dossier CARTELLO DI CANTIERE
- COMUNICAZIONE INIZIO LAVORI |
anno 2021 |
|
EDILIZIA PRIVATA: La
violazione dell'obbligo di esporre il cartello indicante gli estremi del
titolo abilitativo, qualora prescritto dal regolamento edilizio, è punita
dall'art. 44, comma 1, lett. a), del D.P.R. n. 380 del 2001, ed è
configurabile indipendentemente dal fatto che l'intervento edilizio sia
assoggettato a permesso di costruire oppure a s.c.i.a..
Infatti, la violazione penale sussiste ogni qual volta il regolamento
edilizio preveda l'apposizione del cartello, anche se il titolo rilasciato
non sia il permesso di costruire.
Difatti, soltanto le ipotesi di reato contenute nell'art. 44, comma 1, lett.
b) e c), T.U.E. -salva la diversa fattispecie di lottizzazione abusiva
prevista da tale ultima disposizione- si riferiscono esclusivamente allo
svolgimento di lavori in assenza o in totale difformità o variazione
essenziale dal permesso di costruire e, nel caso di opere assoggettate al
regime della s.c.i.a., queste sono state a quelle parificate nei limiti in
cui si tratti di titolo alternativo al permesso ai sensi dell'art. 23, comma
01, T.U.E. (cfr. art. 44, comma 2, T.U.E.).
La fattispecie penale residuale di cui alla lett. a), salva l'ipotesi dei
lavori in parziale difformità (pure questa limitata al solo caso in cui il
titolo sia quello del permesso di costruire), si riferisce invece a
qualsiasi tipo di inosservanza delle previsioni normative, di pianificazione
e regolamentari, indipendentemente dal fatto che si tratti d'intervento
assoggettato a permesso di costruire (o a s.c.i.a. ad esso alternativa)
piuttosto che a semplice s.c.i.a..
Se, dunque, il regolamento edilizio prevede l'apposizione del cartello anche
per opere assoggettate alla semplice s.c.i.a., l'inosservanza della
disposizione integra gli estremi della contravvenzione in parola.
Va aggiunto che la violazione dell'obbligo di esporre il cartello indicante
gli estremi del titolo abilitativo, qualora prescritto dal regolamento
edilizio o dal titolo medesimo, è tutt'ora punita dall'art. 44, lett. a),
del d.P.R. n. 380 del 2001 se commessa dal titolare del titolo abilitativo,
dal committente, dal costruttore o dal direttore dei lavori, essendo detti
soggetti responsabili, giusto il principio ricavabile dall'art. 29, comma 1,
T.U.E., rispetto all'obbligo di conformarsi alle previsioni urbanistiche ed
esecutive risultanti dalla normativa, dalla pianificazione, dal titolo
edilizio.
---------------
1.11 primo motivo è infondato.
Va preliminarmente rilevato che l'art. 58 del regolamento edilizio del
Comune di Monteroni d'Arbia espressamente stabilisce che il titolare di
concessione od attestazione di conformità deve, tra l'altro, al momento
dell'inizio dei lavori, collocare sul luogo dei medesimi un cartello a
caratteri ben visibili indicante:
- le opere in corso di realizzazione;
- la natura dell'atto abilitante all'esecuzione delle opere e gli
estremi del medesimo;
- il nominativo del titolare dell'atto abilitante;
- il nominativo del progettista;
- il nominativo del direttore dei lavori;
- il nominativo dell'esecutore dei lavori;
- il nominativo del calcolatore delle strutture (ove prescritto);
- il nominativo del direttore dei lavori delle strutture (ove
prescritto);
- il nominativo del coordinatore per la sicurezza in fase di
progettazione (ove prescritto);
- il nominativo del coordinatore per la sicurezza in fase di
esecuzione (ove prescritto);
- ogni altro dato o nominativo previsto da norme vigenti.
Inoltre, l'art. 6 del medesimo regolamento include, tra le opere ricondotte
alla cd. "attestazione di conformità", quelle di ristrutturazione
edilizia, tipologia che nel caso in esame è espressamente citata nel capo di
imputazione, seppure in correlazione con una "Scia" che,
evidentemente, deve intendersi espressione della evoluzione anche
nominalistica, verificatasi nel tempo, degli originari titoli edilizi
abilitativi. Senza, tuttavia, che allo stato delle fonti disponibili, e in
assenza di una espressa deroga, possa escludersi che permanga l'obbligo di
apposizione del cartello di cui al citato art. 58 in rapporto all'intervento
edile sopra citato, pur a fronte di richiami a titoli edilizi ormai
sostituiti con nuove terminologie.
Diversamente, l'art. 58 citato, riferito ad ormai obsolete citazioni
nominalistiche (a partire dalla concessione) non troverebbe, immotivatamente,
alcuna applicazione. Dovendosi quindi, di converso, valorizzare le tipologie
di intervento correlate a tali originarie nozioni che siano ancor oggi
connesse comunque a titoli abilitativi, come la Scia del caso in esame,
seppure di nuovo conio.
Va aggiunto, peraltro, che questa corte ha anche precisato, diversamente da
quanto sostenuto in ricorso, che la violazione dell'obbligo di esporre il
cartello indicante gli estremi del titolo abilitativo, qualora prescritto
dal regolamento edilizio, è punita dall'art. 44, comma 1, lett. a), del
D.P.R. n. 380 del 2001, ed è configurabile indipendentemente dal fatto che
l'intervento edilizio sia assoggettato a permesso di costruire oppure a
s.c.i.a. (Sez. 3, Sentenza n. 43698 del 12/06/2019 Rv. 277986 - 01).
Infatti, la violazione penale sussiste ogni qual volta il regolamento
edilizio preveda -e la questione è sul punto condivisa dalla difesa-
l'apposizione del cartello, anche se il titolo rilasciato non sia il
permesso di costruire. Difatti, soltanto le ipotesi di reato contenute
nell'art. 44, comma 1, lett. b) e c), T.U.E. -salva la diversa fattispecie
di lottizzazione abusiva prevista da tale ultima disposizione- si
riferiscono esclusivamente allo svolgimento di lavori in assenza o in totale
difformità o variazione essenziale dal permesso di costruire e, nel caso di
opere assoggettate al regime della s.c.i.a., queste sono state a quelle
parificate nei limiti in cui si tratti di titolo alternativo al permesso ai
sensi dell'art. 23, comma 01, T.U.E. (cfr. art. 44, comma 2, T.U.E.).
La fattispecie penale residuale di cui alla lett. a), salva l'ipotesi dei
lavori in parziale difformità (pure questa limitata al solo caso in cui il
titolo sia quello del permesso di costruire), si riferisce invece a
qualsiasi tipo di inosservanza delle previsioni normative, di pianificazione
e regolamentari, indipendentemente dal fatto che si tratti d'intervento
assoggettato a permesso di costruire (o a s.c.i.a. ad esso alternativa)
piuttosto che a semplice s.c.i.a. (cfr. Sez. 3, n. 9894 del 20/01/2009,
Tarallo, Rv. 243099).
Se, dunque, il regolamento edilizio prevede l'apposizione del cartello anche
per opere assoggettate alla semplice s.c.i.a., l'inosservanza della
disposizione integra gli estremi della contravvenzione in parola.
Va aggiunto che la violazione dell'obbligo di esporre il cartello indicante
gli estremi del titolo abilitativo, qualora prescritto dal regolamento
edilizio o dal titolo medesimo, è tutt'ora punita dall'art. 44, lett. a),
del d.P.R. n. 380 del 2001 se commessa dal titolare del titolo abilitativo,
dal committente, dal costruttore o dal direttore dei lavori (Sez. 3, n.
29730 del 04/06/2013, Stroppini e aa., Rv. 255836), essendo detti soggetti
responsabili, giusto il principio ricavabile dall'art. 29, comma 1, T.U.E.,
rispetto all'obbligo di conformarsi alle previsioni urbanistiche ed
esecutive risultanti dalla normativa, dalla pianificazione, dal titolo
edilizio
(Corte di Cassazione, Sez. III penale,
sentenza
10.08.2021 n. 31356). |
anno 2019 |
|
EDILIZIA PRIVATA:
Cartello di cantiere – Obbligo di apposizione o
mancata esposizione – Lavori sospesi o cantiere
inoperante – Responsabilità del titolare del
permesso a costruire, committente, costruttore o
direttore dei lavori – Artt. 27, 36, 44, 45, 70, 83,
93, 95 d.P.R. n. 380/2001 ( T.U.E.) e 181, c. 1,
d.lgs. n. 42/2004.
In costanza d’efficacia del
titolo, l’obbligo di apposizione del cartello
perdura sino all’ultimazione dei lavori, anche se
gli stessi siano stati momentaneamente sospesi o il
cantiere sia inoperante.
Sicché, la violazione dell’obbligo di esposizione
del cartello (così come quello, parimenti previsto
dalla norma, di esibire il titolo edilizio) è
penalmente sanzionata a condizione che quegli
obblighi risultino espressamente previsti anche dai
regolamenti edilizi o dal titolo
(Cass. Sez. U, n. 7978 del 29/05/1992, Aramini e a.).
Principio, recente riaffermato con
la precisazione che la violazione dell’obbligo di
esporre il cartello indicante gli estremi del titolo
abilitativo, qualora prescritto dal regolamento
edilizio o dal titolo medesimo, è tuttora punita
dall’art. 44, lett. a) del d.P.R. n. 380 del 2001 se
commessa dal titolare del permesso a costruire, dal
committente, dal costruttore o dal direttore dei
lavori (Sez.
3, n. 29730 del 04/06/2013, Stroppini e aa.),
essendo detti soggetti
responsabili, giusta il principio ricavabile
dall’art. 29, comma 1, T.U.E., di conformarsi alle
previsioni urbanistiche ed esecutive risultanti
dalla normativa, dalla pianificazione, dal titolo
edilizio.
...
Attività di vigilanza sull’attività
urbanistico-edilizia – Violazione sull’obbligo di
affiggere il cartello di cantiere – Contravvenzione
di omessa affissione del cartello di cantiere.
L’attività di vigilanza
sull’attività urbanistico-edilizia di cui all’art.
27 T.U.E., concerne tutte le opere che ancora non
siano state ultimate, ben potendo l’attività
costruttiva riprendere in qualsiasi momento prima
che sia stata formalmente comunicata la
dichiarazione di conclusione dei lavori perdurando
l’eventuale consumazione degli illeciti sino
all’ultimazione delle opere.
Pertanto, rispondono della contravvenzione in
parola, sia il titolare del permesso a costruire, il
committente, il costruttore o direttore dei lavori,
posto che la violazione penale sussiste ogni qual
volta il regolamento edilizio preveda l’apposizione
del cartello, anche se il titolo rilasciato non sia
il permesso di costruire.
Di fatti, soltanto le ipotesi di reato contenute
nell’art. 44, comma 1, lett. b) e c), T.U.E. –salva
la diversa fattispecie di lottizzazione abusiva
prevista da tale ultima disposizione– si riferiscono
esclusivamente allo svolgimento di lavori in assenza
o in totale difformità o variazione essenziale dal
permesso di costruire e, nel caso di opere
assoggettate al regime della s.c.i.a., sono state a
quelle parificate nei limiti in cui si tratti di
titolo alternativo al permesso ai sensi dell’art.
23, comma 01, T.U.E. (cfr. art. 44, comma 2, T.U.E.).
Ulteriori informazioni da contenersi nel cartello di
cantiere riguardano, poi, la diversa materia del
rispetto delle prescrizioni sulla sicurezza del
lavoro nei cantieri edili (si pensi all’indicazione
del “Coordinatore della sicurezza in fase di
progettazione e Coordinatore della sicurezza in fase
di escuzione” e agli “estremi della notifica
preliminare”).
La violazione sull’obbligo di affiggere il cartello
di cantiere, dunque, riguarda beni giuridici diversi
(e ulteriori) rispetto a quello, tipico delle
contravvenzioni urbanistiche, della mera conformità
dell’opera alle previsioni di piano e agli standards
urbanistici, sicché la contravvenzione non può dirsi
sanata nel caso di rilascio del permesso di
costruire in sanatoria. La riprova della correttezza
di tale conclusione si ha constatando che la
contravvenzione di regola sussiste indipendentemente
dall’esistenza di una delle “classiche” ipotesi di
illecito urbanistico che sono sanate dal rilascio
del permesso di costruire in sanatoria.
Ed invero, nel caso di abuso c.d. “totale”, vale a
dire allorquando si è posto mano alla modifica del
territorio assoggettata al rilascio del permesso di
costruire senza richiede alcun titolo abilitativo,
l’unico reato configurabile è quello di costruzione
in assenza di permesso, posto che la contravvenzione
di omessa affissione del cartello di cantiere
presuppone che un titolo edilizio sia stato
rilasciato e che ci si trovi di fronte ad un iter
amministrativo quantomeno ab origine regolare; se,
d’altro canto, la contravvenzione di cui all’art.
44, comma 1, lett. a), T.U.E. riguardi –come si è
visto essere ben possibile– un intervento non
assoggettato a permesso di costruire, sarebbe
irrazionale legare la possibilità di estinguere il
reato al rilascio di un provvedimento che non
sarebbe possibile né richiedere, né ottenere. In
sostanza, l’inosservanza di cui qui si discute si
muove su un piano diverso da quello della mera
compatibilità urbanistica tra pianificazione ed
opera eseguita sul quale invece opera l’accertamento
di conformità di cui all’art. 36 T.U.E. che produce
effetti estintivi a norma del successivo art. 45,
comma 3, del testo unico.
Nel caso di specie, peraltro, da un lato non
risultava che la previsione del regolamento edilizio
comunale non si riferiva pure a detto titolo
semplificato e, d’altro lato, la sentenza impugnata
attestava che il titolo rilasciato era una s.c.i.a.
alternativa al permesso di costruire, sicché nessun
dubbio poteva porsi sulla sussistenza della
contravvenzione
(Corte di Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 28.10.2019 n. 43698 - link a
www.ambientediritto.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Risolvendo un contrasto di giurisprudenza che era insorto sul
punto, le Sezioni unite di questa Corte hanno affermato che la violazione
dell'obbligo di esposizione del cartello (così come quello, parimenti
previsto dalla norma, di esibire il titolo edilizio) è penalmente sanzionata
a norma della lett. a) della fattispecie incriminatrice, a condizione che
quegli obblighi risultino espressamente previsti anche dai regolamenti
edilizi o dal titolo.
Mai posto in discussione dalla successiva giurisprudenza, questo principio è stato più di recente
riaffermato con la precisazione che la violazione dell'obbligo di esporre il
cartello indicante gli estremi del titolo abilitativo, qualora prescritto
dal regolamento edilizio o dal titolo medesimo, è tuttora punita dall' art.
44, lett. a), del d.P.R. n. 380 del 2001 se commessa dal titolare del
permesso a costruire, dal committente, dal costruttore o dal direttore dei
lavori,
essendo detti soggetti responsabili, giusta il principio ricavabile
dall'art. 29, comma 1, T.U.E., di conformarsi alle previsioni urbanistiche
ed esecutive risultanti dalla normativa, dalla pianificazione, dal titolo
edilizio.
Il principio va qui ribadito, con l'ulteriore precisazione che, in costanza
d'efficacia del titolo, l'obbligo di apposizione del cartello perdura sino
all'ultimazione dei lavori, anche se gli stessi siano stati momentaneamente
sospesi. L'attività di vigilanza sull'attività urbanistico-edilizia di cui
all'art. 27 TUE, di fatti, concerne tutte le
opere che ancora non siano state ultimate, ben potendo l'attività
costruttiva riprendere in qualsiasi momento prima che sia stata formalmente
comunicata la dichiarazione di conclusione dei lavori e perdurando la
consumazione degli illeciti in parola sino all'ultimazione delle opere nel
senso più sopra precisato.
---------------
2. Ciò premesso, rileva il Collegio che correttamente e motivatamente la
sentenza impugnata ha ritenuto integrato il reato di cui all'art. 44, comma
1, lett. a), T.U.E., che, com'è noto, sanziona con la sola pena
dell'ammenda, tra l'altro, «l'inosservanza delle norme...previste dal
presente titolo, in quanto applicabili, nonché dai regolamenti edilizi».
Orbene, non solo l'obbligo di apporre il cartello di cantiere era nella
specie previsto, come si è detto, nel regolamento edilizio comunale, ma va
considerato che anche l'art. 27, comma 4, T.U.E. -disposizione che apre il
Titolo IV del testo unico in materia edilizia e che dunque certamente
rientra tra quelle richiamate dalla disposizione incriminatrice- prevede che
nell'ambito della vigilanza sull'attività urbanistico-edilizia, «gli
ufficiali ed agenti di polizia giudiziaria, ove nei luoghi in cui vengono
realizzate le opere...non sia apposto il prescritto cartello...ne danno
immediata comunicazione all'autorità giudiziaria», oltre che agli organi
amministrativi competenti per l'irrogazione delle relative sanzioni.
Pronunciandosi sull'identica disposizione quale prevista dall'art. 4, quarto
comma, legge 28.02.1985 n. 47 e risolvendo un contrasto di giurisprudenza
che era insorto sul punto, le Sezioni unite di questa Corte hanno affermato
che la violazione dell'obbligo di esposizione del cartello (così come
quello, parimenti previsto dalla norma, di esibire il titolo edilizio) è
penalmente sanzionata a norma della lett. a) della fattispecie
incriminatrice, a condizione che quegli obblighi risultino espressamente
previsti anche dai regolamenti edilizi o dal titolo (Sez. U, n. 7978 del
29/05/1992, Aramini e a., Rv. 191176).
Mai posto in discussione dalla successiva giurisprudenza (cfr., ex multis,
Sez. 3, n. 16037 del 07/04/2006, Bianco, Rv. 234330; Sez. 3, n. 46832 del
15/10/2009, Thabet, Rv. 245613), questo principio è stato più di recente
riaffermato con la precisazione che la violazione dell'obbligo di esporre il
cartello indicante gli estremi del titolo abilitativo, qualora prescritto
dal regolamento edilizio o dal titolo medesimo, è tuttora punita dall' art.
44, lett. a), del d.P.R. n. 380 del 2001 se commessa dal titolare del
permesso a costruire, dal committente, dal costruttore o dal direttore dei
lavori (Sez. 3, n. 29730 del 04/06/2013, Stroppini e aa., Rv. 255836),
essendo detti soggetti responsabili, giusta il principio ricavabile
dall'art. 29, comma 1, T.U.E., di conformarsi alle previsioni urbanistiche
ed esecutive risultanti dalla normativa, dalla pianificazione, dal titolo
edilizio.
Il principio va qui ribadito, con l'ulteriore precisazione -connessa ai
rilievi nella specie mossi e già più sopra esaminati- che, in costanza
d'efficacia del titolo, l'obbligo di apposizione del cartello perdura sino
all'ultimazione dei lavori, anche se gli stessi siano stati momentaneamente
sospesi. L'attività di vigilanza sull'attività urbanistico-edilizia di cui
all'art. 27 TUE, di fatti, concerne tutte le
opere che ancora non siano state ultimate, ben potendo l'attività
costruttiva riprendere in qualsiasi momento prima che sia stata formalmente
comunicata la dichiarazione di conclusione dei lavori e perdurando la
consumazione degli illeciti in parola sino all'ultimazione delle opere nel
senso più sopra precisato.
Non deve, peraltro, sottovalutarsi la potenziale gravità dell'omissione in
parola, che è reato che certamente mette in pericolo i beni (plurimi, come
più oltre si dirà) oggetto di protezione. Chi abbia costruito in difformità
dal titolo ottenuto -ed è ciò che nel caso di specie si è verificato- e
voglia evitare i controlli ed impedire la scoperta di eventuali reati da
parte degli organi incaricati sulla vigilanza sul territorio, ha infatti
tutto l'interesse a celare l'esistenza del cantiere, mirando a concludere i
lavori e a consumare definitivamente i reati.
2.1. Tutti gli imputati, pertanto, debbono rispondere della contravvenzione
in parola, posto che la violazione penale sussiste ogni qual volta il
regolamento edilizio preveda l'apposizione del cartello, anche se il titolo
rilasciato non sia il permesso di costruire.
Di fatti, soltanto le ipotesi
di reato contenute nell'art. 44, comma 1, lett. b) e c), T.U.E. -salva la
diversa fattispecie di lottizzazione abusiva prevista da tale ultima
disposizione- si riferiscono esclusivamente allo svolgimento di lavori in
assenza o in totale difformità o variazione essenziale dal permesso di
costruire e, nel caso di opere assoggettate al regime della s.c.i.a., sono
state a quelle parificate nei limiti in cui si tratti di titolo alternativo
al permesso ai sensi dell'art. 23, comma 01, T.U.E. (cfr. art. 44, comma 2,
T.U.E.).
La fattispecie penale residuale di cui alla lett. a), salva l'ipotesi dei
lavori in parziale difformità (pure questa limitata al solo caso in cui il
titolo sia quello del permesso di costruire), si riferisce invece a
qualsiasi tipo di inosservanza delle previsioni normative, di pianificazione
e regolamentari, indipendentemente dal fatto che si tratti d'intervento
assoggettato a permesso di costruire (o a s.c.i.a. ad esso alternativa)
piuttosto che a semplice s.c.i.a. (cfr. Sez. 3, n. 9894 del 20/01/2009,
Tarallo, Rv. 243099).
Se, dunque, il regolamento edilizio preveda l'apposizione del cartello anche
per opere assoggettate alla semplice s.c.i.a., l'inosservanza della
disposizione integrerà gli estremi della contravvenzione in parola, peraltro
punita con la sola pena dell'ammenda senza limiti minimi edittali.
La conclusione è peraltro in linea col disposto di cui all'art. 27 T.U.E.,
che nel disciplinare la vigilanza sull'attività urbanistico-edilizia non si
limita ai soli profili di rilevanza penale delle trasgressioni e la cui
ratio comunque depone nel senso che -ove il comune lo abbia espressamente
previsto, così da porre i destinatari dell'obbligo in grado di conoscerne
senza incertezze l'esistenza- gli organi di vigilanza siano messi in
condizione di sapere dove sono in corso lavori di trasformazione
urbanistico-edilizia del territorio per poter svolgere i necessari
controlli.
Del resto, l'esperienza insegna che non di rado abusi di rilevanza penale
nascano dalla realizzazione di opere difformi rispetto a progetti presentati
per interventi dichiarati come di minimo impatto urbanistico-edilizio e
pertanto svolti sulla base di semplice s.c.i.a., sicché l'interpretazione
del reato di pericolo in parola qui affermata è pienamente aderente alla
ratio che ispira le disposizioni in tema di tutela penale del territorio.
Diversamente da quel che opinano taluni dei ricorrenti -senza argomentare in
diritto il postulato (nonostante il principio di legalità valga ovviamente
anche per le sanzioni amministrative: cfr. art. 1 l. 24.11.1981, n. 689)-
anche la violazione del divieto di apporre il cartello edilizio nel caso di
s.c.i.a. non alternativa al permesso di costruire rientra dunque nella
previsione di cui all'art. 44, comma 1, lett. a), T.U.E.
Nel caso di specie, peraltro, da un lato non risulta (e non è specificamente
contestato) che la previsione del regolamento edilizio comunale non si
riferisca pure a detto titolo semplificato e, d'altro lato, si è detto di
come la sentenza impugnata attesti che il titolo rilasciato era una s.c.i.a.
alternativa al permesso di costruire, sicché nessun dubbio può porsi sulla
sussistenza della contravvenzione
(Corte di Cassazione, Sez. III penale,
sentenza
28.10.2019 n. 43698). |
EDILIZIA PRIVATA: La
violazione dell'obbligo di esporre il cartello indicante gli estremi del
titolo abilitativo, qualora prescritto dal regolamento edilizio o dal titolo
medesimo, è tuttora punita dall' art. 44, lett. a), del d.P.R. n. 380 del
2001 se commessa dal titolare del permesso a costruire, dal committente, dal
costruttore o dal direttore dei lavori.
---------------
2. I primi due motivi di ricorso sono manifestamente infondati atteso
che secondo la giurisprudenza di legittimità, richiamata anche dalla Terza
Sezione di questa Corte nella sentenza n. 29213 del 20.12.2016, la
violazione dell'obbligo di esporre il cartello indicante gli estremi del
titolo abilitativo, qualora prescritto dal regolamento edilizio o dal titolo
medesimo, è tuttora punita dall' art. 44, lett. a), del d.P.R. n. 380 del
2001 se commessa dal titolare del permesso a costruire, dal committente, dal
costruttore o dal direttore dei lavori (Sez. 3, n. 29730 del 04/06/2013,
Stroppini ed altri, Rv. 255836; Sez. 3, n. 46832 del 15/10/2009, Thabet ed
altro, Rv. 245613; Sez. 3, n. 16037 del 07/04/2006, Bianco, Rv. 234330)
(Corte di Cassazione, Sez. IV penale,
sentenza
25.02.2019 n. 8104). |
anno 2017 |
|
EDILIZIA PRIVATA:
La violazione dell'obbligo di
esposizione del cartello indicante gli estremi del
permesso di costruire, qualora prescritto dal
regolamento edilizio o dal provvedimento sindacale,
configura una ipotesi di reato anche dopo la entrata
in vigore del d.P.R. 06.06.2001 n. 380, ex artt. 27,
comma quarto, e 44, lett. a), del citato d.P.R. n.
380, a carico del titolare del permesso, del
direttore dei lavori e dell'esecutore.
L'insegnamento risale a Sez. U, n. 7978 del
29/05/1992, secondo cui l'art. 4,
comma quarto, legge 28.02.1985 n. 47 (oggi art. 27,
comma 4, d.P.R. n. 380 del 2001) prevedeva due
obblighi a carico di coloro che costruiscono: la
tenuta in cantiere della concessione edilizia e la
esposizione di un cartello contenente gli estremi
della concessione e degli autori dell'attività
costruttiva.
La violazione di tali obblighi era penalmente
sanzionata a norma dell'art. 20, comma primo, lett.
a) della detta legge, ma solo a condizione che gli
stessi fossero espressamente previsti dai
regolamenti edilizi o dalla concessione. Ciò sul
rilievo che l'art. 20, comma primo, lett. a), legge
n. 47 del 1985 era una cosiddetta norma penale in
bianco, in quanto mentre la sanzione è determinata,
il precetto ha un carattere generico, stante il
rinvio ad un dato esterno - concessione, regolamento
edilizio, ecc..
---------------
Premessa la continuità normativa con i vigenti artt.
27, comma 4, e 44, lett. a), d.P.R. n. 380 del 2001,
la 'ratio' del precetto sta
nel fatto che «la sistemazione del prescritto
cartello, contenente gli estremi della concessione
edilizia e degli autori dell'attività costruttiva
presso il cantiere, consente una vigilanza rapida,
precisa ed efficiente e risponde all'altro scopo di
permettere ad ogni cittadino di verificare se i
lavori siano stati autorizzati dall'autorità
competente; il che non è poco ai fini della
trasparenza dell'attività della pubblica
amministrazione».
Tant'è, che anche l'esposizione, in
maniera non visibile, del cartello che risulti
comunque presente all'interno del cantiere viola il
precetto penale.
---------------
Quel che rileva ai fini della
sussistenza dell'obbligo sanzionato dall'art. 44,
lett. a), d.P.R. n. 380 del 2001, è il positivo
rilascio in sé del permesso di costruire i cui dati
devono essere necessariamente riportati nel
cartello. Ciò proprio al fine di soddisfare quell'esigenza
di controllo preventivo sopra indicata che esclude,
ai fini della sussistenza dell'obbligo, una
valutazione postuma o, peggio ancora, frazionata del
regime edilizio degli interventi concretamente
eseguiti.
Il fatto costitutivo dell'obbligo è
il rilascio del permesso, a prescindere da ogni
ulteriore considerazione (anche postuma) sulla
effettiva necessità del titolo. E' sufficiente
osservare che la valutazione (anche solo a fini
classificatori) del tipo di intervento realizzato
presuppone comunque l'esercizio di quel controllo
che l'esposizione del cartello intende agevolare.
---------------
8. Tanto premesso, le eccezioni relative alla
insussistenza del reato di cui al capo B (omessa
affissione della tabella di cantiere) proposte dal
Be., dal Ma. e dal Mu., sono manifestamente
infondate.
8.1. In termini generali, occorre ribadire che
la violazione dell'obbligo di
esposizione del cartello indicante gli estremi del
permesso di costruire, qualora prescritto dal
regolamento edilizio o dal provvedimento sindacale,
configura una ipotesi di reato anche dopo la entrata
in vigore del d.P.R. 06.06.2001 n. 380, ex artt. 27,
comma quarto, e 44, lett. a), del citato d.P.R. n.
380, a carico del titolare del permesso, del
direttore dei lavori e dell'esecutore
(Sez. 3, n. 29730 del 04/06/2013, Stroppini, Rv.
255836; Sez. 3, n. 16037 del 07/04/2006, Bianco, Rv.
234330).
L'insegnamento risale a Sez. U, n. 7978 del
29/05/1992, Aramini, Rv. 191176, secondo cui
l'art. 4, comma quarto, legge
28.02.1985 n. 47 (oggi art. 27, comma 4, d.P.R. n.
380 del 2001) prevedeva due obblighi a carico
di coloro che costruiscono: la tenuta in cantiere
della concessione edilizia e la esposizione di un
cartello contenente gli estremi della concessione e
degli autori dell'attività costruttiva.
La violazione di tali obblighi era penalmente
sanzionata a norma dell'art. 20, comma primo, lett.
a) della detta legge, ma solo a condizione che gli
stessi fossero espressamente previsti dai
regolamenti edilizi o dalla concessione. Ciò sul
rilievo che l'art. 20, comma primo, lett. a), legge
n. 47 del 1985 era una cosiddetta norma penale in
bianco, in quanto mentre la sanzione è determinata,
il precetto ha un carattere generico, stante il
rinvio ad un dato esterno - concessione, regolamento
edilizio, ecc..
8.2. Premessa la continuità normativa con i vigenti
artt. 27, comma 4, e 44, lett. a), d.P.R. n. 380 del
2001, (in questo senso, esplicitamente, Sez. 3, n.
16037 del 07/04/2006, Bianco, Rv. 234330)
la 'ratio' del precetto sta nel fatto
che «la sistemazione del prescritto cartello,
contenente gli estremi della concessione edilizia e
degli autori dell'attività costruttiva presso il
cantiere, consente una vigilanza rapida, precisa ed
efficiente e risponde all'altro scopo di permettere
ad ogni cittadino di verificare se i lavori siano
stati autorizzati dall'autorità competente; il che
non è poco ai fini della trasparenza dell'attività
della pubblica amministrazione»
(così, in motivazione, Sez. U, cit.).
Tant'è, che anche l'esposizione, in
maniera non visibile, del cartello che risulti
comunque presente all'interno del cantiere viola il
precetto penale
(Sez. 3, n. 40118 del 22/05/2012, Zago, Rv. 253673).
8.3. Il fatto che il regolamento edilizio del Comune
di Tavullia imponesse l'obbligo di esporre il
cartello recante i dati della concessione non è
contestato ed è esplicitamente invocato dal Mu. a
fondamento delle proprie difese.
Gli imputati, come visto, obiettano che i lavori
soggetti a permesso di costruire non fossero ancora
iniziati e che il ripristino della strada di accesso
costituisse intervento edilizio cd. libero.
8.4. L'eccezione così formulata è totalmente
infondata perché presuppone un'interpretazione della
norma errata, avuto riguardo al suo tenore letterale
ed alla sua "ratio".
8.5. Quel che rileva ai fini della
sussistenza dell'obbligo sanzionato dall'art. 44,
lett. a), d.P.R. n. 380 del 2001, è il positivo
rilascio in sé del permesso di costruire i cui dati
devono essere necessariamente riportati nel
cartello. Ciò proprio al fine di soddisfare quell'esigenza
di controllo preventivo sopra indicata che esclude,
ai fini della sussistenza dell'obbligo, una
valutazione postuma o, peggio ancora, frazionata del
regime edilizio degli interventi concretamente
eseguiti.
Il fatto costitutivo dell'obbligo è
il rilascio del permesso, a prescindere da ogni
ulteriore considerazione (anche postuma) sulla
effettiva necessità del titolo. E' sufficiente
osservare che la valutazione (anche solo a fini
classificatori) del tipo di intervento realizzato
presuppone comunque l'esercizio di quel controllo
che l'esposizione del cartello intende agevolare.
8.6. Di conseguenza è priva di pregio l'ulteriore
eccezione secondo la quale gli specifici interventi
di restauro e risanamento del fabbricato (gli unici
per i quali sarebbe stato astrattamente necessario
il permesso di costruire) non erano ancora iniziati
all'epoca dell'accertamento del fatto, visto che
comunque i lavori di ripristino della strada di
accesso erano parte integrante del progetto
unitariamente autorizzato e ne segnavano l'inizio.
8.7. Per lo stesso motivo, anche l'eccezione che i
lavori di ristrutturazione di edifici crollati o
demoliti dei quali sia possibile accertare la
preesistente consistenza non sarebbero più
subordinati al permesso di costruire, ai sensi
dell'art. 30, d.1, n. 69 del 2013, convertito, con
modificazioni, dalla legge 09.08.2013, n. 98, è
irrilevante.
8.8. Ne consegue che non v'è alcuna contraddizione
tra l'assoluzione per il reato di cui al capo A e la
condanna per il reato di cui al capo B
(Corte di
Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 19.10.2017 n. 48178). |
EDILIZIA PRIVATA: Sulla
rilevanza penale, o meno, dell'omessa esposizione del cd.
cartello di cantiere.
La violazione dell'obbligo di esporre il
cartello indicante gli estremi del titolo abilitativo,
qualora prescritto dal regolamento edilizio o dal titolo
medesimo, è tuttora punita dall'art. 44, lett. a) del d.P.R.
06.06.2011, n. 380, se commessa dal titolare del permesso
a costruire, dal committente, dal costruttore
o dal direttore dei lavori.
Ciò in quanto sussiste continuità normativa tra l'art. 4,
comma 4, dell'abrogata legge 28.02.1985, n. 47, e la nuova
fattispecie contemplata dall'art. 27, comma 4, del citato
d.P.R. 380 del 2011.
Tant'è che integra il reato anche l'esposizione, in maniera
non visibile, del cartello indicante il titolo abilitativo e
i nominativi dei responsabili, ancorché esso risulti
presente all'interno del cantiere.
---------------
1. Il ricorso è fondato.
2. Lo stesso provvedimento impugnato ha dato atto del
contrario insegnamento di legittimità in merito alla
rilevanza penale dell'omessa esposizione del cd. cartello di
cantiere, qualora detta prescrizione sia prevista dal
provvedimento sindacale (come si evince in specie dal
richiamo, contenuto nel capo d'imputazione, alla
prescrizione contenuta nel permesso di costruire n. 4 del
2011).
In proposito, infatti, la violazione dell'obbligo di esporre
il cartello indicante gli estremi del titolo abilitativo,
qualora prescritto dal regolamento edilizio o dal titolo
medesimo, è tuttora punita dall'art. 44, lett. a) del d.P.R.
06.06.2011, n. 380, se commessa dal titolare del permesso
a costruire, dal committente, dal costruttore
o dal direttore dei lavori (Sez. 3, n. 29730 del
04/06/2013, Stroppini, Rv. 255836; anche più recentemente,
ad es. Sez. 3, n. 13963 del 29/01/2016, Carotenuto ed altri;
Sez. 3, n. 10713 del 16/01/2015, Zanussi ed altri).
Ciò in quanto sussiste continuità normativa tra l'art. 4,
comma 4, dell'abrogata legge 28.02.1985, n. 47, e la nuova
fattispecie contemplata dall'art. 27, comma 4, del citato
d.P.R. 380 del 2011 (Sez. 3, n. 46832 del 15/10/2009, Thabet
e altro, Rv. 245613; quanto alla previsione normativa
iniziale, Sez. U, n. 7978 del 29/05/1992, Aramini e altro,
Rv. 191176).
Tant'è che integra il reato anche l'esposizione, in maniera
non visibile, del cartello indicante il titolo abilitativo e
i nominativi dei responsabili, ancorché esso risulti
presente all'interno del cantiere (Sez. 3, n. 40118 del
22/05/2012, Zago e altri, Rv. 253673).
2.1. In particolare, quanto al contestato rilievo penale (v.
provvedimento impugnato, pag. 2) delle sole norme violatrici
delle prescrizioni concernenti la trasformazione urbanistica
ed edilizia del territorio, a suo tempo fu posto l'accento,
nel contesto normativo in allora rappresentato dalla legge
n. 47 del 1985, sull'art. 4 della stessa.
Detta norma, intitolata "vigilanza sull'attività
urbanistico-edilizia nel territorio comunale per assicurarne
la rispondenza alle norme di legge e di regolamento alle
prescrizioni degli strumenti urbanistici ed alle modalità
esecutive fissate nella concessione o nell'autorizzazione",
prevedeva, all'ultimo comma, che gli ufficiali ed agenti di
polizia giudiziaria dessero immediata comunicazione
all'autorità giudiziaria, al presidente della giunta
regionale ed al sindaco ove nei luoghi di realizzazione
delle opere non fosse esibita la concessione ovvero non
fosse stato apposto il prescritto cartello, "ovvero in
tutti gli altri casi di presunta violazione
urbanistico-edilizia".
In tal modo testualmente consentendo di desumere, in
particolare, come anche la sola violazione dell'obbligo di
apposizione del cartello fosse appunto considerata dal
legislatore come ipotesi di presunta violazione
urbanistico-edilizia e, come tale, di particolare rilevanza
ai suindicati fini.
A riprova era stato altresì notato come la sistemazione del
prescritto cartello, contenente gli estremi della
concessione edilizia e degli autori dell'attività
costruttiva presso il cantiere, consentisse una vigilanza
rapida, precisa ed efficiente dell'attività, rispondendo
allo scopo di permettere ad ogni cittadino di verificare se
i lavori fossero o meno stati autorizzati dall'autorità
competente. Di qui, dunque, la riconducibilità della
condotta omissiva in questione all'interno dell'allora
precetto dell'art. 20, lett. a), della legge 47 del 1985, in
relazione alla inosservanza delle norme di cui alla stessa
legge.
Né tali conclusioni potevano mutare ove si abbia riguardo
alla sopravvenuta normativa rappresentata dal d.P.R. n. 380
del 2001, posto che l'art. 27, comma 4, del d.P.R. stesso)
ha riprodotto la previsione del previgente art. 4 cit.
relativa alla immediata comunicazione agli enti competenti
da parte degli ufficiali ed agenti di p.g. della mancata
apposizione del cartello così come di "tutti gli altri
casi di presunta violazione urbanistico-edilizia",
restando quindi confermata l'appartenenza della violazione
in questione alla attività edilizio-urbanistica e, dunque,
la sanzionabilità della stessa all'interno delle ipotesi di
cui all'art. 44, lett. a), del d.P.R. cit., così acquistando
rilievo determinante la previsione di essa all'interno dei
regolamenti edilizi o della concessione (cfr., in
motivazione, n. 10713 del 2015 cit.).
La sentenza impugnata, che ha disatteso siffatto consolidato
insegnamento in ordine alla riconducibilità dell'apposizione
del cartello al campo delle violazioni in materia
urbanistica ed edilizia, va pertanto annullata, con rinvio
per nuovo giudizio -a norma dell'art. 623, lett. d), cod.
proc. pen.- al competente Tribunale di Asti
(Corte di Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 13.06.2017 n. 29213). |
anno 2016 |
|
EDILIZIA PRIVATA:
In tema di reati edilizi-urbanistici, la
violazione dell’obbligo di esporre il cartello indicante gli
estremi del titolo abilitativo, qualora prescritto dal
regolamento edilizio o dal titolo medesimo, vale anche in
caso di cantiere inattivo, ed è tuttora punita dall’art. 44,
lett. a), del d.P.R. n. 380/2001 se commessa dal titolare
del permesso a costruire, dal committente, dal
costruttore o dal direttore dei lavori.
Trattasi di fattispecie già sanzionata sotto la vigenza
dell’ormai abrogata l. n. 47/1985, e tuttora in essere, in
ragione del rapporto di continuità normativa intercorrente
tra le diverse disposizioni.
----------------
Secondo il
costante orientamento di questa Corte, i
destinatari dell'obbligo in esame vanno individuati nel
titolare del permesso di costruire, nel committente,
nel costruttore e nel direttore dei lavori
sulla base di quanto espressamente previsto dalla L. n. 47
del 1985, art. 6 e, oggi, dall'art. 29, comma 1, del D.P.R.
n. 380 del 2001.
Quanto al fondamento della responsabilità del direttore dei
lavori, va richiamato il principio affermato da questa Corte
di legittimità secondo cui è configurabile
la responsabilità del direttore dei lavori per le
contravvenzioni in materia di edilizia ed urbanistica,
indipendentemente dalla sua concreta presenza in cantiere,
in quanto sussiste a carico del medesimo un onere di
vigilanza costante sulla corretta esecuzione dei lavori,
collegato al dovere di contestazione delle irregolarità
riscontrate e, se del caso, di rinunzia all'incarico.
La responsabilità del costruttore,
quale esecutore materiale e diretto responsabile dell'opera,
trova il suo fondamento nella violazione dell'obbligo,
imposto dalla legge, di osservare le norme in materia
urbanistico-edilizia.
Il chiaro disposto dell'ad art. 29, comma
1, D.P.R. n. 380 del 2001 non consente, infine, di
differenziare le responsabilità del costruttore e del
direttore dei lavori dei lavori da quella del
committente, tanto meno sotto il profilo temporale
dell'adempimento dell'obbligo di esposizione del cartello
indicante gli estremi del titolo abilitativo.
---------------
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 08.07.2014, il Tribunale di Lucca, a
seguito di opposizione a decreto penale di condanna,
pronunciando nei confronti di Ch.Ma., Mo.Mo. e Ca.Ra.,
imputati del reato di cui all'art. 44, lett. a), dpr n.
380/1990, per avere, nella qualità rispettiva di committente
dei lavori, direttore dei lavori ed esecutori degli stessi,
in violazione dell'art. 4 p.6 della scheda L.6-normativa di
dettaglio del Reg. Edilizio del Comune di Viareggio, omesso
di esporre la prescritta tabella indicante gli estremi
dell'atto autorizzativo e dell'intervento edilizio,
dichiarava i predetti responsabili del reato loro ascritto e
li condannava ciascuno alla pena di euro 3.000 di ammenda,
oltre al pagamento delle spese processuali.
Avverso tale sentenza hanno proposto ricorso per cassazione
Mo.Mo. e Ca.Ra., tramite il difensore di fiducia,
articolando entrambi il motivo, fondato su inosservanza o
falsa applicazione della legge penale, di seguito enunciato
nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come
disposto dall'art. 173, comma 1, disp. att. cod. proc. pen.
I ricorrenti, premettendo che la norma incriminatrice,
costituita dall'art. 44, lett. a), e dall'art. 29, comma 1,
Dpr n. 380/2001, è una norma penale cd in bianco, in quanto
rinvia ai regolamenti edilizi, deducono che l'art. 4 p.6
della scheda L6 del regolamento edilizio del Comune di
Viareggio, norma di rango amministrativo, deve essere
correttamente interpretata nel senso che il riferimento al
cantiere deve intendersi quale riferimento ad un cantiere
effettivamente attivo.
Argomentano che, quindi, poiché, nella specie, al momento
del sopralluogo da parte della polizia municipale i lavori
al cantiere erano sospesi, il Giudice territoriale
erroneamente dava rilievo alla semplice apertura formale del
cantiere per ritenere configurato il reato contestato.
Aggiungono, poi, sotto altro profilo, che l'obbligo di
apposizione del cartello deve ritenersi esistente a carico
del direttore dei lavori e della ditta esecutrice solo al
momento dell'apertura del cantiere e non per tutta la durata
dei lavori, dovendosi, in caso contrario, ritenere
sussistente un inaccettabile e diabolico obbligo di custodia
a carico dei predetti.
Chiedono, quindi, l'annullamento senza rinvio della sentenza
impugnata perché il fatto non è previsto come reato dalla
legge o con la formula ritenuta di giustizia.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. I ricorsi sono inammissibili perché basati su motivo
manifestamente infondato.
2. Va premesso che il reato previsto dal D.P.R. n. 380 del
2001, art. 44, lett. a), ha natura residuale rispetto alle
altre violazioni menzionate dal medesimo articolo e
sanziona, con la sola pena dell'ammenda, l'inosservanza
delle norme, prescrizioni e modalità esecutive previste dal
titolo 4 del menzionato D.P.R. n. 380 del 2001, in quanto
applicabili, l'inosservanza delle disposizioni dei
regolamenti edilizi, l'inosservanza di prescrizioni
contemplate dagli strumenti urbanistici e l'inosservanza
delle prescrizioni fissate dal permesso di costruire (Sez.
3, Sentenza n. 29730 del 04/06/2013 Rv. 255836).
Questa Corte, vigente la L. n. 47 del 1985, ha avuto modo di
rilevare l'estrema genericità della disposizione, allora
contenuta nella previgente, omologa disposizione di cui
all'art. 20, lett. a) e la possibilità di una pluralità
indiscriminata di utilizzazioni, con conseguente
insufficienza della interpretazione letterale, se non altro
perché in contrasto con il principio della tassatività delle
fattispecie legali penali ed ha posto in evidenza la
necessità di delimitarne l'ambito applicativo tenendo conto
della sua collocazione in un contesto normativo volto a
disciplinare l'attività edilizia, affermando,
conseguentemente, che "le norme, prescrizioni e modalità
esecutive" di cui all'art. 20, lett. a), dovevano
intendersi riferite soltanto a quelle regole di condotta che
sono direttamente afferenti all'attività edilizia (Sez. 3 n.
8965, 21.06.1990).
Parimenti è stata rilevata la sua natura di norma penale in
bianco poiché, mentre la sanzione è determinata, il precetto
di carattere generico rinvia ad un dato esterno quale il
titolo abilitativo, il regolamento edilizio, ecc. (SS.UU. n.
7978, 14.07.1992; v. anche SS.UU. n. 11635, 21.12.1993).
Si è, altresì, evidenziato (Sez. 3 n. 21780, 31.05.2011),
come il riferimento contenuto nella norma attualmente
vigente alle disposizioni di legge "previste nel presente
titolo" (del D.P.R. n. 380 del 2001, titolo 4, Parte
prima comprendente gli artt. da 27 a 51) sia certamente
riduttivo rispetto alla previgente fattispecie di cui alla
L. n. 47 del 1985, art. 20, lett. a), la quale, punendo "l'inosservanza
delle norme, prescrizioni e modalità esecutive previste
dalle presente legge, dalla L. 17.08.1942, n. 1150, e
successive modificazioni e integrazioni", si riteneva
effettuasse un rinvio aperto a tutta la legislazione
urbanistico-edilizia, addirittura comprensiva, secondo parte
della giurisprudenza, anche delle leggi regionali
integrative. Ciò non di meno, pur in presenza di un ambito
di operatività più contenuto, si è comunque ritenuto che la
mancata apposizione del cartello di cantiere continui ad
essere assoggettata alla sanzione penale prevista dalla
richiamata disposizione.
Deve, inoltre, rimarcarsi quanto già rilevato da questa
Corte sull'argomento (Sez. 3 n. 16037, 11.05.2006)
ricordando come il contenuto della L. n. 47 del 1985, art.
4, comma 4, prevedesse, per coloro che eseguivano interventi
edilizi, il duplice obbligo di esibizione della concessione
edilizia e dell'esposizione del cartello di cantiere -a
condizione che lo stesso fosse espressamente previsto dai
regolamenti edilizi o dalla concessione- la cui violazione
era penalmente sanzionata dall'art. 20, lett. a), più volte
menzionato (a tale proposito si richiamava quanto stabilito
dalle precedenti decisioni: SS.UU. 7978/92, cit.; Sez. 3^ n.
10435, 05.10.1994).
Veniva, altresì, dato atto dell'intervenuta abrogazione
della L. n. 47 del 1985, art. 4, rilevando, tuttavia, la
riproduzione del suo contenuto nel D.P.R. n. 380 del 2001,
art. 27, comma 4, laddove si impone agli ufficiali ed agenti
di polizia giudiziaria l'obbligo di comunicazione immediata
all'autorità giudiziaria nel caso in cui accertino che nei
luoghi in cui vengono realizzate opere edilizie non sia
esibito il permesso di costruire ovvero non sia apposto il
prescritto cartello.
Contestualmente si individuavano i destinatari dell'obbligo
in quelli già indicati dalla L. n. 47 del 1985, art. 6,
comma 1, e, segnatamente, nel titolare della concessione,
nel committente, nel costruttore e nel
direttore dei lavori. Anche tale ultima affermazione è
pienamente condivisibile: infatti il D.P.R. n. 380 del 2001,
art. 29, comma 1, riproduce attualmente il medesimo
contenuto della disposizione previgente, con l'unica
differenza del riferimento al titolo abilitativo, che non è
più la concessione ma il permesso di costruire.
Conseguentemente è stato affermato il principio di diritto,
in base al quale la violazione dell'obbligo
di esporre il cartello indicante gli estremi del titolo
abilitativo, qualora prescritto dal regolamento edilizio o
dal titolo medesimo, già sanzionata sotto la vigenza
dell'ormai abrogata L. n. 47 del 1985, è tuttora punita dal
D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, lett. a), in ragione del
rapporto di continuità normativa intercorrente tra le
diverse disposizioni
(sez. 3, 04/06/2013, n. 29730 Rv. 255836; Cassazione penale,
sez. 3, 10/12/2014, n. 537; sez. 3 16/01/2015, n. 10713).
3. Ciò posto, è manifestamente infondato il primo profilo di
doglianza.
La sentenza impugnata, infatti, correttamente applicando i
suesposti principi, ha rilevato che l'art. 4.6 della scheda
L.6 del Regolamento edilizio del Comune di Viareggio
-richiamato nel capo di imputazione- prevede specificamente
l'obbligo che ogni cantiere sia provvisto di cartello
indicante gli estremi dell'atto autorizzativo e, pacifica
l'assenza del cartello all'epoca del sopralluogo, ha
ritenuto configurabile la fattispecie criminosa contestata.
La doglianza dei ricorrenti, che deducono che il permanere
dell'obbligo di esposizione sussisterebbe solo in caso di
cantiere effettivamente attivo, è manifestamente infondata.
Il Tribunale ha correttamente considerato irrilevante
l'assunto difensivo circa una momentanea inattività del
cantiere dovuta al ritardo nei pagamenti da parte del
committente.
Tale valutazione è conforme ai principi espressi da questa
Corte in subíecta materia.
La circostanza che il cartello fosse
presente all'inizio dei lavori, infatti, non esclude la
configurabilità del reato, in quanto ciò che rileva è che lo
stesso non fosse esposto al momento del controllo da parte
del personale di vigilanza, in quanto funzione del cartello
è proprio quella di rendere edotti gli organi di vigilanza
dell'esistenza in loco di interventi edilizi, al fine di
consentire l'espletamento di tutte quelle attività di
verifica dell'osservanza della normativa edilizia e di
corrispondenza dell'assentito al realizzato
(Sez. 3 30/04/2014, n. 28123). Inoltre, la
finalità cui assolve l'obbligo di apposizione del cartello,
deve ritenersi che sia anche quella di indicare i soggetti
responsabili, nel caso in cui durante lo svolgimento delle
attività di cantiere derivino danni a terzi
(Sez. 3, 22/05/2012, n. 40118).
Tale funzione comporta che l'esposizione
del cartello indicante il titolo abilitativo e i nominativi
dei responsabili deve non solo essere effettuata all'inizio
dei lavori ma protrarsi in maniera continuativa durante
tutta la fase di esecuzione degli stessi, ivi compresi i
periodi in cui i lavori siano momentaneamente sospesi,
risultando irrilevante la causa della sospensione, nella
specie addebitabile a fatto volontario del committente.
4. Anche la doglianza dei ricorrenti, che deducono che
l'obbligo di esposizione a carico del direttore dei lavori e
del costruttore sussisterebbe solo al momento di apertura
del cantiere, è manifestamente infondata.
Correttamente il Tribunale ha ritenuto la penale
responsabilità, oltre che del committente, anche degli
attuali ricorrenti Mo.Mo. e Ca.Ra., nelle rispettive qualità
di direttore dei lavori ed esecutori degli stessi.
Secondo il costante orientamento di questa Corte, infatti,
i destinatari dell'obbligo in esame vanno
individuati nel titolare del permesso di costruire,
nel committente, nel costruttore e nel
direttore dei lavori sulla base di quanto espressamente
previsto dalla L. n. 47 del 1985, art. 6 e, oggi, dall'art.
29, comma 1, del D.P.R. n. 380 del 2001
(Sez. 3, n. 29730 del 04/06/2013, Rv.255836, Sez. 3 n. 38380
del 15.07.2015; sez. III, 16/01/2015, n. 10713; Sez. III,
10/12/2014, n. 537).
Quanto al fondamento della responsabilità del direttore dei
lavori, va richiamato il principio affermato da questa Corte
di legittimità, che il Collegio condivide e che va qui
riaffermato, secondo cui è configurabile la
responsabilità del direttore dei lavori per le
contravvenzioni in materia di edilizia ed urbanistica,
indipendentemente dalla sua concreta presenza in cantiere,
in quanto sussiste a carico del medesimo un onere di
vigilanza costante sulla corretta esecuzione dei lavori,
collegato al dovere di contestazione delle irregolarità
riscontrate e, se del caso, di rinunzia all'incarico
(sez. 3, n. 34602 del 17.6.2010, Ponzio, rv. 248328, nella
cui motivazione questa Corte, nel confermare la sentenza di
condanna che aveva ritenuto sussistere l'obbligo del
direttore dei lavori di recarsi quotidianamente sul cantiere
al fine di vigilare le attività eseguite, ha precisato che
questi, oltre ad essere il referente del committente per gli
aspetti di carattere tecnico, assume anche la funzione di
garante nei confronti del Comune dell'osservanza e del
rispetto dei contenuti dei titoli abilitativi all'esecuzione
dei lavori; sez. 3 15/01/2015, n. 7406; sez. 3, 11/05/2005,
n. 22867).
La responsabilità del costruttore,
quale esecutore materiale e diretto responsabile dell'opera,
trova il suo fondamento nella violazione dell'obbligo,
imposto dalla legge, di osservare le norme in materia
urbanistico-edilizia
(sez. 3, 25/11/2004, n. 860).
Il chiaro disposto dell'ad art. 29, comma
1, D.P.R. n. 380 del 2001 non consente, infine, di
differenziare le responsabilità del costruttore e del
direttore dei lavori dei lavori da quella del
committente, tanto meno sotto il profilo temporale
dell'adempimento dell'obbligo di esposizione del cartello
indicante gli estremi del titolo abilitativo
(Corte di Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 07.04.2016 n. 13963). |
anno 2015 |
|
EDILIZIA PRIVATA: PUNIBILE LA MANCATA APPOSIZIONE DEL CARTELLO
ANCHE SE LA STESSA NON SI PROTRAE DALL’INIZIO SINO
ALLA FINE DEI LAVORI EDILIZI.
È punibile ai sensi dell’art. 44, lett. a), d.P.R. n. 380
del
2001 la mancata apposizione del cartello a prescindere
dalla circostanza che tale mancanza si protragga dall’inizio
dei lavori edilizi sino alla fine degli stessi; ed invero,
attesa la ratio cui la previsione è informata, rientrano
nella previsione sanzionatoria anche omesse apposizioni
del cartello non coincidenti con tutto l’arco di esecuzione
dei lavori stessi, essendo solo necessario che le
stesse abbiano luogo prima che i lavori siano terminati.
La questione affrontata dalla Suprema Corte con la sentenza
in esame concerne un tema invero non molto frequente
nella giurisprudenza di legittimità, riguardante la
configurabilità
del reato consistente nella mancata apposizione del
cartello di cantiere.
La vicenda processuale trae origine
dalla
sentenza che aveva condannato gli imputati per il reato
di cui all’art. 44, lett. a), d.P.R. n. 380 del 2001, in
relazione
all’omessa esposizione nel cantiere della tabella indicante
gli estremi degli atti autorizzativi e la descrizione
dell’intervento
edilizio in corso. Contro la sentenza proponevano ricorso
per cassazione gli imputati, in particolare sostenendo
per quanto qui di interesse che la ratio della norma
consiste
nella sanzionabilità della mancanza del cartello ab origine
e per un lasso apprezzabile di tempo e non anche ove il
cartello, originariamente apposto (come nella specie), sia
stato successivamente rimosso, non venendo in tal caso
intaccato il bene giuridico protetto; e nella specie il
Tribunale
non aveva appurato quale fosse stato il lasso temporale
di protratta assenza del cartello.
La Cassazione, nell’affermare il principio di cui in
massima,
ha respinto il ricorso, così chiarendo come l’assunto
secondo
cui la norma punirebbe unicamente la mancanza del
cartello che si protragga dall’inizio dei lavori edilizi
sino alla
fine degli stessi non trova rispondenza nel dettato
normativo
che, anzi, attesa la ratio cui la previsione è informata,
ben può includere anche omesse apposizioni del cartello
non coincidenti con tutto l’arco di esecuzione dei lavori
stessi solo essendo necessario che le stesse abbiano luogo
prima che i lavori siano terminati.
E, nella specie, la
sentenza
aveva dato atto del fatto che il cantiere era ancora attivo
e i lavori ancora in corso nel momento in cui venne
constatata
l’assenza del cartello e che, in ogni caso, nessuna traccia
dello stesso - secondo la difesa asseritamente esposto ab origine ma poi danneggiato e solo successivamente
riposizionato,
venne rinvenuta al momento del sopralluogo
(in precedenza, nel senso che la mancata apposizione del
cartello è penalmente sanzionata a condizione che detto
obbligo sia espressamente previsto dai regolamenti edilizi
o dalla concessione: Cass., SS.UU., 29.05.1992, n.
7978, P.M. in proc. Aramini ed altro, in CED, n. 191176;
Sez. III, del 04.06.2013, n. 29730, Stroppini ed altri,
rv.
255836; Id., Sez. III, 15.10.2009, n. 46832, T. ed
altro, in CED, n. 245613; Id., Sez. III, 07.04.2006, n.
16037 B., in CED, n. 234330) (Corte di Cassazione,
Sez. III penale,
sentenza 22.09.2015 n. 38380
- Urbanistica e
appalti n. 12/2015). |
EDILIZIA PRIVATA:
Ai fini dell’imputazione ex art. 44
d.P.R. n. 380/2001, non è necessaria la precisa intenzione
di non esporre il cartello riportante gli estremi degli atti
autorizzativi e la descrizione dell’intervento edilizio.
È bastevole l’omissione a titolo di colpa generica.
L’obbligo di esposizione, inoltre, grava sul committente,
oltre che sul direttore dei lavori e sul costruttore, a
titolo di culpa in vigilando.
---------------
4. Il primo motivo del ricorso di F. ed il secondo
motivo del ricorso di C., di analogo contenuto, sono
infondati.
È anzitutto non corretto il presupposto da cui muove
essenzialmente la doglianza sollevata, ovvero che l’elemento
soggettivo del reato de quo non possa consistere in
un atteggiamento di negligenza o trascuratezza.
Va premesso che il costante orientamento di questa Corte si
è posto, sin dalla pronuncia delle Sez. U., n. 7978 del
29/05/1992, P.M. in proc. Aramini ed altro, Rv. 191176,
riferita alla previgente, omologa, disposizione di cui
all’art. 20, lett. a), della l. n. 47 del 1985, per giungere
fino ad oggi, nel senso di ritenere che la
violazione, da parte del titolare del permesso a costruire,
del committente, del costruttore o del direttore dei lavori,
dell’obbligo della esposizione di un cartello contenente gli
estremi della concessione e degli autori dell’attività
costruttiva sia penalmente sanzionata a condizione che detto
obbligo sia espressamente previsto dai regolamenti edilizi o
dalla concessione
(cfr., tra le altre, Sez. 3, n. 29730 del 04/06/2013,
Stroppini ed altri, Rv. 255836; Sez. 3, n. 46832 del
15/10/2009, Thabet ed altro, Rv. 245613; Sez. 3, n. 16037
del 07/04/2006, Bianco, Rv. 234330).
In particolare le Sezioni Unite, con la pronuncia menzionata
appena sopra, hanno posto l’accento, nel contesto normativo
in allora rappresentato dalla legge n. 47 del 1985,
sull’art. 4 della stessa che, intitolato “vigilanza
sull’attività urbanistico-edilizia nel territorio comunale
per assicurarne la rispondenza alle norme di legge e di
regolamento, alle prescrizioni degli strumenti urbanistici
ed alle modalità esecutive fissate nella concessione o
nell’autorizzazione”, prevedeva, all’ultimo comma, che
gli ufficiali ed agenti di polizia giudiziaria dessero
immediata comunicazione all’autorità giudiziaria, al
presidente della giunta regionale ed al sindaco ove nei
luoghi di realizzazione delle opere non fosse esibita la
concessione ovvero non fosse stato apposto il prescritto
cartello, “ovvero in tutti gli altri casi di presunta
violazione urbanistico-edilizia”, da qui testualmente
desumendo, in particolare, come anche la
sola violazione dell’obbligo di apposizione del cartello
fosse appunto considerata dal legislatore come ipotesi di
presunta violazione urbanistico-edilizia e, come tale, di
particolare rilevanza ai suindicati fini;
aveva aggiunto, a riprova, come la sistemazione del
prescritto cartello, contenente gli estremi della
concessione edilizia e degli autori dell’attività
costruttiva presso il cantiere, consentisse una vigilanza
rapida, precisa ed efficiente dell’attività rispondendo allo
scopo di permettere ad ogni cittadino di verificare se i
lavori fossero o meno stati autorizzati dall’autorità
competente.
Di qui, dunque, la riconducibilità della
condotta omissiva in questione all’interno dell’allora
precetto dell’art. 20, lett. a), della l. n. 47 del 1985 (e,
oggi, dell’omologo precetto di cui all’art. 44, lett. a),
del d.P.R. n. 380 del 2001) in relazione alla inosservanza
delle norme di cui alla stessa legge.
Deriva dunque, da quanto sin qui ricordato, che
tale condotta omissiva ben può essere sorretta dalla
colpa generica, secondo, del resto, il generale dettato
dell’art. 43 c.p., posto che l’inosservanza del precetto di
esposizione del cartello nel quale la condotta si traduce
appunto ben può avvenire a seguito anche solo di
trascuratezza e di negligenza e non unicamente, come
parrebbe sostenere la ricorrente, a seguito della precisa
intenzione di non adempiere a quanto prescritto.
Anche a non volere considerare che un tale assunto
finirebbe, in realtà, per escludere la possibilità di
realizzazione del reato a titolo di colpa e far ritenere
invece penalmente configurabile unicamente un atteggiamento
doloso, senza che la norma sia formulata (a differenza di
altre fattispecie contravvenzionali) in termini tali da
condurre l’interprete ad un tale approdo esegetico, appare
decisiva la considerazione che “l’inosservanza delle
norme, prescrizioni e modalità esecutive” è, nella
disposizione dell’art. 44, lett. a) cit., la condotta
sanzionata e non già, evidentemente, l’atteggiamento
psicologico unicamente richiesto per la configurabilità del
reato.
Anche l’ulteriore assunto secondo cui la
norma punirebbe unicamente la mancanza del cartello che si
protragga dall’inizio dei lavori edilizi sino alla fine
degli stessi non trova rispondenza nel dettato normativo
che, anzi, attesa la ratio cui la previsione è
informata, ben può includere anche omesse apposizioni del
cartello non coincidenti con tutto l’arco di esecuzione dei
lavori stessi solo essendo necessario che le stesse abbiano
luogo prima che i lavori siano terminati;
e, nella specie, la sentenza impugnata ha dato atto del
fatto che il cantiere era ancora attivo e i lavori ancora in
corso nel momento in cui venne constatata l’assenza del
cartello e che, in ogni caso, nessuna traccia dello stesso,
secondo la Difesa asseritamente esposto ab origine ma
poi danneggiato e solo successivamente riposizionato, venne
rinvenuta al momento del sopralluogo.
...
6. Il terzo motivo del ricorso di F.A. è
manifestamente infondato.
Va ricordato che l’obbligo di esposizione
del cartello si rivolge, oltre che al costruttore e
direttore dei lavori, anche al committente
(Sez. 3, n. 29730 del 04/06/2013, Stroppini e altri, Rv.
255836) sulla base di quanto espressamente
previsto dall’art. 6 della l. n. 47 del 1985 e, oggi,
dall’art. 29, comma 1, del d.P.R. n. 380 del 2001; ne
consegue che il committente-proprietario, autonomamente
responsabile per legge, non può legittimamente abdicare al
proprio obbligo di osservanza semplicemente facendo leva sul
fatto di avere affidato i lavori e persona esperta e
competente come appunto il direttore dei lavori, non essendo
tale solo fatto (né la ricorrente ha allegato né dalla
sentenza risulta che il direttore dei lavori–progettista
avesse fornito rassicurazioni sull’adempimento della
prescrizione) sufficiente a far venire meno la culpa in
vigilando incombente sul committente stesso.
Per tali ragioni questa Corte ha del resto, in più
occasioni, specificato che la
responsabilità del committente trova fondamento
nell’omissione della dovuta vigilanza, cui egli è tenuto in
considerazione del fatto che l’opera soddisfa un suo preciso
interesse; ed infatti ogni committente ha l’obbligo di
accertarsi che i lavori siano eseguiti in conformità alle
prescrizioni amministrative perché la responsabilità penale,
che grava sul destinatario di un obbligo imposto dalla
legge, non può essere delegata ad altri
(Sez. 3 n. 47434 del 24/11/2011, Rossi, Rv. 251636; Sez. 3,
n. 37299 del 04/10/2006, Mazzotta ed altro, Rv. 235075).
La sentenza impugnata, correttamente applicando detti
principi, ha dunque concluso nel senso che,
indipendentemente dal fatto che ella fosse o meno presente
sul cantiere, F.A. era tenuta ad esercitare, con la normale
diligenza, la necessaria vigilanza circa l’adempimento
dell’obbligo di esposizione, anch’ella dunque rispondendo
del reato così come (e sia pure con un grado di colpa
sicuramente inferiore come più oltre si vedrà) il coimputato
progettista e direttore dei lavori (Corte
di Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 22.09.2015 n. 38380). |
EDILIZIA PRIVATA:
Cartello di cantiere: soggetti obbligati e sanzioni.
L’approfondimento (21.03.2015 - tratto da
www.avvocaticcs.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Condanna
per il reato di cui all'art. 44, lett. a), del d.P.R. n. 380
del 2001 per omessa esposizione del cartello di cantiere in
relazione a lavori di costruzione di edificio bifamiliare.
La violazione, da parte del titolare
del permesso a costruire, del committente, del
costruttore o del direttore dei lavori,
dell'obbligo della esposizione di un cartello contenente gli
estremi della concessione e degli autori dell'attività
costruttiva è penalmente sanzionata a condizione che lo
stesso sia espressamente previsto dai regolamenti edilizi o
dalla concessione.
---------------
1. Za.Cr. e Za.Ma. hanno proposto ricorso avverso la
sentenza del Tribunale di Udine, sez. dist. di Palmanova,
che li ha condannati per il reato di cui all'art. 44, lett.
a), del d.P.R. n. 380 del 2001 per omessa esposizione del
cartello di cantiere in relazione a lavori di costruzione di
edificio bifamiliare.
2. Con un primo motivo lamentano violazione di legge
deducendo che la giurisprudenza di legittimità, con la
pronuncia n. 1524 del 1992, ha ritenuto la condotta de
qua integrante unicamente illecito amministrativo in
quanto non avente carattere urbanistico e conseguentemente
non rientrante nello spettro dell'art. 44, lett. a), cit..
Rilevano altresì che tale fatto è espressamente considerato
come illecito amministrativo da parte dell'art. 55, comma 1,
della legge regionale Friuli n. 19 del 11/11/2009, del resto
richiamata dal regolamento edilizio comunale di Lignano
Sabbiadoro. Oltre a ciò rilevano che la Regione Friuli
esercita la propria potestà legislativa in materia edilizia
in via esclusiva e non concorrente con quella statale come
indirettamente confermato anche dall'art. 22, comma 4, del
d.P.R. n. 380 del 2001.
3. Con un secondo motivo censurano poi l'erronea
applicazione della legge penale posto che l'art. 44, lett.
a), del d.P.R. n. 380 del 2001 riguarda provvedimenti di
natura strettamente urbanistica-edilizia, ovverossia le
ipotesi di violazione delle sole norme aventi rilevanza
sotto il profilo tecnico-costruttivo e non la violazione di
adempimenti formali non attinenti alla perfezione dell'atto
amministrativo.
CONSIDERATO IN DIRITTO
4. Entrambi i motivi, da valutare unitariamente perché
relativi ad una medesima complessiva censura, ovvero la non
rilevanza penale della condotta di omessa esposizione del
cartello di cantiere, sono infondati.
Va in primo luogo rilevato che, per giungere alla invocata
conclusione della natura di mero illecito amministrativo
della condotta in questione, il ricorso richiama un
risalente indirizzo, esemplificato dalle pronunce della Sez.
3, n. 13086 del 17/07/1987, Carraro, Rv. 177314, e n. 11 del
08/01/1992, P.M. in proc. Bazzi, Rv. 189624, già
contraddetto da pronuncia delle Sezioni Unite e, da allora,
rimasto isolato pur a seguito della nel frattempo
intervenuta formale modifica delle norme interessate.
Infatti il costante orientamento di questa Corte si è posto,
sin appunto dalla pronuncia delle Sez. U., n. 7978 del
29/05/1992, P.M. in proc. Aramini ed altro, Rv. 191176,
riferita alla previgente, omologa, disposizione di cui
all'art. 20, lett. a), della l. n. 47 del 1985, per giungere
fino ad oggi, nel senso di ritenere che la
violazione, da parte del titolare del permesso a
costruire, del committente, del costruttore
o del direttore dei lavori, dell'obbligo della
esposizione di un cartello contenente gli estremi della
concessione e degli autori dell'attività costruttiva è
penalmente sanzionata a condizione che lo stesso sia
espressamente previsto dai regolamenti edilizi o dalla
concessione (cfr.,
tra le altre, Sez. 3, n. 29730 del 04/06/2013, Stroppini ed
altri, Rv. 255836; Sez. 3, n. 46832 del 15/10/2009, Thabet
ed altro, Rv. 245613; Sez. 3, n. 16037 del 07/04/2006,
Bianco, Rv. 234330).
In particolare le Sezioni Unite, con la
pronuncia menzionata appena sopra, hanno posto l'accento,
nel contesto normativo in allora rappresentato dalla legge
n. 47 del 1985, sull'art. 4 della stessa che, intitolato "vigilanza
sull'attività urbanistico-edilizia nel territorio comunale
per assicurarne la rispondenza alle norme di legge e di
regolamento alle prescrizioni degli strumenti urbanistici ed
alle modalità esecutive fissate nella concessione o
nell'autorizzazione", prevedeva, all'ultimo comma, che
gli ufficiali ed agenti di polizia giudiziaria dessero
immediata comunicazione all'autorità giudiziaria, al
presidente della giunta regionale ed al sindaco ove nei
luoghi di realizzazione delle opere non fosse esibita la
concessione ovvero non fosse stato apposto il prescritto
cartello, "ovvero in tutti gli altri casi di presunta
violazione urbanistico-edilizia", da qui testualmente
desumendo, in particolare, come anche la sola violazione
dell'obbligo di apposizione del cartello fosse appunto
considerata dal legislatore come ipotesi di presunta
violazione urbanistico-edilizia e, come tale, di particolare
rilevanza ai suindicati fini; aveva aggiunto, a riprova,
come la sistemazione del prescritto cartello, contenente gli
estremi della concessione edilizia e degli autori
dell'attività costruttiva presso il cantiere, consentisse
una vigilanza rapida, precisa ed efficiente dell'attività
rispondendo allo scopo di permettere ad ogni cittadino di
verificare se i lavori fossero o meno stati autorizzati
dall'autorità competente.
Di qui, dunque, la riconducibilità della condotta omissiva
in questione all'interno dell'allora precetto dell'art. 20,
lett. a), della l. n. 47 del 1985 in relazione alla
inosservanza delle norme di cui alla stessa legge.
Né tali conclusioni possono mutare ove si
abbia riguardo alla sopravvenuta normativa rappresentata dal
d.P.R. n. 380 del 2001, posto che l'art. 27, comma 4, del
d.P.R. stesso ha riprodotto la previsione del previgente
art. 4 cit. relativa alla immediata comunicazione agli enti
competenti da parte degli ufficiali ed agenti di p.g. della
mancata apposizione del cartello così come di "tutti gli
altri casi di presunta violazione urbanistico-edilizia",
restando quindi confermata, contrariamente all'assunto sul
punto del ricorrente esposto in entrambi i motivi,
l'appartenenza della violazione in questione alla attività
edilizio-urbanistica e, dunque, la sanzionabilità della
stessa all'interno delle ipotesi di cui all'art. 44, lett.
a), del d.P.R. cit., così acquistando rilievo determinante
la previsione di essa all'interno dei regolamenti edilizi o
della concessione.
E, nella specie, neppure i ricorrenti contestano che, per
quanto riguarda il regolamento edilizio di Lignano
Sabbiadoro vigente all'epoca dei fatti, quest'ultimo
contenesse all'art. 22, come contestato in imputazione e
come affermato in sentenza, l'obbligo di esposizione del
cartello.
5. Va solo aggiunto che a diverse conclusioni non può
condurre l'ulteriore argomentazione in ordine alla specifica
previsione quale illecito amministrativo dell'omissione in
questione da parte dell'art. 55 della Legge Regionale del
Friuli Venezia Giulia, previsione che, anche in forza della
pretesa esclusiva potestà legislativa di detta Regione in
materia di edilizia, finirebbe per escludere ogni residua
valenza penale.
Infatti, oltre a doversi ribadire che in
materia di legislazione edilizia nelle regioni a statuto
speciale, pur spettando alla Regione una competenza
legislativa esclusiva in materia, la relativa legislazione
deve non solo rispettare i principi fondamentali stabiliti
dalla legislazione statale, ma deve anche essere
interpretata in modo da non collidere con i medesimi
(cfr., tra le tante, Sez. 3, n. 28560 del 26/03/2014, Alonzo,
Rv. 259938; Sez. 3, n. 2017 del 25/10/2007, Giangrasso, Rv.
238555), va osservato che alla stregua
dell'art. 9, comma 2, della l. n. 689 del 1981, espressivo
del principio di specialità, quando uno stesso fatto è
punito da una disposizione penale e da una disposizione
regionale che preveda una sanzione amministrativa, si
applica in ogni caso la disposizione penale, salvo che
quest'ultima sia applicabile solo in mancanza di altre
disposizioni penali
(Corte di Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 13.03.2015 n. 10713 - tratto da
www.lexambiente.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Permesso di costruire, la Cassazione sull'obbligo di esporre
il cartello con gli estremi.
Sono soggetti all'obbligo il titolare del permesso di
costruire, il committente, il costruttore e il direttore dei
lavori.
La violazione dell'obbligo di esporre il
cartello indicante gli estremi del titolo abilitativo,
qualora prescritto dal regolamento edilizio o dal titolo
medesimo, già sanzionata sotto la vigenza dell'ormai
abrogata L. n. 47 del 1985, è tuttora punita dal D.P.R. n.
380 del 2001, art. 44, lett. a), in ragione del rapporto di
continuità normativa intercorrente tra le diverse
disposizioni.
I destinatari dell'obbligo vanno individuati nel titolare
del permesso di costruire, nel committente, nel costruttore
e nel direttore dei lavori.
Lo ha ribadito la III Sez. penale della Corte di Cassazione
con la
sentenza 09.01.2015 n. 537 (tratta da
www.lexambiente.it).
«La violazione dell'obbligo di esporre il cartello
indicante gli estremi del titolo abilitativo, qualora
prescritto dal regolamento edilizio o dal titolo medesimo,
già sanzionata sotto la vigenza dell'ormai abrogata L. n. 47
del 1985, è tuttora punita dal D.P.R. n. 380 del 2001, art.
44, lett. a), in ragione del rapporto di continuità
normativa intercorrente tra le diverse disposizioni. I
destinatari dell'obbligo vanno individuati nel titolare del
permesso di costruire, nel committente, nel costruttore e
nel direttore dei lavori», precisa la suprema Corte.
IL PROPRIETARIO NON È NECESSARIAMENTE IL
TITOLARE DEL PERMESSO DI COSTRUIRE.
Nel caso particolare esaminato, il giudice del merito ha
fondato la penale responsabilità dell'imputata per la
mancata esposizione del cartello di cantiere partendo dal
rilievo che, essendo amministratore società proprietaria
dell'immobile, “è dunque titolare del permesso di
costruire e committente dei lavori”.
Ma, osserva la Cassazione, «Un tale percorso
argomentativo è errato in diritto perché dà per scontato che
il proprietario debba essere necessariamente anche il
titolare del permesso di costruire mentre invece tali
figure, se normalmente sono coincidenti, non lo sono
necessariamente.
Il DPR n. 380/2001 art. 11, primo comma, stabilisce che "il
permesso di costruire è rilasciato al proprietario
dell'immobile o a chi abbia titolo per richiederlo": la
norma, come si vede, è chiarissima nel prevedere il rilascio
anche in favore di soggetto diverso dal proprietario
dell'immobile, purché "abbia titolo per richiederlo" (cfr.
Consiglio di Stato sez. 5 n. 2882/2001). E non a caso il
legislatore usa la congiunzione con valore disgiuntivo "o"
precisando poi, al comma 2 dell'art. 11, che il permesso
"sulla titolarità della proprietà o di altri diritti reali
relativi agli immobili realizzati per effetto del suo
rilascio"».
IL COMMITTENTE NON NECESSARIAMENTE SI
IDENTIFICA CON IL PROPRIETARIO DELL'IMMOBILE.
La Cassazione aggiunge inoltre che «Altro errore di diritto
sta nel ritenere che anche il committente debba
necessariamente identificarsi col proprietario
dell'immobile, mentre invece ciò non sempre accade: il
committente, infatti, è solo la parte che concede in appalto
i lavori e può anche essere diverso dal proprietario. Il
decreto legislativo 09.04.2008 n. 81 (Attuazione
dell'articolo 1 della legge 03.08.2007, n. 123, in materia
di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di
lavoro) che all'art. 89, comma 1, lett. b), definisce
committente come "il soggetto per conto del quale
l'intera opera viene realizzata, indipendentemente da
eventuali frazionamenti della sua realizzazione. Nel caso di
appalto di opera pubblica, il committente è il soggetto
titolare del potere decisionale e di spesa relativo alla
gestione dell'appalto".
Nessuna norma prevede che il committente debba essere
necessariamente il proprietario dell'immobile, ben potendo
assumere la suddetta veste anche essere il titolare di un
altro diritto reale, come ad esempio l'usufruttuario o il
titolare del diritto di abitazione» (commento tratto da
www.casaeclima.com).
---------------
MASSIMA
Occorre premettere che, come già rilevato in
giurisprudenza (Sez. 3, Sentenza n. 29730 del 04/06/2013 Ud.
dep. 11/07/2013 Rv. 255836), il reato
previsto dal D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, lett. a), ha
natura residuale rispetto alle altre violazioni menzionate
dal medesimo articolo e sanziona, con la sola pena
dell'ammenda, l'inosservanza delle norme, prescrizioni e
modalità esecutive previste dal titolo IV del menzionato
D.P.R. n. 380 del 2001, in quanto applicabili,
l'inosservanza delle disposizioni dei regolamenti edilizi,
l'inosservanza di prescrizioni contemplate dagli strumenti
urbanistici e l'inosservanza delle prescrizioni fissate dal
permesso di costruire.
Questa Corte, vigente la L. n. 47 del 1985, ha avuto modo di
rilevare l'estrema genericità della
disposizione allora contenuta nell'art. 20, lett. a), e la
possibilità di una pluralità indiscriminata di
utilizzazioni, con conseguente insufficienza della
interpretazione letterale, se non altro perché in contrasto
con il principio della tassatività delle fattispecie legali
penali ed ha posto in evidenza la necessità di delimitarne
l'ambito applicativo tenendo conto della sua collocazione in
un contesto normativo volto a disciplinare l'attività
edilizia, affermando, conseguentemente, che "le norme,
prescrizioni e modalità esecutive" di cui all'art. 20,
lett. a), dovevano intendersi riferite soltanto a quelle
regole di condotta che sono direttamente afferenti
all'attività edilizia
(Sez. 3^ n. 8965, 21.06.1990).
Parimenti è stata rilevata la sua natura di
norma penale in bianco poiché, mentre la sanzione è
determinata, il precetto di carattere generico rinvia ad un
dato esterno quale il titolo abilitativo, il regolamento
edilizio, ecc. (SS.UU.
n. 7978, 14.07.1992; v. anche SS.UU. n. 11635, 21.12.1993).
Si è altresì evidenziato (Sez. III n. 21780, 31.05.2011)
come il riferimento contenuto nella disposizione attualmente
vigente alle disposizioni di legge "previste nel presente
titolo" (titolo IV, Parte prima del D.P.R. n. 380 del
2001, comprendente gli artt. da 27 a 51) sia certamente
riduttivo rispetto alla previgente fattispecie di cui alla
L. n. 47 del 1985, art. 20, lett. a), la quale, punendo "l'inosservanza
delle norme, prescrizioni e modalità esecutive previste
dalle presente legge, dalla L. 17.08.1942, n. 1150, e
successive modificazioni e integrazioni", si riteneva
effettuasse un rinvio aperto a tutta la legislazione
urbanistico-edilizia, addirittura comprensiva, secondo parte
della giurisprudenza, anche delle leggi regionali
integrative. Ciò non di meno, pur in presenza di un ambito
di operatività più contenuto, si è comunque ritenuto che la
mancata apposizione del cartello di cantiere continui ad
essere assoggettata alla sanzione penale prevista dalla
richiamata disposizione.
Deve a tale proposito ricordarsi quanto già
rilevato in giurisprudenza sull'argomento
(Sez. 3^ n. 16037, 11.05.2006) ricordando
come il contenuto della L. n. 47 del 1985, art. 4, comma 4,
prevedesse, per coloro che eseguivano interventi edilizi, il
duplice obbligo di esibizione della concessione
edilizia e
dell'esposizione del cartello
di cantiere -a condizione che lo stesso fosse espressamente
previsto dai regolamenti edilizi o dalla concessione- la cui
violazione era penalmente sanzionata dall'art. 20, lett. a)
più volte menzionato
(a tale proposito si richiamava quanto stabilito dalle
precedenti decisioni: SS.UU. 7978/92, cit.; Sez. 3^ n.
10435, 05.10.1994).
Veniva altresì dato atto dell'intervenuta abrogazione della
L. n. 47 del 1985, art. 4, rilevando, tuttavia, la
riproduzione del suo contenuto nel D.P.R. n. 380 del 2001,
art. 27, comma 4, laddove si impone agli ufficiali ed agenti
di polizia giudiziaria l'obbligo di comunicazione immediata
all'autorità giudiziaria nel caso in cui accertino che nei
luoghi in cui vengono realizzate opere edilizie non sia
esibito il permesso di costruire ovvero non sia apposto il
prescritto cartello.
Contestualmente si
individuavano i destinatari dell'obbligo in quelli già
indicati dalla L. n. 47 del 1985, art. 6, comma 1, e,
segnatamente, nel titolare della concessione, nel
committente, nel costruttore e nel direttore
dei lavori.
Anche tale ultima affermazione è pienamente condivisibile:
infatti il D.P.R. n. 380 del 2001, art. 29, comma 1,
riproduce attualmente il medesimo contenuto della
disposizione previgente, con l'unica differenza del
riferimento al titolo abilitativo, che non è più la
concessione ma il permesso di costruire.
Pertanto, la
violazione dell'obbligo di esporre il cartello indicante gli
estremi del titolo abilitativo, qualora prescritto dal
regolamento edilizio o dal titolo medesimo, già sanzionata
sotto la vigenza dell'ormai abrogata L. n. 47 del 1985, è
tuttora punita dal D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, lett.
a), in ragione del rapporto di continuità normativa
intercorrente tra le diverse disposizioni. I destinatari
dell'obbligo vanno individuati nel titolare del permesso
di costruire, nel committente, nel costruttore
e nel direttore dei lavori.
2. Venendo al caso di specie, osserva il Collegio che il
giudice del merito ha fondato la penale responsabilità
dell'imputata per la mancata esposizione del cartello di
cantiere partendo dal rilievo che, essendo amministratore
società proprietaria dell'immobile, "è dunque titolare
del permesso di costruire e committente dei lavori".
Un tale percorso argomentativo è errato in diritto perché dà
per scontato che il proprietario debba essere
necessariamente anche il titolare del permesso di costruire
mentre invece tali figure, se normalmente sono coincidenti,
non lo sono necessariamente.
Il DPR n. 380/2001 art. 11, primo comma, stabilisce che "il
premesso di costruire è rilasciato al proprietario
dell'immobile o a chi abbia titolo per richiederlo": la
norma, come si vede, è chiarissima nel prevedere il rilascio
anche in favore di soggetto diverso dal proprietario
dell'immobile, purché "abbia titolo per richiederlo" (cfr.
Consiglio di Stato sez. 5 n. 2882/2001). E non a caso il
legislatore usa la congiunzione con valore disgiuntivo "o"
precisando poi, al comma 2 dell'art. 11, che il permesso "non
incide sulla titolarità della proprietà o di altri diritti
reali relativi agli immobili realizzati per effetto del suo
rilascio".
Altro errore di
diritto sta nel ritenere che anche il committente
debba necessariamente identificarsi col proprietario
dell'immobile, mentre invece ciò non sempre accade: il
committente, infatti, è solo la parte che concede in appalto
i lavori e può anche essere diverso dal proprietario. Il
decreto legislativo 09.04.2008 n. 81
(Attuazione dell'articolo 1 della legge 03.08.2007, n. 123,
in materia di tutela della salute e della sicurezza nei
luoghi di lavoro) che all'art. 89, comma 1, lett. b),
definisce committente come "il
soggetto per conto del quale l'intera opera viene
realizzata, indipendentemente da eventuali frazionamenti
della sua realizzazione. Nel caso di appalto di opera
pubblica, il committente e' il soggetto titolare del potere
decisionale e di spesa relativo alla gestione dell'appalto".
Nessuna norma prevede che il committente debba essere
necessariamente il proprietario dell'immobile, ben potendo
assumere la suddetta veste anche essere il titolare di un
altro diritto reale, come ad esempio l'usufruttuario o il
titolare del diritto di abitazione.
Il percorso argomentativo si rivela infine carente sotto il
profilo motivazionale perché il Tribunale avrebbe dovuto
quanto meno indicare gli elementi da cui ha tratto il
convincimento che il proprietario dell'immobile fosse anche
il titolare del permesso di costruire nonché il committente
ed invece nessun riferimento si rinviene né in ordine al
permesso di costruire né ad un contratto di appalto né a
qualunque altro documento che possa portare a ritenere
l'imputata titolare della veste che invece, sic et
simpliciter, le si attribuisce.
La sentenza va pertanto annullata per nuovo esame da parte
del giudice di rinvio che, sulla scorta degli esposti
principi, verificherà, dando congrua motivazione, se
l'imputata possa rientrare tra i destinatari dell'obbligo di
cui oggi si discute. |
anno 2014 |
|
EDILIZIA PRIVATA:
Integra il reato previsto dall'art. 44,
lett. a), d.P.R. 06.06.2001, n. 380, anche l'esposizione, in
maniera non visibile, del cartello indicante il titolo
abilitativo e i nominativi dei responsabili, ancorché esso
risulti presente all'interno del cantiere.
La circostanza che lo stesso cartello fosse
presente all'inizio dei lavori, peraltro, non esclude la
configurabilità del reato in quanto ciò che rileva è che lo
stesso non fosse esposto al momento del controllo da parte
del personale di vigilanza, in quanto funzione del cartello
è proprio quello di rendere edotti gli organi di vigilanza
dell'esistenza in loco di interventi edilizi, al fine di
consentire l'espletamento di tutte quelle attività di
verifica dell'osservanza della normativa edilizia e di
corrispondenza dell'assentito al realizzato.
---------------
1. VE.BR. ha proposto ricorso, a mezzo del difensore
fiduciario cassazionista, avverso la sentenza del Tribunale
di ACQUI TERME, emessa in data 11/03/2013, depositata in
data 10/04/2013, con cui il ricorrente è stato condannato
alla pena di 1.000,00 di ammenda per il reato di cui
all'art. 27, comma 4, e 44, comma 1, lett. a), d.P.R. n.
380/2001, perché, quale esecutore dei lavori, ometteva
(unitamente a Ro.Br., titolare del p.d.c. e committente, non
ricorrente in questa sede) di esporre nel cantiere sito in
Acqui Terme, via ..., il prescritto cartello riportante i
dati del cantiere (accertato in Acqui Terme, il 23/05/2009).
...
3. Il ricorso dev'essere dichiarato inammissibile per
manifesta infondatezza.
4. Ed invero, seguendo l'ordine logico e cronologico, quanto
al primo motivo di ricorso, con cui si censura la violazione
di legge per la erronea valutazione dell'art. 27, d.P.R. n.
380/2001, la manifesta infondatezza del medesimo discende
dal
pacifico orientamento giurisprudenziale
secondo cui integra il reato previsto dall'art. 44, lett.
a), d.P.R. 06.06.2001, n. 380, anche l'esposizione, in
maniera non visibile, del cartello indicante il titolo
abilitativo e i nominativi dei responsabili, ancorché esso
risulti presente all'interno del cantiere
(Sez. 3, n. 40118 del 22/05/2012 - dep. 11/10/2012, Zago ed
altri, Rv. 253673).
Dallo stesso ricorso, peraltro, emerge che il cartello non
era visibile per esigenza momentanee, in quanto era stato
rimosso e posizionato all'interno del cantiere medesimo al
fine di consentire alla ditta Co. di effettuare alcuni
lavori all'oleodotto.
La circostanza che lo stesso fosse presente
all'inizio dei lavori, peraltro, non esclude la
configurabilità del reato in quanto ciò che rileva è che lo
stesso non fosse esposto al momento del controllo da parte
del personale di vigilanza, in quanto funzione del cartello
è proprio quello di rendere edotti gli organi di vigilanza
dell'esistenza in loco di interventi edilizi, al fine di
consentire l'espletamento di tutte quelle attività di
verifica dell'osservanza della normativa edilizia e di
corrispondenza dell'assentito al realizzato
(Corte di Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 30.04.2014 n. 28123 - data udienza). |
anno 2013 |
|
EDILIZIA PRIVATA - LAVORI PUBBLICI:
Cartello di Cantiere: ecco tutte le indicazioni necessarie
(06.11.2013 - link a www.ediltecnico.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Destinatari
dell'obbligo di esposizione del cartello di cantiere.
La violazione dell'obbligo di esporre il
cartello indicante gli estremi del titolo abilitativo,
qualora prescritto dal regolamento edilizio o dal titolo
medesimo, già sanzionata sotto la vigenza dell'ormai
abrogata legge 47/1985, è tuttora punita dall'art. 44,
lettera a), del d.P.R. 380/2001 in ragione del rapporto di
continuità normativa intercorrente tra le diverse
disposizioni.
I destinatari dell'obbligo vanno individuati nel titolare
del permesso di costruire, nel committente, nel costruttore
e nel direttore dei lavori
(Corte di Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 11.07.2013 n. 29730 - tratto da
www.lexambiente.it).
---------------
3. Il ricorso è inammissibile perché basato su un motivo
manifestamente infondato.
Il reato previsto dall'articolo 44, lettera a), del d.P.R.
380/2001 ha natura residuale rispetto alle altre violazioni
menzionate dal medesimo articolo e sanziona, con la sola
pena dell'ammenda, l'inosservanza delle norme, prescrizioni
e modalità esecutive previste dal titolo IV del menzionato
D.p.r. 380/2001 in quanto applicabili, l'inosservanza delle
disposizioni dei regolamenti edilizi, l'inosservanza di
prescrizioni contemplate dagli strumenti urbanistici e
l'inosservanza delle prescrizioni fissate dal permesso di
costruire.
Questa Corte, vigente la Legge 47/1985, ha avuto modo di
rilevare la estrema genericità della disposizione allora
contenuta nell'articolo 20, lettera a) e la possibilità di
una pluralità indiscriminata di utilizzazioni, con
conseguente insufficienza della interpretazione letterale,
se non altro perché in contrasto con il principio della
tassatività delle fattispecie legali penali ed ha posto in
evidenza la necessità di delimitarne l'ambito applicativo
tenendo conto della sua collocazione in un contesto
normativo volto a disciplinare l'attività edilizia,
affermando, conseguentemente, che "le norme, prescrizioni
e modalità esecutive" di cui all'articolo 20, lettera
a), dovevano intendersi riferite soltanto a quelle regole di
condotta che sono direttamente afferenti all'attività
edilizia (Sez. III n. 8965, 21.06.1990).
Parimenti è stata rilevata la sua natura di norma penale in
bianco poiché, mentre la sanzione è determinata, il precetto
di carattere generico rinvia ad un dato esterno quale il
titolo abilitativo, il regolamento edilizio, ecc. (SS.UU. n.
7978, 14.07.1992; v. anche SS.UU. n. 11635, 21.12.1993).
4. Più recentemente (Sez. III n. 21780, 31.05.2011), si è
evidenziato come il riferimento contenuto nella disposizione
attualmente vigente alle disposizioni di legge "previste
nel presente titolo" (titolo IV, Parte prima del D.p.r.
380/2001, comprendente gli articoli da 27 a 51) sia
certamente riduttivo rispetto alla previgente fattispecie di
cui all'articolo 20, lettera a), legge 47/1985 la quale,
punendo "l'inosservanza delle norme, prescrizioni e
modalità esecutive previste dalle presente legge, dalla L.
17.08.1942, n. 1150 e successive modificazioni e
integrazioni", si riteneva effettuasse un rinvio aperto
a tutta la legislazione urbanistico-edilizia, addirittura
comprensiva, secondo parte della giurisprudenza, anche delle
leggi regionali integrative.
Ciò non di meno, pur in presenza di un ambito di operatività
più contenuto, si è comunque ritenuto che la mancata
apposizione del cartello di cantiere continui ad essere
assoggettata alla sanzione penale prevista dalla richiamata
disposizione.
Deve a tale proposito ricordarsi quanto già rilevato da
questa Corte sull'argomento (Sez. III n. 16037, 11.05.2006)
ricordando come il contenuto dell'art. 4, comma 4, legge
47/1985 prevedesse, per coloro che eseguivano interventi
edilizi, il duplice obbligo di esibizione della concessione
edilizia e dell'esposizione del cartello di cantiere -a
condizione che lo stesso fosse espressamente previsto dai
regolamenti edilizi o dalla concessione- la cui violazione
era penalmente sanzionata dall'art. 20, lett. a), più volte
menzionato (a tale proposito si richiamava quanto stabilito
dalle precedenti decisioni: SS.UU. 7978/92, cit.; Sez. III
n. 10435, 05.10.1994).
Veniva altresì dato atto dell'intervenuta abrogazione
dell'art. 4 legge 47/1985 rilevando, tuttavia, la
riproduzione del suo contenuto nell'art. 27, comma 4, del
d.P.R. 380/2001, laddove si impone agli ufficiali ed agenti
di polizia giudiziaria l'obbligo di comunicazione immediata
all'autorità giudiziaria nel caso in cui accertino che nei
luoghi in cui vengono realizzate opere edilizie non sia
esibito il permesso di costruire ovvero non sia apposto il
prescritto cartello.
Contestualmente si individuavano i destinatari dell'obbligo
in quelli già indicati dall'art. 6 comma, 1 della legge
47/1985 e, segnatamente, nel titolare della concessione, nel
committente, nel costruttore e nel direttore dei lavori.
5. Anche tale ultima affermazione è pienamente
condivisibile, mentre del tutto destituita di fondamento
risulta l'osservazione degli odierni ricorrenti, secondo i
quali la mancata riproduzione del contenuto dell'ormai
abrogato art. 6 legge 47/1985 nel vigente Testo Unico
dell'edilizia renderebbe dubbia l'attribuzione di
responsabilità per la mancata esposizione del cartello di
cantiere alla ditta costruttrice.
Infatti l'art. 29, comma 1, del d.P.R. 380/2001 riproduce
attualmente il medesimo contenuto della disposizione
previgente, con l'unica differenza del riferimento al titolo
abilitativo, che non è più la concessione ma il permesso di
costruire.
Dunque anche il costruttore è pacificamente annoverabile tra
i soggetti destinatari dell'obbligo di esposizione del
cartello di cantiere.
6. I ricorrenti rilevano anche che l'individuazione del
costruttore tra i soggetti destinatari dell'obbligo di
esposizione del cartello non troverebbe concorde la
giurisprudenza di questa Corte e, a tale proposito,
menzionano il contenuto di una risalente decisione (Sez. III
n. 5149, 04.02.2003) ed il richiamo che ne fa altra
pronuncia più recente (Sez. III n. 46832, 09.12.2009) per
sostenere che unico destinatario dell'obbligo sarebbe il
direttore dei lavori.
Si tratta, tuttavia, di un evidente equivoco.
La massima riferita alla sentenza 5149/2003 così
testualmente recita «in tema di violazioni edilizie,
grava sul direttore dei lavori la responsabilità per la
mancata ottemperanza alle prescrizioni contenute nell'atto
di concessione o nelle disposizioni regolamentari locali,
atteso che questi rientra tra i destinatari del precetto di
cui all'art. 6 della legge 28.02.1985 n. 47 (fattispecie
relativa alla mancata esposizione del cartello indicante gli
estremi della concessione edilizia e degli altri elementi
prescritti)».
Come è evidente, la massima non afferma affatto che il
direttore dei lavori sia l'unico destinatario del precetto
di cui all'art. 6 della legge 47/1985, perché indica
chiaramente che questi rientra tra i destinatari del
precetto medesimo, come peraltro inequivocabilmente indicato
nella motivazione della sentenza, laddove si afferma «...ai
sensi dell'art. 6, co. 1, della L. 47/1985 il direttore dei
lavori, unitamente agli altri destinatari del precetto in
bianco (il titolare della concessione, il committente, il
costrutti) risponde penalmente, ai sensi dell'art. 20, lett.
a), del rispetto delle prescrizioni ella concessione e delle
relative modalità esecutive, tra le quali rientra, ove
previsto nell'atto amministrativo o nelle disposizioni
regolamentari locali (come nella specie non si contesta)
l'obbligo di esposizione del cartello in questione (v., per
tutte, S.U. penali 14.07.1992 n. 7978)».
Tale aspetto era stato opportunamente chiarito dalla già
citata sentenza n. 16037/2006 che riportava per esteso in
motivazione il brano appena riprodotto, così confutando la
diversa ed erronea lettura in quell'occasione datane dal
ricorrente.
Tuttavia, nella successiva sentenza n. 46832/2009,
nonostante quanto riportato nella sentenza 16037/2006,
espressamente menzionata, si è ritenuto di individuare un
contrasto tra quest'ultima decisione (e le precedenti
conformi) e quella n. 5149/2003. Della circostanza viene
peraltro dato atto nella massima ove si precisa: «in
motivazione la Corte ha precisato che sussistono invece
dubbi sull'individuazione del soggetto attivo del reato, non
essendo pacifica la configurabilità del reato solo a carico
del direttore dei lavori».
Come emerge tuttavia da quanto in precedenza illustrato, il
contrasto rilevato è in realtà inesistente e la
giurisprudenza di questa Corte è univoca
nell'interpretazione delle disposizioni in precedenza
richiamate.
7. I principi ricordati devono pertanto essere ribaditi,
conseguentemente affermando che la
violazione dell'obbligo di esporre il cartello indicante gli
estremi del titolo abilitativo, qualora prescritto dal
regolamento edilizio o dal titolo medesimo, già sanzionata
sotto la vigenza dell'ormai abrogata legge 47/1985, è
tuttora punita dall'art. 44, lettera a), del d.P.R. 380/2001
in ragione del rapporto di continuità normativa
intercorrente tra le diverse disposizioni. I destinatari
dell'obbligo vanno individuati nel titolare del permesso di
costruire, nel committente, nel costruttore e nel direttore
dei lavori. |
EDILIZIA PRIVATA:
La mancata esposizione del cartello indicante gli
estremi del titolo abilitativo edilizio ove prescritto dal
regolamento edilizio o dal provvedimento concessorio,
integra il reato di cui agli artt. 27, comma 4° e 44, lett.
a) del D.P.R. 380/2001, così come lo integra l'esposizione
in modo non visibile del cartello medesimo.
La ragione della valenza penale della condotta deriva dalla
continuità normativa in cui si pone l'art. 29 del D.P.R.
380/2001 rispetto all'ormai abrogato art. 6 della L. 47/1985
che prevedeva e sanzionava ab origine la condotta vietata di
cui si parla.
---------------
1.1 Con sentenza del 25.03.2009 il Tribunale di Salerno -Sezione
Distaccata di Eboli- dichiarava ST.Ge. e SO.Lu., (imputati,
in concorso tra loro, del reato di cui all'art. 44, lett.
a), del D.P.R. 380/01 - fatto accertato il 21.07.2006 e
commesso antecedentemente a tale data) colpevoli del reato
loro ascritto e li condannava, ciascuno, alla pena di €
2.000,00 di ammenda.
...
2. Per ciò che concerne, invece, l'attribuibilità della
condotta contestata (consistente nella esecuzione di lavori
in difformità della concessione a causa della mancata
esposizione del cartello indicante il titolo edilizio
abilitativo e le figure professionali e imprese addette ai
lavori), le censure contenute nei due ricorsi sono
manifestamente infondate.
2.1 E' anzitutto, inconsistente la tesi prospettata
nell'interesse del ricorrente ST. (soggetto proprietario
dell'area e del manufatto interessato dai lavori edilizi)
secondo la quale, stante la natura di reato proprio, il
proprietario è esonerato da responsabilità, gravante invece
su altri soggetti indicati dalla norma incriminatrice di cui
all'art. 29 del D.P.R. 380/2001: come più volte precisato
dalla giurisprudenza di questa Corte in materia di illeciti
urbanistici, il reato previsto dall'art. 20
della legge fondamentale urbanistica, oggi trasfuso
nell'art. 44 del D.P.R. 380/2001, pur potendosi definire "proprio",
(anche se non mancano tesi contrarie che attribuiscono a
tali reati la veste di illeciti "comuni" - vds. Sez.
3^ 22.11.2007 n. 47083, Tartaglia, Rv. 238471)
non esclude che soggetti diversi da quelli
individuati dall'art. 6 del D.P.R. 380/2001, possano
concorrere nella loro consumazione, nella misura in cui
apportino, nella realizzazione dell'evento, un proprio
contributo causale rilevante e consapevole
(in termini tra le tante, Sez. 3^ 23.03.2011 n. 16571,
Iacono e altri, Rv. 2501247; idem, 12.01.2007 n. 8667,
Forletti e altri, Rv. 236081, con specifico riferimento al
ruolo del proprietario non formalmente committente).
2.2 La decisione impugnata ha correttamente individuato
nello ST., proprietario del manufatto, uno dei soggetti
responsabili dell'abuso anche perché committente e, dunque,
formalmente incluso nel novero dei soggetti imputabili ai
sensi dell'art. 6 del D.P.R. 380/2001: la motivazione resa
sul punto si sottrae a qualsiasi censura, anche perché
basata su un ruolo attivo svolto dallo STABILE intento
-secondo quanto è dato leggere nella sentenza impugnata- ad
effettuare degli scavi con mezzi propri.
2.3 I rilievi difensivi contenuti nell'atto di impugnazione
sono, sul punto, oltre che inconsistenti, anche generici in
quanto non indicano elementi dai quali trarre il
convincimento di una totale estraneità dello ST.
all'attività edilizia
3. Parimenti inconsistente la tesi enunciata da entrambi i
ricorrenti della irrilevanza sotto il profilo penale della
mancata esposizione del cartello indicante il titolo
abilitativo e i nominativi dei soggetti professionali
incaricati dell'esecuzione delle opere: diversamente da
quanto sostenuto dagli imputati, la mancata
esposizione del cartello indicante gli estremi del titolo
abilitativo edilizio ove prescritto dal regolamento edilizio
o dal provvedimento concessorio, integra il reato di cui
agli artt. 27, comma 4° e 44, lett. a) del D.P.R. 380/2001,
così come lo integra l'esposizione in modo non visibile del
cartello medesimo. La ragione della valenza penale della
condotta deriva dalla continuità normativa in cui si pone
l'art. 29 del D.P.R. 380/2001 rispetto all'ormai abrogato
art. 6 della L. 47/1985 che prevedeva e sanzionava ab
origine la condotta vietata di cui si parla
(vds. sul punto, tra le tante, Sez. 3^ 07.04.2006 n. 16037,
Bianco, Rv. 234330; idem, 22.05.2012 n. 40118, Zago e altri,
Rv. 253673) (Corte
di Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 04.06.2013 n. 1784 - data udienza). |
anno 2012 |
|
EDILIZIA
PRIVATA:
Esposizione
cartello di cantiere e finalità.
L'obbligo di apposizione del cartello di cantiere, avente
lo scopo di rendere edotti i terzi circa i titoli edilizi
rilasciati ed i nominativi dei responsabili dell'attività
edilizia in corso, non può ritenersi esclusivamente
finalizzato a consentire ad eventuali controinteressati di
far valere le proprie pretese innanzi all'autorità
amministrativa.
In considerazione dei rischi per l'incolumità individuale
collegati allo svolgimento della attività nel cantiere, deve
ritenersi, al contrario, che la finalità cui assolve il
suddetto obbligo sia quella di indicare i soggetti
responsabili, nel caso in cui durante lo svolgimento delle
attività di cantiere derivino danni nei confronti di terzi
(Corte di Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 11.10.2012 n. 40118 - tratto da
www.lexambiente.it).
---------------
Rilevato:
- che, con sentenza del 30.03.2011, il Tribunale di Prato ha
dichiarato Za.Lu., Ne.Te., Ol.Br.Ma.Pi. e Me.Fr., colpevoli
del reato di cui agii artt. 110 c.p. e 44, lett. a), del
D.P.R. n. 380 del 2001, perché in concorso tra loro, il
primo in qualità di committente, il secondo in qualità di
materiale esecutore del lavori, il terzo ed il quarto in
qualità di direttore dei lavori di cui alla DIA n. 3003 del
27.04.2006 e successiva comunicazione di inizio lavori del
22.01.2007, davano corso ad interventi edilizi presso un
immobile ubicato a Montemurio, non esponendo all'esterno
dell'area di cantiere il prescritto cartello indicante i
titoli edilizi rilasciati ed nominativi dei responsabili
dell'attività edilizia in corso, ciò in violazione delle
norme regolamentari edilizie del Comune di Montemurio, in
Montemurio, in corso d'opera il 24.05.2007, e per l'effetto,
concesse le attenuanti generiche, li ha condannati alla pena
di euro 1.000 di ammenda ciascuno;
- che, avverso la sentenza, gli imputati hanno proposto,
tramite il proprio difensore, ricorso per cessazione
deducendo la violazione di legge.
Il combinato disposto degli art. 27, comma 4, e 44, lett.
a), del D.P.R. n. 380 del 2001 collegherebbe la sanzione
penale alla mancata apposizione dei cartello prescritto ma
non alla circostanza che esso non sia visibile. Pertanto, il
giudice di prime cure ritenendo integrata la fattispecie
anche a fronte della mancata visibilità del cartello avrebbe
interpretato analogicamente la fattispecie penale, dal
momento che il concetto di apposizione non implica quello di
visibilità. D'altra parte l'opposizione dei cartello sarebbe
finalizzata a consentire ai terzi interessati di impugnare
l'autorizzazione amministrativa nel termine di sessanta
giorni, e non di tutelare altri interessi come erroneamente
ritenuto nella sentenza impugnata; di conseguenza, nel caso
concreto, l'apposizione del cartello prescritto non avrebbe
potuto soddisfare alcuna finalità, poiché al momento del
sopralluogo il suddetto termine di impugnazione era già
decorso.
Infine, il giudice non avrebbe potuto ritenere responsabili
della violazione contestata anche i soggetti diversi dal
direttore del lavori, sul quale solo graverebbe la
responsabilità per inottemperanza alle disposizioni
contenute nella concessione e nelle disposizioni
regolamentari locali.
Considerato:
- che, li ricorso è manifestamente infondato, atteso che non
può essere accolta la prospettazione difensiva, secondo la
quale l'interpretazione del giudice di merito risulterebbe
estendere la portata della fattispecie incriminatrice di cui
al combinato disposto degli artt. 27, comma 4, e 44, lett.
a), del D.P.R. n. 380 del 2001, per l'ovvia considerazione
che l'apposizione del prescritto cartello è finalizzato ad
esporre al pubblico i titoli edilizi rilasciati ed i
nominativi del responsabili dell'attività edilizia in corso,
e dunque a renderli visibili. Infatti, l'art. 27, comma 4,
del citato D.P.R. dispone che "gli ufficiali ed agenti di
polizia giudiziario, ove nei luoghi in cui vengono
realizzate le opere non sta esibito il permesso di costruire
ovvero non sia apposto il prescritto cartello [...] ne danno
immediata comunicazione all'Autorità Giudiziaria", con
ciò individuando uno specifico obbligo, l'apposizione del
cartello, finalizzato allo scopo di rendere edotti i terzi
circa i titoli edilizi rilasciati ed i nominativi dei
responsabili dell'attività edilizia in corso.
L'esposizione del cartello, invero, non può ritenersi
esclusivamente finalizzata a consentire ad eventuali
controinteressati far valere le proprie pretese innanzi
all'autorità amministrativa; in considerazione dei rischi
per l'incolumità individuale collegati allo svolgimento
delle attività nel cantiere, deve ritenersi, al contrario,
che la finalità cui assolve il suddetto obbligo sia quella
di indicare i soggetti responsabili, nel caso in cui durante
lo svolgimento delle attività di cantiere derivino danni nei
confronti di terzi;
- che, il giudice di merito ha ritenuto accertato, in base
ai rilievi fotografici allegati in atti, che
il cartello
recante le indicazioni relative ai titoli edilizi rilasciati
ed i nominativi del responsabili dell'attività edilizia in
corso, non era presente o comunque non era visibile
all'esterno dell'area del cantiere, in violazione delle
norme regolamentari edilizie del Comune di Montemurio;
- che, si tratta dl una accertamento di fatto congruamente
motivato, e pertanto insindacabile in questa sede;
- che, come ritenuto da questa Corte (Sez. 3, Sentenza n.
16037 del 07/04/2006, Bianco, Rv. 234330), l'obbligo di
esposizione del cartello deve porsi a carico del titolare
del permesso di costruire, del direttore dei lavori e
dell'esecutore delle opere, per cui anche l'ultima censura
risulta manifestamente infondata;
- che, pertanto, il ricorso va dichiarato inammissibile e i
ricorrenti devono essere condannati, ex art. 616 c.p.p.,
ciascuno ai pagamento delle spese processuali ed al
pagamento della somma di mille euro in favore della Cassa
delle ammende. |
EDILIZIA
PRIVATA:
Permesso di costruire e prescrizioni da
osservare. E' reato non dire quando iniziano i lavori
edilizi ed il nome di chi li esegue.
Rientra tra le prescrizioni previste dal permesso di
costruire, la cui inosservanza integra il reato di cui
all'art. 44, comma primo, lett. a), d.P.R. 06.06.2001, n.
380, anche l'obbligo di comunicazione della data di inizio
lavori e del nominativo dell'impresa costruttrice.
La Suprema Corte si pronuncia per la prima volta, con la
sentenza in commento, su una questione particolare che
investe un reato invero non molto approfondito nella
giurisprudenza di legittimità, quello previsto e sanzionato
dall'art. 44, comma primo, lett. a), del d.P.R. 06.06.2001,
n. 380.
La Corte, nell'affrontare il tema sottoposto alla sua
attenzione, ha affermato che la fattispecie di inosservanza
delle prescrizioni contenute nel titolo edilizio, da tale
disposizione sanzionata, è applicabile anche nel caso in cui
chi abbia ottenuto il rilascio del titolo edilizio non
provveda a comunicare all'autorità comunale il nominativo
della ditta esecutrice dei lavori ovvero non indichi quando
questi ultimi avranno inizio.
Il fatto
La vicenda processuale che ha costituito l'occasione per la
Cassazione per occuparsi della questione giuridica in esame,
traeva origine da una condanna inflitta al titolare di un
permesso di costruire il quale, anche nella qualità di
committente dei lavori per la realizzazione di un complesso
residenziale, aveva eseguito la demolizione di alcuni
fabbricati preesistenti, senza osservare le prescrizioni
contenute nel titolo abilitativo che, in particolare,
imponevano la comunicazione, con congruo anticipo, della
data di inizio lavori e del nominativo dell'impresa
costruttrice, ritenendo dunque integrata la violazione della
lett. a) dell'art. 44 del T.U. edilizia.
Il ricorso
Il verdetto veniva confermato dal giudice chiamato a
pronunciarsi sull'opposizione al decreto penale di condanna
emesso in prima battuta dal G.i.p., così costringendo
l'imputato ha proporre ricorso per cassazione contro la
condanna alla pena dell'ammenda inflittagli. In particolare,
il ricorrente deduceva la violazione di legge rilevando che,
per errore, il giudice di merito aveva ritenuto sussistere
la violazione in esame per la violazione delle prescrizioni
contenute nel permesso di costruire, in realtà non
effettivamente inerenti l'attività edilizia, da individuarsi
tenendo conto del disposto dell'art. 3 del d.P.R. n. 380 del
2001.
La decisione della Cassazione
La Corte Suprema ha, però, disatteso la tesi difensiva,
ritenendo, invece, configurabile il reato in esame in caso
di violazione delle prescrizioni contenute nel titolo
abilitativo edilizio quali, in particolare, quelle relativa
alla mancata comunicazione del nominativo della ditta
esecutrice dei lavori e della data di inizio di questi
ultimi.
Come di consueto è utile, per il lettore, un breve
inquadramento normativo della questione.
L'art. 44, comma primo, lett. a) del d.P.R. 06.06.2001, n.
380, prevede "Salvo che il fatto costituisca più grave
reato e ferme le sanzioni amministrative" l'applicazione
della pena dell'ammenda fino a 10.329 euro per
l'inosservanza delle norme, prescrizioni e modalità
esecutive previste dal presente titolo, in quanto
applicabili, nonché dai regolamenti edilizi, dagli strumenti
urbanistici e dal permesso di costruire".
La giurisprudenza di legittimità, già sotto la vigenza della
legge n. 47 del 1985 (che, all'art. 20, lett. a), conteneva
una previsione di identico contenuto), aveva affermato che
la disposizione in esame ha un contenuto estremamente
generico e si presta ad una pluralità indiscriminata di
utilizzazioni con conseguente insufficienza della
interpretazione letterale, se non altro perché urta con il
principio della tassatività delle fattispecie legali penali.
Da qui, dunque, la necessità di procedere alla delimitazione
dell'ambito applicativo della fattispecie in esame, facendo
in particolare riferimento alla collocazione di esso in un
contesto normativo volto a disciplinare l'attività edilizia.
In base alla ratio che si enuclea da tale contesto,
secondo la Cassazione "le norme, prescrizioni e modalità
esecutive" indicate dalla lett. a) devono intendersi
riferite soltanto a quelle regole di condotta che sono
direttamente afferenti all'attività edilizia (Cass., Sez.
III, n. 8965 del 23/05/1990, dep. 21/06/1990, imp. G., in
Ced Cass., n. 184671, fattispecie relativa ad annullamento,
perché il fatto non è preveduto dalla legge come reato, di
sentenza con la quale il pretore aveva motivato il giudizio
di colpevolezza ritenendo che l'apposizione di insegna
luminosa all'esterno di un esercizio commerciale è
disciplinata dal regolamento edilizio ed, essendo attinente
alla estetica edilizia urbana, la relativa mancanza di
autorizzazione prevista dal medesimo regolamento si traduce
nella violazione della lett. a).
Le Sezioni Unite penali della Cassazione, peraltro, ebbero
modo di affermare, sotto la vigenza dell'abrogata
fattispecie dell'art. 20 della legge n. 47 del 1985, che
l'art. 4, comma quarto, l. 28.02.1985 n. 47 prevede due
obblighi a carico di coloro che costruiscono:
1) la tenuta in cantiere della concessione edilizia;
2) la esposizione di un cartello contenente gli estremi
della concessione e degli autori dell'attività costruttiva.
La violazione di tali obblighi è penalmente sanzionata a
norma della lett. a), ma solo a condizione che gli stessi
siano espressamente previsti dai regolamenti edilizi o dalla
concessione (Cass., Sez. U, n. 7978 del 29/05/1992, dep.
14/07/1992, P.M. in proc. Aramini ed altro, in Ced Cass., n.
191176).
Sempre le Sezioni Unite penali, con una decisione
altrettanto importante (Cass., Sez. U, n. 11635 del
12/11/1993, dep. 21/12/1993, P.M. in proc. Borgia ed altri,
in Ced Cass., n. 195358), ebbero ad affermare che la
previsione della lett. a), configura una ipotesi di norma
penale in bianco, atteso che per la determinazione del
precetto viene fatto rinvio a dati prescrittivi, tecnici e
provvedimentali, di fonte extrapenale.
Il precetto, infatti, comprende, oltre alle parziali
difformità delle opere eseguite, la violazione degli
strumenti urbanistici e del regolamento edilizio,
l'inosservanza delle prescrizioni della concessione edilizia
e l'inosservanza delle modalità esecutive dell'opera
risultanti dai suddetti strumenti e dalla concessione
edilizia stessa, oltre che dalla legge.
La Cassazione, nella medesima occasione, ha rilevato che
l'accertamento che il giudice penale è chiamato a compiere
con riferimento alla suddetta fattispecie contravvenzionale
consiste nel verificare la conformità tra l'ipotesi di
fatto, ossia l'opera eseguenda od eseguita, e la fattispecie
legale, quale risultante dagli elementi extrapenali indicati
in massima.
Più di recente, la Corte ha precisato che le inosservanze
penalmente sanzionate dalla lett. a) devono riguardare la
condotta di trasformazione urbanistica o edilizia del
territorio, non potendosi estendere il campo di applicazione
della norma sanzionatoria a violazioni afferenti ad
adempimenti amministrativi; per tale ragione, ha escluso che
rientrasse tra le prescrizioni, la cui inosservanza integra
il reato di cui all'art. 44, comma primo lett. a), d.P.R. n.
380 del 2001, la presentazione, da parte del committente o
del responsabile dei lavori appaltati, del documento unico
di regolarità contributiva delle imprese o dei lavoratori
autonomi (cosiddetto D.U.R.C.), prima che abbiano inizio i
lavori oggetto del permesso di costruire o della denuncia di
inizio attività (Cass., Sez. III, n. 21780 del 27/04/2011,
dep. 31/05/2011, imp. C. e altro, in Ced Cass., n. 250390).
Tenuto conto dell'esegesi della norma in questione, ben può
comprendersi la soluzione offerta dalla Suprema Corte nel
caso in esame.
Ed infatti, la specifica prescrizione, contenuta nel
permesso di costruire, che obbligava a comunicare con
congruo anticipo la data di inizio lavori e la ditta
assuntrice degli stessi aveva certamente attinenza con
l'attività edilizia, in quanto scopo della comunicazione è
quello di agevolare la verifica, da parte
dell'amministrazione comunale, dell'inizio dell'intervento
nei termini e consentire una tempestiva verifica
sull'attività edilizia posta in essere.
Non si tratta dunque, come sottolineano gli Ermellini, di
una semplice formalità amministrativa, ma di un adempimento
strettamente connesso ai contenuti ed alle finalità del
permesso di costruire ed agli obblighi di vigilanza di cui
all'art. 27 T.U. edilizia, imposti al dirigente ed al
responsabile dell'ufficio comunale competente, cosicché la
correlazione con l'attività edilizia assentita risulta del
tutto evidente (commento tratto da www.ipsoa.it - Corte di
Cassazione civile,
sentenza 23.02.2012 n. 7070 - sentenza tratta da
www.lexambiente.it). |
anno 2009 |
|
EDILIZIA PRIVATA:
MANCATA ESPOSIZIONE DEL CARTELLO DI CANTIERE: E' ANCORA
REATO.
Dall’art. 27, comma 4, del D.P.R. n.
280/2001 si ricava che l’obbligo di esposizione del cartello
di cantiere continua ad essere penalmente sanzionato anche
in base al predetto Testo unico se tale prescrizione è
imposta dal regolamento comunale o dal permesso di
costruire.
Il ricorrente, già condannato per il reato di cui alla lett.
a) dell’art. 44 T.U. edilizia, per non avere affisso -in
qualità di committente di alcune opere edilizie assistite da
regolare permesso di costruire- il prescritto cartello
contenente le indicazioni sul cantiere, lamenta l’erronea
applicazione della legge penale, giacché il reato in
discorso sarebbe stato abrogato con il passaggio dalla L. n.
47/1985 al Testo unico del 2001.
La Corte rigetta tuttavia il ricorso, ritenendo che
l’obbligo in esame sia ancora stabilito e penalmente
sanzionato dalle norme del Testo unico.
In effetti, nella L. n. 47/1985, detto obbligo era
espressamente stabilito dall’art. 4, comma 4, e sanzionato
dalla lett. a) dell’art. 20, comma 1, e dette norme sono
state abrogate dall’art. 146 del citato T.U. Cionondimeno la
persistenza sostanziale del medesimo obbligo risulta
dall’art. 27, comma 4, del nuovo testo legislativo, il quale
espressamente stabilisce che la P.G. debba dare immediata
comunicazione all’A.G. qualora, nel contesto delle attività
di controllo di un cantiere edilizio, ad essa non sia
esibito il permesso di costruire ovvero si verifichi la
mancata apposizione del prescritto cartello.
Da ciò deriva che, qualora l’obbligo di affissione sia
comunque stabilito dal regolamento comunale o dal titolo
abilitativo, l’inottemperanza resta punita dalla lett. a)
dell’art. 44 citato (Corte
di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 09.12.2009 n.
46832 -
Urbanistica e appalti n. 6/2010). |
EDILIZIA
PRIVATA - TRIBUTI:
Imposta sui cartelli edili.
I cartelli edili informativi, obbligatori ai sensi dell'art.
9 dpr 447/1991 e circolare 1729/UL del 1990, scontano
l'imposta di pubblicità quando eccedono il mezzo metro
quadrato.
Il concetto è stato ribadito con sentenza 24.02.2009 n.
59/1/09 dalla ctp di Reggio Emilia.
Il ricorso riguardava una società edile di persone, che si
opponeva all'avviso di accertamento per imposta comunale
della pubblicità. Tale avviso era stato emesso per un
cartello esposto presso un cantiere, obbligatorio, ai sensi
del citato art. 9 dpr 447/1991 e della circolare 1729/UL del
1990. La normativa vigente impone l'obbligo di esporre,
presso ogni cantiere apposito cartello con l'indicazione dei
soggetti che prendono parte alle opere ivi eseguite.
La parte ricorrente eccepiva che l'esposizione del cartello
doveva essere interpretata nel senso di adeguamento a tale
obbligo previsto dalla normativa, non costituendo tale
esposizione, quindi, alcuna forma di pubblicità, ovvero da
ricomprendersi fra le attività previste in esenzione ai
sensi dell'art. 17, comma 1, dlgs 507/1993.
Con proprie controdeduzioni, la società concessionaria,
parte resistente, insisteva sulla regolarità
dell'accertamento, argomentando, nel merito, che il cartello
esposto all'esterno del cantiere, da parte della società
edile, conteneva un chiaro messaggio pubblicitario ed era di
dimensioni maggiori al mezzo metro quadrato. Tale
argomentazioni erano suffragate, dalla parte resistente,
tramite apposita documentazione fotografica allegata alle
controdeduzioni depositate.
La commissione tributaria di Reggio Emilia, udite le parti
in pubblica udienza, ribadisce che le insegne appartenenti
alla società ricorrente, assolvono un obbligo regolamentare,
cosi come stabilito dal dpr 447/1991, contemporaneamente,
però, è fuor di dubbio che rappresentano anche un messaggio
pubblicitario.
Dall'avviso di accertamento della società concessionaria,
continua la commissione, nonché dalla documentazione
fotografica allegata, si evince che il cartello esposto ha
dimensioni superiori al mezzo metro quadrato. Dimensioni che
eccedono quelle stabilite per fruire dell'esenzione (articolo
ItaliaOggi del 26.03.2009, pag. 30). |
anno 2006 |
|
EDILIZIA PRIVATA:
Mancata esposizione del cartello di cantiere.
L’articolo 4, comma 4, della legge
47/1985 è stato abrogato dal TU edilizia, ma la violazione
dell’obbligo di esposizione del cartello di cantiere e di
esibizione della concessione edilizia (ora permesso di
costruire) ma il suo contenuto è stato sostanzialmente
riprodotto nell’articolo 27, comma quarto, del predetto TU
dal contenuto del quale emerge che la violazione continua ad
essere sanzionata ove gli obblighi predetti siano imposti
dal regolamento edilizio o dal permesso di costruire.
---------------
Il ricorso è infondato.
Invero la L. n. 47 del 1985, art. 20, comma 1, lettera a),
riprodotto nella D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, ferma
restando l'applicazione di eventuali sanzioni
amministrative, sanziona con l'ammenda l'inosservanza delle
norme, prescrizioni e modalità esecutive previste dalla
legge nonché dai regolamenti edilizi, dagli strumenti
urbanistici e dalla concessione.
Secondo le Sezioni unite di questa Corte la previsione
contenuta nella norma citata configura un'ipotesi di norma
penale in Bianco, posto che per la determinazione del
precetto viene fatto rinvio a dati prescrittivi, tecnici e
provvedimentali di fonte extrapenale. Il precetto infatti
comprende oltre alle parziali difformità delle opere
eseguite, anche la violazione del regolamento edilizio
nonché l'inosservanza delle prescrizioni della concessione
edilizia e delle modalità esecutive (Cass. Sez. Un.
21.12.1993 n. 11635).
La L. 28.02.1985, n. 47, art. 4, comma 4, prevedeva due
obblighi a carico di coloro che costruivano: la tenuta in
cantiere della concessione edilizia e l'esposizione di un
cartello contenente gli estremi della concessione e degli
autori dell'attività costruttiva. La violazione di tale
obbligo era sanzionata penalmente dalla legge anzidetta,
art. 20, comma 1, lettera a), (Cass. Sez. Un. 14.07.1992 n.
7978; Cass. Sez. 3^, 05.10.1994 n. 10435). Tale norma è
stata abrogata, con decorrenza dalla data di entrata in
vigore del testo unico dell'edilizia, dal citato testo
unico, art. 146, ma il suo contenuto è stato riprodotto
sostanzialmente nel testo unico, art. 27, comma 4.
Quest'ultima norma dispone infatti: "Gli ufficiali ed
agenti di polizia giudiziaria, ove nei luoghi in cui vengono
realizzate le opere non sia esibito il permesso di costruire
ovvero non sia apposto il prescritto cartello.........ne
danno immediata comunicazione all'autorità
giudiziaria,......".
Orbene da tale disposizione emerge che l'obbligo di
esposizione del cartello continua ad essere penalmente
sanzionato anche in base al testo unico se tale prescrizione
è imposta dal regolamento o dal permesso di costruire. I
soggetti responsabili dell'apposizione del cartello, che
nella fattispecie era prevista, sia dal regolamento edilizio
che dalla stessa concessione che richiamava il regolamento,
sono quelli già indicati nella L. n. 47 del 1985, articolo
6, comma 1, della ossia il titolare della concessione, il
committente, il costruttore ed il direttore dei lavori.
La sentenza citata dal ricorrente (la n. 5149 del 2003) non
limita la responsabilità al solo direttore dei lavori, come
erroneamente ritenuto dal ricorrente. Si legge invero alla
pag. 2 della citata sentenza "Ai sensi della L. n. 47 del
1985, art. 6, comma 1, il direttore dei lavori, unitamente
agli altri destinatari del precetto in Bianco (il titolare
della concessione, il committente, il costruttore) risponde
penalmente ai sensi dell'articolo 20, lettera a), del
rispetto delle prescrizioni della concessione e delle
relative modalità esecutive,tra le quali rientra,ove
previsto nell'atto amministrativo o nelle disposizioni
regolamentari locali (come nella specie non si contesta),
l'obbligo di esposizione del cartello in questione".
Il regolamento comunale, quale atto amministrativo, non
poteva abrogare norme penali limitando la responsabilità
dell'apposizione del cartello a carico del solo direttore
dei lavori (Corte
di Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 11.05.2006 n. 16037 -
link a www.lexambiente.it). |
anno 1994 |
|
EDILIZIA PRIVATA:
Obbligo di esposizione del cartello con gli estremi della
concessione edilizia - Sul luogo di una costruzione -
Violazione - Reato configurabile - Condizioni - Fattispecie.
La violazione dell'obbligo di
esposizione, sul luogo di una costruzione, del cartello
indicante gli estremi della concessione edilizia integra il
reato di cui all'art. 20, lett. a), legge 28.02.1985, n. 47,
qualora il regolamento edilizio o la concessione lo
prescrivano espressamente.
Nella specie, relativa a rigetto di ricorso del P.M. avverso
sentenza di assoluzione, il Pretore aveva osservato che
mancava la prova della contestata violazione non avendo
l'accusa prodotto in atti la concessione edilizia di cui si
assumeva violata la prescrizione relativa alla mancata
esposizione (Corte
di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 28.06.1994 n.
10435). |
anno 1992 |
|
EDILIZIA PRIVATA:
Mancata esposizione in cantiere del cartello.
L'art. 4, quarto comma, L. 28.02.1985,
n. 47 prevede due obblighi a carico di coloro che
costruiscono: la tenuta in cantiere della concessione
edilizia e la esposizione di un cartello contenente gli
estremi della concessione e degli autori dell'attività
costruttiva.
La violazione di tali obblighi è penalmente sanzionata a
norma dell'art. 20, primo comma, lett. a, della detta legge,
ma solo a condizione che gli stessi siano espressamente
previsti dai regolamenti edilizi o dalla concessione.
Nell'affermare il principio di cui in massima, la Cassazione
ha altresì evidenziato che l'art. 20, primo comma, lett. a,
legge n. 47 del 1985 è una cosiddetta norma penale in
bianco, in quanto mentre la sanzione è determinata, il
precetto ha un carattere generico, stante il rinvio ad un
dato esterno - concessione, regolamento edilizio) (Corte
di Cassazione, Sezz. Unite penali, sentenza 29.05.1992 n.
7978). |
|