico, in ragione
del fatto che l’intera area comunale di Castelmola è
sottoposta a vincolo di notevole interesse pubblico
istituito nel lontano 1978, nonché inquadrata nel Piano
Paesaggistico Ambito 9, più di recente varato dalla Regione
Sicilia con riferimento alla provincia di Messina.
Pertanto, è di intuitiva evidenza che il medesimo intervento
-non assoggettato ad alcun limite o atto di assenso sul
piano edilizio- richieda il preventivo parere dell’organo
tutorio se inserito all’interno di un comune soggetto a
vincolo paesaggistico, mentre potrebbe essere liberamente
eseguito nell’ambito di un territorio comunale che non fosse
assoggettato a tali vincoli.
A ben vedere, tale distinguo risulta ben conosciuto dal
ricorrente, che non a caso ha inviato richiesta di nulla
osta alla Soprintendenza di Messina prima di avviare alcun
tipo di attività, salvo poi dolersi del parere contrario
espresso dall’amministrazione.
Alla luce di quanto esposto risulta irrilevante sia il fatto
che l’intervento sia qualificabile come “neutro” (o
libero) dal punto di vista edilizio, sia l’asserito errore
di fatto commesso dalla Soprintendenza nel qualificare il
manufatto come “tettoia” piuttosto che “tenda”.
Sia che si trattasse di una “tettoia”, che in ipotesi
mera “tenda”, la Soprintendenza non avrebbe potuto
sottrarsi all’obbligo di valutare (peraltro, su richiesta
dello stesso soggetto interessato) l’incidenza
dell’intervento progettato rispetto ai valori paesaggistici
ed ambientali affidati per legge alla sua cura.
In una vicenda per certi versi analoga, infatti, la
giurisprudenza ha affermato che “Una serra mobile,
sebbene ricada nell'attività edilizia libera, richiede
l'autorizzazione paesaggistica, poiché anche tale tipologia
di manufatto può recare pregiudizio ai valori paesistici e
ambientali protetti ed esige, quindi, un esame preventivo da
parte dell'autorità competente” (Tar Veneto 1007/2017)
(TAR
Sicilia-Catania, Sez. IV,
sentenza 30.07.2018 n. 1635 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Realizzazione di gazebo non precari
I gazebo non precari, in quanto funzionali a soddisfare esigenze permanenti,
sono a tutti gli effetti manufatti in grado di alterare lo stato dei luoghi,
con incremento del carico urbanistico.
Non rileva la rimovibilità della struttura e l’assenza di opere murarie,
posto che la struttura è deputata non ad un utilizzo transitorio ma per
soddisfare esigenze durature nel tempo e rafforzate dal carattere
continuativo e non stagionale dell’attività svolta.
---------------
2.1.- Infondato è il primo motivo.
Contrariamente alle affermazioni della società ricorrente, gli interventi
compiuti senza titolo non si sono limitati a semplici opere interne.
Dagli atti di causa, emerge che il gazebo, posto all’esterno sulla parte
frontale dell'immobile, è stato realizzato con struttura mista -legno
lamellare, copertura con teli in plastica- e pavimentato in gres, materiale
diverso rispetto alle indicazioni contenute nell'autorizzazione
paesaggistica, richiesta dalla società ricorrente. Ed infatti, la
Soprintendenza, con provvedimento prot. n. 18465 del 22.07.2014, aveva
rilasciato parere favorevole per la costruzione di un gazebo, a condizione
che la pavimentazione delle aree impegnate dalle strutture di ombreggiamento
fosse realizzata in legno, allo scopo di garantire la necessaria omogenea ed
intera reversibilità dell'impianto.
Il diverso materiale impiegato trasforma il gazebo in una struttura
sostanzialmente stabile e non rimovibile.
Sul punto, condivisa giurisprudenza ha anche chiarito che i gazebo non
precari in quanto funzionali a soddisfare esigenze permanenti, sono a tutti
gli effetti manufatti in grado di alterare lo stato dei luoghi, con
incremento del carico urbanistico. Non rileva la rimovibilità della
struttura e l'assenza di opere murarie, posto che la struttura è deputata
non ad un utilizzo transitorio ma per soddisfare esigenze durature nel tempo
e rafforzate dal carattere continuativo e non stagionale dell'attività
svolta (ex multis, Tar Perugia, sez. I, 16.02.2015, n. 81) (TAR
Campania-Napoli, Sez. III,
sentenza 05.06.2018 n. 3693
- massima
tratta da www.laleggepertutti.it - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Temporaneità della destinazione del gazebo.
Il gazebo è un’opera che, in base alle caratteristiche costruttive, può
sottostare a diversi regimi edilizi ed essere inquadrato tra le attività
libere, ove del tutto temporaneo e rimovibile, nonché rimosso in tempi
brevi; ovvero soggetto a permesso a costruire o alla Dia quando non presenti
dette caratteristiche.
La temporaneità della destinazione, nello specifico, non può essere desunta
dalla soggettiva destinazione dell’opera data dal costruttore o
dall’installatore, ma va ricollegata a un uso realmente precario o
temporaneo, per fini specifici e cronologicamente delimitabili.
Nel caso di specie, il giudice ha ritenuto integrato il reato ex art. 44,
lett. b), del Dpr 380/2001 in quanto si trattava di una struttura a capanna
in legno di 4 x 2,70 metri, disposta per uso stabile e indeterminato, per
far fronte a duraturi interessi della famiglia anche se caratterizzati da
frequenze d’uso diverse in relazione ai vari periodi dell’anno
(TRIBUNALE di Firenze, Sez. III, sentenza 22.05.2018 n. 2091 -
massima tratta da www.laleggepertutti.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Non è possibile affermare
in assoluto che la tettoia richiede, o non richiede, il
titolo edilizio maggiore e assoggettarla, o non
assoggettarla, alla relativa sanzione senza considerare
nello specifico come essa è realizzata.
---------------
Con la determinazione 18.10.2011 meglio indicata in
epigrafe, l’amministrazione intimata appellata ha ordinato
ai ricorrenti appellanti, il primo quale usufruttuario
responsabile e la seconda quale nuda proprietaria, di
rimuovere in quanto abusiva, perché realizzata senza titolo
alcuno, una copertura con tenda in tessuto sorretta da una
struttura principale e secondaria di legno installata sulla
terrazza a livello del locale soffitta al sesto piano
dell’immobile situato in via ... 201 (doc. s.n. in I grado
ricorrenti appellanti, atto impugnato, allegato al ricorso
introduttivo).
Con la sentenza a sua volta meglio indicata in epigrafe, il
TAR ha respinto il ricorso proposto dagli interessati contro
tale provvedimento, ritenendo che l’opera integrasse
ristrutturazione soggetta al necessario rilascio di un
permesso di costruire, e non di un titolo edilizio minore,
in quanto struttura stabile modificatrice della sagoma
dell’edificio, e che quindi in mancanza del permesso stesso
ne fosse stata correttamente ingiunta la demolizione.
...
1. L’appello è fondato e va accolto, per le ragioni di
seguito precisate.
2. L’abuso contestato ai ricorrenti appellanti consiste
nella realizzazione di una tettoia, ovvero di un manufatto
la cui disciplina non è definita in modo univoco né nella
normativa né in giurisprudenza.
2.1 Dal punto di vista normativo, va considerato anzitutto
l’art. 6 del T.U. 06.06.2001 n. 380, che contiene l’elenco
delle opere di cd edilizia libera, le quali non necessitano
di alcun titolo abilitativo; a prescindere dalla natura
esemplificativa o tassativa che si voglia riconoscere a tale
elenco, va poi osservato che esso comprende voci di per sé
abbastanza generiche, tali da poter ricomprendere anche
opere non espressamente nominate.
Con riferimento alle tettoie, rileva in particolare la voce
di cui all’art. 6, comma 1, lettera e)-quinquies, che
considera opere di edilizia libera gli “elementi di
arredo delle aree pertinenziali degli edifici”, concetto
nel quale può sicuramente rientrare una tettoia
genericamente intesa, come copertura comunque realizzata di
un’area pertinenziale, come il terrazzo.
La norma è stata introdotta dall’art. 3 del d.lgs.
25.11.2016 n. 222, ma si deve considerare applicabile anche
alle costruzioni precedenti, come quella per cui è causa,
per due ragioni.
In primo luogo, nel diritto delle sanzioni è
principio generale e notorio, e come tale non richiede
puntuali citazioni, che non si possano subire conseguenze
sfavorevoli per un comportamento in ipotesi illecito nel
momento in cui è stato realizzato, che più non lo sia quando
si tratti di applicare le sanzioni stesse.
In secondo luogo, la giurisprudenza di cui subito si
dirà, anche in epoca anteriore alla modifica legislativa di
cui s’è detto, distingueva all’interno della categoria in
esame costruzione da costruzione assoggettandola a regime
diverso a seconda delle sue caratteristiche.
2.2 In materia, è poi intervenuto di recente un chiarimento
da parte del legislatore, ovvero il recente D.M. 02.03.2018,
pubblicato nella G.U. 07.04.2018 n. 81, di “Approvazione
del glossario contenente l'elenco non esaustivo delle
principali opere edilizie realizzabili in regime di attività
edilizia libera”, ai sensi dell'articolo 1, comma 2, del
citato d.lgs. 222/2016.
A sua volta, la norma dell’art. 1, comma 2, prevede che “Con
riferimento alla materia edilizia, al fine di garantire
omogeneità di regime giuridico in tutto il territorio
nazionale, con decreto del Ministro delle infrastrutture e
dei trasporti di concerto con il Ministro delegato per la
semplificazione e la pubblica amministrazione, da emanare
entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore del
presente decreto, previa intesa con la Conferenza unificata
di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28.08.1997, n.
281, è adottato un glossario unico, che contiene l'elenco
delle principali opere edilizie, con l'individuazione della
categoria di intervento a cui le stesse appartengono e del
conseguente regime giuridico a cui sono sottoposte, ai sensi
della tabella A di cui all'articolo 2 del presente decreto”.
Il decreto ministeriale attuativo di cui s’è detto
comprende, al n. 50 del glossario delle opere realizzabili
senza titolo edilizio alcuno, in particolare le cd.
pergotende, ovvero, per comune esperienza, strutture di
copertura di terrazzi e lastrici solari, di superficie anche
non modesta, formate da montanti ed elementi orizzontali di
raccordo e sormontate da una copertura fissa o ripiegabile
formata da tessuto o altro materiale impermeabile, che
ripara dal sole, ma anche dalla pioggia, aumentando la
fruibilità della struttura. Si tratta quindi di un manufatto
molto simile alla tettoia, che se ne distingue secondo
logica solo per presentare una struttura più leggera.
2.3 Al polo opposto, v’è l’art. 10, comma 1, lettera a), del
T.U. 380/2001, che assoggetta invece al titolo edilizio
maggiore, ovvero al permesso di costruire, “gli
interventi di nuova costruzione”. Come subito si vedrà,
la giurisprudenza si fonda su tale norma per richiedere
appunto il permesso di costruire nel caso di tettoie di
particolari dimensioni e caratteristiche.
Si afferma infatti in via generale che tale struttura
costituisce intervento di nuova costruzione e richiede il
permesso di costruire nel momento in cui difetta dei
requisiti richiesti per le pertinenze e gli interventi
precari, ovvero quando modifica la sagoma dell’edificio: fra
le molte, C.d.S. sez. IV 08.01.2018 n. 12 e sez. VI
16.02.2017 n. 694.
3. Da tutto ciò, emerge chiara una conseguenza: non è
possibile affermare in assoluto che la tettoia richiede, o
non richiede, il titolo edilizio maggiore e assoggettarla, o
non assoggettarla, alla relativa sanzione senza considerare
nello specifico come essa è realizzata. In proposito,
quindi, l’amministrazione ha l’onere di motivare in modo
esaustivo, attraverso una corretta e completa istruttoria
che rilevi esattamente le opere compiute e spieghi per quale
ragione esse superano i limiti entro i quali si può trattare
di una copertura realizzabile in regime di edilizia libera.
4. Tutto ciò non si ritrova nel provvedimento impugnato, che
come detto in narrativa si limita ad una descrizione
generica di quanto rilevato, a fronte della quale, si noti,
la difesa dei ricorrenti appellanti (già nel ricorso di I
grado a p. 4) è nel senso che si tratterebbe di una tenda da
sole scorrevole su binari, ovvero proprio di una delle
pergotende di cui si è detto.
Il provvedimento stesso va allora annullato, con salvezza
com’è ovvio di eventuali successivi provvedimenti
dell’amministrazione, conseguenti a un congruo riesame della
fattispecie concreta (Consiglio di Stato, Sez. VI,
sentenza 07.05.2018 n. 2715 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Gazebo realizzato su platea in cemento: costituisce opera precaria?
Il gazebo non è un’opera precaria priva di rilevanza urbanistica, qualora si
tratti di struttura in tubi di ferro infissi in una platea di cemento
cementati al suolo e copertura in plastica.
Tali caratteristiche, le quali
valgono ad escludere l’ascrivibilità all’opera precaria, inducono a
qualificare il manufatto come urbanisticamente rilevante e soggetto a
permesso di costruire, con la conseguenza che la sua realizzazione abusiva è
sanzionabile con l’ordine di demolizione.
In proposito è pacifico l’orientamento della giurisprudenza secondo cui i
gazebo non precari, ma funzionali a soddisfare esigenze permanenti, vanno
considerati manufatti alteranti lo stato dei luoghi, con sicuro incremento
del carico urbanistico, a nulla rilevando la precarietà strutturale del
manufatto, la rimovibilità della struttura e l'assenza di opere murarie,
posto che il gazebo non precario non è deputato ad un uso per fini
contingenti, ma è destinato ad un utilizzo per soddisfare esigenze durature
nel tempo e rafforzate dal carattere permanente e non stagionale
dell'attività svolta.
---------------
5. Con il quinto e sesto motivo si lamenta che il
provvedimento di diniego ponga a fondamento anche l’assenza di
autorizzazione all’utilizzo del passo carrabile, dovendo atteso che il
rilascio della sanatoria presuppone il solo rispetto delle norme
urbanistiche e non di quelle in materia di occupazione di aree e spazi
pubblici.
L’affermazione, finalizzata a far assumere rilevanza a tale aspetto del
tutto secondario del provvedimento, non può essere condivisa.
5.1. Invero il diniego avversato è fondato sulla mancanza del requisito
della doppia conformità urbanistica e il provvedimento impugnato menziona
per mera completezza d’argomentazione anche l’assenza dell’autorizzazione ai
passi carrabili “fermo restando i contrasti sopra indicati” e dunque
assumendo che la sanatoria veniva respinta per ragioni urbanistiche e non
per altre motivazioni.
5.2. Ci si duole, altresì, dell’ultimo capoverso della parte motiva
dell’atto avversato, ovvero quello inerente alla non sanabilità dei piccoli
manufatti presenti sull’area, e in particolare del gazebo; e ciò sia perché
la sanatoria non comprendeva il gazebo sia perché lo stesso sarebbe opera
precaria, non soggetta né a titolo edilizio, né alle norme in materia di
distanza dagli edifici né al preventivo deposito della pratica al Genio
civile.
Come rilevato dalla difesa del Comune la censura, sul punto, si palesa
inammissibile per difetto di interesse.
Infatti, se il gazebo non rientra fra le opere che la ricorrente aveva
interesse a sanare (prevedendosene nella relazione tecnica allegata alla
domanda di sanatoria lo smantellamento) pare evidente che non vi sia
interesse a contestare tale profilo del provvedimento.
Peraltro, non può ritenersi che il gazebo sia un’opera precaria e perciò
priva di rilevanza urbanistica, risultando dal verbale della Polizia
municipale che in realtà si tratta di un manufatto con struttura in tubi di
ferro ed infissi in una platea di cemento cementati al suolo e copertura in
plastica trattandosi perciò di un manufatto urbanisticamente rilevante e
soggetto a permesso di costruire.
5.3. In proposito è pacifico l’orientamento della giurisprudenza secondo cui
i gazebo non precari, ma funzionali a soddisfare esigenze permanenti, vanno
considerati manufatti alteranti lo stato dei luoghi, con sicuro incremento
del carico urbanistico, a nulla rilevando la precarietà strutturale del
manufatto, la rimovibilità della struttura e l'assenza di opere murarie,
posto che il gazebo non precario non è deputato ad un uso per fini
contingenti, ma è destinato ad un utilizzo per soddisfare esigenze durature
nel tempo e rafforzate dal carattere permanente e non stagionale
dell'attività svolta (tra le tante, TAR Molise, 21.09.2016 n. 353; TAR
Lazio, sez. I, 21.09.2016 n. 9881, TAR Umbria, 16.02.2015 n. 81).
...
11. Con il sesto motivo la ricorrente lamenta che l’ordinanza di
demolizione abbia riguardato anche il “gazebo” adibito a “rimessa
di attrezzature”, trattandosi di manufatto di piccole dimensioni (mq.
24) in struttura metallica leggera, senza parti in muratura, con copertura
in plastica e, quindi, in materiale non rigido né durevole, come tale privo
di rilevanza edilizia.
La censura è infondata.
Si è già rilevato, analizzando il quinto motivo del ricorso principale, che
non può ritenersi che il gazebo costituisca un’opera precaria priva di
rilevanza urbanistica, trattandosi in realtà di un manufatto con struttura
in tubi di ferro ed infissi in una platea di cemento cementati al suolo e
copertura in plastica e quindi di un manufatto urbanisticamente rilevante e
soggetto a permesso di costruire.
In ogni caso è pacifico che i gazebo non precari, ma funzionali a soddisfare
esigenze permanenti, vanno considerati manufatti alteranti lo stato dei
luoghi, con sicuro incremento del carico urbanistico, a nulla rilevando la
precarietà strutturale del manufatto (peraltro non rilevabile nella
fattispecie), la rimovibilità della struttura e l'assenza di opere murarie,
posto che il gazebo non precario non è deputato ad un suo uso per fini
contingenti, ma è destinato ad un utilizzo per soddisfare esigenze durature
nel tempo e rafforzate dal carattere permanente e non stagionale
dell'attività svolta (Cons. St., sez. IV, 04.04.2013, n. 4438; id., sez. VI,
03.06.2014, n. 2842) (TAR
Toscana, Sez. III,
sentenza 17.04.2018 n. 556 - massima
tratta da www.laleggepertutti.it - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Distanze legali tra edifici.
La realizzazione di una tettoia va configurata sotto il profilo urbanistico
come intervento di nuova costruzione non di natura pertinenziale e, anche ai
fini dell’osservanza delle norme sulle distanze legali tra edifici, la
nozione di costruzione deve estendersi a qualsiasi manufatto non
completamente interrato che abbia i caratteri della solidità, stabilità e
immobilizzazione al suolo, anche mediante appoggio, incorporazione o
collegamento fisso ad un corpo di fabbrica preesistente o contestualmente
realizzato, indipendentemente dal livello di posa e di elevazioni dell’opera
(Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 02.03.2018 n. 1309 - massima tratta da
www.laleggepertutti.it).
---------------
4.3. Per ricorrente giurisprudenza, invero, la realizzazione di una tettoia
va configurata sotto il profilo urbanistico come intervento di nuova
costruzione e non di natura pertinenziale, essendo assente il requisito
della individualità fisica e strutturale propria della pertinenza. Il
manufatto costituisce, infatti, parte integrante dell'edificio e la nozione
di costruzione deve estendersi a qualsiasi manufatto non completamente
interrato che abbia i caratteri della solidità, stabilità ed
immobilizzazione al suolo, anche mediante appoggio, incorporazione o
collegamento fisso ad un corpo di fabbrica preesistente o contestualmente
realizzato, indipendentemente dal livello di posa e di elevazioni
dell'opera.
Per la tettoia come realizzata, necessita, quindi, la sua conformità alle
disposizioni del testo unico dell'edilizia (D.P.R. n. 380/2001) e alle norme
dallo stesso richiamate in tema di disciplina urbanistica ed edilizia (cfr.
art. 12), tra cui quella sulle distanze previste dal codice civile.
4.4. Non può trovare condivisione la tesi degli appellanti che l'art. 3,
comma 1, lett. e), del D.P.R. n. 380/2001 prevederebbe che gli interventi
come quello di interesse possono essere considerati nuova costruzione solo
se le N.T.A. del P.R.G. del Comune lo evidenzino espressamente o nel caso in
cui si realizzino opere che abbiano un volume superiore al 20% del volume
dell'edificio principale, atteso che nulla si evince al riguardo dalla
disciplina di settore del Comune e, comunque, a rilevare è, come si è
accennato, la disciplina statale sulle distanze tra edifici, che essendo
volta alla salvaguardia di imprescindibili esigenze igienico-sanitarie, è
tassativa ed inderogabile nell'imporre al proprietario dell'area confinante
di costruire il proprio edificio ad almeno 10 metri, senza alcuna deroga. |
anno 2017 |
|
EDILIZIA PRIVATA:
Circa la costruzione di un manufatto costituito da una
struttura lignea di sostegno a un pergolato realizzata su
pianta di m. 4,93 x 2,53, non ancorata al suolo, e dotata di
una copertura in lastre e cannette anche queste amovibili
poiché solo appoggiate.
Il manufatto oggetto di contestazione è
un pergolato adibito all’arredo di uno spazio esterno
completamente aperto sui lati e dotato di una copertura
amovibile pertanto, sotto un primo profilo, rientra nelle
illustrate tipologie di interventi liberalizzati ai sensi
dell’art. 6 del d.P.R. n. 380/2001.
La posizione espressa trova conferma nella più recente
giurisprudenza del Consiglio di Stato che ha ritenuto la
legittimità di simili manufatti aventi struttura in legno ad
uso pergolato aperta su più lati ed avente una copertura
amovibile poiché inidonee a costituire volume urbanistico.
---------------
A seguito di sopralluogo eseguito in data 03.08.2010,
personale del Comune di Lugagnano Val d’Arda (di seguito
Comune) rilevava nell’area di pertinenza dell’abitazione del
ricorrente la presenza di “una struttura lignea fissata
al suolo in maniera non permanente con caratteristiche di
elemento di sostegno per un pergolato, ma dotata di
copertura di lastre e cannette”.
Con ordinanza n. 41 del 09.08.2010 l’Amministrazione
ordinava l’immediata sospensione dei lavori “al fine di
poter adottare i provvedimenti definitivi” e, ritenendo
che la descritta copertura, ancorché “di materiale
totalmente amovibile”, facesse “perdere le
caratteristiche di elemento di arredo alla struttura,
assimilandola a una struttura edilizia soggetta al rispetto
delle distanze dai confini di proprietà e agli altri
parametri urbanistici e edilizi”, con successivo
provvedimento dirigenziale n. 5 del 22.02.2012, irrogava al
ricorrente proprietario la sanzione pecuniaria ex art. 16
della L.R. n. 23/2004 nella misura di € 9.152,00.
...
L’odierna controversia verte sulla qualificazione di un
manufatto costituito da una struttura lignea di sostegno a
un pergolato realizzata su pianta di m. 4,93 x 2,53, non
ancorata al suolo, e dotata di una copertura in lastre e
cannette anche queste amovibili poiché solo appoggiate che
l’Amministrazione, in ragione della sola presenza di una
copertura ancorché amovibile, riteneva dovesse essere
assentita previa acquisizione di titolo edilizio.
Con il primo motivo di ricorso il ricorrente deduce “eccesso
di potere per difetto di istruttoria, illogicità,
irragionevolezza, insufficienza e/o contraddittorietà della
motivazione, travisamento dei fatti”.
Espone il ricorrente che la struttura in questione (un
pergolato), in quanto leggera, amovibile e di modeste
dimensioni e avente natura ornamentale, non necessiterebbe
di titolo abilitativo né tale necessità potrebbe derivare
dalla sola circostanza che presenta una copertura.
In ricorso si evidenzia in particolare che sebbene la
Commissione provinciale VAM si fosse espressa nel senso di
considerare soggetto a titolo edilizio qualsiasi manufatto
che presenti una copertura, di qualunque natura essa sia,
tale posizione contrasterebbe con la circolare
dell’Assessorato Regionale Programmazione Territoriale
Urbanistica, recante “Indicazioni applicative in merito
all’art. 6 del D.P.R: n. 380 del 2001 relativo all’attività
edilizia libera” del 02.08.2010 che al paragrafo 6.1.4
farebbe rientrare in questa tipologia di interventi gli
elementi di arredo delle aree pertinenziali con l’esclusione
delle sole opere che comportino superfici computabili come
utili o accessorie ricomprendendo fra le attività libere
anche “le coperture avvolgibili o retrattili di telo
impermeabile” e ritenendo ulteriormente che “possano
essere equiparati a tali elementi di arredo anche i gazebo
ma solo se completamente aperti sui lati e coperti con teli
amovibili” (pag. 6 del ricorso).
Ne deriverebbe che non sarebbe la copertura a determinare di
per sé la necessità di un titolo abilitativo ma rileverebbe
a tal fine la tipologia di copertura utilizzata.
A favore della tesi fatta propria dall’Amministrazione non
potrebbe inoltre essere invocato l’Atto di coordinamento
sulle definizioni tecniche uniformi per l’urbanistica e
l’edilizia e sulla documentazione necessaria per i titoli
abilitativi edilizi approvato con delibera assembleare n.
279 del 04.02.2010 che al punto 59 dell’allegato A definisce
il pergolato come una “struttura autoportante, composta
di elementi verticali e di sovrastanti elementi orizzontali,
atta a consentire il sostegno del verde rampicante e
utilizzata in spazi aperti a fini di ombreggiamento”
precisando che “sul pergolato non sono ammesse coperture
impermeabili” poiché, sotto un primo profilo, tale fonte
non viene richiamata nel provvedimento impugnato e, sotto un
secondo profilo, perché la copertura rilevata, in quanto
composta da elementi appoggiati e privi di fissaggio e di
saldatura o ancoraggio (fra loro e rispetto alla struttura
portante), non sarebbe impermeabile.
Il motivo è fondato.
L’art. 6, comma 2, del d.P.R. n. 380/2001 prevede che “nel
rispetto dei medesimi presupposti di cui al comma 1, previa
comunicazione, anche per via telematica, dell'inizio dei
lavori da parte dell'interessato all'amministrazione
comunale, possono essere eseguiti senza alcun titolo
abilitativo i seguenti interventi: … e) le aree ludiche
senza fini di lucro e gli elementi di arredo delle aree
pertinenziali degli edifici”.
La citata circolare regionale del 02.08.2010, esplicativa
dei criteri applicativi della norma sopra riportata,
comprende tra gli interventi liberalizzati “ai sensi del
comma 2 del nuovo art. 6” gli spazi adibiti ad arredo
pertinenziale costituiti da “elementi di arredo di spazi
esterni (giardini, cortili, corti interne, ecc.)”
menzionando espressamente fra questi “i pergolati; le
pensiline; le tettoie con profondità inferiore a 1,50 m; ed
inoltre i barbecue e i forni in muratura, il manufatto
esterno del pozzo, le coperture avvolgibili o retrattili di
telo impermeabile, le piccole fontane e gli altri manufatti
con analoghe caratteristiche. Si ritiene che possano essere
equiparati a tali elementi di arredo anche i gazebo, ma solo
se completamente aperti sui lati e coperti con teli
amovibili”.
Ciò premesso deve rilevarsi che il manufatto oggetto di
contestazione è un pergolato adibito all’arredo di uno
spazio esterno completamente aperto sui lati e dotato di una
copertura amovibile pertanto, sotto un primo profilo,
rientra nelle illustrate tipologie di interventi
liberalizzati ai sensi dell’art. 6 del d.P.R. n. 380/2001
(come peraltro riconosciuto dalla stessa Amministrazione a
pag. 3, ultimo cpv. della memoria di costituzione); sotto
altro profilo, non rientra nella fattispecie ostativa di cui
al citato Atto di coordinamento regionale poiché la
copertura, in quanto composta da “lastre [di
policarbonato] e cannette”, come già evidenziato
appoggiate prive di ancoraggio o elementi di vincolo o
saldatura tanto con la struttura portante quanto fra le
stesse, non può essere considerata impermeabile poiché
inidonea, in ragione delle descritte caratteristiche
strutturali a proteggere da agenti atmosferici.
La posizione espressa trova conferma nella più recente
giurisprudenza del Consiglio di Stato che ha ritenuto la
legittimità di simili manufatti aventi struttura in legno ad
uso pergolato aperta su più lati ed avente una copertura
amovibile poiché inidonee a costituire volume urbanistico
(Cons. Stato, Sez. VI, 15.11.2016 n. 4711).
La fondatezza del primo motivo di ricorso, e la
conseguente illegittimità, della misura applicata, assorbe
le doglianze oggetto del secondo mezzo di impugnazione teso
a contestare la quantificazione della sanzione.
Per quanto precede il ricorso deve essere accolto (TAR
Emilia Romagna-Parma,
sentenza 14.08.2017 n. 275 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
La recente giurisprudenza amministrativa,
evidenziando che le cc.dd. “pergotende” non possono essere
considerate “opere precarie” ex art. 3, comma 1, lett. e),
del T.U. dell’Edilizia, perché non si connotano per una
temporaneità della loro utilizzazione, ma piuttosto per
costituire un elemento di migliore fruizione dello spazio,
comunque duraturo, ha approfondito la questione della
necessità o meno del previo rilascio del titolo abilitativo
per la loro realizzazione, osservando come una struttura in
alluminio anodizzato destinata ad ospitare una tenda
retrattile in tessuto come quella in questione, non integri,
in primo luogo, gli effetti di “trasformazione edilizia e
urbanistica del territorio” propri degli “interventi di
nuova costruzione” ex artt. 3 e 10 DPR n. 380/2001.
Va, invero, considerato che l’opera principale non è la
struttura in sé, ma la tenda, quale elemento di protezione
dal sole e dagli agenti atmosferici, finalizzata ad una
migliore fruizione dello spazio esterno del locale;
considerata in tale contesto, la struttura in alluminio
anodizzato si qualifica in termini di mero elemento
accessorio, necessario al sostegno e all’estensione della
tenda.
Quest’ultima, poi, integrata alla struttura portante, non
vale a configurare una “nuova costruzione”, attese la sua
realizzazione in tessuto e la sua natura retrattile, che,
escludendo elementi di fissità e stabilità nella copertura,
priva di qualsiasi tamponatura laterale, fanno sì che non
possa parlarsi di uno spazio chiuso e della creazione di
nuova superficie o nuovo volume.
---------------
Con il ricorso in epigrafe la Br. s.r.l., società esercente
attività di somministrazione di alimenti e bevande nel
locale commerciale di via ... 2/4, ha dedotto di aver
chiesto ed ottenuto da Roma Capitale, con determinazione
dirigenziale prot CI/235212/2014, per l’area pertinenziale
esterna al suo locale, la concessione per l’occupazione di
suolo pubblico con tenda autoportante, tavoli, sedie e
fioriere, secondo i progetti depositati a supporto
dell’istanza, ma di aver successivamente ricevuto, proprio
in relazione alla suddetta struttura (realizzata in
alluminio, poggiante su 6 pali alloggiati in 6 vasi,
sostenuta da un sistema di assemblaggio laterale di staffe
inox e fusioni in alluminio e non fissata sul muro
perimetrale del fabbricato), avviso di apertura del
procedimento amministrativo per realizzazione di opere
abusive e l’ordinanza n. 1057/2016 di rimozione
dell’installazione.
In merito a tale ultimo provvedimento, la Br. s.r.l. ha,
quindi, lamentato l’errata rappresentazione da parte
dell’Amministrazione, del manufatto in questione, che non
era stato considerato negli elementi decisivi ai fini del
suo corretto inquadramento, costituiti, appunto, dalla
copertura retrattile e dalla funzione di semplice sostegno
della tenda svolta dalla struttura in alluminio leggero, la
cui apposizione doveva considerarsi assolutamente
irrilevante dal punto di vista urbanistico - edilizio, ferma
restando la necessità per l’occupazione del suolo pubblico
della specifica concessione.
Tali censure sono fondate e meritevoli di accoglimento.
La recente giurisprudenza amministrativa, (cfr. Cons. St.,
Sez. VI, 17.04.2016 n. 1619), evidenziando che le cc.dd. “pergotende”
non possono essere considerate “opere precarie” ex
art. 3, comma 1, lett. e), del T.U. dell’Edilizia, perché
non si connotano per una temporaneità della loro
utilizzazione, ma piuttosto per costituire un elemento di
migliore fruizione dello spazio, comunque duraturo, ha
approfondito la questione della necessità o meno del previo
rilascio del titolo abilitativo per la loro realizzazione,
osservando come una struttura in alluminio anodizzato
destinata ad ospitare una tenda retrattile in tessuto come
quella in questione, non integri, in primo luogo, gli
effetti di “trasformazione edilizia e urbanistica del
territorio” propri degli “interventi di nuova
costruzione” ex artt. 3 e 10 DPR n. 380/2001.
Va, invero, considerato che l’opera principale non è la
struttura in sé, ma la tenda, quale elemento di protezione
dal sole e dagli agenti atmosferici, finalizzata ad una
migliore fruizione dello spazio esterno del locale;
considerata in tale contesto, la struttura in alluminio
anodizzato si qualifica in termini di mero elemento
accessorio, necessario al sostegno e all’estensione della
tenda.
Quest’ultima, poi, integrata alla struttura portante, non
vale a configurare una “nuova costruzione”, attese la
sua realizzazione in tessuto e la sua natura retrattile,
che, escludendo elementi di fissità e stabilità nella
copertura, priva di qualsiasi tamponatura laterale, fanno sì
che non possa parlarsi di uno spazio chiuso e della
creazione di nuova superficie o nuovo volume.
Allo stesso modo, deve ritenersi che non sia integrata la
fattispecie della ristrutturazione edilizia, richiamata,
invece, erroneamente nella determinazione impugnata.
Invero, ai sensi dell’articolo 3, lettera d), del dpr n.
380/2001, tale tipologia di intervento edilizio fa
riferimento ad “interventi rivolti a trasformare gli
organismi edilizi mediante un insieme sistematico di opere”,
i quali “comprendono il ripristino o la sostituzione di
alcuni elementi costitutivi dell’edificio, l’eliminazione,
la modifica e l’inserimento di nuovi elementi e impianti”.
Orbene, la disposizione, così come declinata dal
legislatore, richiede comunque che le opere realizzate
abbiano consistenza e rilevanza edilizia, siano cioè tali da
poter “trasformare l’organismo edilizio”,
condividendo pertanto natura e consistenza degli elementi
costitutivi di esso.
Tali caratteristiche risultano all’evidenza non sussistenti
nella fattispecie della struttura in alluminio anodizzato
atta ad ospitare una tenda retrattile, avuto riguardo alla
consistenza di tale intervento ed alla circostanza che
l’immobile accanto al quale essa è collocata è un fabbricato
in muratura, sulla cui originaria identità e conformazione
l’opera nuova non può certamente incidere.
Sulla base delle considerazioni sopra svolte deve, pertanto,
ritenersi che la struttura realizzata dalla ricorrente non
necessitasse del previo rilascio del permesso di costruire,
giacché la tenda retrattile che essa è unicamente destinata
a servire si risolve, in ultima analisi, in un mero elemento
di arredo dello spazio pertinenziale su cui insiste,
legittimamente occupato dalla ricorrente in virtù di
concessione di occupazione di suolo pubblico.
Tale interpretazione delle strutture in parola appare, in
verità, essere stata già condivisa dall’Amministrazione di
Roma Capitale nella circolare del 09.03.2012, nella quale,
alla lettera i) del punto 3.2 si specifica che, tra le
attività di edilizia libera (A.E.L.), sono ricomprese “tende
autoportanti, tende in aggetto, ombrelloni, pedane e
fioriere al servizio degli esercizi commerciali e di
ristorazione ubicate su suolo pubblico, ferma restando
l’acquisizione della specifica autorizzazione amministrativa
secondo quanto previsto dalle deliberazioni di Roma Capitale
in materia di occupazione suolo pubblico e naturalmente
esclusa la loro chiusura sui lati perimetrali”.
In conclusione, il ricorso deve essere, dunque, accolto, con
annullamento dell’atto impugnato ed assorbimento di ogni
altra doglianza (TAR
Lazio-Roma, Sez. II,
sentenza 22.05.2017 n. 6054 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Sulla
pergotenda.
La struttura costituita da due pali poggiati sul pavimento
di un terrazzo a livello e da quattro traverse con binario
di scorrimento a telo in pvc, ancorata al sovrastante
balcone e munita di copertura rigida a riparo del telo
retraibile (c.d. pergotenda) non configura né un aumento del
volume e della superficie coperta, né la creazione o la
modificazione di un organismo edilizio, né l'alterazione del
prospetto o della sagoma dell'edificio cui è connessa, in
ragione della sua inidoneità a modificare la destinazione
d'uso degli spazi interni interessati, della sua facile e
completa rimovibilità, dell'assenza di tamponature verticali
e della facile rimovibilità della copertura orizzontale: la
stessa va pertanto qualificata come arredo esterno, di
riparo e protezione, funzionale alla migliore fruizione
temporanea dello spazio esterno all'appartamento cui accede
ed è riconducibile agli interventi manutentivi liberi, ossia
non subordinati ad alcun titolo abilitativo ai sensi
dell'art. 6, comma 1, d.P.R. 06.06.2001 n. 380.
---------------
Il primo gruppo di censure è infondato.
È noto e condivisibile il consolidato orientamento della
giurisprudenza sulle cosiddette pergotende (cfr. ex multis
Consiglio di Stato, sez. VI, 11.04.2014, n. 1777).
Per la giurisprudenza richiamata, la struttura costituita da
due pali poggiati sul pavimento di un terrazzo a livello e
da quattro traverse con binario di scorrimento a telo in pvc,
ancorata al sovrastante balcone e munita di copertura rigida
a riparo del telo retraibile (c.d. pergotenda) non configura
né un aumento del volume e della superficie coperta, né la
creazione o la modificazione di un organismo edilizio, né
l'alterazione del prospetto o della sagoma dell'edificio cui
è connessa, in ragione della sua inidoneità a modificare la
destinazione d'uso degli spazi interni interessati, della
sua facile e completa rimovibilità, dell'assenza di
tamponature verticali e della facile rimovibilità della
copertura orizzontale: la stessa va pertanto qualificata
come arredo esterno, di riparo e protezione, funzionale alla
migliore fruizione temporanea dello spazio esterno
all'appartamento cui accede ed è riconducibile agli
interventi manutentivi liberi, ossia non subordinati ad
alcun titolo abilitativo ai sensi dell'art. 6, comma 1,
d.P.R. 06.06.2001 n. 380.
Diversamente, peraltro, deve essere valutato l’intervento
realizzato dalla ricorrente, essendo stato accertato che,
oltre alla pergotenda, identificabile nella struttura di
sostegno della copertura ritraibile e nella copertura
stessa, si è verificata la tamponatura dei tre lati
originariamente aperti con policarbonato trasparente, oltre
alla realizzazione di porte di accesso laterali.
Dall’esame complessivo dell’opera risulta insussistente il
presupposto ravvisato dalla giurisprudenza amministrativa,
oltre che dalla richiamata circolare di Roma Capitale, per
la qualificazione della stessa come edilizia libera, perché
le chiusure verticali e la presenza di porte di accesso,
seppure in materiale leggero e facilmente amovibile,
impediscono di considerare la stessa come un arredo esterno,
funzionale alla fruizione temporanea del terrazzo, essendo,
al contrario, riconoscibile una vera e propria opera di
ristrutturazione edilizia, in quanto rivolta a modificare
l’appartamento mediante la trasformazione del terrazzo in un
ambiente tendenzialmente chiuso.
Ne derivano l’infondatezza delle censure e, nei limiti del
dedotto, la legittimità dell’ordine di ripristino
(TAR Lazio-Roma, Sez. II-bis,
sentenza 11.04.2017 n. 4448 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Manufatti non precari idonei ad alterare lo stato dei luoghi.
In tema di diniego della domanda di autorizzazione edilizia e di ingiunzione
di demolizione di manufatti non precari, ma funzionali a soddisfare esigenze
permanenti, va osservato che essi devono essere considerati come idonei ad
alterare lo stato dei luoghi, con un sicuro incremento del carico
urbanistico, a nulla rilevando la precarietà strutturale del manufatto, la
rimovibilità della struttura e l’assenza di opere murarie, posto che il
manufatto non precario (es.: gazebo o chiosco) non è deputato ad un suo uso
per fini contingenti, ma è destinato ad un utilizzo destinato ad essere
reiterato nel tempo in quanto stagionale.
Infatti, la precarietà dell’opera, che esonera dall’obbligo del possesso del
permesso di costruire, postula un uso specifico e temporalmente limitato del
bene e non la sua stagionalità, la quale non esclude la destinazione del
manufatto al soddisfacimento di esigenze non eccezionali e contingenti, ma
permanenti nel tempo.
---------------
1. Con istanza del 05.05.2013 la signora An.Ma.Ma. ha chiesto al Sindaco di
Mangone di essere autorizzata all’installazione stagionale di un gazebo
rimovibile con telo plastificato.
Con nota del 12.06.2003 il Responsabile del Servizio presso l’Ufficio
Tecnico del Comune di Mangone ha comunicato alla ricorrente il “diniego
della domanda di autorizzazione edilizia”, ritenuta in contrasto con
l’art. 8, lett. d), del Piano di fabbricazione del Comune di Magone, in
quanto non rispettosa delle distanze dai confini e dalle strade.
Nonostante tale diniego, l’odierna ricorrente ha ugualmente effettuato il
montaggio del gazebo nella proprietà privata del suocero Cr.Ma..
2. In data 03.07.2003 è stata notificata al Cr. ordinanza di
ingiunzione-demolizione della tendostruttura, in quanto realizzata
abusivamente, in assenza della prescritta autorizzazione edilizia.
Con il ricorso in epigrafe i ricorrenti hanno l’annullamento del
provvedimenti, per i vizi di violazione di legge, con riferimento all’art.
8, lett. d), del Piano di fabbricazione del Comune di Mangone e all’art. 10
della L. 47/1985, nonché per eccesso di potere per presupposto erroneo,
travisamento del fatto e illogicità.
Il gazebo in questione non sarebbe una costruzione, trattandosi di struttura
precaria e facilmente smontabile. Non sarebbe stato, pertanto, necessario un
provvedimento autorizzativo, che, tuttavia, è stato negato.
...
7. Il ricorso principale è infondato e deve essere rigettato.
Riguardo ai caratteri del gazebo in questione, esteso circa 110 mq, il
Collegio ritiene di richiamare l’orientamento –da quale non si rinvengono
elementi per discostarsi– secondo cui i manufatti non precari, ma funzionali
a soddisfare esigenze permanenti, vanno considerati come idonei ad alterare
lo stato dei luoghi, con un sicuro incremento del carico urbanistico, a
nulla rilevando la precarietà strutturale del manufatto, la rimovibilità
della struttura e l’assenza di opere murarie, posto che il manufatto non
precario (es.: gazebo o chiosco) non è deputato ad un suo uso per fini
contingenti, ma è destinato ad un utilizzo destinato ad essere reiterato nel
tempo in quanto stagionale.
Si è condivisibilmente osservato al riguardo che la precarietà dell’opera,
che esonera dall’obbligo del possesso del permesso di costruire, postula un
uso specifico e temporalmente limitato del bene e non la sua stagionalità,
la quale non esclude la destinazione del manufatto al soddisfacimento di
esigenze non eccezionali e contingenti, ma permanenti nel tempo (in tal
senso: Cons. Stato, VI, 03.06.2014, n. 2842; Cons. Stato, IV, 22.12.2007, n.
6615).
Sotto tale aspetto, il Collegio ritiene che per le sue caratteristiche
tipologiche e funzionali, nonché in considerazione del regime temporale
della relativa utilizzazione il manufatto per cui è causa sia riconducibile
alle previsioni di cui alla lettera e.5) del comma 1 dell’articolo 3 d.P.R.
n. 380 del 2001, a tenore del quale sono comunque da considerarsi nuove
costruzioni le installazioni di manufatti leggeri, anche prefabbricati, e di
strutture di qualsiasi genere che siano usati come abitazioni, ambienti di
lavoro, oppure come depositi, magazzini e simili, “e che non siano
diretti a soddisfare esigenze meramente temporanee”.
Al riguardo, giova qui richiamare il condiviso orientamento secondo cui non
possono comunque essere considerati manufatti destinati a soddisfare
esigenze meramente temporanee quelli destinati a un’utilizzazione perdurante
nel tempo, di talché l’alterazione del territorio non può essere considerata
temporanea, precaria o irrilevante (Cons. Stato, VI, 03.06.2014, n. 2842; id,
VI, 12.02.2011, n. 986; id., V, 12.12.2009, n. 7789;. id., V, 24.02.2003, n.
986; id., V, 24.02.1996, n. 226).
Nemmeno si può ritenere che la sola stagionalità dell’installazione del
manufatto per cui è causa (destinato ad occupare circa 110 mq.) conferisca
al manufatto nel suo complesso il carattere di “temporaneità”, atteso
il carattere ontologicamente “non temporaneo” di una struttura
destinata all’esercizio di un’attività commerciale e di somministrazione (in
tal senso: Cons. Stato, VI, 03.06.2014, n. 2842; Cons. Stato, IV,
23.07.2009, n. 4673).
Tanto premesso, deve ritenersi legittimo l’operato dell’Amministrazione
intimata che ha correttamente configurato come costruzione il manufatto in
oggetto e ha, pertanto, negato il titolo abilitativo in quanto l’opera non
era conforme al Programma di fabbricazione del Comune per il mancato
rispetto delle distanze dei confini e delle strade.
Alla legittimità del diniego dell’autorizzazione consegue la legittimità
dell’ordinanza di demolizione impugnata in quanto l’opera è stata eseguita
in assenza della prescritta concessione edilizia (TAR
Calabria-Catanzaro, Sez. I,
sentenza 13.03.2017 n. 409 - massima
tratta da www.laleggepertutti.it - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Riguardo
ai caratteri del gazebo in questione, esteso circa 110 mq,
il Collegio ritiene di richiamare l’orientamento secondo cui
i manufatti non precari, ma funzionali a soddisfare esigenze
permanenti, vanno considerati come idonei ad alterare lo
stato dei luoghi, con un sicuro incremento del carico
urbanistico, a nulla rilevando la precarietà strutturale del
manufatto, la rimovibilità della struttura e l’assenza di
opere murarie, posto che il manufatto non precario (es.:
gazebo o chiosco) non è deputato ad un suo uso per fini
contingenti, ma è destinato ad un utilizzo destinato ad
essere reiterato nel tempo in quanto stagionale.
Infatti, la precarietà dell’opera, che esonera dall’obbligo
del possesso del permesso di costruire, postula un uso
specifico e temporalmente limitato del bene e non la sua
stagionalità, la quale non esclude la destinazione del
manufatto al soddisfacimento di esigenze non eccezionali e
contingenti, ma permanenti nel tempo.
Sotto tale aspetto, per le sue caratteristiche tipologiche e
funzionali, nonché in considerazione del regime temporale
della relativa utilizzazione il manufatto per cui è causa è
riconducibile alle previsioni di cui alla lettera e.5) del
comma 1 dell’articolo 3 d.P.R. n. 380 del 2001, a tenore del
quale sono comunque da considerarsi nuove costruzioni le
installazioni di manufatti leggeri, anche prefabbricati, e
di strutture di qualsiasi genere che siano usati come
abitazioni, ambienti di lavoro, oppure come depositi,
magazzini e simili, “e che non siano diretti a soddisfare
esigenze meramente temporanee”.
Al riguardo, non possono comunque essere considerati
manufatti destinati a soddisfare esigenze meramente
temporanee quelli destinati a un’utilizzazione perdurante
nel tempo, di talché l’alterazione del territorio non può
essere considerata temporanea, precaria o irrilevante.
Nemmeno si può ritenere che la sola stagionalità
dell’installazione del manufatto per cui è causa (destinato
ad occupare circa 110 mq.) conferisca al manufatto nel suo
complesso il carattere di “temporaneità”, atteso il
carattere ontologicamente “non temporaneo” di una struttura
destinata all’esercizio di un’attività commerciale e di
somministrazione.
---------------
1. Con istanza del 05.05.2013 la signora An.Ma.Ma. ha
chiesto al Sindaco di Mangone di essere autorizzata
all’installazione stagionale di un gazebo rimovibile con
telo plastificato.
Con nota del 12.06.2003 il Responsabile del Servizio presso
l’Ufficio Tecnico del Comune di Mangone ha comunicato alla
ricorrente il “diniego della domanda di autorizzazione
edilizia”, ritenuta in contrasto con l’art. 8, lett. d),
del Piano di fabbricazione del Comune di Magone, in quanto
non rispettosa delle distanze dai confini e dalle strade.
Nonostante tale diniego, l’odierna ricorrente ha ugualmente
effettuato il montaggio del gazebo nella proprietà privata
del suocero Cr.Ma..
2. In data 03.07.2003 è stata notificata al Cr. ordinanza di
ingiunzione-demolizione della tendostruttura, in quanto
realizzata abusivamente, in assenza della prescritta
autorizzazione edilizia.
Con il ricorso in epigrafe i ricorrenti hanno l’annullamento
del provvedimenti, per i vizi di violazione di legge, con
riferimento all’art. 8, lett. d), del Piano di fabbricazione
del Comune di Mangone e all’art. 10 della L. 47/1985, nonché
per eccesso di potere per presupposto erroneo, travisamento
del fatto e illogicità.
Il gazebo in questione non sarebbe una costruzione,
trattandosi di struttura precaria e facilmente smontabile.
Non sarebbe stato, pertanto, necessario un provvedimento
autorizzativo, che, tuttavia, è stato negato.
...
7. Il ricorso principale è infondato e deve essere
rigettato.
Riguardo ai caratteri del gazebo in questione, esteso circa
110 mq, il Collegio ritiene di richiamare l’orientamento –da
quale non si rinvengono elementi per discostarsi– secondo
cui i manufatti non precari, ma funzionali a soddisfare
esigenze permanenti, vanno considerati come idonei ad
alterare lo stato dei luoghi, con un sicuro incremento del
carico urbanistico, a nulla rilevando la precarietà
strutturale del manufatto, la rimovibilità della struttura e
l’assenza di opere murarie, posto che il manufatto non
precario (es.: gazebo o chiosco) non è deputato ad un suo
uso per fini contingenti, ma è destinato ad un utilizzo
destinato ad essere reiterato nel tempo in quanto
stagionale.
Si è condivisibilmente osservato al riguardo che la
precarietà dell’opera, che esonera dall’obbligo del possesso
del permesso di costruire, postula un uso specifico e
temporalmente limitato del bene e non la sua stagionalità,
la quale non esclude la destinazione del manufatto al
soddisfacimento di esigenze non eccezionali e contingenti,
ma permanenti nel tempo (in tal senso: Cons. Stato, VI,
03.06.2014, n. 2842; Cons. Stato, IV, 22.12.2007, n. 6615).
Sotto tale aspetto, il Collegio ritiene che per le sue
caratteristiche tipologiche e funzionali, nonché in
considerazione del regime temporale della relativa
utilizzazione il manufatto per cui è causa sia riconducibile
alle previsioni di cui alla lettera e.5) del comma 1
dell’articolo 3 d.P.R. n. 380 del 2001, a tenore del quale
sono comunque da considerarsi nuove costruzioni le
installazioni di manufatti leggeri, anche prefabbricati, e
di strutture di qualsiasi genere che siano usati come
abitazioni, ambienti di lavoro, oppure come depositi,
magazzini e simili, “e che non siano diretti a soddisfare
esigenze meramente temporanee”.
Al riguardo, giova qui richiamare il condiviso orientamento
secondo cui non possono comunque essere considerati
manufatti destinati a soddisfare esigenze meramente
temporanee quelli destinati a un’utilizzazione perdurante
nel tempo, di talché l’alterazione del territorio non può
essere considerata temporanea, precaria o irrilevante (Cons.
Stato, VI, 03.06.2014, n. 2842; id., VI, 12.02.2011, n. 986;
id., V, 12.12.2009, n. 7789; id., V, 24.02.2003, n. 986;
id., V, 24.02.1996, n. 226).
Nemmeno si può ritenere che la sola stagionalità
dell’installazione del manufatto per cui è causa (destinato
ad occupare circa 110 mq.) conferisca al manufatto nel suo
complesso il carattere di “temporaneità”, atteso il
carattere ontologicamente “non temporaneo” di una
struttura destinata all’esercizio di un’attività commerciale
e di somministrazione (in tal senso: Cons. Stato, VI,
03.06.2014, n. 2842; Cons. Stato, IV, 23.07.2009, n. 4673).
Tanto premesso, deve ritenersi legittimo l’operato
dell’Amministrazione intimata che ha correttamente
configurato come costruzione il manufatto in oggetto e ha,
pertanto, negato il titolo abilitativo in quanto l’opera non
era conforme al Programma di fabbricazione del Comune per il
mancato rispetto delle distanze dei confini e delle strade.
Alla legittimità del diniego dell’autorizzazione consegue la
legittimità dell’ordinanza di demolizione impugnata in
quanto l’opera è stata eseguita in assenza della prescritta
concessione edilizia
(TAR Calabria-Catanzaro, Sez. I,
sentenza 13.03.2017 n. 409 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Permesso a costruire per le
verande, libertà alle pergotende.
La realizzazione di una veranda su balconi,
terrazzi, attici o giardini richiede il
permesso di costruire in quanto, dal punto
di vista edilizio, determina un aumento
della volumetria dell'edificio, perché è
caratterizzata da ampie superfici vetrate,
che all'occorrenza si aprono tramite
finestre scorrevoli o a libro.
La pergotenda rappresenta, invece, un
elemento di migliore fruizione dello spazio
esterno, stabile e duraturo. Tenuto conto
della sua consistenza, delle caratteristiche
costruttive e della funzione, una pergotenda
non costituisce un'opera edilizia soggetta
al previo rilascio del titolo abilitativo e
rientra all'interno della categoria delle
attività di edilizia libera.
Il Consiglio di Stato, Sez. VI, con la
sentenza 25.01.2017 n. 306 si è espresso
riguardo alla definizione di pergolati,
verande, gazebo e pergotende. E in
particolare riprende per la prima volta la
definizione di veranda data dal regolamento
edilizio tipo, cioè «locale o spazio coperto
avente le caratteristiche di loggiato,
balcone, terrazza o portico, chiuso sui lati
da superfici vetrate o con elementi
trasparenti e impermeabili, parzialmente o
totalmente apribili».
Il fatto in sintesi. Tizia presentava
ricorso al Tar contro l'ordinanza di
demolizione di una copertura e chiusura
perimetrale di un pergolato con teli
plastificati, fissati alla struttura. Il
sistema utilizzato per fissare i teli è
quello degli occhielli e chiavetta, con un
riquadro di materiale plastico come finestra
nella parte centrale, perché copertura e
chiusura perimetrale sono state realizzate
in assenza di titolo abilitativo. Il Tar ha
respinto il ricorso, ma il Consiglio di
stato lo ha accolto, classificando il
manufatto come una pergotenda, non
assoggettata al rilascio di un titolo
edilizio.
Il Consiglio di stato ha cercato
di chiarire la materia con delle
definizioni, pur ammettendo che «in
relazione ad alcune opere di limitata
consistenza e di limitato impatto sul
territorio (come pergolati, gazebo, tettoie,
pensiline e pergotende) non è sempre agevole
individuare il limite entro il quale esse
possono farsi rientrare nel regime
dell'edilizia libera o per cui è richiesta
una comunicazione o permesso di costruire»
(articolo ItaliaOggi
del 28.04.2017). |
EDILIZIA PRIVATA: Su
pensiline, gazebo e pergolati la guida del Consiglio di
Stato. Permessi edilizi. Su terrazzi e balconi.
Pergolati, gazebo, tettoie,
pensiline e, più di recente, le pergotende, sono opere,
normalmente di limitata consistenza e/o di limitato impatto
sul territorio, di cui non è sempre agevole individuare il
limite entro il quale esse possono farsi rientrare nel
regime dell'edilizia libera o per i quali è richiesta una
comunicazione all'amministrazione preposta alla tutela del
territorio o addirittura necessitano del rilascio di un
permesso di costruire.
Spesso sono i regolamenti edilizi comunali che dettano le
regole, cui si aggiungono poi, per le aree sottoposte a
vincolo paesaggistico o ad altri vincoli, ulteriori
limitazioni.
A fare un po' di chiarezza sull'argomento ha recentemente
pensato il Consiglio di Stato, Sez. VI, con
la
sentenza
25.01.2017 n. 306.
Vediamo caso per caso le definizioni.
Il pergolato, per sua natura, è una struttura aperta su
almeno tre lati e nella parte superiore. Esso costituisce
una struttura realizzata al fine di adornare e ombreggiare
giardini o terrazze e consiste, quindi, in un'impalcatura,
generalmente di sostegno di piante rampicanti, costituita da
due (o più) file di montanti verticali riuniti superiormente
da elementi orizzontali posti ad una altezza tale da
consentire il passaggio delle persone.
Normalmente il
pergolato non necessita di titoli abilitativi edilizi.
Quando il pergolato viene coperto, nella parte superiore
(anche per una sola porzione) con una struttura non
facilmente amovibile (realizzata con qualsiasi materiale), è
assoggettata tuttavia alle regole dettate per la
realizzazione delle tettoie.
Il gazebo, invece, nella sua configurazione tipica, è una
struttura leggera, non aderente ad altro immobile, coperta
nella parte superiore e aperta ai lati, realizzata con una
struttura portante in ferro battuto, in alluminio o in legno
strutturale, talvolta chiuso ai lati da tende facilmente
rimuovibili. Spesso è utilizzato per l'allestimento di
eventi all'aperto, anche sul suolo pubblico, e in questi
casi è considerata una struttura temporanea. In caso
contrario, se infisso al suolo, dovrebbe essere richiesto
il permesso di costruire
La veranda è stata recentemente definita come un «locale o
spazio coperto avente le caratteristiche di loggiato,
balcone, terrazza o portico, chiuso sui lati da superfici
vetrate o con elementi trasparenti e impermeabili,
parzialmente o totalmente apribili» (si veda l’intesa
sottoscritta il 20.10.2016 tra Governo, Regioni e
Comuni sul regolamento edilizio-tipo). La veranda,
realizzabile su balconi, terrazzi, attici o giardini, è
caratterizzata quindi da ampie superfici vetrate che
all'occorrenza si aprono tramite finestre scorrevoli o a
libro. Per questo la veranda, dal punto di vista edilizio,
determina un aumento della volumetria dell'edificio e una
modifica della sua sagoma e necessita quindi del permesso di
costruire.
Infine, la pergotenda è qualificabile come mero arredo
esterno quando è di modeste dimensioni, non modifica la
destinazione d'uso degli spazi esterni ed è facilmente ed
immediatamente rimovibile, con la conseguenza che la sua
installazione si va ad inscrivere all'interno della
categoria delle attività di edilizia libera e non necessita
quindi di alcun permesso (Consiglio di Stato, sentenza
1777/2014) (articolo Il Sole 24 Ore del 14.02.2017 - tratto da www.centrostudicni.it). |
EDILIZIA PRIVATA: In relazione ad
alcune opere, normalmente di limitata consistenza e di
limitato impatto sul territorio, come pergolati, gazebo,
tettoie, pensiline e, più di recente, le
pergotende, non è
sempre agevole individuare il limite entro il quale esse
possono farsi rientrare nel regime dell’edilizia libera o
invece devono farsi rientrare nei casi di edilizia non
libera per i quali è richiesta una comunicazione
all’amministrazione preposta alla tutela del territorio o il
rilascio di un permesso di costruire.
Spesso sono i regolamenti edilizi comunali che dettano le
regole, anche sulle dimensioni, che possono avere tali opere
per poter essere realizzate liberamente o previa
comunicazione o richiesta di assenso edilizio.
Alle disposizioni comunali si aggiungono poi, per le aree
sottoposte a vincolo paesaggistico o ad altri vincoli, le
limitazioni imposte dai diversi strumenti di tutela.
---------------
Il pergolato costituisce una struttura
realizzata al fine di adornare e ombreggiare giardini o
terrazze e consiste, quindi, in un’impalcatura, generalmente
di sostegno di piante rampicanti, costituita da due (o più)
file di montanti verticali riuniti superiormente da elementi
orizzontali posti ad una altezza tale da consentire il
passaggio delle persone.
Il pergolato, per sua natura, è quindi una struttura aperta
su almeno tre lati e nella parte superiore e normalmente non
necessita di titoli abilitativi edilizi.
Quando il pergolato viene coperto, nella parte superiore
(anche per una sola porzione) con una struttura non
facilmente amovibile (realizzata con qualsiasi materiale), è
assoggettata tuttavia alle regole dettate per la
realizzazione delle tettoie.
Il Consiglio di Stato, al riguardo, ha già affermato
che il pergolato ha una funzione ornamentale, è realizzato
in una struttura leggera in legno o in altro materiale di
minimo peso, deve essere facilmente amovibile in quanto
privo di fondamenta, e funge da sostegno per piante
rampicanti, attraverso le quali realizzare riparo e
ombreggiatura di superfici di modeste dimensioni.
---------------
Il gazebo,
nella sua configurazione tipica, è una
struttura leggera, non aderente ad altro immobile, coperta
nella parte superiore ed aperta ai lati, realizzata con una
struttura portante in ferro battuto, in alluminio o in legno
strutturale, talvolta chiuso ai lati da tende facilmente
rimuovibili.
Spesso il gazebo è utilizzato per
l'allestimento di eventi all’aperto, anche sul suolo
pubblico, e in questi casi è considerata una struttura
temporanea. In altri casi il gazebo è realizzato in modo
permanente per la migliore fruibilità di spazi aperti come
giardini o ampi terrazzi.
Nella fattispecie l’opera realizzata dall’appellante
non può ritenersi assimilabile ad un gazebo per la sua
forma, che non è quella tipica di un gazebo, per i materiali
utilizzati, che non sono tutti leggeri, e perché la
struttura è stata realizzata in aderenza ad un preesistente
immobile in muratura.
---------------
Nell’Intesa sottoscritta
il 20.10.2016, ai sensi dell'articolo 8, comma 6,
della legge 05.06.2003, n. 131, tra il Governo, le
Regioni e i Comuni, concernente l'adozione del regolamento edilizio-tipo di cui all'articolo 4, comma 1-sexies del
decreto del Presidente della Repubblica 06.06.2001, n.
380, la veranda è stata definita (nell’Allegato A) «Locale o
spazio coperto avente le caratteristiche di loggiato,
balcone, terrazza o portico, chiuso sui lati da superfici
vetrate o con elementi trasparenti e impermeabili,
parzialmente o totalmente apribili».
La veranda, realizzabile su
balconi, terrazzi, attici o giardini, è
caratterizzata quindi da ampie superfici vetrate che
all’occorrenza si aprono tramite finestre scorrevoli
o a libro. Per questo la veranda, dal punto di vista
edilizio, determina un aumento della volumetria
dell’edificio e una modifica della sua sagoma e
necessita quindi del permesso di costruire.
---------------
La ricorrente insiste nel
sostenere che le opere sanzionate dal Comune altro non sono che una “pergotenda”, realizzata
con teli amovibili (appoggiati sul preesistente pergolato),
che non ha determinato alcun aumento di volumetria e di
superficie coperta.
In proposito questa Sezione ha, di recente, affermato che
tali strutture, la cui agevole realizzazione è oggi
possibile grazie a nuove tecniche e nuovi materiali, sono
destinate a rendere meglio vivibili gli spazi esterni delle
unità abitative (terrazzi o giardini) e sono installate per
soddisfare quindi esigenze non precarie.
Le “pergotende” non si connotano, pertanto, per la
temporaneità della loro utilizzazione, ma costituiscono un
elemento di migliore fruizione dello spazio esterno, stabile
e duraturo.
Ciò premesso, la Sezione, nella stessa citata
decisione, ha ritenuto che le pergotende, tenuto conto della
loro consistenza, delle caratteristiche costruttive e della
loro funzione, non costituiscano un’opera edilizia soggetta
al previo rilascio del titolo abilitativo.
Infatti, ai sensi del combinato disposto degli articoli 3 e
10 del DPR n. 380 del 2001, sono soggetti al rilascio del
permesso di costruire gli “interventi di nuova costruzione”,
che determinano una “trasformazione edilizia e urbanistica
del territorio”, mentre una struttura leggera (nella
fattispecie esaminata in alluminio anodizzato)
destinata ad
ospitare tende retrattili in materiale plastico non integra
tali caratteristiche.
L’opera principale non è, infatti, la struttura in sé, ma la
tenda, quale elemento di protezione dal sole e dagli agenti
atmosferici, finalizzata ad una migliore fruizione dello
spazio esterno dell’unità abitativa, con la conseguenza che
la struttura (in alluminio anodizzato) si qualifica in
termini di mero elemento accessorio, necessario al sostegno
e all’estensione della tenda.
Quest’ultima, poi, integrata alla struttura portante, non
può considerarsi una “nuova costruzione”, posto che essa è
in materiale plastico e retrattile, onde non presenta
caratteristiche tali da costituire un organismo edilizio
rilevante, comportante trasformazione del territorio.
Infatti la copertura e la chiusura perimetrale che essa
realizza non presentano elementi di fissità, stabilità e
permanenza, per il carattere retrattile della tenda, «onde,
in ragione della inesistenza di uno spazio chiuso
stabilmente configurato, non può parlarsi di organismo
edilizio connotantesi per la creazione di nuovo volume o
superficie».
Inoltre l’elemento di copertura e di chiusura è costituito
da una tenda in materiale plastico, privo di quelle
caratteristiche di consistenza e di rilevanza che possano
connotarlo in termini di componenti edilizie di copertura o
di tamponatura di una costruzione.
Anche in una precedente decisione la Sezione aveva
affermato che la pergotenda è qualificabile come mero arredo
esterno quando è di modeste dimensioni, non modifica la
destinazione d’uso degli spazi esterni ed è facilmente ed
immediatamente rimovibile, con la conseguenza che la sua
installazione si va ad inscrivere all’interno della
categoria delle attività di edilizia libera e non necessita
quindi di alcun permesso.
---------------
... per la riforma della sentenza del TAR per la Campania,
Sezione Staccata di Salerno, Sezione I, n. 2543 del
04.12.2015, resa tra le parti, concernente la demolizione di
opere edilizie abusive e il ripristino dello stato dei
luoghi.
...
1.- La signora An.Pa. ha impugnato davanti al TAR
per la Campania, Sezione Staccata di Salerno, l’ordinanza,
n. 23 del 16.06.2015, con la quale il Responsabile del
Settore Ufficio Tecnico del Comune di Altavilla Silentina,
le ha ingiunto di provvedere, a sua cura e spese, alla
demolizione di una copertura e chiusura perimetrale di un
pergolato con teli plastificati, fissati alla struttura con
il sistema degli occhielli e chiavetta, con un riquadro di
materiale plastico come finestra nella parte centrale, in
quanto realizzate in assenza di titolo abilitativo.
1.1- Il TAR per la Campania, Sezione Staccata di Salerno,
Sezione I, con sentenza n. 2543 del 04.12.2015, resa in
forma semplificata nella camera di consiglio fissata per
l’esame della domanda cautelare, ha respinto il ricorso.
Il TAR ha, infatti, ritenuto che «il materiale
utilizzato, pur agevolmente amovibile siccome consistente in
materiale plastico, non rende l’intervento ex se non
sanzionabile con l’impugnato ordine demolitorio, in quanto,
per come realizzato, riflette esigenze non di carattere
meramente temporaneo», con la conseguenza che le opere
realizzate hanno determinato una trasformazione urbanistico-edilizia del territorio, con la perdurante modifica dello
stato dei luoghi.
2- La signora Pa. ha appellato l’indicata sentenza
ritenendola erronea.
In particolare, dopo aver ricordato di aver realizzato la
struttura del pergolato nel 2011 con una scia, la signora
Pa. ha insistito nel sostenere l’amovibilità della tenda
plastificata e quindi l’illegittimità dell’ordinanza demolitoria. La signora Pa. ha anche depositato un
perizia tecnica di parte redatta in relazione alle opere
oggetto dell’ordinanza di demolizione impugnata.
3- Per valutare la legittimità del provvedimento con il
quale il Comune di Altavilla Silentina (che non ha ritenuto
di doversi costituire in giudizio) ha ordinato la
demolizione delle opere realizzate dall’appellante in
assenza di alcun titolo abilitativo occorre qualificare la
natura delle opere realizzate.
Come si evince dal provvedimento impugnato, dalla
documentazione depositata in giudizio e dalla perizia
tecnica di parte, completa di numerose fotografie, la
signora Pa. ha realizzato, in aderenza ad un preesistente
immobile, una struttura con 3 pilastri verticali in
muratura, travi portanti della copertura in legno, copertura
in materiale plastico, fissata con chiodi alle travi di
legno, e pareti esterne in materiale plastico amovibile, con
una porta di accesso.
3.1- Per realizzare tale struttura l’interessata non ha
presentato una dichiarazione o richiesta di assenso al
Comune. Risulta peraltro dagli atti che la signora Pa.,
con SCIA del 15.03.2011, aveva realizzato alcuni lavori
nell’immobile oggetto dei lavori contestati con l’ordinanza
impugnata.
L’appellante sostiene di aver provveduto a seguito della
SCIA, fra l’altro, alla pavimentazione dell’area esterna
dove sono state realizzate le opere di cui ora si discute e
di aver anche realizzato un ampio pergolato esterno su parte
del quale è stata realizzata la contestata struttura.
4.- Ciò premesso, si deve osservare che, in relazione ad
alcune opere, normalmente di limitata consistenza e di
limitato impatto sul territorio, come pergolati, gazebo,
tettoie, pensiline e, più di recente, le
pergotende, non è
sempre agevole individuare il limite entro il quale esse
possono farsi rientrare nel regime dell’edilizia libera o
invece devono farsi rientrare nei casi di edilizia non
libera per i quali è richiesta una comunicazione
all’amministrazione preposta alla tutela del territorio o il
rilascio di un permesso di costruire.
Spesso sono i regolamenti edilizi comunali che dettano le
regole, anche sulle dimensioni, che possono avere tali opere
per poter essere realizzate liberamente o previa
comunicazione o richiesta di assenso edilizio.
Alle disposizioni comunali si aggiungono poi, per le aree
sottoposte a vincolo paesaggistico o ad altri vincoli, le
limitazioni imposte dai diversi strumenti di tutela.
5- Nella fattispecie, vista la documentazione in atti, si
può preliminarmente escludere che le opere realizzate e
ritenute abusive dal Comune possano farsi rientrare tutte
nella nozione di pergolato.
5.1- Il pergolato costituisce infatti, una struttura
realizzata al fine di adornare e ombreggiare giardini o
terrazze e consiste, quindi, in un’impalcatura, generalmente
di sostegno di piante rampicanti, costituita da due (o più)
file di montanti verticali riuniti superiormente da elementi
orizzontali posti ad una altezza tale da consentire il
passaggio delle persone.
Il pergolato, per sua natura, è quindi una struttura aperta
su almeno tre lati e nella parte superiore e normalmente non
necessita di titoli abilitativi edilizi.
Quando il pergolato viene coperto, nella parte superiore
(anche per una sola porzione) con una struttura non
facilmente amovibile (realizzata con qualsiasi materiale), è
assoggettata tuttavia alle regole dettate per la
realizzazione delle tettoie.
5.2- Il Consiglio di Stato, al riguardo, ha già affermato
che il pergolato ha una funzione ornamentale, è realizzato
in una struttura leggera in legno o in altro materiale di
minimo peso, deve essere facilmente amovibile in quanto
privo di fondamenta, e funge da sostegno per piante
rampicanti, attraverso le quali realizzare riparo e
ombreggiatura di superfici di modeste dimensioni (Consiglio
di Stato, Sezione IV, n. 5409 del 29.09.2011).
5.3- In conseguenza le opere oggetto del contestato ordine
di demolizione non possono farsi rientrare fra quelli
oggetto della suindicata SCIA del 15.03.2011 che
includevano la sola realizzazione di un pergolato.
6- La struttura realizzata dall’appellante non può farsi
rientrare nemmeno nella nozione di gazebo, pur avendone
alcune caratteristiche.
Il gazebo, infatti,
nella sua configurazione tipica, è una
struttura leggera, non aderente ad altro immobile, coperta
nella parte superiore ed aperta ai lati, realizzata con una
struttura portante in ferro battuto, in alluminio o in legno
strutturale, talvolta chiuso ai lati da tende facilmente
rimuovibili. Spesso il gazebo è utilizzato per
l'allestimento di eventi all’aperto, anche sul suolo
pubblico, e in questi casi è considerata una struttura
temporanea. In altri casi il gazebo è realizzato in modo
permanente per la migliore fruibilità di spazi aperti come
giardini o ampi terrazzi.
6.1- Nella fattispecie l’opera realizzata dall’appellante
non può ritenersi assimilabile ad un gazebo per la sua
forma, che non è quella tipica di un gazebo, per i materiali
utilizzati, che non sono tutti leggeri, e perché la
struttura è stata realizzata in aderenza ad un preesistente
immobile in muratura.
7- La struttura contestata dal Comune intimato non può poi
nemmeno considerarsi una veranda.
In proposito si deve ricordare che nell’Intesa sottoscritta
il 20.10.2016 , ai sensi dell'articolo 8, comma 6,
della legge 05.06.2003, n. 131, tra il Governo, le
Regioni e i Comuni, concernente l'adozione del regolamento edilizio-tipo di cui all'articolo 4, comma 1-sexies del
decreto del Presidente della Repubblica 06.06.2001, n.
380, la veranda è stata definita (nell’Allegato A) «Locale o
spazio coperto avente le caratteristiche di loggiato,
balcone, terrazza o portico, chiuso sui lati da superfici
vetrate o con elementi trasparenti e impermeabili,
parzialmente o totalmente apribili».
7.1- La veranda, realizzabile su
balconi, terrazzi, attici o giardini, è
caratterizzata quindi da ampie superfici vetrate che
all’occorrenza si aprono tramite finestre scorrevoli
o a libro. Per questo la veranda, dal punto di vista
edilizio, determina un aumento della volumetria
dell’edificio e una modifica della sua sagoma e
necessita quindi del permesso di costruire.
8- La signora An.Pa. nel suo appello ha insistito nel
sostenere che le opere sanzionate dal Comune di Altavilla
Silentina altro non sono che una “pergotenda”, realizzata
con teli amovibili (appoggiati sul preesistente pergolato),
che non ha determinato alcun aumento di volumetria e di
superficie coperta.
9- In proposito questa Sezione ha, di recente, affermato che
tali strutture, la cui agevole realizzazione è oggi
possibile grazie a nuove tecniche e nuovi materiali, sono
destinate a rendere meglio vivibili gli spazi esterni delle
unità abitative (terrazzi o giardini) e sono installate per
soddisfare quindi esigenze non precarie (Consiglio di Stato,
Sezione VI, n. 1619 del 27.04.2016).
Le “pergotende” non si connotano, pertanto, per la
temporaneità della loro utilizzazione, ma costituiscono un
elemento di migliore fruizione dello spazio esterno, stabile
e duraturo.
9.1- Ciò premesso, la Sezione, nella stessa citata
decisione, ha ritenuto che le pergotende, tenuto conto della
loro consistenza, delle caratteristiche costruttive e della
loro funzione, non costituiscano un’opera edilizia soggetta
al previo rilascio del titolo abilitativo.
Infatti, ai sensi del combinato disposto degli articoli 3 e
10 del DPR n. 380 del 2001, sono soggetti al rilascio del
permesso di costruire gli “interventi di nuova costruzione”,
che determinano una “trasformazione edilizia e urbanistica
del territorio”, mentre una struttura leggera (nella
fattispecie esaminata in alluminio anodizzato)
destinata ad
ospitare tende retrattili in materiale plastico non integra
tali caratteristiche.
L’opera principale non è, infatti, la struttura in sé, ma la
tenda, quale elemento di protezione dal sole e dagli agenti
atmosferici, finalizzata ad una migliore fruizione dello
spazio esterno dell’unità abitativa, con la conseguenza che
la struttura (in alluminio anodizzato) si qualifica in
termini di mero elemento accessorio, necessario al sostegno
e all’estensione della tenda.
Quest’ultima, poi, integrata alla struttura portante, non
può considerarsi una “nuova costruzione”, posto che essa è
in materiale plastico e retrattile, onde non presenta
caratteristiche tali da costituire un organismo edilizio
rilevante, comportante trasformazione del territorio.
Infatti la copertura e la chiusura perimetrale che essa
realizza non presentano elementi di fissità, stabilità e
permanenza, per il carattere retrattile della tenda, «onde,
in ragione della inesistenza di uno spazio chiuso
stabilmente configurato, non può parlarsi di organismo
edilizio connotantesi per la creazione di nuovo volume o
superficie».
Inoltre l’elemento di copertura e di chiusura è costituito
da una tenda in materiale plastico, privo di quelle
caratteristiche di consistenza e di rilevanza che possano
connotarlo in termini di componenti edilizie di copertura o
di tamponatura di una costruzione.
9.2- Sulla base di tali considerazioni la Sezione ha quindi
ritenuto che una delle due strutture nella fattispecie
realizzate, destinata unicamente al sostegno (in alluminio)
di un elemento di arredo temporaneo consistente in una tenda
retrattile, non abbisognava del previo rilascio di un
permesso di costruire, risolvendosi «in un mero elemento di
arredo del terrazzo su cui insiste».
Infatti la struttura di alluminio anodizzato (nella
fattispecie esaminata) è stata ritenuta un mero elemento di
sostegno della tenda e quindi non poteva considerarsi un
nuovo organismo edilizio determinante una trasformazione
urbanistica ed edilizia del territorio.
9.3- Mentre nell’altra struttura contestualmente esaminata,
la natura e la consistenza del materiale utilizzato (il
vetro) faceva sì che la struttura di alluminio anodizzato si
configurava non più come mero elemento di supporto di una
tenda, ma piuttosto costituiva la componente portante di un
vero e proprio manufatto, che assumeva la consistenza di una
vera e propria opera edilizia, connotandosi per la presenza
di elementi di chiusura che, realizzati in vetro,
costituivano vere e proprie tamponature laterali con un
carattere di stabilità tale da non poter essere realizzate
in assenza del titolo abilitativo necessario per le nuove
costruzioni.
9.4- Anche in una precedente decisione la Sezione aveva
affermato che la pergotenda è qualificabile come mero arredo
esterno quando è di modeste dimensioni, non modifica la
destinazione d’uso degli spazi esterni ed è facilmente ed
immediatamente rimovibile, con la conseguenza che la sua
installazione si va ad inscrivere all’interno della
categoria delle attività di edilizia libera e non necessita
quindi di alcun permesso (Consiglio di Stato, Sezione VI, n.
1777 dell’11.04.2014).
10- Tutto ciò premesso, la Sezione ritiene che l’ordinanza
di demolizione impugnata non possa ritenersi legittima
perché le opere realizzate dall’appellante, peraltro in
un’area che non è sottoposta a vincolo paesaggistico, sono
prive, in gran parte, di quelle caratteristiche di
consistenza e di rilevanza che possano farle connotare come
componenti edilizie di copertura o di tamponatura di una
costruzione.
10.1- Le opere oggetto dell’ordinanza impugnata, che si sono
già prima sommariamente descritte, si connotano, infatti,
per la presenza di teli e tende in materiale plastico
facilmente amovibili, che aderiscono ad una struttura di
sostegno che è costituita da tre pilastrini verticali in
muratura e da alcune travi di legno collocati sia in
verticale che nella parte superiore.
La struttura portante, sebbene non tutta con materiali
leggeri, può anche farsi rientrare nella categoria dei
pergolati (come sostiene l’appellante). Una delle tende
laterali può essere poi considerata una vera e propria
pergotenda, che può essere aperta o chiusa mediante un
sistema di scorrimento veloce. Sostanzialmente hanno la
stessa caratteristica anche le tende collocate sugli altri
lati che possono essere movimentate manualmente su apposite
guide scorrevoli e possono essere chiuse o aperte mediante
appositi occhielli.
10.2- Restano evidentemente di meno facile amovibilità la
copertura della struttura, che è stata realizzata con teli
di plastica che sono stati fissati alla travi di legno
superiore con chiodi e rondelle, e la piccola porta posta
sul lato A della struttura.
Ma la presenza di tali opere che sono meno facilmente
amovibili e che possono avere una certa rilevanza edilizia,
anche in base alla disciplina eventualmente dettata dal
regolamento edilizio comunale, non giustifica comunque
l’emanazione di una ordinanza di demolizione che ha
riguardato l’intera struttura, con la conseguente possibile
acquisizione, nel caso di mancata ottemperanza, dell’area
interessata.
11- Per gli esposti motivi, l’appello deve essere accolto e,
in riforma della appellata sentenza del TAR per la
Campania, Sezione Staccata di Salerno, Sezione I, n. 2543
del 04.12.2015, deve essere disposto l’annullamento
dell’ordinanza di demolizione del Comune di Altavilla
Silentina, n. 23 del 16.06.2015, impugnata in primo
grado.
Sono fatti salvi gli eventuali ulteriori provvedimenti
dell’Amministrazione per quella parte delle opere realizzate
che, anche sulla base della regolamentazione comunale,
possono ritenersi di edilizia non libera (Consiglio di
Stato, Sez. VI,
sentenza 25.01.2017 n. 306 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
anno 2016 |
|
EDILIZIA PRIVATA: Gazebo permanenti: è necessario il permesso di costruire?
I gazebo non precari, ma funzionali a soddisfare esigenze permanenti, vanno
considerati manufatti alteranti lo stato dei luoghi, con sicuro incremento
del carico urbanistico, a nulla rilevando la precarietà strutturale del
manufatto, la rimovibilità della struttura e l’assenza di opere murarie,
posto che il gazebo non precario non è deputato ad un uso per fini
contingenti, ma è destinato ad un utilizzo per soddisfare esigenze durature
nel tempo e rafforzate dal carattere permanente e non stagionale
dell’attività svolta.
In effetti la «precarietà» dell’opera, che esonera
dall’obbligo del possesso del permesso di costruire, postula un uso
specifico e temporalmente limitato del bene, e non la sua stagionalità, la
quale non esclude la destinazione del manufatto al soddisfacimento di
esigenze non eccezionali e contingenti, ma permanenti nel tempo, tali per
cui lo stesso è riconducibile nell’ipotesi prevista alla lett. e.5) del
comma 1 dell’art. 3 d.P.R. 06.06.2001, n. 380, che include tra le nuove
costruzioni le installazioni di manufatti leggeri, anche prefabbricati, e di
strutture di qualsiasi genere che siano usati come abitazioni, ambienti di
lavoro, oppure come depositi, magazzini e simili, e che non siano diretti a
soddisfare esigenze meramente temporanee.
---------------
Non implica precarietà dell'opera, ai fini autorizzativi e dell'esenzione
dal permesso di costruire, il carattere stagionale di essa, quando la stessa
è destinata a soddisfare bisogni non provvisori attraverso la permanenza nel
tempo della sua funzione (non sono infatti manufatti destinati a soddisfare
esigenze meramente temporanee quelli destinati ad un'utilizzazione
perdurante nel tempo, sicché l'alterazione non può essere considerata
temporanea, precaria o irrilevante), anche se con la reiterazione della
presenza del manufatto di anno in anno nella sola buona stagione.
---------------
Il ricorso è infondato.
Si verte al cospetto di un gazebo che richiedeva il permesso di costruire
avendo dimensioni significative di ml. 5,00 x 3,00, per un totale di 15 mq.,
con altezza di ml. 2,50 circa, e posto sul confine di proprietà, a distanza
non regolamentare e come tale idoneo a ridurre la visuale e la luminosità
delle abitazioni limitrofe con affaccio sulla corte dove è stato posto, come
peraltro contestato da proprietario confinante che ha segnalato l’abuso
edilizio.
Diversamente da quanto allegato dalla ricorrente, è stata realizzata una
vera e propria casetta chiusa, sui diversi lati, con pannelli di legno (o
comunque in profili di PLET-plastica riciclata eterogenea) pieni nella parte
inferiore e grigliati in quella superiore e munita di telo di copertura,
come tale idonea a creare un volume edilizio di indubbio impatto anche per
le caratteristiche della corte edilizia dove è stato collocato, secondo
quanto chiaramente evincibile dalla documentazione fotografica allegata al
verbale del Comando della Polizia Municipale del 04.03.2009 in atti.
Si tratta, in particolare, di un manufatto leggero per il quale è richiesto
il permesso di costruire, di cui all’art. 10 del DPR n. 380/2001, in forza
del disposto di cui all’art. 3, comma 1, lettera e.5) -secondo quanto
espressamente contestato con il verbale della polizia municipale del
04.03.2009 richiamato nella ordinanza impugnata- essendo privo del carattere
della temporaneità in quanto stabilmente destinato ad attività al servizio
della abitazione principale (quale locale di servizio, deposito, adibito
allo svago o di vero e proprio “salotto all’aperto”, secondo quanto
riferito dalla stessa ricorrente con la relazione tecnica di parte in atti).
L’assenza del requisito della temporaneità si desume, in particolare, dalla
sua non facile amovibilità di cui la solida struttura in legno ne è indice
certamente grave e preciso, tant’è che la stessa relazione tecnica di parte,
nel descrivere le caratteristiche costruttive del manufatto, parla di
elementi autoportanti bullonati tra loro costituiti da pannelli verticali e
da “travi perimetrali, orizzontali e centrali di copertura”.
In presenza di simili caratteristiche costruttive, oggettivamente
incompatibili con il parametro legale della temporaneità, a nulla vale
opporre che la struttura non sarebbe ancorata ma solo poggiata a terra.
La giurisprudenza prevalente ritiene che i gazebo non precari, ma funzionali
a soddisfare esigenze permanenti, vanno considerati manufatti alteranti lo
stato dei luoghi, con sicuro incremento del carico urbanistico, a nulla
rilevando la precarietà strutturale del manufatto, la rimovibilità della
struttura e l'assenza di opere murarie, posto che il gazebo non precario non
è deputato ad un suo uso per fini contingenti, ma è destinato ad un utilizzo
per soddisfare esigenze durature nel tempo e rafforzate dal carattere
permanente e non stagionale dell'attività svolta (in termini Cons. Stato,
Sez. IV, 04.04.2013, n. 4438; Sez. VI, 03.06.2014, n. 2842; TAR Perugia,
16.02.2015, n. 81).
In tal senso, la “precarietà” dell'opera, che esonera dall'obbligo
del possesso del permesso di costruire, postula un uso specifico e
temporalmente limitato del bene e non la sua stagionalità, la quale non
esclude la destinazione del manufatto al soddisfacimento di esigenze non
eccezionali e contingenti, ma permanenti nel tempo, tali per cui lo stesso è
riconducibile nell'ipotesi prevista alla lett. e.5) del comma 1 dell'art. 3
d.P.R. n. 380 del 2001, che include tra le nuove costruzioni le
installazioni di manufatti leggeri, anche prefabbricati, e di strutture di
qualsiasi genere che siano usati come abitazioni, ambienti di lavoro, oppure
come depositi, magazzini e simili, “e che non siano diretti a soddisfare
esigenze meramente temporanee” (Cons. Stato, Sez. VI, 03.06.2014, n.
2842).
E’ stato ancora precisato che “Non implica precarietà dell'opera, ai fini
autorizzativi e dell'esenzione dal permesso di costruire, il carattere
stagionale di essa, quando la stessa è destinata a soddisfare bisogni non
provvisori attraverso la permanenza nel tempo della sua funzione (non sono
infatti manufatti destinati a soddisfare esigenze meramente temporanee
quelli destinati ad un'utilizzazione perdurante nel tempo, sicché
l'alterazione non può essere considerata temporanea, precaria o
irrilevante), anche se con la reiterazione della presenza del manufatto di
anno in anno nella sola buona stagione” (Cfr. Cons. Stato, VI,
01.12.2014, n. 5934).
Nel caso di specie il requisito della temporaneità manca sia dal punto di
vista strutturale, stante la non facile amovibilità del manufatto, sia da
quello funzionale stante la sua idoneità ad assolvere in modo duraturo nel
tempo una molteplicità di funzioni a servizio dell’abitazione principale.
Alla luce delle motivazioni che precedono il ricorso deve pertanto essere
respinto, non potendo giovare alla ricorrente neppure il richiamo alla
sentenza di questo TAR n. 66/2014 con la quale la necessità del preventivo
rilascio del permesso di costruire è stata esclusa in presenza di una
struttura in legno “aperta sui lati”, per di più “rientrante nella
previsione del progetto di cui alla concessione edilizia n. 278/1983” e
quindi munita di titolo edilizio autorizzatorio (TAR
Molise,
sentenza 21.09.2016 n. 353 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Niente permesso per le tende «a casetta».
Consiglio di Stato. L’utilizzo è temporaneo e la struttura
in alluminio è un accessorio.
Più elasticità
per le strutture che non generano veri e propri volumi,
comprese le tende rigide “a casetta”: lo sottolinea il
Consiglio di Stato nella
sentenza 27.04.2016 n. 1619,
che riguarda il Comune di Roma.
Il principio generale (articolo 3, comma 1, lettera e.5, del
Dpr 380/2001, Testo unico edilizia) è che le opere precarie
non hanno necessità di alcun titolo e ad esse sono
assimilati gli interventi di arredo (articolo 6, lettera e,
del Dpr).
Per qualificare un’opera come precaria non basta
verificare le caratteristiche dei materiali (spessore,
resistenza) né le modalità di collegamento al suolo (perni,
viti e bulloni, sistemi di ancoraggio). Occorre invece far
riferimento alle esigenze (di natura stabile o temporanea)
che l’opera sia diretta a soddisfare; in altri termini,
occorre tener presente il carattere dell’utilizzo
dell’opera, nel senso che se esso non è continuativo si può
dedurre una precarietà e quindi la collocabilità senza
titolo abilitativo.
Il caso esaminato riguardava due strutture di alluminio
anodizzato atte a ospitare una tenda retrattile in materiale
plastico comandata elettricamente, su un terrazzo; era
quindi dubbia la temporaneità della loro utilizzazione,
mentre non era in discussione la circostanza che la
struttura garantisse una migliore fruizione dello spazio.
Su questi presupposti, il Consiglio ha precisato che la
struttura non realizzava una «trasformazione edilizia e
urbanistica del territorio» che rendesse necessario, per il Dpr, uno specifico provvedimento. Infatti, l’opera
principale non è la struttura in sé, di plastica o metallo,
con parti mobili o fisse, bensì la tenda, quale elemento di
protezione da sole e agenti atmosferici, finalizzata ad una
migliore fruizione dell’esterno dell’unità abitativa. In un
contesto già edificato, quindi, la struttura in alluminio
anodizzato è un mero elemento accessorio, necessario al
sostegno ed all’estensione della tenda.
I giudici hanno anche escluso che si fosse in presenza di
una ristrutturazione edilizia, che (articolo 3, lettera d,
del Dpr), richiede «interventi rivolti a trasformare gli
organismi edilizi mediante un insieme sistematico di opere»,
che «comprendono il ripristino o la sostituzione di alcuni
elementi costitutivi dell’edificio, l’eliminazione, la
modifica e l’inserimento di nuovi elementi e impianti».
Per
aversi ristrutturazione, sarebbe stato necessario che le
opere avessero consistenza e rilevanza edilizia, fossero
cioè tali da poter «trasformare l’organismo edilizio»,
condividendo pertanto natura e consistenza degli elementi
costitutivi di esso.
In sintesi, non occorre il previo rilascio del permesso di
costruire nel caso di una tenda retrattile, perché questa si
risolve in un mero elemento di arredo del terrazzo su cui
insiste. Solo nel caso in cui la struttura sia tamponata sui
due lati liberi da lastre di vetro mobili “a pacchetto”,
munite di supporti che manualmente scorrano in appositi
binari, con un vetro fisso superiore (timpano), il tutto
inserito nelle strutture di alluminio anodizzato, si
configurerebbe un vero nuovo volume (articolo Il Sole 24 Ore del
04.05.2016). |
EDILIZIA PRIVATA:
Sulla natura e
consistenza delle realizzate n. 2 “pergotende”.
La struttura in alluminio anodizzato destinata ad ospitare
tende retrattili in materiale plastico non integra le
caratteristiche di “trasformazione edilizia e urbanistica
del territorio” (artt. 3 e 10 d.P.R. n. 380/2001). Va,
invero, considerato che l’opera principale non è la
struttura in sé, ma la tenda, quale elemento di protezione
dal sole e dagli agenti atmosferici, finalizzata ad una
migliore fruizione dello spazio esterno dell’unità
abitativa.
Considerata in tale contesto, la struttura in alluminio
anodizzato si qualifica in termini di mero elemento
accessorio, necessario al sostegno e all’estensione della
tenda. Quest’ultima, poi, integrata alla struttura portante,
non vale a configurare una “nuova costruzione”, atteso che
essa è in materiale plastico e retrattile, onde non presenta
caratteristiche tali da costituire un organismo edilizio
rilevante, comportante trasformazione del territorio.
Tanto è escluso in primo luogo dalla circostanza che la
copertura e la chiusura perimetrale che essa realizza non
presentano elementi di fissità, stabilità e permanenza, in
ragione del carattere retrattile della tenda; onde, in
ragione della inesistenza di uno spazio chiuso stabilmente
configurato, non può parlarsi di organismo edilizio
connotantesi per la creazione di nuovo volume o superficie.
Ciò resta escluso, inoltre, in considerazione della
tipologia dell’elemento di copertura e di chiusura, il quale
è una tenda in materiale plastico, privo pertanto di quelle
caratteristiche di consistenza e di rilevanza che possano
connotarlo in termini di componenti edilizie di copertura o
di tamponatura di una costruzione.
Allo stesso modo, deve ritenersi che non sia integrata la
fattispecie della ristrutturazione edilizia. Invero, ai
sensi dell’articolo 3, lettera d), del dpr n. 380/2001, tale
tipologia di intervento edilizio richiede che trattasi di
“interventi rivolti a trasformare gli organismi edilizi
mediante un insieme sistematico di opere”, i quali
“comprendono il ripristino o la sostituzione di alcuni
elementi costitutivi dell’edificio, l’eliminazione, la
modifica e l’inserimento di nuovi elementi e impianti”: la
disposizione, così come declinata dal legislatore, richiede
che le opere realizzate abbiano consistenza e rilevanza
edilizia, siano cioè tali da poter “trasformare l’organismo
edilizio”, condividendo pertanto natura e consistenza degli
elementi costitutivi di esso
(massima tratta da https://renatodisa.com).
--------------
Con unico ed articolato motivo il signor Ag. lamenta:
Violazione dell’articolo 6, comma 1, del DPR n. 380/2001;
violazione della circolare n. 19137 del 09.03.2012; errata
applicazione dell’articolo 16 della legge regionale Lazio n.
15/2008; eccesso di potere per travisamento dei fatti,
erroneità dei presupposti, illogicità manifesta e carenza di
istruttoria.
L’appellante deduce in primo luogo l’erroneità della
sentenza impugnata per non avere esattamente compreso e
valutato la fattispecie concreta della installazione di due
pergotende, la quale rientra nell’ambito di operatività
dell’articolo 6 del dpr n. 380/2001 (cd. attività edilizia
libera), dovendosi in proposito fare riferimento
(accertamento omesso dal Tribunale) alla sussistenza di
peculiari caratteristiche, quali l’amovibilità delle opere,
la loro temporaneità ovvero la loro natura di arredo
pertinenziale.
Aggiunge ancora che il giudice di prime cure non avrebbe
considerato che lo stesso Comune, con la Circolare n. 19137
del 09.03.2012, nel disciplinare le ipotesi di attività
edilizia libera, vi aveva ricompreso le cd. “strutture
semplici, quali gazebo, pergotende con telo retrattile,
pergolati, se elementi di arredo annessi ad unità
immobiliari e/o edilizie aventi esclusivamente destinazione
abitativa”.
Rileva, poi, che la sentenza appellata avrebbe errato nel
ritenere l’opera realizzata assoggettata al preventivo
rilascio del permesso di costruire, atteso che, nella
specie, non era configurabile un intervento di
ristrutturazione edilizia, né tampoco di nuova costruzione,
difettando l’indefettibile presupposto della trasformazione
urbanistica ed edilizia del territorio.
Andavano, infatti, sottolineati caratteri di amovibilità,
precarietà e temporaneità delle strutture realizzate, nonché
la loro funzione meramente accessoria e pertinenziale
all’unità abitativa.
Lamenta, infine, la non corrispondenza tra la violazione
contestata e la ragione di diniego espressa dal Tribunale.
Invero, nella specie i provvedimenti gravati richiamavano
l’articolo 16 della legge regionale Lazio n. 15/2008,
riferentesi alle ipotesi di ristrutturazione edilizia e
cambi di destinazione d’uso in assenza di titolo edilizio,
mentre la sentenza di primo grado avrebbe configurato
l’opera quale intervento di nuova costruzione.
Ciò posto, rileva la Sezione che i provvedimenti impugnati
dal signor Ag. qualificano le opere realizzate quale
“interventi edilizi abusivi di ristrutturazione edilizia in
assenza di titolo abilitativo”.
Di poi, la sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale
in questa sede gravata così motiva il rigetto del ricorso:
“Il ricorso è infondato e, pertanto, va respinto tenuto
conto che le opere realizzate risultano avere una
consistenza tale ed un ancoraggio al lastrico del terrazzo
sul quale sono installate, tale da costituire, secondo un
costante orientamento della Sezione, una modificazione
permanente della sagoma dell’edificio per la cui esecuzione
deve ritenersi necessaria la previa acquisizione di apposito
permesso di costruire”.
La disamina dell’appello –a giudizio della Sezione– non
può prescindere dalla considerazione della natura e della
consistenza delle opere realizzate.
Trattasi di n. 2 “pergotende”, le quali vengono
analiticamente descritte sia nei provvedimenti impugnati,
sia nella comunicazione ex art. 27, comma 4, del dpr n.
380/2001, prot. VB/2014/23430 del 02.04.2014.
In particolare, in tale ultimo atto viene riferita la
realizzazione di:
1) “struttura di alluminio anodizzato atta ad ospitare una
tenda retrattile in materiale plastico comandata
elettricamente. Detta struttura risulta ancorata ai muri
perimetrali del fabbricato e al muretto di parapetto del
terrazzo; risulta altresì sorretta da pali, sempre in
alluminio anodizzato, che poggiano sul pavimento del
terrazzo:La struttura che occupa una superficie di circa mq.
34 risulta tamponata sui due lati liberi da tendine
plastiche, scorrevoli all’interno di binari, comandate
elettricamente e da teli plastici fissi (timpano e
frangivento)inseriti nelle strutture di alluminio
anodizzato”;
2) “…una struttura in alluminio anodizzato atta ad ospitare
un tenda retrattile in materiale plastico comandata
elettricamente. Detta struttura risulta ancorata ai muri
perimetrali del fabbricato e al plateatico pavimentato
predetto. La struttura che occupa una superficie di circa
mq. 15 risulta tamponata sui due lati liberi da lastre in
vetro mobili “a pacchetto” munite di supporti che,
manualmente, scorrono in appositi binari e da vetro fisso
(timpano)inseriti nelle strutture di alluminio anodizzato”.
Orbene, in relazione alla tipologia dei manufatti
realizzati, così come sopra descritti, il Collegio ritiene
che l’appello sia parzialmente fondato, nei sensi che di
seguito si espongono.
La Sezione evidenzia preliminarmente che la questione
relativa alla non necessità del previo titolo abilitativo
non può essere risolta sulla base della pretesa precarietà
delle opere, fondata, a dire dell’appellante,
sulla
amovibilità delle strutture.
Si osserva, infatti, che dall’articolo 3, comma 1, lett. e.5,
del Testo Unico dell’Edilizia è possibile trarre una nozione
di “opera precaria”, la quale è fondata non sulle
caratteristiche dei materiali utilizzati né sulle modalità
di ancoraggio delle stesse al suolo quanto piuttosto sulle
esigenze (di natura stabile o temporanea) che esse siano
dirette a soddisfare.
Invero, la norma qualifica come “interventi di nuova
costruzione” (come tali assoggettati al previo rilascio del
titolo abilitativo), “l’installazione di manufatti leggeri,
anche prefabbricati, e di strutture di qualsiasi genere,
quali roulottes, campers, case mobili, imbarcazioni che
siano utilizzati come abitazioni , ambienti di lavoro oppure
depositi, magazzini e simili, e che non siano diretti a
soddisfare esigenze meramente temporanee…”.
Dunque, la natura di opera “precaria” (non soggetta al
titolo abilitativo) riposa non nelle caratteristiche
costruttive ma piuttosto in un elemento di tipo funzionale,
connesso al carattere dell’utilizzo della stessa.
Ciò posto, trattandosi nella specie di strutture destinate
ad una migliore vivibilità dello spazio esterno dell’unità
abitativa (terrazzo), è indubitabile che le stesse siano
state installate non in via occasionale, ma per soddisfare
la suddetta esigenza, la quale non è certamente precaria.
In buona sostanza le “pergotende” realizzate non si
connotano per una temporaneità della loro utilizzazione, ma
piuttosto per costituire un elemento di migliore fruizione
dello spazio, stabile e duraturo.
Né, a giudizio del Collegio, risulta dirimente, ai fini
della soluzione della presente controversia, la circostanza
che le strutture siano ancorate ai muri perimetrali ed al
suolo.
Invero, l’ancoraggio si palesa comunque
necessario, onde evitare che l’opera, soggetta all’incidenza
degli agenti atmosferici, si traduca in un elemento di
pericolo per la privata e pubblica incolumità.
Chiarito per tale via che i manufatti in questione non sono
“precari”, è necessario però verificare se gli stessi, in
relazione a consistenza, caratteristiche costruttive e
funzione, costituiscano o meno un’opera edilizia soggetta al
previo rilascio del titolo abilitativo.
Orbene, ai sensi del combinato disposto degli articoli 3 e
10 del dpr n. 380/2001, sono in primo luogo soggetti al
rilascio del permesso di costruire gli “interventi di nuova
costruzione”, categoria nella quale rientrano quelli che
realizzano una “trasformazione edilizia e urbanistica del
territorio”.
Ciò premesso, ritiene la Sezione che la struttura in
alluminio anodizzato destinata ad ospitare tende retrattili
in materiale plastico non integri tali caratteristiche.
Va, invero, considerato che l’opera principale non è la
struttura in sé, ma la tenda, quale elemento di protezione
dal sole e dagli agenti atmosferici, finalizzata ad una
migliore fruizione dello spazio esterno dell’unità
abitativa.
Considerata in tale contesto, la struttura in alluminio
anodizzato si qualifica in termini di mero elemento
accessorio, necessario al sostegno e all’estensione della
tenda.
Quest’ultima, poi, integrata alla struttura portante, non
vale a configurare una “nuova costruzione”, atteso che essa
è in materiale plastico e retrattile, onde non presenta
caratteristiche tali da costituire un organismo edilizio
rilevante, comportante trasformazione del territorio.
Tanto è escluso in primo luogo dalla circostanza che la
copertura e la chiusura perimetrale che essa realizza non
presentano elementi di fissità, stabilità e permanenza, in
ragione del carattere retrattile della tenda (in proposito,
cfr. anche la cit. circolare del Comune di Roma, 09.03.2012,
n. 19137); onde, in ragione della inesistenza di uno spazio
chiuso stabilmente configurato, non può parlarsi di
organismo edilizio connotantesi per la creazione di nuovo
volume o superficie.
Ciò resta escluso, inoltre, in considerazione della
tipologia dell’elemento di copertura e di chiusura, il quale
è una tenda in materiale plastico, privo pertanto di quelle
caratteristiche di consistenza e di rilevanza che possano
connotarlo in termini di componenti edilizie di copertura o
di tamponatura di una costruzione.
In tale situazione, dunque, la struttura di alluminio
anodizzato mantiene la connotazione di mero elemento di
sostegno della tenda e non integra, dunque, la struttura
portante di una costruzione, la quale, integrandosi con gli
elementi di copertura e di chiusura, realizzi, così creando
un nuovo organismo edilizio, una trasformazione urbanistica
ed edilizia del territorio.
Allo stesso modo, deve ritenersi che non sia integrata la
fattispecie della ristrutturazione edilizia.
Invero, ai sensi dell’articolo 3, lettera d), del dpr n.
380/2001, tale tipologia di intervento edilizio richiede che
trattasi di “interventi rivolti a trasformare gli organismi
edilizi mediante un insieme sistematico di opere”, i quali
“comprendono il ripristino o la sostituzione di alcuni
elementi costitutivi dell’edificio, l’eliminazione, la
modifica e l’inserimento di nuovi elementi e impianti”.
Orbene, la disposizione, così come declinata dal
legislatore, richiede comunque che le opere realizzate
abbiano consistenza e rilevanza edilizia, siano cioè tali da
poter “trasformare l’organismo edilizio”, condividendo
pertanto natura e consistenza degli elementi costitutivi di
esso.
La “trasformazione” può, infatti, realizzarsi solo
attraverso interventi che pongano in non cale la precedente
identità dell’organismo edilizio, risultato che può
realizzarsi solo quando questi abbiano una rilevanza
edilizia (e, dunque, una suscettività di incidenza sul
territorio) almeno pari o superiore agli elementi che
costituiscono la preesistenza.
Tali caratteristiche risultano all’evidenza non sussistenti
nella fattispecie della struttura in alluminio anodizzato
atta ad ospitare una tenda retrattile, avuto riguardo alla
consistenza di tale intervento ed alla circostanza che
l’immobile sul quale essa è collocata è un fabbricato in
muratura, sulla cui originaria identità e conformazione
l’opera nuova non può certamente incidere.
Sulla base delle considerazioni sopra svolte deve, pertanto,
ritenersi che la struttura realizzata e sopra descritta sub
1) non abbisognasse del previo rilascio del permesso di
costruire: giacché la tenda retrattile che essa è unicamente
destinata a servire si risolve, in ultima analisi, in un
mero elemento di arredo del terrazzo su cui insiste.
Di conseguenza, non può condividersi sul punto la pronuncia
di rigetto del ricorso operata dal giudice di primo grado,
dovendosi ritenere che i provvedimenti di sospensione dei
lavori e di demolizione adottati dall’amministrazione con
riferimento alla sua realizzazione siano illegittimi.
L’appello è, di conseguenza, per tale parte fondato.
A identiche conclusioni non può giungersi, invece, in
riferimento alla struttura sopra descritta sub 2).
Essa, invero, è pur sempre una “struttura in alluminio
anodizzato atta ad ospitare una tenda retrattile in
materiale plastico”.
Che, nondimeno, si connota diversamente per il fatto di
essere “tamponata sui due lati liberi da lastre di vetro
mobili a “pacchetto”, munite di supporti che manualmente
scorrono in appositi binari e da vetro fisso (timpano)
inseriti nelle strutture di alluminio anodizzato”.
Orbene, osserva la Sezione, conformemente ai principi in
precedenza esposti, che la presenza, quali elementi di
chiusura, di lastre di vetro determina il venir meno del
richiamato carattere di mera struttura di sostegno di tende
retrattili.
La natura e la consistenza del materiale utilizzato
(il vetro viene comunemente usato per la realizzazione di
pareti esterne delle costruzioni) fa sì che
la struttura di alluminio anodizzato si configuri, in questo
caso, non più come mero elemento di supporto di una tenda,
ma venga piuttosto a costituire la componente portante di un
manufatto, che assume consistenza di vera e propria opera
edilizia, connotandosi per la presenza di elementi di
chiusura che, realizzati in vetro, costituiscono vere e
proprie tamponature laterali.
Sicché il manufatto in questo caso costituisce “nuova
costruzione”, risultando idoneo a determinare una
trasformazione urbanistico ed edilizia del territorio.
Né in contrario riveste rilievo la circostanza che le
suddette lastre di vetro siano installate “a pacchetto” e,
dunque, apribili, considerandosi che la possibilità di
apertura attribuisce a tale sistema la stessa portata e
consistenza di una finestra o di un balcone, ma non modifica
la natura del manufatto che, una volta chiuso, è vera e
propria opera edilizia, come tale soggetta al rilascio del
previo titolo abilitativo.
Va, peraltro, considerato, in relazione al fatto che la
struttura di cui al citato punto 2) presenta comunque come
copertura una tenda retrattile in materiale plastico e,
dunque, potenzialmente (e parzialmente) i caratteri di
un’opera non soggetta a titolo edilizio (per la parte in cui
è mera struttura di sostegno di una tenda retrattile), che
il corretto esercizio del potere sanzionatorio avrebbe
imposto, nella sua funzione di ripristino della legalità
violata e nel rispetto del principio del mezzo più mite, una
reazione proporzionata all’entità dell’abuso e, dunque,
necessaria e sufficiente a riportare il realizzato
nell’ambito della conformità alla normativa urbanistica
(ossia senza demolire ciò che legittimamente può
realizzarsi, posto che utile per inutile non vitiatur).
L’ordine di demolizione avrebbe, di conseguenza, dovuto
limitarsi alla sola rimozione delle strutture laterali in
vetro in uno ai binari (inferiore e superiore) di
scorrimento delle stesse, ma non anche dell’intera
struttura.
Invero,
per effetto di tali rimozioni il manufatto, limitato
al solo sostegno di tende in plastica retrattili, viene
ricondotto a opera lecita e non abusiva, in quanto non
richiedente, per tutte le considerazioni in precedenza rese,
il preventivo titolo abilitativo.
Da quanto sopra discende che, per quanto riguarda il
manufatto descritto come sub 2), l’illegittimità dei
provvedimenti impugnati in primo grado deve essere esclusa
limitatamente alla rimozione degli elementi di chiusura
laterali in vetro in uno ai binari (inferiore e superiore)
di scorrimento degli stessi.
Queste costituiscono, pertanto, le componenti dell’opera che
dovranno essere rimosse in esecuzione della presente
pronunzia.
Conclusivamente, ritiene la Sezione che l’appello sia
fondato in parte e debba essere accolto nei sensi e nei
limiti sopra precisati; che, per l’effetto, la sentenza del
Tribunale debba essere riformata parzialmente e che dunque,
in parziale accoglimento del ricorso di primo grado, i
provvedimenti impugnati debbano essere integralmente
annullati, relativamente alla struttura di cui sub n. 1 (in
quanto unicamente destinata al sostegno d’un elemento di
arredo consistente in una tenda retrattile); mentre, quanto
alla struttura di cui sub n. 2, vanno annullati solo in
parte, ossia restando eccettuata dalla caducazione la
relativa parte in cui si dispone, per tale secondo
manufatto, la rimozione delle tamponature laterali in vetro
e dei binari (inferiore e superiore) di scorrimento di esse.
Limitatamente a tali componenti dell’opera, invero,
l’appello deve essere respinto e la sentenza di rigetto di
primo grado confermata, unitamente (in parte qua)
all’ordine demolitorio impugnato in prime cure
(Consiglio di Stato, Sez. VI,
sentenza 27.04.2016 n. 1619 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: La
valutazione degli abusi edilizi presuppone una visione
complessiva e non atomistica degli interventi posti in
essere, in quanto il pregiudizio arrecato all’assetto
urbanistico deriva non dal singolo intervento ma
dall'insieme delle opere realizzate nel loro contestuale
impatto edilizio.
---------------
Nel caso all’esame la copertura della pompeiana e l’aggiunta
delle strutture metalliche coperte, hanno creato un autonomo
organismo edilizio di rilevanti dimensioni stabilmente
destinato a sala da pranzo del locale che deve pertanto
essere qualificata come nuova opera per consistenza e
funzione di ampliamento del locale dal punto di vista della
volumetria e della superficie utile commerciale.
Infatti, come è stato osservato proprio con riguardo
all’abusiva copertura di strutture del tipo di quella in
esame:
- dal punto di vista tecnico-giuridico la pompeiana, a
prescindere dai materiali usati e dalle concrete categorie
definitorie (porticato, pergolato, gazebo, berceau, dehor),
è caratterizzata dal dover essere una struttura costruttiva
leggera e aperta, la cui copertura (teli, rampicanti, assi
distanziate) deve consentire di fare filtrare l’aria e la
luce, assolvendo a finalità di ombreggiamento e di
protezione nel passaggio o nella sosta delle persone, in
soluzione di continuità con lo spazio circostante e senza
creare interruzione dimensionale dell’ambiente in cui è
installata;
- l’aspetto tipico di essa risiede nella mancanza di pareti
e di una copertura integrale assimilabile ad un tetto o
solaio, che si viene invece a concretizzare con una
copertura che la faccia configurare come volume edilizio;
- la stabile destinazione funzionale a sala da pranzo
comporta lo snaturamento dei caratteri propri della
pompeiana;
- è da escludersi la possibilità di riscontrare precarietà
dell'opera, ai fini dell'esenzione dal permesso di
costruire, quando la medesima sia destinata a soddisfare
bisogni non provvisori attraverso la permanenza nel tempo
della sua funzione.
---------------
Da quanto esposto emerge che l’intervento edilizio è
qualificabile come nuova opera assoggettata al previo
rilascio di un permesso di costruire, che la medesima era
incompatibile con la destinazione agricola dell’area
prevista dallo strumento urbanistico allora vigente, che era
necessario il previo rilascio dell’autorizzazione
paesaggistica in quanto si tratta di opera che altera
l’aspetto esteriore dell’edificio cui accede e che pertanto
correttamente il Comune ha sanzionato l’abuso con
un’ordinanza di rimozione e ripristino allo stato originario
ed autorizzato dei luoghi.
---------------
... per l'annullamento del provvedimento del Comune di Abano
Terme, a firma del Dirigente del V Settore 17.06.1999 prot.
n. 16032, con cui si ordina alla Società ricorrente,
relativamente al fabbricato ad uso commerciale-residenziale
in Abano Terme, via ... n. 46, di demolire le opere
pretestamente abusive entro il termine di 90 giorni.
...
Il ricorso è infondato e deve essere respinto.
Le censure proposte, che possono essere valutate
unitariamente, si fondano sull’erroneo presupposto che
l’abuso edilizio dovrebbe essere considerato come
consistente nella mera apposizione di un telo di nylon, come
tale qualificabile come opera amovibile, non soggetta al
previo rilascio di un titolo edilizio, o tutt’al più
qualificabile come intervento di manutenzione straordinaria
non sanzionabile con un’ordinanza di demolizione,
irrilevante da un punto di vista urbanistico ed inoltre non
soggetta al previo rilascio di un’autorizzazione
paesaggistica perché costituente un intervento edilizio
minore.
Tale ordine di idee non può essere condiviso.
Come è noto la valutazione degli abusi edilizi presuppone
una visione complessiva e non atomistica degli interventi
posti in essere, in quanto il pregiudizio arrecato
all’assetto urbanistico deriva non dal singolo intervento ma
dall'insieme delle opere realizzate nel loro contestuale
impatto edilizio (cfr. Consiglio di Stato, Sez. VI, 06.06.2012 n. 3330; Consiglio di Stato, Sez. VI, 12.06.2014,
n. 2985).
Nel caso all’esame la copertura della pompeiana e l’aggiunta
delle strutture metalliche coperte, hanno creato un autonomo
organismo edilizio di rilevanti dimensioni stabilmente
destinato a sala da pranzo del locale che deve pertanto
essere qualificata come nuova opera per consistenza e
funzione di ampliamento del locale dal punto di vista della
volumetria e della superficie utile commerciale (cfr.
Consiglio di Stato, Sez. I, 06.05.2013, n. 1193).
Infatti, come è stato osservato proprio con riguardo
all’abusiva copertura di strutture del tipo di quella in
esame (cfr. Consiglio di Stato, Sez. VI, 31.10.2013, n.
5265):
- dal punto di vista tecnico-giuridico la pompeiana, a
prescindere dai materiali usati e dalle concrete categorie
definitorie (porticato, pergolato, gazebo, berceau, dehor),
è caratterizzata dal dover essere una struttura costruttiva
leggera e aperta, la cui copertura (teli, rampicanti, assi
distanziate) deve consentire di fare filtrare l’aria e la
luce, assolvendo a finalità di ombreggiamento e di
protezione nel passaggio o nella sosta delle persone, in
soluzione di continuità con lo spazio circostante e senza
creare interruzione dimensionale dell’ambiente in cui è
installata;
- l’aspetto tipico di essa risiede nella mancanza di pareti
e di una copertura integrale assimilabile ad un tetto o
solaio, che si viene invece a concretizzare con una
copertura che la faccia configurare come volume edilizio;
- la stabile destinazione funzionale a sala da pranzo
comporta lo snaturamento dei caratteri propri della
pompeiana;
- è da escludersi la possibilità di riscontrare precarietà
dell'opera, ai fini dell'esenzione dal permesso di
costruire, quando la medesima sia destinata a soddisfare
bisogni non provvisori attraverso la permanenza nel tempo
della sua funzione (cfr. Consiglio di Stato, Sez. IV, 22.12.2007, n. 6615).
Da quanto esposto emerge che l’intervento edilizio è
qualificabile come nuova opera assoggettata al previo
rilascio di un permesso di costruire, che la medesima era
incompatibile con la destinazione agricola dell’area
prevista dallo strumento urbanistico allora vigente, che era
necessario il previo rilascio dell’autorizzazione
paesaggistica in quanto si tratta di opera che altera
l’aspetto esteriore dell’edificio cui accede e che pertanto
correttamente il Comune ha sanzionato l’abuso con
un’ordinanza di rimozione e ripristino allo stato originario
ed autorizzato dei luoghi.
Il ricorso in definitiva deve essere respinto (TAR Veneto,
Sez. II,
sentenza 22.03.2016 n. 297 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
CONDOMINIO -
EDILIZIA PRIVATA: Niente dehors per il bar senza sì del condominio.
Addio dehors per il bar se il titolare non ha fatto i conti
con il condominio prima di rivolgersi al comune per il
permesso. Stop all'autorizzazione unica concessa
all'esercizio pubblico dallo sportello attività produttive
dell'ente locale: la struttura a padiglione, infatti, va
considerata aderente alla facciata dello stabile e dunque
non può essere installata su una parete dell'edificio senza
prima ottenere il nulla osta di tutti coloro che risultano
proprietari del muro perimetrale.
È quanto emerge dalla
sentenza 04.03.2016 n. 379, pubblicata dalla
II Sez. del TAR
Toscana.
È proprio il regolamento comunale a imporre il
previo nulla osta dei proprietari o dell'amministratore
dell'edificio quando si verifica il «contatto-aderenza» con
la superficie esterna di un fabbricato: sbaglia dunque
l'amministrazione laddove interpreta le norme ritenendo
necessaria l'autorizzazione preventiva solo se i tiranti
della struttura a padiglione devono essere agganciati alla
parete.
Al comune non resta che pagare le spese di giudizio
(articolo ItaliaOggi Sette del 09.05.2016). |
CONDOMINIO -
EDILIZIA PRIVATA:
Per il dehors serve il sì del condominio. Poteri
di veto. I proprietari devono dare il consenso alla
realizzazione del manufatto in aderenza alla facciata.
Il conduttore di un immobile destinato ad uso birreria che
intende realizzare nell’area antistante il locale un dehors
che verrà montato solo in aderenza alla facciata non può
essere autorizzato dal comune a realizzare l’opera se non
dimostra di aver ottenuto il consenso della collettività
condominiale.
È questo il
principio affermato dal TAR Toscana -Sez. II- nella
sentenza 04.03.2016 n. 379.
La vicenda prendeva l’avvio quando il titolare di un locale
birreria, facente parte di un caseggiato, decideva di
realizzare, nello spazio antistante il locale condotto in
locazione, un dehors temporaneo con possibilità di
chiusura stagionale in cui installare tavoli, sedie.
Il progetto definitivo prevedeva che la struttura portante
del dehors non fosse ancorata alla parete
condominiale, ma fosse realizzata soltanto in aderenza del
muro perimetrale con montanti verticali in acciaio
indipendenti.
L’opera, quindi, veniva autorizzata, ma una condòmina
richiedeva al comune l’annullamento in via di autotutela del
provvedimento autorizzatorio, per la mancanza di nulla osta
da parte del condominio. La richiesta veniva respinta, anche
perché tutti gli altri condomini (compreso il proprietario
del locale-birreria) con apposita comunicazione, avevano
confermato l’autorizzazione ad occupare l’area privata
antistante il pubblico esercizio.
La questione, poi, è stata sottoposta all’attenzione del Tar
che ha dato torto al titolare della birreria, rilevando che
la domanda volta ad ottenere la concessione e/o
l’autorizzazione per la costruzione di spazi di ristoro
all’aperto annessi a locali di pubblico esercizio, con
occupazione di tutta l’area esterna condominiale, richiede
il consenso degli altri condòmini (inclusa la ricorrente che
non ha mai prestato il suo assenso), anche nel caso in cui
la struttura venga posta solo a contatto dell’edificio.
A diversa conclusione si potrebbe arrivare, però, se il
dehors fosse realizzato con le stesse modalità ma con
occupazione parziale del cortile: in tal caso, infatti, se
si considera che i rapporti condominiali richiedono il
continuo rispetto del principio di solidarietà, il quale
richiede un costante equilibrio fra le esigenze e gli
interessi di tutti i partecipanti alla comunione, qualora
sia prevedibile (come nel caso in questione) che gli altri
partecipanti alla comunione non possano fare un pari uso
della cosa comune, la modifica apportata alla stessa dal
condomino potrebbe ritenersi legittima
(articolo
Il Sole 24 Ore del 19.04.2016).
---------------
MASSIMA
... per l'annullamento:
- del provvedimento Autorizzativo Unico n. 152 del
29.07.2013 con cui il Dirigente del Settore Urbanistica e
Suap ha autorizzato il Sig. Er.Si., nella sua qualità di
legale rappresentante dell’impresa “Pi. Bar di Er.Si. & C.
<<ad occupare l’area privata antistante il pubblico
esercizio denominato “Bar Lume” posto in via Rinchiosa,
angolo Via Garibaldi al fine di poter installare tavoli,
sedie e strutture a padiglione con temporanea possibilità di
chiusura stagionale […]>>, nonché degli atti connessi,
presupposti e conseguenti nonché per il risarcimento:
- dei danni subiti e subendi dalla ricorrente per effetto
degli illegittimi provvedimenti impugnati;
...
2. Il primo motivo del ricorso introduttivo del presente
giudizio è fondato.
La circostanza,
infatti, che “la struttura portante del
dehors da installare non verrà agganciata alla parete
condominiale, ma sostenuta da montanti verticali in acciaio
indipendenti”,
come si legge nel provvedimento autorizzativo impugnato,
non esonerava dalla necessità di ottenere il previo
consenso da parte dei proprietari della facciata medesima.
A riguardo va rilevato come sia incontestato che il progetto
per la realizzazione del dehors di cui si discute sia
quello graficamente rappresentato nel documento prodotto
dalla ricorrente come all. 18, consegnato al Comune
nell’aprile del 2013, nel quale si trova espressamente
scritto “Dehors distaccato 1 cm dalla facciata con
struttura indipendente”.
Ora, l’Allegato L del Regolamento edilizio comunale al punto
2.8 prevede, con riferimento alle “strutture a padiglione
temporanee con possibilità di chiusura stagionale”, il
generale divieto di ogni infissione al suolo e alla parete
dell’edificio di pertinenza.
Tuttavia, il quarto comma del citato punto 2.8 stabilisce
che “nel caso di presenza di marciapiede
sopraelevato di larghezza tale da consentire la coesistenza
del manufatto e del percorso pedonale, il manufatto stesso
può essere collocato in aderenza alla facciata a condizione
che venga comunque garantita una striscia libera di almeno 2
metri di larghezza a partire dal filo esterno del
marciapiede”.
Ed è questa la fattispecie in cui rientra, secondo il
progetto di cui si è detto, la struttura per cui è causa,
per la quale, dunque, viene consentita la collocazione in
aderenza alla facciata, mentre rimane vietata ogni
infissione alla stessa.
Inoltre, il citato Allegato L del Regolamento edilizio
comunale al punto 1.2 lett. c richiede in via generale, per
tutte le domande volte ad ottenere la concessione e/o
l’autorizzazione per la costruzione di spazi di ristoro
all’aperto annessi a locali di pubblico esercizio di
somministrazione, il “nulla-osta del proprietario o
dell’amministratore dell’immobile qualora la struttura venga
posta a contatto dell’edificio”; ciò in piena coerenza
con la disciplina del condominio negli edifici (artt. 1117 e
ss. cod. civ.).
Ne discende che, oltre al divieto di
infissione-aggancio alla parete condominiale, viene
stabilito altresì che il contatto-aderenza –essendo i due
termini sinonimi– dell’edificio richiede il previo
nulla-osta dei proprietari o dell’amministratore
dell’immobile.
Ciò significa che
l’amministrazione non avrebbe dovuto ridurre la questione di
cui si controverte all’esistenza o meno dell’”aggancio”
alla parete, ma avrebbe dovuto prendere in considerazione la
specifica disciplina regolamentare del “contatto-aderenza”
con l’edificio per dedurne la necessità del suddetto
nulla-osta dei proprietari.
E’ evidente, infatti, che la progettata
struttura, proprio in quanto distaccata di un solo
centimetro dalla facciata, non può non essere considerata
come aderente alla facciata stessa, con la conseguenza che
la sua collocazione richiedeva il previo nulla-osta di tutti
i proprietari della medesima, in quanto muro perimetrale
condominiale ai sensi dell’art. 1117 cod. cic., ivi incluso
quello della ricorrente che non risulta, invece, aver mai
prestato il suo assenso a tal fine. |
EDILIZIA PRIVATA: Gazebo
in legno.
Integra il reato di cui all’art. 44, lett. b), t.u. n. 380/2001 la costruzione
nell’area cortilizia di gazebo in legno, fissi in terra ed inamovibili,
trattandosi di ampliamento soggetto a permesso di costruire
(TRIBUNALE di Roma, Sez. VI, sentenza 01.03.2016 n. 3216 - massima
tratta da www.laleggepertutti.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Di regola, tettoie e gazebo sono opere che non
rappresentano costruzioni vere e proprie, ma hanno
caratteristiche di precarietà strutturale e funzionale
destinate a soddisfare esigenze contingenti e circoscritte
nel tempo, esenti dunque dall’assoggettamento a permesso di
costruire.
Non di meno, però, quando esse non sono precarie, ma
funzionali a soddisfare esigenze permanenti, vanno
considerate come manufatti alteranti lo stato dei luoghi,
con incremento del carico urbanistico, costituendo la
consistenza e la stabilità della struttura i criteri per la
relativa valutazione.
---------------
L’opera in questione risulta della superficie di 7,20 mq, di
altezza al colmo di mt. 2,80 e alla gronda di mt. 2,30,
composta da quattro pilastri verticali fissati al pavimento
mediante staffe in ferro, coperta con tavolaccio e
soprastante strato di tegole canadesi (quest’ultime
contestate da parte ricorrente, secondo cui la struttura
sarebbe leggera e ricoperta con fogli sottili e bitumitosi
che darebbero soltanto l’effetto estetico del tegolato
canadese) ed altresì aperta su tutti i lati.
Orbene, ritiene il Collegio che tale manufatto, che non
appare ricadere in area vincolata, per le caratteristiche su
menzionate, per le sue modeste dimensioni e per il suo
carattere non impattante, essendo privo di autonomia
funzionale, appare esente dall’assoggettamento al permesso
di costruire, potendo essere considerato alla stregua di un
intervento assentibile tramite l’odierna s.c.i.a., ai sensi
dell’art. 22 del d.p.r. 06.06.2001 n. 380.
---------------
Per gli interventi realizzati in violazione del regime di
segnalazione di attività, ai sensi dell’art. 37, comma 1,
d.p.r. 380/2001, l’amministrazione può comminare unicamente
una sanzione pecuniaria e non anche la demolizione delle
opere.
---------------
Che il gazebo non necessitasse di permesso di costruire
discende anche dalla circostanza che lo stesso si pone quale
elemento pertinenziale con una volumetria inferiore al 20%,
ai sensi dell’art. 3, comma 1, lett.e. 6), del d.p.r. n.
380/2001.
Peraltro, le pertinenze di piccole dimensioni, secondo
giurisprudenza condivisibile, non sono tenute a rispettare
la disciplina in materia di distanze, né sono soggette a
permesso di costruire.
---------------
... per
l'annullamento dell'ordinanza comunale n. 34 del 22/07/2014
di demolizione delle seguenti opere edilizie abusive “struttura
in legno lamellare composta da quattro pilastri verticali
fissati al suolo mediante apposite staffe in ferro e da una
struttura di copertura a due falde sempre con l’utilizzo di
travi in legno.
Detta struttura di forma rettangolare ha una superficie di
mq. 7,20 circa ed ha altezza al colmo di mt. 2,80 e alla
gronda di mt. 7,20 circa ed ha altezza al colmo di mt. 2,80
e alla gronda di mt. 2,30 coperta con tavolaccio e
soprastante strato di tegole canadesi, e posta a distanza di
mt. 0,80 dal confine di proprietà con altra ditta a distanza
nulla, nonché ad una distanza al proprio fabbricato di circa
mt. 4,50”;
...
2.2. Comunque, come dedotto da parte ricorrente, nel caso,
non era necessario il permesso di costruire.
Il Collegio osserva che, di regola, tettoie e gazebo sono
opere che non rappresentano costruzioni vere e proprie, ma
hanno caratteristiche di precarietà strutturale e funzionale
destinate a soddisfare esigenze contingenti e circoscritte
nel tempo, esenti dunque dall’assoggettamento a permesso di
costruire (cfr. Consiglio di Stato, sez. V, 19.09.2006, n.
5469; TAR Calabria, Catanzaro, sez. II, 28.11.2014 n. 2014;
TAR Molise, sez. I, 31.01.2014, n. 66; TAR Calabria,
Catanzaro, sez. II, 03.10.2012, n.976); non di meno, però,
quando esse non sono precarie, ma funzionali a soddisfare
esigenze permanenti, vanno considerate come manufatti
alteranti lo stato dei luoghi, con incremento del carico
urbanistico (Consiglio di Stato, sez. V, 01.12.2003, n.
7822; sez. IV, 04.09.2013, n. 4438), costituendo la
consistenza e la stabilità della struttura i criteri per la
relativa valutazione (Consiglio di Stato, sez. VI,
12.12.2012, n.6382).
2.3. Tanto premesso, l’opera in questione risulta della
superficie di 7,20 mq, di altezza al colmo di mt. 2,80 e
alla gronda di mt. 2,30, composta da quattro pilastri
verticali fissati al pavimento mediante staffe in ferro,
coperta con tavolaccio e soprastante strato di tegole
canadesi (quest’ultime contestate da parte ricorrente,
secondo cui la struttura sarebbe leggera e ricoperta con
fogli sottili e bitumitosi che darebbero soltanto l’effetto
estetico del tegolato canadese) ed altresì aperta su tutti i
lati.
Orbene, ritiene il Collegio che tale manufatto, che non
appare ricadere in area vincolata, per le caratteristiche su
menzionate, per le sue modeste dimensioni e per il suo
carattere non impattante, essendo privo di autonomia
funzionale, appare esente dall’assoggettamento al permesso
di costruire, potendo essere considerato alla stregua di un
intervento assentibile tramite l’odierna s.c.i.a., ai sensi
dell’art. 22 del d.p.r. 06.06.2001 n. 380.
Da quanto sopra consegue l’illegittimità dell’impugnato
provvedimento, in quanto il gazebo in questione, per le
esigue caratteristiche strutturali e dimensionali, non è
tale da avere un rilevante impatto urbanistico.
Ne consegue, altresì, che, potendo per gli interventi
realizzati in violazione del regime di segnalazione di
attività, ai sensi dell’art. 37, comma 1, del citato d.p.r.,
l’amministrazione comminare unicamente una sanzione
pecuniaria e non anche la demolizione delle opere, salvo i
casi previsti, le censure al riguardo di parte ricorrente,
nel complesso, sono condivisibili.
2.4. Inoltre, come osservato dalle ricorrenti (motivo III),
che il gazebo non necessitasse di permesso di costruire
discende anche dalla circostanza che lo stesso si pone quale
elemento pertinenziale con una volumetria inferiore al 20%
(circostanza che non è stata contestata), ai sensi dell’art.
3, comma 1, lett.e. 6), del d.p.r. n. 380/2001.
Peraltro, le pertinenze di piccole dimensioni, secondo
giurisprudenza condivisibile, non sono tenute a rispettare
la disciplina in materia di distanze (cfr. TAR
Abruzzo–Pescara, sez. I, 11.08.2015), né sono soggette a
permesso di costruire (TAR
Calabria-Catanzaro, Sez. II,
sentenza 11.01.2016 n. 7 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
anno 2015 |
|
EDILIZIA PRIVATA: La
giurisprudenza prevalente ritiene che i gazebo non precari,
ma funzionali a soddisfare esigenze permanenti, vanno
considerati manufatti alteranti lo stato dei luoghi, con
sicuro incremento del carico urbanistico, a nulla rilevando
la precarietà strutturale del manufatto, la rimovibilità
della struttura e l’assenza di opere murarie, posto che il
gazebo non precario non è deputato ad un suo uso per fini
contingenti, ma è destinato ad un utilizzo per soddisfare
esigenze durature nel tempo e rafforzate dal carattere
permanente e non stagionale dell’attività svolta.
---------------
Nell’ambito dell’edilizia, per potersi parlare di pertinenza
in senso proprio è indispensabile che il manufatto destinato
ad un uso pertinenziale durevole sia di dimensioni ridotte e
modeste, con la conseguenza che soggiace a permesso di
costruire la realizzazione di un’opera di rilevanti
dimensioni, che modifica l’assetto del territorio e che
occupa aree e volumi diversi rispetto alla res principalis,
indipendentemente dal vincolo di servizio o di ornamento nei
riguardi di essa.
2. - I primi due motivi di ricorso, che possono essere
trattati congiuntamente, in quanto tra loro complementari,
si incentrano sull’inesistenza di un’opera edilizia, la cui
realizzazione avrebbe richiesto un titolo abilitativo,
allegandosi che peraltro, ai sensi dell’art. 3, lett. e), n.
6, della l.r. n. 1 del 2004, le opere pertinenziali
richiedono il permesso di costruire ove comportanti una
nuova volumetria urbanistica od una superficie utile
coperta, circostanza non ricorrente nel caso di specie, ove
manca qualsivoglia copertura, tale non potendosi ritenere il
telo di copertura.
I motivi non appaiono meritevoli di positiva valutazione, e
devono pertanto essere disattesi.
A prescindere dall’esatta collocazione temporale del
manufatto, e dunque anche ad ammettere che risalga al 2000,
od anche, per ipotesi estrema, al 1985, sul piano obiettivo
si verte al cospetto di un gazebo che richiedeva il permesso
di costruire avendo una dimensione di ml. 7,25x3,80, con
altezza variabile da ml. 2,25 a ml. 2,80, e posto sul
confine di proprietà, a distanza non regolamentare dalla
viabilità pubblica (circa quattro metri), destinato a posto
auto coperto.
La giurisprudenza prevalente ritiene che i gazebo non
precari, ma funzionali a soddisfare esigenze permanenti,
vanno considerati manufatti alteranti lo stato dei luoghi,
con sicuro incremento del carico urbanistico, a nulla
rilevando la precarietà strutturale del manufatto, la
rimovibilità della struttura e l’assenza di opere murarie,
posto che il gazebo non precario non è deputato ad un suo
uso per fini contingenti, ma è destinato ad un utilizzo per
soddisfare esigenze durature nel tempo e rafforzate dal
carattere permanente e non stagionale dell’attività svolta
(in termini Cons. Stato, Sez. IV, 04.04.2013, n. 4438;
Sez. VI, 03.06.2014, n. 2842).
In tale prospettiva, anche sul piano normativo l’art. 3,
lett. e), n. 6, della l.r. n. 1 del 2004 qualifica come
“interventi di nuova costruzione” le opere pertinenziali
agli edifici che comportino nuova volumetria urbanistica o
superficie utile coperta; l’art. 21 del regolamento
regionale 03.11.2008, n. 9 specifica che necessitano di
permesso di costruire le opere pertinenziali, quali pergole
e gazebo che abbiano una superficie utile coperta non
superiore a mq. 20,00 e di altezza non superiore a ml. 2,40,
desumendosi dunque in materia edilizia un’accezione diversa
da quella civilistica di pertinenza.
In particolare,
nell’ambito dell’edilizia, per potersi parlare di pertinenza
in senso proprio è indispensabile che il manufatto destinato
ad un uso pertinenziale durevole sia di dimensioni ridotte e
modeste, con la conseguenza che soggiace a permesso di
costruire la realizzazione di un’opera di rilevanti
dimensioni, che modifica l’assetto del territorio e che
occupa aree e volumi diversi rispetto alla res principalis,
indipendentemente dal vincolo di servizio o di ornamento nei
riguardi di essa (Cons. Stato, Sez. V, 28.04.2014, n. 2196)
(TAR Umbria,
sentenza 16.02.2015 n. 81 - link a www.giustizia-amminitrativa.it). |
anno 2014 |
|
EDILIZIA PRIVATA: La
realizzazione di una veranda-gazebo, mediante chiusura a
mezzo di installazione di pannelli di vetro su intelaiatura
metallica, non ha natura precari, né costituisce intervento
di manutenzione straordinaria o di restauro, ma è opera di
ristrutturazione soggetta a concessione edilizia (oggi a
permesso di costruire).
II – Il ricorso e i motivi aggiunti sono infondati.
III – La ricorrente società, titolare di un esercizio di
ristorazione a Isernia, con la concessione edilizia in data
01.04.1997, ha realizzato lavori di rifacimento di una
struttura protettiva (tipo veranda) collocata all’esterno
dell’esercizio. Sennonché, il territorio del Comune di
Isernia è classificato come zona sismica (con R.D.
22.11.1937) e, dall’esame degli atti d’ufficio, non risulta
depositato il progetto strutturale dell’opera, che –a
quanto consta– non è un tettoia, bensì una struttura
chiusa, con vetrate installate su montanti metallici e travi
in legno in copertura, ancorato con staffe metalliche
all’antistante fabbricato in muratura, priva com’è di
fondazioni e realizzata con un sistema costruttivo non
consentito dalle vigenti norme tecniche anti-sismiche.
Il Servizio tecnico del Comune, avendo rilevato una
violazione di tipo sostanziale –in quanto l’opera è in
contrasto con i punti C1 e seguenti del D.M. 16.01.1996,
recante “norme tecniche per la costruzione in zona sismica”-
ha ordinato la riduzione in pristino, nonché l’adeguamento
della struttura, tutt’altro che provvisoria, realizzata in
difformità dalla concessione edilizia del 01.04.1996; ha
inoltre emesso, in via cautelare, l’ordine di sospensione
dei lavori.
Tra le altre cose, il Comune ha contestato alla ricorrente
anche il mancato rispetto delle prescrizioni imposte dalla
Soprintendenza per il beni archeologici e culturali di
Campobasso, con la nota prot. n. 12085 datata 22.06.1996.
La realizzazione di una veranda-gazebo, mediante chiusura a
mezzo di installazione di pannelli di vetro su intelaiatura
metallica, non ha natura precaria (cfr.: Tar Toscana
Firenze III, 30.01.2014 n. 185), né costituisce intervento di
manutenzione straordinaria o di restauro, ma è opera di
ristrutturazione soggetta a concessione edilizia (oggi a
permesso di costruire).
Non a caso, la ricorrente si è
munita di tale titolo: sennonché, ha realizzato in parziale
difformità, non ha rispettato le prescrizioni paesaggistiche
e non ha provato il rispetto delle norme di prevenzione
sismica. Ciò è sufficiente per ingiungere la sospensione dei
lavori e la remissione in pristino, senza che occorra una
particolare motivazione in ordine all'interesse pubblico,
che deve ritenersi “in re ipsa”, trattandosi di misura
finalizzata a garantire la sicurezza degli edifici e
l'ordinato, armonico sviluppo edilizio del territorio (cfr.:
Tar Molise I, 21.10.2011 n. 624).
IV - I motivi del ricorso e i motivi aggiunti sono, dunque,
destituiti di fondamento.
La tettoia, assentita con la concessione edilizia del 1997,
è in realtà un locale chiuso. Trattandosi di struttura
ancorata alla muratura dell’edificio, essa non può sottrarsi
alle verifiche antisismiche, di guisa che la mancanza del
deposito strutturale è valida motivazione per sospendere i
lavori e ordinare il ripristino. Non risulta assolto l’onere
di depositare il progetto esecutivo alla Sezione “Comuni
sismici” della Regione Molise – previsto dall’art. 7 della L.R. n. 20/1996 per tutti i lavori di costruzione (e questo
è un lavoro di costruzione!) e persino per le semplici
riparazioni.
Invero, la legge n. 64/1974, in materia di
particolari prescrizioni per costruzioni in zone sismiche,
non si riferisce al concetto di nuova costruzione, ma a
quello di realizzazione di una qualsiasi opera in zona
sismica, risultando, detto concetto, del tutto indifferente
e autonomo rispetto ad altre classificazioni valevoli nella
disciplina edilizia, tale da essere tendenzialmente
omnicomprensivo di tutte le vicende in cui venga in
questione la realizzazione di una costruzione (cfr.: Cons.
Stato IV, 12.06.2009 n. 3706).
Inoltre, le prescrizioni della Soprintendenza –di cui alla
nota del 22.06.1996- condizionano l’assenso edilizio alla
sostituzione del materiale cementizio con componenti in
legno, sennonché i pilastri della tettoia poggiano ancora su
vistosi basamenti in cemento. Tale elemento di sostanziale
difformità sarebbe, di per sé, sufficiente a giustificare la
misura ripristinatoria, di cui all’art. 31 del D.P.R. n.
380/2001 (cfr.: Cons. Stato VI, 30.04.2014 n. 2821).
Il mancato preavviso procedimentale non costituisce vizio di
legittimità, atteso che, in ragione del carattere vincolato
dell'atto, non occorre alcun avviso di avvio del
procedimento per gli atti sanzionatori in materia edilizia,
tra cui l'ordine di demolizione della costruzione abusiva;
non vi è, nella specie, la violazione dell'art. 7 della
legge n. 241 del 1990 (cfr.: Cons. Stato VI, 01.10.2014 n.
4878)
(TAR Molise,
sentenza 18.12.2014 n. 711 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
anno 2012 |
|
EDILIZIA PRIVATA: A.
Cernelli,
MANUFATTI LEGGERI E NECESSITÀ DEL TITOLO ABILITATIVO: IL
CASO DEI C.D. GAZEBO DESTINATI ALLA RISTORAZIONE
(Gazzetta Amministrativa
n. 4/2012). |
EDILIZIA
PRIVATA: Il Cds sulle strutture dei ristoranti non più asportabili. Il
gazebo abusivo.
È illegale se difficile da smontare.
È abusivo il gazebo installato in un ristorante se non è più
amovibile e facilmente smontabile e asportabile. Infatti, se
un gazebo perde le sue caratteristiche di precarietà per la
sostituzione delle strutture portanti (dirette a soddisfare
esigenze permanenti), si determina un'alterazione dello
stato dei luoghi e un sicuro incremento del carico
urbanistico.
Questo è il costrutto normativo tracciato dal
Consiglio di Stato (Sez. VI) con la
sentenza del 12.12.2012 n. 6382.
Il fatto, in sintesi: il proprietario
di un ristorante nel comune di Malcesine, nel febbraio 2001
veniva autorizzato in area paesisticamente vincolata, alla
posa di quattro gazebo in legno sulla terrazza di pertinenza
del ristorante, caratterizzati da una struttura precaria,
facilmente smontabile e asportabile.
Nel febbraio 2009,
previa segnalazione, i tecnici della polizia municipale
eseguivano un sopralluogo, riscontrando che erano in corso
interventi sulla copertura, con la sostituzione del telo
plastificato bianco con una struttura in grosse travi di
legno e non, come invece previsto, con materiali in perline
di legno e lamiera aggraffata, nonché con la
ripavimentazione e la dotazione di un impianto elettrico, di
climatizzazione e sonoro.
In seguito ai rilievi effettuati
dalla polizia municipale, il comune aveva quindi adottato
un'ordinanza di demolizione, alla quale il proprietario del
ristorante aveva risposto con la presentazione di una
domanda di sanatoria per le opere abusive realizzate.
Domanda rigettata perché la volumetria realizzata, era
incompatibile con il rispetto della disciplina urbanistico-edilizia
e con le norme tutelanti il vigente vincolo paesaggistico.
Il proprietario del ristorante, vedendosi negata la
sanatoria dei lavori apportati ai gazebo, proponeva ricorso.
I giudici amministrativi concludevano che il gazebo aveva
perso i connotati di precarietà e amovibilità che ne avevano
legittimato l'installazione
(articolo ItaliaOggi del 15.01.2013). |
EDILIZIA
PRIVATA:
I gazebo non proprio precari, ma funzionali a
soddisfare esigenze permanenti, vanno considerati come
manufatti alteranti lo stato dei luoghi, con un sicuro
incremento del carico urbanistico.
Ancora, i gazebo non proprio precari, ma funzionali a
soddisfare esigenze permanenti, vanno considerati come
manufatti alteranti lo stato dei luoghi, con un sicuro
incremento del carico urbanistico (cfr. Cons. Stato, V,
01.12.2003, n. 7822) (Consiglio di Stato, Sez. VI,
sentenza 12.12.2012 n. 6382 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA: Il
pergolato, avente natura
ornamentale, deve essere necessariamente realizzato in una
struttura leggera, facilmente amovibile perché priva di
fondamenta, e deve realizzare riparo e/o ombreggiatura di
superfici di modeste dimensioni.
Il secondo motivo è dedicato alla parte dell’ordine di
ripristino relativa ad alcune strutture in legno, delle
quali il ricorrente rivendica la legittimità, trattandosi, a
suo dire, di un “gazebo” oppure di un “pergolato”,
di una casetta da gioco per bambini e di alcuni depositi di
legna che non eccedono le sue ordinarie esigenze di vita.
Queste argomentazioni sono fondate solo per quanto riguarda
la casetta da gioco per bambini e la quantità del legname
presente.
La casetta da gioco, infatti, come ha rilevato il
verificatore, è l’unica presente nel lotto e, avendo un
tetto a due falde; dimensione in pianta non superiore a 4
mq. (precisamente m. 1,90 x 1.40); altezza al colmo pari a
2.20 m.; struttura in legno; assenza di collegamenti per le
forniture di servizi, rientra nelle attrezzature ed arredi
consentiti nelle aree pertinenziali degli edifici in base al
combinato disposto dell’art. 97, comma 1, lett. a-quater),
della l.p. 04.03.2008, n. 1, e dell’art. 22, comma 2, lett.
a), del D.P.P. 13.07.2010, n. 18-50/Leg.
Quanto alla più ampia struttura in legno adibita a tettoia,
si deve innanzitutto osservare che essa, all’opposto di
quanto asserisce il ricorrente, non può essere assimilata ad
un “gazebo” il quale, ai sensi dell’art. 22, comma 2,
lett. c), del citato D.P.P. n. 18-50/Leg. del 2010, deve
presentare una superficie coperta non maggiore di 20 mq.,
mentre la tettoia realizzata dal ricorrente ha una
superficie coperta pari a 26,98 mq.
La struttura di causa, infatti, provvista di una tettoia
costituita da lastre ondulate trasparenti e dotata di gronde
di copertura sui quattro lati, deve essere misurata con il
metodo di misurazione per gli elementi geometrici e per le
costruzioni indicato con l’allegato 1 della deliberazione
della Giunta provinciale 03.09.2010, n. 2023, adottata in
attuazione dell’art. 36, comma 2, della l.p. n. 1 del 2008.
In particolare, tale metodo prescrive che la superficie
coperta corrisponda al sedime comprensivo di tutti gli
aggetti rilevanti ai fini delle distanze. Ne consegue che la
tettoia di causa, pur avendo dimensioni in pianta pari a m.
2,85 x 6,10, presenta lo sporto della gronda sul fronte nord
lungo m. 1,60, quindi maggiore della misura limite per il
calcolo delle distanze pari a 1,50 m. (prescritta dall’art.
8, primo comma, lett. c), delle n.t.a. del p.r.g. di Pelugo).
In definitiva, pertanto, dovendosi conteggiare anche tale
elemento, la struttura in esame presenta una superficie
totale coperta di 26,98 mq.
La struttura di causa non può nemmeno definirsi un “pergolato”
che, ai sensi dell’art. 22, comma 2, lett. d), del già
citato D.P.P. n. 18-50/Leg. del 2010, è una “struttura
composta da elementi verticali e sovrastanti elementi
orizzontali in legno o altro materiale, tali da costituire
una composizione a rete, per il sostegno di piante
rampicanti”.
A ciò si deve aggiungere che la giurisprudenza
amministrativa ha precisato che tale manufatto, avente
natura ornamentale, deve essere necessariamente realizzato
in una struttura leggera, facilmente amovibile perché priva
di fondamenta, e che deve realizzare riparo e/o
ombreggiatura di superfici di modeste dimensioni (cfr., da
ultimo, C.d.S., sez. IV, 29.09.2011, n. 5409).
Nel caso di specie è stata invece realizzata una struttura
dotata di copertura, costituita da pilastri ancorati al
suolo e da travi in legno di importanti dimensioni: tutto
ciò la rende solida e robusta e non facilmente amovibile,
cosicché essa non può essere ritenuta un pergolato e,
quindi, un’opera non rilevante sotto il profilo edilizio (TRGA
Trentino Alto Adige-Trento,
sentenza 21.11.2012 n. 342 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA: Il
pergolato, rilevante ai fini edilizi, deve essere inteso
come un manufatto avente natura ornamentale, realizzato in
struttura leggera di legno o altro materiale di minimo peso,
facilmente amovibile in quanto privo di fondamenta, che
funge da sostegno per piante rampicanti, a mezzo delle quali
realizzare riparo e/o ombreggiatura di superfici di modeste
dimensioni; di conseguenza non è riconducibile alla nozione
di pergolato una struttura costituita da pilastri e travi in
legno di importanti dimensioni, tali da rendere la struttura
solida e robusta e da farne presumere una permanenza
prolungata nel tempo, possa essere ricondotta alla nozione
di pergolato.
Non rientra nella nozione di pergolato -e pertanto non è
soggetta a d.i.a., bensì al rilascio di un permesso di
costruire- un'opera costituita da pilastri e travi in legno
di importanti dimensioni, atti a rendere la struttura solida
e robusta. In tal caso, infatti, le rilevanti dimensioni e
consistenza delle travi utilizzate, il loro stabile
collegamento (nella specie a mezzo di bulloni e perni
metallici) con una platea cementizia appositamente
realizzata, la notevole estensione superficiaria ricoperta e
la presenza di una copertura (ancorché precaria) risultano
chiaro indice dell'essere preordinata, l'opera, ad un
utilizzo prolungato nel tempo e non certo provvisorio.
Sul punto va ricordato l’esistenza di una
pronuncia del Consiglio di Stato (sez. IV del 29.09.2011 n. 5409) che ha affermato come …”il pergolato,
rilevante ai fini edilizi, deve essere inteso come un
manufatto avente natura ornamentale, realizzato in struttura
leggera di legno o altro materiale di minimo peso,
facilmente amovibile in quanto privo di fondamenta, che
funge da sostegno per piante rampicanti, a mezzo delle quali
realizzare riparo e/o ombreggiatura di superfici di modeste
dimensioni; di conseguenza non è riconducibile alla nozione
di pergolato una struttura costituita da pilastri e travi in
legno di importanti dimensioni, tali da rendere la struttura
solida e robusta e da farne presumere una permanenza
prolungata nel tempo, possa essere ricondotta alla nozione
di pergolato".
Si consideri ancora come la Giurisprudenza prevalente
(per tutti si veda TAR Napoli Campania sez. VII 10.06.2011 n. 3099) ha sancito che ….”non rientra nella nozione
di pergolato -e pertanto non è soggetta a d.i.a., bensì al
rilascio di un permesso di costruire- un'opera costituita
da pilastri e travi in legno di importanti dimensioni, atti
a rendere la struttura solida e robusta. In tal caso,
infatti, le rilevanti dimensioni e consistenza delle travi
utilizzate, il loro stabile collegamento (nella specie a
mezzo di bulloni e perni metallici) con una platea
cementizia appositamente realizzata, la notevole estensione
superficiaria ricoperta e la presenza di una copertura
(ancorché precaria) risultano chiaro indice dell'essere
preordinata, l'opera, ad un utilizzo prolungato nel tempo e
non certo provvisorio”
(TAR Veneto, Sez. II,
sentenza 25.10.2012 n. 1290 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
Ai fini edilizi si intende per pergolato
un manufatto avente natura ornamentale realizzato in
struttura leggera di legno o altro materiale di minimo peso,
facilmente amovibile in quanto privo di fondamenta, che
funge da sostegno per piante rampicanti, attraverso le quali
realizzare riparo e/o ombreggiatura di superfici di modeste
dimensioni.
Mentre il pergolato costituisce una struttura aperta sia nei
lati esterni che nella parte superiore ed è destinato a
creare ombra, la tettoia può essere utilizzata anche come
riparo ed aumenta l’abitabilità dell’immobile.
Circa la nozione di pergolato, va rilevato che (cfr. Cons.
St. Sez. IV 29.09.2011 n. 5409) “ai fini edilizi si
intende per pergolato un manufatto avente natura ornamentale
realizzato in struttura leggera di legno o altro materiale
di minimo peso, facilmente amovibile in quanto privo di
fondamenta, che funge da sostegno per piante rampicanti,
attraverso le quali realizzare riparo e/o ombreggiatura di
superfici di modeste dimensioni”.
Al riguardo è stato altresì osservato (cfr. Cass. pen Sez.
III 19.05.2008 n. 19973) che mentre il pergolato costituisce
una struttura aperta sia nei lati esterni che nella parte
superiore ed è destinato a creare ombra, la tettoia può
essere utilizzata anche come riparo ed aumenta l’abitabilità
dell’immobile (TAR Lombardia-Brescia, Sez. I,
sentenza 29.08.2012 n. 1481 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
Gazebo in legno necessita permesso a costruire.
L’art. 3, lett. e.5), del d.P.R. n.
380/2001, ha lo scopo di frenare il fenomeno dei c.d. abusi
progressivi, infatti, riconduce alla nozione di intervento
di nuova costruzione, anche le istallazioni di strutture non
murarie, per le quali è sempre necessario il permesso di
costruire.
Una struttura in legno costituita da un unico manufatto, non
può essere qualificata come semplice gazebo, in quanto
assume la consistenza di un vero e proprio piano in
elevazione che deve essere oggetto di concessione edilizia e
di eventuale autorizzazione paesaggistica. I caratteri della
rimovibilità della struttura e dell’assenza di opere murarie
non rilevano per nulla, quando l’installazione attua una
consistente trasformazione del tessuto edilizio, in
conseguenza della sua conformazione e della sua destinazione
all’attività imprenditoriale.
Inoltre, il carattere pertinenziale dell'intervento non muta
il suo regime giuridico (d.i.a. in luogo di quello
concessorio), in quanto la nozione di pertinenza urbanistica
ha peculiarità proprie che la distinguono da quella
civilistica, dal momento che il manufatto, preordinato ad
un'oggettiva esigenza dell'edificio principale e
funzionalmente inserito al suo servizio, deve soprattutto
avere un volume modesto, rispetto all'edificio principale in
modo da escludere ogni ulteriore carico urbanistico.
In primo luogo, tale norma
regolamentare risulta implicitamente abrogata dall’art. 3,
lett. e.5), del d.P.R. 06.06.2001, n. 380, tra l’altro,
riconduce alla nozione di “intervento di nuova
costruzione" proprio “l'installazione di manufatti
leggeri, anche prefabbricati, e di strutture di qualsiasi
genere… che siano utilizzati come abitazioni, ambienti di
lavoro, oppure come depositi, magazzini e simili, e che non
siano diretti a soddisfare esigenze meramente temporanee”.
Pertanto, a tutto voler concedere, l’articolo 8 del
regolamento edilizio comunale, nel ricondurre la
realizzazione di un gazebo alla nozione di “manutenzione
straordinaria” da attuarsi con d.i.a. potrebbe, forse
riferirsi ai soli gazebo, con funzioni analoghe agli
ombrelloni, che costituiscono semplici arredi temporanei
della terrazza, ma sicuramente non concerneva una struttura
che, per le sue notevoli dimensioni strutturali e per il suo
impatto visivo, integrava un’ipotesi del tutto differente
(ma sul punto vedi amplius infra). In ogni caso cui
non vi era alcuna pregiudiziale necessità di impugnare la
detta normativa regolamentare.
Parimenti è inconferente l’assunto circa la pretesa
necessità di impugnativa della nota della Soprintendenza del
1998 sia perché per i “gazebo” occorre comunque il
permesso di costruire è conseguentemente e sia perché la
stessa risultava, comunque, del tutto superata della cogente
valenza dell'art. 167, comma 4°, lett. c) del D.L.vo
22.01.2004 n. 42, per cui, in zona vincolata, anche in caso
di “manutenzione straordinaria" di cui all'articolo 3
del d.P.R. 06.06.2001, n. 380 –come nel Comune di Forio-
devono essere comunque preceduti dalla previa verifica di
compatibilità paesaggistica dell'opera, con conseguente
irrilevanza dell'eventuale preventivo esercizio positivo del
controllo urbanistico/edilizio.
Per la giurisprudenza peraltro tale disciplina in caso di
realizzazione di “gazebo” deve sempre essere di
rigorosa applicazione (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 28.02.2005
n. 714)
(massima tratta
www.lexambiente.it - Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 30.07.2012 n. 4318 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
Una piscina di mq. 45 ha dimensioni
comunque tali da assumere un proprio, autonomo valore di
mercato, incidente sul pregio dell’immobile, sicché ne è
esclusa la qualificazione in termini di pertinenza.
---------------
Un gazebo di dimensioni non trascurabili (m. 2,45 per 2,45
con altezza di m. 2,55), per quanto non stabilmente infisso
al suolo, tuttavia viene a soddisfare un’esigenza di
carattere non precario.
Il ricorrente, proprietario di area sita in via Boccapiana
n. 14 del Comune di Palestrina, impugna l’ordine di
demolizione n. 84 del 2006, avente ad oggetto le seguenti
opere eseguite senza permesso di costruire: a) ampliamento
di fabbricato A già oggetto di concessione in sanatoria per
mq 68 al piano terra e mq 105 al primo piano; b) tamponatura
di fabbricato F destinato a tettoia e trasformato in
deposito; c) realizzazione di un gazebo in legno e di una
piscina di mq 45.
Il Tribunale premette che tutti questi interventi sono stati
esattamente ritenuti soggetti a permesso di costruire da
parte dell’amministrazione, con riferimento anche alla
piscina prefabbricata ed al gazebo il legno, per i quali il
ricorrente ritiene, invece, fosse necessaria la sola DIA.
Quanto alla piscina, infatti, essa ha dimensioni (mq 45)
comunque tali da assumere un proprio, autonomo valore di
mercato, incidente sul pregio dell’immobile, sicché, sulla
base della costante giurisprudenza di questo Tribunale, ne è
esclusa la qualificazione in termini di pertinenza.
Quanto al gazebo, si è in presenza anche in tal caso di una
nuova costruzione, di dimensioni non trascurabili (m. 2,45
per 2,45 con altezza di m. 2,55), che, per quanto non
stabilmente infissa al suolo, tuttavia viene a soddisfare
un’esigenza di carattere non precario del ricorrente.
È perciò infondato il secondo motivo di ricorso, con cui si
è sostenuto che gazebo e piscina fossero soggetti a DIA.
Ciò premesso, va rilevato che erroneamente il ricorrente
ritiene che l’atto impugnato si basi sull’art. 34 del d.P.R.
n. 380 del 2001, atteso che non si vede, né viene indicato
dal ricorrente stesso, quale permesso di costruire sarebbe
stato eseguito in parziale difformità: si è invece in
presenza di una nuova attività abusiva, eseguita in parte su
immobili già oggetto di sanatoria (fabbricato A e B), in
parte no (gazebo e piscina).
Con riferimento a queste ultime opere, una volta acquisita
la necessità del permesso di costruire, segue la legittimità
dell’ordine di demolizione ai sensi dell’art. 31 del d.P.R.
n. 380 del 2001, espressamente indicato dall’atto impugnato
quale base normativa del provvedimento.
Con riguardo agli interventi eseguiti sui fabbricati
preesistenti, quand’anche essi dovessero valutarsi alla luce
dell’art. 33 del d.P.R. n. 380 del 2001, anziché dell’art.
31 (ma su questo profilo il ricorrente non ha svolto alcuna
censura), in ogni caso, per costante giurisprudenza di
questo Tribunale, l’eventuale impossibilità di ripristino
dello stato originario non ha alcuna incidenza sulla
legittimità dell’ordine di demolizione, poiché si tratta di
circostanza rilevabile dall’amministrazione nella fase
esecutiva: è quindi infondato il primo motivo di ricorso,
con cui si lamenta che l’amministrazione non avrebbe potuto
ordinare la demolizione delle opere, senza motivare
previamente su di un simile profilo.
È infine infondato il terzo motivo: a fronte di un abuso
edilizio, l’attività repressiva della pubblica
amministrazione è vincolata dalla legge nell’an e nel
quomodo, sicché è incongruo evocare in tali casi il
principio di proporzionalità; né la circostanza che l’area
del ricorrente sia già gravemente compromessa
dall’abusivismo e rientri nella perimetrazione dei nuclei
abusivi esime dal munirsi nei necessari titoli abilitativi.
Quanto, infine, alla risalenza nel tempo delle opere,
neppure comprovata in fatto, è costante giurisprudenza di
questo Tribunale che si tratti di profilo irrilevante,
poiché il solo affidamento che l’ordinamento protegge è
quello legittimo, e non certo quello derivante da condotte
lesive della legge (TAR Lazio-Roma, Sez. I-quater,
sentenza 13.06.2012 n. 5386 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
La realizzazione mediante opere edilizie
di un pergolato caratterizzato da una solida struttura
–addirittura in cemento- di dimensioni non trascurabili, che
fa desumere una permanenza prolungata nel tempo del
manufatto stesso e delle utilità che esso è destinato ad
arrecare, comportando una trasformazione edilizia del
territorio, dev’essere qualificata come intervento di nuova
costruzione, che necessita di concessione edilizia.
Per costante giurisprudenza
–anche della Sezione- la realizzazione mediante opere
edilizie di un pergolato caratterizzato da una solida
struttura – addirittura in cemento - di dimensioni non
trascurabili, che fa desumere una permanenza prolungata nel
tempo del manufatto stesso e delle utilità che esso è
destinato ad arrecare, comportando una trasformazione
edilizia del territorio, dev’essere qualificata come
intervento di nuova costruzione, che necessita di
concessione edilizia (Cons. di St., IV, 02.10.2008, n. 4793;
TAR Liguria, I, 27.01.2012, n. 195; TAR Campania-Napoli, IV,
25.03.2011, n. 1746; TAR Emilia Romagna, II, 19.01.2011, n.
36)
(TAR Liguria. Sez. I,
sentenza 23.03.2012 n. 423 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
I gazebo che non abbiano carattere di
assoluta precarietà ma che siano funzionali a soddisfare
esigenze di carattere permanente devono essere apprezzati
quale manufatti che determinano una trasformazione del
territorio ed un’alterazione dello stato dei luoghi, dando
luogo, peraltro, ad un incremento del carico urbanistico.
Come affermato dalla consolidata giurisprudenza anche del
giudice d’appello, i gazebo che non abbiano carattere di
assoluta precarietà ma che siano funzionali a soddisfare
esigenze di carattere permanente devono essere apprezzati
quale manufatti che determinano una trasformazione del
territorio ed un’alterazione dello stato dei luoghi, dando
luogo, peraltro, ad un incremento del carico urbanistico
(cfr. ex multis, Cons. St., sez. V, 01.12.2003, n.
7822; TAR Trentino Alto Adige, Bolzano, 06.05.2005, n. 172).
Nella fattispecie oggetto di giudizio, l’intervento si è
sostanziato nella sostituzione dell’intera struttura
portante con travi in legno fisse e di grandi dimensioni e
tale sostituzione, unitamente alle altre circostanze emerse
nel corso dell’istruttoria (pavimentazione, dotazione di
impianto elettrico, di climatizzazione e sonoro), è stata
correttamente valutata dall’amministrazione che,
considerando l’opera nel sul complesso, ha legittimamente
adottato il provvedimento gravato.
L’intervento de quo è stato infatti realizzato, come
sopra esposto, in area sottoposta a vincolo paesaggistico;
come evidenziato dalla consolidata giurisprudenza per le
opere comportanti un aumento di volumetria o cubatura
l'autorizzazione paesaggistica non può essere rilasciata
ex post, non rientrando tale ipotesi tra le fattispecie
marginali -i c.d. abusi minori- che eccezionalmente
ammettono la sanatoria ambientale in deroga al divieto
generale di nulla-osta postumo.
Né è possibile ritenere, contrariamente a quanto sostenuto
dalla difesa del ricorrente con il secondo motivo di
ricorso, che l’intervento in esame sia da qualificare in
termini di manutenzione ordinaria o straordinaria.
Dalle considerazione sopra svolte in ordine alla valutazione
ed alla qualificazione dell’opera, emerge, infatti, che
l’intervento ha determinato una sostanziale e radicale
modificazione strutturale del manufatto, rilevante sotto il
profilo volumetrico ed incidente sul contesto circostante
tutelato (TAR Veneto, Sez. II,
sentenza 29.02.2012 n. 264 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
La realizzazione di un pergolato
mediante una solida struttura in legno di dimensioni non
trascurabili, che fa desumere una permanenza prolungata nel
tempo del manufatto stesso e delle utilità che esso è
destinato ad arrecare, comportando una trasformazione
edilizia del territorio, dev’essere qualificata come
intervento di nuova costruzione, che necessita di
concessione edilizia.
Per costante giurisprudenza, la realizzazione di un
pergolato mediante una solida struttura in legno di
dimensioni non trascurabili, che fa desumere una permanenza
prolungata nel tempo del manufatto stesso e delle utilità
che esso è destinato ad arrecare, comportando una
trasformazione edilizia del territorio, dev’essere
qualificata come intervento di nuova costruzione, che
necessita di concessione edilizia (Cons. di St., IV,
02.10.2008, n. 4793; TAR Campania-Napoli, IV, 25.03.2011, n.
1746; TAR Emilia Romagna, II, 19.01.2011, n. 36).
Né può ritenersi che l’opera in questione fosse soggetta al
regime autorizzatorio di cui all’art. 7, comma 2, lett. a),
del D.L. 23.01.1982, n. 9 (conv. in L. 25.03.1982, n. 94),
vuoi perché non conforme alle prescrizioni dello strumento
urbanistico allora vigente (che classifica l’area come verde
di salvaguardia inedificabile, cfr. art. 25 allegato alla
domanda di sanatoria), vuoi perché ricadente in area
sottoposta a vincolo dalla legge 29.06.1939, n. 1497 (cfr.
l’autorizzazione regionale di cui al doc. 4 delle produzioni
14.11.1996), vuoi, infine, perché il rapporto di
pertinenzialità è predicabile soltanto rispetto ad un
edificio, non già –secondo la tesi esposta in ricorso-
rispetto ad un fondo rustico (cfr. TAR Liguria, I,
23.05.2011, n. 812).
Ed è appena il caso di osservare che la mancata
sussumibilità dell’intervento nell’ambito delle opere
pertinenziali soggette ad autorizzazione gratuita lo fa
ricadere automaticamente nell’ambito di quelle soggette a
concessione edilizia.
Ne consegue l’infondatezza delle censure dedotte avverso il
diniego di sanatoria ex art. 13 L. n. 47/1985,
legittimamente emesso nei confronti di un intervento non
conforme alla vigente normativa di zona del P.R.G..
Ne consegue altresì l’infondatezza delle censure mosse
avverso l’ordine di demolizione ex art. 7 L. n. 47/1985,
legittimamente emesso per sanzionare l’esecuzione di opere
in assenza di concessione edilizia (TAR Liguria, Sez. I,
sentenza 27.01.2012 n. 195 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
anno 2011 |
|
EDILIZIA
PRIVATA:
L’assenza di una definizione normativa di
“pergolato” non esclude la valutazione dell’amministrazione
in ordine alla riconducibilità di un manufatto a tale
tipologia, né il successivo sindacato del giudice sulla
legittimità della stessa, sotto il profilo del vizio di
eccesso di potere per illogicità, irragionevolezza,
insufficienza e/o contraddittorietà della motivazione.
Orbene, il “pergolato”, rilevante ai fini edilizi, può
essere inteso come un manufatto avente natura ornamentale,
realizzato in struttura leggera di legno o altro materiale
di minimo peso, facilmente amovibile in quanto privo di
fondamenta, che funge da sostegno per piante rampicanti,
attraverso le quali realizzare riparo e/o ombreggiatura di
superfici di modeste dimensioni.
Questo Consiglio di Stato, proprio sulla base degli elementi
ora riportati, ha avuto modo di escludere che una struttura
costituita da pilastri e travi in legno di importanti
dimensioni, tali da rendere la struttura solida e robusta e
da farne presumere una permanenza prolungata nel tempo,
possa essere ricondotta alla nozione di “pergolato”.
Al contrario, è stata ritenuta rientrare nella nozione di
“pergolato” una struttura precaria, facilmente rimovibile,
costituita da una intelaiatura in legno non infissa al
pavimento né alla parete dell’immobile (cui è solo
addossata), non chiusa in alcun lato, compreso quello di
copertura.
L’appellante ritiene che, nel caso di specie, trattandosi di
un “pergolato” -così definito dall’amministrazione
con valutazione riportabile, in difetto di definizione
normativa, al merito amministrativo (pag. 11 app.), ovvero
alla discrezionalità tecnica, (pag. 12), e comunque non
sindacabile in sede di legittimità-, lo stesso è
perfettamente assentibile e realizzabile, in quanto, avendo
un ingombro inferiore a 25 mq., rientra nelle “opere non
rilevanti sotto il profillo edilizio”.
Alla luce di quanto esposto, la definizione della presente
controversia consegue, in sostanza, alla verifica della
natura (o meno) di “pergolato” del manufatto
realizzato.
A tal fine, occorre innanzi tutto osservare che l’assenza di
una definizione normativa di “pergolato” non esclude
la valutazione dell’amministrazione in ordine alla
riconducibilità di un manufatto a tale tipologia, né il
successivo sindacato del giudice sulla legittimità della
stessa, sotto il profilo del vizio di eccesso di potere per
illogicità, irragionevolezza, insufficienza e/o
contraddittorietà della motivazione.
Orbene, il “pergolato”, rilevante ai fini edilizi,
può essere inteso come un manufatto avente natura
ornamentale, realizzato in struttura leggera di legno o
altro materiale di minimo peso, facilmente amovibile in
quanto privo di fondamenta, che funge da sostegno per piante
rampicanti, attraverso le quali realizzare riparo e/o
ombreggiatura di superfici di modeste dimensioni.
Questo Consiglio di Stato (sez. IV, 02.10.2008 n. 4793),
proprio sulla base degli elementi ora riportati, ha avuto
modo di escludere che una struttura costituita da pilastri e
travi in legno di importanti dimensioni, tali da rendere la
struttura solida e robusta e da farne presumere una
permanenza prolungata nel tempo, possa essere ricondotta
alla nozione di “pergolato”.
Al contrario, è stata ritenuta (Cons. Stato, sez. V,
07.11.2005 n. 6193) rientrare nella nozione di “pergolato”
una struttura precaria, facilmente rimovibile, costituita da
una intelaiatura in legno non infissa al pavimento né alla
parete dell’immobile (cui è solo addossata), non chiusa in
alcun lato, compreso quello di copertura
(Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 29.09.2011 n. 5409 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
“Berceau” - Permesso di costruire -
Necessità - Esclusione.
Per la costruzione di manufatti di tipo “berceau”,
formati da intelaiatura metallica scoperta, non appare
necessario un titolo edilizio costituito dal permesso di
costruire (o dalla denuncia di inizio attività alternativa a
quest’ultimo): si tratta, infatti, di strutture precarie e
semplicemente poggiate al suolo, facilmente amovibili, non
idonee a creare nuovi volumi e quindi a determinare la <<trasformazione
urbanistica ed edilizia del territorio>>, che ai sensi
dell’art. 10 del DPR 380/2001 impone il permesso di
costruire.
La giurisprudenza ha del resto qualificato il c.d. “berceau”
come un’opera edilizia leggera, tipo pergolato, costituita
soltanto da una intelaiatura metallica o di legno, priva di
pareti e copertura, con eventuali piante rampicanti che
hanno però funzione meramente ornamentale (cfr. TAR
Lombardia, Brescia, sez. I, 17.11.2010, n. 4638) (TAR
Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 26.07.2011 n. 1995 - link a
www.ambientediritto.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
La struttura in questione [struttura
costituita da travi di legno di abete posti sia
verticalmente (con spessore di cm. 20 x 15 e fissati al
suolo con barre filettate e bulloni in ferro), che
orizzontalmente (con spessore di cm. 10 x 15, ancorati con
barre filettate e bulloni in ferro ai travi lamellari
posizionati in modo verticale), nonché da travicelli sempre
di legno di abete piallati e squadrati, aventi spessore di
cm. 5 x 5. Con posizionamento delle travi e dei travicelli,
la presenza di un ordito a doppia falda in legno nella parte
superiore della struttura, e un ingombro complessivo per una
superficie coperta di mq. 30 (mt. 6 x 5). La base del
manufatto è costituita da una platea di cemento armato, e lo
stesso è dotato di una copertura precaria (forse pagliarelle)
posta sull’ordito a doppia falda] non può essere ricondotta
alla tipologia del “pergolato” e deve qualificarsi quale
"nuova costruzione" che, in zona vincolata, presuppone il
preventivo rilascio dell'autorizzazione paesaggistica.
Ritiene il Collegio che la
struttura in questione [struttura costituita da travi di
legno di abete posti sia verticalmente (con spessore di cm.
20 x 15 e fissati al suolo con barre filettate e bulloni in
ferro), che orizzontalmente (con spessore di cm. 10 x 15,
ancorati con barre filettate e bulloni in ferro ai travi
lamellari posizionati in modo verticale), nonché da
travicelli sempre di legno di abete piallati e squadrati,
aventi spessore di cm. 5 x 5. Con posizionamento delle travi
e dei travicelli, la presenza di un ordito a doppia falda in
legno nella parte superiore della struttura, e un ingombro
complessivo per una superficie coperta di mq. 30 (mt. 6 x
5). La base del manufatto è costituita da una platea di
cemento armato, e lo stesso è dotato di una copertura
precaria (forse pagliarelle) posta sull’ordito a doppia
falda] non possa essere ricondotta alla tipologia del “pergolato”,
definibile come manufatto realizzato in struttura leggera di
legno che funge da sostegno per piante rampicanti o per
teli, il quale realizza in tal modo una ombreggiatura di
superfici di modeste dimensioni durante la bella stagione,
destinato ad un uso del tutto provvisorio e costituente
altresì un elemento ornamentale, e perciò assentibile con
d.i.a. (cfr. TAR Emilia Romagna–Bologna n° 36 del
19.01.2011; TAR Puglia–Bari n° 222 del 06.02.2009).
Al contrario, dev'essere qualificato intervento di nuova
costruzione, ai sensi dell'art. 3 D.P.R. n. 380/2001, la
realizzazione di un’opera costituita da pilastri e travi in
legno di importanti dimensioni, atti a rendere la struttura
solida e robusta e a far desumere una sua permanenza
prolungata nel tempo (cfr. Cons. di Stato sez. IV, n° 4793
del 02.10.2008; TAR Campania–Napoli n° 1438 del 12.03.2010):
proprio in quest’ultima ipotesi è inquadrabile invero la
fattispecie in discussione, posto che le rilevanti
dimensioni e consistenza delle travi utilizzate, il loro
stabile collegamento (a mezzo di bulloni e perni metallici)
con una platea cementizia appositamente realizzata, la
notevole estensione superficiaria ricoperta e la presenza di
una copertura (ancorché precaria) risultano chiaro indice
dell’essere preordinata l’opera ad un utilizzo prolungato
nel tempo e non certo provvisorio
Peraltro, appunto l’imponenza della costruzione (da valutare
comunque nella sua totalità e complessità –cfr. TAR
Lazio–Latina n° 259 del 10.05.2004)- conferisce alla stessa
caratteristiche di rilevanza edilizia, ambientale, estetica
e funzionale, pur in assenza di opere in muratura e di
chiusure perimetrali, con conseguente necessità di una sua
abilitazione a mezzo di permesso di costruire, in ogni caso
previo assenso dell’Autorità preposta alla tutela del
vincolo paesistico gravante in zona (non potendo farsi
rientrare l’opera in alcuna delle ipotesi in cui l’art. 149
Decr. Leg.vo 42/2004 esclude la necessità
dell’autorizzazione paesaggistica)
(TAR Campania-Napoli, Sez.
VII,
sentenza 10.06.2011 n. 3099 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
Gazebo - Natura di costruzione - Volume
edilizio - Esclusione.
Un gazebo, costituito da quattro colonne con sovrastante
copertura, non configura un volume edilizio, essendo aperta
su tutti i lati, e dunque non è soggetta a concessione
edilizia (TAR Piemonte, sez. I, 19.11.2010, n. 4158): esso
può senza dubbio essere qualificato come arredo per spazi
esterni e non già come costruzione, tale da richiedere una
concessione edilizia (Tribunale di Napoli, 18.12.2004) (TAR
Lombardia-Brescia, Sez. II,
sentenza 07.04.2011 n. 526 - link a
www.ambientediritto.it). |
anno 2010 |
|
EDILIZIA
PRIVATA:
Berceau - Nozione - Sostituzione della
copertura - Intervento di manutenzione straordinaria -
Copertura assimilabile ad un solaio - Locale coperto -
Qualifica di berceau - Esclusione.
Il berceau è
definibile come un’opera edilizia consistente in un
pergolato (solitamente in legno) coperto da piante
rampicanti.
L’aspetto caratteristico risiede nella mancanza di pareti e
di una copertura impermeabile, in quanto si tratta di una
struttura leggera nella quale deve essere garantito un
rapporto di continuità con lo spazio esterno. Il filtro
rispetto agli agenti atmosferici è costituito dalle foglie e
dalle travi che forniscono appoggio ai rampicanti.
È evidente che la maggiore o minore concentrazione di travi
di sostegno e la maggiore o minore distanza tra le stesse
sono fattori decisivi per stabilire se l’opera appartiene
alla tipologia del berceau o ad altre categorie edilizie,
come ad esempio i portici.
La sostituzione della copertura del berceau costituisce un
intervento di manutenzione straordinaria (art. 3, comma 1,
del DPR 380/2001). Naturalmente la condizione per rimanere
nella categoria della manutenzione straordinaria è che la
nuova copertura non snaturi le caratteristiche del berceau.
Se invece la nuova copertura risultasse assimilabile a un
vero e proprio solaio e i rampicanti avessero una funzione
puramente ornamentale saremmo di fronte a un’opera del tutto
diversa, ossia a un nuovo locale coperto, come tale non più
qualificabile né come berceau né come semplice pertinenza
dell’edificio (TAR Lombardia-Brescia, Sez. I,
sentenza 17.11.2010 n. 4638 - link a
www.ambientediritto.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
La realizzazione di una tettoia,
configurandosi quale opera di trasformazione urbanistica del
territorio non rientrante nella categoria delle pertinenze,
è subordinata al rilascio del permesso di costruire,
diversamente dal pergolato, che è una struttura aperta sia
lateralmente che nella parte superiore; la tettoia, invece,
può essere utilizzata anche come riparo ed aumenta quindi
l'abitabilità dell'immobile.
La nozione di pergolato si caratterizza per l’assenza di
tamponature laterali e di copertura. La trasformazione del
pergolato in tettoia (realizzata, come nel caso di specie,
in cemento e con copertura in tegole) determina la creazione
di un nuovo volume.
Sul punto la giurisprudenza ha affermato che la
realizzazione di una tettoia, configurandosi quale opera di
trasformazione urbanistica del territorio non rientrante
nella categoria delle pertinenze, è subordinata al rilascio
del permesso di costruire, diversamente dal pergolato, che è
una struttura aperta sia lateralmente che nella parte
superiore; la tettoia, invece, può essere utilizzata anche
come riparo ed aumenta quindi l'abitabilità dell'immobile
(Cass. Pen., sez. III, 25.02.2009, n. 10534) (TAR Liguria,
Sez. I,
sentenza 17.03.2010 n. 1168 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
anno 2009 |
|
EDILIZIA
PRIVATA:
Un pergolato costituito da struttura in
legno non infissa né al pavimento, né alla parete, né chiusa
su alcun lato, nemmeno sulla copertura, è da classificare
quale struttura precaria.
La giurisprudenza è costante nel ritenere che non sia
necessaria alcuna concessione edilizia allorché l’opera
consista in una struttura precaria, facilmente rimovibile,
non costituente trasformazione urbanistica del territorio,
come avviene nell’ipotesi di pergolato costituito da
struttura in legno non infissa né al pavimento, né alla
parete, né chiusa su alcun lato, nemmeno sulla copertura.
Deve, pertanto, ritenersi che tale intelaiatura può
qualificarsi come mero arredo di uno spazio esterno, che non
comporta realizzazione di superfici utili o volume
(Consiglio di Stato, Sez. V - sentenza 07.11.2005 n. 6193;
in senso analogo Tar Lazio-Roma, Sez. II - sentenza
28.03.2007 n. 2716).
Con riferimento all’ipotesi di specie si deve rilevare che,
come risulta dagli atti, il Comune ha sanzionato la
realizzazione di una <<struttura in legno dalle dimensioni
di mt. 6,00x3,20x3,20>>. Tale struttura è stata qualificata
quale gazebo nel verbale redatto dagli agenti dell’U.O.S.A.E.
In realtà, come è dato evincere dalla perizia giurata di
parte e dalle foto allegate, non oggetto di contestazione da
parte del Comune, tale struttura è priva di copertura ed è
destinata al sostegno di pianti rampicanti. La stessa
risulta agganciata alla parete con delle staffe che hanno la
funzione di evitarne l’oscillazione e non di rendere la
struttura solidale all’edificio: quindi ai sensi dell’art. 2
del Regolamento del Comune Edilizio di Napoli, deve essere
qualificata quale grillage e non quale gazebo.
Per la sua tipologia e per l’uso di materiali dal non
rilevante impatto visivo, come emerge anche dalle foto
depositate, può ritenersi, come sostenuto dal ricorrente, un
arredo dello spazio esterno con la conseguenza che la stessa
può farsi rientrare, fra le opere di manutenzione
straordinaria, ai sensi dell’articolo 6 del Regolamento
Edilizio del Comune di Napoli (cfr. in senso analogo Tar
Campania-Napoli Sez. IV - sentenza 02.12.2008, n. 20791)
(TAR Campania-Napoli, Sez. IV,
sentenza 14.08.2009 n. 4804 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
La chiusura di un “pergolato” con degli
infissi, per quanto asseritamente amovibili, è tale da
consolidare la struttura in questione rendendola, di fatto,
un locale chiuso fruibile autonomamente, il che si
sostanzia, evidentemente, in un aumento di volumetria.
In merito all’avvenuta presentazione di istanza di
sanatoria, va detto che, diversamente da quanto asserito in
ricorso, è stata presentata un’istanza di sanatoria ai sensi
dell’art. 37 D.P.R. d.lgs. 380/2001 (“interventi eseguiti
in assenza o in difformità dalla denuncia di inizio attività
e accertamento di conformità”) anziché ex art. 36 del
medesimo testo legislativo (relativo all’accertamento di
conformità delle opere eseguite in assenza di permesso di
costruire o, anche di D.I.A. ma nei casi particolari di cui
all’art. 22, co. 3, pacificamente non ricorrenti nel caso di
specie).
Tanto basterebbe a ritenere la censura infondata in fatto,
per l’evidente rilevanza del diverso riferimento normativo
in base a cui è stata effettivamente richiesta la sanatoria.
Può dirsi, però, nel merito, che non appare applicabile
l’art. 37 D.P.R. 380/2001 in quanto l’intervento edilizio
già menzionato, per quanto relativo a un’area ove già
insisteva un pergolato di legno, non è assentibile in base
alla presentazione di una mera denuncia di inizio attività.
In primo luogo, infatti, lo stesso pergolato, costituito da
legno e muratura, non sembra essere stato giammai assentito
da parte delle competenti autorità, né è dimostrata
l’inapplicabilità del regime autorizzatorio alla struttura
per l’eventuale risalenza della stessa ad epoca anteriore al
1967; è evidente che la preesistenza di un’immobile già
abusivo non può servire a lucrare un regime autorizzatorio
più favorevole per gli ulteriori interventi posti in essere
sul medesimo.
D’altro canto la chiusura del medesimo “pergolato”
con degli infissi, per quanto asseritamente amovibili, è
tale da consolidare la struttura in questione rendendola, di
fatto, un locale chiuso fruibile autonomamente, il che si
sostanzia, evidentemente, in un aumento di volumetria.
Quanto precede dimostra la necessità del permesso di
costruire e dell’attivazione della procedura di sanatoria ex
art. 36 D.P.R. 380/2001 in luogo di quella di cui all’art.
37 del medesimo Testo Unico (TAR Campania-Napoli, Sez. VI,
sentenza 29.07.2009 n. 4477 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
Differenza tra tettoia e pergolato -
Trasformazione urbanistica del territorio - Permesso di
costruire, DIA e normativa antisismica.
La realizzazione di una tettoia in quanto opera di
trasformazione urbanistica del territorio non rientrante
nella categoria delle pertinenze è subordinata al rilascio
della concessione edilizia ed attualmente del permesso di
costruire (Cass. pen. sez. 3 - n. 22126 del 03.06.2008). A
differenza del pergolato che è una struttura aperta sia
lateralmente che nella parte superiore, la tettoia, invero,
può essere utilizzata anche come riparo ed aumenta quindi
l’abitabilità dell'immobile (Cass. sez. 3 - n. 19973 del
19.05.2008). Non c'è dubbio, comunque, che il rilascio di
una DIA o anche del permesso di costruire non escluda gli
adempimenti richiesti dalla normativa antisismica.
Tettoie - Permesso di costruire -
Equiparazione di una tettoia ad un pergolato - Esclusione.
E' pacifico che il titolo abilitativo richiesto per le
tettoie è il permesso di costruire (a differenza del
pergolato essa può essere utilizzata anche come riparo). E'
illegittima pertanto l'equiparazione della tettoia ad un
pergolato e conseguentemente la ritenuta validità della DIA
rilasciata (Corte di Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 10.03.2009 n. 10534 - link a
www.ambientediritto.it). |
anno 2008 |
|
EDILIZIA
PRIVATA:
Differenza tra pergolato e tettoia.
Mentre il pergolato, costituisce una struttura
aperta sia nei lati esterni che nella parte superiore ed è
destinato a creare ombra, la tettoia può essere utilizzata
anche come riparo ed aumenta quindi l'abitabilità
dell'immobile. Per la realizzazione di una tettoia di non
modeste dimensioni, secondo l'orientamento della corte,
occorre il permesso di costruire (Corte di Cassazione, Sez.
III penale,
sentenza 19.05.2008 n. 19973
- link a www.lexambiente.it). |
anno 2007 |
|
EDILIZIA
PRIVATA:
La sostituzione della copertura del
gazebo da un telo di stoffa con un struttura in legno non
può che alterarne l’identità, assumendo i connotati di una
tettoia e mutandone in toto la funzione, oramai non più
meramente pertinenziale ed ornamentale.
Una tettoia è da considerarsi, in senso tecnico-giuridico,
una vera e propria costruzione assoggettata al requisito
della concessione, poiché difetta normalmente del carattere
di precarietà, trattandosi di opera destinata non a
sopperire esigenze temporanee e contingenti, con la sua
successiva rimozione ma durevole nel tempo ampliando così il
godimento dell’immobile.
E’ necessaria la concessione di costruzione per la
realizzazione di tettoie, giacché l’opera è idonea ad
escludere la natura pertinenziale e determinante la stessa
una consistente e durevole trasformazione urbanistica.
La sostituzione della copertura del gazebo da un telo di
stoffa con un struttura in legno non può che alterarne
l’identità, assumendo i connotati di una tettoia e mutandone
in toto la funzione, oramai non più meramente pertinenziale
ed ornamentale.
Secondo la giurisprudenza: <<Una
tettoia (…..) è da considerarsi, in senso tecnico-giuridico,
una vera e propria costruzione assoggettata al requisito
della concessione, poiché difetta normalmente del carattere
di precarietà, trattandosi di opera destinata non a
sopperire esigenze temporanee e contingenti, con la sua
successiva rimozione ma durevole nel tempo ampliando così il
godimento dell’immobile>> (Cass. 06.04.1988).
<<La tettoia non ha una propria autonomia individuale e
funzionale, ma si unisce ad una preesistente edificio ed
entra a far parte di esso costituendone opera accessoria
abbisognevole di concessione edilizia (……) dall’Autorità
preposta alla tutela del vincolo cui la zona è
assoggettabile>> (Cass. Pen., 13.03.2001, 9924).
<<E’ necessaria la concessione di costruzione per la
realizzazione di tettoie, giacché l’opera è idonea ad
escludere la natura pertinenziale (TAR Piemonte, 21.12.2000,
n. 1393) e determinante la stessa una consistente e durevole
trasformazione urbanistica>> (TAR, Campania, Napoli,
31.05.2001, n. 2469)
(TAR Campania-Napoli, Sez.
III,
sentenza 09.10.2007 n. 9134 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
|