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55-DISTANZA dalle PARETI FINESTRATE
56-DURC
57-EDICOLA FUNERARIA
58-EDIFICIO UNIFAMILIARE
59-ESPROPRIAZIONE
60-GESTIONE ASSOCIATA FUNZIONI COMUNALI
61-INCARICHI LEGALI e/o RESISTENZA IN GIUDIZIO
62-INCARICHI PROFESSIONALI E PROGETTUALI
63-INCENTIVO PROGETTAZIONE (ora INCENTIVO FUNZIONI TECNICHE)
64-INDUSTRIA INSALUBRE
65-L.R. 12/2005
66-L.R. 23/1997
67-L.R. 31/2014
68-LEGGE CASA LOMBARDIA
69-LICENZA EDILIZIA (necessità)
70-LOTTO EDIFICABILE - ASSERVIMENTO AREA - CESSIONE CUBATURA
71-LOTTO INTERCLUSO
72-MAPPE e/o SCHEDE CATASTALI (valore probatorio o meno)
73-MOBBING
74-MURO DI CINTA/RECINZIONE, DI CONTENIMENTO/SOSTEGNO, ECC.
75-OPERE PRECARIE
76-PARERE DI REGOLARITA' TECNICA, CONTABILE E DI LEGITTIMITA'
77-PATRIMONIO
78-PERGOLATO e/o GAZEBO e/o BERCEAU e/o DEHORS e/o POMPEIANA e/o PERGOTENDA e/o TETTOIA
79-PERMESSO DI COSTRUIRE (annullamento e/o impugnazione)
80-PERMESSO DI COSTRUIRE (decadenza)
81-PERMESSO DI COSTRUIRE (deroga)
82-PERMESSO DI COSTRUIRE (legittimazione richiesta titolo)
83-PERMESSO DI COSTRUIRE (parere commissione edilizia)
84-PERMESSO DI COSTRUIRE (prescrizioni)
85-PERMESSO DI COSTRUIRE (proroga)
86-PERMESSO DI COSTRUIRE (verifica in istruttoria dei limiti privatistici al rilascio)
87
-
PERMESSO DI COSTRUIRE (volturazione)
88-
PERTINENZE EDILIZIE ED URBANISTICHE
89-PIANI PIANIFICATORI ED ATTUATIVI
90-PIANI PIANIFICATORI ED ATTUATIVI (aree a standard)
91-PIF (Piano Indirizzo Forestale)
92-PISCINE
93-PUBBLICO IMPIEGO
94-PUBBLICO IMPIEGO (quota annuale iscrizione ordine professionale)
95-RIFIUTI E BONIFICHE
96-
RINNOVO/PROROGA CONTRATTI
97-RUDERI
98-
RUMORE
99-SAGOMA EDIFICIO
100-SANATORIA GIURISPRUDENZIALE E NON (abusi edilizi)
101-SCOMPUTO OO.UU.
102-SEGRETARI COMUNALI
103-SEMINTERRATI
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105-SICUREZZA SUL LAVORO
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dossier PERGOLATO e/o GAZEBO e/o BERCEAU e/o DEHORS e/o POMPEIANA e/o PERGOTENDA e/o TETTOIA
anno 2022

EDILIZIA PRIVATAPergolato e muro di cinta, ecco quando si superano i confini dell'edilizia libera.
Una tettoia che si vuole interpretare come pergolato.

Se ne è occupato il Consiglio di Stato (VI Sez.) nella sentenza 03.01.2022 n. 8.
Il caso riguarda due manufatti realizzati nel territorio che ricade in un comune trentino da un privato per scopi funzionali alla sua attività economica. I manufatti, che secondo il promotore sono «del tutto assimilabili a pergolati», erano in realtà strutture di dimensione rilevanti (la prima di ml 10x 23 metri fino a 3,6 m di altezza; la seconda 22,35x12 metri per 4 metri di altezza); ma soprattutto realizzate in un caso con travi e pilastri in legno e copertura in lamiera, e nell'altro caso con setti in cemento armato con sopralzo in legno (a costituire delle «vasche»).
Tutta un'altra cosa rispetto al pergolato, che -ha ricordato il Consiglio di Stato- per rientrare in tale definizione, ed essere quindi rubricabile nell'edilizia libera, deve essere «un manufatto leggero, amovibile e non infisso al pavimento, non solo privo di qualsiasi elemento in muratura da qualsiasi lato, ma caratterizzato dalla assenza di una copertura anche parziale con materiali di qualsiasi natura, e avente nella parte superiore gli elementi indispensabili per sorreggere le piante che servano per ombreggiare: in altri termini, la pergola è configurabile esclusivamente quando vi sia una impalcatura di sostegno per piante rampicanti e viti».
Peraltro, osservano i giudici in replica alla asserita precarietà e amovibilità delle opere realizzate, «dal punto di vista prettamente edilizio, si è consolidato l'orientamento in base al quale si deve seguire "non il criterio strutturale, ma il criterio funzionale", per cui un'opera se è realizzata per soddisfare esigenze che non sono temporanee –come nel caso di specie in cui i manufatti sono stabilmente funzionali alle esigenze dell'impresa- non può beneficiare del regime proprio delle opere precarie anche quando le opere sono state realizzate con materiali facilmente amovibili».
In un'altra sentenza pubblicata i primi di gennaio di quest'anno i giudici delle VI Sezione (sentenza 03.01.2022 n. 1) si sono pronunciati anche su un caso di diniego di sanatoria edilizia che ha interessato anche la realizzazione di un muro di cinta.
Al di là del caso specifico (che riguardava opere edili realizzati in difformità al progetto e su un manufatto plurivincolato) si ricorda il discrimine che separa il muro di cinta dal regime di edilizia libera, realizzabile previa Scia, dalla necessità di un titolo edilizio che richiede un assenso dell'ente locale.
«Per quanto riguarda il muro di cinta e quelli di contenimento -osservano i giudici- va ribadito il principio di diritto per cui i requisiti essenziali del muro di cinta sono costituiti dall'isolamento delle facce, dall'altezza non superiore a metri tre e dalla sua destinazione alla demarcazione della linea di confine e alla separazione e chiusura della proprietà». «Diversamente -prosegue la sentenza-, quando si è in presenza di un dislivello di origine artificiale, deve essere considerato costruzione in senso tecnico-giuridico il muro che assolve in modo permanente e definitivo anche alla funzione di contenimento di un terrapieno creato dall'opera dell'uomo» (articolo NT+Enti Locali & Edilizia del 17.01.2022).

anno 2021

EDILIZIA PRIVATA: Per la tettoia in lamiera serve il permesso di costruire
I lavori di completamento e realizzazione di tettoie in profilati in ferro coperte da lamiere grecate, di notevoli dimensioni, con la formazione di una cantinola interrata, sono ascrivibili alla categoria delle nuove costruzioni, per le quali è necessario il permesso di costruire.

Lo ha stabilito il TAR Campania-Napoli, Sez. III, con la sentenza 26.08.2021 n. 5628.
Il fatto
La sentenza in commento torna sul tema della corretta qualificazione urbanistica della tettoia. Nel caso di specie, si discuteva di un'ordinanza di demolizione per assenza di titolo edilizio, riguardante, tra l'altro:
   a) il completamento della tettoia posta sopra il solaio del secondo piano attualmente anche abitato;
   b) la realizzazione sul versante nord del lotto, di una tettoia con profilati in ferro coperta da lamiere grecate di circa mq 45,00 per un'altezza media di mt 2,90 che si presenta completa ed in uso;
   c) la realizzazione di una tettoia sul versante sud del lotto, profili in ferro e copertura in lamiera grecata di circa mq 24,00 per altezza media di mt 2,90 che si presenta completa ed in uso.
Secondo il ricorrente, queste tettoie erano riconducibili nell'ambito degli interventi di manutenzione straordinaria, per i quali non serve il permesso di costruire. Il Tar Campania, però, la pensa diversamente.
Nuove costruzioni
Secondo i giudici, la categoria della manutenzione straordinaria comprende solamente "le opere e le modifiche necessarie per rinnovare e sostituire parti anche strutturali degli edifici, nonché per realizzare ed integrare i servizi igienico-sanitari e tecnologici".
A tale categoria, dunque, non sono riconducibili il completamento e la realizzazione di tettoie in profilati in ferro coperte da lamiere grecate, come quelle in esame, di notevoli dimensioni, né tanto meno, la formazione di una cantinola interrata di circa mq 12,00 per altezza mt 4,00. Si tratta di interventi che implicano una "apprezzabile trasformazione urbanistico edilizia, con creazione di nuove superfici utili ed incremento della volumetria esistente".
Pertanto, sono ascrivibili agli interventi di nuova costruzione di cui all'art. 3, comma 1, lett. e), del Dpr 380/2001, come tali assoggettabili, ai sensi dell'art. 10 dello stesso Dpr, al permesso di costruire.
Trasformazione del territorio
Occorre, in tale caso, fare riferimento all'impatto effettivo che le opere generano sul territorio, con la conseguenza che si deve qualificare l'intervento edilizio quale nuova costruzione (con quanto ne consegue ai fini del previo rilascio dei necessari titoli abilitativi) laddove, avuto riguardo alla sua struttura e all'estensione dell'area relativa, esso si presenti idoneo a determinare significative trasformazioni urbanistiche ed edilizie.
Nello specifico, "quando le tettoie incidono sull'assetto edilizio preesistente, non possono essere considerate quali interventi di manutenzione straordinaria ai sensi dell' art. 3, comma 1, lett. b), Dpr n. 380 del 2001, in quanto non consistono nella rinnovazione o nella sostituzione di un elemento architettonico, ma nell'aggiunta di un elemento strutturale dell'edificio, con modifica del prospetto, perciò la relativa costruzione richiede il preventivo rilascio del permesso di costruire, non essendo assentibile con semplice Dia, anche in ragione della perdurante modifica dello stato dei luoghi".
Più in generale –si legge nella sentenza– è necessario il titolo edilizio e l'autorizzazione paesaggistica, in zona vincolata, per "ogni opera che arreca una trasformazione del territorio".
I precedenti in giurisprudenza
A sostengo del proprio ragionamento, il Tar richiama i precedenti giurisprudenziali in materia. In base all'art. 10, Dpr n. 380/2001, "sono subordinati a permesso di costruire gli interventi di nuova costruzione che, in base alle definizioni dettate dall'art. 3, comma 1, lett. e), del medesimo Dpr n. 380, sono quelli di trasformazione edilizia e urbanistica del territorio non rientranti nella manutenzione ordinaria o straordinaria, nel restauro e risanamento conservativo, ovvero nella ristrutturazione edilizia" (Tar Campania, Napoli, sez. III, 01/03/2019, n. 1154).
"Il legislatore identifica, dunque, le nuove costruzioni non solo (e non tanto) per le loro caratteristiche costruttive, ma piuttosto per il loro uso, ove sia destinato a soddisfare esigenze di carattere non meramente temporaneo" (Cons. di St., sez. IV, 28/01/2019, n. 667) (articolo NT+Enti Locali & Edilizia del 23.09.2021).
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SENTENZA
V.2.3. Con riguardo alla natura delle opere contestate, le stesse, diversamente da quanto sostenuto con il primo motivo di ricorso, non sono ascrivibili ad interventi di manutenzione straordinaria, concernendo, esclusivamente, quest’ultima “Le opere e le modifiche necessarie per rinnovare e sostituire parti anche strutturali degli edifici, nonché per realizzare ed integrare i servizi igienico-sanitari e tecnologici”.
A tale categoria non sono infatti riconducibili il completamento e la realizzazione di tettoie in profilati in ferro coperte da lamiere grecate, di notevoli dimensioni, circa mq 45,00 per un’altezza media di mt 2,90, nell’un caso, e di circa mq 24,00 per altezza media di mt 2,90, nell’altro caso, né, tanto meno, la formazione di una cantinola interrata di circa mq 12,00 per altezza mt 4,00, che, in quanto implicanti una apprezzabile trasformazione urbanistico edilizia, con creazione di nuove superfici utili ed incremento della volumetria esistente, sono invece ascrivibili agli interventi di nuova costruzione di cui all'art. 3, comma 1, lett. e), del d.P.R. n. 380/2001, come tali assoggettabili, ai sensi dell’art. 10 del medesimo d.P.R. 06.06.2001, n. 380, al permesso di costruire.
Occorre, in tale caso, fare riferimento all'impatto effettivo che le opere generano sul territorio, con la conseguenza che si deve qualificare l'intervento edilizio quale nuova costruzione (con quanto ne consegue ai fini del previo rilascio dei necessari titoli abilitativi) laddove, avuto riguardo alla sua struttura e all'estensione dell'area relativa, esso si presenti idoneo a determinare significative trasformazioni urbanistiche ed edilizie.
Nello specifico, “Quando le tettoie incidono sull'assetto edilizio preesistente, non possono essere considerate quali interventi di manutenzione straordinaria ai sensi dell' art. 3, comma 1, lett. b), D.P.R. n. 380 del 2001, in quanto non consistono nella rinnovazione o nella sostituzione di un elemento architettonico, ma nell'aggiunta di un elemento strutturale dell'edificio, con modifica del prospetto, perciò la relativa costruzione richiede il preventivo rilascio del permesso di costruire, non essendo assentibile con semplice DIA, anche in ragione della perdurante modifica dello stato dei luoghi” (TAR Campania, Napoli, sez. II, 29/04/2019, n. 2284).
Più in generale, “Necessita di titolo edilizio e di autorizzazione paesaggistica, in zona vincolata, ogni opera che arreca una trasformazione del territorio. In base all'art. 10, d.P.R. n. 380/2001, sono subordinati a permesso di costruire gli interventi di nuova costruzione che, in base alle definizioni dettate dall'art. 3, comma 1, lett. e), del medesimo d.P.R. n. 380, sono quelli di trasformazione edilizia e urbanistica del territorio non rientranti nella manutenzione ordinaria o straordinaria, nel restauro e risanamento conservativo, ovvero nella ristrutturazione edilizia” (TAR Campania, Napoli, sez. III, 01/03/2019, n. 1154).
Con la precisazione che “il legislatore identifica, dunque, le nuove costruzioni non solo (e non tanto) per le loro caratteristiche costruttive, ma piuttosto per il loro uso, ove sia destinato a soddisfare esigenze di carattere non meramente temporaneo” (Cons. di St., sez. IV, 28/01/2019, n. 667) (TAR Campania-Napoli, Sez. III, sentenza 26.08.2021 n. 5628 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAIn materia di realizzazione di gazebo la giurisprudenza ormai prevalente ritiene che:
   - per ‘gazebo’ si intende, nella sua configurazione tipica, una struttura leggera, non aderente ad altro immobile, coperta nella parte superiore ed aperta ai lati, realizzata con una struttura portante in ferro battuto, in alluminio o in legno strutturale, talvolta chiuso ai lati da tende facilmente rimuovibili. Spesso il gazebo è utilizzato per l'allestimento di eventi all’aperto, anche sul suolo pubblico, e in questi casi è considerata una struttura temporanea. In altri casi il gazebo è realizzato in modo permanente per la migliore fruibilità di spazi aperti come giardini o ampi terrazzi;
   - indubbiamente, in relazione ad alcune opere edilizie, normalmente di limitata consistenza e di esiguo impatto sul territorio, come pergolati, gazebo, tettoie, pensiline e pergotende, non è sempre agevole individuare il limite entro il quale esse possono farsi rientrare nel regime dell'edilizia libera o, invece, devono farsi ricadere nei casi di edilizia non libera per i quali è richiesta una comunicazione all'amministrazione preposta alla tutela del territorio o, addirittura, il rilascio di un permesso di costruire;
   - infatti, ad esempio, i gazebo che poggiano su piattaforme di calcestruzzo non sono strutture precarie, ma sono funzionali a soddisfare esigenze permanenti e vanno pertanto considerati come manufatti che alterano lo stato dei luoghi, con un sicuro incremento del carico urbanistico;
   - nello specifico, la natura di opera precaria non si evince dalla tipologia dei materiali utilizzati per la sua edificazione e, più in generale, dalle caratteristiche costruttive e di ancoraggio al suolo della stessa, quanto piuttosto da un elemento di tipo funzionale, dovendosi verificare se la stessa sia o meno destinata al soddisfacimento di esigenze durevoli, stabili e permanenti nel tempo;
   - in sostanza, occorre avere riguardo all’uso cui il manufatto è destinato, nel senso che, se le opere sono dirette al soddisfacimento di esigenze stabili e permanenti, deve escludersi la natura precaria, a prescindere dai materiali utilizzati e dalla tecnica costruttiva applicata;
   - anche ritenendo, dunque, il carattere smontabile o facilmente amovibile della struttura in ogni caso ai fini della qualificazione della natura dell'opera come precaria deve farsi riferimento alla sua destinazione e quindi, per mantenere il carattere di precarietà deve costituire un’opera che non sia funzionale al soddisfacimento di esigenze stabili e durature nel tempo;
   - non conduce a conclusioni diverse la considerazione che la struttura abbia carattere stagionale, in quanto "l'opera stagionale, diversamente da quella precaria, non è destinata a soddisfare esigenze contingenti ma ricorrenti, sia pure soltanto in determinati periodi dell'anno e, per tale motivo, è soggetta a permesso di costruire. Invero, il carattere stagionale dell'uso non implica la provvisorietà dell'attività, né di per sé la precarietà del manufatto ove la stessa si svolga, atteso che il rinnovarsi dell'attività con frequenza stagionale è indicativo della stabilità dell'attività e dell'opera a ciò destinata. Invero, la stagionalità dell'uso non esclude la destinazione del manufatto al soddisfacimento di esigenze permanenti nel tempo, pur quando lo stesso venga rimosso in determinati mesi dell'anno e successivamente, con cadenza periodica predeterminata, nuovamente installato’”.
I medesimi principi sono stati recentemente ribaditi dalla giurisprudenza della Sezione, laddove si è “precisato che ‘è fermo in giurisprudenza l’avviso per cui il gazebo è una struttura leggera, non aderente ad altro immobile, coperta nella parte superiore ed aperta ai lati, realizzata con una struttura portante in ferro battuto, in alluminio o in legno strutturale, talvolta chiuso ai lati da tende facilmente rimovibili, che può essere realizzato perlopiù come struttura temporanea’, con la conseguenza che quel che distingue la natura precaria d’un gazebo, che lo esonera dall'obbligo del possesso del p.d.c. non è solo la peculiare leggerezza della struttura di esso, ma l’esser funzionale ad esigenze ed a correlati usi specifici e temporalmente limitati, quindi giammai permanenti nel tempo”.
Va da sé che quanto rilevato dalla giurisprudenza in ordine ai gazebo si applichi –potrebbe dirsi a maggior ragione– con riferimento ai dehor, che rispetto ai primi presentano di norma caratteristiche strutturali più stabili e complesse.
Non è possibile, dunque, stabilire a priori ed univocamente se ai fini della realizzazione di un dehor sia o meno necessario ottenere preventivamente uno specifico permesso di costruire, dovendosi caso per caso operare una specifica valutazione non soltanto sulla base della tipologia della struttura, dei materiali in concreto utilizzati e del tipo di ancoraggio al suolo, ma anche (e soprattutto) in ordine alla idoneità o meno del manufatto al soddisfacimento di esigenze stabili e durature nel tempo, e questo al di là del suo carattere stagionale o meno.
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Quanto poi alla necessità o meno del preventivo permesso di costruire per la realizzazione di un dehor (o gazebo) si osserva che, “in punto di diritto (…):
   - l’art. 10 d.P.R. 380/2001 (nel testo in vigore all’epoca dei fatti) stabilisce che: ‘1. Costituiscono interventi di trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio e sono subordinati a permesso di costruire: a) gli interventi di nuova costruzione; b) gli interventi di ristrutturazione urbanistica; c) gli interventi di ristrutturazione edilizia che portino ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente e che comportino modifiche della volumetria complessiva degli edifici o dei prospetti, ovvero che, limitatamente agli immobili compresi nelle zone omogenee A, comportino mutamenti della destinazione d'uso, nonché gli interventi che comportino modificazioni della sagoma di immobili sottoposti a vincoli ai sensi del decreto legislativo 22.01.2004, n. 42 e successive modificazioni. (…)’;
   - l’art. 22, comma 1, del Testo unico edilizia dispone inoltre che: ‘Sono realizzabili mediante la segnalazione certificata di inizio di attività di cui all'articolo 19 della legge 07.08.1990, n. 241, nonché in conformità alle previsioni degli strumenti urbanistici, dei regolamenti edilizi e della disciplina urbanistico-edilizia vigente: a) gli interventi di manutenzione straordinaria di cui all'articolo 3, comma 1, lettera b), qualora riguardino le parti strutturali dell'edificio; b) gli interventi di restauro e di risanamento conservativo di cui all'articolo 3, comma 1, lettera c), qualora riguardino le parti strutturali dell'edificio; c) gli interventi di ristrutturazione edilizia di cui all'articolo 3, comma 1, lettera d), diversi da quelli indicati nell'articolo 10, comma 1, lettera c. (…)’;
   - l’art. 31 d.P.R. 380/2001, commi 1 e 2 (per quel che rileva nel presente giudizio), dispone quindi che: ‘1. Sono interventi eseguiti in totale difformità dal permesso di costruire quelli che comportano la realizzazione di un organismo edilizio integralmente diverso per caratteristiche tipologiche, planovolumetriche o di utilizzazione da quello oggetto del permesso stesso, ovvero l'esecuzione di volumi edilizi oltre i limiti indicati nel progetto e tali da costituire un organismo edilizio o parte di esso con specifica rilevanza ed autonomamente utilizzabile. 2. Il dirigente o il responsabile del competente ufficio comunale, accertata l'esecuzione di interventi in assenza di permesso, in totale difformità dal medesimo, ovvero con variazioni essenziali, determinate ai sensi dell’articolo 32, ingiunge al proprietario e al responsabile dell’abuso la rimozione o la demolizione, indicando nel provvedimento l’area che viene acquisita di diritto, ai sensi del comma 3. (…)’;
   - l’art. 3, punto e5), d.P.R. 380/2001 include tra le opere di ‘nuova costruzione’ ‘l'installazione di manufatti leggeri, anche prefabbricati, e di strutture di qualsiasi genere, quali roulottes, campers, case mobili, imbarcazioni, che siano utilizzati come abitazioni, ambienti di lavoro, oppure come depositi, magazzini e simili, ad eccezione di quelli che siano diretti a soddisfare esigenze meramente temporanee o siano ricompresi in strutture ricettive all'aperto per la sosta e il soggiorno dei turisti, previamente autorizzate sotto il profilo urbanistico, edilizio e, ove previsto, paesaggistico, in conformità alle normative regionali di settore
’.
In materia di realizzazione di gazebo la giurisprudenza ormai prevalente ritiene che:
   - per ‘gazebo’ si intende, nella sua configurazione tipica, una struttura leggera, non aderente ad altro immobile, coperta nella parte superiore ed aperta ai lati, realizzata con una struttura portante in ferro battuto, in alluminio o in legno strutturale, talvolta chiuso ai lati da tende facilmente rimuovibili. Spesso il gazebo è utilizzato per l'allestimento di eventi all’aperto, anche sul suolo pubblico, e in questi casi è considerata una struttura temporanea. In altri casi il gazebo è realizzato in modo permanente per la migliore fruibilità di spazi aperti come giardini o ampi terrazzi (cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 25.01.2017 n. 306);
   - indubbiamente, in relazione ad alcune opere edilizie, normalmente di limitata consistenza e di esiguo impatto sul territorio, come pergolati, gazebo, tettoie, pensiline e pergotende, non è sempre agevole individuare il limite entro il quale esse possono farsi rientrare nel regime dell'edilizia libera o, invece, devono farsi ricadere nei casi di edilizia non libera per i quali è richiesta una comunicazione all'amministrazione preposta alla tutela del territorio o, addirittura, il rilascio di un permesso di costruire (in tal senso Cons. Stato, Sez. VI, 24.12.2018 n. 7221);
   - infatti, ad esempio, i gazebo che poggiano su piattaforme di calcestruzzo non sono strutture precarie, ma sono funzionali a soddisfare esigenze permanenti e vanno pertanto considerati come manufatti che alterano lo stato dei luoghi, con un sicuro incremento del carico urbanistico (cfr. sul punto, tra le molte, Cons. Stato, Sez. VI, 12.12.2012 n. 6382 e Sez. V, 01.12.2003 n. 7822);
   - nello specifico, la natura di opera precaria non si evince dalla tipologia dei materiali utilizzati per la sua edificazione e, più in generale, dalle caratteristiche costruttive e di ancoraggio al suolo della stessa, quanto piuttosto da un elemento di tipo funzionale, dovendosi verificare se la stessa sia o meno destinata al soddisfacimento di esigenze durevoli, stabili e permanenti nel tempo (cfr. Cons. Stato, Sez. II, 30.10.2020 n. 6653);
   - in sostanza, occorre avere riguardo all’uso cui il manufatto è destinato, nel senso che, se le opere sono dirette al soddisfacimento di esigenze stabili e permanenti, deve escludersi la natura precaria, a prescindere dai materiali utilizzati e dalla tecnica costruttiva applicata (cfr. Cons. Stato, Sez. II, 24.07.2020 n. 4726 e 19.03.2020 n. 1951 nonché Sez. VI, 11.01.2018 n. 150);
   - anche ritenendo, dunque, il carattere smontabile o facilmente amovibile della struttura in ogni caso ai fini della qualificazione della natura dell'opera come precaria deve farsi riferimento alla sua destinazione e quindi, per mantenere il carattere di precarietà deve costituire un’opera che non sia funzionale al soddisfacimento di esigenze stabili e durature nel tempo (cfr., ancora, Cons. Stato, Sez. VI, 03.06.2014 n. 2842);
   - non conduce a conclusioni diverse la considerazione che la struttura abbia carattere stagionale, in quanto "l'opera stagionale, diversamente da quella precaria, non è destinata a soddisfare esigenze contingenti ma ricorrenti, sia pure soltanto in determinati periodi dell'anno e, per tale motivo, è soggetta a permesso di costruire. Invero, il carattere stagionale dell'uso non implica la provvisorietà dell'attività, né di per sé la precarietà del manufatto ove la stessa si svolga, atteso che il rinnovarsi dell'attività con frequenza stagionale è indicativo della stabilità dell'attività e dell'opera a ciò destinata. Invero, la stagionalità dell'uso non esclude la destinazione del manufatto al soddisfacimento di esigenze permanenti nel tempo, pur quando lo stesso venga rimosso in determinati mesi dell'anno e successivamente, con cadenza periodica predeterminata, nuovamente installato’ (cfr., in termini, Cons. Stato, Sez. VI, 13.01.2020 n. 309)” (così Consiglio di Stato, Sez. VI, n. 1203/2021).
I medesimi principi sono stati recentemente ribaditi dalla giurisprudenza della Sezione, laddove si è “precisato che ‘è fermo in giurisprudenza (cfr., per tutti, Cons. St., IV, 04.09.2013 n. 4438; id., VI, 25.01.2017 n. 306; id., II, 03.09.2019 n. 6068) l’avviso per cui il gazebo è una struttura leggera, non aderente ad altro immobile, coperta nella parte superiore ed aperta ai lati, realizzata con una struttura portante in ferro battuto, in alluminio o in legno strutturale, talvolta chiuso ai lati da tende facilmente rimovibili, che può essere realizzato perlopiù come struttura temporanea’ (Consiglio di Stato, sez. VI, n. 2365/2021), con la conseguenza che quel che distingue la natura precaria d’un gazebo, che lo esonera dall'obbligo del possesso del p.d.c. non è solo la peculiare leggerezza della struttura di esso, ma l’esser funzionale ad esigenze ed a correlati usi specifici e temporalmente limitati, quindi giammai permanenti nel tempo” (Consiglio di Stato, Sez. I, n. 791/2021).
Va da sé che quanto rilevato dalla giurisprudenza in ordine ai gazebo si applichi –potrebbe dirsi a maggior ragione– con riferimento ai dehor, che rispetto ai primi presentano di norma caratteristiche strutturali più stabili e complesse.
Non è possibile, dunque, stabilire a priori ed univocamente se ai fini della realizzazione di un dehor sia o meno necessario ottenere preventivamente uno specifico permesso di costruire, dovendosi caso per caso operare una specifica valutazione non soltanto sulla base della tipologia della struttura, dei materiali in concreto utilizzati e del tipo di ancoraggio al suolo, ma anche (e soprattutto) in ordine alla idoneità o meno del manufatto al soddisfacimento di esigenze stabili e durature nel tempo, e questo al di là del suo carattere stagionale o meno (Consiglio di Stato, Sez. I, parere 10.06.2021 n. 1022 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Il Collegio osserva che il gazebo in questione non riveste le caratteristiche fissate dalla giurisprudenza per consentire al proprietario l’esonero dall’obbligo di ottenere il permesso di costruire, che viene ammesso solo nell’ipotesi in cui sia verificabile la peculiare leggerezza della struttura e la sua fruibilità per esigenze temporanee e limitate nel tempo.
Questo Consiglio di Stato ha precisato che “è fermo in giurisprudenza l’avviso per cui il gazebo è una struttura leggera, non aderente ad altro immobile, coperta nella parte superiore ed aperta ai lati, realizzata con una struttura portante in ferro battuto, in alluminio o in legno strutturale, talvolta chiuso ai lati da tende facilmente rimovibili, che può essere realizzato perlopiù come struttura temporanea”, con la conseguenza che quel che distingue la natura precaria d’un gazebo, che lo esonera dall'obbligo del possesso del p.d.c. non è solo la peculiare leggerezza della struttura di esso, ma l’esser funzionale ad esigenze ed a correlati usi specifici e temporalmente limitati, quindi giammai permanenti nel tempo, che, nel caso di specie, non ricorrono.
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Con il secondo motivo, i ricorrenti deducono l’illegittimità dell’ordinanza di demolizione, che avrebbe ad oggetto un manufatto non rientrante nelle ipotesi sanzionate dall’art. 31, T.U. edilizia, dal momento che il gazebo sarebbe realizzabile previa presentazione di una mera d.i.a., la cui carenza è sanzionabile ai sensi dell’art. 37, avendo la struttura natura pertinenziale dell’appartamento sito al piano terra.
Anche tale doglianza è infondata.
L’ordinanza di rimozione è immune dai vizi denunciati anche con riferimento a quanto stabilito dall’art. 2, lett. i), del p.r.g. del Comune di Mercogliano, non impugnato, ai sensi del quale deve essere richiesto idoneo titolo edilizio anche per attività di “costruzione, restauro, modifica, demolizione e ricostruzione di: muri di cinta, cancellate, recinzioni prospicienti spazi di uso pubblico, chioschi permanenti o provvisori”, tra i quali si può certamente annoverare il gazebo in contestazione.
Dalla documentazione fotografica versata in atti, peraltro, è possibile osservare che il manufatto in contestazione consiste in una struttura ancorata al terreno tramite gettata di cemento e formata da quattro colonne in marmo, sovrastate da una copertura in muratura.
Al riguardo, il Collegio osserva che l’opera in questione non riveste le caratteristiche fissate dalla giurisprudenza per consentire al proprietario l’esonero dall’obbligo di ottenere il permesso di costruire, che viene ammesso solo nell’ipotesi in cui sia verificabile la peculiare leggerezza della struttura e la sua fruibilità per esigenze temporanee e limitate nel tempo.
Questo Consiglio di Stato ha precisato che “è fermo in giurisprudenza (cfr., per tutti, Cons. St., IV, 04.09.2013 n. 4438; id., VI, 25.01.2017 n. 306; id., II, 03.09.2019 n. 6068) l’avviso per cui il gazebo è una struttura leggera, non aderente ad altro immobile, coperta nella parte superiore ed aperta ai lati, realizzata con una struttura portante in ferro battuto, in alluminio o in legno strutturale, talvolta chiuso ai lati da tende facilmente rimovibili, che può essere realizzato perlopiù come struttura temporanea” (Consiglio di Stato, sez. VI, n. 2365/2021), con la conseguenza che quel che distingue la natura precaria d’un gazebo, che lo esonera dall'obbligo del possesso del p.d.c. non è solo la peculiare leggerezza della struttura di esso, ma l’esser funzionale ad esigenze ed a correlati usi specifici e temporalmente limitati, quindi giammai permanenti nel tempo, che, nel caso di specie, non ricorrono (Consiglio di Stato, Sez. I, parere 28.04.2021 n. 791 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: E' fermo in giurisprudenza l’avviso per cui il gazebo è una struttura leggera, non aderente ad altro immobile, coperta nella parte superiore ed aperta ai lati, realizzata con una struttura portante in ferro battuto, in alluminio o in legno strutturale, talvolta chiuso ai lati da tende facilmente rimovibili, che può essere realizzato perlopiù come struttura temporanea.
Come si vede, quel che distingue la natura precaria d’un gazebo, che lo esonera dall'obbligo del possesso del PDC, non è solo la peculiare leggerezza della struttura di esso, ma l’esser funzionale ad esigenze ed a correlati usi specifici e temporalmente limitati, quindi giammai permanenti nel tempo.

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7. – Non a diversa conclusione ritiene il Collegio di pervenire con riferimento alla natura del gazebo sito di fronte all’ingresso dell’esercizio commerciale dell’appellante.
Già con la memoria del 21.10.2019 in primo grado, ella aveva precisato che il gazebo esisteva in situ prima del 1967, con pari dimensione e nella stessa posizione in cui si trova attualmente. Tale opera fu poi adeguata con la SCIA n. 1766/2011, per esser poi rifatta nella sua attuale consistenza, a seguito dei danni, compreso il disancoraggio, derivanti da un evento atmosferico straordinario.
Ora, dall’unica fotografia rinvenibile nel PAT, a prima vista risalente alla metà degli anni ’60 del secolo scorso, s’evince uno scorcio di gabbiotto metallico alquanto più basso dell’attuale porta d’ingresso all’esercizio commerciale attoreo, sita a SX del portoncino del fabbricato principale. Ma agli occhi del Collegio, in disparte l’obbligo dell’appellante di dimostrare con serietà e rigore il tempo della costruzione e le specifiche caratteristiche di essa (e non il contrario, come dice, sbagliando, anzi contraddicendosi, l’appellante a pag. 11 del ricorso in epigrafe), è comunque irrilevante che l’opera fosse lì da prima del 1967, rilevandone piuttosto la sua sostituzione con quella oggetto della SCIA del 2011 e, in particolare, le sue attuali consistenza e funzione.
Ebbene, è fermo in giurisprudenza (cfr., per tutti, Cons. St., IV, 04.09.2013 n. 4438; id., VI, 25.01.2017 n. 306; id., II, 03.09.2019 n. 6068) l’avviso per cui il gazebo è una struttura leggera, non aderente ad altro immobile, coperta nella parte superiore ed aperta ai lati, realizzata con una struttura portante in ferro battuto, in alluminio o in legno strutturale, talvolta chiuso ai lati da tende facilmente rimovibili, che può essere realizzato perlopiù come struttura temporanea. Come si vede, quel che distingue la natura precaria d’un gazebo, che lo esonera dall'obbligo del possesso del PDC, non è solo la peculiare leggerezza della struttura di esso, ma l’esser funzionale ad esigenze ed a correlati usi specifici e temporalmente limitati, quindi giammai permanenti nel tempo.
Ebbene, l’impugnata sentenza ha dato specifica contezza dell’impossibilità d’assimilare l’opera realizzata dall’odierna appellante ad un gazebo propriamente detto, per la definizione evincibile dai citati arresti invece ad ospitare in maniera permanente gli avventori della struttura, in ampliamento della superficie fruibile dell’esercizio commerciale gestito dall’appellante. Né ella smentisce in fatto tali considerazioni, poiché ha affermato nel ricorso al TAR che «… il gazebo veniva costruito con struttura in legno prefabbricata, semovibile ed ancorata al suolo con bulloni facilmente svitabili …», ossia elementi che ne escludono le caratteristiche dell’effettiva precarietà ed un uso limitato nel tempo.
Tal ultimo argomento s’appalesa dirimente: a parte che la superficie occupata dal gazebo non è inferiore a mq 20, in ogni caso l’area d’intervento ricade in zona E–agricola di PRG. Ma il relativo R.E.C. non ammette opere comunque infisse al suolo a distanza inferiore a m 20 dal ciglio stradale e, poiché detto gazebo è funzionalmente infisso al suolo sine die —soddisfacendo un’utilità di tipo economico non limitato ad un dato periodo ed anch’essa, quindi, di fatto non precaria—, esso non può restare in quel luogo ed in quelle dimensioni. Infatti, l’area non consente alcuna edificazione ex novo, se non le ordinarie manutenzioni conservative dello stabile già esistente
(Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 18.03.2021 n. 2365 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Cos’è il gazebo?
Il gazebo (struttura a copertura di un’area, sorretta da pali o pilastri (aperta sui lati) costituisce opera soggetta a permesso a costruire tutte le volte che è destinata ad esigenze non temporanee, senza che rilevi la sua facile amovibilità o il materiale dal quale è composto (ligneo invece che in muratura).
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Sebbene, al tempo di realizzazione dell’abuso, la giurisprudenza non fosse univoca circa la necessità di un permesso di costruire per la realizzazione di strutture simili a quella di cui si discute (si vedano, a favore di questa soluzione ex plurimis TAR Bolzano, 06/05/2005, n. 172; TAR Napoli, sez. IV, 15/09/2008, n. 10138; TAR Napoli, sez. IV, 12/01/2009, n. 68; Consiglio di Stato, sez. VI, 12/12/2012, n. 6382; contra TAR Napoli, sez. IV, 19/01/2012, n. 238; TAR Brescia, sez. II, 07/04/2011, n. 526; TAR Roma, sez. II, 13/10/2010, n. 32802), l’orientamento si è consolidato nel senso di ritenere che il gazebo (struttura a copertura di un’area, sorretta da pali o pilastri (aperta sui lati) costituisce opera soggetta a permesso a costruire tutte le volte che è destinata ad esigenze non temporanee (TAR Lecce, sez. I, 27/02/2020, n. 257; TAR Napoli, sez. VIII, 06/12/2019, n. 5733), senza che rilevi la sua facile amovibilità o il materiale dal quale è composto (ligneo invece che in muratura).
Nel caso di specie, come risulta con assoluta evidenza, il gazebo della ricorrente è stato realizzato in area cortilizia, addossandolo all’angolo della recinzione in muratura (che rende di fatto chiusi i due lati corrispondenti) con una struttura che, sebbene in legno, è evidentemente stabile, ovvero preordinata ad una esigenza permanente di copertura di una porzione di tale area, con la conseguenza che non può predicarsene una natura meramente temporanea (TAR Lazio-Roma, Sez. II-bis, sentenza 05.01.2021 n. 178 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

anno 2020

EDILIZIA PRIVATA: Il gazebo in legno è edilizia libera non soggetta alle norme antisimiche.
Il gazebo di legno non va sottoposto a collaudo sulla staticità perché va qualificato tra gli «interventi privi di rilevanza per la pubblica incolumità» in quanto non è del tipo di opere edilizie –quali i conglomerati cementizi o le strutture metalliche- elencate dall'articolo 53 del Dpr 380/2001 (Testo unico dell'edilizia).
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2. Avverso la sentenza del Tribunale di Rimini ha proposto ricorso per cassazione il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Rimini.
2.1. Con il primo motivo si deduce la violazione degli artt. 95 d.P.R. 380/2001 e 53, 67, 75 d.P.R. 380/2001, in relazione ai capi f), g), h) punto 2.
Il Tribunale avrebbe errato nel ritenere che il gazebo oggetto delle fattispecie di reato ascritte agli imputati potesse rientrare fra i c.d. IPRiPi (Interventi Privi di Rilevanza per la Pubblica Incolumità), senza necessità di autorizzazione sismica.
Il giudice di primo grado avrebbe in questo modo ripetuto l'errore commesso dal tribunale del riesame la cui decisione era stata annullata con rinvio da parte della Suprema Corte.
Quanto al capo h) punto 2, si afferma che «anche Gu. risponde, poiché appare di assoluta normalità che il falso sia stato concordato tra Ca. (che non ha un interesse esclusivo sul punto) e Gu. ...».
2.2. Con il secondo motivo si deduce la violazione dell'art. 44 d.P.R. 380/2001 anche in relazione all'art. 6 d.P.R. 380/2001, quanto al capo e). Il Tribunale avrebbe errato nel ricondurre la costruzione del manufatto nell'ambito dell'edilizia libera.
...
1. Il ricorso è manifestamente infondato.
1.1. Quanto al capo f), deve rilevarsi che il Tribunale ha correttamente escluso la sussistenza del reato in quanto l'art. 67 del d.P.R. 380/2001 prevede che il collaudo statico riguardi solo le costruzioni di cui all'articolo 53, comma 1 del d.P.R.
Le strutture in legno, come quelle in esame, non rientrano tra quelle previste nell'art. 53, comma 1, d.P.R. 380/2001 (1. Ai fini del presente testo unico si considerano: a) opere in conglomerato cementizio armato normale, quelle composte da un complesso di strutture in conglomerato cementizio ed armature che assolvono ad una funzione statica; b) opere in conglomerato cementizio armato precompresso, quelle composte di strutture in conglomerato cementizio ed armature nelle quali si imprime artificialmente uno stato di sollecitazione addizionale di natura ed entità tali da assicurare permanentemente l'effetto statico voluto; c) opere a struttura metallica quelle nelle quali la statica è assicurata in tutto o in parte da elementi strutturali in acciaio o in altri metalli) (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 24.04.2020 n. 12851).

EDILIZIA PRIVATA: Gazebo: quando occorre il permesso di costruire?
Con riferimento ai gazebo, si osserva che, secondo la giurisprudenza prevalente, l'intervento edilizio che ha comportato la sistemazione degli spazi esterni (viali pedonali e muretti di perimetrazione, gazebo, pensiline), è annoverabile nel concetto di “nuova costruzione” di cui all'art. 3, lett. e), d.P.R. n. 380/2001, che riguarda ogni trasformazione urbanistica del territorio non rientrante nelle categorie della manutenzione ordinaria e straordinaria, del restauro e risanamento conservativo e della ristrutturazione edilizia, e che comprende qualunque manufatto autonomo o modificativo di altro preesistente, necessitante in base al successivo art. 10 del permesso a costruire e sanzionabile, in sua mancanza, con la sanzione della demolizione ex art. 31.
Ancora, si rileva che i manufatti funzionali a soddisfare esigenze permanenti, devono essere considerati come idonei ad alterare lo stato dei luoghi, con un sicuro incremento del carico urbanistico, non rilevando la precarietà strutturale del manufatto, la rimovibilità della struttura e l'assenza di opere murarie; ciò in quanto il manufatto non precario (es.: gazebo o chiosco) non è utilizzato per fini contingenti, ma è destinato ad un utilizzo reiterato nel tempo, in quanto opere realizzate per attività stagionali. Deve pertanto rilevarsi come, ai fini dell'esonero dall'obbligo del possesso del permesso di costruire, l'opera precaria deve essere destinata ad un uso temporalmente limitato del bene, mentre la stagionalità dell'uso non esclude la destinazione del manufatto al soddisfacimento di esigenze permanenti nel tempo.
Infine, gli interventi consistenti nella installazione di tettoie o di altre strutture analoghe, quali i gazebo, che siano comunque apposte a parti di preesistenti edifici come strutture accessorie di protezione o di riparo di spazi liberi, non possono ritenersi installabili senza permesso di costruire allorquando le loro dimensioni sono di entità tale da arrecare una visibile alterazione all'edificio o alle parti dello stesso su cui vengono inserite.
Orbene, nel caso in esame, i gazebo presentano delle dimensioni importanti (circa 20 mq complessivi) e, quindi, non tali da consentire che l’opera possa essere ritenuta, in senso urbanistico, qualificata come meramente accessoria al manufatto principale, di cui modifica la sagoma e i prospetti. Né possono essere ritenuti “precari”, in quanto sono destinati a garantire un’utilità stabile nel tempo.
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4.3. Con riferimento, infine, ai due gazebo, si osserva che, secondo la giurisprudenza prevalente dalla quale non si ravvisano ragioni per discostarsi, l'intervento edilizio che ha comportato la sistemazione degli spazi esterni (viali pedonali e muretti di perimetrazione, gazebo, pensiline), è annoverabile nel concetto di “nuova costruzione” di cui all'art. 3, lett. e), d.P.R. n. 380/2001, che riguarda ogni trasformazione urbanistica del territorio non rientrante nelle categorie della manutenzione ordinaria e straordinaria, del restauro e risanamento conservativo e della ristrutturazione edilizia, e che comprende qualunque manufatto autonomo o modificativo di altro preesistente, necessitante in base al successivo art. 10 del permesso a costruire e sanzionabile, in sua mancanza, con la sanzione della demolizione ex art. 31 (TAR Napoli n. 5313/2018).
Ancora, si rileva che i manufatti funzionali a soddisfare esigenze permanenti, devono essere considerati come idonei ad alterare lo stato dei luoghi, con un sicuro incremento del carico urbanistico, non rilevando la precarietà strutturale del manufatto, la rimovibilità della struttura e l'assenza di opere murarie; ciò in quanto il manufatto non precario (es.: gazebo o chiosco) non è utilizzato per fini contingenti, ma è destinato ad un utilizzo reiterato nel tempo, in quanto opere realizzate per attività stagionali. Deve pertanto rilevarsi come, ai fini dell'esonero dall'obbligo del possesso del permesso di costruire, l'opera precaria deve essere destinata ad un uso temporalmente limitato del bene, mentre la stagionalità dell'uso non esclude la destinazione del manufatto al soddisfacimento di esigenze permanenti nel tempo (TAR Lecce n. 666/2019).
Infine, gli interventi consistenti nella installazione di tettoie o di altre strutture analoghe, quali i gazebo, che siano comunque apposte a parti di preesistenti edifici come strutture accessorie di protezione o di riparo di spazi liberi, non possono ritenersi installabili senza permesso di costruire allorquando le loro dimensioni sono di entità tale da arrecare una visibile alterazione all'edificio o alle parti dello stesso su cui vengono inserite.
Orbene, nel caso in esame, i gazebo presentano delle dimensioni importanti (circa 20 mq complessivi) e, quindi, non tali da consentire che l’opera possa essere ritenuta, in senso urbanistico, qualificata come meramente accessoria al manufatto principale, di cui modifica la sagoma e i prospetti. Né possono essere ritenuti “precari”, in quanto sono destinati a garantire un’utilità stabile nel tempo.
Conseguentemente anche questa censura deve trovare accoglimento (TAR Puglia-Lecce, Sez. I, sentenza 27.02.2020 n. 257 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Il pergolato «ha una funzione ornamentale, è realizzato in una struttura leggera in legno o in altro materiale di minimo peso, deve essere facilmente amovibile in quanto privo di fondamenta, e funge da sostegno per piante rampicanti, attraverso le quali realizzare riparo e ombreggiatura di superfici di modeste dimensioni».
Sicché quando il pergolato viene coperto nella parte superiore (anche per una sola porzione) con una struttura non facilmente amovibile (realizzata con qualsiasi materiale) viene assoggettato alle regole dettate per la realizzazione delle tettoie.

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Quanto al pergolato (non rilevando in questa sede il fatto che sia stato realizzato in luogo di una preesistente superfetazione non autorizzata), esso, secondo l’indirizzo giurisprudenziale maturato nella materia, «ha una funzione ornamentale, è realizzato in una struttura leggera in legno o in altro materiale di minimo peso, deve essere facilmente amovibile in quanto privo di fondamenta, e funge da sostegno per piante rampicanti, attraverso le quali realizzare riparo e ombreggiatura di superfici di modeste dimensioni» (Cons. di Stato, IV, sent. n. 5409/2011); sicché quando il pergolato viene coperto nella parte superiore (anche per una sola porzione) con una struttura non facilmente amovibile (realizzata con qualsiasi materiale) viene assoggettato alle regole dettate per la realizzazione delle tettoie (Cons. di Stato, VI, sent. n. 306/2017, cit.) (TAR Campania-Napoli, Sez. VII, sentenza 24.02.2020 n. 837 - link a www.giustizia-amministrartiva.it).

EDILIZIA PRIVATALa pergotenda è una struttura destinata a rendere meglio vivibili gli spazi esterni delle unità abitative (terrazzi o giardini) ed è volta a soddisfare esigenze non precarie; non si connota, pertanto, per la temporaneità della sua utilizzazione, ma costituisce un elemento di migliore fruizione dello spazio esterno, stabile e duraturo.
Essa “è qualificabile come mero arredo esterno quando è di modeste dimensioni, non modifica la destinazione d'uso degli spazi esterni ed è facilmente ed immediatamente rimovibile, con la conseguenza che la sua installazione si va ad inscrivere all'interno della categoria delle attività di edilizia libera e non necessita quindi di alcun permesso”.
In particolare, la giurisprudenza amministrativa, “con riferimento a strutture tipo “gazebo”, ne ha ritenuto l’inquadramento nel regime pertinenziale e di manutenzione straordinaria solo con riferimento a manufatti di modeste dimensioni e consistenza, aventi funzioni di riparo dagli agenti atmosferici, costituenti semplici arredi, mentre ha escluso i manufatti che, per le apprezzabili dimensioni strutturali, per l'impatto visivo, il non trascurabile "carico urbanistico", la loro conformazione e destinazione all'attività imprenditoriale, la rilevante alterazione della sagoma esterna dell'immobile, implicano una incidenza significativa sull'assetto urbanistico ed una consistente trasformazione del tessuto edilizio”.
Per configurare una pergotenda, in quanto tale non necessitante di titolo abilitativo, pur non essendo destinata a soddisfare esigenze precarie, occorre che l’opera principale sia costituita non dalla struttura in sé, ma dalla tenda, quale elemento di protezione dal sole o dagli agenti atmosferici, mentre la struttura deve qualificarsi in termini di mero elemento accessorio, necessario al sostegno e all’estensione della tenda; non è invece configurabile una pergotenda se la struttura principale è solida e permanente e, soprattutto, tale da determinare una evidente variazione di sagoma e di prospetto dell'edificio.
Va altresì esclusa la connotazione di pergotenda quando la copertura e/o la chiusura perimetrale presentino elementi di fissità, stabilità e permanenza, anche per una limitata porzione; in tal caso, pur non potendosi parlare di organismo edilizio connotantesi per la creazione di nuovo volume o superficie, il titolo edilizio deve ritenersi comunque necessario.
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2.1. La pergotenda è una struttura destinata a rendere meglio vivibili gli spazi esterni delle unità abitative (terrazzi o giardini) ed è volta a soddisfare esigenze non precarie; non si connota, pertanto, per la temporaneità della sua utilizzazione, ma costituisce un elemento di migliore fruizione dello spazio esterno, stabile e duraturo (Cons. Stato, sez. VI, 25.01.2017, n. 306 e 27.04.2016, n. 1619).
Essa “è qualificabile come mero arredo esterno quando è di modeste dimensioni, non modifica la destinazione d'uso degli spazi esterni ed è facilmente ed immediatamente rimovibile, con la conseguenza che la sua installazione si va ad inscrivere all'interno della categoria delle attività di edilizia libera e non necessita quindi di alcun permesso” (Consiglio di Stato, sez. VI, 11.04.2014, n. 1777).
In particolare, la giurisprudenza amministrativa, “con riferimento a strutture tipo “gazebo”, ne ha ritenuto l’inquadramento nel regime pertinenziale e di manutenzione straordinaria solo con riferimento a manufatti di modeste dimensioni e consistenza, aventi funzioni di riparo dagli agenti atmosferici, costituenti semplici arredi, mentre ha escluso i manufatti che, per le apprezzabili dimensioni strutturali, per l'impatto visivo, il non trascurabile "carico urbanistico", la loro conformazione e destinazione all'attività imprenditoriale, la rilevante alterazione della sagoma esterna dell'immobile, implicano una incidenza significativa sull'assetto urbanistico ed una consistente trasformazione del tessuto edilizio” (Cons Stato, sez. IV, 01.07.2019, n. 4472).
Per configurare una pergotenda, in quanto tale non necessitante di titolo abilitativo, pur non essendo destinata a soddisfare esigenze precarie, occorre che l’opera principale sia costituita non dalla struttura in sé, ma dalla tenda, quale elemento di protezione dal sole o dagli agenti atmosferici, mentre la struttura deve qualificarsi in termini di mero elemento accessorio, necessario al sostegno e all’estensione della tenda; non è invece configurabile una pergotenda se la struttura principale è solida e permanente e, soprattutto, tale da determinare una evidente variazione di sagoma e di prospetto dell'edificio (Cons. Stato, sez. IV, 01.07.2019, n. 4472; Cons. Stato, sez. VI, 05.10.2018, n. 5737).
Va altresì esclusa la connotazione di pergotenda quando la copertura e/o la chiusura perimetrale presentino elementi di fissità, stabilità e permanenza, anche per una limitata porzione; in tal caso, pur non potendosi parlare di organismo edilizio connotantesi per la creazione di nuovo volume o superficie, il titolo edilizio deve ritenersi comunque necessario (TAR Lombardia Brescia, sez. II, 02.07.2018, n. 646).
2.2. Ciò premesso in termini generali, nella fattispecie, ad avviso del Collegio, l’opera realizzata, come si evince già dalla documentazione fotografica agli atti, non rientra propriamente nella nozione di pergotenda (pur essendo la stessa caratterizzata dalla presenza di tende retrattili in materiale PVC); essa, infatti, ha una consistenza (per dimensioni e per struttura) ben più rilevante di una mera tenda, incidendo sul prospetto e sulla sagoma dell’edificio cui è agganciata, risulta ancorata stabilmente al suolo e, nella parte più alta, addirittura integrata all’adiacente locale (di conseguenza non qualificabile come di facile rimovibilità), è destinata ad uso di somministrazione di alimenti e bevande dell’attività commerciale esercitata nel medesimo locale (attività della quale, come correttamente evidenziato dal Comune nell’atto impugnato, costituisce un ampliamento) e non, quindi, a semplice ornamento o riparo dagli agenti atmosferici.
Peraltro, essa presenta degli elementi di fissità nelle tamponature laterali della parte superiore (come si può verificare dalle fotografie che ritraggono la struttura con le tende aperte) e non è del tutto separata o facilmente separabile dall’edificio cui accede.
Tali caratteristiche escludono che possa parlarsi di un manufatto rientrante tra quelli realizzabili in regime di edilizia libera
(TAR Marche, sentenza 20.01.2020 n. 46 - link a www.giustizia-amministrartiva.it).

EDILIZIA PRIVATA: Le rilevanti dimensioni della tettoia realizzata ed i materiali a tal fine utilizzati (“tettoia in travi e tavolato in legno lamellare di mq. 45 posta in aderenza al prospetto ovest del fabbricato”) conducono ad escludere che essa possa ritenersi sottratta al regime del permesso di costruire ex art. 10 d.P.R. 380/2001.
Questa Sezione ha già avuto modo di rilevare in generale che: <<Anche la realizzazione di una tettoia è soggetta al permesso di costruire, in quanto essa incide sull’assetto edilizio preesistente; incisione particolarmente significativa ove -come nella fattispecie- la tettoia insiste su un territorio vincolato. La realizzazione di una tettoia, nella misura in cui realizza l’inserimento di nuovi elementi e impianti, resta subordinata al regime del permesso di costruire, ai sensi dell’art. 10, comma 1, lett. c), D.P.R. n. 380/2001 laddove comporti, come nella fattispecie, una modifica della sagoma e del prospetto del fabbricato cui inerisce>>.
Altre sentenze si soffermano sulla giustificazione di tale impostazione, escludendo che possano considerarsi elementi accidentali dell’intera struttura e rilevando che: <<La realizzazione di una tettoia, anche se in aderenza ad un muro preesistente, non può essere considerata un intervento di manutenzione straordinaria ai sensi dell'art. 3, comma 1, lettera b), del d.P.R. n. 380 del 2001, in quanto non consiste nella rinnovazione o nella sostituzione di un elemento architettonico, ma nell'aggiunta di un elemento strutturale dell'edificio, con modifica del prospetto. La sua costruzione, pertanto, necessita del previo rilascio di permesso di costruire>>.
Fermo restando la correttezza di tale impostazione, la giurisprudenza soggiunge che dette strutture possono ritenersi liberamente edificabili solo qualora la loro conformazione e le loro ridotte dimensioni rendano evidente e riconoscibile la loro finalità di arredo, riparo o protezione, anche da agenti atmosferici, e quando, per la loro consistenza, possano ritenersi assorbite, ovvero ricomprese in ragione della loro accessorietà, nell'edificio principale o nella parte dello stesso cui accedono.
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In relazione alla tettoia, con la terza censura è dedotta la violazione degli artt. 3, 10 e 31 del d.P.R.380/2001, oltre all’eccesso di potere (per difetto di istruttoria, motivazione illogica ed insufficiente, illogicità manifesta), atteso che la tettoia rientrerebbe nell'ambito delle opere pertinenziali ai sensi dell'articolo 3 lett. e.6), del D.P.R. 380/2001, non essendo autonomamente utilizzabile in quanto posta ad esclusivo servizio dell'immobile principale, senza creazione di alcun volume o superficie utile, né, trattandosi di modestissima opera, è idonea ad aumentare il carico urbanistico della zona.
L’ordine di idee di parte ricorrente non merita condivisione.
In argomento questa Sezione ha già avuto modo di rilevare in generale che: <<Anche la realizzazione di una tettoia è soggetta al permesso di costruire, in quanto essa incide sull’assetto edilizio preesistente; incisione particolarmente significativa ove -come nella fattispecie- la tettoia insiste su un territorio vincolato. La realizzazione di una tettoia, nella misura in cui realizza l’inserimento di nuovi elementi e impianti, resta subordinata al regime del permesso di costruire, ai sensi dell’art. 10, comma 1, lett. c), D.P.R. n. 380/2001 laddove comporti, come nella fattispecie, una modifica della sagoma e del prospetto del fabbricato cui inerisce>> (TAR Napoli, sez. III, 10.01.2014, n. 142; TAR Napoli, sez. II, 12.07.2013, n. 3647).
Altre sentenze si soffermano sulla giustificazione di tale impostazione, escludendo che possano considerarsi elementi accidentali dell’intera struttura e rilevando che: <<La realizzazione di una tettoia, anche se in aderenza ad un muro preesistente, non può essere considerata un intervento di manutenzione straordinaria ai sensi dell'art. 3, comma 1, lettera b), del d.P.R. n. 380 del 2001, in quanto non consiste nella rinnovazione o nella sostituzione di un elemento architettonico, ma nell'aggiunta di un elemento strutturale dell'edificio, con modifica del prospetto. La sua costruzione, pertanto, necessita del previo rilascio di permesso di costruire>> (Consiglio di Stato, sez. VI, 26/01/2015, n. 319).
Fermo restando la correttezza di tale impostazione, la giurisprudenza soggiunge che dette strutture possono ritenersi liberamente edificabili solo qualora la loro conformazione e le loro ridotte dimensioni rendano evidente e riconoscibile la loro finalità di arredo, riparo o protezione, anche da agenti atmosferici, e quando, per la loro consistenza, possano ritenersi assorbite, ovvero ricomprese in ragione della loro accessorietà, nell'edificio principale o nella parte dello stesso cui accedono (cfr. TAR Campania, Napoli, sezione III, 25.07.2011 n. 3947).
Nel caso di specie, le rilevanti dimensioni della tettoia realizzata ed i materiali a tal fine utilizzati (“tettoia in travi e tavolato in legno lamellare di mq. 45 posta in aderenza al prospetto ovest del fabbricato”) conducono ad escludere che essa possa ritenersi sottratta al regime del permesso di costruire ex art. 10, d.P.R. 380/2001, per rientrare fra gli interventi assoggettati a segnalazione certificata di inizio attività o, addirittura, nella libera attività edilizia ai sensi del precedente art. 6.
In definitiva, nella sussistenza dei presupposti di fatto e di diritto per ingiungere la sanzione demolitoria ai sensi dell’art. 31 D.P.R. 380/2001, il ricorso si appalesa infondato e va, quindi, respinto, ad eccezione di quanto rilevato per il frazionamento del piano rialzato (TAR Campania-Napoli, Sez. III, sentenza 07.01.2020 n. 42 - link a www.giustizia-amministrartiva.it).

anno 2019

EDILIZIA PRIVATA: Gazebo: caratteristiche strutturali e funzionali.
Il gazebo, nella sua configurazione tipica, è una struttura leggera, non aderente ad altro immobile, coperta nella parte superiore ed aperta ai lati, realizzata con una struttura portante in ferro battuto, in alluminio o in legno strutturale, talvolta chiuso ai lati da tende facilmente rimuovibili.
Spesso il gazebo è utilizzato per l’allestimento di eventi all’aperto, anche sul suolo pubblico, e in questi casi è considerata una struttura temporanea. In altri casi, è realizzato in modo permanente per la migliore fruibilità di spazi aperti come giardini o ampi terrazzi.
(Nel caso di specie, l’opera realizzata dal ricorrente non è stata considerata un gazebo sia per la sua forma, che non è quella tipica del gazebo, sia per i materiali utilizzati, che non sono tutti leggeri, e perché la struttura realizzata in aderenza ad un preesistente immobile in muratura risulta destinata ad ospitare in maniera permanente gli avventori della struttura, con ampliamento della superficie fruibile dell’esercizio commerciale gestito dalla ricorrente).
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5.- E’ controversa nel presente giudizio la legittimità del provvedimento, in epigrafe meglio specificato, recante ordine di rimessione in pristino delle seguenti opere ritenute abusive dalla resistente amministrazione comunale:
   - “un gazebo ad est del fabbricato, in legno lamellare costituito da travi e pilastri alti circa metri 3 e avente dimensioni in pianta pari a 5 x 5 mt. circa”;
   - “un porticato ad est del fabbricato, costituito da pilastri e travi in legno lamellare di larghezza 2,40 mt. circa ed altezza variabile tra i 2,65 mt. e i 3,45 mt.”;
   - “un porticato a sud del fabbricato costituito da pilastri e travi in legno lamellare di larghezza che varia tra 1,40 mt. e 2,70 mt ed altezza variabile pari a 3,45 mt.”;
   - “piccola tettoia in legno costituito da pilastri e travi, posta a nord del fabbricato con dimensioni 2,40 mt. di lunghezza, 1,60 mt. di larghezza ed altezza variabile tra i 2,15 mt. e 2,70 mt., realizzata a copertura dei distributori automatici”.
8.- La tesi attorea risulta radicata alla circostanze che le opere in questione, in particolare il gazebo, non necessitino di alcun titolo, o al limite di un titolo diverso dal permesso di costruire, rientrando nella c. d. edilizia libera (la stessa perizia tecnica, versata in atti, sostanzialmente ripete, quanto esposto in ricorso, risultando quest’ultimo sovrapponibile alla prima).
8.1.- La delibazione della doglianza attorea postula la disamina delle caratteristiche specifiche della struttura (gazebo) in esame, con particolare riferimento ai materiali utilizzati, alla rimovibilità degli stessi, all’aderenza o meno al fabbricato principale (cfr. ad es. Consiglio di Stato, sez. VI, 25.01.2017, n. 306).
8.2.- Orbene, la giurisprudenza amministrativa (ex multis Cons. St. citata) è attestata nel ritenere che il gazebo, nella sua configurazione tipica, è una struttura leggera, non aderente ad altro immobile, coperta nella parte superiore ed aperta ai lati, realizzata con una struttura portante in ferro battuto, in alluminio o in legno strutturale, talvolta chiuso ai lati da tende facilmente rimuovibili. Spesso il gazebo è utilizzato per l'allestimento di eventi all’aperto, anche sul suolo pubblico, e in questi casi è considerata una struttura temporanea. In altri casi il gazebo è realizzato in modo permanente per la migliore fruibilità di spazi aperti come giardini o ampi terrazzi.
8.2.1.- Nella fattispecie l’opera realizzata dalla ricorrente non può ritenersi assimilabile ad un gazebo per la sua forma, che non è quella tipica di un gazebo, per i materiali utilizzati, che non sono tutti leggeri, e perché la struttura è stata realizzata in aderenza ad un preesistente immobile in muratura e risulta destinata ad ospitare in maniera permanente gli avventori della struttura, con un ampliamento della superficie fruibile dell’esercizio commerciale gestito dalla ricorrente (Bar/Tabacchi). E’ la stessa parte ricorrente ad affermare in ricorso che “il gazebo veniva costruito con struttura in legno prefabbricata, semovibile ed ancorata al suolo con bulloni facilmente svitabili”, e cioè con elementi che escludono le caratteristiche del gazebo (TAR Campania-Napoli, Sez. VIII, sentenza 06.12.2019 n. 5733 - massima tratta da www.laleggepertutti.it - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAAi fini della valutazione circa la necessità del permesso di costruire di un’opera e della presupposta autorizzazione paesaggistica, nonché della conseguente sanzione, è necessario considerare nello specifico come essa è realizzata (forma, dimensioni, ecc.).
Pertanto l'Amministrazione ha l'onere di motivare in modo esaustivo, attraverso una corretta e completa istruttoria, che rilevi esattamente le opere compiute, il perché non ritenga che si tratti di una struttura realizzabile in regime di edilizia libera.

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Il gazebo in legno di facile rimozione, dunque non stabilmente infissa al suolo e a carattere non permanente, può rientrare a buon titolo tra gli elementi di arredo delle aree pertinenziali degli edifici, ai sensi dell’art. 6, comma 1°, lett. e-quinquies), del D.P.R. n. 380/2001, in coordinamento con quanto stabilito dall’art. 3, comma 1°, lett. e.1), trattandosi di struttura che non amplia il preesistente edificio, ma di un manufatto separato a servizio dello stesso, realizzato in area pertinenziale.
Il glossario delle opere libere, di cui al D.M. del 02.03.2018 prevede, altresì, che il gazebo realizzabile senza titoli edificatori debba essere di limitate dimensioni e non stabilmente ancorato al suolo.
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Le apparecchiature per il contenimento dei consumi energetici (pannelli solari) rientrano nell’attività di edilizia libera, ai sensi dell’art. 6, comma 1°, lett. e-quater), del D.P.R. n. 380/2001, e come tali sono contemplate nel glossario delle opere libere, di cui al D.M. del 02.03.2018.
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La tettoia e il muro di contenimento necessitano delle autorizzazioni.
La prima -nel caso di specie- è un’opera in legno stabilmente ancorata al suolo (dunque a carattere permanente e, perciò, a modifica dello stato dei luoghi) e di dimensioni medie (mq 15,00); le predette caratteristiche rendono la struttura suscettibile di alterare l’assetto del territorio e di incidere sul carico urbanistico in termini volumetrici.
Quanto al muro, esso è descritto quale opera “di considerevoli dimensioni” e realizzata fuori terra; perciò, per l’impatto che essa ha sul territorio e sull’assetto urbanistico, necessita dei titoli edificatori.
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Va, invece, esaminato nel merito il contenuto dell’ordinanza n. 60/2018, impugnata con i motivi aggiunti.
Essa ingiunge la demolizione del cancello posto sulla particella 1650 (in quanto realizzato senza autorizzazione edilizia e paesaggistica), di un gazebo e di una tettoia (in quanto realizzati senza titoli edilizi e paesaggistici), di apparecchiature per i consumi energetici poste sulla copertura dell’edificio (in quanto realizzate in assenza di titoli e non rientranti nella tipologia di cui all’all. A del D.P.R. n. 31/2017, punto 6), di un muro di contenimento (in quanto realizzato in totale difformità dalla D.I.A. in data 11.10.2004 e successiva variante, peraltro priva di efficacia perché carente di autorizzazioni paesaggistiche e archeologiche).
In proposito il Collegio rileva:
   1. Il cancello è stato realizzato sulla particella 1650, che l’ordinanza n. 35/2018, annullata d’ufficio, aveva ritenuto costituire parte della strada pubblica di proprietà comunale. Quest’affermazione è stata corretta nell’ordinanza n. 60/2018, ivi riconoscendosi la proprietà dei ricorrenti sulla particella 1650, in forza di contratto di cessione stipulato il 07.06.1980, conseguito alla sdemanializzazione dell’area.
Tuttavia l’ordinanza n. 60/2018 ingiunge la demolizione del cancello ritenendo necessari per la sua installazione titoli edilizi e paesaggistici. Né l’ordinanza n. 35/2018, né l’ordinanza n. 60/2018 descrivono le dimensioni e la forma dell’opera, per la cui installazione non sarebbero necessarie autorizzazioni qualora essa non sia –per dimensioni e conformazione– idonea ad alterare la sagoma dell’edificio o l’assetto urbanistico del territorio (art. 22, commi 1 e 2, del D.P.R. n. 380/2001).
Orbene, ai fini della valutazione circa la necessità del permesso di costruire di un’opera e della presupposta autorizzazione paesaggistica, nonché della conseguente sanzione, è necessario considerare nello specifico come essa è realizzata (forma, dimensioni, ecc.); pertanto l'Amministrazione ha l'onere di motivare in modo esaustivo, attraverso una corretta e completa istruttoria, che rilevi esattamente le opere compiute, il perché non ritenga che si tratti di una struttura realizzabile in regime di edilizia libera (cfr. Cons. St., VI, 29.11.2018 n. 6798; id. n. 5781/2018; n. 2715/2018; n. 2701/2018).
   2. Il gazebo è descritto come opera in legno di facile rimozione, dunque non stabilmente infissa al suolo e a carattere non permanente. Essa, pertanto, può rientrare a buon titolo tra gli elementi di arredo delle aree pertinenziali degli edifici, ai sensi dell’art. 6, comma 1°, lett. e-quinquies), del D.P.R. n. 380/2001, in coordinamento con quanto stabilito dall’art. 3, comma 1°, lett. e.1), trattandosi di struttura che non amplia il preesistente edificio, ma di un manufatto separato a servizio dello stesso, realizzato in area pertinenziale (cfr. Cass. pen., III, 02.10.2018 n. 54692); il glossario delle opere libere, di cui al D.M. del 02.03.2018 prevede, altresì, che il gazebo realizzabile senza titoli edificatori debba essere di limitate dimensioni e non stabilmente ancorato al suolo.
   3. Le apparecchiature per il contenimento dei consumi energetici (pannelli solari), la cui installazione era stata comunicata all’Amministrazione il 16.03.2004, rientrano nell’attività di edilizia libera, ai sensi dell’art. 6, comma 1°, lett. e-quater), del D.P.R. n. 380/2001, e come tali sono contemplate nel glossario delle opere libere, di cui al D.M. del 02.03.2018.
L’installazione delle predette opere (cancello, gazebo e impianti ecologici) non richiede, dunque, preventivi titoli edificatori o nulla osta.
Diversamente, la tettoia e il muro di contenimento necessitano delle autorizzazioni. La prima è un’opera in legno stabilmente ancorata al suolo (dunque a carattere permanente e, perciò, a modifica dello stato dei luoghi) e di dimensioni medie (mq 15,00); le predette caratteristiche rendono la struttura suscettibile di alterare l’assetto del territorio e di incidere sul carico urbanistico in termini volumetrici (cfr.: TAR Campania, Napoli, III, 27.6.2018 n. 4282; Salerno, II, 02.01.2019 n. 1).
Quanto al muro, esso è descritto quale opera “di considerevoli dimensioni” e realizzata fuori terra; perciò, per l’impatto che essa ha sul territorio e sull’assetto urbanistico, necessita dei titoli edificatori (Cons. St., VI, 09.07.2018 n. 4169; TAR Veneto, II, 21.06.2018 n. 663; TAR Piemonte, II, 07.02.2018 n. 160; Cass. pen., III, 21.11.2018 n. 55366).
In conclusione, delle opere per le quali l’ordinanza n. 60/2018 ingiunge la demolizione solo il gazebo, il cancello e le apparecchiature tecnologiche sono insuscettibili di titoli edificatori. Perciò sul punto il provvedimento deve essere annullato, mentre può essere confermato per il resto (TAR Lazio-Latina, sentenza 04.10.2019 n. 564 - link a www.giustizia-amministrartiva.it).

EDILIZIA PRIVATA: La riconducibilità di una struttura alla categoria di “pergola” si verifica se trattasi di  strutture in legno o metallo costituite da elementi verticali portanti e “aperte su tutti i lati e non coperte”.
Sul punto peraltro il Consiglio di Stato, nel delineare i tratti distintivi delle diverse tipologie di strutture realizzabili all’aperto, ha affermato che il pergolato ha una funzione ornamentale, è realizzato in una struttura leggera in legno o in altro materiale di minimo peso, deve essere facilmente amovibile in quanto privo di fondamenta, e funge da sostegno per piante rampicanti, attraverso le quali realizzare riparo e ombreggiatura di superfici di modeste dimensioni.
Dalla pergola si distingue poi il gazebo quale una struttura leggera, non aderente ad altro immobile, coperta nella parte superiore ed aperta ai lati, realizzata con una struttura portante in ferro battuto, in alluminio o in legno strutturale, talvolta chiuso ai lati da tende facilmente rimuovibili, che può essere realizzato sia come struttura temporanea, sia in modo permanente per la migliore fruibilità di spazi aperti come giardini o ampi terrazzi.
Diversamente la veranda, realizzabile su balconi, terrazzi, attici o giardini, è caratterizzata quindi da ampie superfici vetrate che all’occorrenza si aprono tramite finestre scorrevoli o a libro, per essa, dal punto di vista edilizio, determina un aumento della volumetria dell’edificio e una modifica della sua sagoma e necessita quindi del permesso di costruire.
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2.2 Di qui correttamente l’istanza di sanatoria avente ad oggetto una struttura asseritamente amovibile è stata valutata dall’amministrazione comunale sulla base delle caratteristiche dell’intervento concretamente realizzato, consistente nella chiusura della terrazza a livello dell’abitazione di proprietà dei ricorrente attraverso l’installazione di una struttura in legno chiusa lateralmente da infissi e copertura.
Sicché legittimamente è stata esclusa la riconducibilità della struttura alla categoria di “pergola” assentibile ai sensi dell’art. 6, comma 1, del regolamento edilizio, a tenore del quale, esse sono configurabili quali strutture in legno o metallo costituite da elementi verticali portanti e “aperte su tutti i lati e non coperte”, mentre nella specie trattasi di una struttura annessa all’abitazione dei ricorrenti e dotata di copertura e di chiusure laterali.
Sul punto peraltro il Consiglio di Stato, nel delineare i tratti distintivi delle diverse tipologie di strutture realizzabili all’aperto, ha affermato che il pergolato ha una funzione ornamentale, è realizzato in una struttura leggera in legno o in altro materiale di minimo peso, deve essere facilmente amovibile in quanto privo di fondamenta, e funge da sostegno per piante rampicanti, attraverso le quali realizzare riparo e ombreggiatura di superfici di modeste dimensioni (Consiglio di Stato, Sezione IV, n. 5409 del 29.09.2011).
Dalla pergola si distingue poi il gazebo quale una struttura leggera, non aderente ad altro immobile, coperta nella parte superiore ed aperta ai lati, realizzata con una struttura portante in ferro battuto, in alluminio o in legno strutturale, talvolta chiuso ai lati da tende facilmente rimuovibili, che può essere realizzato sia come struttura temporanea, sia in modo permanente per la migliore fruibilità di spazi aperti come giardini o ampi terrazzi.
Diversamente la veranda, realizzabile su balconi, terrazzi, attici o giardini, è caratterizzata quindi da ampie superfici vetrate che all’occorrenza si aprono tramite finestre scorrevoli o a libro, per essa, dal punto di vista edilizio, determina un aumento della volumetria dell’edificio e una modifica della sua sagoma e necessita quindi del permesso di costruire (cfr C.d.S. sez. VI, n. 306/2017) (TAR Abruzzo-Pescara, sentenza 04.10.2019 n. 233 - link a www.giustizia-amministrartiva.it).

EDILIZIA PRIVATAPer costante giurisprudenza, per la realizzazione di verande, tettoie, pergolati, pensiline e gazebi, è necessario il permesso di costruire o la S.c.i.a, ove si alteri la sagoma dell’edificio; difettino i requisiti tipici delle pertinenze e degli interventi precari; le strutture siano infisse al suolo; si determini l’aumento della superficie utile; ovvero, le opere non siano facilmente amovibili e di modeste dimensioni e non abbiano natura puramente ornamentale.
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6.5.1. Al riguardo, il Collegio evidenzia che:
   a) non si ravvisa il dedotto errore, atteso che il primo giudice, nella pagina n. 6 della citata sentenza, fa riferimento alla autorizzazione n. 51 del 04.08.1994 esclusivamente per ricordare la sussistenza del titolo edilizio per l’avvenuta realizzazione del portale in pietra;
   b) per converso, la dichiarazione, peraltro effettuata in via meramente incidentale, in ordine alla condivisione del rilievo della illegittimità ha riguardato correttamente l’autorizzazione n. 4 del 04.11.1998 (v. pag. n. 9 della sentenza Tar);
   c) a prescindere dall’individuazione dello specifico oggetto della richiamata D.I.A. del 17.02.2003, è pacifico che la presente controversia attiene (quanto meno in parte) all’opera realizzata sulla particella 796, non rilevando in questa sede quanto insistente sulla particella 1014, come correttamente statuito nella pronuncia impugnata;
   d) per costante giurisprudenza (Cons. Stato, sez. VI, n. 306 del 2017; sez. IV, n. 2864 del 2016; sez. VI, n. 1619 del 2016; sez. VI, n. 1777 del 2014; Cass. pen., sez. III, 20.06.2013, n. 26952; 25.10.2012, n. 41698; 25.01.2012, n. 3093), per la realizzazione di verande, tettoie, pergolati, pensiline e gazebi, è necessario il permesso di costruire o la S.c.i.a, ove si alteri la sagoma dell’edificio; difettino i requisiti tipici delle pertinenze e degli interventi precari; le strutture siano infisse al suolo; si determini l’aumento della superficie utile; ovvero, le opere non siano facilmente amovibili e di modeste dimensioni e non abbiano natura puramente ornamentale;
   e) nel caso di specie l’opera non presenta natura precaria, atteso che, da quanto emerge dalla approfondita istruttoria posta a fondamento dell’impugnato provvedimento, trattasi di un capanno o manufatto di mq 16,53 (4,35 x 3,80), con pareti in calcestruzzo armato, con copertura di lastre di zinco, pavimentato;
   f) pertanto, condividendo quanto statuito sul punto dal primo giudice, atteso che i connotati strutturali di detto manufatto denotano una destinazione naturale a fornire una utilità prolungata nel tempo, la struttura può essere ritenuta di carattere residenziale, determinando incremento di volumetria (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 17.09.2019 n. 6194 - link a www.giustizia-amministrartiva.it).

EDILIZIA PRIVATA: Il realizzato gazebo in legno occupa una superficie di mq. 25, è alto m. 3,00, ed è stato realizzato su di una platea in calcestruzzo con annessi muri ornamentali, panchine in muratura, impianto elettrico e idrico, elettrodomestici e banco-bar.
Sicché, il gazebo in questione non può per certo essere ricondotto ad un’operazione di “sistemazione di spazi esterni”, a’ sensi dell’art. 22 del d.P.R. 06.06.2001, n. 380, ovvero di “ristrutturazione edilizia”, posto che quest’ultima, coerentemente alla definizione che ne è data all’art. 3, comma 1, lett. d), del medesimo d.P.R. 06.06.2001, n. 380, nel testo vigente all’epoca dei fatti di causa, consisteva -per quanto qui segnatamente interessa- negli “interventi rivolti a trasformare gli organismi edilizi mediante un insieme sistematico di opere che possono portare ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente. Tali interventi comprendono il ripristino o la sostituzione di alcuni elementi costitutivi dell’edificio, l’eliminazione, la modifica e l'inserimento di nuovi elementi ed impianti”.
In linea di principio, infatti, i gazebo che poggiano su piattaforme di calcestruzzo non sono strutture precarie (nella specie, come si è visto poc’anzi, quanto realizzato sostanzia addirittura un vero e proprio bar all’aperto), ma sono funzionali a soddisfare esigenze permanenti e vanno pertanto considerati come manufatti che alterano lo stato dei luoghi, con un sicuro incremento del carico urbanistico.
Oltre a tutto, la loro realizzazione determina, ove siano annessi –come nel caso di specie- ad un’attività di vendita, di somministrazione e ricettiva, l’incremento della superficie commerciale.
In dipendenza di ciò, pertanto, tale tipologia di intervento deve essere realizzata mediante permesso di costruire (olim concessione edilizia) se –sempre come nel caso di specie– non solo incrementa la superficie commerciale ma trasforma comunque in modo rilevante una superficie per l’innanzi adibita a giardino o ad attività agricola in uno spazio destinato a soddisfare la non precaria esigenza di sistemare nel migliore dei modi la propria clientela.
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Tertium non datur.
Per inciso, la presenza nel fascicolo di causa relativo al primo grado di giudizio di una relazione illustrativa depositata in data 19.11.2008 a cura del patrocinio della stessa parte ivi ricorrente fa ragionevolmente presumere che il Di Mo. abbia da ultimo optato proprio per tale possibilità, progettando –tra l’altro– la realizzazione non più di una piscina prefabbricata da contingentemente "trasformare” –al bisogno, per così dire, “burocratico”– in una vasca per la raccolta delle acque meteoriche, ma di “una piscina ludico-relax costituita da due vasche poste a quote differenti in modo da creare un salto d’acqua” (cfr. ivi a pag. 8: e ciò senza sottacere che la complessiva lettura del piano medesimo offre la netta impressione che l’attuale appellante si sia con esso discostato dall’originaria connotazione agricola dell’azienda privilegiando un’attività marcatamente ricettiva se non addirittura ludico-ricreativa, tanto da suscitare anche un dubbio non evanescente circa l’effettiva permanenza, nella specie, di un suo effettivo interesse alla coltivazione della presente causa).
Ad ogni buon conto, quindi, anche per il caso di specie va ribadito che dalla realizzazione di opere edilizia in assenza del permesso di costruire, discende –sempre e comunque– la sanzione della demolizione delle opere medesime, a’ sensi dell’art. 31 del t.u. 06.06.2001, n. 380.,
Ma –soprattutto– va considerato che la realizzazione della piscina ora in questione era ed è materialmente inibita sia dall’art. 21, comma 3, del Regolamento edilizio del Comune di Napoli, che, con disposizione oltremodo commendevole, fa divieto di completare le opere abusive realizzate nello stesso suolo, sia dall’art. 24 della variante anzidetta, che al comma 2 dispone a sua volta nel senso che “nelle zone riportate nella tavola 12 con instabilità media e alta” –tra le quali rientra anche il sedime su cui è stata eretta la piscina in questione- “è vietata la realizzazione di qualsiasi tipo di costruzione”: disposizioni, anche queste, che naturalmente implicano la necessità della demolizione del manufatto in questione.
4.2.3. Non diversamente deve concludersi per il gazebo.
Giova evidenziare che tale manufatto in legno occupa una superficie di mq. 25, è alto m. 3,00, ed è stato realizzato su di una platea in calcestruzzo con annessi muri ornamentali, panchine in muratura, impianto elettrico e idrico, elettrodomestici e banco-bar.
L’appellante riconduce la realizzazione di tale gazebo ad un mero intervento di “ristrutturazione edilizia” ai fini delle esigenze delle “abitazioni agricole”, ovvero “della realizzazione di attività agricole e di produzione e commercio dei prodotti agricoli all’origine e relative funzioni di servizio”, o –ancora- delle “attività ricettive di tipo agrituristico e relative funzioni di servizio”, tutte invero astrattamente assentibili a’ sensi del combinato disposto degli artt. 39, comma 6, e 21, comma 1, lett. b), delle norme tecniche di attuazione della variante al Piano regolatore generale del Comune di Napoli.
Tuttavia la realizzazione del gazebo in questione non può per certo essere ricondotta ad un’operazione di “sistemazione di spazi esterni”, a’ sensi dell’art. 22 del d.P.R. 06.06.2001, n. 380, ovvero di “ristrutturazione edilizia”, posto che quest’ultima, coerentemente alla definizione che ne è data all’art. 3, comma 1, lett. d), del medesimo d.P.R. 06.06.2001, n. 380, nel testo vigente all’epoca dei fatti di causa, consisteva -per quanto qui segnatamente interessa- negli “interventi rivolti a trasformare gli organismi edilizi mediante un insieme sistematico di opere che possono portare ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente. Tali interventi comprendono il ripristino o la sostituzione di alcuni elementi costitutivi dell’edificio, l’eliminazione, la modifica e l'inserimento di nuovi elementi ed impianti”.
In linea di principio, infatti, i gazebo che poggiano su piattaforme di calcestruzzo non sono strutture precarie (nella specie, come si è visto poc’anzi, quanto realizzato sostanzia addirittura un vero e proprio bar all’aperto), ma sono funzionali a soddisfare esigenze permanenti e vanno pertanto considerati come manufatti che alterano lo stato dei luoghi, con un sicuro incremento del carico urbanistico (cfr. sul punto, ad es., Cons. Stato, Sez. VI, 12.12.2012, n. 6382 e Sez. V, 01.12.2003, n. 7822).
Oltre a tutto, la loro realizzazione determina, ove siano annessi –come nel caso di specie- ad un’attività di vendita, di somministrazione e ricettiva, l’incremento della superficie commerciale (così, ad es., la sentenza di Cons. Stato, Sez. V, n. 7822 del 2003).
In dipendenza di ciò, pertanto, tale tipologia di intervento deve essere realizzata mediante permesso di costruire (olim concessione edilizia) se –sempre come nel caso di specie– non solo incrementa la superficie commerciale ma trasforma comunque in modo rilevante una superficie per l’innanzi adibita a giardino o ad attività agricola in uno spazio destinato a soddisfare la non precaria esigenza di sistemare nel migliore dei modi la propria clientela (così, ad es., non solo la già citata sentenza di Cons. Stato, Sez. V, n. 7822 del 2003, e –ancora– Cons. Stato, Sez. V, 27.01.2003, n. 419 e 11.02.2003, n. 696, rese per omologhe fattispecie) (Consiglio di Stato, Sez. II, sentenza 03.09.2019 n. 6068 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: La realizzazione di un porticato non può considerarsi attività attratta alla natura pertinenziale dell’opera, di talché necessita di un apposito permesso di costruire per la sua costruzione.
Invero, “una tettoia pertinenziale ad un'unità immobiliare, costituita da un porticato in muratura sormontato da una tettoia di rilevanti dimensioni, ancorata a terra, e da un muro perimetrale, non può essere considerata una struttura equiparabile ad un gazebo o pergolato e, pertanto, non è riconducibile nell'ambito dell'edilizia libera”.

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10. - In ragione di quanto sopra appare essere documentalmente comprovato che i fabbricati di proprietà della odierna appellante presentano gli interventi edilizi abusivi per come contestati dal comune appellato e plasticamente riprodotti con puntualità nei provvedimenti impugnati in primo grado ed in particolare nella determinazione n. 8 del 02.05.2011.
Le opere realizzate anche in difformità avrebbero dovuto esserlo solo dopo avere ottenuto un permesso di costruire e non successivamente alla presentazione di una denuncia di inizio attività edilizia, peraltro realizzati in area paesaggisticamente vincolata.
Ed infatti la realizzazione di un porticato non può considerarsi attività attratta alla natura pertinenziale dell’opera, di talché necessita di un apposito permesso di costruire per la sua costruzione (cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 26.09.2018 n. 5541, nella quale osserva che “una tettoia pertinenziale ad un'unità immobiliare, costituita da un porticato in muratura sormontato da una tettoia di rilevanti dimensioni, ancorata a terra, e da un muro perimetrale, non può essere considerata una struttura equiparabile ad un gazebo o pergolato e, pertanto, non è riconducibile nell'ambito dell'edilizia libera”)
(Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 14.05.2019 n. 3133 - link a www.giustizia-amministrartiva.it).

EDILIZIA PRIVATA: Gazebo funzionale a soddisfare esigenze permanenti.
Nelle ipotesi in cui il gazebo costituisca una struttura funzionale a soddisfare esigenze permanenti, va considerato come manufatto in grado di alterare lo stato dei luoghi, con riflessi non solo per il profilo urbanistico ma anche per quello paesaggistico-ambientale.
Ad avviso di costante e condivisa giurisprudenza, un’opera può essere qualificata come precaria ove sia destinata ad essere rimossa non appena siano venuti meno i bisogni, meramente occasionali, che ne hanno determinato l’installazione, viceversa, ove la costruzione sia precostituita al soddisfacimento di interessi stabili e permanenti, come accade nell’ipotesi in esame, viene meno il requisito della precarietà

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2.- Le censure non convincono il Collegio ed il ricorso è infondato.
2.1.- Diversamente dagli assunti del ricorrente, sia il gazebo sia il capannone, per le caratteristiche costruttive, unite alla zona in cui sono state erette (E1 agricola normale), peraltro in area vincolata ai sensi del d.lgs. 42/2004, sono opere che avrebbero richiesto il permesso di costruire unitamente all’autorizzazione paesaggistica.
Il gazebo descritto nel provvedimento impugnato rientra tra le opere “prive dei connotati della precarietà e dell’amovibilità”.
Ed invero, nelle ipotesi in cui il gazebo costituisca una struttura funzionale a soddisfare esigenze permanenti, va considerato come manufatto in grado di alterare lo stato dei luoghi, con riflessi non solo per il profilo urbanistico ma anche per quello paesaggistico-ambientale.
Ad avviso di costante e condivisa giurisprudenza, un’opera può essere qualificata come precaria ove sia destinata ad essere rimossa non appena siano venuti meno i bisogni, meramente occasionali, che ne hanno determinato l’installazione, viceversa, ove la costruzione sia precostituita al soddisfacimento di interessi stabili e permanenti, come accade nell’ipotesi in esame, viene meno il requisito della precarietà (cfr. ex multis, TAR Firenze. Sez. III, 17.04.2018, n. 556).
Le riproduzioni fotografiche allegate alla memoria di costituzione del comune lasciano pochi dubbi sulle caratteristiche del gazebo, il quale si palesa per essere una struttura solida, con tetto a spiovente, copertura in coppi, grondaia per il convogliamento dell’acqua pluviale e sottostanti travi in legno, tutti elementi che la rendono una struttura solida ed affatto provvisoria (TAR Campania-Napoli, Sez. III, sentenza 01.04.2019 n. 1783 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Decadenza della concessione del gazebo aperto: è legittima?
È legittima (anzi, rappresenta un atto vincolato) la decadenza della concessione se invece di un gazebo aperto è stata realizzata una struttura chiusa di dimensioni peraltro più ampie di quelle assentite.
Ai fini della verifica del comportamento del concessionario nell’uso del titolo abilitativo, infatti, rilevano non solo gli aspetti relativi all’ampiezza della superficie occupata ma anche quelli relativi alla natura e consistenza dell’opera edilizia sulla stessa realizzata.
Il concessionario, pertanto, viola gli obblighi nascenti dal titolo abilitativo relativo all’utilizzo del suolo pubblico e, dunque, non ne rispetta i limiti, non solo se occupa un’estensione maggiore di quella autorizzata, ma anche quando realizza sulla stessa un’opera diversa rispetto a quella assentita, risultando l’autorizzazione all’occupazione del suolo pubblico essere stata concessa espressamente per la collocazione su di esso di tale manufatto
(Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 27.03.2019 n. 2028 - massima tratta da www.laleggepertutti.it  - link a www.giustizia-amministrativa.it).

anno 2018

EDILIZIA PRIVATA: La realizzazione di un box-container, stabilmente appoggiato al terreno, pur nella precarietà dei materiali e nella funzione pertinenziale alla quale il soggetto che lo installa intende impiegarlo in modo stabile nel tempo, costituisce permanente alterazione del terreno ai fini urbanistico-edilizi e richiede, pertanto, il rilascio del previo titolo edilizio.
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Vale un analogo discorso per la tettoia (“realizzata con vecchi pali di cemento e copertura in eternit”), che per dimensioni e caratteristiche non può certo considerarsi indifferente rispetto all’assetto del territorio nel quale si colloca.
La giurisprudenza ha già avuto modo di affermare che la realizzazione di una tettoia necessita di permesso di costruire quale “nuova costruzione”, comportando una trasformazione del territorio e dell’assetto edilizio anteriore; essa arreca, infatti, un proprio impatto volumetrico e, se e in quanto priva di connotati di precarietà, è destinata a soddisfare esigenze non già temporanee e contingenti, ma durevoli nel tempo, con conseguente incremento del godimento dell’immobile cui inerisce e del relativo carico urbanistico.

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7 – Con un’ulteriore censura si deduce la violazione dell’art. 7 della l. 47/1985 in relazione all’art. 1 l. 28.01.1977 n. 10 e all’art. 7 d.l. 663 del 1981.
Secondo la prospettazione dell’appellante, la realizzazione della tettoia e del box-container non necessitavano della concessione edilizia, bensì della autorizzazione ex art. 10 della legge 47/1985.
7.1 - La censura è infondata.
In primo luogo, deve evidenziarsi l’inconferenza della giurisprudenza citata nell’atto di appello riferibile alla differente sanzione dell’acquisizione gratuita, trattandosi, come già innanzi spiegato, di una sanzione differente ed autonoma rispetto alla demolizione.
Da un altro punto di vista, l’appellante non introduce alcun elemento concreto dal quale desumere che le opere in questione –tettoia e box– non debbano essere soggette a licenzia edilizia.
7.2 - In particolare, per quanto riguarda il box, valgono le considerazioni già espresse dal TAR, che ha sottolineato come la realizzazione di un box-container, stabilmente appoggiato al terreno (nel verbale di accertamento si specifica che il box poggia su pavimentazione di cemento), pur nella precarietà dei materiali e nella funzione pertinenziale alla quale il soggetto che lo installa intende impiegarlo in modo stabile nel tempo, costituisce permanente alterazione del terreno ai fini urbanistico-edilizi e richiede, pertanto, il rilascio del previo titolo edilizio (cfr. Cons. Stato, sez V, 24.02.2003, n. 986).
7.3 - Vale un analogo discorso per la tettoia (“realizzata con vecchi pali di cemento e copertura in eternit”), che per dimensioni e caratteristiche non può certo considerarsi indifferente rispetto all’assetto del territorio nel quale si colloca.
La giurisprudenza ha già avuto modo di affermare che la realizzazione di una tettoia necessita di permesso di costruire quale “nuova costruzione”, comportando una trasformazione del territorio e dell’assetto edilizio anteriore; essa arreca, infatti, un proprio impatto volumetrico e, se e in quanto priva di connotati di precarietà, è destinata a soddisfare esigenze non già temporanee e contingenti, ma durevoli nel tempo, con conseguente incremento del godimento dell’immobile cui inerisce e del relativo carico urbanistico (cfr. Cons. St., sez. VI, n. 2715/2018 C.d.S. sez. IV 08.01.2018 n. 12 e sez. VI 16.02.2017 n. 694).
7.4 - Infine, ad ulteriore conferma dell’infondatezza del motivo di appello in esame, deve evidenziarsi la circostanza che l’area sulla quale sono stati realizzate senza titolo le opere in discorso è soggetta anche a vincolo ambientale, con quanto ne consegue in termini di disciplina autorizzatoria e di repressione degli abusi
(Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 24.12.2018 n. 7210 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Gazebo con coperture di vetri.
La costruzione di un gazebo in legno con coperture di vetri senza permesso di costruire integra il reato edilizio (nel caso di specie, era stato costruito su un balcone in aderenza con il confine del vicino) (TRIBUNALE di Chieti, sentenza 15.11.2018 n. 1204 - massima tratta da www.laleggepertutti.it  - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: In termini generali costituiscono interventi di ristrutturazione edilizia quegli interventi rivolti a trasformare gli organismi edilizi mediante un insieme sistematico di opere che possano portare ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente.
In tale prospettiva, la ristrutturazione ‒nelle forme dell’intervento “conservativo” o “ricostruttivo”‒ si pone in continuità con tutti gli altri interventi edilizi cosiddetti minori (manutenzione ordinaria, manutenzione straordinaria, restauro e risanamento conservativo), che hanno per finalità il recupero del patrimonio edilizio esistente.
Ai sensi dell’art. 10, comma 1, lettera c), del TUE, le opere di ristrutturazione edilizia necessitano di permesso di costruire se consistenti in interventi che portino ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente e che comportino, modifiche del volume, dei prospetti, ovvero che, limitatamente agli immobili compresi nelle zone omogenee A, comportino mutamenti della destinazione d’uso (ristrutturazione edilizia).
In via residuale, la SCIA assiste invece i restanti interventi di ristrutturazione c.d. «leggera» (compresi gli interventi di demolizione e ricostruzione che non rispettino la sagoma dell’edificio preesistente). In relazione, invece, agli immobili sottoposti a vincolo ai sensi del d.lgs. n. 42 del 2004 sono soggetti a SCIA solo gli interventi che non alterano la sagoma dell’edificio.
L’art. 22, comma 3, del TUE prevede tre diverse tipologie di interventi edificatori ‒di cui la prima è costituita proprio da quelli di ristrutturazione, come individuati dal precedente art. 10, comma 1, lettera c)‒ sottoposti al regime del permesso di costruire, per i quali, per ragioni di carattere acceleratorio, si consente all’interessato di optare per la presentazione della DIA (c.d. “super DIA”). Tale facoltà di opzione esaurisce i propri effetti sul piano prettamente procedimentale, atteso che su quello sostanziale (dei presupposti), penale e contributivo resta ferma l’applicazione della disciplina dettata per il permesso di costruire.
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Il rilascio del permesso di costruire per la realizzazione di una tettoia è necessario solo quando, per le sue caratteristiche costruttive, essa sia idonea ad alterare la sagoma dell’edificio.
L’installazione della tettoia è invece sottratta al regime del permesso di costruire ove la sua conformazione e le ridotte dimensioni ne rendano evidente e riconoscibile la finalità di mero arredo e di riparo e protezione dell’immobile cui accedono.
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1.– Il presente giudizio di appello riguarda il provvedimento del Comune di Roma prot. n. 16018, notificato il 26.04.2006, recante demolizione d’ufficio di una tettoia di 64 mq e di un bagno di 4 mq, collocati su un plateatico in calcestruzzo, realizzati su terreno di proprietà degli odierni appellanti, ubicato in Roma, via ... n. 32, gravato da vincolo paesaggistico.
2.– Secondo il Collegio, la sentenza appellata ha correttamente rilevato che per la realizzazione delle opere in contestazione sarebbe stato necessario il previo rilascio del permesso di costruire.
2.1.– In termini generali costituiscono interventi di ristrutturazione edilizia quegli interventi rivolti a trasformare gli organismi edilizi mediante un insieme sistematico di opere che possano portare ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente.
In tale prospettiva, la ristrutturazione ‒nelle forme dell’intervento “conservativo” o “ricostruttivo”‒ si pone in continuità con tutti gli altri interventi edilizi cosiddetti minori (manutenzione ordinaria, manutenzione straordinaria, restauro e risanamento conservativo), che hanno per finalità il recupero del patrimonio edilizio esistente.
Ai sensi dell’art. 10, comma 1, lettera c), del TUE, le opere di ristrutturazione edilizia necessitano di permesso di costruire se consistenti in interventi che portino ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente e che comportino, modifiche del volume, dei prospetti, ovvero che, limitatamente agli immobili compresi nelle zone omogenee A, comportino mutamenti della destinazione d’uso (ristrutturazione edilizia).
In via residuale, la SCIA assiste invece i restanti interventi di ristrutturazione c.d. «leggera» (compresi gli interventi di demolizione e ricostruzione che non rispettino la sagoma dell’edificio preesistente). In relazione, invece, agli immobili sottoposti a vincolo ai sensi del d.lgs. n. 42 del 2004 sono soggetti a SCIA solo gli interventi che non alterano la sagoma dell’edificio.
L’art. 22, comma 3, del TUE prevede tre diverse tipologie di interventi edificatori ‒di cui la prima è costituita proprio da quelli di ristrutturazione, come individuati dal precedente art. 10, comma 1, lettera c)‒ sottoposti al regime del permesso di costruire, per i quali, per ragioni di carattere acceleratorio, si consente all’interessato di optare per la presentazione della DIA (c.d. “super DIA”). Tale facoltà di opzione esaurisce i propri effetti sul piano prettamente procedimentale, atteso che su quello sostanziale (dei presupposti), penale e contributivo resta ferma l’applicazione della disciplina dettata per il permesso di costruire.
2.2.– Il rilascio del permesso di costruire per la realizzazione di una tettoia è necessario solo quando, per le sue caratteristiche costruttive, essa sia idonea ad alterare la sagoma dell’edificio (Consiglio di Stato, sez. VI, 16.02.2017, n. 694). L’installazione della tettoia è invece sottratta al regime del permesso di costruire ove la sua conformazione e le ridotte dimensioni ne rendano evidente e riconoscibile la finalità di mero arredo e di riparo e protezione dell’immobile cui accedono (Consiglio di Stato, sez. V, 13.03.2014 n. 1272).
2.3.– Nel caso in esame, la realizzazione di una tettoia di rilevanti dimensioni e di un nuovo volume (il bagno), avendo innovato il preesistente fabbricato, sia dal punto di vista morfologico che funzionale, era soggetta al regime autorizzatorio. Peraltro, l’esecuzione delle opere in discorso è avvenuta all’interno del Parco di Veio, istituito per l’elevato valore paesaggistico dell’area (Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 19.10.2018 n. 5983 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Sulla base del quadro normativo vigente emerge che non è possibile affermare in assoluto che la tettoia richieda, o non richieda, il titolo edilizio maggiore e assoggettarla, o non assoggettarla, alla relativa sanzione senza considerare nello specifico come essa è realizzata.
In proposito, quindi, l’amministrazione ha l’onere di motivare in modo esaustivo, attraverso una corretta e completa istruttoria che rilevi esattamente le opere compiute e spieghi per quale ragione esse superano i limiti entro i quali si può trattare di una copertura realizzabile in regime di edilizia libera.
La disciplina delle tettoie non è definita in modo univoco né nella normativa né in giurisprudenza.
Dal punto di vista normativo, va considerato l’art. 6 del T.U. 06.06.2001 n. 380, che contiene l’elenco delle opere di cd edilizia libera, le quali non necessitano di alcun titolo abilitativo; a prescindere dalla natura esemplificativa o tassativa che si voglia riconoscere a tale elenco, va poi osservato che esso comprende voci di per sé abbastanza generiche, tali da poter ricomprendere anche opere non espressamente nominate.
Con riferimento alle tettoie, rileva in particolare la voce di cui alla lettera e)-quinquies, che considera opere di edilizia libera gli “elementi di arredo delle aree pertinenziali degli edifici”, concetto nel quale può sicuramente rientrare una tettoia genericamente intesa, come copertura comunque realizzata di un’area pertinenziale, come il terrazzo.
La norma è stata introdotta dall’art. 3 del d.lgs. 25.11.2016 n. 222, ma si deve considerare applicabile anche alle costruzioni precedenti, come quella per cui è causa, per due ragioni. In primo luogo, nel diritto delle sanzioni è principio generale quello per cui non si possano subire conseguenze sfavorevoli per un comportamento in ipotesi illecito nel momento in cui è stato realizzato, che più non lo sia quando si tratti di applicare le sanzioni stesse. In secondo luogo, la giurisprudenza di cui subito si dirà, anche in epoca anteriore alla modifica legislativa di cui s’è detto, distingueva all’interno della categoria in esame costruzione da costruzione assoggettandola a regime diverso a seconda delle sue caratteristiche.
In materia, è poi intervenuto di recente un chiarimento da parte del legislatore, ovvero il recente D.M. 02.03.2018, di “Approvazione del glossario contenente l'elenco non esaustivo delle principali opere edilizie realizzabili in regime di attività edilizia libera”, ai sensi dell'articolo 1, comma 2 del citato d.lgs. 222/2016. Tale decreto comprende, al n. 50 del glossario delle opere realizzabili senza titolo edilizio alcuno, in particolare le cd pergotende, ovvero, per comune esperienza, strutture di copertura di terrazzi e lastrici solari, di superficie anche non modesta, formate da montanti ed elementi orizzontali di raccordo e sormontate da una copertura fissa o ripiegabile formata da tessuto o altro materiale impermeabile, che ripara dal sole, ma anche dalla pioggia, aumentando la fruibilità della struttura. Si tratta quindi di un manufatto molto simile alla tettoia, che se ne distingue secondo logica solo per presentare una struttura più leggera.
Al polo opposto, v’è l’art. 10, comma 1, lettera a), del T.U. 380/2001, che assoggetta invece al titolo edilizio maggiore, ovvero al permesso di costruire, “gli interventi di nuova costruzione”.
La giurisprudenza si fonda su tale ultima disposizione per richiedere appunto il permesso di costruire nel caso di tettoie di particolari dimensioni e caratteristiche. Si afferma infatti in via generale che tale struttura costituisce intervento di nuova costruzione e richiede il permesso di costruire nel momento in cui difetta dei requisiti richiesti per le pertinenze e gli interventi precari, ovvero quando modifica la sagoma dell’edificio.
Sulla base di tale quadro normativo emerge chiara una conseguenza: non è possibile affermare in assoluto che la tettoia richieda, o non richieda, il titolo edilizio maggiore e assoggettarla, o non assoggettarla, alla relativa sanzione senza considerare nello specifico come essa è realizzata. In proposito, quindi, l’amministrazione ha l’onere di motivare in modo esaustivo, attraverso una corretta e completa istruttoria che rilevi esattamente le opere compiute e spieghi per quale ragione esse superano i limiti entro i quali si può trattare di una copertura realizzabile in regime di edilizia libera.
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Ciò a maggior ragione nel caso di specie, a fronte della limitata estensione e consistenza del manufatto, sia in relazione alla necessità di esplicare le ragioni sottese alla reputata contrarietà al vincolo esistente in loco ed alla sussistenza della rilevata alterazione dell'aspetto esteriore dei luoghi. A quest’ultimo riguardo infatti, solo una corretta ricostruzione e qualificazione del manufatto costituisce la necessaria base su cui svolgere la doverosa valutazione di carattere paesaggistico.
Tutto ciò non si ritrova nel provvedimento impugnato, che si limita ad una descrizione generica di quanto rilevato, a fronte della quale, si noti, la difesa di parte appellante ha sin dal ricorso di prime cure evidenziato una serie di elementi in fatto, a partire dalle dimensioni inferiori ai sei mq, dal fatto di non essere infissa al suolo e dalla stretta pertinenzialità rispetto al manufatto esistente.
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Va quindi ribadito che non ogni opera che interessi la superficie esterna dell’edificio determina una automatica alterazione dei luoghi soggetti a tutela, ma esclusivamente quella che ne immuti le caratteristiche essenziali in maniera rilevante; spetta alla p.a. l’onere di esplicare, una volta verificata la consistenza del manufatto, la rilevata alterazione.
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... per la riforma della sentenza breve del Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania (Sezione Sesta) n. 5499/2011, resa tra le parti, concernente demolizione opere abusive
...
Con l’appello in esame l’odierna parte appellante impugnava la sentenza n. 5499 del 2011 con cui il Tar Campania ha respinto l’originario gravame.
Quest’ultimo era stato proposto dalla medesima parte, in qualità di proprietaria del compendio immobiliare coinvolto sito in comune di Procida, al fine di ottenere l’annullamento degli atti concernenti l’ordine di demolizione di una tettoia in legno con copertura in tegole di cotto di circa sei metri quadrati, con altezza variabile tra mt. 3,00 e 2,50.
...
1. L’appello è fondato in ordine ai profili dedotti in merito alla qualificazione dell’opera.
2.1 In linea di fatto appaiono pacifici i seguenti elementi: la (limitata) consistenza dell’intervento, la qualificazione in termini di tettoia, l’assenza di titolo edilizio e la relativa collocazione in area sottoposta a vincolo paesaggistico.
2.2 In linea di diritto, va richiamato quanto ancora di recente evidenziato dalla sezione (cfr. decisione n. 07.05.2018 n. 2715) nel senso che la disciplina delle tettoie non è definita in modo univoco né nella normativa né in giurisprudenza.
Dal punto di vista normativo, va considerato l’art. 6 del T.U. 06.06.2001 n. 380, che contiene l’elenco delle opere di cd edilizia libera, le quali non necessitano di alcun titolo abilitativo; a prescindere dalla natura esemplificativa o tassativa che si voglia riconoscere a tale elenco, va poi osservato che esso comprende voci di per sé abbastanza generiche, tali da poter ricomprendere anche opere non espressamente nominate.
Con riferimento alle tettoie, rileva in particolare la voce di cui alla lettera e)-quinquies, che considera opere di edilizia libera gli “elementi di arredo delle aree pertinenziali degli edifici”, concetto nel quale può sicuramente rientrare una tettoia genericamente intesa, come copertura comunque realizzata di un’area pertinenziale, come il terrazzo.
La norma è stata introdotta dall’art. 3 del d.lgs. 25.11.2016 n. 222, ma si deve considerare applicabile anche alle costruzioni precedenti, come quella per cui è causa, per due ragioni. In primo luogo, nel diritto delle sanzioni è principio generale quello per cui non si possano subire conseguenze sfavorevoli per un comportamento in ipotesi illecito nel momento in cui è stato realizzato, che più non lo sia quando si tratti di applicare le sanzioni stesse. In secondo luogo, la giurisprudenza di cui subito si dirà, anche in epoca anteriore alla modifica legislativa di cui s’è detto, distingueva all’interno della categoria in esame costruzione da costruzione assoggettandola a regime diverso a seconda delle sue caratteristiche.
In materia, è poi intervenuto di recente un chiarimento da parte del legislatore, ovvero il recente D.M. 02.03.2018, di “Approvazione del glossario contenente l'elenco non esaustivo delle principali opere edilizie realizzabili in regime di attività edilizia libera”, ai sensi dell'articolo 1, comma 2, del citato d.lgs. 222/2016.
Tale decreto comprende, al n. 50 del glossario delle opere realizzabili senza titolo edilizio alcuno, in particolare le cd pergotende, ovvero, per comune esperienza, strutture di copertura di terrazzi e lastrici solari, di superficie anche non modesta, formate da montanti ed elementi orizzontali di raccordo e sormontate da una copertura fissa o ripiegabile formata da tessuto o altro materiale impermeabile, che ripara dal sole, ma anche dalla pioggia, aumentando la fruibilità della struttura. Si tratta quindi di un manufatto molto simile alla tettoia, che se ne distingue secondo logica solo per presentare una struttura più leggera.
Al polo opposto, v’è l’art. 10, comma 1, lettera a), del T.U. 380/2001, che assoggetta invece al titolo edilizio maggiore, ovvero al permesso di costruire, “gli interventi di nuova costruzione”.
La giurisprudenza si fonda su tale ultima disposizione per richiedere appunto il permesso di costruire nel caso di tettoie di particolari dimensioni e caratteristiche. Si afferma infatti in via generale che tale struttura costituisce intervento di nuova costruzione e richiede il permesso di costruire nel momento in cui difetta dei requisiti richiesti per le pertinenze e gli interventi precari, ovvero quando modifica la sagoma dell’edificio: fra le molte, C.d.S. sez. IV 08.01.2018 n. 12 e sez. VI 16.02.2017 n. 694.
2.3 Sulla base di tale quadro normativo emerge chiara una conseguenza: non è possibile affermare in assoluto che la tettoia richieda, o non richieda, il titolo edilizio maggiore e assoggettarla, o non assoggettarla, alla relativa sanzione senza considerare nello specifico come essa è realizzata. In proposito, quindi, l’amministrazione ha l’onere di motivare in modo esaustivo, attraverso una corretta e completa istruttoria che rilevi esattamente le opere compiute e spieghi per quale ragione esse superano i limiti entro i quali si può trattare di una copertura realizzabile in regime di edilizia libera.
Ciò a maggior ragione nel caso di specie, a fronte della limitata estensione e consistenza del manufatto, sia in relazione alla necessità di esplicare le ragioni sottese alla reputata contrarietà al vincolo esistente in loco ed alla sussistenza della rilevata alterazione dell'aspetto esteriore dei luoghi. A quest’ultimo riguardo infatti, solo una corretta ricostruzione e qualificazione del manufatto costituisce la necessaria base su cui svolgere la doverosa valutazione di carattere paesaggistico.
Tutto ciò non si ritrova nel provvedimento impugnato, che si limita ad una descrizione generica di quanto rilevato, a fronte della quale, si noti, la difesa di parte appellante ha sin dal ricorso di prime cure evidenziato una serie di elementi in fatto, a partire dalle dimensioni inferiori ai sei mq, dal fatto di non essere infissa al suolo e dalla stretta pertinenzialità rispetto al manufatto esistente.
2.4 Va quindi ribadito che non ogni opera che interessi la superficie esterna dell’edificio determina una automatica alterazione dei luoghi soggetti a tutela, ma esclusivamente quella che ne immuti le caratteristiche essenziali in maniera rilevante; spetta alla p.a. l’onere di esplicare, una volta verificata la consistenza del manufatto, la rilevata alterazione.
...
4. Alla luce delle considerazioni che precedono l’appello va accolto in ordine ai profili indicati; per l’effetto, in riforma della sentenza appellata, va accolto il ricorso di primo grado (Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 09.10.2018 n. 5781 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATACon riferimento al caso di specie, pur nella consapevolezza della mancanza di un orientamento giurisdizionale univoco, la Sezione ritiene che, come si evince anche dal materiale fotografico in atti, il gazebo configuri una struttura leggera, non ancorata al suolo con bulloni o cemento, agevolmente rimuovibile al termine della stagione estiva, aperta su tutti i lati e di modestissime dimensioni senza alcuna incidenza sulla capacità insediativa. Funge, pertanto, da mero arredo per spazi esterni senza creare incremento volumetrico dell’esistente o nuove superfici utili.
In merito, il Consiglio di Stato ha avuto modo più volte di precisare, ad esempio, che il manufatto aperto su tre lati, che non sviluppa cubatura e non rientra tra gli interventi di trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio, costituisce opera pertinenziale e non necessita di permesso di costruire.
In particolare, è stata esclusa la preventiva acquisizione del titolo abilitativo per l’istallazione di una tettoia costituita da struttura leggera e amovibile, se questa:
   - resta nei limiti di una "struttura di arredo” installata su pareti esterne dell’unità immobiliare di cui è ad esclusivo servizio;
   - è caratterizzata da elementi in metallo o in legno, ed è aperta su più lati con una copertura anche retrattile di tela, di plastica, di pellicola trasparente, di stuoie in canna o bambù;
   - è priva di opere murarie e di pareti chiuse di qualsiasi genere o tetti di tegole;
   - è costituita da elementi leggeri, assemblati tra loro, tali da rendere possibile la loro rimozione previo smontaggio e non demolizione.
In tali ipotesi l’installazione sul lastrico degli edifici in città di gazebi, tende o pergolati a pareti variabili è, infatti, inidonea a modificare la destinazione d’uso degli spazi esterni interessati, e non comporta aumenti di volume.
Tali strutture accessorie non necessitano di nulla-osta in quanto, per la facile e completa rimovibilità e per l’assenza di tamponature verticali, non configurano un aumento del volume e della superficie coperta, non danno luogo alla creazione o modificazione di un organismo edilizio, non producono alterazione architettonica del prospetto o della sagoma dell’edificio cui sono connesse e comunque sono inidonee a modificare la destinazione d’uso degli spazi esterni interessati.
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1. La ricorrente ritiene che le opere realizzate non siano ascrivibili alla categoria delle “costruzioni” per caratteristiche dei materiali, tipologia e funzione. Evidenzia, al riguardo, che il provvedimento finale è supportato da argomenti nuovi, non anticipati dalla comunicazione del procedimento amministrativo dell’11.12.2008; in particolare, lamenta che, con quest’ultima comunicazione, l’amministrazione richiama per la prima volta il difetto della creazione di una superficie coperta e la necessità di verifica in ordine alla superficie permeabile, rispetto alla pavimentazione in piastrelle forate di polipropilene in contrasto, rispettivamente, con l’articolo pr7 del piano delle regole e con l’articolo 3 del regolamento locale di igiene.
Sostiene, infine, che il gazebo e le piastrelle forate in polipropilene non possono rientrare nella categoria delle nuove costruzioni in quanto il gazebo funge da mero arredo per spazi esterni, presenta modeste dimensioni ed è aperto su tutti i lati, oltre a risultare facilmente smontabile e rimovibile.
2. Il ricorso è fondato.
In materia edilizia, come principio generale, è necessario il previo rilascio di un adeguato titolo edilizio per realizzare ogni alterazione dello stato dei luoghi ed ogni struttura volta a soddisfare esigenze di carattere durevole, a prescindere dalla tecnica e dai materiali impiegati per la realizzazione della struttura; pertanto, nella nozione di “nuova costruzione” deve essere ricondotto qualsiasi manufatto non completamente interrato avente i requisiti della solidità e della immobilizzazione al suolo anche mediante appoggio, incorporazione o collegamento fisso ad una preesistente fabbrica (ad esempio, casa prefabbricata, baracca in lamiera ondulata, capanna in legno ad uso ricovero animali o deposito attrezzi agricoli).
Ai sensi dell'art. 3, comma 1, lett. e.5), del D.P.R. n. 380 del 06.06.2001, sono da considerarsi nuove costruzioni, comportanti la trasformazione edilizia e urbanistica del territorio, "l'installazione di manufatti leggeri, anche prefabbricati, e di strutture di qualsiasi genere, quali roulottes, campers, case mobili, imbarcazioni, che siano utilizzati come abitazioni, ambienti di lavoro, oppure come depositi, magazzini e simili, ad eccezione di quelli che siano diretti a soddisfare esigenze meramente temporanee o siano ricompresi in strutture ricettive all'aperto per la sosta e il soggiorno dei turisti, previamente autorizzate sotto il profilo urbanistico, edilizio e, ove previsto, paesaggistico, in conformità alle normative regionali di settore".
Tale principio subisce eccezioni per le attività libere indicate nell'art. 6 T.U. 06.06.2001 n. 380, recante il T.U. delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia.
Detta disposizione prevede che, fatte salve le prescrizioni degli strumenti urbanistici comunali, e comunque nel rispetto delle altre normative di settore aventi incidenza sulla disciplina dell’attività edilizia, in particolare delle norme antisismiche, di sicurezza, antincendio, igienico-sanitarie ecc. alcuni interventi specificamente individuati possono essere effettuati senza nessun titolo abilitativo. Al secondo comma prevede che, nel rispetto dei medesimi presupposti di cui al comma 1, previa comunicazione all’amministrazione comunale, anche per via telematica, dell’inizio dei lavori, possono essere eseguiti senza alcun titolo abilitativo alcuni interventi tra cui “le opere dirette a soddisfare obiettive esigenze contingenti e temporanee e ad essere immediatamente rimosse al cessare della necessità e, comunque, entro un termine non superiore a novanta giorni”.
A prescindere dalla natura esemplificativa o tassativa che si voglia riconoscere alle indicazioni legislative, va osservato che il testo normativo comprende voci di per sé abbastanza generiche, tali da poter riguardare anche opere non espressamente nominate. Proprio per l’incertezza circa l’esatta perimetrazione delle opere “libere” è stato operato un doppio intervento. Il primo, di carattere integrativo, con il d.lgs. 25.11.2016 n. 222; il secondo, di natura esemplificativa, attuato con il D.M. 02.03.2018 (approvazione del glossario contenente l'elenco non esaustivo delle principali opere edilizie realizzabili in regime di attività edilizia libera, ai sensi dell'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 25.11.2016, n. 222).
In ogni caso, in via generale, non possono essere considerate “nuove costruzioni” le strutture dirette a soddisfare esigenze meramente temporanee, non determinandosi una trasformazione irreversibile o permanente del territorio su cui insistono, a prescindere dai materiali usati.
Con riferimento al caso specifico, pur nella consapevolezza della mancanza di un orientamento giurisdizionale univoco, la Sezione ritiene che, come si evince anche dal materiale fotografico in atti, il gazebo configuri una struttura leggera, non ancorata al suolo con bulloni o cemento, agevolmente rimuovibile al termine della stagione estiva, aperta su tutti i lati e di modestissime dimensioni senza alcuna incidenza sulla capacità insediativa. Funge, pertanto, da mero arredo per spazi esterni senza creare incremento volumetrico dell’esistente o nuove superfici utili.
In merito, il Consiglio di Stato ha avuto modo più volte di precisare, ad esempio, che il manufatto aperto su tre lati, che non sviluppa cubatura e non rientra tra gli interventi di trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio, costituisce opera pertinenziale e non necessita di permesso di costruire (Consiglio di Stato, sez. VI, sent. n. 320 del 2015).
In particolare, è stata esclusa la preventiva acquisizione del titolo abilitativo per l’istallazione di una tettoia costituita da struttura leggera e amovibile, se questa:
   - resta nei limiti di una "struttura di arredo” installata su pareti esterne dell’unità immobiliare di cui è ad esclusivo servizio;
   - è caratterizzata da elementi in metallo o in legno, ed è aperta su più lati con una copertura anche retrattile di tela, di plastica, di pellicola trasparente, di stuoie in canna o bambù;
   - è priva di opere murarie e di pareti chiuse di qualsiasi genere o tetti di tegole;
   - è costituita da elementi leggeri, assemblati tra loro, tali da rendere possibile la loro rimozione previo smontaggio e non demolizione.
In tali ipotesi l’installazione sul lastrico degli edifici in città di gazebi, tende o pergolati a pareti variabili è, infatti, inidonea a modificare la destinazione d’uso degli spazi esterni interessati, e non comporta aumenti di volume (Consiglio di Stato, VI sezione, sent. 11.04.2014 n. 1777).
Tali strutture accessorie non necessitano di nulla-osta in quanto, per la facile e completa rimovibilità e per l’assenza di tamponature verticali, non configurano un aumento del volume e della superficie coperta, non danno luogo alla creazione o modificazione di un organismo edilizio, non producono alterazione architettonica del prospetto o della sagoma dell’edificio cui sono connesse e comunque sono inidonee a modificare la destinazione d’uso degli spazi esterni interessati (Consiglio di Stato, sezione, VI sentenza, sent. 21.01.2015 n. 171).
Il gazebo, nelle dimensioni risultanti dagli atti e dall’esame del materiale fotografico disponibile non si pone, infine, neanche in contrasto con le norme che violano il tessuto storico urbano (in particolare con l’art. 27, lett. e), della legge regionale Lombardia 11.03.2005, n. 12) atteso che risulta posizionato sul retro dell’edificio immediatamente adiacente, cioè in zona non visibile e circondato da un muro di notevole altezza da cui fuoriesce soltanto una modesta punta di copertura telata bianca, escludendo qualsiasi impatto visivo.
In conclusione, il gazebo secondo gli elementi risultanti in atti, tenuto conto delle caratteristiche e della sua funzione, non configura l’ipotesi della costruzione sia sotto il profilo strutturale (in considerazione dei materiali usati, dell’agevole smontaggio, delle modeste dimensioni e dell’apertura su quattro lati) né sotto il profilo funzionale in quanto non attua una trasformazione urbanistica edilizia del territorio, con perdurante modifica dello stato dei luoghi.
Rileva, al riguardo la voce di cui all’art. 6 comma 1, lett. e)-quinquies, del d.P.R. n. 380/2001 che considera opere di edilizia libera gli “elementi di arredo delle aree pertinenziali degli edifici”, concetto nel quale può sicuramente rientrare un gazebo dalle caratteristiche innanzi richiamate. Sebbene tale norma sia stata introdotta dall’art. 3 del d.lgs. 25.11.2016 n. 222, deve considerarsi applicabile anche alle costruzioni precedenti, come quella per cui è causa.
Per completezza la Sezione evidenzia che il richiamato D.M. 02.03.2018, al n. 44 dell’allegato 1, prevede espressamente che rientrano tra le opere edilizie realizzabili in regime di attività edilizia libera il “gazebo di limitate dimensioni e non stabilmente infisso al suolo”.
Sulla base delle considerazioni che precedono il ricorso deve essere accolto con conseguente annullamento dell’atto impugnato (Consiglio d Stato, Sez. I, parere 08.10.2018 n. 2292 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Per aversi una pergotenda occorre che l’opera principale sia costituita non dalla struttura in sé, ma dalla tenda, quale elemento di protezione dal sole o dagli agenti atmosferici, con la conseguenza che la struttura deve qualificarsi in termini di mero elemento accessorio, necessario al sostegno e all’estensione della tenda.
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3. L’appello è infondato e va respinto.
In base alla foto-documentazione dimessa dall’Amministrazione, nella specie, non ci si trova di fronte a due pergotende, bensì a vere e proprie tettoie, come tali interventi di ristrutturazione edilizia non rientranti nell’edilizia libera.
Per aversi una pergotenda occorrerebbe, infatti che l’opera principale sia costituita non dalla struttura in sé, ma dalla tenda, quale elemento di protezione dal sole o dagli agenti atmosferici, con la conseguenza che la struttura deve qualificarsi in termini di mero elemento accessorio, necessario al sostegno e all’estensione della tenda.
Nel caso in esame, infatti, trattasi di struttura con travetti lignei di una certa consistenza che sorreggono una tenda, struttura che può essere senz’altro definita solida e permanente e, soprattutto, tale da determinare una evidente variazione di sagoma e prospetto dell’edificio. Contrariamente a quanto affermato dagli appellanti, l’elemento principale non è quindi la tenda sorretta dalla struttura in travi di legno, ma, invece, quest’ultima.
Non trattandosi nel caso in esame di pergotende non può nemmeno, diversamente da come affermato dagli appellanti, trovare applicazione l’art. 17, comma 2°, del D.P.R. n. 31/2017 che stabilisce: “Non può disporsi la rimessione in pristino nel caso di interventi e opere ricompresi nell’ambito di applicazione dell’articolo 2 del presente decreto e realizzati anteriormente alla data di entrata in vigore del presente regolamento non soggette ad altro titolo abilitativo all’infuori dell’autorizzazione paesaggistica”.
Nella specie, infatti, non si è in presenza di un intervento riconducibile nella cd. edilizia libera, per cui non è soddisfatto il presupposto per cui la struttura non necessita di alcuna autorizzazione all’infuori del vincolo paesaggistico. In base all’art. 17 del DPR 31/2017 poteva quindi essere ben emessa la determinazione dirigenziale di demolizione.
4. Conclusivamente, il gravame va respinto e la sentenza impugnata va confermata (Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 05.10.2018 n. 5737 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Costruzione di un gazebo in zona sismica
Risponde dei reati di cui all’art. 44, lett. b), e artt. 88, 93, 95, DPR 380/2001, e di cui all’art. 2, L.Reg. 07.01.1983, n. 9, colui che, in zona sismica, omettendo di depositare prima dell’inizio dei lavori gli atti progettuali presso l’Ufficio del Genio Civile competente, realizzi, in assenza del permesso di costruire, ma depositando soltanto una DIA, un gazebo in legno delle dimensioni di 36 mq. (TRIBUNALE di Napoli, Sez. I, sentenza 03.10.2018 n. 10908 - massima tratta da www.laleggepertutti.it).

EDILIZIA PRIVATA: La indiscussa natura di “intervento libero” che deve essere riconosciuta alla struttura progettata dal ricorrente (ndr: installazione di una tettoia con copertura retrattile -cd. “pergotenda”- della superficie di 16 mq) impedisce solo che questa debba essere assoggettata a provvedimenti abilitativi di matrice comunale, tendenti a valutare la fattibilità urbanistica ed edilizia del manufatto.
Ma, nel caso di specie, la realizzazione di una struttura da collocare sulla terrazza sommitale di un edificio risulta potenzialmente idonea ad incidere su valori (diversi da quelli urbanistici) di carattere paesaggistico, in ragione del fatto che l’intera area comunale è sottoposta a vincolo di notevole interesse pubblico istituito nel lontano 1978.
Pertanto, è di intuitiva evidenza che il medesimo intervento -non assoggettato ad alcun limite o atto di assenso sul piano edilizio- richieda il preventivo parere dell’organo tutorio se inserito all’interno di un comune soggetto a vincolo paesaggistico, mentre potrebbe essere liberamente eseguito nell’ambito di un territorio comunale che non fosse assoggettato a tali vincoli.
Sicché, risulta irrilevante sia il fatto che l’intervento sia qualificabile come “neutro” (o libero) dal punto di vista edilizio, sia l’asserito errore di fatto commesso dalla Soprintendenza nel qualificare il manufatto come “tettoia” piuttosto che “tenda”.
Sia che si trattasse di una “tettoia”, che in ipotesi mera “tenda”, la Soprintendenza non avrebbe potuto sottrarsi all’obbligo di valutare (peraltro, su richiesta dello stesso soggetto interessato) l’incidenza dell’intervento progettato rispetto ai valori paesaggistici ed ambientali affidati per legge alla sua cura.
In una vicenda per certi versi analoga, infatti, la giurisprudenza ha affermato che “Una serra mobile, sebbene ricada nell'attività edilizia libera, richiede l'autorizzazione paesaggistica, poiché anche tale tipologia di manufatto può recare pregiudizio ai valori paesistici e ambientali protetti ed esige, quindi, un esame preventivo da parte dell'autorità competente”.

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La Soprintendenza di Messina ha respinto l’istanza presentata dal ricorrente D’Al., con la quale si richiedeva il parere di compatibilità paesaggistica ai fini dell’installazione di una tettoia con copertura retrattile (cd. “pergotenda”), della superficie di 16 mq, da collocare su una terrazza posta all’ultimo piano di un edificio sito nel Comune di Castelmola.
Il provvedimento, in particolare, rilevava l’esistenza di un vincolo di notevole interesse pubblico apposto su tutto il territorio del Comune di Castelmola con DPRS 2976/1978, e del Piano Paesaggistico Ambito 9 approvato con D.A. 6682/2016; aggiungeva inoltre la circostanza che l’intervento proposto ricade in area soggetta al livello di tutela 1 del citato P.P.A.
In applicazione di tali strumenti di tutela del territorio, la Soprintendenza ha ritenuto di dover esprimere –con l’atto ora impugnato– parere contrario al progetto, trattandosi di intervento che “comporterebbe un notevole impatto negativo al paesaggio tutelato” essendo “ricadente in zona di notevole intervisibilità panoramica ai margini del tessuto urbano di Castelmola”.
Il ricorrente ha allora impugnato in questa sede il parere negativo espresso dalla Soprintendenza, assumendo che sia affetto dai seguenti vizi: ...
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Il primo motivo di ricorso è infondato.
La indiscussa natura di “intervento libero” che deve essere riconosciuta alla struttura progettata dal ricorrente impedisce solo che questa debba essere assoggettata a provvedimenti abilitativi di matrice comunale, tendenti a valutare la fattibilità urbanistica ed edilizia del manufatto.
Ma, nel caso di specie, la realizzazione di una struttura da collocare sulla terrazza sommitale di un edificio risulta potenzialmente idonea ad incidere su valori (diversi da quelli urbanistici) di carattere paesaggistico, in ragione del fatto che l’intera area comunale di Castelmola è sottoposta a vincolo di notevole interesse pubblico istituito nel lontano 1978, nonché inquadrata nel Piano Paesaggistico Ambito 9, più di recente varato dalla Regione Sicilia con riferimento alla provincia di Messina.
Pertanto, è di intuitiva evidenza che il medesimo intervento -non assoggettato ad alcun limite o atto di assenso sul piano edilizio- richieda il preventivo parere dell’organo tutorio se inserito all’interno di un comune soggetto a vincolo paesaggistico, mentre potrebbe essere liberamente eseguito nell’ambito di un territorio comunale che non fosse assoggettato a tali vincoli.
A ben vedere, tale distinguo risulta ben conosciuto dal ricorrente, che non a caso ha inviato richiesta di nulla osta alla Soprintendenza di Messina prima di avviare alcun tipo di attività, salvo poi dolersi del parere contrario espresso dall’amministrazione.
Alla luce di quanto esposto risulta irrilevante sia il fatto che l’intervento sia qualificabile come “neutro” (o libero) dal punto di vista edilizio, sia l’asserito errore di fatto commesso dalla Soprintendenza nel qualificare il manufatto come “tettoia” piuttosto che “tenda”. Sia che si trattasse di una “tettoia”, che in ipotesi mera “tenda”, la Soprintendenza non avrebbe potuto sottrarsi all’obbligo di valutare (peraltro, su richiesta dello stesso soggetto interessato) l’incidenza dell’intervento progettato rispetto ai valori paesaggistici ed ambientali affidati per legge alla sua cura.
In una vicenda per certi versi analoga, infatti, la giurisprudenza ha affermato che “Una serra mobile, sebbene ricada nell'attività edilizia libera, richiede l'autorizzazione paesaggistica, poiché anche tale tipologia di manufatto può recare pregiudizio ai valori paesistici e ambientali protetti ed esige, quindi, un esame preventivo da parte dell'autorità competente” (Tar Veneto 1007/2017)
(TAR Sicilia-Catania, Sez. IV, sentenza 30.07.2018 n. 1635 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Realizzazione di gazebo non precari
I gazebo non precari, in quanto funzionali a soddisfare esigenze permanenti, sono a tutti gli effetti manufatti in grado di alterare lo stato dei luoghi, con incremento del carico urbanistico.
Non rileva la rimovibilità della struttura e l’assenza di opere murarie, posto che la struttura è deputata non ad un utilizzo transitorio ma per soddisfare esigenze durature nel tempo e rafforzate dal carattere continuativo e non stagionale dell’attività svolta
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2.1.- Infondato è il primo motivo.
Contrariamente alle affermazioni della società ricorrente, gli interventi compiuti senza titolo non si sono limitati a semplici opere interne.
Dagli atti di causa, emerge che il gazebo, posto all’esterno sulla parte frontale dell'immobile, è stato realizzato con struttura mista -legno lamellare, copertura con teli in plastica- e pavimentato in gres, materiale diverso rispetto alle indicazioni contenute nell'autorizzazione paesaggistica, richiesta dalla società ricorrente. Ed infatti, la Soprintendenza, con provvedimento prot. n. 18465 del 22.07.2014, aveva rilasciato parere favorevole per la costruzione di un gazebo, a condizione che la pavimentazione delle aree impegnate dalle strutture di ombreggiamento fosse realizzata in legno, allo scopo di garantire la necessaria omogenea ed intera reversibilità dell'impianto.
Il diverso materiale impiegato trasforma il gazebo in una struttura sostanzialmente stabile e non rimovibile.
Sul punto, condivisa giurisprudenza ha anche chiarito che i gazebo non precari in quanto funzionali a soddisfare esigenze permanenti, sono a tutti gli effetti manufatti in grado di alterare lo stato dei luoghi, con incremento del carico urbanistico. Non rileva la rimovibilità della struttura e l'assenza di opere murarie, posto che la struttura è deputata non ad un utilizzo transitorio ma per soddisfare esigenze durature nel tempo e rafforzate dal carattere continuativo e non stagionale dell'attività svolta (ex multis, Tar Perugia, sez. I, 16.02.2015, n. 81) (TAR Campania-Napoli, Sez. III, sentenza 05.06.2018 n. 3693 - massima tratta da www.laleggepertutti.it - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Temporaneità della destinazione del gazebo.
Il gazebo è un’opera che, in base alle caratteristiche costruttive, può sottostare a diversi regimi edilizi ed essere inquadrato tra le attività libere, ove del tutto temporaneo e rimovibile, nonché rimosso in tempi brevi; ovvero soggetto a permesso a costruire o alla Dia quando non presenti dette caratteristiche.
La temporaneità della destinazione, nello specifico, non può essere desunta dalla soggettiva destinazione dell’opera data dal costruttore o dall’installatore, ma va ricollegata a un uso realmente precario o temporaneo, per fini specifici e cronologicamente delimitabili.
Nel caso di specie, il giudice ha ritenuto integrato il reato ex art. 44, lett. b), del Dpr 380/2001 in quanto si trattava di una struttura a capanna in legno di 4 x 2,70 metri, disposta per uso stabile e indeterminato, per far fronte a duraturi interessi della famiglia anche se caratterizzati da frequenze d’uso diverse in relazione ai vari periodi dell’anno
(TRIBUNALE di Firenze, Sez. III, sentenza 22.05.2018 n. 2091 - massima tratta da www.laleggepertutti.it).

EDILIZIA PRIVATA: Non è possibile affermare in assoluto che la tettoia richiede, o non richiede, il titolo edilizio maggiore e assoggettarla, o non assoggettarla, alla relativa sanzione senza considerare nello specifico come essa è realizzata.
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Con la determinazione 18.10.2011 meglio indicata in epigrafe, l’amministrazione intimata appellata ha ordinato ai ricorrenti appellanti, il primo quale usufruttuario responsabile e la seconda quale nuda proprietaria, di rimuovere in quanto abusiva, perché realizzata senza titolo alcuno, una copertura con tenda in tessuto sorretta da una struttura principale e secondaria di legno installata sulla terrazza a livello del locale soffitta al sesto piano dell’immobile situato in via ... 201 (doc. s.n. in I grado ricorrenti appellanti, atto impugnato, allegato al ricorso introduttivo).
Con la sentenza a sua volta meglio indicata in epigrafe, il TAR ha respinto il ricorso proposto dagli interessati contro tale provvedimento, ritenendo che l’opera integrasse ristrutturazione soggetta al necessario rilascio di un permesso di costruire, e non di un titolo edilizio minore, in quanto struttura stabile modificatrice della sagoma dell’edificio, e che quindi in mancanza del permesso stesso ne fosse stata correttamente ingiunta la demolizione.
...
1. L’appello è fondato e va accolto, per le ragioni di seguito precisate.
2. L’abuso contestato ai ricorrenti appellanti consiste nella realizzazione di una tettoia, ovvero di un manufatto la cui disciplina non è definita in modo univoco né nella normativa né in giurisprudenza.
2.1 Dal punto di vista normativo, va considerato anzitutto l’art. 6 del T.U. 06.06.2001 n. 380, che contiene l’elenco delle opere di cd edilizia libera, le quali non necessitano di alcun titolo abilitativo; a prescindere dalla natura esemplificativa o tassativa che si voglia riconoscere a tale elenco, va poi osservato che esso comprende voci di per sé abbastanza generiche, tali da poter ricomprendere anche opere non espressamente nominate.
Con riferimento alle tettoie, rileva in particolare la voce di cui all’art. 6, comma 1, lettera e)-quinquies, che considera opere di edilizia libera gli “elementi di arredo delle aree pertinenziali degli edifici”, concetto nel quale può sicuramente rientrare una tettoia genericamente intesa, come copertura comunque realizzata di un’area pertinenziale, come il terrazzo.
La norma è stata introdotta dall’art. 3 del d.lgs. 25.11.2016 n. 222, ma si deve considerare applicabile anche alle costruzioni precedenti, come quella per cui è causa, per due ragioni.
In primo luogo, nel diritto delle sanzioni è principio generale e notorio, e come tale non richiede puntuali citazioni, che non si possano subire conseguenze sfavorevoli per un comportamento in ipotesi illecito nel momento in cui è stato realizzato, che più non lo sia quando si tratti di applicare le sanzioni stesse.
In secondo luogo, la giurisprudenza di cui subito si dirà, anche in epoca anteriore alla modifica legislativa di cui s’è detto, distingueva all’interno della categoria in esame costruzione da costruzione assoggettandola a regime diverso a seconda delle sue caratteristiche.
2.2 In materia, è poi intervenuto di recente un chiarimento da parte del legislatore, ovvero il recente D.M. 02.03.2018, pubblicato nella G.U. 07.04.2018 n. 81, di “Approvazione del glossario contenente l'elenco non esaustivo delle principali opere edilizie realizzabili in regime di attività edilizia libera”, ai sensi dell'articolo 1, comma 2, del citato d.lgs. 222/2016.
A sua volta, la norma dell’art. 1, comma 2, prevede che “Con riferimento alla materia edilizia, al fine di garantire omogeneità di regime giuridico in tutto il territorio nazionale, con decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti di concerto con il Ministro delegato per la semplificazione e la pubblica amministrazione, da emanare entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto, previa intesa con la Conferenza unificata di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28.08.1997, n. 281, è adottato un glossario unico, che contiene l'elenco delle principali opere edilizie, con l'individuazione della categoria di intervento a cui le stesse appartengono e del conseguente regime giuridico a cui sono sottoposte, ai sensi della tabella A di cui all'articolo 2 del presente decreto”.
Il decreto ministeriale attuativo di cui s’è detto comprende, al n. 50 del glossario delle opere realizzabili senza titolo edilizio alcuno, in particolare le cd. pergotende, ovvero, per comune esperienza, strutture di copertura di terrazzi e lastrici solari, di superficie anche non modesta, formate da montanti ed elementi orizzontali di raccordo e sormontate da una copertura fissa o ripiegabile formata da tessuto o altro materiale impermeabile, che ripara dal sole, ma anche dalla pioggia, aumentando la fruibilità della struttura. Si tratta quindi di un manufatto molto simile alla tettoia, che se ne distingue secondo logica solo per presentare una struttura più leggera.
2.3 Al polo opposto, v’è l’art. 10, comma 1, lettera a), del T.U. 380/2001, che assoggetta invece al titolo edilizio maggiore, ovvero al permesso di costruire, “gli interventi di nuova costruzione”. Come subito si vedrà, la giurisprudenza si fonda su tale norma per richiedere appunto il permesso di costruire nel caso di tettoie di particolari dimensioni e caratteristiche.
Si afferma infatti in via generale che tale struttura costituisce intervento di nuova costruzione e richiede il permesso di costruire nel momento in cui difetta dei requisiti richiesti per le pertinenze e gli interventi precari, ovvero quando modifica la sagoma dell’edificio: fra le molte, C.d.S. sez. IV 08.01.2018 n. 12 e sez. VI 16.02.2017 n. 694.
3. Da tutto ciò, emerge chiara una conseguenza: non è possibile affermare in assoluto che la tettoia richiede, o non richiede, il titolo edilizio maggiore e assoggettarla, o non assoggettarla, alla relativa sanzione senza considerare nello specifico come essa è realizzata. In proposito, quindi, l’amministrazione ha l’onere di motivare in modo esaustivo, attraverso una corretta e completa istruttoria che rilevi esattamente le opere compiute e spieghi per quale ragione esse superano i limiti entro i quali si può trattare di una copertura realizzabile in regime di edilizia libera.
4. Tutto ciò non si ritrova nel provvedimento impugnato, che come detto in narrativa si limita ad una descrizione generica di quanto rilevato, a fronte della quale, si noti, la difesa dei ricorrenti appellanti (già nel ricorso di I grado a p. 4) è nel senso che si tratterebbe di una tenda da sole scorrevole su binari, ovvero proprio di una delle pergotende di cui si è detto.
Il provvedimento stesso va allora annullato, con salvezza com’è ovvio di eventuali successivi provvedimenti dell’amministrazione, conseguenti a un congruo riesame della fattispecie concreta (Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 07.05.2018 n. 2715 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Gazebo realizzato su platea in cemento: costituisce opera precaria?
Il gazebo non è un’opera precaria priva di rilevanza urbanistica, qualora si tratti di struttura in tubi di ferro infissi in una platea di cemento cementati al suolo e copertura in plastica.
Tali caratteristiche, le quali valgono ad escludere l’ascrivibilità all’opera precaria, inducono a qualificare il manufatto come urbanisticamente rilevante e soggetto a permesso di costruire, con la conseguenza che la sua realizzazione abusiva è sanzionabile con l’ordine di demolizione.
In proposito è pacifico l’orientamento della giurisprudenza secondo cui i gazebo non precari, ma funzionali a soddisfare esigenze permanenti, vanno considerati manufatti alteranti lo stato dei luoghi, con sicuro incremento del carico urbanistico, a nulla rilevando la precarietà strutturale del manufatto, la rimovibilità della struttura e l'assenza di opere murarie, posto che il gazebo non precario non è deputato ad un uso per fini contingenti, ma è destinato ad un utilizzo per soddisfare esigenze durature nel tempo e rafforzate dal carattere permanente e non stagionale dell'attività svolta.
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5. Con il quinto e sesto motivo si lamenta che il provvedimento di diniego ponga a fondamento anche l’assenza di autorizzazione all’utilizzo del passo carrabile, dovendo atteso che il rilascio della sanatoria presuppone il solo rispetto delle norme urbanistiche e non di quelle in materia di occupazione di aree e spazi pubblici.
L’affermazione, finalizzata a far assumere rilevanza a tale aspetto del tutto secondario del provvedimento, non può essere condivisa.
5.1. Invero il diniego avversato è fondato sulla mancanza del requisito della doppia conformità urbanistica e il provvedimento impugnato menziona per mera completezza d’argomentazione anche l’assenza dell’autorizzazione ai passi carrabili “fermo restando i contrasti sopra indicati” e dunque assumendo che la sanatoria veniva respinta per ragioni urbanistiche e non per altre motivazioni.
5.2. Ci si duole, altresì, dell’ultimo capoverso della parte motiva dell’atto avversato, ovvero quello inerente alla non sanabilità dei piccoli manufatti presenti sull’area, e in particolare del gazebo; e ciò sia perché la sanatoria non comprendeva il gazebo sia perché lo stesso sarebbe opera precaria, non soggetta né a titolo edilizio, né alle norme in materia di distanza dagli edifici né al preventivo deposito della pratica al Genio civile.
Come rilevato dalla difesa del Comune la censura, sul punto, si palesa inammissibile per difetto di interesse.
Infatti, se il gazebo non rientra fra le opere che la ricorrente aveva interesse a sanare (prevedendosene nella relazione tecnica allegata alla domanda di sanatoria lo smantellamento) pare evidente che non vi sia interesse a contestare tale profilo del provvedimento.
Peraltro, non può ritenersi che il gazebo sia un’opera precaria e perciò priva di rilevanza urbanistica, risultando dal verbale della Polizia municipale che in realtà si tratta di un manufatto con struttura in tubi di ferro ed infissi in una platea di cemento cementati al suolo e copertura in plastica trattandosi perciò di un manufatto urbanisticamente rilevante e soggetto a permesso di costruire.
5.3. In proposito è pacifico l’orientamento della giurisprudenza secondo cui i gazebo non precari, ma funzionali a soddisfare esigenze permanenti, vanno considerati manufatti alteranti lo stato dei luoghi, con sicuro incremento del carico urbanistico, a nulla rilevando la precarietà strutturale del manufatto, la rimovibilità della struttura e l'assenza di opere murarie, posto che il gazebo non precario non è deputato ad un uso per fini contingenti, ma è destinato ad un utilizzo per soddisfare esigenze durature nel tempo e rafforzate dal carattere permanente e non stagionale dell'attività svolta (tra le tante, TAR Molise, 21.09.2016 n. 353; TAR Lazio, sez. I, 21.09.2016 n. 9881, TAR Umbria, 16.02.2015 n. 81).
...

11. Con il sesto motivo la ricorrente lamenta che l’ordinanza di demolizione abbia riguardato anche il “gazebo” adibito a “rimessa di attrezzature”, trattandosi di manufatto di piccole dimensioni (mq. 24) in struttura metallica leggera, senza parti in muratura, con copertura in plastica e, quindi, in materiale non rigido né durevole, come tale privo di rilevanza edilizia.
La censura è infondata.
Si è già rilevato, analizzando il quinto motivo del ricorso principale, che non può ritenersi che il gazebo costituisca un’opera precaria priva di rilevanza urbanistica, trattandosi in realtà di un manufatto con struttura in tubi di ferro ed infissi in una platea di cemento cementati al suolo e copertura in plastica e quindi di un manufatto urbanisticamente rilevante e soggetto a permesso di costruire.
In ogni caso è pacifico che i gazebo non precari, ma funzionali a soddisfare esigenze permanenti, vanno considerati manufatti alteranti lo stato dei luoghi, con sicuro incremento del carico urbanistico, a nulla rilevando la precarietà strutturale del manufatto (peraltro non rilevabile nella fattispecie), la rimovibilità della struttura e l'assenza di opere murarie, posto che il gazebo non precario non è deputato ad un suo uso per fini contingenti, ma è destinato ad un utilizzo per soddisfare esigenze durature nel tempo e rafforzate dal carattere permanente e non stagionale dell'attività svolta (Cons. St., sez. IV, 04.04.2013, n. 4438; id., sez. VI, 03.06.2014, n. 2842)
(TAR Toscana, Sez. III, sentenza 17.04.2018 n. 556 - massima tratta da www.laleggepertutti.it - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Distanze legali tra edifici.
La realizzazione di una tettoia va configurata sotto il profilo urbanistico come intervento di nuova costruzione non di natura pertinenziale e, anche ai fini dell’osservanza delle norme sulle distanze legali tra edifici, la nozione di costruzione deve estendersi a qualsiasi manufatto non completamente interrato che abbia i caratteri della solidità, stabilità e immobilizzazione al suolo, anche mediante appoggio, incorporazione o collegamento fisso ad un corpo di fabbrica preesistente o contestualmente realizzato, indipendentemente dal livello di posa e di elevazioni dell’opera (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 02.03.2018 n. 1309 - massima tratta da www.laleggepertutti.it).
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4.3. Per ricorrente giurisprudenza, invero, la realizzazione di una tettoia va configurata sotto il profilo urbanistico come intervento di nuova costruzione e non di natura pertinenziale, essendo assente il requisito della individualità fisica e strutturale propria della pertinenza. Il manufatto costituisce, infatti, parte integrante dell'edificio e la nozione di costruzione deve estendersi a qualsiasi manufatto non completamente interrato che abbia i caratteri della solidità, stabilità ed immobilizzazione al suolo, anche mediante appoggio, incorporazione o collegamento fisso ad un corpo di fabbrica preesistente o contestualmente realizzato, indipendentemente dal livello di posa e di elevazioni dell'opera.
Per la tettoia come realizzata, necessita, quindi, la sua conformità alle disposizioni del testo unico dell'edilizia (D.P.R. n. 380/2001) e alle norme dallo stesso richiamate in tema di disciplina urbanistica ed edilizia (cfr. art. 12), tra cui quella sulle distanze previste dal codice civile.
4.4. Non può trovare condivisione la tesi degli appellanti che l'art. 3, comma 1, lett. e), del D.P.R. n. 380/2001 prevederebbe che gli interventi come quello di interesse possono essere considerati nuova costruzione solo se le N.T.A. del P.R.G. del Comune lo evidenzino espressamente o nel caso in cui si realizzino opere che abbiano un volume superiore al 20% del volume dell'edificio principale, atteso che nulla si evince al riguardo dalla disciplina di settore del Comune e, comunque, a rilevare è, come si è accennato, la disciplina statale sulle distanze tra edifici, che essendo volta alla salvaguardia di imprescindibili esigenze igienico-sanitarie, è tassativa ed inderogabile nell'imporre al proprietario dell'area confinante di costruire il proprio edificio ad almeno 10 metri, senza alcuna deroga.

anno 2017

EDILIZIA PRIVATA: Circa la costruzione di un manufatto costituito da una struttura lignea di sostegno a un pergolato realizzata su pianta di m. 4,93 x 2,53, non ancorata al suolo, e dotata di una copertura in lastre e cannette anche queste amovibili poiché solo appoggiate.
Il manufatto oggetto di contestazione è un pergolato adibito all’arredo di uno spazio esterno completamente aperto sui lati e dotato di una copertura amovibile pertanto, sotto un primo profilo, rientra nelle illustrate tipologie di interventi liberalizzati ai sensi dell’art. 6 del d.P.R. n. 380/2001.
La posizione espressa trova conferma nella più recente giurisprudenza del Consiglio di Stato che ha ritenuto la legittimità di simili manufatti aventi struttura in legno ad uso pergolato aperta su più lati ed avente una copertura amovibile poiché inidonee a costituire volume urbanistico.
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A seguito di sopralluogo eseguito in data 03.08.2010, personale del Comune di Lugagnano Val d’Arda (di seguito Comune) rilevava nell’area di pertinenza dell’abitazione del ricorrente la presenza di “una struttura lignea fissata al suolo in maniera non permanente con caratteristiche di elemento di sostegno per un pergolato, ma dotata di copertura di lastre e cannette”.
Con ordinanza n. 41 del 09.08.2010 l’Amministrazione ordinava l’immediata sospensione dei lavori “al fine di poter adottare i provvedimenti definitivi” e, ritenendo che la descritta copertura, ancorché “di materiale totalmente amovibile”, facesse “perdere le caratteristiche di elemento di arredo alla struttura, assimilandola a una struttura edilizia soggetta al rispetto delle distanze dai confini di proprietà e agli altri parametri urbanistici e edilizi”, con successivo provvedimento dirigenziale n. 5 del 22.02.2012, irrogava al ricorrente proprietario la sanzione pecuniaria ex art. 16 della L.R. n. 23/2004 nella misura di € 9.152,00.
...
L’odierna controversia verte sulla qualificazione di un manufatto costituito da una struttura lignea di sostegno a un pergolato realizzata su pianta di m. 4,93 x 2,53, non ancorata al suolo, e dotata di una copertura in lastre e cannette anche queste amovibili poiché solo appoggiate che l’Amministrazione, in ragione della sola presenza di una copertura ancorché amovibile, riteneva dovesse essere assentita previa acquisizione di titolo edilizio.
Con il primo motivo di ricorso il ricorrente deduce “eccesso di potere per difetto di istruttoria, illogicità, irragionevolezza, insufficienza e/o contraddittorietà della motivazione, travisamento dei fatti”.
Espone il ricorrente che la struttura in questione (un pergolato), in quanto leggera, amovibile e di modeste dimensioni e avente natura ornamentale, non necessiterebbe di titolo abilitativo né tale necessità potrebbe derivare dalla sola circostanza che presenta una copertura.
In ricorso si evidenzia in particolare che sebbene la Commissione provinciale VAM si fosse espressa nel senso di considerare soggetto a titolo edilizio qualsiasi manufatto che presenti una copertura, di qualunque natura essa sia, tale posizione contrasterebbe con la circolare dell’Assessorato Regionale Programmazione Territoriale Urbanistica, recante “Indicazioni applicative in merito all’art. 6 del D.P.R: n. 380 del 2001 relativo all’attività edilizia libera” del 02.08.2010 che al paragrafo 6.1.4 farebbe rientrare in questa tipologia di interventi gli elementi di arredo delle aree pertinenziali con l’esclusione delle sole opere che comportino superfici computabili come utili o accessorie ricomprendendo fra le attività libere anche “le coperture avvolgibili o retrattili di telo impermeabile” e ritenendo ulteriormente che “possano essere equiparati a tali elementi di arredo anche i gazebo ma solo se completamente aperti sui lati e coperti con teli amovibili” (pag. 6 del ricorso).
Ne deriverebbe che non sarebbe la copertura a determinare di per sé la necessità di un titolo abilitativo ma rileverebbe a tal fine la tipologia di copertura utilizzata.
A favore della tesi fatta propria dall’Amministrazione non potrebbe inoltre essere invocato l’Atto di coordinamento sulle definizioni tecniche uniformi per l’urbanistica e l’edilizia e sulla documentazione necessaria per i titoli abilitativi edilizi approvato con delibera assembleare n. 279 del 04.02.2010 che al punto 59 dell’allegato A definisce il pergolato come una “struttura autoportante, composta di elementi verticali e di sovrastanti elementi orizzontali, atta a consentire il sostegno del verde rampicante e utilizzata in spazi aperti a fini di ombreggiamento” precisando che “sul pergolato non sono ammesse coperture impermeabili” poiché, sotto un primo profilo, tale fonte non viene richiamata nel provvedimento impugnato e, sotto un secondo profilo, perché la copertura rilevata, in quanto composta da elementi appoggiati e privi di fissaggio e di saldatura o ancoraggio (fra loro e rispetto alla struttura portante), non sarebbe impermeabile.
Il motivo è fondato.
L’art. 6, comma 2, del d.P.R. n. 380/2001 prevede che “nel rispetto dei medesimi presupposti di cui al comma 1, previa comunicazione, anche per via telematica, dell'inizio dei lavori da parte dell'interessato all'amministrazione comunale, possono essere eseguiti senza alcun titolo abilitativo i seguenti interventi: … e) le aree ludiche senza fini di lucro e gli elementi di arredo delle aree pertinenziali degli edifici”.
La citata circolare regionale del 02.08.2010, esplicativa dei criteri applicativi della norma sopra riportata, comprende tra gli interventi liberalizzati “ai sensi del comma 2 del nuovo art. 6” gli spazi adibiti ad arredo pertinenziale costituiti da “elementi di arredo di spazi esterni (giardini, cortili, corti interne, ecc.)” menzionando espressamente fra questi “i pergolati; le pensiline; le tettoie con profondità inferiore a 1,50 m; ed inoltre i barbecue e i forni in muratura, il manufatto esterno del pozzo, le coperture avvolgibili o retrattili di telo impermeabile, le piccole fontane e gli altri manufatti con analoghe caratteristiche. Si ritiene che possano essere equiparati a tali elementi di arredo anche i gazebo, ma solo se completamente aperti sui lati e coperti con teli amovibili”.
Ciò premesso deve rilevarsi che il manufatto oggetto di contestazione è un pergolato adibito all’arredo di uno spazio esterno completamente aperto sui lati e dotato di una copertura amovibile pertanto, sotto un primo profilo, rientra nelle illustrate tipologie di interventi liberalizzati ai sensi dell’art. 6 del d.P.R. n. 380/2001 (come peraltro riconosciuto dalla stessa Amministrazione a pag. 3, ultimo cpv. della memoria di costituzione); sotto altro profilo, non rientra nella fattispecie ostativa di cui al citato Atto di coordinamento regionale poiché la copertura, in quanto composta da “lastre [di policarbonato] e cannette”, come già evidenziato appoggiate prive di ancoraggio o elementi di vincolo o saldatura tanto con la struttura portante quanto fra le stesse, non può essere considerata impermeabile poiché inidonea, in ragione delle descritte caratteristiche strutturali a proteggere da agenti atmosferici.
La posizione espressa trova conferma nella più recente giurisprudenza del Consiglio di Stato che ha ritenuto la legittimità di simili manufatti aventi struttura in legno ad uso pergolato aperta su più lati ed avente una copertura amovibile poiché inidonee a costituire volume urbanistico (Cons. Stato, Sez. VI, 15.11.2016 n. 4711).
La fondatezza del primo motivo di ricorso, e la conseguente illegittimità, della misura applicata, assorbe le doglianze oggetto del secondo mezzo di impugnazione teso a contestare la quantificazione della sanzione.
Per quanto precede il ricorso deve essere accolto (TAR Emilia Romagna-Parma, sentenza 14.08.2017 n. 275 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: La recente giurisprudenza amministrativa, evidenziando che le cc.dd. “pergotende” non possono essere considerate “opere precarie” ex art. 3, comma 1, lett. e), del T.U. dell’Edilizia, perché non si connotano per una temporaneità della loro utilizzazione, ma piuttosto per costituire un elemento di migliore fruizione dello spazio, comunque duraturo, ha approfondito la questione della necessità o meno del previo rilascio del titolo abilitativo per la loro realizzazione, osservando come una struttura in alluminio anodizzato destinata ad ospitare una tenda retrattile in tessuto come quella in questione, non integri, in primo luogo, gli effetti di “trasformazione edilizia e urbanistica del territorio” propri degli “interventi di nuova costruzione” ex artt. 3 e 10 DPR n. 380/2001.
Va, invero, considerato che l’opera principale non è la struttura in sé, ma la tenda, quale elemento di protezione dal sole e dagli agenti atmosferici, finalizzata ad una migliore fruizione dello spazio esterno del locale; considerata in tale contesto, la struttura in alluminio anodizzato si qualifica in termini di mero elemento accessorio, necessario al sostegno e all’estensione della tenda.
Quest’ultima, poi, integrata alla struttura portante, non vale a configurare una “nuova costruzione”, attese la sua realizzazione in tessuto e la sua natura retrattile, che, escludendo elementi di fissità e stabilità nella copertura, priva di qualsiasi tamponatura laterale, fanno sì che non possa parlarsi di uno spazio chiuso e della creazione di nuova superficie o nuovo volume.

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Con il ricorso in epigrafe la Br. s.r.l., società esercente attività di somministrazione di alimenti e bevande nel locale commerciale di via ... 2/4, ha dedotto di aver chiesto ed ottenuto da Roma Capitale, con determinazione dirigenziale prot CI/235212/2014, per l’area pertinenziale esterna al suo locale, la concessione per l’occupazione di suolo pubblico con tenda autoportante, tavoli, sedie e fioriere, secondo i progetti depositati a supporto dell’istanza, ma di aver successivamente ricevuto, proprio in relazione alla suddetta struttura (realizzata in alluminio, poggiante su 6 pali alloggiati in 6 vasi, sostenuta da un sistema di assemblaggio laterale di staffe inox e fusioni in alluminio e non fissata sul muro perimetrale del fabbricato), avviso di apertura del procedimento amministrativo per realizzazione di opere abusive e l’ordinanza n. 1057/2016 di rimozione dell’installazione.
In merito a tale ultimo provvedimento, la Br. s.r.l. ha, quindi, lamentato l’errata rappresentazione da parte dell’Amministrazione, del manufatto in questione, che non era stato considerato negli elementi decisivi ai fini del suo corretto inquadramento, costituiti, appunto, dalla copertura retrattile e dalla funzione di semplice sostegno della tenda svolta dalla struttura in alluminio leggero, la cui apposizione doveva considerarsi assolutamente irrilevante dal punto di vista urbanistico - edilizio, ferma restando la necessità per l’occupazione del suolo pubblico della specifica concessione.
Tali censure sono fondate e meritevoli di accoglimento.
La recente giurisprudenza amministrativa, (cfr. Cons. St., Sez. VI, 17.04.2016 n. 1619), evidenziando che le cc.dd. “pergotende” non possono essere considerate “opere precarie” ex art. 3, comma 1, lett. e), del T.U. dell’Edilizia, perché non si connotano per una temporaneità della loro utilizzazione, ma piuttosto per costituire un elemento di migliore fruizione dello spazio, comunque duraturo, ha approfondito la questione della necessità o meno del previo rilascio del titolo abilitativo per la loro realizzazione, osservando come una struttura in alluminio anodizzato destinata ad ospitare una tenda retrattile in tessuto come quella in questione, non integri, in primo luogo, gli effetti di “trasformazione edilizia e urbanistica del territorio” propri degli “interventi di nuova costruzione” ex artt. 3 e 10 DPR n. 380/2001.
Va, invero, considerato che l’opera principale non è la struttura in sé, ma la tenda, quale elemento di protezione dal sole e dagli agenti atmosferici, finalizzata ad una migliore fruizione dello spazio esterno del locale; considerata in tale contesto, la struttura in alluminio anodizzato si qualifica in termini di mero elemento accessorio, necessario al sostegno e all’estensione della tenda.
Quest’ultima, poi, integrata alla struttura portante, non vale a configurare una “nuova costruzione”, attese la sua realizzazione in tessuto e la sua natura retrattile, che, escludendo elementi di fissità e stabilità nella copertura, priva di qualsiasi tamponatura laterale, fanno sì che non possa parlarsi di uno spazio chiuso e della creazione di nuova superficie o nuovo volume.
Allo stesso modo, deve ritenersi che non sia integrata la fattispecie della ristrutturazione edilizia, richiamata, invece, erroneamente nella determinazione impugnata.
Invero, ai sensi dell’articolo 3, lettera d), del dpr n. 380/2001, tale tipologia di intervento edilizio fa riferimento ad “interventi rivolti a trasformare gli organismi edilizi mediante un insieme sistematico di opere”, i quali “comprendono il ripristino o la sostituzione di alcuni elementi costitutivi dell’edificio, l’eliminazione, la modifica e l’inserimento di nuovi elementi e impianti”.
Orbene, la disposizione, così come declinata dal legislatore, richiede comunque che le opere realizzate abbiano consistenza e rilevanza edilizia, siano cioè tali da poter “trasformare l’organismo edilizio”, condividendo pertanto natura e consistenza degli elementi costitutivi di esso.
Tali caratteristiche risultano all’evidenza non sussistenti nella fattispecie della struttura in alluminio anodizzato atta ad ospitare una tenda retrattile, avuto riguardo alla consistenza di tale intervento ed alla circostanza che l’immobile accanto al quale essa è collocata è un fabbricato in muratura, sulla cui originaria identità e conformazione l’opera nuova non può certamente incidere.
Sulla base delle considerazioni sopra svolte deve, pertanto, ritenersi che la struttura realizzata dalla ricorrente non necessitasse del previo rilascio del permesso di costruire, giacché la tenda retrattile che essa è unicamente destinata a servire si risolve, in ultima analisi, in un mero elemento di arredo dello spazio pertinenziale su cui insiste, legittimamente occupato dalla ricorrente in virtù di concessione di occupazione di suolo pubblico.
Tale interpretazione delle strutture in parola appare, in verità, essere stata già condivisa dall’Amministrazione di Roma Capitale nella circolare del 09.03.2012, nella quale, alla lettera i) del punto 3.2 si specifica che, tra le attività di edilizia libera (A.E.L.), sono ricomprese “tende autoportanti, tende in aggetto, ombrelloni, pedane e fioriere al servizio degli esercizi commerciali e di ristorazione ubicate su suolo pubblico, ferma restando l’acquisizione della specifica autorizzazione amministrativa secondo quanto previsto dalle deliberazioni di Roma Capitale in materia di occupazione suolo pubblico e naturalmente esclusa la loro chiusura sui lati perimetrali”.
In conclusione, il ricorso deve essere, dunque, accolto, con annullamento dell’atto impugnato ed assorbimento di ogni altra doglianza (TAR Lazio-Roma, Sez. II, sentenza 22.05.2017 n. 6054 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Sulla pergotenda.
La struttura costituita da due pali poggiati sul pavimento di un terrazzo a livello e da quattro traverse con binario di scorrimento a telo in pvc, ancorata al sovrastante balcone e munita di copertura rigida a riparo del telo retraibile (c.d. pergotenda) non configura né un aumento del volume e della superficie coperta, né la creazione o la modificazione di un organismo edilizio, né l'alterazione del prospetto o della sagoma dell'edificio cui è connessa, in ragione della sua inidoneità a modificare la destinazione d'uso degli spazi interni interessati, della sua facile e completa rimovibilità, dell'assenza di tamponature verticali e della facile rimovibilità della copertura orizzontale: la stessa va pertanto qualificata come arredo esterno, di riparo e protezione, funzionale alla migliore fruizione temporanea dello spazio esterno all'appartamento cui accede ed è riconducibile agli interventi manutentivi liberi, ossia non subordinati ad alcun titolo abilitativo ai sensi dell'art. 6, comma 1, d.P.R. 06.06.2001 n. 380.

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Il primo gruppo di censure è infondato.
È noto e condivisibile il consolidato orientamento della giurisprudenza sulle cosiddette pergotende (cfr. ex multis Consiglio di Stato, sez. VI, 11.04.2014, n. 1777).
Per la giurisprudenza richiamata, la struttura costituita da due pali poggiati sul pavimento di un terrazzo a livello e da quattro traverse con binario di scorrimento a telo in pvc, ancorata al sovrastante balcone e munita di copertura rigida a riparo del telo retraibile (c.d. pergotenda) non configura né un aumento del volume e della superficie coperta, né la creazione o la modificazione di un organismo edilizio, né l'alterazione del prospetto o della sagoma dell'edificio cui è connessa, in ragione della sua inidoneità a modificare la destinazione d'uso degli spazi interni interessati, della sua facile e completa rimovibilità, dell'assenza di tamponature verticali e della facile rimovibilità della copertura orizzontale: la stessa va pertanto qualificata come arredo esterno, di riparo e protezione, funzionale alla migliore fruizione temporanea dello spazio esterno all'appartamento cui accede ed è riconducibile agli interventi manutentivi liberi, ossia non subordinati ad alcun titolo abilitativo ai sensi dell'art. 6, comma 1, d.P.R. 06.06.2001 n. 380.
Diversamente, peraltro, deve essere valutato l’intervento realizzato dalla ricorrente, essendo stato accertato che, oltre alla pergotenda, identificabile nella struttura di sostegno della copertura ritraibile e nella copertura stessa, si è verificata la tamponatura dei tre lati originariamente aperti con policarbonato trasparente, oltre alla realizzazione di porte di accesso laterali.

Dall’esame complessivo dell’opera risulta insussistente il presupposto ravvisato dalla giurisprudenza amministrativa, oltre che dalla richiamata circolare di Roma Capitale, per la qualificazione della stessa come edilizia libera, perché le chiusure verticali e la presenza di porte di accesso, seppure in materiale leggero e facilmente amovibile, impediscono di considerare la stessa come un arredo esterno, funzionale alla fruizione temporanea del terrazzo, essendo, al contrario, riconoscibile una vera e propria opera di ristrutturazione edilizia, in quanto rivolta a modificare l’appartamento mediante la trasformazione del terrazzo in un ambiente tendenzialmente chiuso.
Ne derivano l’infondatezza delle censure e, nei limiti del dedotto, la legittimità dell’ordine di ripristino (TAR Lazio-Roma, Sez. II-bis, sentenza 11.04.2017 n. 4448 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Manufatti non precari idonei ad alterare lo stato dei luoghi.
In tema di diniego della domanda di autorizzazione edilizia e di ingiunzione di demolizione di manufatti non precari, ma funzionali a soddisfare esigenze permanenti, va osservato che essi devono essere considerati come idonei ad alterare lo stato dei luoghi, con un sicuro incremento del carico urbanistico, a nulla rilevando la precarietà strutturale del manufatto, la rimovibilità della struttura e l’assenza di opere murarie, posto che il manufatto non precario (es.: gazebo o chiosco) non è deputato ad un suo uso per fini contingenti, ma è destinato ad un utilizzo destinato ad essere reiterato nel tempo in quanto stagionale.
Infatti, la precarietà dell’opera, che esonera dall’obbligo del possesso del permesso di costruire, postula un uso specifico e temporalmente limitato del bene e non la sua stagionalità, la quale non esclude la destinazione del manufatto al soddisfacimento di esigenze non eccezionali e contingenti, ma permanenti nel tempo
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1. Con istanza del 05.05.2013 la signora An.Ma.Ma. ha chiesto al Sindaco di Mangone di essere autorizzata all’installazione stagionale di un gazebo rimovibile con telo plastificato.
Con nota del 12.06.2003 il Responsabile del Servizio presso l’Ufficio Tecnico del Comune di Mangone ha comunicato alla ricorrente il “diniego della domanda di autorizzazione edilizia”, ritenuta in contrasto con l’art. 8, lett. d), del Piano di fabbricazione del Comune di Magone, in quanto non rispettosa delle distanze dai confini e dalle strade.
Nonostante tale diniego, l’odierna ricorrente ha ugualmente effettuato il montaggio del gazebo nella proprietà privata del suocero Cr.Ma..
2. In data 03.07.2003 è stata notificata al Cr. ordinanza di ingiunzione-demolizione della tendostruttura, in quanto realizzata abusivamente, in assenza della prescritta autorizzazione edilizia.
Con il ricorso in epigrafe i ricorrenti hanno l’annullamento del provvedimenti, per i vizi di violazione di legge, con riferimento all’art. 8, lett. d), del Piano di fabbricazione del Comune di Mangone e all’art. 10 della L. 47/1985, nonché per eccesso di potere per presupposto erroneo, travisamento del fatto e illogicità.
Il gazebo in questione non sarebbe una costruzione, trattandosi di struttura precaria e facilmente smontabile. Non sarebbe stato, pertanto, necessario un provvedimento autorizzativo, che, tuttavia, è stato negato.
...
7. Il ricorso principale è infondato e deve essere rigettato.
Riguardo ai caratteri del gazebo in questione, esteso circa 110 mq, il Collegio ritiene di richiamare l’orientamento –da quale non si rinvengono elementi per discostarsi– secondo cui i manufatti non precari, ma funzionali a soddisfare esigenze permanenti, vanno considerati come idonei ad alterare lo stato dei luoghi, con un sicuro incremento del carico urbanistico, a nulla rilevando la precarietà strutturale del manufatto, la rimovibilità della struttura e l’assenza di opere murarie, posto che il manufatto non precario (es.: gazebo o chiosco) non è deputato ad un suo uso per fini contingenti, ma è destinato ad un utilizzo destinato ad essere reiterato nel tempo in quanto stagionale.
Si è condivisibilmente osservato al riguardo che la precarietà dell’opera, che esonera dall’obbligo del possesso del permesso di costruire, postula un uso specifico e temporalmente limitato del bene e non la sua stagionalità, la quale non esclude la destinazione del manufatto al soddisfacimento di esigenze non eccezionali e contingenti, ma permanenti nel tempo (in tal senso: Cons. Stato, VI, 03.06.2014, n. 2842; Cons. Stato, IV, 22.12.2007, n. 6615).
Sotto tale aspetto, il Collegio ritiene che per le sue caratteristiche tipologiche e funzionali, nonché in considerazione del regime temporale della relativa utilizzazione il manufatto per cui è causa sia riconducibile alle previsioni di cui alla lettera e.5) del comma 1 dell’articolo 3 d.P.R. n. 380 del 2001, a tenore del quale sono comunque da considerarsi nuove costruzioni le installazioni di manufatti leggeri, anche prefabbricati, e di strutture di qualsiasi genere che siano usati come abitazioni, ambienti di lavoro, oppure come depositi, magazzini e simili, “e che non siano diretti a soddisfare esigenze meramente temporanee”.
Al riguardo, giova qui richiamare il condiviso orientamento secondo cui non possono comunque essere considerati manufatti destinati a soddisfare esigenze meramente temporanee quelli destinati a un’utilizzazione perdurante nel tempo, di talché l’alterazione del territorio non può essere considerata temporanea, precaria o irrilevante (Cons. Stato, VI, 03.06.2014, n. 2842; id, VI, 12.02.2011, n. 986; id., V, 12.12.2009, n. 7789;. id., V, 24.02.2003, n. 986; id., V, 24.02.1996, n. 226).
Nemmeno si può ritenere che la sola stagionalità dell’installazione del manufatto per cui è causa (destinato ad occupare circa 110 mq.) conferisca al manufatto nel suo complesso il carattere di “temporaneità”, atteso il carattere ontologicamente “non temporaneo” di una struttura destinata all’esercizio di un’attività commerciale e di somministrazione (in tal senso: Cons. Stato, VI, 03.06.2014, n. 2842; Cons. Stato, IV, 23.07.2009, n. 4673).
Tanto premesso, deve ritenersi legittimo l’operato dell’Amministrazione intimata che ha correttamente configurato come costruzione il manufatto in oggetto e ha, pertanto, negato il titolo abilitativo in quanto l’opera non era conforme al Programma di fabbricazione del Comune per il mancato rispetto delle distanze dei confini e delle strade.
Alla legittimità del diniego dell’autorizzazione consegue la legittimità dell’ordinanza di demolizione impugnata in quanto l’opera è stata eseguita in assenza della prescritta concessione edilizia (TAR Calabria-Catanzaro, Sez. I, sentenza 13.03.2017 n. 409 - massima tratta da www.laleggepertutti.it - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATARiguardo ai caratteri del gazebo in questione, esteso circa 110 mq, il Collegio ritiene di richiamare l’orientamento secondo cui i manufatti non precari, ma funzionali a soddisfare esigenze permanenti, vanno considerati come idonei ad alterare lo stato dei luoghi, con un sicuro incremento del carico urbanistico, a nulla rilevando la precarietà strutturale del manufatto, la rimovibilità della struttura e l’assenza di opere murarie, posto che il manufatto non precario (es.: gazebo o chiosco) non è deputato ad un suo uso per fini contingenti, ma è destinato ad un utilizzo destinato ad essere reiterato nel tempo in quanto stagionale.
Infatti, la precarietà dell’opera, che esonera dall’obbligo del possesso del permesso di costruire, postula un uso specifico e temporalmente limitato del bene e non la sua stagionalità, la quale non esclude la destinazione del manufatto al soddisfacimento di esigenze non eccezionali e contingenti, ma permanenti nel tempo.
Sotto tale aspetto, per le sue caratteristiche tipologiche e funzionali, nonché in considerazione del regime temporale della relativa utilizzazione il manufatto per cui è causa è riconducibile alle previsioni di cui alla lettera e.5) del comma 1 dell’articolo 3 d.P.R. n. 380 del 2001, a tenore del quale sono comunque da considerarsi nuove costruzioni le installazioni di manufatti leggeri, anche prefabbricati, e di strutture di qualsiasi genere che siano usati come abitazioni, ambienti di lavoro, oppure come depositi, magazzini e simili, “e che non siano diretti a soddisfare esigenze meramente temporanee”.
Al riguardo, non possono comunque essere considerati manufatti destinati a soddisfare esigenze meramente temporanee quelli destinati a un’utilizzazione perdurante nel tempo, di talché l’alterazione del territorio non può essere considerata temporanea, precaria o irrilevante.
Nemmeno si può ritenere che la sola stagionalità dell’installazione del manufatto per cui è causa (destinato ad occupare circa 110 mq.) conferisca al manufatto nel suo complesso il carattere di “temporaneità”, atteso il carattere ontologicamente “non temporaneo” di una struttura destinata all’esercizio di un’attività commerciale e di somministrazione.

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1. Con istanza del 05.05.2013 la signora An.Ma.Ma. ha chiesto al Sindaco di Mangone di essere autorizzata all’installazione stagionale di un gazebo rimovibile con telo plastificato.
Con nota del 12.06.2003 il Responsabile del Servizio presso l’Ufficio Tecnico del Comune di Mangone ha comunicato alla ricorrente il “diniego della domanda di autorizzazione edilizia”, ritenuta in contrasto con l’art. 8, lett. d), del Piano di fabbricazione del Comune di Magone, in quanto non rispettosa delle distanze dai confini e dalle strade.
Nonostante tale diniego, l’odierna ricorrente ha ugualmente effettuato il montaggio del gazebo nella proprietà privata del suocero Cr.Ma..
2. In data 03.07.2003 è stata notificata al Cr. ordinanza di ingiunzione-demolizione della tendostruttura, in quanto realizzata abusivamente, in assenza della prescritta autorizzazione edilizia.
Con il ricorso in epigrafe i ricorrenti hanno l’annullamento del provvedimenti, per i vizi di violazione di legge, con riferimento all’art. 8, lett. d), del Piano di fabbricazione del Comune di Mangone e all’art. 10 della L. 47/1985, nonché per eccesso di potere per presupposto erroneo, travisamento del fatto e illogicità.
Il gazebo in questione non sarebbe una costruzione, trattandosi di struttura precaria e facilmente smontabile. Non sarebbe stato, pertanto, necessario un provvedimento autorizzativo, che, tuttavia, è stato negato.
...
7. Il ricorso principale è infondato e deve essere rigettato.
Riguardo ai caratteri del gazebo in questione, esteso circa 110 mq, il Collegio ritiene di richiamare l’orientamento –da quale non si rinvengono elementi per discostarsi– secondo cui i manufatti non precari, ma funzionali a soddisfare esigenze permanenti, vanno considerati come idonei ad alterare lo stato dei luoghi, con un sicuro incremento del carico urbanistico, a nulla rilevando la precarietà strutturale del manufatto, la rimovibilità della struttura e l’assenza di opere murarie, posto che il manufatto non precario (es.: gazebo o chiosco) non è deputato ad un suo uso per fini contingenti, ma è destinato ad un utilizzo destinato ad essere reiterato nel tempo in quanto stagionale.
Si è condivisibilmente osservato al riguardo che la precarietà dell’opera, che esonera dall’obbligo del possesso del permesso di costruire, postula un uso specifico e temporalmente limitato del bene e non la sua stagionalità, la quale non esclude la destinazione del manufatto al soddisfacimento di esigenze non eccezionali e contingenti, ma permanenti nel tempo (in tal senso: Cons. Stato, VI, 03.06.2014, n. 2842; Cons. Stato, IV, 22.12.2007, n. 6615).
Sotto tale aspetto, il Collegio ritiene che per le sue caratteristiche tipologiche e funzionali, nonché in considerazione del regime temporale della relativa utilizzazione il manufatto per cui è causa sia riconducibile alle previsioni di cui alla lettera e.5) del comma 1 dell’articolo 3 d.P.R. n. 380 del 2001, a tenore del quale sono comunque da considerarsi nuove costruzioni le installazioni di manufatti leggeri, anche prefabbricati, e di strutture di qualsiasi genere che siano usati come abitazioni, ambienti di lavoro, oppure come depositi, magazzini e simili, “e che non siano diretti a soddisfare esigenze meramente temporanee”.
Al riguardo, giova qui richiamare il condiviso orientamento secondo cui non possono comunque essere considerati manufatti destinati a soddisfare esigenze meramente temporanee quelli destinati a un’utilizzazione perdurante nel tempo, di talché l’alterazione del territorio non può essere considerata temporanea, precaria o irrilevante (Cons. Stato, VI, 03.06.2014, n. 2842; id., VI, 12.02.2011, n. 986; id., V, 12.12.2009, n. 7789; id., V, 24.02.2003, n. 986; id., V, 24.02.1996, n. 226).
Nemmeno si può ritenere che la sola stagionalità dell’installazione del manufatto per cui è causa (destinato ad occupare circa 110 mq.) conferisca al manufatto nel suo complesso il carattere di “temporaneità”, atteso il carattere ontologicamente “non temporaneo” di una struttura destinata all’esercizio di un’attività commerciale e di somministrazione (in tal senso: Cons. Stato, VI, 03.06.2014, n. 2842; Cons. Stato, IV, 23.07.2009, n. 4673).
Tanto premesso, deve ritenersi legittimo l’operato dell’Amministrazione intimata che ha correttamente configurato come costruzione il manufatto in oggetto e ha, pertanto, negato il titolo abilitativo in quanto l’opera non era conforme al Programma di fabbricazione del Comune per il mancato rispetto delle distanze dei confini e delle strade.
Alla legittimità del diniego dell’autorizzazione consegue la legittimità dell’ordinanza di demolizione impugnata in quanto l’opera è stata eseguita in assenza della prescritta concessione edilizia (TAR Calabria-Catanzaro, Sez. I,
sentenza 13.03.2017 n. 409 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Permesso a costruire per le verande, libertà alle pergotende.
La realizzazione di una veranda su balconi, terrazzi, attici o giardini richiede il permesso di costruire in quanto, dal punto di vista edilizio, determina un aumento della volumetria dell'edificio, perché è caratterizzata da ampie superfici vetrate, che all'occorrenza si aprono tramite finestre scorrevoli o a libro.
La pergotenda rappresenta, invece, un elemento di migliore fruizione dello spazio esterno, stabile e duraturo. Tenuto conto della sua consistenza, delle caratteristiche costruttive e della funzione, una pergotenda non costituisce un'opera edilizia soggetta al previo rilascio del titolo abilitativo e rientra all'interno della categoria delle attività di edilizia libera.

Il Consiglio di Stato, Sez. VI, con la
sentenza 25.01.2017 n. 306 si è espresso riguardo alla definizione di pergolati, verande, gazebo e pergotende. E in particolare riprende per la prima volta la definizione di veranda data dal regolamento edilizio tipo, cioè «locale o spazio coperto avente le caratteristiche di loggiato, balcone, terrazza o portico, chiuso sui lati da superfici vetrate o con elementi trasparenti e impermeabili, parzialmente o totalmente apribili».
Il fatto in sintesi. Tizia presentava ricorso al Tar contro l'ordinanza di demolizione di una copertura e chiusura perimetrale di un pergolato con teli plastificati, fissati alla struttura. Il sistema utilizzato per fissare i teli è quello degli occhielli e chiavetta, con un riquadro di materiale plastico come finestra nella parte centrale, perché copertura e chiusura perimetrale sono state realizzate in assenza di titolo abilitativo. Il Tar ha respinto il ricorso, ma il Consiglio di stato lo ha accolto, classificando il manufatto come una pergotenda, non assoggettata al rilascio di un titolo edilizio.
Il Consiglio di stato ha cercato di chiarire la materia con delle definizioni, pur ammettendo che «in relazione ad alcune opere di limitata consistenza e di limitato impatto sul territorio (come pergolati, gazebo, tettoie, pensiline e pergotende) non è sempre agevole individuare il limite entro il quale esse possono farsi rientrare nel regime dell'edilizia libera o per cui è richiesta una comunicazione o permesso di costruire» (articolo ItaliaOggi del 28.04.2017).

EDILIZIA PRIVATASu pensiline, gazebo e pergolati la guida del Consiglio di Stato. Permessi edilizi. Su terrazzi e balconi.
Pergolati, gazebo, tettoie, pensiline e, più di recente, le pergotende, sono opere, normalmente di limitata consistenza e/o di limitato impatto sul territorio, di cui non è sempre agevole individuare il limite entro il quale esse possono farsi rientrare nel regime dell'edilizia libera o per i quali è richiesta una comunicazione all'amministrazione preposta alla tutela del territorio o addirittura necessitano del rilascio di un permesso di costruire.
Spesso sono i regolamenti edilizi comunali che dettano le regole, cui si aggiungono poi, per le aree sottoposte a vincolo paesaggistico o ad altri vincoli, ulteriori limitazioni.

A fare un po' di chiarezza sull'argomento ha recentemente pensato il Consiglio di Stato, Sez. VI, con la sentenza 25.01.2017 n. 306.
Vediamo caso per caso le definizioni.
Il pergolato, per sua natura, è una struttura aperta su almeno tre lati e nella parte superiore. Esso costituisce una struttura realizzata al fine di adornare e ombreggiare giardini o terrazze e consiste, quindi, in un'impalcatura, generalmente di sostegno di piante rampicanti, costituita da due (o più) file di montanti verticali riuniti superiormente da elementi orizzontali posti ad una altezza tale da consentire il passaggio delle persone.
Normalmente il pergolato non necessita di titoli abilitativi edilizi. Quando il pergolato viene coperto, nella parte superiore (anche per una sola porzione) con una struttura non facilmente amovibile (realizzata con qualsiasi materiale), è assoggettata tuttavia alle regole dettate per la realizzazione delle tettoie.
Il gazebo, invece, nella sua configurazione tipica, è una struttura leggera, non aderente ad altro immobile, coperta nella parte superiore e aperta ai lati, realizzata con una struttura portante in ferro battuto, in alluminio o in legno strutturale, talvolta chiuso ai lati da tende facilmente rimuovibili. Spesso è utilizzato per l'allestimento di eventi all'aperto, anche sul suolo pubblico, e in questi casi è considerata una struttura temporanea. In caso contrario, se infisso al suolo, dovrebbe essere richiesto il permesso di costruire
La veranda è stata recentemente definita come un «locale o spazio coperto avente le caratteristiche di loggiato, balcone, terrazza o portico, chiuso sui lati da superfici vetrate o con elementi trasparenti e impermeabili, parzialmente o totalmente apribili» (si veda l’intesa sottoscritta il 20.10.2016 tra Governo, Regioni e Comuni sul regolamento edilizio-tipo). La veranda, realizzabile su balconi, terrazzi, attici o giardini, è caratterizzata quindi da ampie superfici vetrate che all'occorrenza si aprono tramite finestre scorrevoli o a libro. Per questo la veranda, dal punto di vista edilizio, determina un aumento della volumetria dell'edificio e una modifica della sua sagoma e necessita quindi del permesso di costruire.
Infine, la pergotenda è qualificabile come mero arredo esterno quando è di modeste dimensioni, non modifica la destinazione d'uso degli spazi esterni ed è facilmente ed immediatamente rimovibile, con la conseguenza che la sua installazione si va ad inscrivere all'interno della categoria delle attività di edilizia libera e non necessita quindi di alcun permesso (Consiglio di Stato, sentenza 1777/2014)
(articolo Il Sole 24 Ore del 14.02.2017 - tratto da www.centrostudicni.it).

EDILIZIA PRIVATAIn relazione ad alcune opere, normalmente di limitata consistenza e di limitato impatto sul territorio, come pergolati, gazebo, tettoie, pensiline e, più di recente, le pergotende, non è sempre agevole individuare il limite entro il quale esse possono farsi rientrare nel regime dell’edilizia libera o invece devono farsi rientrare nei casi di edilizia non libera per i quali è richiesta una comunicazione all’amministrazione preposta alla tutela del territorio o il rilascio di un permesso di costruire.
Spesso sono i regolamenti edilizi comunali che dettano le regole, anche sulle dimensioni, che possono avere tali opere per poter essere realizzate liberamente o previa comunicazione o richiesta di assenso edilizio.
Alle disposizioni comunali si aggiungono poi, per le aree sottoposte a vincolo paesaggistico o ad altri vincoli, le limitazioni imposte dai diversi strumenti di tutela.
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Il pergolato costituisce una struttura realizzata al fine di adornare e ombreggiare giardini o terrazze e consiste, quindi, in un’impalcatura, generalmente di sostegno di piante rampicanti, costituita da due (o più) file di montanti verticali riuniti superiormente da elementi orizzontali posti ad una altezza tale da consentire il passaggio delle persone.
Il pergolato, per sua natura, è quindi una struttura aperta su almeno tre lati e nella parte superiore e normalmente non necessita di titoli abilitativi edilizi.
Quando il pergolato viene coperto, nella parte superiore (anche per una sola porzione) con una struttura non facilmente amovibile (realizzata con qualsiasi materiale), è assoggettata tuttavia alle regole dettate per la realizzazione delle tettoie.

Il Consiglio di Stato, al riguardo, ha già affermato che
il pergolato ha una funzione ornamentale, è realizzato in una struttura leggera in legno o in altro materiale di minimo peso, deve essere facilmente amovibile in quanto privo di fondamenta, e funge da sostegno per piante rampicanti, attraverso le quali realizzare riparo e ombreggiatura di superfici di modeste dimensioni.
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Il gazebo
, nella sua configurazione tipica, è una struttura leggera, non aderente ad altro immobile, coperta nella parte superiore ed aperta ai lati, realizzata con una struttura portante in ferro battuto, in alluminio o in legno strutturale, talvolta chiuso ai lati da tende facilmente rimuovibili.
Spesso il gazebo è utilizzato per l'allestimento di eventi all’aperto, anche sul suolo pubblico, e in questi casi è considerata una struttura temporanea. In altri casi il gazebo è realizzato in modo permanente per la migliore fruibilità di spazi aperti come giardini o ampi terrazzi.

Nella fattispecie l’opera realizzata dall’appellante non può ritenersi assimilabile ad un gazebo per la sua forma, che non è quella tipica di un gazebo, per i materiali utilizzati, che non sono tutti leggeri, e perché la struttura è stata realizzata in aderenza ad un preesistente immobile in muratura.
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Nell’Intesa sottoscritta il 20.10.2016, ai sensi dell'articolo 8, comma 6, della legge 05.06.2003, n. 131, tra il Governo, le Regioni e i Comuni, concernente l'adozione del regolamento edilizio-tipo di cui all'articolo 4, comma 1-sexies del decreto del Presidente della Repubblica 06.06.2001, n. 380, la veranda è stata definita (nell’Allegato A) «Locale o spazio coperto avente le caratteristiche di loggiato, balcone, terrazza o portico, chiuso sui lati da superfici vetrate o con elementi trasparenti e impermeabili, parzialmente o totalmente apribili».

La veranda, realizzabile su balconi, terrazzi, attici o giardini, è caratterizzata quindi da ampie superfici vetrate che all’occorrenza si aprono tramite finestre scorrevoli o a libro. Per questo la veranda, dal punto di vista edilizio, determina un aumento della volumetria dell’edificio e una modifica della sua sagoma e necessita quindi del permesso di costruire.
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La ricorrente insiste nel sostenere che le opere sanzionate dal Comune altro non sono che una “
pergotenda”, realizzata con teli amovibili (appoggiati sul preesistente pergolato), che non ha determinato alcun aumento di volumetria e di superficie coperta.

In proposito questa Sezione ha, di recente, affermato che
tali strutture, la cui agevole realizzazione è oggi possibile grazie a nuove tecniche e nuovi materiali, sono destinate a rendere meglio vivibili gli spazi esterni delle unità abitative (terrazzi o giardini) e sono installate per soddisfare quindi esigenze non precarie.
Le “pergotende” non si connotano, pertanto, per la temporaneità della loro utilizzazione, ma costituiscono un elemento di migliore fruizione dello spazio esterno, stabile e duraturo.
Ciò premesso,
la Sezione, nella stessa citata decisione, ha ritenuto che le pergotende, tenuto conto della loro consistenza, delle caratteristiche costruttive e della loro funzione, non costituiscano un’opera edilizia soggetta al previo rilascio del titolo abilitativo.
Infatti, ai sensi del combinato disposto degli articoli 3 e 10 del DPR n. 380 del 2001, sono soggetti al rilascio del permesso di costruire gli “interventi di nuova costruzione”, che determinano una “trasformazione edilizia e urbanistica del territorio”, mentre una struttura leggera (nella fattispecie esaminata in alluminio anodizzato) destinata ad ospitare tende retrattili in materiale plastico non integra tali caratteristiche.
L’opera principale non è, infatti, la struttura in sé, ma la tenda, quale elemento di protezione dal sole e dagli agenti atmosferici, finalizzata ad una migliore fruizione dello spazio esterno dell’unità abitativa, con la conseguenza che la struttura (in alluminio anodizzato) si qualifica in termini di mero elemento accessorio, necessario al sostegno e all’estensione della tenda.
Quest’ultima, poi, integrata alla struttura portante, non può considerarsi una “nuova costruzione”, posto che essa è in materiale plastico e retrattile, onde non presenta caratteristiche tali da costituire un organismo edilizio rilevante, comportante trasformazione del territorio. Infatti la copertura e la chiusura perimetrale che essa realizza non presentano elementi di fissità, stabilità e permanenza, per il carattere retrattile della tenda, «onde, in ragione della inesistenza di uno spazio chiuso stabilmente configurato, non può parlarsi di organismo edilizio connotantesi per la creazione di nuovo volume o superficie».

Inoltre l’elemento di copertura e di chiusura è costituito da una tenda in materiale plastico, privo di quelle caratteristiche di consistenza e di rilevanza che possano connotarlo in termini di componenti edilizie di copertura o di tamponatura di una costruzione.
Anche in una precedente decisione la Sezione aveva affermato che
la pergotenda è qualificabile come mero arredo esterno quando è di modeste dimensioni, non modifica la destinazione d’uso degli spazi esterni ed è facilmente ed immediatamente rimovibile, con la conseguenza che la sua installazione si va ad inscrivere all’interno della categoria delle attività di edilizia libera e non necessita quindi di alcun permesso.
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... per la riforma della sentenza del TAR per la Campania, Sezione Staccata di Salerno, Sezione I, n. 2543 del 04.12.2015, resa tra le parti, concernente la demolizione di opere edilizie abusive e il ripristino dello stato dei luoghi.
...
1.- La signora An.Pa. ha impugnato davanti al TAR per la Campania, Sezione Staccata di Salerno, l’ordinanza, n. 23 del 16.06.2015, con la quale il Responsabile del Settore Ufficio Tecnico del Comune di Altavilla Silentina, le ha ingiunto di provvedere, a sua cura e spese, alla demolizione di una copertura e chiusura perimetrale di un pergolato con teli plastificati, fissati alla struttura con il sistema degli occhielli e chiavetta, con un riquadro di materiale plastico come finestra nella parte centrale, in quanto realizzate in assenza di titolo abilitativo.
1.1- Il TAR per la Campania, Sezione Staccata di Salerno, Sezione I, con sentenza n. 2543 del 04.12.2015, resa in forma semplificata nella camera di consiglio fissata per l’esame della domanda cautelare, ha respinto il ricorso.
Il TAR ha, infatti, ritenuto che «il materiale utilizzato, pur agevolmente amovibile siccome consistente in materiale plastico, non rende l’intervento ex se non sanzionabile con l’impugnato ordine demolitorio, in quanto, per come realizzato, riflette esigenze non di carattere meramente temporaneo», con la conseguenza che le opere realizzate hanno determinato una trasformazione urbanistico-edilizia del territorio, con la perdurante modifica dello stato dei luoghi.
2- La signora Pa. ha appellato l’indicata sentenza ritenendola erronea.
In particolare, dopo aver ricordato di aver realizzato la struttura del pergolato nel 2011 con una scia, la signora Pa. ha insistito nel sostenere l’amovibilità della tenda plastificata e quindi l’illegittimità dell’ordinanza demolitoria. La signora Pa. ha anche depositato un perizia tecnica di parte redatta in relazione alle opere oggetto dell’ordinanza di demolizione impugnata.
3- Per valutare la legittimità del provvedimento con il quale il Comune di Altavilla Silentina (che non ha ritenuto di doversi costituire in giudizio) ha ordinato la demolizione delle opere realizzate dall’appellante in assenza di alcun titolo abilitativo occorre qualificare la natura delle opere realizzate.
Come si evince dal provvedimento impugnato, dalla documentazione depositata in giudizio e dalla perizia tecnica di parte, completa di numerose fotografie, la signora Pa. ha realizzato, in aderenza ad un preesistente immobile, una struttura con 3 pilastri verticali in muratura, travi portanti della copertura in legno, copertura in materiale plastico, fissata con chiodi alle travi di legno, e pareti esterne in materiale plastico amovibile, con una porta di accesso.
3.1- Per realizzare tale struttura l’interessata non ha presentato una dichiarazione o richiesta di assenso al Comune. Risulta peraltro dagli atti che la signora Pa., con SCIA del 15.03.2011, aveva realizzato alcuni lavori nell’immobile oggetto dei lavori contestati con l’ordinanza impugnata.
L’appellante sostiene di aver provveduto a seguito della SCIA, fra l’altro, alla pavimentazione dell’area esterna dove sono state realizzate le opere di cui ora si discute e di aver anche realizzato un ampio pergolato esterno su parte del quale è stata realizzata la contestata struttura.
4.- Ciò premesso, si deve osservare che,
in relazione ad alcune opere, normalmente di limitata consistenza e di limitato impatto sul territorio, come pergolati, gazebo, tettoie, pensiline e, più di recente, le pergotende, non è sempre agevole individuare il limite entro il quale esse possono farsi rientrare nel regime dell’edilizia libera o invece devono farsi rientrare nei casi di edilizia non libera per i quali è richiesta una comunicazione all’amministrazione preposta alla tutela del territorio o il rilascio di un permesso di costruire.
Spesso sono i regolamenti edilizi comunali che dettano le regole, anche sulle dimensioni, che possono avere tali opere per poter essere realizzate liberamente o previa comunicazione o richiesta di assenso edilizio.
Alle disposizioni comunali si aggiungono poi, per le aree sottoposte a vincolo paesaggistico o ad altri vincoli, le limitazioni imposte dai diversi strumenti di tutela.

5- Nella fattispecie, vista la documentazione in atti, si può preliminarmente escludere che le opere realizzate e ritenute abusive dal Comune possano farsi rientrare tutte nella nozione di pergolato.
5.1-
Il pergolato costituisce infatti, una struttura realizzata al fine di adornare e ombreggiare giardini o terrazze e consiste, quindi, in un’impalcatura, generalmente di sostegno di piante rampicanti, costituita da due (o più) file di montanti verticali riuniti superiormente da elementi orizzontali posti ad una altezza tale da consentire il passaggio delle persone.
Il pergolato, per sua natura, è quindi una struttura aperta su almeno tre lati e nella parte superiore e normalmente non necessita di titoli abilitativi edilizi.
Quando il pergolato viene coperto, nella parte superiore (anche per una sola porzione) con una struttura non facilmente amovibile (realizzata con qualsiasi materiale), è assoggettata tuttavia alle regole dettate per la realizzazione delle tettoie.

5.2- Il Consiglio di Stato, al riguardo, ha già affermato che
il pergolato ha una funzione ornamentale, è realizzato in una struttura leggera in legno o in altro materiale di minimo peso, deve essere facilmente amovibile in quanto privo di fondamenta, e funge da sostegno per piante rampicanti, attraverso le quali realizzare riparo e ombreggiatura di superfici di modeste dimensioni (Consiglio di Stato, Sezione IV, n. 5409 del 29.09.2011).
5.3- In conseguenza le opere oggetto del contestato ordine di demolizione non possono farsi rientrare fra quelli oggetto della suindicata SCIA del 15.03.2011 che includevano la sola realizzazione di un pergolato.
6- La struttura realizzata dall’appellante non può farsi rientrare nemmeno nella nozione di gazebo, pur avendone alcune caratteristiche.
Il gazebo, infatti, nella sua configurazione tipica, è una struttura leggera, non aderente ad altro immobile, coperta nella parte superiore ed aperta ai lati, realizzata con una struttura portante in ferro battuto, in alluminio o in legno strutturale, talvolta chiuso ai lati da tende facilmente rimuovibili. Spesso il gazebo è utilizzato per l'allestimento di eventi all’aperto, anche sul suolo pubblico, e in questi casi è considerata una struttura temporanea. In altri casi il gazebo è realizzato in modo permanente per la migliore fruibilità di spazi aperti come giardini o ampi terrazzi.
6.1-
Nella fattispecie l’opera realizzata dall’appellante non può ritenersi assimilabile ad un gazebo per la sua forma, che non è quella tipica di un gazebo, per i materiali utilizzati, che non sono tutti leggeri, e perché la struttura è stata realizzata in aderenza ad un preesistente immobile in muratura.
7- La struttura contestata dal Comune intimato non può poi nemmeno considerarsi una veranda.
In proposito si deve ricordare che
nell’Intesa sottoscritta il 20.10.2016 , ai sensi dell'articolo 8, comma 6, della legge 05.06.2003, n. 131, tra il Governo, le Regioni e i Comuni, concernente l'adozione del regolamento edilizio-tipo di cui all'articolo 4, comma 1-sexies del decreto del Presidente della Repubblica 06.06.2001, n. 380, la veranda è stata definita (nell’Allegato A) «Locale o spazio coperto avente le caratteristiche di loggiato, balcone, terrazza o portico, chiuso sui lati da superfici vetrate o con elementi trasparenti e impermeabili, parzialmente o totalmente apribili».
7.1-
La veranda, realizzabile su balconi, terrazzi, attici o giardini, è caratterizzata quindi da ampie superfici vetrate che all’occorrenza si aprono tramite finestre scorrevoli o a libro. Per questo la veranda, dal punto di vista edilizio, determina un aumento della volumetria dell’edificio e una modifica della sua sagoma e necessita quindi del permesso di costruire.
8- La signora An.Pa. nel suo appello
ha insistito nel sostenere che le opere sanzionate dal Comune di Altavilla Silentina altro non sono che una “pergotenda”, realizzata con teli amovibili (appoggiati sul preesistente pergolato), che non ha determinato alcun aumento di volumetria e di superficie coperta.
9- In proposito questa Sezione ha, di recente, affermato che
tali strutture, la cui agevole realizzazione è oggi possibile grazie a nuove tecniche e nuovi materiali, sono destinate a rendere meglio vivibili gli spazi esterni delle unità abitative (terrazzi o giardini) e sono installate per soddisfare quindi esigenze non precarie (Consiglio di Stato, Sezione VI, n. 1619 del 27.04.2016).
Le “pergotende” non si connotano, pertanto, per la temporaneità della loro utilizzazione, ma costituiscono un elemento di migliore fruizione dello spazio esterno, stabile e duraturo.
9.1- Ciò premesso,
la Sezione, nella stessa citata decisione, ha ritenuto che le pergotende, tenuto conto della loro consistenza, delle caratteristiche costruttive e della loro funzione, non costituiscano un’opera edilizia soggetta al previo rilascio del titolo abilitativo.
Infatti, ai sensi del combinato disposto degli articoli 3 e 10 del DPR n. 380 del 2001, sono soggetti al rilascio del permesso di costruire gli “interventi di nuova costruzione”, che determinano una “trasformazione edilizia e urbanistica del territorio”, mentre una struttura leggera (nella fattispecie esaminata in alluminio anodizzato) destinata ad ospitare tende retrattili in materiale plastico non integra tali caratteristiche.
L’opera principale non è, infatti, la struttura in sé, ma la tenda, quale elemento di protezione dal sole e dagli agenti atmosferici, finalizzata ad una migliore fruizione dello spazio esterno dell’unità abitativa, con la conseguenza che la struttura (in alluminio anodizzato) si qualifica in termini di mero elemento accessorio, necessario al sostegno e all’estensione della tenda.
Quest’ultima, poi, integrata alla struttura portante, non può considerarsi una “nuova costruzione”, posto che essa è in materiale plastico e retrattile, onde non presenta caratteristiche tali da costituire un organismo edilizio rilevante, comportante trasformazione del territorio. Infatti la copertura e la chiusura perimetrale che essa realizza non presentano elementi di fissità, stabilità e permanenza, per il carattere retrattile della tenda, «onde, in ragione della inesistenza di uno spazio chiuso stabilmente configurato, non può parlarsi di organismo edilizio connotantesi per la creazione di nuovo volume o superficie».

Inoltre l’elemento di copertura e di chiusura è costituito da una tenda in materiale plastico, privo di quelle caratteristiche di consistenza e di rilevanza che possano connotarlo in termini di componenti edilizie di copertura o di tamponatura di una costruzione.
9.2- Sulla base di tali considerazioni la Sezione ha quindi ritenuto che una delle due strutture nella fattispecie realizzate, destinata unicamente al sostegno (in alluminio) di un elemento di arredo temporaneo consistente in una tenda retrattile, non abbisognava del previo rilascio di un permesso di costruire, risolvendosi «in un mero elemento di arredo del terrazzo su cui insiste».
Infatti la struttura di alluminio anodizzato (nella fattispecie esaminata) è stata ritenuta un mero elemento di sostegno della tenda e quindi non poteva considerarsi un nuovo organismo edilizio determinante una trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio.
9.3- Mentre nell’altra struttura contestualmente esaminata, la natura e la consistenza del materiale utilizzato (il vetro) faceva sì che la struttura di alluminio anodizzato si configurava non più come mero elemento di supporto di una tenda, ma piuttosto costituiva la componente portante di un vero e proprio manufatto, che assumeva la consistenza di una vera e propria opera edilizia, connotandosi per la presenza di elementi di chiusura che, realizzati in vetro, costituivano vere e proprie tamponature laterali con un carattere di stabilità tale da non poter essere realizzate in assenza del titolo abilitativo necessario per le nuove costruzioni.
9.4- Anche in una precedente decisione la Sezione aveva affermato che
la pergotenda è qualificabile come mero arredo esterno quando è di modeste dimensioni, non modifica la destinazione d’uso degli spazi esterni ed è facilmente ed immediatamente rimovibile, con la conseguenza che la sua installazione si va ad inscrivere all’interno della categoria delle attività di edilizia libera e non necessita quindi di alcun permesso (Consiglio di Stato, Sezione VI, n. 1777 dell’11.04.2014).
10- Tutto ciò premesso, la Sezione ritiene che l’ordinanza di demolizione impugnata non possa ritenersi legittima perché le opere realizzate dall’appellante, peraltro in un’area che non è sottoposta a vincolo paesaggistico, sono prive, in gran parte, di quelle caratteristiche di consistenza e di rilevanza che possano farle connotare come componenti edilizie di copertura o di tamponatura di una costruzione.
10.1- Le opere oggetto dell’ordinanza impugnata, che si sono già prima sommariamente descritte, si connotano, infatti, per la presenza di teli e tende in materiale plastico facilmente amovibili, che aderiscono ad una struttura di sostegno che è costituita da tre pilastrini verticali in muratura e da alcune travi di legno collocati sia in verticale che nella parte superiore.
La struttura portante, sebbene non tutta con materiali leggeri, può anche farsi rientrare nella categoria dei pergolati (come sostiene l’appellante). Una delle tende laterali può essere poi considerata una vera e propria pergotenda, che può essere aperta o chiusa mediante un sistema di scorrimento veloce. Sostanzialmente hanno la stessa caratteristica anche le tende collocate sugli altri lati che possono essere movimentate manualmente su apposite guide scorrevoli e possono essere chiuse o aperte mediante appositi occhielli.
10.2- Restano evidentemente di meno facile amovibilità la copertura della struttura, che è stata realizzata con teli di plastica che sono stati fissati alla travi di legno superiore con chiodi e rondelle, e la piccola porta posta sul lato A della struttura.
Ma la presenza di tali opere che sono meno facilmente amovibili e che possono avere una certa rilevanza edilizia, anche in base alla disciplina eventualmente dettata dal regolamento edilizio comunale, non giustifica comunque l’emanazione di una ordinanza di demolizione che ha riguardato l’intera struttura, con la conseguente possibile acquisizione, nel caso di mancata ottemperanza, dell’area interessata.
11- Per gli esposti motivi, l’appello deve essere accolto e, in riforma della appellata sentenza del TAR per la Campania, Sezione Staccata di Salerno, Sezione I, n. 2543 del 04.12.2015, deve essere disposto l’annullamento dell’ordinanza di demolizione del Comune di Altavilla Silentina, n. 23 del 16.06.2015, impugnata in primo grado.
Sono fatti salvi gli eventuali ulteriori provvedimenti dell’Amministrazione per quella parte delle opere realizzate che, anche sulla base della regolamentazione comunale, possono ritenersi di edilizia non libera (Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 25.01.2017 n. 306 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

anno 2016

EDILIZIA PRIVATA: Gazebo permanenti: è necessario il permesso di costruire?
I gazebo non precari, ma funzionali a soddisfare esigenze permanenti, vanno considerati manufatti alteranti lo stato dei luoghi, con sicuro incremento del carico urbanistico, a nulla rilevando la precarietà strutturale del manufatto, la rimovibilità della struttura e l’assenza di opere murarie, posto che il gazebo non precario non è deputato ad un uso per fini contingenti, ma è destinato ad un utilizzo per soddisfare esigenze durature nel tempo e rafforzate dal carattere permanente e non stagionale dell’attività svolta.
In effetti la «precarietà» dell’opera, che esonera dall’obbligo del possesso del permesso di costruire, postula un uso specifico e temporalmente limitato del bene, e non la sua stagionalità, la quale non esclude la destinazione del manufatto al soddisfacimento di esigenze non eccezionali e contingenti, ma permanenti nel tempo, tali per cui lo stesso è riconducibile nell’ipotesi prevista alla lett. e.5) del comma 1 dell’art. 3 d.P.R. 06.06.2001, n. 380, che include tra le nuove costruzioni le installazioni di manufatti leggeri, anche prefabbricati, e di strutture di qualsiasi genere che siano usati come abitazioni, ambienti di lavoro, oppure come depositi, magazzini e simili, e che non siano diretti a soddisfare esigenze meramente temporanee.
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Non implica precarietà dell'opera, ai fini autorizzativi e dell'esenzione dal permesso di costruire, il carattere stagionale di essa, quando la stessa è destinata a soddisfare bisogni non provvisori attraverso la permanenza nel tempo della sua funzione (non sono infatti manufatti destinati a soddisfare esigenze meramente temporanee quelli destinati ad un'utilizzazione perdurante nel tempo, sicché l'alterazione non può essere considerata temporanea, precaria o irrilevante), anche se con la reiterazione della presenza del manufatto di anno in anno nella sola buona stagione.
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Il ricorso è infondato.
Si verte al cospetto di un gazebo che richiedeva il permesso di costruire avendo dimensioni significative di ml. 5,00 x 3,00, per un totale di 15 mq., con altezza di ml. 2,50 circa, e posto sul confine di proprietà, a distanza non regolamentare e come tale idoneo a ridurre la visuale e la luminosità delle abitazioni limitrofe con affaccio sulla corte dove è stato posto, come peraltro contestato da proprietario confinante che ha segnalato l’abuso edilizio.
Diversamente da quanto allegato dalla ricorrente, è stata realizzata una vera e propria casetta chiusa, sui diversi lati, con pannelli di legno (o comunque in profili di PLET-plastica riciclata eterogenea) pieni nella parte inferiore e grigliati in quella superiore e munita di telo di copertura, come tale idonea a creare un volume edilizio di indubbio impatto anche per le caratteristiche della corte edilizia dove è stato collocato, secondo quanto chiaramente evincibile dalla documentazione fotografica allegata al verbale del Comando della Polizia Municipale del 04.03.2009 in atti.
Si tratta, in particolare, di un manufatto leggero per il quale è richiesto il permesso di costruire, di cui all’art. 10 del DPR n. 380/2001, in forza del disposto di cui all’art. 3, comma 1, lettera e.5) -secondo quanto espressamente contestato con il verbale della polizia municipale del 04.03.2009 richiamato nella ordinanza impugnata- essendo privo del carattere della temporaneità in quanto stabilmente destinato ad attività al servizio della abitazione principale (quale locale di servizio, deposito, adibito allo svago o di vero e proprio “salotto all’aperto”, secondo quanto riferito dalla stessa ricorrente con la relazione tecnica di parte in atti).
L’assenza del requisito della temporaneità si desume, in particolare, dalla sua non facile amovibilità di cui la solida struttura in legno ne è indice certamente grave e preciso, tant’è che la stessa relazione tecnica di parte, nel descrivere le caratteristiche costruttive del manufatto, parla di elementi autoportanti bullonati tra loro costituiti da pannelli verticali e da “travi perimetrali, orizzontali e centrali di copertura”.
In presenza di simili caratteristiche costruttive, oggettivamente incompatibili con il parametro legale della temporaneità, a nulla vale opporre che la struttura non sarebbe ancorata ma solo poggiata a terra.
La giurisprudenza prevalente ritiene che i gazebo non precari, ma funzionali a soddisfare esigenze permanenti, vanno considerati manufatti alteranti lo stato dei luoghi, con sicuro incremento del carico urbanistico, a nulla rilevando la precarietà strutturale del manufatto, la rimovibilità della struttura e l'assenza di opere murarie, posto che il gazebo non precario non è deputato ad un suo uso per fini contingenti, ma è destinato ad un utilizzo per soddisfare esigenze durature nel tempo e rafforzate dal carattere permanente e non stagionale dell'attività svolta (in termini Cons. Stato, Sez. IV, 04.04.2013, n. 4438; Sez. VI, 03.06.2014, n. 2842; TAR Perugia, 16.02.2015, n. 81).
In tal senso, la “precarietà” dell'opera, che esonera dall'obbligo del possesso del permesso di costruire, postula un uso specifico e temporalmente limitato del bene e non la sua stagionalità, la quale non esclude la destinazione del manufatto al soddisfacimento di esigenze non eccezionali e contingenti, ma permanenti nel tempo, tali per cui lo stesso è riconducibile nell'ipotesi prevista alla lett. e.5) del comma 1 dell'art. 3 d.P.R. n. 380 del 2001, che include tra le nuove costruzioni le installazioni di manufatti leggeri, anche prefabbricati, e di strutture di qualsiasi genere che siano usati come abitazioni, ambienti di lavoro, oppure come depositi, magazzini e simili, “e che non siano diretti a soddisfare esigenze meramente temporanee” (Cons. Stato, Sez. VI, 03.06.2014, n. 2842).
E’ stato ancora precisato che “Non implica precarietà dell'opera, ai fini autorizzativi e dell'esenzione dal permesso di costruire, il carattere stagionale di essa, quando la stessa è destinata a soddisfare bisogni non provvisori attraverso la permanenza nel tempo della sua funzione (non sono infatti manufatti destinati a soddisfare esigenze meramente temporanee quelli destinati ad un'utilizzazione perdurante nel tempo, sicché l'alterazione non può essere considerata temporanea, precaria o irrilevante), anche se con la reiterazione della presenza del manufatto di anno in anno nella sola buona stagione” (Cfr. Cons. Stato, VI, 01.12.2014, n. 5934).
Nel caso di specie il requisito della temporaneità manca sia dal punto di vista strutturale, stante la non facile amovibilità del manufatto, sia da quello funzionale stante la sua idoneità ad assolvere in modo duraturo nel tempo una molteplicità di funzioni a servizio dell’abitazione principale.
Alla luce delle motivazioni che precedono il ricorso deve pertanto essere respinto, non potendo giovare alla ricorrente neppure il richiamo alla sentenza di questo TAR n. 66/2014 con la quale la necessità del preventivo rilascio del permesso di costruire è stata esclusa in presenza di una struttura in legno “aperta sui lati”, per di più “rientrante nella previsione del progetto di cui alla concessione edilizia n. 278/1983” e quindi munita di titolo edilizio autorizzatorio (TAR Molise, sentenza 21.09.2016 n. 353 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATANiente permesso per le tende «a casetta». Consiglio di Stato. L’utilizzo è temporaneo e la struttura in alluminio è un accessorio.
Più elasticità per le strutture che non generano veri e propri volumi, comprese le tende rigide “a casetta”: lo sottolinea il Consiglio di Stato nella sentenza 27.04.2016 n. 1619, che riguarda il Comune di Roma.
Il principio generale (articolo 3, comma 1, lettera e.5, del Dpr 380/2001, Testo unico edilizia) è che le opere precarie non hanno necessità di alcun titolo e ad esse sono assimilati gli interventi di arredo (articolo 6, lettera e, del Dpr).
Per qualificare un’opera come precaria non basta verificare le caratteristiche dei materiali (spessore, resistenza) né le modalità di collegamento al suolo (perni, viti e bulloni, sistemi di ancoraggio). Occorre invece far riferimento alle esigenze (di natura stabile o temporanea) che l’opera sia diretta a soddisfare; in altri termini, occorre tener presente il carattere dell’utilizzo dell’opera, nel senso che se esso non è continuativo si può dedurre una precarietà e quindi la collocabilità senza titolo abilitativo.
Il caso esaminato riguardava due strutture di alluminio anodizzato atte a ospitare una tenda retrattile in materiale plastico comandata elettricamente, su un terrazzo; era quindi dubbia la temporaneità della loro utilizzazione, mentre non era in discussione la circostanza che la struttura garantisse una migliore fruizione dello spazio.
Su questi presupposti, il Consiglio ha precisato che la struttura non realizzava una «trasformazione edilizia e urbanistica del territorio» che rendesse necessario, per il Dpr, uno specifico provvedimento. Infatti, l’opera principale non è la struttura in sé, di plastica o metallo, con parti mobili o fisse, bensì la tenda, quale elemento di protezione da sole e agenti atmosferici, finalizzata ad una migliore fruizione dell’esterno dell’unità abitativa. In un contesto già edificato, quindi, la struttura in alluminio anodizzato è un mero elemento accessorio, necessario al sostegno ed all’estensione della tenda.
I giudici hanno anche escluso che si fosse in presenza di una ristrutturazione edilizia, che (articolo 3, lettera d, del Dpr), richiede «interventi rivolti a trasformare gli organismi edilizi mediante un insieme sistematico di opere», che «comprendono il ripristino o la sostituzione di alcuni elementi costitutivi dell’edificio, l’eliminazione, la modifica e l’inserimento di nuovi elementi e impianti».
Per aversi ristrutturazione, sarebbe stato necessario che le opere avessero consistenza e rilevanza edilizia, fossero cioè tali da poter «trasformare l’organismo edilizio», condividendo pertanto natura e consistenza degli elementi costitutivi di esso.
In sintesi, non occorre il previo rilascio del permesso di costruire nel caso di una tenda retrattile, perché questa si risolve in un mero elemento di arredo del terrazzo su cui insiste. Solo nel caso in cui la struttura sia tamponata sui due lati liberi da lastre di vetro mobili “a pacchetto”, munite di supporti che manualmente scorrano in appositi binari, con un vetro fisso superiore (timpano), il tutto inserito nelle strutture di alluminio anodizzato, si configurerebbe un vero nuovo volume
(articolo Il Sole 24 Ore del 04.05.2016).

EDILIZIA PRIVATA: Sulla natura e consistenza delle realizzate n. 2 “pergotende”.
La struttura in alluminio anodizzato destinata ad ospitare tende retrattili in materiale plastico non integra le caratteristiche di “trasformazione edilizia e urbanistica del territorio” (artt. 3 e 10 d.P.R. n. 380/2001). Va, invero, considerato che l’opera principale non è la struttura in sé, ma la tenda, quale elemento di protezione dal sole e dagli agenti atmosferici, finalizzata ad una migliore fruizione dello spazio esterno dell’unità abitativa.
Considerata in tale contesto, la struttura in alluminio anodizzato si qualifica in termini di mero elemento accessorio, necessario al sostegno e all’estensione della tenda. Quest’ultima, poi, integrata alla struttura portante, non vale a configurare una “nuova costruzione”, atteso che essa è in materiale plastico e retrattile, onde non presenta caratteristiche tali da costituire un organismo edilizio rilevante, comportante trasformazione del territorio.
Tanto è escluso in primo luogo dalla circostanza che la copertura e la chiusura perimetrale che essa realizza non presentano elementi di fissità, stabilità e permanenza, in ragione del carattere retrattile della tenda; onde, in ragione della inesistenza di uno spazio chiuso stabilmente configurato, non può parlarsi di organismo edilizio connotantesi per la creazione di nuovo volume o superficie.
Ciò resta escluso, inoltre, in considerazione della tipologia dell’elemento di copertura e di chiusura, il quale è una tenda in materiale plastico, privo pertanto di quelle caratteristiche di consistenza e di rilevanza che possano connotarlo in termini di componenti edilizie di copertura o di tamponatura di una costruzione.
Allo stesso modo, deve ritenersi che non sia integrata la fattispecie della ristrutturazione edilizia. Invero, ai sensi dell’articolo 3, lettera d), del dpr n. 380/2001, tale tipologia di intervento edilizio richiede che trattasi di “interventi rivolti a trasformare gli organismi edilizi mediante un insieme sistematico di opere”, i quali “comprendono il ripristino o la sostituzione di alcuni elementi costitutivi dell’edificio, l’eliminazione, la modifica e l’inserimento di nuovi elementi e impianti”: la disposizione, così come declinata dal legislatore, richiede che le opere realizzate abbiano consistenza e rilevanza edilizia, siano cioè tali da poter “trasformare l’organismo edilizio”, condividendo pertanto natura e consistenza degli elementi costitutivi di esso
(massima tratta da https://renatodisa.com).
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Con unico ed articolato motivo il signor Ag. lamenta: Violazione dell’articolo 6, comma 1, del DPR n. 380/2001; violazione della circolare n. 19137 del 09.03.2012; errata applicazione dell’articolo 16 della legge regionale Lazio n. 15/2008; eccesso di potere per travisamento dei fatti, erroneità dei presupposti, illogicità manifesta e carenza di istruttoria.
L’appellante deduce in primo luogo l’erroneità della sentenza impugnata per non avere esattamente compreso e valutato la fattispecie concreta della installazione di due pergotende, la quale rientra nell’ambito di operatività dell’articolo 6 del dpr n. 380/2001 (cd. attività edilizia libera), dovendosi in proposito fare riferimento (accertamento omesso dal Tribunale) alla sussistenza di peculiari caratteristiche, quali l’amovibilità delle opere, la loro temporaneità ovvero la loro natura di arredo pertinenziale.
Aggiunge ancora che il giudice di prime cure non avrebbe considerato che lo stesso Comune, con la Circolare n. 19137 del 09.03.2012, nel disciplinare le ipotesi di attività edilizia libera, vi aveva ricompreso le cd. “strutture semplici, quali gazebo, pergotende con telo retrattile, pergolati, se elementi di arredo annessi ad unità immobiliari e/o edilizie aventi esclusivamente destinazione abitativa”.
Rileva, poi, che la sentenza appellata avrebbe errato nel ritenere l’opera realizzata assoggettata al preventivo rilascio del permesso di costruire, atteso che, nella specie, non era configurabile un intervento di ristrutturazione edilizia, né tampoco di nuova costruzione, difettando l’indefettibile presupposto della trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio.
Andavano, infatti, sottolineati caratteri di amovibilità, precarietà e temporaneità delle strutture realizzate, nonché la loro funzione meramente accessoria e pertinenziale all’unità abitativa.
Lamenta, infine, la non corrispondenza tra la violazione contestata e la ragione di diniego espressa dal Tribunale. Invero, nella specie i provvedimenti gravati richiamavano l’articolo 16 della legge regionale Lazio n. 15/2008, riferentesi alle ipotesi di ristrutturazione edilizia e cambi di destinazione d’uso in assenza di titolo edilizio, mentre la sentenza di primo grado avrebbe configurato l’opera quale intervento di nuova costruzione.
Ciò posto, rileva la Sezione che i provvedimenti impugnati dal signor Ag. qualificano le opere realizzate quale “interventi edilizi abusivi di ristrutturazione edilizia in assenza di titolo abilitativo”.
Di poi, la sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale in questa sede gravata così motiva il rigetto del ricorso: “Il ricorso è infondato e, pertanto, va respinto tenuto conto che le opere realizzate risultano avere una consistenza tale ed un ancoraggio al lastrico del terrazzo sul quale sono installate, tale da costituire, secondo un costante orientamento della Sezione, una modificazione permanente della sagoma dell’edificio per la cui esecuzione deve ritenersi necessaria la previa acquisizione di apposito permesso di costruire”.
La disamina dell’appello –a giudizio della Sezione– non può prescindere dalla considerazione della natura e della consistenza delle opere realizzate.
Trattasi di n. 2 “pergotende”, le quali vengono analiticamente descritte sia nei provvedimenti impugnati, sia nella comunicazione ex art. 27, comma 4, del dpr n. 380/2001, prot. VB/2014/23430 del 02.04.2014.
In particolare, in tale ultimo atto viene riferita la realizzazione di:
   1) “struttura di alluminio anodizzato atta ad ospitare una tenda retrattile in materiale plastico comandata elettricamente. Detta struttura risulta ancorata ai muri perimetrali del fabbricato e al muretto di parapetto del terrazzo; risulta altresì sorretta da pali, sempre in alluminio anodizzato, che poggiano sul pavimento del terrazzo:La struttura che occupa una superficie di circa mq. 34 risulta tamponata sui due lati liberi da tendine plastiche, scorrevoli all’interno di binari, comandate elettricamente e da teli plastici fissi (timpano e frangivento)inseriti nelle strutture di alluminio anodizzato”;
   2) “…una struttura in alluminio anodizzato atta ad ospitare un tenda retrattile in materiale plastico comandata elettricamente. Detta struttura risulta ancorata ai muri perimetrali del fabbricato e al plateatico pavimentato predetto. La struttura che occupa una superficie di circa mq. 15 risulta tamponata sui due lati liberi da lastre in vetro mobili “a pacchetto” munite di supporti che, manualmente, scorrono in appositi binari e da vetro fisso (timpano)inseriti nelle strutture di alluminio anodizzato”.
Orbene, in relazione alla tipologia dei manufatti realizzati, così come sopra descritti, il Collegio ritiene che l’appello sia parzialmente fondato, nei sensi che di seguito si espongono.
La Sezione evidenzia preliminarmente che
la questione relativa alla non necessità del previo titolo abilitativo non può essere risolta sulla base della pretesa precarietà delle opere, fondata, a dire dell’appellante, sulla amovibilità delle strutture.
Si osserva, infatti, che
dall’articolo 3, comma 1, lett. e.5, del Testo Unico dell’Edilizia è possibile trarre una nozione di “opera precaria”, la quale è fondata non sulle caratteristiche dei materiali utilizzati né sulle modalità di ancoraggio delle stesse al suolo quanto piuttosto sulle esigenze (di natura stabile o temporanea) che esse siano dirette a soddisfare.
Invero, la norma qualifica come “interventi di nuova costruzione” (come tali assoggettati al previo rilascio del titolo abilitativo), “l’installazione di manufatti leggeri, anche prefabbricati, e di strutture di qualsiasi genere, quali roulottes, campers, case mobili, imbarcazioni che siano utilizzati come abitazioni , ambienti di lavoro oppure depositi, magazzini e simili, e che non siano diretti a soddisfare esigenze meramente temporanee…”.
Dunque,
la natura di opera “precaria” (non soggetta al titolo abilitativo) riposa non nelle caratteristiche costruttive ma piuttosto in un elemento di tipo funzionale, connesso al carattere dell’utilizzo della stessa.
Ciò posto,
trattandosi nella specie di strutture destinate ad una migliore vivibilità dello spazio esterno dell’unità abitativa (terrazzo), è indubitabile che le stesse siano state installate non in via occasionale, ma per soddisfare la suddetta esigenza, la quale non è certamente precaria.
In buona sostanza
le “pergotende” realizzate non si connotano per una temporaneità della loro utilizzazione, ma piuttosto per costituire un elemento di migliore fruizione dello spazio, stabile e duraturo.
, a giudizio del Collegio, risulta dirimente, ai fini della soluzione della presente controversia, la circostanza che le strutture siano ancorate ai muri perimetrali ed al suolo.
Invero,
l’ancoraggio si palesa comunque necessario, onde evitare che l’opera, soggetta all’incidenza degli agenti atmosferici, si traduca in un elemento di pericolo per la privata e pubblica incolumità.
Chiarito per tale via che i manufatti in questione non sono “precari”, è necessario però verificare se gli stessi, in relazione a consistenza, caratteristiche costruttive e funzione, costituiscano o meno un’opera edilizia soggetta al previo rilascio del titolo abilitativo.

Orbene, ai sensi del combinato disposto degli articoli 3 e 10 del dpr n. 380/2001, sono in primo luogo soggetti al rilascio del permesso di costruire gli “interventi di nuova costruzione”, categoria nella quale rientrano quelli che realizzano una “trasformazione edilizia e urbanistica del territorio”.
Ciò premesso,
ritiene la Sezione che la struttura in alluminio anodizzato destinata ad ospitare tende retrattili in materiale plastico non integri tali caratteristiche.
Va, invero,
considerato che l’opera principale non è la struttura in sé, ma la tenda, quale elemento di protezione dal sole e dagli agenti atmosferici, finalizzata ad una migliore fruizione dello spazio esterno dell’unità abitativa.
Considerata in tale contesto,
la struttura in alluminio anodizzato si qualifica in termini di mero elemento accessorio, necessario al sostegno e all’estensione della tenda.
Quest’ultima, poi, integrata alla struttura portante, non vale a configurare una “nuova costruzione”, atteso che essa è in materiale plastico e retrattile, onde non presenta caratteristiche tali da costituire un organismo edilizio rilevante, comportante trasformazione del territorio.
Tanto è escluso in primo luogo dalla circostanza che la copertura e la chiusura perimetrale che essa realizza non presentano elementi di fissità, stabilità e permanenza, in ragione del carattere retrattile della tenda (in proposito, cfr. anche la cit. circolare del Comune di Roma, 09.03.2012, n. 19137); onde,
in ragione della inesistenza di uno spazio chiuso stabilmente configurato, non può parlarsi di organismo edilizio connotantesi per la creazione di nuovo volume o superficie.
Ciò resta escluso, inoltre, in considerazione della tipologia dell’elemento di copertura e di chiusura, il quale è una tenda in materiale plastico, privo pertanto di quelle caratteristiche di consistenza e di rilevanza che possano connotarlo in termini di componenti edilizie di copertura o di tamponatura di una costruzione.
In tale situazione, dunque,
la struttura di alluminio anodizzato mantiene la connotazione di mero elemento di sostegno della tenda e non integra, dunque, la struttura portante di una costruzione, la quale, integrandosi con gli elementi di copertura e di chiusura, realizzi, così creando un nuovo organismo edilizio, una trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio.
Allo stesso modo, deve ritenersi che non sia integrata la fattispecie della ristrutturazione edilizia.
Invero, ai sensi dell’articolo 3, lettera d), del dpr n. 380/2001, tale tipologia di intervento edilizio richiede che trattasi di “interventi rivolti a trasformare gli organismi edilizi mediante un insieme sistematico di opere”, i quali “comprendono il ripristino o la sostituzione di alcuni elementi costitutivi dell’edificio, l’eliminazione, la modifica e l’inserimento di nuovi elementi e impianti”.
Orbene, la disposizione, così come declinata dal legislatore, richiede comunque che le opere realizzate abbiano consistenza e rilevanza edilizia, siano cioè tali da poter “trasformare l’organismo edilizio”, condividendo pertanto natura e consistenza degli elementi costitutivi di esso.
La “trasformazione” può, infatti, realizzarsi solo attraverso interventi che pongano in non cale la precedente identità dell’organismo edilizio, risultato che può realizzarsi solo quando questi abbiano una rilevanza edilizia (e, dunque, una suscettività di incidenza sul territorio) almeno pari o superiore agli elementi che costituiscono la preesistenza.
Tali caratteristiche risultano all’evidenza non sussistenti nella fattispecie della struttura in alluminio anodizzato atta ad ospitare una tenda retrattile, avuto riguardo alla consistenza di tale intervento ed alla circostanza che l’immobile sul quale essa è collocata è un fabbricato in muratura, sulla cui originaria identità e conformazione l’opera nuova non può certamente incidere.
Sulla base delle considerazioni sopra svolte deve, pertanto, ritenersi che
la struttura realizzata e sopra descritta sub 1) non abbisognasse del previo rilascio del permesso di costruire: giacché la tenda retrattile che essa è unicamente destinata a servire si risolve, in ultima analisi, in un mero elemento di arredo del terrazzo su cui insiste.
Di conseguenza, non può condividersi sul punto la pronuncia di rigetto del ricorso operata dal giudice di primo grado, dovendosi ritenere che i provvedimenti di sospensione dei lavori e di demolizione adottati dall’amministrazione con riferimento alla sua realizzazione siano illegittimi.
L’appello è, di conseguenza, per tale parte fondato.
A identiche conclusioni non può giungersi, invece, in riferimento alla struttura sopra descritta sub 2).
Essa, invero, è pur sempre una “struttura in alluminio anodizzato atta ad ospitare una tenda retrattile in materiale plastico”.
Che, nondimeno,
si connota diversamente per il fatto di essere “tamponata sui due lati liberi da lastre di vetro mobili a “pacchetto”, munite di supporti che manualmente scorrono in appositi binari e da vetro fisso (timpano) inseriti nelle strutture di alluminio anodizzato”.
Orbene, osserva la Sezione, conformemente ai principi in precedenza esposti, che
la presenza, quali elementi di chiusura, di lastre di vetro determina il venir meno del richiamato carattere di mera struttura di sostegno di tende retrattili.
La natura e la consistenza del materiale utilizzato (il vetro viene comunemente usato per la realizzazione di pareti esterne delle costruzioni) fa sì che la struttura di alluminio anodizzato si configuri, in questo caso, non più come mero elemento di supporto di una tenda, ma venga piuttosto a costituire la componente portante di un manufatto, che assume consistenza di vera e propria opera edilizia, connotandosi per la presenza di elementi di chiusura che, realizzati in vetro, costituiscono vere e proprie tamponature laterali.
Sicché il manufatto in questo caso costituisce “nuova costruzione”, risultando idoneo a determinare una trasformazione urbanistico ed edilizia del territorio.
Né in contrario riveste rilievo la circostanza che le suddette lastre di vetro siano installate “a pacchetto” e, dunque, apribili, considerandosi che la possibilità di apertura attribuisce a tale sistema la stessa portata e consistenza di una finestra o di un balcone, ma non modifica la natura del manufatto che, una volta chiuso, è vera e propria opera edilizia, come tale soggetta al rilascio del previo titolo abilitativo.
Va, peraltro, considerato, in relazione al fatto che la struttura di cui al citato punto 2) presenta comunque come copertura una tenda retrattile in materiale plastico e, dunque, potenzialmente (e parzialmente) i caratteri di un’opera non soggetta a titolo edilizio (per la parte in cui è mera struttura di sostegno di una tenda retrattile), che il corretto esercizio del potere sanzionatorio avrebbe imposto, nella sua funzione di ripristino della legalità violata e nel rispetto del principio del mezzo più mite, una reazione proporzionata all’entità dell’abuso e, dunque, necessaria e sufficiente a riportare il realizzato nell’ambito della conformità alla normativa urbanistica (ossia senza demolire ciò che legittimamente può realizzarsi, posto che utile per inutile non vitiatur).
L’ordine di demolizione avrebbe, di conseguenza, dovuto limitarsi alla sola rimozione delle strutture laterali in vetro in uno ai binari (inferiore e superiore) di scorrimento delle stesse, ma non anche dell’intera struttura.
Invero,
per effetto di tali rimozioni il manufatto, limitato al solo sostegno di tende in plastica retrattili, viene ricondotto a opera lecita e non abusiva, in quanto non richiedente, per tutte le considerazioni in precedenza rese, il preventivo titolo abilitativo.
Da quanto sopra discende che, per quanto riguarda il manufatto descritto come sub 2), l’illegittimità dei provvedimenti impugnati in primo grado deve essere esclusa limitatamente alla rimozione degli elementi di chiusura laterali in vetro in uno ai binari (inferiore e superiore) di scorrimento degli stessi.
Queste costituiscono, pertanto, le componenti dell’opera che dovranno essere rimosse in esecuzione della presente pronunzia.
Conclusivamente, ritiene la Sezione che l’appello sia fondato in parte e debba essere accolto nei sensi e nei limiti sopra precisati; che, per l’effetto, la sentenza del Tribunale debba essere riformata parzialmente e che dunque, in parziale accoglimento del ricorso di primo grado, i provvedimenti impugnati debbano essere integralmente annullati, relativamente alla struttura di cui sub n. 1 (in quanto unicamente destinata al sostegno d’un elemento di arredo consistente in una tenda retrattile); mentre, quanto alla struttura di cui sub n. 2, vanno annullati solo in parte, ossia restando eccettuata dalla caducazione la relativa parte in cui si dispone, per tale secondo manufatto, la rimozione delle tamponature laterali in vetro e dei binari (inferiore e superiore) di scorrimento di esse.
Limitatamente a tali componenti dell’opera, invero, l’appello deve essere respinto e la sentenza di rigetto di primo grado confermata, unitamente (in parte qua) all’ordine demolitorio impugnato in prime cure (Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 27.04.2016 n. 1619 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATALa valutazione degli abusi edilizi presuppone una visione complessiva e non atomistica degli interventi posti in essere, in quanto il pregiudizio arrecato all’assetto urbanistico deriva non dal singolo intervento ma dall'insieme delle opere realizzate nel loro contestuale impatto edilizio.
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Nel caso all’esame la copertura della pompeiana e l’aggiunta delle strutture metalliche coperte, hanno creato un autonomo organismo edilizio di rilevanti dimensioni stabilmente destinato a sala da pranzo del locale che deve pertanto essere qualificata come nuova opera per consistenza e funzione di ampliamento del locale dal punto di vista della volumetria e della superficie utile commerciale.
Infatti, come è stato osservato proprio con riguardo all’abusiva copertura di strutture del tipo di quella in esame:
- dal punto di vista tecnico-giuridico la pompeiana, a prescindere dai materiali usati e dalle concrete categorie definitorie (porticato, pergolato, gazebo, berceau, dehor), è caratterizzata dal dover essere una struttura costruttiva leggera e aperta, la cui copertura (teli, rampicanti, assi distanziate) deve consentire di fare filtrare l’aria e la luce, assolvendo a finalità di ombreggiamento e di protezione nel passaggio o nella sosta delle persone, in soluzione di continuità con lo spazio circostante e senza creare interruzione dimensionale dell’ambiente in cui è installata;
- l’aspetto tipico di essa risiede nella mancanza di pareti e di una copertura integrale assimilabile ad un tetto o solaio, che si viene invece a concretizzare con una copertura che la faccia configurare come volume edilizio;
- la stabile destinazione funzionale a sala da pranzo comporta lo snaturamento dei caratteri propri della pompeiana;
- è da escludersi la possibilità di riscontrare precarietà dell'opera, ai fini dell'esenzione dal permesso di costruire, quando la medesima sia destinata a soddisfare bisogni non provvisori attraverso la permanenza nel tempo della sua funzione.
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Da quanto esposto emerge che l’intervento edilizio è qualificabile come nuova opera assoggettata al previo rilascio di un permesso di costruire, che la medesima era incompatibile con la destinazione agricola dell’area prevista dallo strumento urbanistico allora vigente, che era necessario il previo rilascio dell’autorizzazione paesaggistica in quanto si tratta di opera che altera l’aspetto esteriore dell’edificio cui accede e che pertanto correttamente il Comune ha sanzionato l’abuso con un’ordinanza di rimozione e ripristino allo stato originario ed autorizzato dei luoghi.

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... per l'annullamento del provvedimento del Comune di Abano Terme, a firma del Dirigente del V Settore 17.06.1999 prot. n. 16032, con cui si ordina alla Società ricorrente, relativamente al fabbricato ad uso commerciale-residenziale in Abano Terme, via ... n. 46, di demolire le opere pretestamente abusive entro il termine di 90 giorni.
...
Il ricorso è infondato e deve essere respinto.
Le censure proposte, che possono essere valutate unitariamente, si fondano sull’erroneo presupposto che l’abuso edilizio dovrebbe essere considerato come consistente nella mera apposizione di un telo di nylon, come tale qualificabile come opera amovibile, non soggetta al previo rilascio di un titolo edilizio, o tutt’al più qualificabile come intervento di manutenzione straordinaria non sanzionabile con un’ordinanza di demolizione, irrilevante da un punto di vista urbanistico ed inoltre non soggetta al previo rilascio di un’autorizzazione paesaggistica perché costituente un intervento edilizio minore.
Tale ordine di idee non può essere condiviso.
Come è noto la valutazione degli abusi edilizi presuppone una visione complessiva e non atomistica degli interventi posti in essere, in quanto il pregiudizio arrecato all’assetto urbanistico deriva non dal singolo intervento ma dall'insieme delle opere realizzate nel loro contestuale impatto edilizio (cfr. Consiglio di Stato, Sez. VI, 06.06.2012 n. 3330; Consiglio di Stato, Sez. VI, 12.06.2014, n. 2985).
Nel caso all’esame la copertura della pompeiana e l’aggiunta delle strutture metalliche coperte, hanno creato un autonomo organismo edilizio di rilevanti dimensioni stabilmente destinato a sala da pranzo del locale che deve pertanto essere qualificata come nuova opera per consistenza e funzione di ampliamento del locale dal punto di vista della volumetria e della superficie utile commerciale (cfr. Consiglio di Stato, Sez. I, 06.05.2013, n. 1193).
Infatti, come è stato osservato proprio con riguardo all’abusiva copertura di strutture del tipo di quella in esame (cfr. Consiglio di Stato, Sez. VI, 31.10.2013, n. 5265):
- dal punto di vista tecnico-giuridico la pompeiana, a prescindere dai materiali usati e dalle concrete categorie definitorie (porticato, pergolato, gazebo, berceau, dehor), è caratterizzata dal dover essere una struttura costruttiva leggera e aperta, la cui copertura (teli, rampicanti, assi distanziate) deve consentire di fare filtrare l’aria e la luce, assolvendo a finalità di ombreggiamento e di protezione nel passaggio o nella sosta delle persone, in soluzione di continuità con lo spazio circostante e senza creare interruzione dimensionale dell’ambiente in cui è installata;
- l’aspetto tipico di essa risiede nella mancanza di pareti e di una copertura integrale assimilabile ad un tetto o solaio, che si viene invece a concretizzare con una copertura che la faccia configurare come volume edilizio;
- la stabile destinazione funzionale a sala da pranzo comporta lo snaturamento dei caratteri propri della pompeiana;
- è da escludersi la possibilità di riscontrare precarietà dell'opera, ai fini dell'esenzione dal permesso di costruire, quando la medesima sia destinata a soddisfare bisogni non provvisori attraverso la permanenza nel tempo della sua funzione (cfr. Consiglio di Stato, Sez. IV, 22.12.2007, n. 6615).
Da quanto esposto emerge che l’intervento edilizio è qualificabile come nuova opera assoggettata al previo rilascio di un permesso di costruire, che la medesima era incompatibile con la destinazione agricola dell’area prevista dallo strumento urbanistico allora vigente, che era necessario il previo rilascio dell’autorizzazione paesaggistica in quanto si tratta di opera che altera l’aspetto esteriore dell’edificio cui accede e che pertanto correttamente il Comune ha sanzionato l’abuso con un’ordinanza di rimozione e ripristino allo stato originario ed autorizzato dei luoghi.
Il ricorso in definitiva deve essere respinto (TAR Veneto, Sez. II, sentenza 22.03.2016 n. 297 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

CONDOMINIO - EDILIZIA PRIVATANiente dehors per il bar senza sì del condominio.
Addio dehors per il bar se il titolare non ha fatto i conti con il condominio prima di rivolgersi al comune per il permesso. Stop all'autorizzazione unica concessa all'esercizio pubblico dallo sportello attività produttive dell'ente locale: la struttura a padiglione, infatti, va considerata aderente alla facciata dello stabile e dunque non può essere installata su una parete dell'edificio senza prima ottenere il nulla osta di tutti coloro che risultano proprietari del muro perimetrale.

È quanto emerge dalla
sentenza 04.03.2016 n. 379, pubblicata dalla II Sez. del TAR Toscana.
È proprio il regolamento comunale a imporre il previo nulla osta dei proprietari o dell'amministratore dell'edificio quando si verifica il «contatto-aderenza» con la superficie esterna di un fabbricato: sbaglia dunque l'amministrazione laddove interpreta le norme ritenendo necessaria l'autorizzazione preventiva solo se i tiranti della struttura a padiglione devono essere agganciati alla parete.
Al comune non resta che pagare le spese di giudizio (articolo ItaliaOggi Sette del 09.05.2016).

CONDOMINIO - EDILIZIA PRIVATA: Per il dehors serve il sì del condominio. Poteri di veto. I proprietari devono dare il consenso alla realizzazione del manufatto in aderenza alla facciata.
Il conduttore di un immobile destinato ad uso birreria che intende realizzare nell’area antistante il locale un dehors che verrà montato solo in aderenza alla facciata non può essere autorizzato dal comune a realizzare l’opera se non dimostra di aver ottenuto il consenso della collettività condominiale.

È questo il principio affermato dal TAR Toscana -Sez. II- nella sentenza 04.03.2016 n. 379.
La vicenda prendeva l’avvio quando il titolare di un locale birreria, facente parte di un caseggiato, decideva di realizzare, nello spazio antistante il locale condotto in locazione, un dehors temporaneo con possibilità di chiusura stagionale in cui installare tavoli, sedie.
Il progetto definitivo prevedeva che la struttura portante del dehors non fosse ancorata alla parete condominiale, ma fosse realizzata soltanto in aderenza del muro perimetrale con montanti verticali in acciaio indipendenti.
L’opera, quindi, veniva autorizzata, ma una condòmina richiedeva al comune l’annullamento in via di autotutela del provvedimento autorizzatorio, per la mancanza di nulla osta da parte del condominio. La richiesta veniva respinta, anche perché tutti gli altri condomini (compreso il proprietario del locale-birreria) con apposita comunicazione, avevano confermato l’autorizzazione ad occupare l’area privata antistante il pubblico esercizio.
La questione, poi, è stata sottoposta all’attenzione del Tar che ha dato torto al titolare della birreria, rilevando che la domanda volta ad ottenere la concessione e/o l’autorizzazione per la costruzione di spazi di ristoro all’aperto annessi a locali di pubblico esercizio, con occupazione di tutta l’area esterna condominiale, richiede il consenso degli altri condòmini (inclusa la ricorrente che non ha mai prestato il suo assenso), anche nel caso in cui la struttura venga posta solo a contatto dell’edificio.
A diversa conclusione si potrebbe arrivare, però, se il dehors fosse realizzato con le stesse modalità ma con occupazione parziale del cortile: in tal caso, infatti, se si considera che i rapporti condominiali richiedono il continuo rispetto del principio di solidarietà, il quale richiede un costante equilibrio fra le esigenze e gli interessi di tutti i partecipanti alla comunione, qualora sia prevedibile (come nel caso in questione) che gli altri partecipanti alla comunione non possano fare un pari uso della cosa comune, la modifica apportata alla stessa dal condomino potrebbe ritenersi legittima
(articolo Il Sole 24 Ore del 19.04.2016).
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MASSIMA
... per l'annullamento:
- del provvedimento Autorizzativo Unico n. 152 del 29.07.2013 con cui il Dirigente del Settore Urbanistica e Suap ha autorizzato il Sig. Er.Si., nella sua qualità di legale rappresentante dell’impresa “Pi. Bar di Er.Si. & C. <<ad occupare l’area privata antistante il pubblico esercizio denominato “Bar Lume” posto in via Rinchiosa, angolo Via Garibaldi al fine di poter installare tavoli, sedie e strutture a padiglione con temporanea possibilità di chiusura stagionale […]>>, nonché degli atti connessi, presupposti e conseguenti nonché per il risarcimento:
- dei danni subiti e subendi dalla ricorrente per effetto degli illegittimi provvedimenti impugnati;
...
2. Il primo motivo del ricorso introduttivo del presente giudizio è fondato.
La circostanza, infatti, che “la struttura portante del dehors da installare non verrà agganciata alla parete condominiale, ma sostenuta da montanti verticali in acciaio indipendenti, come si legge nel provvedimento autorizzativo impugnato, non esonerava dalla necessità di ottenere il previo consenso da parte dei proprietari della facciata medesima.
A riguardo va rilevato come sia incontestato che il progetto per la realizzazione del dehors di cui si discute sia quello graficamente rappresentato nel documento prodotto dalla ricorrente come all. 18, consegnato al Comune nell’aprile del 2013, nel quale si trova espressamente scritto “Dehors distaccato 1 cm dalla facciata con struttura indipendente”.
Ora, l’Allegato L del Regolamento edilizio comunale al punto 2.8 prevede, con riferimento alle “strutture a padiglione temporanee con possibilità di chiusura stagionale”, il generale divieto di ogni infissione al suolo e alla parete dell’edificio di pertinenza.
Tuttavia, il quarto comma del citato punto 2.8 stabilisce che “
nel caso di presenza di marciapiede sopraelevato di larghezza tale da consentire la coesistenza del manufatto e del percorso pedonale, il manufatto stesso può essere collocato in aderenza alla facciata a condizione che venga comunque garantita una striscia libera di almeno 2 metri di larghezza a partire dal filo esterno del marciapiede”.
Ed è questa la fattispecie in cui rientra, secondo il progetto di cui si è detto, la struttura per cui è causa, per la quale, dunque, viene consentita la collocazione in aderenza alla facciata, mentre rimane vietata ogni infissione alla stessa.
Inoltre, il citato Allegato L del Regolamento edilizio comunale al punto 1.2 lett. c richiede in via generale, per tutte le domande volte ad ottenere la concessione e/o l’autorizzazione per la costruzione di spazi di ristoro all’aperto annessi a locali di pubblico esercizio di somministrazione, il “nulla-osta del proprietario o dell’amministratore dell’immobile qualora la struttura venga posta a contatto dell’edificio”; ciò in piena coerenza con la disciplina del condominio negli edifici (artt. 1117 e ss. cod. civ.).
Ne discende che,
oltre al divieto di infissione-aggancio alla parete condominiale, viene stabilito altresì che il contatto-aderenza –essendo i due termini sinonimi– dell’edificio richiede il previo nulla-osta dei proprietari o dell’amministratore dell’immobile.
Ciò significa che
l’amministrazione non avrebbe dovuto ridurre la questione di cui si controverte all’esistenza o meno dell’”aggancio” alla parete, ma avrebbe dovuto prendere in considerazione la specifica disciplina regolamentare del “contatto-aderenza” con l’edificio per dedurne la necessità del suddetto nulla-osta dei proprietari.
E’ evidente, infatti, che la progettata struttura, proprio in quanto distaccata di un solo centimetro dalla facciata, non può non essere considerata come aderente alla facciata stessa, con la conseguenza che la sua collocazione richiedeva il previo nulla-osta di tutti i proprietari della medesima, in quanto muro perimetrale condominiale ai sensi dell’art. 1117 cod. cic., ivi incluso quello della ricorrente che non risulta, invece, aver mai prestato il suo assenso a tal fine.

EDILIZIA PRIVATAGazebo in legno.
Integra il reato di cui all’art. 44, lett. b), t.u. n. 380/2001 la costruzione nell’area cortilizia di gazebo in legno, fissi in terra ed inamovibili, trattandosi di ampliamento soggetto a permesso di costruire (TRIBUNALE di Roma, Sez. VI, sentenza 01.03.2016 n. 3216 - massima tratta da www.laleggepertutti.it).

EDILIZIA PRIVATA: Di regola, tettoie e gazebo sono opere che non rappresentano costruzioni vere e proprie, ma hanno caratteristiche di precarietà strutturale e funzionale destinate a soddisfare esigenze contingenti e circoscritte nel tempo, esenti dunque dall’assoggettamento a permesso di costruire.
Non di meno, però, quando esse non sono precarie, ma funzionali a soddisfare esigenze permanenti, vanno considerate come manufatti alteranti lo stato dei luoghi, con incremento del carico urbanistico, costituendo la consistenza e la stabilità della struttura i criteri per la relativa valutazione.
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L’opera in questione risulta della superficie di 7,20 mq, di altezza al colmo di mt. 2,80 e alla gronda di mt. 2,30, composta da quattro pilastri verticali fissati al pavimento mediante staffe in ferro, coperta con tavolaccio e soprastante strato di tegole canadesi (quest’ultime contestate da parte ricorrente, secondo cui la struttura sarebbe leggera e ricoperta con fogli sottili e bitumitosi che darebbero soltanto l’effetto estetico del tegolato canadese) ed altresì aperta su tutti i lati.
Orbene, ritiene il Collegio che tale manufatto, che non appare ricadere in area vincolata, per le caratteristiche su menzionate, per le sue modeste dimensioni e per il suo carattere non impattante, essendo privo di autonomia funzionale, appare esente dall’assoggettamento al permesso di costruire, potendo essere considerato alla stregua di un intervento assentibile tramite l’odierna s.c.i.a., ai sensi dell’art. 22 del d.p.r. 06.06.2001 n. 380.
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Per gli interventi realizzati in violazione del regime di segnalazione di attività, ai sensi dell’art. 37, comma 1, d.p.r. 380/2001, l’amministrazione può comminare unicamente una sanzione pecuniaria e non anche la demolizione delle opere.
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Che il gazebo non necessitasse di permesso di costruire discende anche dalla circostanza che lo stesso si pone quale elemento pertinenziale con una volumetria inferiore al 20%, ai sensi dell’art. 3, comma 1, lett.e. 6), del d.p.r. n. 380/2001.
Peraltro, le pertinenze di piccole dimensioni, secondo giurisprudenza condivisibile, non sono tenute a rispettare la disciplina in materia di distanze, né sono soggette a permesso di costruire.

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... per l'annullamento dell'ordinanza comunale n. 34 del 22/07/2014 di demolizione delle seguenti opere edilizie abusive “struttura in legno lamellare composta da quattro pilastri verticali fissati al suolo mediante apposite staffe in ferro e da una struttura di copertura a due falde sempre con l’utilizzo di travi in legno.
Detta struttura di forma rettangolare ha una superficie di mq. 7,20 circa ed ha altezza al colmo di mt. 2,80 e alla gronda di mt. 7,20 circa ed ha altezza al colmo di mt. 2,80 e alla gronda di mt. 2,30 coperta con tavolaccio e soprastante strato di tegole canadesi, e posta a distanza di mt. 0,80 dal confine di proprietà con altra ditta a distanza nulla, nonché ad una distanza al proprio fabbricato di circa mt. 4,50
”;
...
2.2. Comunque, come dedotto da parte ricorrente, nel caso, non era necessario il permesso di costruire.
Il Collegio osserva che, di regola, tettoie e gazebo sono opere che non rappresentano costruzioni vere e proprie, ma hanno caratteristiche di precarietà strutturale e funzionale destinate a soddisfare esigenze contingenti e circoscritte nel tempo, esenti dunque dall’assoggettamento a permesso di costruire (cfr. Consiglio di Stato, sez. V, 19.09.2006, n. 5469; TAR Calabria, Catanzaro, sez. II, 28.11.2014 n. 2014; TAR Molise, sez. I, 31.01.2014, n. 66; TAR Calabria, Catanzaro, sez. II, 03.10.2012, n.976); non di meno, però, quando esse non sono precarie, ma funzionali a soddisfare esigenze permanenti, vanno considerate come manufatti alteranti lo stato dei luoghi, con incremento del carico urbanistico (Consiglio di Stato, sez. V, 01.12.2003, n. 7822; sez. IV, 04.09.2013, n. 4438), costituendo la consistenza e la stabilità della struttura i criteri per la relativa valutazione (Consiglio di Stato, sez. VI, 12.12.2012, n.6382).
2.3. Tanto premesso, l’opera in questione risulta della superficie di 7,20 mq, di altezza al colmo di mt. 2,80 e alla gronda di mt. 2,30, composta da quattro pilastri verticali fissati al pavimento mediante staffe in ferro, coperta con tavolaccio e soprastante strato di tegole canadesi (quest’ultime contestate da parte ricorrente, secondo cui la struttura sarebbe leggera e ricoperta con fogli sottili e bitumitosi che darebbero soltanto l’effetto estetico del tegolato canadese) ed altresì aperta su tutti i lati.
Orbene, ritiene il Collegio che tale manufatto, che non appare ricadere in area vincolata, per le caratteristiche su menzionate, per le sue modeste dimensioni e per il suo carattere non impattante, essendo privo di autonomia funzionale, appare esente dall’assoggettamento al permesso di costruire, potendo essere considerato alla stregua di un intervento assentibile tramite l’odierna s.c.i.a., ai sensi dell’art. 22 del d.p.r. 06.06.2001 n. 380.
Da quanto sopra consegue l’illegittimità dell’impugnato provvedimento, in quanto il gazebo in questione, per le esigue caratteristiche strutturali e dimensionali, non è tale da avere un rilevante impatto urbanistico.
Ne consegue, altresì, che, potendo per gli interventi realizzati in violazione del regime di segnalazione di attività, ai sensi dell’art. 37, comma 1, del citato d.p.r., l’amministrazione comminare unicamente una sanzione pecuniaria e non anche la demolizione delle opere, salvo i casi previsti, le censure al riguardo di parte ricorrente, nel complesso, sono condivisibili.
2.4. Inoltre, come osservato dalle ricorrenti (motivo III), che il gazebo non necessitasse di permesso di costruire discende anche dalla circostanza che lo stesso si pone quale elemento pertinenziale con una volumetria inferiore al 20% (circostanza che non è stata contestata), ai sensi dell’art. 3, comma 1, lett.e. 6), del d.p.r. n. 380/2001.
Peraltro, le pertinenze di piccole dimensioni, secondo giurisprudenza condivisibile, non sono tenute a rispettare la disciplina in materia di distanze (cfr. TAR Abruzzo–Pescara, sez. I, 11.08.2015), né sono soggette a permesso di costruire (TAR Calabria-Catanzaro, Sez. II, sentenza 11.01.2016 n. 7 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

anno 2015

EDILIZIA PRIVATALa giurisprudenza prevalente ritiene che i gazebo non precari, ma funzionali a soddisfare esigenze permanenti, vanno considerati manufatti alteranti lo stato dei luoghi, con sicuro incremento del carico urbanistico, a nulla rilevando la precarietà strutturale del manufatto, la rimovibilità della struttura e l’assenza di opere murarie, posto che il gazebo non precario non è deputato ad un suo uso per fini contingenti, ma è destinato ad un utilizzo per soddisfare esigenze durature nel tempo e rafforzate dal carattere permanente e non stagionale dell’attività svolta.
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Nell’ambito dell’edilizia, per potersi parlare di pertinenza in senso proprio è indispensabile che il manufatto destinato ad un uso pertinenziale durevole sia di dimensioni ridotte e modeste, con la conseguenza che soggiace a permesso di costruire la realizzazione di un’opera di rilevanti dimensioni, che modifica l’assetto del territorio e che occupa aree e volumi diversi rispetto alla res principalis, indipendentemente dal vincolo di servizio o di ornamento nei riguardi di essa.

2. - I primi due motivi di ricorso, che possono essere trattati congiuntamente, in quanto tra loro complementari, si incentrano sull’inesistenza di un’opera edilizia, la cui realizzazione avrebbe richiesto un titolo abilitativo, allegandosi che peraltro, ai sensi dell’art. 3, lett. e), n. 6, della l.r. n. 1 del 2004, le opere pertinenziali richiedono il permesso di costruire ove comportanti una nuova volumetria urbanistica od una superficie utile coperta, circostanza non ricorrente nel caso di specie, ove manca qualsivoglia copertura, tale non potendosi ritenere il telo di copertura.
I motivi non appaiono meritevoli di positiva valutazione, e devono pertanto essere disattesi.
A prescindere dall’esatta collocazione temporale del manufatto, e dunque anche ad ammettere che risalga al 2000, od anche, per ipotesi estrema, al 1985, sul piano obiettivo si verte al cospetto di un gazebo che richiedeva il permesso di costruire avendo una dimensione di ml. 7,25x3,80, con altezza variabile da ml. 2,25 a ml. 2,80, e posto sul confine di proprietà, a distanza non regolamentare dalla viabilità pubblica (circa quattro metri), destinato a posto auto coperto.
La giurisprudenza prevalente ritiene che i gazebo non precari, ma funzionali a soddisfare esigenze permanenti, vanno considerati manufatti alteranti lo stato dei luoghi, con sicuro incremento del carico urbanistico, a nulla rilevando la precarietà strutturale del manufatto, la rimovibilità della struttura e l’assenza di opere murarie, posto che il gazebo non precario non è deputato ad un suo uso per fini contingenti, ma è destinato ad un utilizzo per soddisfare esigenze durature nel tempo e rafforzate dal carattere permanente e non stagionale dell’attività svolta (in termini Cons. Stato, Sez. IV, 04.04.2013, n. 4438; Sez. VI, 03.06.2014, n. 2842).
In tale prospettiva, anche sul piano normativo l’art. 3, lett. e), n. 6, della l.r. n. 1 del 2004 qualifica come “interventi di nuova costruzione” le opere pertinenziali agli edifici che comportino nuova volumetria urbanistica o superficie utile coperta; l’art. 21 del regolamento regionale 03.11.2008, n. 9 specifica che necessitano di permesso di costruire le opere pertinenziali, quali pergole e gazebo che abbiano una superficie utile coperta non superiore a mq. 20,00 e di altezza non superiore a ml. 2,40, desumendosi dunque in materia edilizia un’accezione diversa da quella civilistica di pertinenza.
In particolare, nell’ambito dell’edilizia, per potersi parlare di pertinenza in senso proprio è indispensabile che il manufatto destinato ad un uso pertinenziale durevole sia di dimensioni ridotte e modeste, con la conseguenza che soggiace a permesso di costruire la realizzazione di un’opera di rilevanti dimensioni, che modifica l’assetto del territorio e che occupa aree e volumi diversi rispetto alla res principalis, indipendentemente dal vincolo di servizio o di ornamento nei riguardi di essa (Cons. Stato, Sez. V, 28.04.2014, n. 2196) (TAR Umbria, sentenza 16.02.2015 n. 81 - link a www.giustizia-amminitrativa.it).

anno 2014

EDILIZIA PRIVATALa realizzazione di una veranda-gazebo, mediante chiusura a mezzo di installazione di pannelli di vetro su intelaiatura metallica, non ha natura precari, né costituisce intervento di manutenzione straordinaria o di restauro, ma è opera di ristrutturazione soggetta a concessione edilizia (oggi a permesso di costruire).
II – Il ricorso e i motivi aggiunti sono infondati.
III – La ricorrente società, titolare di un esercizio di ristorazione a Isernia, con la concessione edilizia in data 01.04.1997, ha realizzato lavori di rifacimento di una struttura protettiva (tipo veranda) collocata all’esterno dell’esercizio. Sennonché, il territorio del Comune di Isernia è classificato come zona sismica (con R.D. 22.11.1937) e, dall’esame degli atti d’ufficio, non risulta depositato il progetto strutturale dell’opera, che –a quanto consta– non è un tettoia, bensì una struttura chiusa, con vetrate installate su montanti metallici e travi in legno in copertura, ancorato con staffe metalliche all’antistante fabbricato in muratura, priva com’è di fondazioni e realizzata con un sistema costruttivo non consentito dalle vigenti norme tecniche anti-sismiche.
Il Servizio tecnico del Comune, avendo rilevato una violazione di tipo sostanziale –in quanto l’opera è in contrasto con i punti C1 e seguenti del D.M. 16.01.1996, recante “norme tecniche per la costruzione in zona sismica”- ha ordinato la riduzione in pristino, nonché l’adeguamento della struttura, tutt’altro che provvisoria, realizzata in difformità dalla concessione edilizia del 01.04.1996; ha inoltre emesso, in via cautelare, l’ordine di sospensione dei lavori.
Tra le altre cose, il Comune ha contestato alla ricorrente anche il mancato rispetto delle prescrizioni imposte dalla Soprintendenza per il beni archeologici e culturali di Campobasso, con la nota prot. n. 12085 datata 22.06.1996.
La realizzazione di una veranda-gazebo, mediante chiusura a mezzo di installazione di pannelli di vetro su intelaiatura metallica, non ha natura precaria (cfr.: Tar Toscana Firenze III, 30.01.2014 n. 185), né costituisce intervento di manutenzione straordinaria o di restauro, ma è opera di ristrutturazione soggetta a concessione edilizia (oggi a permesso di costruire).
Non a caso, la ricorrente si è munita di tale titolo: sennonché, ha realizzato in parziale difformità, non ha rispettato le prescrizioni paesaggistiche e non ha provato il rispetto delle norme di prevenzione sismica. Ciò è sufficiente per ingiungere la sospensione dei lavori e la remissione in pristino, senza che occorra una particolare motivazione in ordine all'interesse pubblico, che deve ritenersi “in re ipsa”, trattandosi di misura finalizzata a garantire la sicurezza degli edifici e l'ordinato, armonico sviluppo edilizio del territorio (cfr.: Tar Molise I, 21.10.2011 n. 624).
IV - I motivi del ricorso e i motivi aggiunti sono, dunque, destituiti di fondamento.
La tettoia, assentita con la concessione edilizia del 1997, è in realtà un locale chiuso. Trattandosi di struttura ancorata alla muratura dell’edificio, essa non può sottrarsi alle verifiche antisismiche, di guisa che la mancanza del deposito strutturale è valida motivazione per sospendere i lavori e ordinare il ripristino. Non risulta assolto l’onere di depositare il progetto esecutivo alla Sezione “Comuni sismici” della Regione Molise – previsto dall’art. 7 della L.R. n. 20/1996 per tutti i lavori di costruzione (e questo è un lavoro di costruzione!) e persino per le semplici riparazioni.
Invero, la legge n. 64/1974, in materia di particolari prescrizioni per costruzioni in zone sismiche, non si riferisce al concetto di nuova costruzione, ma a quello di realizzazione di una qualsiasi opera in zona sismica, risultando, detto concetto, del tutto indifferente e autonomo rispetto ad altre classificazioni valevoli nella disciplina edilizia, tale da essere tendenzialmente omnicomprensivo di tutte le vicende in cui venga in questione la realizzazione di una costruzione (cfr.: Cons. Stato IV, 12.06.2009 n. 3706).
Inoltre, le prescrizioni della Soprintendenza –di cui alla nota del 22.06.1996- condizionano l’assenso edilizio alla sostituzione del materiale cementizio con componenti in legno, sennonché i pilastri della tettoia poggiano ancora su vistosi basamenti in cemento. Tale elemento di sostanziale difformità sarebbe, di per sé, sufficiente a giustificare la misura ripristinatoria, di cui all’art. 31 del D.P.R. n. 380/2001 (cfr.: Cons. Stato VI, 30.04.2014 n. 2821).
Il mancato preavviso procedimentale non costituisce vizio di legittimità, atteso che, in ragione del carattere vincolato dell'atto, non occorre alcun avviso di avvio del procedimento per gli atti sanzionatori in materia edilizia, tra cui l'ordine di demolizione della costruzione abusiva; non vi è, nella specie, la violazione dell'art. 7 della legge n. 241 del 1990 (cfr.: Cons. Stato VI, 01.10.2014 n. 4878) (TAR Molise, sentenza 18.12.2014 n. 711 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

anno 2012

EDILIZIA PRIVATA: A. Cernelli, MANUFATTI LEGGERI E NECESSITÀ DEL TITOLO ABILITATIVO: IL CASO DEI C.D. GAZEBO DESTINATI ALLA RISTORAZIONE (Gazzetta Amministrativa n. 4/2012).

EDILIZIA PRIVATAIl Cds sulle strutture dei ristoranti non più asportabili. Il gazebo abusivo. È illegale se difficile da smontare.
È abusivo il gazebo installato in un ristorante se non è più amovibile e facilmente smontabile e asportabile. Infatti, se un gazebo perde le sue caratteristiche di precarietà per la sostituzione delle strutture portanti (dirette a soddisfare esigenze permanenti), si determina un'alterazione dello stato dei luoghi e un sicuro incremento del carico urbanistico.
Questo è il costrutto normativo tracciato dal Consiglio di Stato (Sez. VI) con la sentenza del 12.12.2012 n. 6382.
Il fatto, in sintesi: il proprietario di un ristorante nel comune di Malcesine, nel febbraio 2001 veniva autorizzato in area paesisticamente vincolata, alla posa di quattro gazebo in legno sulla terrazza di pertinenza del ristorante, caratterizzati da una struttura precaria, facilmente smontabile e asportabile.
Nel febbraio 2009, previa segnalazione, i tecnici della polizia municipale eseguivano un sopralluogo, riscontrando che erano in corso interventi sulla copertura, con la sostituzione del telo plastificato bianco con una struttura in grosse travi di legno e non, come invece previsto, con materiali in perline di legno e lamiera aggraffata, nonché con la ripavimentazione e la dotazione di un impianto elettrico, di climatizzazione e sonoro.
In seguito ai rilievi effettuati dalla polizia municipale, il comune aveva quindi adottato un'ordinanza di demolizione, alla quale il proprietario del ristorante aveva risposto con la presentazione di una domanda di sanatoria per le opere abusive realizzate. Domanda rigettata perché la volumetria realizzata, era incompatibile con il rispetto della disciplina urbanistico-edilizia e con le norme tutelanti il vigente vincolo paesaggistico.
Il proprietario del ristorante, vedendosi negata la sanatoria dei lavori apportati ai gazebo, proponeva ricorso. I giudici amministrativi concludevano che il gazebo aveva perso i connotati di precarietà e amovibilità che ne avevano legittimato l'installazione (articolo ItaliaOggi del 15.01.2013).

EDILIZIA PRIVATA: I gazebo non proprio precari, ma funzionali a soddisfare esigenze permanenti, vanno considerati come manufatti alteranti lo stato dei luoghi, con un sicuro incremento del carico urbanistico.
Ancora, i gazebo non proprio precari, ma funzionali a soddisfare esigenze permanenti, vanno considerati come manufatti alteranti lo stato dei luoghi, con un sicuro incremento del carico urbanistico (cfr. Cons. Stato, V, 01.12.2003, n. 7822) (Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 12.12.2012 n. 6382 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAIl pergolato, avente natura ornamentale, deve essere necessariamente realizzato in una struttura leggera, facilmente amovibile perché priva di fondamenta, e deve realizzare riparo e/o ombreggiatura di superfici di modeste dimensioni.
Il secondo motivo è dedicato alla parte dell’ordine di ripristino relativa ad alcune strutture in legno, delle quali il ricorrente rivendica la legittimità, trattandosi, a suo dire, di un “gazebo” oppure di un “pergolato”, di una casetta da gioco per bambini e di alcuni depositi di legna che non eccedono le sue ordinarie esigenze di vita.
Queste argomentazioni sono fondate solo per quanto riguarda la casetta da gioco per bambini e la quantità del legname presente.
La casetta da gioco, infatti, come ha rilevato il verificatore, è l’unica presente nel lotto e, avendo un tetto a due falde; dimensione in pianta non superiore a 4 mq. (precisamente m. 1,90 x 1.40); altezza al colmo pari a 2.20 m.; struttura in legno; assenza di collegamenti per le forniture di servizi, rientra nelle attrezzature ed arredi consentiti nelle aree pertinenziali degli edifici in base al combinato disposto dell’art. 97, comma 1, lett. a-quater), della l.p. 04.03.2008, n. 1, e dell’art. 22, comma 2, lett. a), del D.P.P. 13.07.2010, n. 18-50/Leg.
Quanto alla più ampia struttura in legno adibita a tettoia, si deve innanzitutto osservare che essa, all’opposto di quanto asserisce il ricorrente, non può essere assimilata ad un “gazebo” il quale, ai sensi dell’art. 22, comma 2, lett. c), del citato D.P.P. n. 18-50/Leg. del 2010, deve presentare una superficie coperta non maggiore di 20 mq., mentre la tettoia realizzata dal ricorrente ha una superficie coperta pari a 26,98 mq.
La struttura di causa, infatti, provvista di una tettoia costituita da lastre ondulate trasparenti e dotata di gronde di copertura sui quattro lati, deve essere misurata con il metodo di misurazione per gli elementi geometrici e per le costruzioni indicato con l’allegato 1 della deliberazione della Giunta provinciale 03.09.2010, n. 2023, adottata in attuazione dell’art. 36, comma 2, della l.p. n. 1 del 2008. In particolare, tale metodo prescrive che la superficie coperta corrisponda al sedime comprensivo di tutti gli aggetti rilevanti ai fini delle distanze. Ne consegue che la tettoia di causa, pur avendo dimensioni in pianta pari a m. 2,85 x 6,10, presenta lo sporto della gronda sul fronte nord lungo m. 1,60, quindi maggiore della misura limite per il calcolo delle distanze pari a 1,50 m. (prescritta dall’art. 8, primo comma, lett. c), delle n.t.a. del p.r.g. di Pelugo). In definitiva, pertanto, dovendosi conteggiare anche tale elemento, la struttura in esame presenta una superficie totale coperta di 26,98 mq.
La struttura di causa non può nemmeno definirsi un “pergolato” che, ai sensi dell’art. 22, comma 2, lett. d), del già citato D.P.P. n. 18-50/Leg. del 2010, è una “struttura composta da elementi verticali e sovrastanti elementi orizzontali in legno o altro materiale, tali da costituire una composizione a rete, per il sostegno di piante rampicanti”.
A ciò si deve aggiungere che la giurisprudenza amministrativa ha precisato che tale manufatto, avente natura ornamentale, deve essere necessariamente realizzato in una struttura leggera, facilmente amovibile perché priva di fondamenta, e che deve realizzare riparo e/o ombreggiatura di superfici di modeste dimensioni (cfr., da ultimo, C.d.S., sez. IV, 29.09.2011, n. 5409).
Nel caso di specie è stata invece realizzata una struttura dotata di copertura, costituita da pilastri ancorati al suolo e da travi in legno di importanti dimensioni: tutto ciò la rende solida e robusta e non facilmente amovibile, cosicché essa non può essere ritenuta un pergolato e, quindi, un’opera non rilevante sotto il profilo edilizio (TRGA Trentino Alto Adige-Trento, sentenza 21.11.2012 n. 342 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAIl pergolato, rilevante ai fini edilizi, deve essere inteso come un manufatto avente natura ornamentale, realizzato in struttura leggera di legno o altro materiale di minimo peso, facilmente amovibile in quanto privo di fondamenta, che funge da sostegno per piante rampicanti, a mezzo delle quali realizzare riparo e/o ombreggiatura di superfici di modeste dimensioni; di conseguenza non è riconducibile alla nozione di pergolato una struttura costituita da pilastri e travi in legno di importanti dimensioni, tali da rendere la struttura solida e robusta e da farne presumere una permanenza prolungata nel tempo, possa essere ricondotta alla nozione di pergolato.
Non rientra nella nozione di pergolato -e pertanto non è soggetta a d.i.a., bensì al rilascio di un permesso di costruire- un'opera costituita da pilastri e travi in legno di importanti dimensioni, atti a rendere la struttura solida e robusta. In tal caso, infatti, le rilevanti dimensioni e consistenza delle travi utilizzate, il loro stabile collegamento (nella specie a mezzo di bulloni e perni metallici) con una platea cementizia appositamente realizzata, la notevole estensione superficiaria ricoperta e la presenza di una copertura (ancorché precaria) risultano chiaro indice dell'essere preordinata, l'opera, ad un utilizzo prolungato nel tempo e non certo provvisorio.

Sul punto va ricordato l’esistenza di una pronuncia del Consiglio di Stato (sez. IV del 29.09.2011 n. 5409) che ha affermato come …”il pergolato, rilevante ai fini edilizi, deve essere inteso come un manufatto avente natura ornamentale, realizzato in struttura leggera di legno o altro materiale di minimo peso, facilmente amovibile in quanto privo di fondamenta, che funge da sostegno per piante rampicanti, a mezzo delle quali realizzare riparo e/o ombreggiatura di superfici di modeste dimensioni; di conseguenza non è riconducibile alla nozione di pergolato una struttura costituita da pilastri e travi in legno di importanti dimensioni, tali da rendere la struttura solida e robusta e da farne presumere una permanenza prolungata nel tempo, possa essere ricondotta alla nozione di pergolato".
Si consideri ancora come la Giurisprudenza prevalente (per tutti si veda TAR Napoli Campania sez. VII 10.06.2011 n. 3099) ha sancito che ….”non rientra nella nozione di pergolato -e pertanto non è soggetta a d.i.a., bensì al rilascio di un permesso di costruire- un'opera costituita da pilastri e travi in legno di importanti dimensioni, atti a rendere la struttura solida e robusta. In tal caso, infatti, le rilevanti dimensioni e consistenza delle travi utilizzate, il loro stabile collegamento (nella specie a mezzo di bulloni e perni metallici) con una platea cementizia appositamente realizzata, la notevole estensione superficiaria ricoperta e la presenza di una copertura (ancorché precaria) risultano chiaro indice dell'essere preordinata, l'opera, ad un utilizzo prolungato nel tempo e non certo provvisorio
(TAR Veneto, Sez. II, sentenza 25.10.2012 n. 1290 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Ai fini edilizi si intende per pergolato un manufatto avente natura ornamentale realizzato in struttura leggera di legno o altro materiale di minimo peso, facilmente amovibile in quanto privo di fondamenta, che funge da sostegno per piante rampicanti, attraverso le quali realizzare riparo e/o ombreggiatura di superfici di modeste dimensioni.
Mentre il pergolato costituisce una struttura aperta sia nei lati esterni che nella parte superiore ed è destinato a creare ombra, la tettoia può essere utilizzata anche come riparo ed aumenta l’abitabilità dell’immobile.

Circa la nozione di pergolato, va rilevato che (cfr. Cons. St. Sez. IV 29.09.2011 n. 5409) “ai fini edilizi si intende per pergolato un manufatto avente natura ornamentale realizzato in struttura leggera di legno o altro materiale di minimo peso, facilmente amovibile in quanto privo di fondamenta, che funge da sostegno per piante rampicanti, attraverso le quali realizzare riparo e/o ombreggiatura di superfici di modeste dimensioni”.
Al riguardo è stato altresì osservato (cfr. Cass. pen Sez. III 19.05.2008 n. 19973) che mentre il pergolato costituisce una struttura aperta sia nei lati esterni che nella parte superiore ed è destinato a creare ombra, la tettoia può essere utilizzata anche come riparo ed aumenta l’abitabilità dell’immobile (TAR Lombardia-Brescia, Sez. I, sentenza 29.08.2012 n. 1481 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Gazebo in legno necessita permesso a costruire.
L’art. 3, lett. e.5), del d.P.R. n. 380/2001, ha lo scopo di frenare il fenomeno dei c.d. abusi progressivi, infatti, riconduce alla nozione di intervento di nuova costruzione, anche le istallazioni di strutture non murarie, per le quali è sempre necessario il permesso di costruire.
Una struttura in legno costituita da un unico manufatto, non può essere qualificata come semplice gazebo, in quanto assume la consistenza di un vero e proprio piano in elevazione che deve essere oggetto di concessione edilizia e di eventuale autorizzazione paesaggistica. I caratteri della rimovibilità della struttura e dell’assenza di opere murarie non rilevano per nulla, quando l’installazione attua una consistente trasformazione del tessuto edilizio, in conseguenza della sua conformazione e della sua destinazione all’attività imprenditoriale.
Inoltre, il carattere pertinenziale dell'intervento non muta il suo regime giuridico (d.i.a. in luogo di quello concessorio), in quanto la nozione di pertinenza urbanistica ha peculiarità proprie che la distinguono da quella civilistica, dal momento che il manufatto, preordinato ad un'oggettiva esigenza dell'edificio principale e funzionalmente inserito al suo servizio, deve soprattutto avere un volume modesto, rispetto all'edificio principale in modo da escludere ogni ulteriore carico urbanistico.
In primo luogo, tale norma regolamentare risulta implicitamente abrogata dall’art. 3, lett. e.5), del d.P.R. 06.06.2001, n. 380, tra l’altro, riconduce alla nozione di “intervento di nuova costruzione" proprio “l'installazione di manufatti leggeri, anche prefabbricati, e di strutture di qualsiasi genere… che siano utilizzati come abitazioni, ambienti di lavoro, oppure come depositi, magazzini e simili, e che non siano diretti a soddisfare esigenze meramente temporanee”.
Pertanto, a tutto voler concedere, l’articolo 8 del regolamento edilizio comunale, nel ricondurre la realizzazione di un gazebo alla nozione di “manutenzione straordinaria” da attuarsi con d.i.a. potrebbe, forse riferirsi ai soli gazebo, con funzioni analoghe agli ombrelloni, che costituiscono semplici arredi temporanei della terrazza, ma sicuramente non concerneva una struttura che, per le sue notevoli dimensioni strutturali e per il suo impatto visivo, integrava un’ipotesi del tutto differente (ma sul punto vedi amplius infra). In ogni caso cui non vi era alcuna pregiudiziale necessità di impugnare la detta normativa regolamentare.
Parimenti è inconferente l’assunto circa la pretesa necessità di impugnativa della nota della Soprintendenza del 1998 sia perché per i “gazebo” occorre comunque il permesso di costruire è conseguentemente e sia perché la stessa risultava, comunque, del tutto superata della cogente valenza dell'art. 167, comma 4°, lett. c) del D.L.vo 22.01.2004 n. 42, per cui, in zona vincolata, anche in caso di “manutenzione straordinaria" di cui all'articolo 3 del d.P.R. 06.06.2001, n. 380 –come nel Comune di Forio- devono essere comunque preceduti dalla previa verifica di compatibilità paesaggistica dell'opera, con conseguente irrilevanza dell'eventuale preventivo esercizio positivo del controllo urbanistico/edilizio.
Per la giurisprudenza peraltro tale disciplina in caso di realizzazione di “gazebo” deve sempre essere di rigorosa applicazione (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 28.02.2005 n. 714)
(massima tratta www.lexambiente.it - Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 30.07.2012 n. 4318 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Una piscina di mq. 45 ha dimensioni comunque tali da assumere un proprio, autonomo valore di mercato, incidente sul pregio dell’immobile, sicché ne è esclusa la qualificazione in termini di pertinenza.
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Un gazebo di dimensioni non trascurabili (m. 2,45 per 2,45 con altezza di m. 2,55), per quanto non stabilmente infisso al suolo, tuttavia viene a soddisfare un’esigenza di carattere non precario.

Il ricorrente, proprietario di area sita in via Boccapiana n. 14 del Comune di Palestrina, impugna l’ordine di demolizione n. 84 del 2006, avente ad oggetto le seguenti opere eseguite senza permesso di costruire: a) ampliamento di fabbricato A già oggetto di concessione in sanatoria per mq 68 al piano terra e mq 105 al primo piano; b) tamponatura di fabbricato F destinato a tettoia e trasformato in deposito; c) realizzazione di un gazebo in legno e di una piscina di mq 45.
Il Tribunale premette che tutti questi interventi sono stati esattamente ritenuti soggetti a permesso di costruire da parte dell’amministrazione, con riferimento anche alla piscina prefabbricata ed al gazebo il legno, per i quali il ricorrente ritiene, invece, fosse necessaria la sola DIA.
Quanto alla piscina, infatti, essa ha dimensioni (mq 45) comunque tali da assumere un proprio, autonomo valore di mercato, incidente sul pregio dell’immobile, sicché, sulla base della costante giurisprudenza di questo Tribunale, ne è esclusa la qualificazione in termini di pertinenza.
Quanto al gazebo, si è in presenza anche in tal caso di una nuova costruzione, di dimensioni non trascurabili (m. 2,45 per 2,45 con altezza di m. 2,55), che, per quanto non stabilmente infissa al suolo, tuttavia viene a soddisfare un’esigenza di carattere non precario del ricorrente.
È perciò infondato il secondo motivo di ricorso, con cui si è sostenuto che gazebo e piscina fossero soggetti a DIA.
Ciò premesso, va rilevato che erroneamente il ricorrente ritiene che l’atto impugnato si basi sull’art. 34 del d.P.R. n. 380 del 2001, atteso che non si vede, né viene indicato dal ricorrente stesso, quale permesso di costruire sarebbe stato eseguito in parziale difformità: si è invece in presenza di una nuova attività abusiva, eseguita in parte su immobili già oggetto di sanatoria (fabbricato A e B), in parte no (gazebo e piscina).
Con riferimento a queste ultime opere, una volta acquisita la necessità del permesso di costruire, segue la legittimità dell’ordine di demolizione ai sensi dell’art. 31 del d.P.R. n. 380 del 2001, espressamente indicato dall’atto impugnato quale base normativa del provvedimento.
Con riguardo agli interventi eseguiti sui fabbricati preesistenti, quand’anche essi dovessero valutarsi alla luce dell’art. 33 del d.P.R. n. 380 del 2001, anziché dell’art. 31 (ma su questo profilo il ricorrente non ha svolto alcuna censura), in ogni caso, per costante giurisprudenza di questo Tribunale, l’eventuale impossibilità di ripristino dello stato originario non ha alcuna incidenza sulla legittimità dell’ordine di demolizione, poiché si tratta di circostanza rilevabile dall’amministrazione nella fase esecutiva: è quindi infondato il primo motivo di ricorso, con cui si lamenta che l’amministrazione non avrebbe potuto ordinare la demolizione delle opere, senza motivare previamente su di un simile profilo.
È infine infondato il terzo motivo: a fronte di un abuso edilizio, l’attività repressiva della pubblica amministrazione è vincolata dalla legge nell’an e nel quomodo, sicché è incongruo evocare in tali casi il principio di proporzionalità; né la circostanza che l’area del ricorrente sia già gravemente compromessa dall’abusivismo e rientri nella perimetrazione dei nuclei abusivi esime dal munirsi nei necessari titoli abilitativi.
Quanto, infine, alla risalenza nel tempo delle opere, neppure comprovata in fatto, è costante giurisprudenza di questo Tribunale che si tratti di profilo irrilevante, poiché il solo affidamento che l’ordinamento protegge è quello legittimo, e non certo quello derivante da condotte lesive della legge (TAR Lazio-Roma, Sez. I-quater, sentenza 13.06.2012 n. 5386 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: La realizzazione mediante opere edilizie di un pergolato caratterizzato da una solida struttura –addirittura in cemento- di dimensioni non trascurabili, che fa desumere una permanenza prolungata nel tempo del manufatto stesso e delle utilità che esso è destinato ad arrecare, comportando una trasformazione edilizia del territorio, dev’essere qualificata come intervento di nuova costruzione, che necessita di concessione edilizia.
Per costante giurisprudenza –anche della Sezione- la realizzazione mediante opere edilizie di un pergolato caratterizzato da una solida struttura – addirittura in cemento - di dimensioni non trascurabili, che fa desumere una permanenza prolungata nel tempo del manufatto stesso e delle utilità che esso è destinato ad arrecare, comportando una trasformazione edilizia del territorio, dev’essere qualificata come intervento di nuova costruzione, che necessita di concessione edilizia (Cons. di St., IV, 02.10.2008, n. 4793; TAR Liguria, I, 27.01.2012, n. 195; TAR Campania-Napoli, IV, 25.03.2011, n. 1746; TAR Emilia Romagna, II, 19.01.2011, n. 36) (TAR Liguria. Sez. I, sentenza 23.03.2012 n. 423 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: I gazebo che non abbiano carattere di assoluta precarietà ma che siano funzionali a soddisfare esigenze di carattere permanente devono essere apprezzati quale manufatti che determinano una trasformazione del territorio ed un’alterazione dello stato dei luoghi, dando luogo, peraltro, ad un incremento del carico urbanistico.
Come affermato dalla consolidata giurisprudenza anche del giudice d’appello, i gazebo che non abbiano carattere di assoluta precarietà ma che siano funzionali a soddisfare esigenze di carattere permanente devono essere apprezzati quale manufatti che determinano una trasformazione del territorio ed un’alterazione dello stato dei luoghi, dando luogo, peraltro, ad un incremento del carico urbanistico (cfr. ex multis, Cons. St., sez. V, 01.12.2003, n. 7822; TAR Trentino Alto Adige, Bolzano, 06.05.2005, n. 172).
Nella fattispecie oggetto di giudizio, l’intervento si è sostanziato nella sostituzione dell’intera struttura portante con travi in legno fisse e di grandi dimensioni e tale sostituzione, unitamente alle altre circostanze emerse nel corso dell’istruttoria (pavimentazione, dotazione di impianto elettrico, di climatizzazione e sonoro), è stata correttamente valutata dall’amministrazione che, considerando l’opera nel sul complesso, ha legittimamente adottato il provvedimento gravato.
L’intervento de quo è stato infatti realizzato, come sopra esposto, in area sottoposta a vincolo paesaggistico; come evidenziato dalla consolidata giurisprudenza per le opere comportanti un aumento di volumetria o cubatura l'autorizzazione paesaggistica non può essere rilasciata ex post, non rientrando tale ipotesi tra le fattispecie marginali -i c.d. abusi minori- che eccezionalmente ammettono la sanatoria ambientale in deroga al divieto generale di nulla-osta postumo.
Né è possibile ritenere, contrariamente a quanto sostenuto dalla difesa del ricorrente con il secondo motivo di ricorso, che l’intervento in esame sia da qualificare in termini di manutenzione ordinaria o straordinaria.
Dalle considerazione sopra svolte in ordine alla valutazione ed alla qualificazione dell’opera, emerge, infatti, che l’intervento ha determinato una sostanziale e radicale modificazione strutturale del manufatto, rilevante sotto il profilo volumetrico ed incidente sul contesto circostante tutelato (TAR Veneto, Sez. II, sentenza 29.02.2012 n. 264 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: La realizzazione di un pergolato mediante una solida struttura in legno di dimensioni non trascurabili, che fa desumere una permanenza prolungata nel tempo del manufatto stesso e delle utilità che esso è destinato ad arrecare, comportando una trasformazione edilizia del territorio, dev’essere qualificata come intervento di nuova costruzione, che necessita di concessione edilizia.
Per costante giurisprudenza, la realizzazione di un pergolato mediante una solida struttura in legno di dimensioni non trascurabili, che fa desumere una permanenza prolungata nel tempo del manufatto stesso e delle utilità che esso è destinato ad arrecare, comportando una trasformazione edilizia del territorio, dev’essere qualificata come intervento di nuova costruzione, che necessita di concessione edilizia (Cons. di St., IV, 02.10.2008, n. 4793; TAR Campania-Napoli, IV, 25.03.2011, n. 1746; TAR Emilia Romagna, II, 19.01.2011, n. 36).
Né può ritenersi che l’opera in questione fosse soggetta al regime autorizzatorio di cui all’art. 7, comma 2, lett. a), del D.L. 23.01.1982, n. 9 (conv. in L. 25.03.1982, n. 94), vuoi perché non conforme alle prescrizioni dello strumento urbanistico allora vigente (che classifica l’area come verde di salvaguardia inedificabile, cfr. art. 25 allegato alla domanda di sanatoria), vuoi perché ricadente in area sottoposta a vincolo dalla legge 29.06.1939, n. 1497 (cfr. l’autorizzazione regionale di cui al doc. 4 delle produzioni 14.11.1996), vuoi, infine, perché il rapporto di pertinenzialità è predicabile soltanto rispetto ad un edificio, non già –secondo la tesi esposta in ricorso- rispetto ad un fondo rustico (cfr. TAR Liguria, I, 23.05.2011, n. 812).
Ed è appena il caso di osservare che la mancata sussumibilità dell’intervento nell’ambito delle opere pertinenziali soggette ad autorizzazione gratuita lo fa ricadere automaticamente nell’ambito di quelle soggette a concessione edilizia.
Ne consegue l’infondatezza delle censure dedotte avverso il diniego di sanatoria ex art. 13 L. n. 47/1985, legittimamente emesso nei confronti di un intervento non conforme alla vigente normativa di zona del P.R.G..
Ne consegue altresì l’infondatezza delle censure mosse avverso l’ordine di demolizione ex art. 7 L. n. 47/1985, legittimamente emesso per sanzionare l’esecuzione di opere in assenza di concessione edilizia (TAR Liguria, Sez. I, sentenza 27.01.2012 n. 195 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

anno 2011

EDILIZIA PRIVATA: L’assenza di una definizione normativa di “pergolato” non esclude la valutazione dell’amministrazione in ordine alla riconducibilità di un manufatto a tale tipologia, né il successivo sindacato del giudice sulla legittimità della stessa, sotto il profilo del vizio di eccesso di potere per illogicità, irragionevolezza, insufficienza e/o contraddittorietà della motivazione.
Orbene, il “pergolato”, rilevante ai fini edilizi, può essere inteso come un manufatto avente natura ornamentale, realizzato in struttura leggera di legno o altro materiale di minimo peso, facilmente amovibile in quanto privo di fondamenta, che funge da sostegno per piante rampicanti, attraverso le quali realizzare riparo e/o ombreggiatura di superfici di modeste dimensioni.
Questo Consiglio di Stato, proprio sulla base degli elementi ora riportati, ha avuto modo di escludere che una struttura costituita da pilastri e travi in legno di importanti dimensioni, tali da rendere la struttura solida e robusta e da farne presumere una permanenza prolungata nel tempo, possa essere ricondotta alla nozione di “pergolato”.
Al contrario, è stata ritenuta rientrare nella nozione di “pergolato” una struttura precaria, facilmente rimovibile, costituita da una intelaiatura in legno non infissa al pavimento né alla parete dell’immobile (cui è solo addossata), non chiusa in alcun lato, compreso quello di copertura.

L’appellante ritiene che, nel caso di specie, trattandosi di un “pergolato” -così definito dall’amministrazione con valutazione riportabile, in difetto di definizione normativa, al merito amministrativo (pag. 11 app.), ovvero alla discrezionalità tecnica, (pag. 12), e comunque non sindacabile in sede di legittimità-, lo stesso è perfettamente assentibile e realizzabile, in quanto, avendo un ingombro inferiore a 25 mq., rientra nelle “opere non rilevanti sotto il profillo edilizio”.
Alla luce di quanto esposto, la definizione della presente controversia consegue, in sostanza, alla verifica della natura (o meno) di “pergolato” del manufatto realizzato.
A tal fine, occorre innanzi tutto osservare che l’assenza di una definizione normativa di “pergolato” non esclude la valutazione dell’amministrazione in ordine alla riconducibilità di un manufatto a tale tipologia, né il successivo sindacato del giudice sulla legittimità della stessa, sotto il profilo del vizio di eccesso di potere per illogicità, irragionevolezza, insufficienza e/o contraddittorietà della motivazione.
Orbene, il “pergolato”, rilevante ai fini edilizi, può essere inteso come un manufatto avente natura ornamentale, realizzato in struttura leggera di legno o altro materiale di minimo peso, facilmente amovibile in quanto privo di fondamenta, che funge da sostegno per piante rampicanti, attraverso le quali realizzare riparo e/o ombreggiatura di superfici di modeste dimensioni.
Questo Consiglio di Stato (sez. IV, 02.10.2008 n. 4793), proprio sulla base degli elementi ora riportati, ha avuto modo di escludere che una struttura costituita da pilastri e travi in legno di importanti dimensioni, tali da rendere la struttura solida e robusta e da farne presumere una permanenza prolungata nel tempo, possa essere ricondotta alla nozione di “pergolato”.
Al contrario, è stata ritenuta (Cons. Stato, sez. V, 07.11.2005 n. 6193) rientrare nella nozione di “pergolato” una struttura precaria, facilmente rimovibile, costituita da una intelaiatura in legno non infissa al pavimento né alla parete dell’immobile (cui è solo addossata), non chiusa in alcun lato, compreso quello di copertura (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 29.09.2011 n. 5409 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: “Berceau” - Permesso di costruire - Necessità - Esclusione.
Per la costruzione di manufatti di tipo “berceau”, formati da intelaiatura metallica scoperta, non appare necessario un titolo edilizio costituito dal permesso di costruire (o dalla denuncia di inizio attività alternativa a quest’ultimo): si tratta, infatti, di strutture precarie e semplicemente poggiate al suolo, facilmente amovibili, non idonee a creare nuovi volumi e quindi a determinare la <<trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio>>, che ai sensi dell’art. 10 del DPR 380/2001 impone il permesso di costruire.
La giurisprudenza ha del resto qualificato il c.d. “berceau” come un’opera edilizia leggera, tipo pergolato, costituita soltanto da una intelaiatura metallica o di legno, priva di pareti e copertura, con eventuali piante rampicanti che hanno però funzione meramente ornamentale (cfr. TAR Lombardia, Brescia, sez. I, 17.11.2010, n. 4638) (TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 26.07.2011 n. 1995 - link a www.ambientediritto.it).

EDILIZIA PRIVATA: La struttura in questione [struttura costituita da travi di legno di abete posti sia verticalmente (con spessore di cm. 20 x 15 e fissati al suolo con barre filettate e bulloni in ferro), che orizzontalmente (con spessore di cm. 10 x 15, ancorati con barre filettate e bulloni in ferro ai travi lamellari posizionati in modo verticale), nonché da travicelli sempre di legno di abete piallati e squadrati, aventi spessore di cm. 5 x 5. Con posizionamento delle travi e dei travicelli, la presenza di un ordito a doppia falda in legno nella parte superiore della struttura, e un ingombro complessivo per una superficie coperta di mq. 30 (mt. 6 x 5). La base del manufatto è costituita da una platea di cemento armato, e lo stesso è dotato di una copertura precaria (forse pagliarelle) posta sull’ordito a doppia falda] non può essere ricondotta alla tipologia del “pergolato” e deve qualificarsi quale "nuova costruzione" che, in zona vincolata, presuppone il preventivo rilascio dell'autorizzazione paesaggistica.
Ritiene il Collegio che la struttura in questione [struttura costituita da travi di legno di abete posti sia verticalmente (con spessore di cm. 20 x 15 e fissati al suolo con barre filettate e bulloni in ferro), che orizzontalmente (con spessore di cm. 10 x 15, ancorati con barre filettate e bulloni in ferro ai travi lamellari posizionati in modo verticale), nonché da travicelli sempre di legno di abete piallati e squadrati, aventi spessore di cm. 5 x 5. Con posizionamento delle travi e dei travicelli, la presenza di un ordito a doppia falda in legno nella parte superiore della struttura, e un ingombro complessivo per una superficie coperta di mq. 30 (mt. 6 x 5). La base del manufatto è costituita da una platea di cemento armato, e lo stesso è dotato di una copertura precaria (forse pagliarelle) posta sull’ordito a doppia falda] non possa essere ricondotta alla tipologia del “pergolato”, definibile come manufatto realizzato in struttura leggera di legno che funge da sostegno per piante rampicanti o per teli, il quale realizza in tal modo una ombreggiatura di superfici di modeste dimensioni durante la bella stagione, destinato ad un uso del tutto provvisorio e costituente altresì un elemento ornamentale, e perciò assentibile con d.i.a. (cfr. TAR Emilia Romagna–Bologna n° 36 del 19.01.2011; TAR Puglia–Bari n° 222 del 06.02.2009).
Al contrario, dev'essere qualificato intervento di nuova costruzione, ai sensi dell'art. 3 D.P.R. n. 380/2001, la realizzazione di un’opera costituita da pilastri e travi in legno di importanti dimensioni, atti a rendere la struttura solida e robusta e a far desumere una sua permanenza prolungata nel tempo (cfr. Cons. di Stato sez. IV, n° 4793 del 02.10.2008; TAR Campania–Napoli n° 1438 del 12.03.2010): proprio in quest’ultima ipotesi è inquadrabile invero la fattispecie in discussione, posto che le rilevanti dimensioni e consistenza delle travi utilizzate, il loro stabile collegamento (a mezzo di bulloni e perni metallici) con una platea cementizia appositamente realizzata, la notevole estensione superficiaria ricoperta e la presenza di una copertura (ancorché precaria) risultano chiaro indice dell’essere preordinata l’opera ad un utilizzo prolungato nel tempo e non certo provvisorio
Peraltro, appunto l’imponenza della costruzione (da valutare comunque nella sua totalità e complessità –cfr. TAR Lazio–Latina n° 259 del 10.05.2004)- conferisce alla stessa caratteristiche di rilevanza edilizia, ambientale, estetica e funzionale, pur in assenza di opere in muratura e di chiusure perimetrali, con conseguente necessità di una sua abilitazione a mezzo di permesso di costruire, in ogni caso previo assenso dell’Autorità preposta alla tutela del vincolo paesistico gravante in zona (non potendo farsi rientrare l’opera in alcuna delle ipotesi in cui l’art. 149 Decr. Leg.vo 42/2004 esclude la necessità dell’autorizzazione paesaggistica)
(TAR Campania-Napoli, Sez. VII, sentenza 10.06.2011 n. 3099 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Gazebo - Natura di costruzione - Volume edilizio - Esclusione.
Un gazebo, costituito da quattro colonne con sovrastante copertura, non configura un volume edilizio, essendo aperta su tutti i lati, e dunque non è soggetta a concessione edilizia (TAR Piemonte, sez. I, 19.11.2010, n. 4158): esso può senza dubbio essere qualificato come arredo per spazi esterni e non già come costruzione, tale da richiedere una concessione edilizia (Tribunale di Napoli, 18.12.2004) (TAR Lombardia-Brescia, Sez. II, sentenza 07.04.2011 n. 526 - link a www.ambientediritto.it).

anno 2010

EDILIZIA PRIVATA: Berceau - Nozione - Sostituzione della copertura - Intervento di manutenzione straordinaria - Copertura assimilabile ad un solaio - Locale coperto - Qualifica di berceau - Esclusione.
Il berceau è definibile come un’opera edilizia consistente in un pergolato (solitamente in legno) coperto da piante rampicanti.
L’aspetto caratteristico risiede nella mancanza di pareti e di una copertura impermeabile, in quanto si tratta di una struttura leggera nella quale deve essere garantito un rapporto di continuità con lo spazio esterno. Il filtro rispetto agli agenti atmosferici è costituito dalle foglie e dalle travi che forniscono appoggio ai rampicanti.
È evidente che la maggiore o minore concentrazione di travi di sostegno e la maggiore o minore distanza tra le stesse sono fattori decisivi per stabilire se l’opera appartiene alla tipologia del berceau o ad altre categorie edilizie, come ad esempio i portici.
La sostituzione della copertura del berceau costituisce un intervento di manutenzione straordinaria (art. 3, comma 1, del DPR 380/2001). Naturalmente la condizione per rimanere nella categoria della manutenzione straordinaria è che la nuova copertura non snaturi le caratteristiche del berceau.
Se invece la nuova copertura risultasse assimilabile a un vero e proprio solaio e i rampicanti avessero una funzione puramente ornamentale saremmo di fronte a un’opera del tutto diversa, ossia a un nuovo locale coperto, come tale non più qualificabile né come berceau né come semplice pertinenza dell’edificio (TAR Lombardia-Brescia, Sez. I, sentenza 17.11.2010 n. 4638 - link a www.ambientediritto.it).

EDILIZIA PRIVATA: La realizzazione di una tettoia, configurandosi quale opera di trasformazione urbanistica del territorio non rientrante nella categoria delle pertinenze, è subordinata al rilascio del permesso di costruire, diversamente dal pergolato, che è una struttura aperta sia lateralmente che nella parte superiore; la tettoia, invece, può essere utilizzata anche come riparo ed aumenta quindi l'abitabilità dell'immobile.
La nozione di pergolato si caratterizza per l’assenza di tamponature laterali e di copertura. La trasformazione del pergolato in tettoia (realizzata, come nel caso di specie, in cemento e con copertura in tegole) determina la creazione di un nuovo volume.
Sul punto la giurisprudenza ha affermato che la realizzazione di una tettoia, configurandosi quale opera di trasformazione urbanistica del territorio non rientrante nella categoria delle pertinenze, è subordinata al rilascio del permesso di costruire, diversamente dal pergolato, che è una struttura aperta sia lateralmente che nella parte superiore; la tettoia, invece, può essere utilizzata anche come riparo ed aumenta quindi l'abitabilità dell'immobile (Cass. Pen., sez. III, 25.02.2009, n. 10534) (TAR Liguria, Sez. I, sentenza 17.03.2010 n. 1168 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

anno 2009

EDILIZIA PRIVATA: Un pergolato costituito da struttura in legno non infissa né al pavimento, né alla parete, né chiusa su alcun lato, nemmeno sulla copertura, è da classificare quale struttura precaria.
La giurisprudenza è costante nel ritenere che non sia necessaria alcuna concessione edilizia allorché l’opera consista in una struttura precaria, facilmente rimovibile, non costituente trasformazione urbanistica del territorio, come avviene nell’ipotesi di pergolato costituito da struttura in legno non infissa né al pavimento, né alla parete, né chiusa su alcun lato, nemmeno sulla copertura.
Deve, pertanto, ritenersi che tale intelaiatura può qualificarsi come mero arredo di uno spazio esterno, che non comporta realizzazione di superfici utili o volume (Consiglio di Stato, Sez. V - sentenza 07.11.2005 n. 6193; in senso analogo Tar Lazio-Roma, Sez. II - sentenza 28.03.2007 n. 2716).
Con riferimento all’ipotesi di specie si deve rilevare che, come risulta dagli atti, il Comune ha sanzionato la realizzazione di una <<struttura in legno dalle dimensioni di mt. 6,00x3,20x3,20>>. Tale struttura è stata qualificata quale gazebo nel verbale redatto dagli agenti dell’U.O.S.A.E.
In realtà, come è dato evincere dalla perizia giurata di parte e dalle foto allegate, non oggetto di contestazione da parte del Comune, tale struttura è priva di copertura ed è destinata al sostegno di pianti rampicanti. La stessa risulta agganciata alla parete con delle staffe che hanno la funzione di evitarne l’oscillazione e non di rendere la struttura solidale all’edificio: quindi ai sensi dell’art. 2 del Regolamento del Comune Edilizio di Napoli, deve essere qualificata quale grillage e non quale gazebo.
Per la sua tipologia e per l’uso di materiali dal non rilevante impatto visivo, come emerge anche dalle foto depositate, può ritenersi, come sostenuto dal ricorrente, un arredo dello spazio esterno con la conseguenza che la stessa può farsi rientrare, fra le opere di manutenzione straordinaria, ai sensi dell’articolo 6 del Regolamento Edilizio del Comune di Napoli (cfr. in senso analogo Tar Campania-Napoli Sez. IV - sentenza 02.12.2008, n. 20791) (TAR Campania-Napoli, Sez. IV, sentenza 14.08.2009 n. 4804 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: La chiusura di un “pergolato” con degli infissi, per quanto asseritamente amovibili, è tale da consolidare la struttura in questione rendendola, di fatto, un locale chiuso fruibile autonomamente, il che si sostanzia, evidentemente, in un aumento di volumetria.
In merito all’avvenuta presentazione di istanza di sanatoria, va detto che, diversamente da quanto asserito in ricorso, è stata presentata un’istanza di sanatoria ai sensi dell’art. 37 D.P.R. d.lgs. 380/2001 (“interventi eseguiti in assenza o in difformità dalla denuncia di inizio attività e accertamento di conformità”) anziché ex art. 36 del medesimo testo legislativo (relativo all’accertamento di conformità delle opere eseguite in assenza di permesso di costruire o, anche di D.I.A. ma nei casi particolari di cui all’art. 22, co. 3, pacificamente non ricorrenti nel caso di specie).
Tanto basterebbe a ritenere la censura infondata in fatto, per l’evidente rilevanza del diverso riferimento normativo in base a cui è stata effettivamente richiesta la sanatoria.
Può dirsi, però, nel merito, che non appare applicabile l’art. 37 D.P.R. 380/2001 in quanto l’intervento edilizio già menzionato, per quanto relativo a un’area ove già insisteva un pergolato di legno, non è assentibile in base alla presentazione di una mera denuncia di inizio attività.
In primo luogo, infatti, lo stesso pergolato, costituito da legno e muratura, non sembra essere stato giammai assentito da parte delle competenti autorità, né è dimostrata l’inapplicabilità del regime autorizzatorio alla struttura per l’eventuale risalenza della stessa ad epoca anteriore al 1967; è evidente che la preesistenza di un’immobile già abusivo non può servire a lucrare un regime autorizzatorio più favorevole per gli ulteriori interventi posti in essere sul medesimo.
D’altro canto la chiusura del medesimo “pergolato” con degli infissi, per quanto asseritamente amovibili, è tale da consolidare la struttura in questione rendendola, di fatto, un locale chiuso fruibile autonomamente, il che si sostanzia, evidentemente, in un aumento di volumetria.
Quanto precede dimostra la necessità del permesso di costruire e dell’attivazione della procedura di sanatoria ex art. 36 D.P.R. 380/2001 in luogo di quella di cui all’art. 37 del medesimo Testo Unico (TAR Campania-Napoli, Sez. VI, sentenza 29.07.2009 n. 4477 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Differenza tra tettoia e pergolato - Trasformazione urbanistica del territorio - Permesso di costruire, DIA e normativa antisismica.
La realizzazione di una tettoia in quanto opera di trasformazione urbanistica del territorio non rientrante nella categoria delle pertinenze è subordinata al rilascio della concessione edilizia ed attualmente del permesso di costruire (Cass. pen. sez. 3 - n. 22126 del 03.06.2008). A differenza del pergolato che è una struttura aperta sia lateralmente che nella parte superiore, la tettoia, invero, può essere utilizzata anche come riparo ed aumenta quindi l’abitabilità dell'immobile (Cass. sez. 3 - n. 19973 del 19.05.2008). Non c'è dubbio, comunque, che il rilascio di una DIA o anche del permesso di costruire non escluda gli adempimenti richiesti dalla normativa antisismica.
Tettoie - Permesso di costruire - Equiparazione di una tettoia ad un pergolato - Esclusione.
E' pacifico che il titolo abilitativo richiesto per le tettoie è il permesso di costruire (a differenza del pergolato essa può essere utilizzata anche come riparo). E' illegittima pertanto l'equiparazione della tettoia ad un pergolato e conseguentemente la ritenuta validità della DIA rilasciata (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 10.03.2009 n. 10534 - link a www.ambientediritto.it).

anno 2008

EDILIZIA PRIVATA: Differenza tra pergolato e tettoia.
Mentre il pergolato, costituisce una struttura aperta sia nei lati esterni che nella parte superiore ed è destinato a creare ombra, la tettoia può essere utilizzata anche come riparo ed aumenta quindi l'abitabilità dell'immobile. Per la realizzazione di una tettoia di non modeste dimensioni, secondo l'orientamento della corte, occorre il permesso di costruire (Corte di Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 19.05.2008 n. 19973 - link a www.lexambiente.it).

anno 2007

EDILIZIA PRIVATA: La sostituzione della copertura del gazebo da un telo di stoffa con un struttura in legno non può che alterarne l’identità, assumendo i connotati di una tettoia e mutandone in toto la funzione, oramai non più meramente pertinenziale ed ornamentale.
Una tettoia è da considerarsi, in senso tecnico-giuridico, una vera e propria costruzione assoggettata al requisito della concessione, poiché difetta normalmente del carattere di precarietà, trattandosi di opera destinata non a sopperire esigenze temporanee e contingenti, con la sua successiva rimozione ma durevole nel tempo ampliando così il godimento dell’immobile.
E’ necessaria la concessione di costruzione per la realizzazione di tettoie, giacché l’opera è idonea ad escludere la natura pertinenziale e determinante la stessa una consistente e durevole trasformazione urbanistica.

La sostituzione della copertura del gazebo da un telo di stoffa con un struttura in legno non può che alterarne l’identità, assumendo i connotati di una tettoia e mutandone in toto la funzione, oramai non più meramente pertinenziale ed ornamentale.
Secondo la giurisprudenza: <<Una tettoia (…..) è da considerarsi, in senso tecnico-giuridico, una vera e propria costruzione assoggettata al requisito della concessione, poiché difetta normalmente del carattere di precarietà, trattandosi di opera destinata non a sopperire esigenze temporanee e contingenti, con la sua successiva rimozione ma durevole nel tempo ampliando così il godimento dell’immobile>> (Cass. 06.04.1988).
<<La tettoia non ha una propria autonomia individuale e funzionale, ma si unisce ad una preesistente edificio ed entra a far parte di esso costituendone opera accessoria abbisognevole di concessione edilizia (……) dall’Autorità preposta alla tutela del vincolo cui la zona è assoggettabile>> (Cass. Pen., 13.03.2001, 9924).
<<E’ necessaria la concessione di costruzione per la realizzazione di tettoie, giacché l’opera è idonea ad escludere la natura pertinenziale (TAR Piemonte, 21.12.2000, n. 1393) e determinante la stessa una consistente e durevole trasformazione urbanistica>> (TAR, Campania, Napoli, 31.05.2001, n. 2469)
(TAR Campania-Napoli, Sez. III, sentenza 09.10.2007 n. 9134 - link a www.giustizia-amministrativa.it).