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approfondimenti vedi anche:
A.N.AC. (già Autorità Vigilanza Contratti Pubblici)
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Partenariato Pubblico Privato - MEF/RGS
* * *
A.N.AC. (massimario
dell'Autorità) - A.N.AC. (massimario
di giurisprudenza) |
anno 2015 |
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dicembre 2015 |
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APPALTI SERVIZI:
G. Gambardella,
I servizi pubblici locali con particolare riferimento al
servizio di gestione dei rifiuti solidi urbani ((Rassegna
Avvocatura dello Stato n. 4/2015).
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SOMMARIO: 1. I servizi pubblici locali: profili
generali - 2. Servizi pubblici locali a rilevanza economica
e servizi privi di tale rilevanza - 3. Recenti interventi
legislativi sulle modalità di affidamento dei servizi
pubblici locali: dall’art. 23-bis del d.l. 25.06.2008 n. 112
all’art. 4 del d.l. n. 13.08.2011 n. 138 ed al decreto
Milleproroghe ”modifiche alla disciplina dei servizi
pubblici locali - 3.1 L’iniziativa referendaria e la
sentenza della Corte Costituzione del 26.01.2011, n. 24.
L’esito del referendum e la disciplina applicabile - 3.2 La
disciplina introdotta dall’art. 4 del d.l. n. 13.08.2011 n.
138 - 4. Brevi considerazioni sui rifiuti urbani e il loro
impatto sull’ambiente - 5. Nozioni introduttive dei rifiuti
solidi urbani. Disciplina comunitaria nazionale e regionale
- 6. Competenze statali, regionali, provinciali e comunali,
delle Camere di Commercio e delle ASL in materia ambientale
con particolare riferimento alla gestione dei rifiuti solidi
urbani - 7. Distinzione tra rifiuti urbani e rifiuti
speciali - 8. La gestione dei rifiuti: profili storici fino
all’entrata in vigore del testo unico - 8.1 La gestione dei
rifiuti prima del D.P.R. 10.09.1982 n. 915 - 8.2 La legge
20.03.1941 n. 366 sullo smaltimento dei rifiuti solidi
urbani - 9. I Principi della gestione dei rifiuti - 10. La
riforma della gestione dei rifiuti solidi urbani - 11.
Conclusioni. |
APPALTI:
Gare d'appalto, il Consiglio di Stato chiarisce
sull'indicazione degli oneri di sicurezza aziendale. Vanno
indicati anche quando il bando non lo prevede.
a) in tutte le
gare di appalti di lavori, servizi e forniture, le imprese
devono indicare in sede di offerta economica gli oneri di
sicurezza aziendali (c.d. costi di sicurezza interni); tale
obbligo integra un precetto imperativo che etero integra la
legge di gara, ove questa sia silente sul punto o comunque
compatibile con esso, nel rispetto del ‘principio di
tassatività attenuata’ delle cause di esclusione, sancito
dall’art. 46 del codice dei contratti pubblici;
b) nel caso di mancata indicazione degli oneri di sicurezza
aziendali, non sono legittimamente esercitabili i poteri
attinenti al soccorso istruttorio, anche per le procedure
nelle quali la fase della presentazione delle offerte si è
conclusa (come nel caso di specie) prima della pubblicazione
della decisione dell’Adunanza Plenaria n. 3 del 2015.
---------------
7. L’appello è
infondato e deve essere respinto alla stregua delle seguenti
considerazioni in fatto e diritto (e in particolare dei
principi elaborati dalle sentenze dell’Adunanza plenaria nn.
9 del 2015, 3 del 2015, 16 del 2014 e 9 del 2014, cui si
rinvia ai sensi dell’art. 120, co. 10, c.p.a.):
a) in tutte le gare di appalti di lavori, servizi e
forniture, le imprese devono indicare in sede di offerta
economica gli oneri di sicurezza aziendali (c.d. costi di
sicurezza interni); tale obbligo integra un precetto
imperativo che etero integra la legge di gara, ove questa
sia silente sul punto o comunque compatibile con esso, nel
rispetto del ‘principio di tassatività attenuata’
delle cause di esclusione, sancito dall’art. 46 del codice
dei contratti pubblici;
b) nel caso di mancata indicazione degli oneri di sicurezza
aziendali, non sono legittimamente esercitabili i poteri
attinenti al soccorso istruttorio, anche per le procedure
nelle quali la fase della presentazione delle offerte si è
conclusa (come nel caso di specie) prima della pubblicazione
della decisione dell’Adunanza Plenaria n. 3 del 2015;
c) nella vicenda in esame:
I) il bando di gara (e in particolare il Modello D) non ha imposto
di non esplicitare, da parte dell’impresa concorrente, i
costi di sicurezza aziendali (anzi il Modello D ha
specificato, nelle avvertenze sub lett. a), che la
dichiarazione relativa all’offerta economica doveva essere
compilata adeguandola alla fattispecie);
II) in ogni caso, quand’anche si dovesse ritenere che il bando di
gara abbia escluso l’obbligo delle imprese di indicare i
costi di sicurezza aziendale in sede di offerta, in parte
qua esso è stato espressamente impugnato dalla ditta Servizi
(sicché per tale ipotesi non si può che disporre
l’annullamento in parte qua del bando, nel senso del suo
adeguamento alle disposizioni di legge, quale fonte del
dovere dell’Amministrazione di disporre l’esclusione
dell’appellante)
(Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 30.12.2015 n. 5873 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI SERVIZI:
Speciali «trattabili».
Cds su appalti nel settore del gas.
A un appalto sotto soglia Ue, bandito da un soggetto
operante in un settore «speciale», sono applicabili soltanto
i principi del Trattato e non tutto il codice dei contratti
pubblici.
È quanto ha affermato il Consiglio di Stato, Sez. V,
con la
sentenza 23.12.2015 n. 5824 relativa a una
gara di appalto per l'affidamento di tre lotti di lavori nel
settore del gas (considerato dalle norme nazionali e europee
come «settore speciale»).
In particolare, il problema affrontato dai giudici
riguardava l'applicabilità alla gara del secondo comma
dell'articolo 48 del codice dei contratti pubblici che
impone di chiedere all'aggiudicatario e al secondo
classificato la comprova dei requisiti dichiarati in sede di
gara. Era successo che gli aggiudicatari dei tre lotti non
avevano trasmesso entro il termine di dieci giorni la
documentazione integrativa richiesta dalla stazione
appaltante.
I giudici negano che sia applicabile l'articolo 48 partendo
dalla presa d'atto che la gara, riguardante un contratto
pubblico in uno dei settori speciali di importo inferiore
alla soglia comunitaria era soggetto all'articolo 238 del
codice dei contratti pubblici per il quale (comma 1) si
applicano alle sole amministrazioni aggiudicatrici (e non ai
soggetti operanti nei «settori speciali» dell'acqua, energia
e trasporti come dettagliate dagli articoli dal 208 a 213
del codice) le disposizioni della parte III del codice che
riguardano gli appalti di lavori, forniture e servizi di
rilevanza nazionale.
Il secondo comma della stessa norma stabilisce invece che ai
soggetti operanti nei settori «speciali» (prima detti
«esclusi»), siano esse le imprese pubbliche o soggetti
titolari di diritti speciali e esclusivi, si devono
applicare soltanto i principi dettati dal Trattato Ce a
tutela della concorrenza.
La verifica va quindi fatta rispetto alle regole interne che
la stazione appaltante si è data, cioè rispetto ai suoi
regolamenti che non hanno la rigidità prevista dalla
normativa generale sulle procedure di aggiudicazione degli
appalti pubblici.
Nel caso specifico, la sentenza ha affermato che non assurge
al rango di «principio» la disciplina della scansione
temporale delle operazioni di verifica dei requisiti dei
partecipanti alla gara e quindi l'invio tardivo della
documentazione non può inficiare l'aggiudicazione
(articolo ItaliaOggi dell'08.01.2016). |
COMPETENZE GESTIONALI - LAVORI PUBBLICI: La
programmazione delle opere pubbliche è modificabile,
dall’ente locale, sulla base di nuove considerazioni
attinenti alla migliore gestione dell’interesse pubblico,
nell’esercizio del potere di autotutela.
Ne deriva che il Comune interessato è legittimato a porre in
essere quanto necessario per mutare gli atti della propria
programmazione.
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3. La controversia concerne gli atti con i quali il Comune
appellato ha interrotto il procedimento di cui in narrativa,
riguardante la procedura aperta per l’affidamento della
progettazione esecutiva e dell’esecuzione dei lavori di
realizzazione del nuovo polo scolastico di Via Gavazzi –
Viale Italia, che impegnava l’importo a base d’asta di €.
9.038.000,00 (di cui €. 105.000,00 per oneri della sicurezza
non soggetti a ribasso), revocando l’aggiudicazione
provvisoria già disposta in favore dell’odierna appellante e
procedendo a nuova programmazione delle opere pubbliche.
L’appello è infondato.
3.1. Non è fondata la censura di incompetenza della Giunta
Comunale a disporre l’impugnata revoca.
E’ vero che la programmazione delle opere pubbliche rientra
nella competenza del Consiglio Comunale, ma l’operato del
Comune appellato non ha violato tale riparto di competenze.
Deve essere rilevato che l’atto di revoca è stato uno dei
primi provvedimenti della Giunta da poco insediatasi dopo il
rinnovo del Consiglio Comunale.
La Giunta ha preso atto del fatto che una somma di
notevolissimo rilievo era impegnata per l’intervento di cui
ora si discute; deve essere osservato che in quel momento
non era stato stipulato il contratto di appalto e anzi non
si era nemmeno concluso il procedimento di aggiudicazione.
La Giunta ha ritenuto l’impegno di spesa manifestamente
eccessivo e ha avviato gli atti necessari per una nuova
programmazione.
In tale situazione di fatto, è evidente che la conclusione
del procedimento di aggiudicazione avrebbe reso impossibile,
o quanto meno ben più complicata, la modifica della
programmazione del Comune.
Nella descritta situazione di fatto, ragionevolmente la
Giunta ha proceduto alla revoca della procedura in corso,
attuando quindi una sorta di “misura di salvaguardia”
necessaria per non pregiudicare l’esercizio della potestà
programmatoria del Comune e consentire l’esercizio
dell’amplissima discrezionalità, propria di tali scelte.
Potrebbe essere sostenuto che le misure di salvaguardia sono
provvedimenti cautelari, che giustificano la sospensione,
non l’arresto definitivo del procedimento.
Peraltro, tale argomentazione non è stata proposta
dall’appellante e appare di dubbia applicabilità in
relazione alle procedure di affidamento degli appalti
pubblici, nelle quali le offerte hanno un termine massimo di
validità.
In ogni modo, tale argomentazione non è in concreto
rilevante nel caso in esame, in quanto il problema è stato
superato dalla successiva modifica della programmazione
delle opere pubbliche.
Nello stesso ordine di idee, deve essere respinta la
doglianza relativa alla violazione dell’art. 11, primo
comma, del d.lgs. 12.04.2006, n. 163, dedotta rilevando che
gli atti di revoca della gara sono in contrasto con la
programmazione delle opere pubbliche allora vigente.
E’ evidente, infatti, che tale programmazione è
modificabile, dall’ente locale, sulla base di nuove
considerazioni attinenti alla migliore gestione
dell’interesse pubblico, nell’esercizio del potere di
autotutela; di conseguenza, il Comune è legittimato a porre
in essere quanto necessario per mutare gli atti della
propria programmazione.
Con gli atti concernenti la revoca della precedente gara, il
Comune non ha modificato il programma delle opere pubbliche,
ma ha invece posto in essere atti preordinati a tale
modifica, di fatto poi disposta, a tale scopo impedendo il
formarsi di preclusione al dispiegamento delle sue potestà
discrezionali.
L’argomentazione deve quindi essere disattesa
(massima tratta da http://renatodisa.com -
Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 23.12.2015 n. 5823
- link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Fattura elettronica: emissione e pagamento.
DOMANDA:
Il consorzio per la gestione dei rifiuti emette fattura di
servizio smaltimento al comune datata 09.12.2014. La fattura
per un disguido non viene inviata al comune solo dopo
verifica il consorzio invia il documento in forma cartacea
in data 14.09.2015.
Il comune può pagare tale fattura in formato cartaceo o deve
necessariamente chiedere la trasformazione in fattura
elettronica?
RISPOSTA:
Va innanzitutto detto che le fatture cartacee emesse
antecedentemente al 31.03.2015, benché il comma 210
dell’art. 1 della L. 244/2007 sembri escluderlo, sono
comunque pagabili anche dopo il 30.06.2015 senza le
necessità di riemettere i medesimi documenti in formato
elettronico. Queste sono le istruzioni rese dal MEF,
Dipartimento delle Finanze, con la circolare 1/DF del
31.03.2015.
Si riporta il passaggio che qui interessa: “…l'emissione
di una seconda fattura in formato elettronico a fronte di
una fattura correttamente e legittimamente emessa in formato
cartaceo non e' consentito dalla normativa IVA. Non sarebbe,
infatti, possibile emettere note di credito a storno delle
fatture cartacee già emesse perché queste ultime non
presenterebbero alcuno dei vizi che ne permettono una
rettifica ai fini IVA. Conseguentemente, ove allo scadere
del termine di cui al comma 210 una pubblica amministrazione
stesse ancora processando una fattura emessa in forma
cartacea prima dello scadere del termine di cui al comma
209, l'amministrazione dovrà senz'altro portare a compimento
il relativo procedimento e, ove sussistano tutte le altre
condizioni, procedere al pagamento”.
Detto ciò, poiché nel quesito si fa riferimento ad una
fattura non inviata, è necessario puntualizzare che per la
legge IVA una fattura si ha per emessa quando all'atto della
sua consegna, spedizione, trasmissione o messa a
disposizione del cessionario o committente. Il che significa
che se il Consorzio nel 2014 non ha consegnato, spedito o
trasmesso la fattura al Comune, ma soltanto redatto il
documento, l’emissione è inesistente e pertanto il medesimo
dovrà procedere all’emissione della fattura elettronica ai
fini del pagamento (link a www.ancirisponde.ancitel.it). |
LAVORI PUBBLICI:
Il premio di accelerazione.
DOMANDA:
Nel momento in cui si configura l’ipotesi di provvedere a
riconoscere un premio di accelerazione di cui all'art. 145
del DPR 207/2010, per un appalto di lavori pubblici,
correttamente previsto sia nel Capitolato Speciale d’appalto
che nella lex specialis di gara, e nel contratto
d’appalto, si chiede se l’importo determinato da
corrispondere debba essere assoggettato a IVA o meno.
RISPOSTA:
Mentre le penali per ritardata consegna dei lavori, o per
altra violazione contrattuale, sono escluse dal campo di
applicazione dell’IVA per espressa previsione dell’art. 15
del DPR 633/1972, il premio accelerazione ex art. 145 del
DPR 207/2010 non può che essere assoggettato ad IVA secondo
i principi generali IVA fissati dal 1° comma dell’art. 13
del medesimo decreto, con la stessa aliquota prevista per
l’esecuzione ordinaria dell’opera.
Si tratta, infatti di somma che concorre alla formazione
dell’ammontare complessivo dei corrispettivi dovuti al
cedente o prestatore secondo le condizioni contrattuali
(link a www.ancirisponde.ancitel.it). |
APPALTI:
I requisiti per la gara.
DOMANDA:
Questa Stazione appaltante ha pubblicato il bando pubblico
prot. n. del 09.10.2015 per l’affidamento in concessione, ai
sensi dell’art. 30 del D.Lgs. n. 163/2006 e s.m.i. e con il
criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, del
servizio di ripristino delle condizioni di sicurezza e
viabilità stradale post incidente.
Tra i requisiti di
partecipazione ha chiesto anche il possesso all’iscrizione
all’Albo Nazionale dei Gestori Ambientali per la categoria
“bonifica dei siti contaminati” nonché il possesso della
certificazione di conformità delle attività della Sala
operativa secondo le norme UNI EN 15838/2010 e UNI
11200/2010.
Con determinazione Reg. Gen. 866 del 26.10.2015,
a seguito osservazioni presentate da due operatori economici
in merito all’iscrizione all’Albo Nazionale dei Gestori
Ambientali per la categoria “bonifica dei siti contaminati”,
nonché il possesso della certificazione di conformità delle
attività della Sala operativa, requisiti ritenuti troppo
restrittivi e quindi lesivi della concorrenza e del favor partecipazionis, si è stabilito di sospendere i termini di
presentazione dell’offerta fissati per il giorno 06.11.2015 per approfondire l’argomento.
Con determinazione Reg.
Gen. n del 04.11.2015 sono stati riaperti i termini di
presentazione dell’offerta, fissati per il 27.11.2015,
mantenendo integrale il bando prot. n. del 09.10.2015 per i
seguenti motivi: 1. che i requisiti oggetto di osservazione
sono stati richiesti da altri Comuni in procedure di gara
analoghe; 2. che il territorio comunale è attraversato dalla
S.R. F, strada a traffico sostenuto soprattutto nei fine
settimana e strada alternativa in caso di chiusura
temporanea della A4 tra il casello M. e quello di F., con
passaggio anche di mezzi pesanti che trasportano materiali
inquinanti.
Con la riapertura dei termini sono pervenute
altre osservazioni da parte di operatori economici del
settore sempre in merito ai requisiti suddetti.
Questa
Stazione appaltante con determinazione Reg. Gen. n. del
20.11.2015 ha stabilito di ritirare in autotutela
amministrativa, ai sensi della legge n. 241/1990 e s.m.i., il
bando pubblico prot. n. allo scopo di approfondire
ulteriormente la materia e favorire la massima
partecipazione degli operatori economici del settore ed
evitare possibili ricorsi innanzi al Tribunale
Amministrativo con conseguenti spese di giudizio a carico
dell’Ente e tempi lunghi per la definizioni delle
controversie.
Alla luce di quanto sopra esposto si chiede un
parere in merito a quali siano i requisiti minimi da
chiedere agli operatori economici per partecipare alla
procedura in argomento il cui valore economico è stato
quantificato in complessivi € 10.000,00 per una durata della
concessione di anni due.
RISPOSTA:
Su fattispecie analoga a quella sottoposta a questo ufficio
di consulenza si è espressa l'Autorità Nazionale
Anticorruzione (Anac), con Parere n. 128 del 06/06/2014 al
cui contenuto integrale si rinvia.
Per quanto di maggior
attinenza al caso di specie, l'Anac ha ricordato che, con
specifico riguardo all’appalto di pulizia delle strade a
seguito di incidenti, la giurisprudenza ha censurato
l’irragionevolezza della lex specialis di gara che richieda
l’iscrizione all’Albo Nazionale Gestori Ambientali per
l’attività di bonifica ambientale dei siti inquinati, sul
rilievo che la bonifica esula dalla competenza dell’ente
proprietario della strada ed incombe, di regola, sul
soggetto che ha causato l’inquinamento; viceversa, per
l’esecuzione degli ordinari interventi di pulizia delle
strade e ripristino della viabilità, non sarebbero necessari
così stringenti requisiti di qualificazione tecnica, tali da
equiparare impropriamente il servizio di pulizia e
ripristino alla bonifica di un sito inquinato (cfr. TAR
Sicilia, Palermo, sez. III, 04.02.2011 n. 227; CGA
Sicilia, sez. giurisdiz., 15.12.2011 n. 998).
Da parte
sua, l’Autorità ha affermato l’illegittimità di un’analoga
clausola, precisando tuttavia che la congruità e la
ragionevolezza della qualificazione prescritta dal bando di
gara devono sempre essere vagliate in concreto, ponendo
attenzione alla natura delle prestazioni effettivamente
rimesse all’appaltatore secondo la disciplina contrattuale
predisposta dall’amministrazione, con riguardo all’oggetto
dell’appalto ed alle sue specifiche peculiarità (cfr. A.V.C.P., parere 21.03.2012 n. 42).
A tal fine andrebbero
verificate le operazioni di ripristino delle condizioni di
sicurezza stradale previste, in concreto, nel capitolato di
gara.
Nel parere, l'Autorità suggerisce di inserire nel
disciplinare di gara una clausola più flessibile, come ad
esempio "l'iscrizione Albo Nazionale Gestori Ambientali alla
categoria 1 ed almeno classe F, oppure categoria 1 limitata
per attività di spazzamento meccanizzato Classe F”.
E' pur
vero, però, nell'ottica richiamata, che se il disciplinare
di gara dovesse prevedere che l’affidatario del servizio
effettui anche “interventi straordinari”, quali il
trattamento di sversamenti di materiale pericoloso,
inquinante o tossico in quantità tale da richiedere la
bonifica del territorio, oppure il recupero di materiali
trasportati dispersi a seguito di incidente e non facilmente
allontanabili dalla carreggiata, il requisito di iscrizione
contestato (iscrizione all’Albo Nazionale dei Gestori
Ambientali per la categoria “bonifica dei siti contaminati”)
non sarebbe né illogico, né incongruente.
Si rimette
pertanto all'amministrazione una valutazione in merito alla
congruità e alla ragionevolezza dei requisiti prescritti in
rapporto alla natura delle prestazioni richieste in concreto
all’appaltatore (link a www.ancirisponde.ancitel.it). |
APPALTI:
Il codice identificativo di gara.
DOMANDA:
In riferimento all'art. 3 della legge 136/2010 e alla
Determinazione ex AVCP 4/2011 (utilizzo di c/c dedicato -
attribuzione di codice CIG), si chiede parere in ordine
all'obbligo di attribuzione del codice identificativo gara e
al rispetto degli obblighi in materia di tracciabilità per
le seguenti fattispecie di spesa:
1) spedizione di atti giudiziari tramite Poste Italiane Spa,
pagamento mensile (€ 5.000,00 circa) a presentazione di
fattura elettronica;
2) spese di custodia veicoli rimossi ai sensi del CdS
giacenti presso le depositerie autorizzate, importo del
corrispettivo disposto dalla Prefettura (legge di stabilità
2014 che ha previsto procedura straordinaria per
l'alienazione dei veicoli giacenti presso le depositerie
autorizzate ai sensi del DPR 571/1982), da pagare alla
depositeria a presentazione di fattura elettronica;
3) rimborso spese ad Associazioni di volontariato che
collaborano con la Polizia Municipale in servizi di tutela
ZTL, supporto in occasione di manifestazioni, presidio
davanti alle scuole negli orari di entrata uscita alunni.
RISPOSTA:
1) L’art. 4 del d.lgs. 261/1999, nel testo risultante a
seguito delle modifiche apportate dall’art. 1 del d.lgs.
58/2011, prevede che i servizi inerenti le notificazioni di
atti a mezzo posta connesse con la notificazione di atti
giudiziari di cui alla legge 20.11.1982, n. 890 nonché i
servizi inerenti le notificazioni a mezzo posta di cui
all’art. 201 del decreto legislativo 30.04.1992, n. 285
(violazioni in materia di codice della strada) sono affidati
in regime di esclusiva al fornitore designato del servizio
universale, Poste Italiane, per finalità di ordine pubblico.
Ciò significa che -a differenza di altri servizi postali-
quello di invio di atti giudiziari non deve essere affidato
tramite procedura ad evidenza pubblica, che richiederebbe
l'adempimento degli obblighi in materia di tracciabilità
(cfr. Linee guida per l’affidamento degli appalti pubblici
di servizi postali emanate dall'Anac con Deliberazione n. 3
del 09.12.2014).
2) Il Ministero delle Finanze - Dipartimento del Territorio,
con circolare n. 73620 del 30.06.1998, ha elencato i
requisiti soggettivi ed oggettivi che debbono essere
posseduti dai depositari custodi di beni demaniali e dalle
relative depositerie, ai fini dell‘individuazione delle
stesse da parte del Prefetto ai sensi dell'art. 8 del DPR.
29.07.1982 n. 571, che prevede una ricognizione annuale dei
soggetti, pubblici e privati, abilitati a svolgere il
servizio in parola.
Anche successivamente all'introduzione dell'art. 214-bis del
Codice della Strada, i Prefetti devono continuare a
predisporre annualmente, ai sensi dell‘art. 8 del DPR.
571/1982, l'elenco delle depositerie autorizzate alla
custodia dei veicoli sequestrati (cfr. circolare n. 50/06
Ministero dell'Interno - Dipartimento per gli Affari Interni
e Territoriali del 13.12.2006).
Il contratto per l'affidamento del servizio di recupero,
custodia e acquisto di veicoli oggetto dei provvedimenti di
sequestro amministrativo, fermo o confisca ai sensi
dell'art. 214-bis del d.lgs. 30/04/1992 n. 285, è stipulato
col soggetto risultato affidatario nell'ambito di una
procedura di gara ad evidenza pubblica, nell'ambito della
quale è richiesto l'adempimento degli obblighi in materia di
tracciabilità (utilizzo di c/c dedicato - attribuzione di
codice CIG).
3) Le convenzioni stipulate con associazioni di volontariato
rientrano nella disciplina di cui alla legge n. 136/2010
(obbligo di tracciabilità per consentire la trasparenza
delle operazioni finanziarie relative all’utilizzo del
corrispettivo dei contratti pubblici di appalto), nel caso
in cui rivestano carattere oneroso per l’amministrazione
procedente.
Le suddette convenzioni non rientrano nella disciplina di
cui alla legge n. 136/2010, nel caso in cui rivestano
carattere non oneroso per l’amministrazione procedente e
prevedano solo il riconoscimento di un rimborso spese non
forfettario (cfr. FAQ sulla Tracciabilità dei flussi
finanziari pubblicate dall'ANAC in data 21.05.2014) (link a
www.ancirisponde.ancitel.it). |
APPALTI:
Nei contratti sottoscritti con la pubblica amministrazione è
richiesta la forma scritta, fatta eccezione per quelli
conclusi in ambito commerciale. Tra queste figure negoziali
non rientra però l'appalto di opere pubbliche, né l'«appalto
in variante».
I contratti conclusi dalla P.A.,
richiedendo la forma scritta ad substantiam (quindi con
esclusione di qualsivoglia manifestazione di volontà
implicita o desumibile da comportamenti meramente
attuativi), devono essere consacrati in un unico documento
-nel quale siano indicate le clausole disciplinanti il
rapporto e la volontà della Amministrazione sia manifestata
dall'organo rappresentativo dell'ente- salvo che la legge
non autorizzi espressamente la conclusione a distanza, a
mezzo di corrispondenza, come nell'ipotesi eccezionale,
prevista dall'art. 17 del r.d. n. 2240 del 1923, di
contratti conclusi con ditte commerciali.
Tra tali contratti non rientra quello di appalto di opere
pubbliche, per il quale, attesa anche la necessità di
accordi specifici e complessi, deve escludersi che il
consenso possa formarsi sulla base di scritti successivi
atteggiantisi come proposta e accettazione fra assenti.
Tale principio non è in contrasto con quanto affermato da
questa stessa Corte (Sez. 1) nella Sentenza n. 10069
del 2008 atteso che, nel caso richiamato,
si è trattato di un appalto in variante, ossia di quella
limitatissima ipotesi di modificazione della base
contrattuale, laddove è stato ritenuto sufficiente il
rispetto delle condizioni previste dall'art. 342 della legge
20.03.1865, n. 2248, all. F., ossia la presenza dell'ordine
del direttore dei lavori e l'intervenuta successiva
approvazione dell'ente pubblico.
Infatti, il contratto di appalto di
00.PP. non può formarsi attraverso gli atti prenegoziali
proprio del diritto comune e ciò non per ragioni di natura
formale ma di tipo sostanziale, essendo necessario che opere
corrispettivi di un certo rilievo, con spesa a carico delle
casse pubbliche, devono avere certezza della esatta
consistenza ed articolazione dei lavori nonché delle risorse
stanziate per il loro pagamento, con forme e tempi
precisamente stabiliti.
---------------
1. Con il primo
mezzo di ricorso principale (violazione e falsa applicazione
dell'art. 17 RD n. 2240 del 1923, degli artt. 1362, 1367 e
1371 c.c., 1988 c.c. e 2033 c.c.), la società sportiva pone
il seguente quesito di diritto: «Statuisca l'Ecc.ma Corte
adita se, in presenza di uno scambio di dichiarazioni
negoziali provenienti dal Sindaco di un Comune e dal legale
rappresentante di una società di capitali, operanti un
rinvio per relationem alle previgenti condizioni contenute
in alcune delibere della GM, debba ritenersi avvenuta e
regolarizzata l'instaurazione del rapporto obbligatorio ai
sensi dell'art. 17 del RD n. 2420 del 1923, tenuto conto del
collegamento esistente tra il rapporto negoziale e
l'attività di produzione di servizi in precedenza esercitata
dalla società stessa e della conformità del rapporto
negoziale alla prassi commerciale invalsa nel settore».
1.1. Con esso si lamenta, anzitutto, una violazione di
legge, quella della norma di cui all'art. 17 RD n. 2240 del
1923, applicabile anche ai Comuni, essendovi stato
l'incontro dei consensi delle due parti in ordine alla
conferma «del previgente rapporto» e non ostandovi la
materia oggetto della negoziazione.
...
11. Il primo motivo del ricorso principale non è fondato in
quanto esso contrasta con i principi di diritto già
affermati da questa Corte e che escludono
l'applicabilità della disposizione invocata come violata dal
giudice distrettuale ai pubblici appalti.
11.1. Questa Corte ha affermato il principio di diritto, a
cui occorre dare continuità in questa sede, per essere esso
ancora valido e pienamente fondato, secondo cui
i contratti conclusi dalla P.A., richiedendo la
forma scritta ad substantiam (quindi con esclusione
di qualsivoglia manifestazione di volontà implicita o
desumibile da comportamenti meramente attuativi), devono
essere consacrati in un unico documento -nel quale siano
indicate le clausole disciplinanti il rapporto e la volontà
della Amministrazione sia manifestata dall'organo
rappresentativo dell'ente- salvo che la legge non autorizzi
espressamente la conclusione a distanza, a mezzo di
corrispondenza, come nell'ipotesi eccezionale, prevista
dall'art. 17 del r.d. n. 2240 del 1923, di contratti
conclusi con ditte commerciali; tra tali contratti non
rientra quello di appalto di opere pubbliche, per il quale,
attesa anche la necessità di accordi specifici e complessi,
deve escludersi che il consenso possa formarsi sulla base di
scritti successivi atteggiantisi come proposta e
accettazione fra assenti
(Cass. Sez. 1, sentt. nn. 59 del 2001e 7297 del 2009).
11.2. Né tale principio è in contrasto con quanto affermato
da questa stessa Corte (Sez. 1) nella Sentenza n.
10069 del 2008 atteso che, nel caso
richiamato, si è trattato di un appalto in variante, ossia
di quella limitatissima ipotesi di modificazione della base
contrattuale, laddove è stato ritenuto sufficiente il
rispetto delle condizioni previste dall'art. 342 della legge
20.03.1865, n. 2248, all. F., ossia la presenza dell'ordine
del direttore dei lavori e l'intervenuta successiva
approvazione dell'ente pubblico.
11.3. Infatti, il contratto di appalto di
00.PP. non può formarsi attraverso gli atti prenegoziali
proprio del diritto comune e ciò non per ragioni di natura
formale ma di tipo sostanziale, essendo necessario che opere
corrispettivi di un certo rilievo, con spesa a carico delle
casse pubbliche, devono avere certezza della esatta
consistenza ed articolazione dei lavori nonché delle risorse
stanziate per il loro pagamento, con forme e tempi
precisamente stabiliti
(Corte di Cassazione, Sez. I civile,
sentenza
22.12.2015 n. 25798). |
APPALTI: Dall’art.
125, commi 10 e 11, del codice dei contratti pubblici
si ricava che:
1) il cottimo fiduciario è una procedura negoziata in cui le
acquisizioni avvengono mediante affidamento a terzi (art.
125, comma 4);
2) l'acquisizione in economia di beni e servizi è ammessa in
relazione all'oggetto e ai limiti di importo delle singole
voci di spesa, preventivamente individuate con provvedimento
di ciascuna stazione appaltante, con riguardo alle proprie
specifiche esigenze. Il ricorso all'acquisizione in economia
è altresì consentito nelle seguenti ipotesi:
a) risoluzione di un precedente rapporto contrattuale, o in
danno del contraente inadempiente, quando ciò sia ritenuto
necessario o conveniente per conseguire la prestazione nel
termine previsto dal contratto;
b) necessità di completare le prestazioni di un contratto in
corso, ivi non previste, se non sia possibile imporne
l'esecuzione nell'ambito del contratto medesimo;
c) prestazioni periodiche di servizi, forniture, a seguito
della scadenza dei relativi contratti, nelle more dello
svolgimento delle ordinarie procedure di scelta del
contraente, nella misura strettamente necessaria;
d) urgenza, determinata da eventi oggettivamente
imprevedibili, al fine di scongiurare situazioni di pericolo
per persone, animali o cose, ovvero per l'igiene e salute
pubblica, ovvero per il patrimonio storico, artistico,
culturale (art. 125, comma 10);
3) Per servizi o forniture di importo pari o superiore a
quarantamila euro e fino alle soglie di cui al comma 9,
l'affidamento mediante cottimo fiduciario avviene nel
rispetto dei principi di trasparenza, rotazione, parità di
trattamento, previa consultazione di almeno cinque operatori
economici, se sussistono in tale numero soggetti idonei,
individuati sulla base di indagini di mercato ovvero tramite
elenchi di operatori economici predisposti dalla stazione
appaltante. Per servizi o forniture inferiori a quarantamila
euro, è consentito l'affidamento diretto da parte del
responsabile del procedimento. (art. 125, comma 11).
Dal quadro normativo sopra tracciato sono, dunque,
sostanzialmente enucleabili due ipotesi che
legittimano il ricorso al cottimo: una che contempla
la previa regolamentazione da parte della stazione
appaltante, e l’altra che discende da alcune
situazioni contingenti o urgenti direttamente e
tassativamente individuate dal legislatore.
---------------
L’appello è infondato.
L’unico motivo di censura proposto, è incentrato –in
diritto- sulla pretesa esperibilità della procedura di
cottimo fiduciario quando, come nel caso di specie,
l’appalto di servizi sia sotto soglia, giusto quanto
asseritamente previsto dall’art. 125, comma 11, del codice
dei contratti pubblici. Il giudice di prime cure avrebbe
dunque errato nell’applicare, in luogo del comma 11 cit., la
norma “limitativa” di cui al comma 10, che invece
prevede specifici e stringenti presupposti.
L’argomentazione non può essere condivisa.
E’ sufficiente, in proposito, una rapida rassegna delle
norme citate. Dalle stesse si ricava che:
1) il cottimo fiduciario è una procedura negoziata in cui le
acquisizioni avvengono mediante affidamento a terzi (art.
125, comma 4);
2) l'acquisizione in economia di beni e servizi è ammessa in
relazione all'oggetto e ai limiti di importo delle singole
voci di spesa, preventivamente individuate con provvedimento
di ciascuna stazione appaltante, con riguardo alle proprie
specifiche esigenze. Il ricorso all'acquisizione in economia
è altresì consentito nelle seguenti ipotesi:
a) risoluzione di un precedente rapporto contrattuale, o in danno
del contraente inadempiente, quando ciò sia ritenuto
necessario o conveniente per conseguire la prestazione nel
termine previsto dal contratto;
b) necessità di completare le prestazioni di un contratto in corso,
ivi non previste, se non sia possibile imporne l'esecuzione
nell'ambito del contratto medesimo;
c) prestazioni periodiche di servizi, forniture, a seguito della
scadenza dei relativi contratti, nelle more dello
svolgimento delle ordinarie procedure di scelta del
contraente, nella misura strettamente necessaria;
d) urgenza, determinata da eventi oggettivamente imprevedibili, al
fine di scongiurare situazioni di pericolo per persone,
animali o cose, ovvero per l'igiene e salute pubblica,
ovvero per il patrimonio storico, artistico, culturale (art.
125, comma 10);
3) Per servizi o forniture di importo pari o superiore a
quarantamila euro e fino alle soglie di cui al comma 9,
l'affidamento mediante cottimo fiduciario avviene nel
rispetto dei principi di trasparenza, rotazione, parità di
trattamento, previa consultazione di almeno cinque operatori
economici, se sussistono in tale numero soggetti idonei,
individuati sulla base di indagini di mercato ovvero tramite
elenchi di operatori economici predisposti dalla stazione
appaltante. Per servizi o forniture inferiori a quarantamila
euro, è consentito l'affidamento diretto da parte del
responsabile del procedimento. (art. 125, comma 11).
Dal quadro normativo sopra tracciato sono, dunque,
sostanzialmente enucleabili due ipotesi che
legittimano il ricorso al cottimo: una che contempla
la previa regolamentazione da parte della stazione
appaltante, e l’altra che discende da alcune
situazioni contingenti o urgenti direttamente e
tassativamente individuate dal legislatore.
Nessuna delle ipotesi citate, però, ricorre nel caso di
specie, e la circostanza non è contestata. Ciò che invece è
contestata in sede di gravame è unicamente la mancata
applicazione del comma 11.
Ma il comma 11 non individua una diversa e peculiare
procedura sganciata dai presupposti legittimanti,
limitandosi piuttosto a dettare regole di evidenza minimali
–maggiormente elastiche rispetto al sopra soglia ed al sotto
soglia ordinario di cui all’art. 124– dedicate proprio a
disciplinare il cottimo fiduciario ove esso costituisca
opzione consentita dal comma 10.
Ne consegue che in mancanza di adeguata motivazione circa il
ricorrere dei presupposti, più volte citati, la scelta della
procedura di cottimo è illegittima, come esattamente già
affermato dal giudice di prime cure.
L’appello è pertanto respinto
(Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 21.12.2015 n. 5808 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Ai fini della partecipazione alle gare di appalto
la fattispecie dell’affitto di azienda rientra tra quelle
che soggiacciono all’obbligo di rendere dichiarazioni di cui
all’art. 38, comma 1, lettera c), del dlgs n. 163/2006
riguardante anche gli amministratori e direttori tecnici
dell’impresa cedente nel caso in cui sia intervenuta
un’operazione di cessione di azienda in favore del
concorrente nell’anno anteriore alla pubblicazione del
bando.
---------------
A fronte della obbligatorietà ex lege della dichiarazione
relativa alla posizione della impresa cedente,
l’inosservanza di un tale onere documentale comporta la
esclusione dalla gara del soggetto concorrente, ancorché la
misura espulsiva non sia stata espressamente contemplata
dalla lex specialis di gara.
Neppure appare configurabile l’esperimento del c.d. soccorso
istruttorio di cui all’art. 46 dlgs n. 163/2006 ai fini di
ottenere una sorta di sanatoria della inadempienza
documentale di che trattasi.
Invero, come chiarito di recente dall’Adunanza Plenaria, in
presenza di un obbligo dichiarativo ex lege non può trovare
spazio la regolarizzazione disposta dalla stazione
appaltante, non essendo consentita la produzione tardiva
della dichiarazione mancante o la sanatoria della forma
omessa.
Insomma questo Consesso ha avuto modo più volte di
sconfessare la c.d. teoria del falso innocuo o
sostanzialistica ponendo l’accento sulla necessità degli
obblighi dichiarativi e sul valore della completezza delle
dichiarazioni in sede di offerta, corollario di principi di
matrice comunitaria come quelli della trasparenza, par
condicio tra i partecipanti e proporzionalità.
---------------
Dal comportamento contra legem tenuto dalla stazione
appaltante deriva un danno alla posizione dalla concorrente,
appunto per mancata aggiudicazione, che può trovare ristoro
in forma specifica, con la riasssegnazione
dell’aggiudicazione in favore dell’appellante Società e
subentro nel contratto illegittimamente stipulato.
In ipotesi poi di sostanziale non praticabilità del subentro
nel rapporto contrattuale, stante il tempo trascorso e lo
stato di avanzamento dei lavori nel frattempo eseguiti,
dovrà essere riconosciuto alla Società appellante il
risarcimento per equivalente.
In particolare venendo alla quantificazione del
risarcimento, trattandosi di danno da mancata aggiudicazione
dell’appalto esso va commisurato alle utilità economiche che
la Società ha perduto a causa della mancata esecuzione del
contratto.
Spetta quindi alla suindicata Società:
- l’utile effettivo che la stessa avrebbe conseguito se
fosse risultata aggiudicataria quale risultante dall’offerta
economica presentata in sede di gara;
- il danno c.d. curriculare dovuto alla perdita della
possibilità di arricchire il proprio curriculum
professionale, da liquidarsi in via equitativa in una somma
pari al 5% sull’importo del’appalto.
Spettano, ancora all’appellante, gli interessi legali sulle
predette somme progressivamente e via via rivalutate, dalla
data di stipula sino alla liquidazione del danno, in
funzione compensativa della mancata disponibilità del denaro
a titolo di risarcimento danno.
---------------
L’appello è fondato e va, pertanto, accolto.
Il Tar con il decisum qui in contestazione avalla la
legittimità dell’operato della stazione appaltante e
aderisce in particolare ad una impostazione sostanzialistica
della problematica relativa all’art. 38 codice del dei
contratti, nel senso di ritenere che l’inosservanza
dell’obbligo dichiarativo può portare alla esclusione dalla
gara solo se è prevista dal bando.
Nella specie, soggiunge sempre il primo giudice, il bando di
gara non prevedeva in modo specifico che la dichiarazione
fosse riferita anche all’amministratore di un’azienda
acquisita né correlava l’incompletezza della dichiarazione
alla sanzione espulsiva, sicché, secondo il TAR, non doveva
essere disposta l’esclusione della Sa..
Le argomentazioni e conclusioni del Tribunale amministrativo
piemontese non sono condivisibili.
E’ pacifico in punto di fatto che Sa. nel partecipare alla
gara non ha inserito nella propria offerta le dichiarazioni
ex art. 38 citato relative anche all’amministratore unico
della Ne.Sy. e al Direttore tecnico della stessa, pur avendo
dalla stessa Società preso il fitto d’azienda, intervenuto,
in particolare, tre mesi prima della pubblicazione del bando
di gara.
In relazione a tale indiscussa circostanza l’indagine
giuridica da condursi da parte del Collegio non può non
interessare i seguenti punti e cioè:
- se con riferimento alle prescrizioni normative (art. 38
dlgs n. 163/2006) e di quelle recate dalla lex specialis
di gara la Sa. avrebbe dovuto o meno rendere la
dichiarazione ex art. 38 più volte citato relativamente alla
società dalla quale aveva affittato l’azienda;
- se la manchevolezza in cui è incorsa Sa.,una volta
accertato l’obbligo a rendere la dichiarazione nei sensi di
cui sopra, costituiva causa giustificativa di esclusione
dalla gara oppure siffatta “irregolarità” era
sanabile con l’attivazione, come poi di fatto avvenuto, del
c.d. soccorso istruttorio.
Ora, avuto riguardo alla questione sub a) questa Sezione non
può non richiamare il principio giurisprudenziale
costantemente affermato (Cons. Stato Sez. 05/11/2014 n.
5470) e di recente ribadito da questa Sezione proprio in
occasione della definizione del parallelo giudizio
instaurato per controversia all’esame (sentenza n. 4100 del
01/09/2015) secondo il quale: “ai fini della
partecipazione alle gare di appalto la fattispecie
dell’affitto di azienda rientra tra quelle che soggiacciono
all’obbligo di rendere dichiarazioni di cui all’art. 38,
comma 1, lettera c), del dlgs n. 163/2006 riguardante anche
gli amministratori e direttori tecnici dell’impresa cedente
nel caso in cui sia intervenuta un’operazione di cessione di
azienda in favore del concorrente nell’anno anteriore alla
pubblicazione del bando”.
Sul punto poi è utile altresì rammentare quanto sancito
dall’Adunanza Plenaria con le pronunce n. 10 e 21 del 2012,
secondo cui l’obbligo dichiarativo ex art. 38 scaturisce
direttamente dalla legge.
Da tale assunto “maggiore” deriva anche la soluzione
della questione sub b), nel senso che, a fronte della
obbligatorietà ex lege della dichiarazione relativa
alla posizione della impresa cedente, l’inosservanza di un
tale onere documentale comporta la esclusione dalla gara del
soggetto concorrente, ancorché la misura espulsiva non sia
stata espressamente contemplata dalla lex specialis
di gara.
Neppure appare configurabile l’esperimento del c.d. soccorso
istruttorio di cui all’art. 46 dlgs n. 163/2006 ai fini di
ottenere una sorta di sanatoria della inadempienza
documentale di che trattasi.
Invero, come chiarito di recente dall’Adunanza Plenaria con
sentenza n. 9 del 24/02/2014, in presenza di un obbligo
dichiarativo ex lege non può trovare spazio la
regolarizzazione disposta dalla stazione appaltante, non
essendo consentita la produzione tardiva della dichiarazione
mancante o la sanatoria della forma omessa.
Insomma questo Consesso ha avuto modo più volte di
sconfessare la c.d. teoria del falso innocuo o
sostanzialistica ponendo l’accento sulla necessità degli
obblighi dichiarativi e sul valore della completezza delle
dichiarazioni in sede di offerta, corollario di principi di
matrice comunitaria come quelli della trasparenza, par
condicio tra i partecipanti e proporzionalità (cfr Cons.
Stato n. 21/2012 già citata; idem Sez. III 06/02/2014 n.
583).
Conclusivamente la carenza di dichiarazione fatta registrare
dalla controinteressata Società Sa. costituisce violazione
di un obbligo prescritto dalla legislazione che regge a
monte la gara di che trattasi; e l’inverarsi di tale
omissiva circostanza, come fondatamente eccepito dalla parte
appellante, avrebbe dovuto produrre l’adozione della misura
sanzionatoria di esclusione dalla procedura concorsuale a
carico dell’attuale appellata.
L’Amministrazione appaltante a seguito di una non consentita
integrazione documentale ha confermato l’aggiudicazione
della gara con la determina n. 1 del 19.01.2015 dell’appalto
de quo in favore di Sa. e non v’è dubbio che un tale
provvedimento, per quanto sopra esposto, si appalesa
illegittimo e va perciò annullato.
Per completezza della trattazione della causa va esaminata
l’eccezione di inammissibilità dell’appello sollevata ex
adverso dalla difesa della Sa..
Secondo l’attuale appellata, El.Go. si è limitata ad
impugnare il provvedimento di conferma dell’aggiudicazione
senza gravare gli atti della procedura ed in particolare il
verbale della seduta del 01/07/2014 in cui la Sa. è stata
ammessa alla procedura di gara.
L’eccezione è infondata.
In primo luogo deve rilevarsi come l’attuale appellante ha
conseguito favorevolmente la definizione dell’originaria
impugnazione della determina n. 13/2014 di aggiudicazione
della gara e tale decisum (sentenza n. 190/2015 ) è
stata confermata in appello dal Consiglio di Stato con
sentenza 4100/2015 con conseguente formazione del giudicato.
In ogni caso alcun onere di specifica impugnazione del
verbale di ammissione alla gara di Sa. può ravvisarsi in
capo ad El.Go., trattandosi di atto endoprocedimentale e
nemmeno lesivo delle proprie posizioni, avuto riguardo al
fatto che allo stato l’esito della gara era ancora del tutto
incerto, sicché anche sotto un profilo pratico non v’era da
impugnare (all’epoca) alcunché.
L’appello va accolto anche in relazione alla domanda
risarcitoria.
Invero dal comportamento contra legem tenuto dalla
stazione appaltante deriva un danno alla posizione dalla
concorrente, appunto per mancata aggiudicazione, che può
trovare ristoro in forma specifica, con la riasssegnazione
dell’aggiudicazione in favore dell’appellante Società e
subentro nel contratto illegittimamente stipulato.
In ipotesi poi di sostanziale non praticabilità del subentro
nel rapporto contrattuale, stante il tempo trascorso e lo
stato di avanzamento dei lavori nel frattempo eseguiti,
dovrà essere riconosciuto alla Società appellante il
risarcimento per equivalente.
In particolare venendo alla quantificazione del
risarcimento, trattandosi di danno da mancata aggiudicazione
dell’appalto esso va commisurato alle utilità economiche che
El.Go. ha perduto a causa della mancata esecuzione del
contratto (Cons. Stato Sez. VI 05/05/2015 n. 4283).
Spetta quindi alla suindicata Società:
- l’utile effettivo che El.Go. avrebbe conseguito se fosse
risultata aggiudicataria quale risultante dall’offerta
economica presentata in sede di gara (Cons. Stato n.
4283/2015 citata);
- il danno c.d. curriculare dovuto alla perdita della
possibilità di arricchire il proprio curriculum
professionale (Cons. Stato Sez. VI 09/06/2008 n. 1751), da
liquidarsi in via equitativa in una somma pari al 5%
sull’importo del’appalto.
Spettano, ancora all’appellante, gli interessi legali sulle
predette somme progressivamente e via via rivalutate, dalla
data di stipula sino alla liquidazione del danno, in
funzione compensativa della mancata disponibilità del denaro
a titolo di risarcimento danno.
Per le suesposte considerazioni l’appello, in quanto fondato
va accolto in relazione sia agli aspetti impugnatori che
risarcitori, con integrale riforma dell’impugnata sentenza (Consiglio
di Stato, Sez. IV,
sentenza 21.12.2015 n. 5803 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Dalla lettura
dell’art. 38, lett. c), codice dei contratti emerge come, ai
fini dell’esclusione dalla partecipazione dalle procedure,
in caso di sentenza ex art. 444 c.p.p. la condanna riportata
dai soggetti non deve essere passata in giudicato o divenuta
irrevocabile.
Infatti, mentre nelle altre due ipotesi previste, sentenza
di condanna o decreto penale, è lo stesso legislatore che
prescrive la necessità che questi siano passati in giudicato
o divenuti irrevocabili, nel caso di patteggiamento nulla in
questo senso è previsto.
Tale scelta del legislatore –che probabilmente deriva dal
fatto che nel patteggiamento vi è un’ammissione di
responsabilità con non contestazione dei fatti addebitati–
risulta all’evidenza laddove lo stesso legislatore, parla
esclusivamente di “sentenza di applicazione della pena su
richiesta, ai sensi dell'articolo 444 del codice di
procedura penale”, senza prevedere la necessità che questa
sia divenuta irrevocabile.
Tuttavia, in base a quanto sopra detto, è da ritenere che
anche la sentenza di patteggiamento non divenuta
irrevocabile deve essere dichiarata in base al disposto
dell’art. 38, con la conseguenza che la dichiarazione, resa
in sede di partecipazione, di assenza di condanne definitive
nei confronti del legale rappresentante, in presenza,
all’opposto, di una sentenza di patteggiamento, anche se
ancora non divenuta irrevocabile, è, una dichiarazione
mendace, per ciò solo costituente legittima causa di
esclusione dalla gara.
---------------
Il ricorso è
fondato.
La lettera di invito dell’appalto in questione richiede, ai
fini dell’ammissione alla gara, che i partecipanti
presentino la dichiarazione ex art. 38 codice dei contratti.
Per l’art. 38, lett. c), codice dei contratti “Sono
esclusi dalla partecipazione alle procedure di affidamento
delle concessioni e degli appalti di lavori, forniture e
servizi, né possono essere affidatari di subappalti, e non
possono stipulare i relativi contratti i soggetti: c) nei
cui confronti è stata pronunciata sentenza di condanna
passata in giudicato, o emesso decreto penale di condanna
divenuto irrevocabile, oppure sentenza di applicazione della
pena su richiesta, ai sensi dell'articolo 444 del codice di
procedura penale, per reati gravi in danno dello Stato o
della Comunità che incidono sulla moralità professionale; è
comunque causa di esclusione la condanna, con sentenza
passata in giudicato, per uno o più reati di partecipazione
a un'organizzazione criminale, corruzione, frode,
riciclaggio, quali definiti dagli atti comunitari citati
all'articolo 45, paragrafo 1, direttiva Ce 2004/18;
l'esclusione e il divieto operano se la sentenza o il
decreto sono stati emessi nei confronti: del titolare o del
direttore tecnico se si tratta di impresa individuale; dei
soci o del direttore tecnico, se si tratta di società in
nome collettivo; dei soci accomandatari o del direttore
tecnico se si tratta di società in accomandita semplice;
degli amministratori muniti di potere di rappresentanza o
del direttore tecnico o del socio unico persona fisica,
ovvero del socio di maggioranza in caso di società con meno
di quattro soci, se si tratta di altro tipo di società o
consorzio.
In ogni caso l'esclusione e il divieto operano anche nei
confronti dei soggetti cessati dalla carica nell'anno
antecedente la data di pubblicazione del bando di gara,
qualora l'impresa non dimostri che vi sia stata completa ed
effettiva dissociazione della condotta penalmente
sanzionata; l'esclusione e il divieto in ogni caso non
operano quando il reato e' stato depenalizzato ovvero quando
e' intervenuta la riabilitazione ovvero quando il reato e'
stato dichiarato estinto dopo la condanna ovvero in caso di
revoca della condanna medesima”.
Dalla lettura della norma in esame emerge come, ai fini
dell’esclusione dalla partecipazione dalle procedure, in
caso di sentenza ex art. 444 c.p.p. la condanna riportata
dai soggetti non deve essere passata in giudicato o divenuta
irrevocabile.
Infatti, mentre nelle altre due ipotesi previste, sentenza
di condanna o decreto penale, è lo stesso legislatore che
prescrive la necessità che questi siano passati in giudicato
o divenuti irrevocabili, nel caso di patteggiamento nulla in
questo senso è previsto.
Tale scelta del legislatore –che probabilmente deriva dal
fatto che nel patteggiamento vi è un’ammissione di
responsabilità con non contestazione dei fatti addebitati–
risulta all’evidenza laddove lo stesso legislatore, parla
esclusivamente di “sentenza di applicazione della pena su
richiesta, ai sensi dell'articolo 444 del codice di
procedura penale”, senza prevedere la necessità che
questa sia divenuta irrevocabile.
Nel caso in esame, la società aggiudicataria ha dichiarato
che nei confronti del sig. -OMISSIS-, già amministratore e
direttore tecnico e attuale socio di maggioranza della
società, non era stata pronunciata alcuna condanna ex art.
38 codice dei contratti.
Tuttavia, in base a quanto sopra detto, è da ritenere che
anche la sentenza di patteggiamento non divenuta
irrevocabile deve essere dichiarata in base al disposto
dell’art. 38, con la conseguenza che la dichiarazione, resa
in sede di partecipazione, di assenza di condanne definitive
nei confronti del legale rappresentante, in presenza,
all’opposto, di una sentenza di patteggiamento, anche se
ancora non divenuta irrevocabile, è, una dichiarazione
mendace, per ciò solo costituente legittima causa di
esclusione dalla gara.
In conclusione, il ricorso deve essere accolto
(TAR Puglia-Lecce, Sez. II,
sentenza 21.12.2015 n. 3662 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
LAVORI PUBBLICI:
Il Direttore dei Lavori può ordinare varianti in
corso d'opera ancorché in carenza della preventiva
approvazione del comune.
In tema di appalto di opera
pubblica, qualora i lavori appaltati dal Comune
siano variati per ordine scritto del direttore dei
lavori, che si palesi carente dell'indicazione della
preventiva approvazione dell'amministrazione
committente, ma che successivamente siano
autorizzati con una perizia di variante e
suppletiva, ai sensi dell'art. 342 della legge
20.03.1865 n. 2248 all. F e dall'art. 13 del
capitolato generale di appalto approvato con il
d.P.R. 16.07.1962 n. 1063 (applicabili ratione
temporis), e con la conseguente delibera del
consiglio comunale, l'originaria irregolarità
dell'ordine privo di quell'indicazione deve
ritenersi sanata in virtù dell'intervenuta ratifica
dell'ordine medesimo.
---------------
4.1. L'esercizio
dello ius varlandi dell'Amministrazione,
nell'ambito del rapporto contrattuale di appalto
pubblico, incontra i limiti dettati (ratione
temporis) dall'art. 342 e ss. della L. n. 2248
del 1865 (All. F) e dagli artt. 13 e 14 del d.P.R.
n. 1063 del 1962 (Capitolato Generale 00.PP.).
4.2. Alla luce di tali previsioni,
le variazioni al progetto dell'opera pubblica
possono legittimamente intervenire in tre casi,
specificamente nominati:
a) a seguito dell'ordine scritto del Direttore dei
lavori, con la «superiore approvazione»
dell'Amministrazione appaltante;
b) in caso di assoluta urgenza, su richiesta del
D.L. (il quale dovrà darne avviso
all'Amministrazione appaltante),
c) quando sia reputato utile o necessario introdurre
variazioni o aggiunge non previste dal contratto e
che comportino variazioni di prezzo, mediante
l'approvazione da parte della D.L. di una perizia
suppletiva.
4.3. Nel caso di specie, l'impresa ricorrente
invoca, al contempo, l'esistenza di un ordine
scritto del D.L., ma anche l'esistenza di una
perizia di variante approvata dall'Amministrazione
comunale oltre che l'urgente necessità
dell'intervento.
4.4. Ma se l'urgente necessità è stata espressamente
esclusa dalla Corte territoriale, con sintetica ma
chiara motivazione (alle pp. 10-11 della sentenza),
così che è da escludere la fondatezza della
doglianza proposta al riguardo con il secondo mezzo
di cassazione, nessuna idonea considerazione è stata
espressa dal giudice distrettuale a proposito della
legittimità (o meno) delle altre due ipotesi di
esercizio del ius variandi, pure avanzate e
riscontrate nella stessa premessa motivazionale
della decisione.
4.5. In particolare, non appare
corretta l'esclusione della legittimità della prima
di tali ipotesi di esercizio del ius variandi
dell'Amministrazione (quello della variazione
determinatasi a seguito dell'ordine scritto da parte
del Direttore dei lavori, con la «superiore
approvazione» dell'Amministrazione appaltante,
di cui all'art. 342, 1° co., disp. cit.) in quanto
l'omessa indicazione dei profili formali della
approvazione da parte dell'Autorità amministrativa
nell'ordine impartito dalla Direzione Lavori, pur
avendo un preciso rilievo (avendo il significato di
esplicitare la rispondenza di esso ai voleri
dell'amministrazione appaltante), non appare
decisivo ai fini della legittimità dell'ordine non
dovendo esso necessariamente sussistere al momento
in cui il DL abbia impartito l'ordine scritto.
4.5.2. Come già questa stessa Corte ha affermato, un
tale requisito può intervenire anche in un momento
successivo, a sanatoria dell'ordine (in ipotesi
annullabile) ma formalmente dato.
4.5.3. Infatti, non solo alla luce degli artt.
21-octies e 21-nonies della L. n. 241 del 1990, non
applicabili ratione temporis, ma sulla base
dei principi che sono ad essi sottesi, invocabili
anche con riferimento al caso esaminato, in quanto
immanenti nel sistema, questa Corte
ha in passato già affermato, finanche in caso di
ordine non scritto, il principio di sanatoria,
quando
(Sez. l, Sentenza n. 5172 del 1994)
ha stabilito che «In
caso di variazioni ai lavori appaltati da un comune
non disposte con ordine scritto da parte del
direttore del lavori (come prescritto dall'art. 342
della legge 20.03.1865 n. 2248 all. F e dall'art. 13
del capitolato generale di appalto approvato con il
d.P.R. 16.07.1962 n. 1063), ma riassunte in una
perizia di variante, l'approvazione della perizia da
parte della giunta comunale che agisca in via di
urgenza con i poteri del consiglio comunale
(nella specie, sciolto ed in attesa di rinnovo)
sana l'irregolarità derivante dalla mancanza
dell'ordine scritto e comporta il riconoscimento del
diritto dell'appaltatore a ricevere il compenso per
le opere eseguite, anche se il nuovo consiglio
comunale non ratifichi la delibera della giunta,
atteso che, ai sensi dell'art. 140 del T.U. sulla
legge comunale e provinciale, di cui al R.D.
04.02.1915 n. 148, la mancata ratifica, da parte del
consiglio comunale, della delibera assunta della
giunta comunale in via d'urgenza non può elidere gli
effetti prodotti "medio tempore" dal provvedimento
della giunta.».
4.6. Ne deriva la fondatezza della censura di
violazione di legge ove la stessa sia intesa a far
rilevare l'errore, così come commesso da parte della
Corte territoriale, costituito dal mancato rispetto
del principio del richiamo formale dell'approvazione
dell'organo superiore quand'anche tale approvazione
sia intervenuta in un momento successivo, vuoi
attraverso la redazione ed approvazione della
perizia di variante, vuoi con la deliberazione di
approvazione di questa con riferimento alle opere
che non hanno formato oggetto del contratto
originario.
4.7. La Corte territoriale, infatti, ha considerato
decisiva la mancanza dell'approvazione al momento
della formulazione dell'ordine, da parte della D.L.
all'impresa, senza considerare che l'approvazione è,
tuttavia, intervenuta, sia pure in un momento di
poco posteriore.
4.8. Del resto, tale approvazione (indipendentemente
dalle successive vicende del provvedimento dapprima
dato, poi revocato ed infine confermato: da
considerarsi irrilevanti, dovendo riferirsi al solo
momento approvativo, successivo all'ordine del DL) è
consistita anche nell'approvazione di una perizia di
variante e suppletiva, secondo quella terza ipotesi
di esercizio legittimo del ius variandi da
parte dell'Amministrazione. Ciò che non ha formato
oggetto di specifica considerazione da parte del
giudice distrettuale, con violazione della norma di
legge e dell'obbligo motivazionale.
4.9. Infine, a completamento del ragionamento
giudiziale, resta del tutto esterna la questione dei
limiti quantitativi della variazione apportata
rispetto al credito dell'appaltatore (potendo questo
subire anche legittime decurtazioni ove tali limiti
siano stati superati) e rispetto al finanziamento
che l'Amministrazione abbia richiesto (profilo che
non attiene al rapporto contrattuale ma alla
provvista dei mezzi, che è problema tutto esterno al
contratto e interno all'attività della stazione
appaltante).
4.10. Ne segue la cassazione con rinvio della
sentenza affinché, in diversa composizione la Corte
territoriale riesamini le risultanze processuali
alla luce del seguente principio di diritto: "In
tema di appalto di opera pubblica, qualora i lavori
appaltati dal Comune siano variati per ordine
scritto del direttore dei lavori, che si palesi
carente dell'indicazione della preventiva
approvazione dell'amministrazione committente, ma
che successivamente siano autorizzati con una
perizia di variante e suppletiva, ai sensi dell'art.
342 della legge 20.03.1865 n. 2248 all. F e
dall'art. 13 del capitolato generale di appalto
approvato con il d.P.R. 16.07.1962 n. 1063
(applicabili ratione temporis), e con la conseguente
delibera del consiglio comunale, l'originaria
irregolarità dell'ordine privo di quell'indicazione
deve ritenersi sanata in virtù dell'intervenuta
ratifica dell'ordine medesimo"
(Corte di Cassazione, Sez. I civile,
sentenza 18.12.2015 n. 25524). |
APPALTI FORNITURE E SERVIZI:
Sull'accertamento del diritto alla revisione del
prezzo di appalto.
La decisione di effettuare la revisione prezzi e la
determinazione dei parametri da osservarsi a tal fine sono
espressione di una sfera di valutazione discrezionale, che
sfocia in un provvedimento autoritativo, il quale deve
essere impugnato innanzi al giudice amministrativo nel
termine decadenziale di legge, atteso che la posizione
dell'appaltatore assume carattere di diritto soggettivo solo
dopo che l'Amministrazione abbia riconosciuto la sua pretesa
e si verta in materia del quantum del compenso
revisionale.
Nel caso di specie, concernente l'accertamento del diritto
alla revisione dei prezzi per la realizzazione di interventi
finalizzati al risparmio energetico di un'Azienda
ospedaliera, il rapporto negoziale fra le parti -quanto al
riconoscimento di compensi revisionali- recava una clausola
di chiaro contenuto negativo, così che la pretesa azionata
in alcun modo poteva ricondursi a un diritto soggettivo
perfetto tutelabile con azione di accertamento, ove il
contratto rechi un'apposita clausola che preveda il puntuale
obbligo dell'Amministrazione di dar luogo alla revisione dei
prezzi (Consiglio di Stato, Sez. III,
sentenza 18.12.2015 n. 5779 - link a
www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI:
Gara nulla se l’ente non è capace di aprire i
files. Tar Bari. Appalti.
L’impresa che ha correttamente usato
gli atti digitali per formulare offerte in procedure sul
mercato elettronico non può essere esclusa dalla Pa se
questa non ha competenze informatiche per leggere i
documenti non cartacei.
Il TAR Puglia-Bari -Sez.
I,
sentenza
18.12.2015 n. 1646– ha dichiarato illegittima
un’aggiudicazione, su piattaforma del mercato elettronico
della Pa (Mepa), escludendo una ditta concorrente che, come
richiesto dal bando, aveva inviato offerta telematica.
L’ente, non riuscendo ad aprire i file inviati con firma
digitale, li ha ritenuti danneggiati.
E ha considerato
quelli senza firma elettronica richiesti a gara scaduta per
un ulteriore controllo non corrispondenti ai primi, per la
loro diversa denominazione. Ma sarebbe bastato un programma
idoneo alla lettura dei documenti sui dettagli tecnici ed
economici per l’appalto e per gli altri occorreva sapere che
la diversità di denominazione dipendeva dal tipo di
estensione e formato.
Accogliendo la tesi della ricorrente, i giudici spiegano
che, se l’offerta è stata redatta e inviata come da bando,
«la mancata lettura della documentazione» a corredo «risulta
imputabile esclusivamente a responsabilità della Pa». Che
avrebbe facilmente ovviato con un supplemento istruttorio,
anche con personale più qualificato, anche perché in una
perizia di parte i file sono risultati leggibili.
La sentenza ha poi stabilito che anche la ditta esclusa,
data l’inutilità dell’annullamento degli atti, vanta un
interesse (meritevole di tutela) ad accertare la
illegittimità dell’azione amministrativa per chiedere in
separata sede il risarcimento del danno «rapportato alla
possibile chance di vittoria» (articolo Il Sole 24 Ore dell'08.01.2016).
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MASSIMA
3. Tanto premesso in fatto, in diritto il ricorso è
fondato e merita accoglimento, sebbene ai sensi dell’art.
34, comma 3, c.p.a. l’interesse della ricorrente vada
limitato alla pronuncia di accertamento dell’illegittimità
degli atti di gara, non avendo la stessa più interesse alla
loro caducazione, non potendo trarne alcuna utilità, per
essere stata completamente eseguita la fornitura
dall’aggiudicataria, odierna controinteressata.
Infatti, tenuto conto, del fatto che non è più possibile
allo stato attuale la rinnovazione di una gara ormai
completamente esaurita nei suoi effetti, la ricorrente vanta
sicuramente un interesse, ai sensi dell’art. 34, comma 3
cod. proc. amm., meritevole di tutela, all’accertamento
della illegittimità dell’azione amministrativa al fine di
richiedere in separata sede il risarcimento del danno
evidentemente rapportato alla possibile chance di
vittoria (cfr. Tar Bari, Sez. I, 10.12.2014, n. 1525).
3.1 Dalla perizia di parte, redatta dall’ing. P.Ca., le cui
convincenti argomentazioni e conclusioni il Collegio ritiene
di condividere, è emerso che i “file”
forniti dall’odierna ricorrente, risultano perfettamente
leggibili e privi di qualsivoglia errore informatico che
possa comprometterne la lettura e che eventuali problemi
nella loro apertura e lettura sono da addebitarsi alla
mancanza di conoscenze (di base) o strumentazioni
informatiche (software di base) di chi era addetto alla
ricezione di tali documenti;
che la sottoscrizione digitale degli stessi è stata
effettuata nei termini di gara, in particolare tutti tra il
20 ed il 21 ottobre, e non era dunque modificabile in data
successiva a quella riportata; che anche i file non firmati
digitalmente, inviati a titolo di cortesia, risultano essere
perfettamente leggibili.
3.2 Alla luce delle predette incontestate risultanze,
dunque, è emerso che l’offerta della
ricorrente è stata correttamente redatta e trasmessa e che
la mancata lettura della documentazione presentata a suo
corredo risulta imputabile esclusivamente a responsabilità
della P.A., che avrebbe facilmente potuto ovviare
all’inconveniente registrato disponendo un supplemento
istruttorio, anche con l’ausilio di personale all’uopo
maggiormente qualificato, in grado di procedere all’utilizzo
dei programmi informatici necessari (e, per quanto emerso,
scaricabili liberamente da internet nella loro versione
gratuita), onde poter agevolmente procedere all’apertura dei
file trasmessi
dalla La. e pervenuti alla S.A. tramite piattaforma Mepa.
3.3 Nei termini innanzi precisati, dunque, il ricorso va
accolto.
In conclusione, dalle argomentazioni espresse in precedenza
discende la declaratoria di improcedibilità della domanda
impugnatoria di cui al ricorso introduttivo, così come
integrato da motivi aggiunti, per sopravvenuto difetto di
interesse; nonché l’accertamento, ai sensi dell’art. 34,
comma 3 cod. proc. amm., dell’illegittimità del
provvedimento di esclusione della ricorrente e, per
derivationem, degli atti di aggiudicazione provvisoria e
definitiva, atteso che, nella specie, la ricorrente è stata
illegittimamente esclusa dalla procedura de qua, così
vedendosi preclusa la chance di essere selezionata quale
migliore offerente, essendo mancata la valutazione della sua
offerta tecnica ed economica, nell’ambito di una procedura
caratterizzata da due sole offerte in competizione. |
APPALTI:
Sulla questione interpretativa
di stabilire cosa debba intendersi per “irregolarità
essenziale”, ai sensi dell’art. 38, comma 2-bis, del
d.lgs. n. 163 del 2006.
L'art. 39 del D.L. n. 90 del 2014, per
le sole procedure bandite dopo la sua entrata in vigore, ha
inserito il comma 2-bis all'art. 38 e il comma 1-ter
all’art. 46 del d.lgs. 12.04.2006, n. 163, introducendo una
sanzione pecuniaria per la mancanza, l'incompletezza e ogni
altra irregolarità essenziale delle dichiarazioni
sostitutive, obbligando la stazione appaltante ad assegnare
al concorrente un termine non superiore a dieci giorni per
la produzione o l'integrazione delle dichiarazioni carenti e
imponendo l'esclusione nel solo caso di inosservanza di tale
ultimo adempimento. In tal modo si è profondamente inciso il
regime normativo delle dichiarazioni richieste ai fini
dell'ammissione in gara. Il nuovo quadro normativo, infatti,
è chiaramente orientato alla dequalificazione delle
irregolarità dichiarative da fattori escludenti a carenze
regolarizzabili o sanzionabili in via pecuniaria, soluzione
questa che punta ad appurare il più possibile l'effettiva
titolarità dei requisiti richiesti, senza vanificare o
stravolgere l'esito della gara in ragione di mere carenze
formali.
Le modifiche introdotte risultano, peraltro, finalizzate a
superare le incertezze interpretative e applicative del
combinato disposto degli artt. 38 e 46 del d.lgs. n. 163 del
2006, mediante la procedimentalizzazione del potere di
soccorso istruttorio (che diventa doveroso per ogni ipotesi
di mancanza o di irregolarità delle dichiarazioni
sostitutive) e la configurazione dell'esclusione dalla
procedura come sanzione unicamente legittimata dall'omessa
produzione, integrazione o regolarizzazione delle
dichiarazioni carenti entro il termine assegnato dalla
stazione appaltante (e non più da carenze originarie).
Come chiarito in giurisprudenza, la nuova disposizione
“offre, quale indice ermeneutico, l'argomento della chiara
volontà del legislatore di evitare (nella fase del controllo
delle dichiarazioni e, quindi, dell'ammissione alla gara
delle offerte presentate) esclusioni dalla procedura per
mere carenze documentali (ivi compresa anche la mancanza
assoluta delle dichiarazioni), di imporre un'istruttoria
veloce, ma preordinata ad acquisire la completezza delle
dichiarazioni (prima della valutazione dell'ammissibilità
della domanda), e di autorizzare la sanzione espulsiva quale
conseguenza della sola inosservanza, da parte dell'impresa
concorrente, all'obbligo di integrazione documentale (entro
il termine perentorio accordato, a tal fine, dalla stazione
appaltante)”.
Come chiarito anche dall’Anac, “La nuova previsione, dunque,
esclusivamente per i casi della mancanza, incompletezza e
ogni altra irregolarità essenziale degli elementi e delle
dichiarazioni sostitutive di cui al comma 2, prevede
l’obbligo del concorrente di pagare, in favore della
stazione appaltante, la sanzione pecuniaria stabilita dal
bando di gara, il cui versamento è garantito dalla cauzione
provvisoria, e ciò, è da ritenere, solamente al fine di
poter integrare e regolarizzare le relative omissioni e/o
carenze. L’esclusione del concorrente dalla gara, invece,
sarà disposta dalla stazione appaltante esclusivamente a
seguito dell’inutile decorso del termine assegnato ai fini
della regolarizzazione (cioè senza che il concorrente
integri o regolarizzi le dichiarazioni carenti o
irregolari).
La finalità della disposizione è sicuramente quella di
evitare l’esclusione dalla gara per mere carenze documentali
-ivi compresa anche la mancanza assoluta delle
dichiarazioni- imponendo a tal fine un’istruttoria veloce ma
preordinata ad acquisire la completezza delle dichiarazioni,
prima della valutazione dell’ammissibilità dell’offerta o
della domanda, e di autorizzare la sanzione espulsiva quale
conseguenza della sola inosservanza, da parte dell’impresa
concorrente, all’obbligo di integrazione documentale entro
il termine perentorio accordato, a tal fine, dalla stazione
appaltante.
Sulla base di tale disposizione, pertanto, ai fini della
partecipazione alla gara, assume rilievo l’effettiva
sussistenza dei requisiti di ordine generale in capo ai
concorrenti e non le formalità né la completezza del
contenuto della dichiarazione resa a dimostrazione del
possesso dei predetti requisiti. Si conferma in tal modo
l’orientamento giurisprudenziale a tenore del quale occorre
dare prevalenza al dato sostanziale (la sussistenza dei
requisiti) rispetto a quello formale (completezza delle
autodichiarazioni rese dai concorrenti) e, dunque,
l’esclusione dalla gara potrà essere disposta non più in
presenza di dichiarazione incompleta, o addirittura omessa,
ma esclusivamente nel caso in cui il concorrente non
ottemperi alla richiesta della stazione appaltante ovvero
non possieda, effettivamente, il requisito.
Sotto tale profilo, la novella in esame sembra finalizzata,
altresì, alla deflazione del contenzioso derivante da
provvedimenti di esclusione dalle gare d’appalto, per vizi
formali –cui non corrisponda l’interesse sostanziale alla
reale affidabilità del concorrente– sulle dichiarazioni rese
dai partecipanti, con conseguente possibile riduzione dei
casi di annullamento e di sospensione dei provvedimenti di
aggiudicazione, ciò che, peraltro, si desume dalla
collocazione dello stesso art. 39, nel Titolo IV del d.l.
90/2014 conv. in l. 114/2014, dedicato alle «misure per lo
snellimento del processo amministrativo e l’attuazione del
processo civile telematico», come sopra già accennato”.
---------------
Tanto premesso in termini generali, osserva il Collegio che
l’art. 38, comma 2-bis, del d.lgs. n. 163 del 2015 non
specifica alcunché in ordine al concetto di essenzialità
delle irregolarità, lasciando alle singole Stazioni
appaltanti il compito di individuare i casi nei quali è
consentita la produzione, l’integrazione e la
regolarizzazione degli elementi e delle dichiarazioni di cui
all’art. 38, commi 1 e 2, ovvero degli altri requisiti di
partecipazione ai sensi dell’estensione operata dal comma
1-ter dell’art. 46, secondo cui “le disposizioni di cui
all'articolo 38, comma 2-bis, si applicano a ogni ipotesi di
mancanza, incompletezza o irregolarità degli elementi e
delle dichiarazioni, anche di soggetti terzi, che devono
essere prodotte dai concorrenti in base alla legge, al bando
o al disciplinare di gara”.
Come chiarito dall’Anac, “è ragionevole ritenere che, con la
nozione di irregolarità essenziale, il legislatore abbia
voluto riferirsi ad ogni irregolarità nella redazione della
dichiarazione, oltre all’omissione e all’incompletezza, che
non consenta alla stazione appaltante di individuare con
chiarezza il soggetto ed il contenuto della dichiarazione
stessa, ai fini dell’individuazione dei singoli requisiti di
ordine generale che devono essere posseduti dal concorrente
e, in alcuni casi, per esso dai soggetti specificamente
indicati dallo stesso art. 38, comma 1, del Codice.
Tale interpretazione si desume, oltre che dalla ratio
sottesa alla norma –che, peraltro, nel prevedere una
specifica sanzione pecuniaria, intende realizzare
l’obiettivo di evitare che a fronte della generale
sanabilità delle carenze e delle omissioni, gli operatori
siano indotti a produrre dichiarazioni da cui non si evinca
il reale possesso dei singoli requisiti generali e l’esatta
individuazione dei soggetti che devono possederli anche da
un dato testuale della medesima, che assume maggior
pregnanza da una lettura sistematica dei primi due periodi
del citato comma 2-bis.
Infatti, nel secondo periodo della norma appena richiamata è
espressamente stabilito che nei casi di irregolarità
essenziale «la stazione appaltante assegna al concorrente un
termine, non superiore a dieci giorni, perché siano rese,
integrate o regolarizzate le dichiarazioni necessarie,
indicandone il contenuto e i soggetti che le devono
rendere». L’espresso riferimento al contenuto delle
dichiarazioni ed ai soggetti che le devono prestare, rende
palese l’intento del legislatore di estendere l’applicazione
della norma a tutte le carenze –in termini di omissioni,
incompletezze e irregolarità– riferite agli elementi ed alle
dichiarazioni di cui all’art. 38 nonché agli aspetti
relativi all’identificazione dei centri di imputabilità
delle dichiarazioni stesse”.
In conclusione, ad avviso dell’Anac, “le carenze essenziali
riguardano l’impossibilità di stabilire se il singolo
requisito contemplato dal comma 1 dell’art. 38 sia posseduto
o meno e da quali soggetti (indicati dallo stesso articolo).
Ciò che si verifica nei casi in cui:
a. non sussiste dichiarazione in merito ad una specifica
lettera del comma 1 dell’art. 38 del Codice;
b. la dichiarazione sussiste ma non da parte di uno dei
soggetti o con riferimento ad uno dei soggetti che la norma
individua come titolare del requisito;
c. la dichiarazione sussiste ma dalla medesima non si evince
se il requisito sia posseduto o meno”.
Con specifico riferimento all’art. 46, comma 1-ter, del
d.lgs. n. 163 del 2006, poi, la determinazione n. 1 del 2015
sottolinea come “la novella normativa introdotta dall’art.
39 del d.l. 90/2014 conv. in l. 114/2014, con riferimento
alle previsioni di cui all’art. 46 del Codice, determini un
superamento dei principi [giurisprudenziali], comportando
un’inversione radicale di principio; inversione in base alla
quale è generalmente sanabile qualsiasi carenza, omissione o
irregolarità, con il solo limite intrinseco
dell’inalterabilità del contenuto dell’offerta, della
certezza in ordine alla provenienza della stessa, del
principio di segretezza che presiede alla presentazione
della medesima e di inalterabilità delle condizioni in cui
versano i concorrenti al momento della scadenza del termine
per la partecipazione alla gara”.
Poiché il comma 1-ter citato stabilisce che le disposizioni
dell’art. 38, comma 2-bis, si applicano ad ogni ipotesi di
mancanza, di incompletezza o di irregolarità degli elementi
e delle dichiarazioni, anche di soggetti terzi, che devono
essere prodotte dai concorrenti in base alla legge, al bando
o al disciplinare di gara, può ben ritenersi che “sia
consentito in sede di gara procedere alla sanatoria di ogni
omissione o incompletezza documentale, superando
l’illustrato limite della sola integrazione e
regolarizzazione di quanto già dichiarato e prodotto in
gara. Inoltre, il riferimento ivi contenuto anche agli
elementi e non solo alle dichiarazioni, consente
un’estensione dell’istituto del soccorso istruttorio a tutti
i documenti da produrre in gara, in relazione ai requisiti
di partecipazione ma non anche per supplire a carenze
dell’offerta”.
Ad avviso dell’Anac, “la novella in esame [ha] sì confermato
le fattispecie ascrivibili alla categoria delle cause
tassative di esclusione (l’art. 39 del d.l. 90/2014 non
interviene, infatti, sui commi 1 e 1-bis dell’art. 46) ma,
operando “a valle” di tale individuazione, consent[e], ora,
che siano resi, integrati o regolarizzati (nella fase
iniziale della gara) anche gli elementi e le dichiarazioni
(anche di terzi) prescritti dalla legge, dal bando o dal
disciplinare di gara, la cui assenza o irregolarità sotto la
previgente disciplina determinavano l’esclusione dalla gara
(si tratta di ipotesi, evidentemente, ulteriori rispetto
alle dichiarazioni di cui all’art. 38, comma 1, del Codice).
Pertanto, ove vi sia un’omissione, incompletezza,
irregolarità di una dichiarazione con carattere
dell’essenzialità –da individuarsi come tale in applicazione
della disciplina sulla cause tassative di esclusione– la
stazione appaltante non potrà più procedere direttamente
all’esclusione del concorrente ma dovrà avviare il
procedimento contemplato nell’art. 38, comma 2-bis del
Codice, volto alla irrogazione della sanzione pecuniaria ivi
prevista ed alla sanatoria delle irregolarità rilevate”.
Insomma, “le irregolarità essenziali, ai fini di quanto
previsto dall’art. 38, comma 2-bis, coincidono con le
irregolarità che attengono a dichiarazioni ed elementi
inerenti le cause tassative di esclusione (come individuate
nella determinazione n. 4/2012), previste nel bando, nella
legge o nel disciplinare di gara, in ordine alle quali non è
più consentito procedere ad esclusione del concorrente prima
della richiesta di regolarizzazione da parte della stazione
appaltante –fatta eccezione per quelli che afferiscono
all’offerta nei termini sopra indicati- come specificato nei
successivi paragrafi”.
---------------
Ritiene il Collegio che questa
interpretazione sia condivisibile, sotto un duplice profilo.
In primo luogo, contrariamente a quanto dedotto dalla
Stazione appaltante, anche ai fini dell’art. 46, comma
1-ter, citato assume rilievo la nozione di “irregolarità
essenziale”: la norma in esame, infatti, si limita ad
estendere le disposizioni di cui art. 38, comma 2-bis, del
d.lgs. n. 162 del 2006 ad ogni ipotesi di mancanza,
incompletezza o irregolarità degli elementi e delle
dichiarazioni, anche di soggetti terzi, che devono essere
prodotte dai concorrenti in base alla legge, al bando o al
disciplinare di gara.
L’intera disposizione di cui all’art. 38, comma 2-bis –e
quindi anche la distinzione tra irregolarità essenziali, che
impongono il soccorso istruttorio e l’applicazione della
sanzione pecuniaria, e irregolarità non essenziali, a fronte
delle quali invece nessuna integrazione o regolarizzazione
documentale può essere chiesta dalla Stazione appaltante né
alcuna sanzione può essere irrogata– trova pertanto
applicazione alle carenze ed omissioni relative ai requisiti
di partecipazione diversi da quelli di ordine generale.
Non può certo ritenersi, infatti, che per essi sia previsto
un regime diverso e più rigoroso, che imponga alla Stazione
appaltante di procedere al soccorso istruttorio e di
irrogare la sanzione pecuniaria per qualsiasi tipo di
irregolarità, ovvero anche per quelle non essenziali. Ciò
comporterebbe non solo una palese violazione della lettera e
della ratio della disposizione normativa, ma altresì una
lesione del principio di ragionevolezza ed uguaglianza.
In secondo luogo, ritiene il Tribunale di condividere
la lettura interpretativa fornita dall’Anac, secondo cui
l’art. 46, comma 1-ter, citato consente di regolarizzare gli
elementi e le dichiarazioni prescritti dalla legge, dal
bando o dal disciplinare di gara, la cui assenza o
irregolarità sotto la previgente disciplina avrebbe
determinato l’esclusione dalla gara.
Il carattere dell’essenzialità dell’irregolarità, quindi, è
da individuarsi “in applicazione della disciplina sulla
cause tassative di esclusione”, nel senso che esso ricorre
quando le irregolarità attengono a dichiarazioni ed elementi
che, precedentemente all’introduzione della nuova
disciplina, avrebbero giustificato l’esclusione dalla
procedura di gara.
--------------
2. Il ricorso è fondato e, pertanto, va accolto per le
seguenti ragioni.
2.1. Oggetto di gravame sono: il provvedimento n. 5669 del
2015, con cui la Asl di Teramo ha applicato alla società
ricorrente la sanzione pecuniaria di cui all’art. 38, comma
2-bis, e all’art. 46, comma 1-ter, del d.lgs. n. 163 del
2006, a causa della mancata dimostrazione, da parte della
concorrente, del possesso della certificazione del sistema
di qualità UNI CEI ISO 9000 che, ai sensi dell’art. 75,
comma 7, del d.lgs. n. 163 del 2006, le avrebbe consentito
di avvalersi del beneficio della riduzione del 50% della
cauzione provvisoria, considerando detta irregolarità
essenziale, il provvedimento n. 582371 del 2015 che ha
confermato l’applicazione della sanzione pecuniaria di cui
si è detto, il provvedimento n. 58251 del 2015 con cui la
Stazione appaltante ha conseguentemente escusso la polizza
Carige ed infine il provvedimento n. 58582 del 2015 con cui,
a seguito del deposito da parte della concorrente dei
documenti e delle dichiarazioni mancanti, è stata riammessa
in gara.
Con un gruppo di censure, parte ricorrente ha denunciato
violazione di legge ed eccesso di potere, in quanto
l’irregolarità riscontrata dalla Stazione appaltante non
sarebbe essenziale e, quindi, non avrebbe dovuto portare
all’irrogazione della sanzione di cui all’art. 38, comma
2-bis, e all’art. 46, comma 1-ter, del d.lgs. n. 163 del
2006.
Ed invero, la Stazione appaltante ha riscontrato, con la
nota n. 5669 del 2015, tra l’altro, una violazione dell’art.
10, lett. B), punto 5, del disciplinare di gara e,
precisamente, una non regolare costituzione della cauzione
provvisoria a garanzia di offerta, secondo quanto disposto
dall’art. 75 del d.lgs. n. 163 del 2006. L’importo della
polizza fideiussoria presentata, infatti, era inferiore del
50% rispetto a quanto previsto dalla legge di gara e non
risultava documentato il possesso della certificazione del
sistema di qualità UNI CEI ISO 9000 che, ai sensi dell’art.
75, comma 7, del d.lgs. n. 163 del 2006, avrebbe consentito
di avvalersi del beneficio della riduzione del 50% della
cauzione provvisoria.
Ad avviso della Stazione appaltante, questa irregolare
costituzione della cauzione provvisoria giustificava
l’attivazione del soccorso istruttorio e l’irrogazione della
sanzione di cui agli artt. 38, comma 2 bis, e 46, comma
1-ter, del d.lgs. n. 163 del 2006.
La sollevata censura pone il problema interpretativo di
stabilire cosa debba intendersi per “irregolarità
essenziale”, ai sensi dell’art. 38, comma 2-bis, del
d.lgs. n. 163 del 2006.
2.2. Ai sensi dell’art. 38, comma 2-bis, del d.lgs. n. 163
del 2006, come modificato inserito dall'art. 39, comma 1,
D.L. 24.06.2014, n. 90, convertito, con modificazioni, dalla
L. 11.08.2014, n. 114, “La mancanza, l'incompletezza e
ogni altra irregolarità essenziale degli elementi e delle
dichiarazioni sostitutive di cui al comma 2 obbliga il
concorrente che vi ha dato causa al pagamento, in favore
della stazione appaltante, della sanzione pecuniaria
stabilita dal bando di gara, in misura non inferiore all'uno
per mille e non superiore all'uno per cento del valore della
gara e comunque non superiore a 50.000 euro, il cui
versamento è garantito dalla cauzione provvisoria. In tal
caso, la stazione appaltante assegna al concorrente un
termine, non superiore a dieci giorni, perché siano rese,
integrate o regolarizzate le dichiarazioni necessarie,
indicandone il contenuto e i soggetti che le devono rendere.
Nei casi di irregolarità non essenziali, ovvero di mancanza
o incompletezza di dichiarazioni non indispensabili, la
stazione appaltante non ne richiede la regolarizzazione, né
applica alcuna sanzione. In caso di inutile decorso del
termine di cui al secondo periodo il concorrente è escluso
dalla gara (…)”.
L’art. 46, comma 1-ter, del medesimo testo normativo,
anch’esso aggiunto dall'art. 39, comma 2, D.L. 24.06.2014,
n. 90, convertito, con modificazioni, dalla L. 11.08.2014,
n. 114, stabilisce che “Le disposizioni di cui articolo
38, comma 2-bis, si applicano a ogni ipotesi di mancanza,
incompletezza o irregolarità degli elementi e delle
dichiarazioni, anche di soggetti terzi, che devono essere
prodotte dai concorrenti in base alla legge, al bando o al
disciplinare di gara”.
L'art. 39 del D.L. n. 90 del 2014, insomma, per le sole
procedure bandite dopo la sua entrata in vigore, ha inserito
il comma 2-bis all'art. 38 e il comma 1-ter all’art. 46 del
d.lgs. 12.04.2006, n. 163, introducendo –come si è visto–
una sanzione pecuniaria per la mancanza, l'incompletezza e
ogni altra irregolarità essenziale delle dichiarazioni
sostitutive, obbligando la stazione appaltante ad assegnare
al concorrente un termine non superiore a dieci giorni per
la produzione o l'integrazione delle dichiarazioni carenti e
imponendo l'esclusione nel solo caso di inosservanza di tale
ultimo adempimento. In tal modo si è profondamente inciso il
regime normativo delle dichiarazioni richieste ai fini
dell'ammissione in gara. Il nuovo quadro normativo, infatti,
è chiaramente orientato alla dequalificazione delle
irregolarità dichiarative da fattori escludenti a carenze
regolarizzabili o sanzionabili in via pecuniaria, soluzione
questa che punta ad appurare il più possibile l'effettiva
titolarità dei requisiti richiesti, senza vanificare o
stravolgere l'esito della gara in ragione di mere carenze
formali (Tar Valle d’Aosta, n. 25 del 2015).
Le modifiche introdotte risultano, peraltro, finalizzate a
superare le incertezze interpretative e applicative del
combinato disposto degli artt. 38 e 46 del d.lgs. n. 163 del
2006, mediante la procedimentalizzazione del potere di
soccorso istruttorio (che diventa doveroso per ogni ipotesi
di mancanza o di irregolarità delle dichiarazioni
sostitutive) e la configurazione dell'esclusione dalla
procedura come sanzione unicamente legittimata dall'omessa
produzione, integrazione o regolarizzazione delle
dichiarazioni carenti entro il termine assegnato dalla
stazione appaltante (e non più da carenze originarie)
(C.d.S. n. 5890 del 2014).
Come chiarito in giurisprudenza, la nuova disposizione “offre,
quale indice ermeneutico, l'argomento della chiara volontà
del legislatore di evitare (nella fase del controllo delle
dichiarazioni e, quindi, dell'ammissione alla gara delle
offerte presentate) esclusioni dalla procedura per mere
carenze documentali (ivi compresa anche la mancanza assoluta
delle dichiarazioni), di imporre un'istruttoria veloce, ma
preordinata ad acquisire la completezza delle dichiarazioni
(prima della valutazione dell'ammissibilità della domanda),
e di autorizzare la sanzione espulsiva quale conseguenza
della sola inosservanza, da parte dell'impresa concorrente,
all'obbligo di integrazione documentale (entro il termine
perentorio accordato, a tal fine, dalla stazione appaltante)”
(C.d.S. n. 5890 del 2014).
Come chiarito anche dall’Anac, nella determinazione n. 1 del
2015, “La nuova previsione, dunque, esclusivamente per i
casi della mancanza, incompletezza e ogni altra irregolarità
essenziale degli elementi e delle dichiarazioni sostitutive
di cui al comma 2, prevede l’obbligo del concorrente di
pagare, in favore della stazione appaltante, la sanzione
pecuniaria stabilita dal bando di gara, il cui versamento è
garantito dalla cauzione provvisoria, e ciò, è da ritenere,
solamente al fine di poter integrare e regolarizzare le
relative omissioni e/o carenze. L’esclusione del concorrente
dalla gara, invece, sarà disposta dalla stazione appaltante
esclusivamente a seguito dell’inutile decorso del termine
assegnato ai fini della regolarizzazione (cioè senza che il
concorrente integri o regolarizzi le dichiarazioni carenti o
irregolari).
La finalità della disposizione è sicuramente quella di
evitare l’esclusione dalla gara per mere carenze documentali
-ivi compresa anche la mancanza assoluta delle
dichiarazioni- imponendo a tal fine un’istruttoria veloce ma
preordinata ad acquisire la completezza delle dichiarazioni,
prima della valutazione dell’ammissibilità dell’offerta o
della domanda, e di autorizzare la sanzione espulsiva quale
conseguenza della sola inosservanza, da parte dell’impresa
concorrente, all’obbligo di integrazione documentale entro
il termine perentorio accordato, a tal fine, dalla stazione
appaltante (in tal senso, Ad. Pl. Cons. St. n. 16/2014
cit.).
Sulla base di tale disposizione, pertanto, ai fini della
partecipazione alla gara, assume rilievo l’effettiva
sussistenza dei requisiti di ordine generale in capo ai
concorrenti e non le formalità né la completezza del
contenuto della dichiarazione resa a dimostrazione del
possesso dei predetti requisiti. Si conferma in tal modo
l’orientamento giurisprudenziale a tenore del quale occorre
dare prevalenza al dato sostanziale (la sussistenza dei
requisiti) rispetto a quello formale (completezza delle
autodichiarazioni rese dai concorrenti) e, dunque,
l’esclusione dalla gara potrà essere disposta non più in
presenza di dichiarazione incompleta, o addirittura omessa,
ma esclusivamente nel caso in cui il concorrente non
ottemperi alla richiesta della stazione appaltante ovvero
non possieda, effettivamente, il requisito.
Sotto tale profilo, la novella in esame sembra finalizzata,
altresì, alla deflazione del contenzioso derivante da
provvedimenti di esclusione dalle gare d’appalto, per vizi
formali –cui non corrisponda l’interesse sostanziale alla
reale affidabilità del concorrente– sulle dichiarazioni rese
dai partecipanti, con conseguente possibile riduzione dei
casi di annullamento e di sospensione dei provvedimenti di
aggiudicazione, ciò che, peraltro, si desume dalla
collocazione dello stesso art. 39, nel Titolo IV del d.l.
90/2014 conv. in l. 114/2014, dedicato alle «misure per lo
snellimento del processo amministrativo e l’attuazione del
processo civile telematico», come sopra già accennato”.
2.3. Tanto premesso in termini generali, osserva il Collegio
che l’art. 38, comma 2-bis, del d.lgs. n. 163 del 2015 non
specifica alcunché in ordine al concetto di essenzialità
delle irregolarità, lasciando alle singole Stazioni
appaltanti il compito di individuare i casi nei quali è
consentita la produzione, l’integrazione e la
regolarizzazione degli elementi e delle dichiarazioni di cui
all’art. 38, commi 1 e 2, ovvero degli altri requisiti di
partecipazione ai sensi dell’estensione operata dal comma
1-ter dell’art. 46, secondo cui “le disposizioni di cui
all'articolo 38, comma 2-bis, si applicano a ogni ipotesi di
mancanza, incompletezza o irregolarità degli elementi e
delle dichiarazioni, anche di soggetti terzi, che devono
essere prodotte dai concorrenti in base alla legge, al bando
o al disciplinare di gara”.
Come chiarito dall’Anac nella determinazione n. 1 del 2015,
“è ragionevole ritenere che, con la nozione di
irregolarità essenziale, il legislatore abbia voluto
riferirsi ad ogni irregolarità nella redazione della
dichiarazione, oltre all’omissione e all’incompletezza, che
non consenta alla stazione appaltante di individuare con
chiarezza il soggetto ed il contenuto della dichiarazione
stessa, ai fini dell’individuazione dei singoli requisiti di
ordine generale che devono essere posseduti dal concorrente
e, in alcuni casi, per esso dai soggetti specificamente
indicati dallo stesso art. 38, comma 1, del Codice.
Tale interpretazione si desume, oltre che dalla ratio
sottesa alla norma –che, peraltro, nel prevedere una
specifica sanzione pecuniaria, intende realizzare
l’obiettivo di evitare che a fronte della generale
sanabilità delle carenze e delle omissioni, gli operatori
siano indotti a produrre dichiarazioni da cui non si evinca
il reale possesso dei singoli requisiti generali e l’esatta
individuazione dei soggetti che devono possederli
anche da un dato testuale della medesima, che assume maggior
pregnanza da una lettura sistematica dei primi due periodi
del citato comma 2-bis.
Infatti, nel secondo periodo della norma appena richiamata è
espressamente stabilito che nei casi di irregolarità
essenziale «la stazione appaltante assegna al concorrente un
termine, non superiore a dieci giorni, perché siano rese,
integrate o regolarizzate le dichiarazioni necessarie,
indicandone il contenuto e i soggetti che le devono
rendere». L’espresso riferimento al contenuto delle
dichiarazioni ed ai soggetti che le devono prestare, rende
palese l’intento del legislatore di estendere l’applicazione
della norma a tutte le carenze –in termini di omissioni,
incompletezze e irregolarità– riferite agli elementi ed alle
dichiarazioni di cui all’art. 38 nonché agli aspetti
relativi all’identificazione dei centri di imputabilità
delle dichiarazioni stesse”.
In conclusione, ad avviso dell’Anac, “le carenze
essenziali riguardano l’impossibilità di stabilire se il
singolo requisito contemplato dal comma 1 dell’art. 38 sia
posseduto o meno e da quali soggetti (indicati dallo stesso
articolo). Ciò che si verifica nei casi in cui:
a. non sussiste dichiarazione in merito ad una specifica
lettera del comma 1 dell’art. 38 del Codice;
b. la dichiarazione sussiste ma non da parte di uno dei
soggetti o con riferimento ad uno dei soggetti che la norma
individua come titolare del requisito;
c. la dichiarazione sussiste ma dalla medesima non si evince
se il requisito sia posseduto o meno”.
Con specifico riferimento all’art. 46, comma 1-ter, del
d.lgs. n. 163 del 2006, poi, la determinazione n. 1 del 2015
sottolinea come “la novella normativa introdotta
dall’art. 39 del d.l. 90/2014 conv. in l. 114/2014, con
riferimento alle previsioni di cui all’art. 46 del Codice,
determini un superamento dei principi [giurisprudenziali],
comportando un’inversione radicale di principio; inversione
in base alla quale è generalmente sanabile qualsiasi
carenza, omissione o irregolarità, con il solo limite
intrinseco dell’inalterabilità del contenuto dell’offerta,
della certezza in ordine alla provenienza della stessa, del
principio di segretezza che presiede alla presentazione
della medesima e di inalterabilità delle condizioni in cui
versano i concorrenti al momento della scadenza del termine
per la partecipazione alla gara”.
Poiché il comma 1-ter citato stabilisce che le disposizioni
dell’art. 38, comma 2-bis, si applicano ad ogni ipotesi di
mancanza, di incompletezza o di irregolarità degli elementi
e delle dichiarazioni, anche di soggetti terzi, che devono
essere prodotte dai concorrenti in base alla legge, al bando
o al disciplinare di gara, può ben ritenersi che “sia
consentito in sede di gara procedere alla sanatoria di ogni
omissione o incompletezza documentale, superando
l’illustrato limite della sola integrazione e
regolarizzazione di quanto già dichiarato e prodotto in
gara. Inoltre, il riferimento ivi contenuto anche agli
elementi e non solo alle dichiarazioni, consente
un’estensione dell’istituto del soccorso istruttorio a tutti
i documenti da produrre in gara, in relazione ai requisiti
di partecipazione ma non anche per supplire a carenze
dell’offerta”.
Ad avviso dell’Anac, “la novella in esame [ha] sì
confermato le fattispecie ascrivibili alla categoria delle
cause tassative di esclusione (l’art. 39 del d.l. 90/2014
non interviene, infatti, sui commi 1 e 1-bis dell’art. 46)
ma, operando “a valle” di tale individuazione, consent[e],
ora, che siano resi, integrati o regolarizzati (nella fase
iniziale della gara) anche gli elementi e le dichiarazioni
(anche di terzi) prescritti dalla legge, dal bando o dal
disciplinare di gara, la cui assenza o irregolarità sotto la
previgente disciplina determinavano l’esclusione dalla gara
(si tratta di ipotesi, evidentemente, ulteriori rispetto
alle dichiarazioni di cui all’art. 38, comma 1, del Codice).
Pertanto, ove vi sia un’omissione, incompletezza,
irregolarità di una dichiarazione con carattere
dell’essenzialità –da individuarsi come tale in applicazione
della disciplina sulla cause tassative di esclusione– la
stazione appaltante non potrà più procedere direttamente
all’esclusione del concorrente ma dovrà avviare il
procedimento contemplato nell’art. 38, comma 2-bis del
Codice, volto alla irrogazione della sanzione pecuniaria ivi
prevista ed alla sanatoria delle irregolarità rilevate”.
Insomma, “le irregolarità essenziali, ai fini di quanto
previsto dall’art. 38, comma 2-bis, coincidono con le
irregolarità che attengono a dichiarazioni ed elementi
inerenti le cause tassative di esclusione (come individuate
nella determinazione n. 4/2012), previste nel bando, nella
legge o nel disciplinare di gara, in ordine alle quali non è
più consentito procedere ad esclusione del concorrente prima
della richiesta di regolarizzazione da parte della stazione
appaltante –fatta eccezione per quelli che afferiscono
all’offerta nei termini sopra indicati- come specificato nei
successivi paragrafi”.
Ritiene il Collegio che questa interpretazione sia
condivisibile, sotto un duplice profilo.
In primo luogo, contrariamente a quanto dedotto dalla
Stazione appaltante, anche ai fini dell’art. 46, comma
1-ter, citato assume rilievo la nozione di “irregolarità
essenziale”: la norma in esame, infatti, si limita ad
estendere le disposizioni di cui art. 38, comma 2-bis, del
d.lgs. n. 162 del 2006 ad ogni ipotesi di mancanza,
incompletezza o irregolarità degli elementi e delle
dichiarazioni, anche di soggetti terzi, che devono essere
prodotte dai concorrenti in base alla legge, al bando o al
disciplinare di gara.
L’intera disposizione di cui all’art. 38, comma 2-bis –e
quindi anche la distinzione tra irregolarità essenziali, che
impongono il soccorso istruttorio e l’applicazione della
sanzione pecuniaria, e irregolarità non essenziali, a fronte
delle quali invece nessuna integrazione o regolarizzazione
documentale può essere chiesta dalla Stazione appaltante né
alcuna sanzione può essere irrogata– trova pertanto
applicazione alle carenze ed omissioni relative ai requisiti
di partecipazione diversi da quelli di ordine generale.
Non può certo ritenersi, infatti, che per essi sia previsto
un regime diverso e più rigoroso, che imponga alla Stazione
appaltante di procedere al soccorso istruttorio e di
irrogare la sanzione pecuniaria per qualsiasi tipo di
irregolarità, ovvero anche per quelle non essenziali. Ciò
comporterebbe non solo una palese violazione della lettera e
della ratio della disposizione normativa, ma altresì
una lesione del principio di ragionevolezza ed uguaglianza.
In secondo luogo, ritiene il Tribunale di condividere
la lettura interpretativa fornita dall’Anac, secondo cui
l’art. 46, comma 1-ter, citato consente di regolarizzare gli
elementi e le dichiarazioni prescritti dalla legge, dal
bando o dal disciplinare di gara, la cui assenza o
irregolarità sotto la previgente disciplina avrebbe
determinato l’esclusione dalla gara. Il carattere
dell’essenzialità dell’irregolarità, quindi, è da
individuarsi “in applicazione della disciplina sulla
cause tassative di esclusione”, nel senso che esso
ricorre quando le irregolarità attengono a dichiarazioni ed
elementi che, precedentemente all’introduzione della nuova
disciplina, avrebbero giustificato l’esclusione dalla
procedura di gara.
Nel caso di specie, l’art. 46, comma 1-ter, del d.lgs. n.
163 del 2006 è stato applicato dalla Asl di Teramo, con
conseguente attivazione del soccorso istruttorio e
irrogazione della relativa sanzione pecuniaria, a causa
dell’irregolare costituzione della cauzione provvisoria a
garanzia dell’offerta: l’importo della polizza fideiussoria
presentata, infatti, è inferiore del 50% rispetto a quanto
previsto dall’art. 10, lett. B), punto 5, del disciplinare
di gara e non risulta documentato il possesso della
certificazione del sistema di qualità UNI CEI ISO 9000 che,
ai sensi dell’art. 75, comma 7, del d.lgs. n. 163 del 2006,
avrebbe consentito di avvalersi del beneficio della
riduzione del 50% della cauzione provvisoria.
Tuttavia, osserva il Collegio che, secondo la costante
giurisprudenza amministrativa, in applicazione del principio
di tassatività delle cause di esclusione, sancito dall'art.
46, comma 1-bis, del d.lgs. n. 163 del 2006, la
presentazione di una cauzione provvisoria affetta da
irregolarità non costituisce causa di esclusione dalla gara.
Ciò in quanto l'art. 75, commi 1 e 6, del d.lgs. 163 del
2006, che prescrive l'obbligo di corredare l'offerta di una
garanzia pari al 2 % del prezzo base indicato nel bando o
nell'invito, sotto forma di cauzione o di fideiussione, a
scelta dell'offerente, a garanzia della serietà dell'impegno
di sottoscrivere il contratto e quale liquidazione
preventiva e forfettaria del danno in caso di mancata
stipula per fatto dell'affidatario, non prevede alcuna
sanzione di inammissibilità dell'offerta o di esclusione del
concorrente per l'ipotesi di irregolarità della cauzione
provvisoria, a differenza di quanto prevede, invece, il
comma 8 dello stesso art. 75, con riferimento alla garanzia
fideiussoria del 10% dell'importo contrattuale per
l'esecuzione del contratto, qualora l'offerente risultasse
affidatario (Tar Bolzano, n. 145 del 2015).
Ne consegue che le irregolarità concernenti la cauzione
provvisoria comunque prestata nei termini previsti dalla "lex
specialis" non possono condurre all'esclusione dalla
competizione, dovendosi far luogo alla loro regolarizzazione
(Cons. Stato, n. 4764 del 2015; Cons. Stato, n. 147 del
2015).
Nel caso di specie, la cauzione provvisoria è stata prestata
dalla società ricorrente, ancorché in misura ridotta del 50%
rispetto a quanto prescritto dal disciplinare di gara: ciò
perché la concorrente era in possesso della certificazione
del sistema di qualità UNI CEI ISO 9000 che, ai sensi
dell’art. 75, comma 7, del d.lgs. n. 163 del 2006, le
consentiva appunto di avvalersi del beneficio della
riduzione del 50%.
L’unica irregolarità in cui è incorsa la società ricorrente
è stata quella del mancato deposito di detta certificazione
che, tuttavia, ella possedeva e che, afferendo al più alla
irregolare costituzione della cauzione provvisoria a
garanzia dell’offerta, non può considerarsi, per quanto
sopra detto, di carattere essenziale. Non si tratta,
infatti, di omissione nella produzione documentale, a fronte
della quale, prima della novella del 2014, la Stazione
appaltante avrebbe potuto comminare l’esclusione dalla
procedura di gara.
Ne consegue che la Stazione appaltante non poteva, a fronte
di detta omessa produzione, irrogare la sanzione pecuniaria
di cui agli artt. 38, comma 2-bis, e 46, comma 1-ter, del
d.lgs. n. 163 del 2006, trattandosi appunto di irregolarità
non essenziale (TAR Abruzzo-L'Aquila,
sentenza 17.12.2015
n. 833 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Prestazioni previdenziali erogate da Stazione appaltante
a fronte di irregolare posizione contributiva dell’impresa
fallita (parere
14.12.2015-562411, AL 22627/15 -
Rassegna
Avvocatura dello Stato n. 1/2016).
---------------
Con la nota che si riscontra codesta Avvocatura ha
richiesto l’avviso della Scrivente in merito
all’individuazione del soggetto legittimato a ricevere il
pagamento dei corrispettivi contrattuali in relazione a
prestazioni rese da una ditta incaricata dalla Direzione
Generale per la gestione e la manutenzione degli edifici
giudiziari di Napoli per la realizzazione di un sistema di
consultazione al pubblico per l’accesso agli uffici ed ai
servizi del nuovo palazzo di giustizia di Napoli.
(...continua). |
APPALTI: Via
libera alle varianti migliorative. Consiglio di Stato. Se la
gara si aggiudica all’offerta economicamente più
vantaggiosa.
Nuovo impulso dal Consiglio di Stato
alle “varianti migliorative” degli appalti pubblici.
Con la
sentenza 11.12.2015 n. 5655
-Sez. V-
diventa più agevole proporre soluzioni tecniche quando
l’aggiudicazione avviene a favore dell’offerta
«economicamente più vantaggiosa» (articolo 81-83 del Dlgs
163/2006). Anche quando il progetto posto a base di gara è
definitivo, le imprese possono proporre variazioni
migliorative rese possibili dal possesso di specifiche
conoscenze tecnologiche. L’unico obbligo è quello di
rispettare i caratteri essenziali delle prestazioni
richieste dal bando e di non danneggiare la parità di
trattamento rispetto ad altri concorrenti.
Nel caso esaminato si discuteva di un appalto con
progettazione definitiva già predisposta, per realizzare un
centro natatorio, con possibili varianti migliorative sulla
qualità architettonica e sulle caratteristiche dei materiali
di finitura da utilizzare. Uno dei concorrenti aveva
proposto di utilizzare, per la copertura di una piscina, 16
pilastri e pareti in prefabbricati, invece di pilastri
gettati in opera volta per volta. Questa modifica è stata
ritenuta coerente con il progetto, e quindi valutabile dalla
commissione giudicatrice con specifico punteggio. Trova così
conferma l’orientamento già emerso in altri casi, ad esempio
quando si è ritenuto che il risparmio energetico derivante
da pensiline fotovoltaiche per 33 posti auto, possa
rappresentare una miglioria ad un progetto di
riqualificazione di un parco urbano (Tar Bari 846/2015).
Più delicata è stata la questione risolta dal Tar Liguria
(351/2013, riformata poi per motivi procedurali) relativa ai
lavori sul torrente Bisagno a Genova, quando non si
discuteva solo di fondazioni e di micro pali, di cunicoli e
di abbassamento dell’alveo, ma anche di vere e proprie
incongruenze del progetto iniziale che rendevano
indispensabili le modifiche proposte delle imprese. Proprio
attraverso la possibilità di intervenire sul progetto con
varianti migliorative (sindacabili dal giudice con il
parametro della coerenza e della logica) è infatti anche
possibile criticare il progetto iniziale.
In scala minore rispetto ai problemi liguri, ad esempio, si
può proporre la modifica del tracciato di una rete fognaria
prevista sotto la sede stradale, offrendo una collocazione
su adiacenti aree private (Tar Napoli 1978/2015). Se la
commissione di gara condivide le soluzioni migliorative, si
pone il problema dei prezzi da adottare per attuare le
proposte: il Consiglio di Stato (5160 /2013) ritiene che gli
oneri economici derivanti dalle migliorie trovino
compensazione all’interno della complessiva offerta
economica presentata. Su questi presupposti, ci si prepara
all’imminente entrata in vigore della Direttiva Ue 24/2014,
che privilegia l’offerta economicamente più vantaggiosa (articolo Il Sole 24 Ore del
07.01.2016 - tratto da www.centrostudicni.it).
---------------
MASSIMA
7.1. Con il primo motivo del ricorso principale di primo
grado (pagine 4 - 9), la ditta Te. ha dedotto che:
I) la stazione appaltante avrebbe dovuto escludere la ditta
aggiudicataria perché la proposta di variante migliorativa
relativa all’elemento T.1.2. –copertura della vasca della
piscina– era inammissibile in quanto recante una soluzione
tecnica eccedente i limiti inderogabili previsti dalla legge
di gara; in particolare la ditta Gorrasi, invece di
realizzare 16 pilastri di cemento armato gettati in opera,
li ha sostituiti con 16 pilastri prefabbricati (e pareti
esterne dell’involucro sempre in strutture prefabbricate);
II) in ogni caso la commissione avrebbe dovuto assegnare
all’offerta tecnica della ditta Go., in relazione
all’elemento T.1.2., un punteggio pari a zero.
7.1.1. Il motivo è sia inammissibile che infondato e deve
essere respinto nella sua globalità alla stregua delle
seguenti considerazioni in fatto e diritto:
a) in base a un consolidato orientamento giurisprudenziale
(cfr. Corte giust. UE, 12.03.2015, C-538/13, Vigilio Ltd;
Cons. Stato, Ad. plen., 30.07.2014, n. 16; Ad. plen.,
25.02.2014, n. 9; Ad. plen., 30.01.2014, n. 7; Sez. V,
27.03.2015, n. 1601, cui si rinvia ai sensi del combinato
disposto degli artt. 74, 88, co.2, lett. d), e 120, co. 10,
c.p.a.), deve ritenersi che:
I) il principio di tassatività delle cause di
esclusione sancito dall’art. 46, co. 1-bis, del codice dei
contratti pubblici esige, ove richiamato in relazione allo
scrutinio di offerte tecniche, che le stesse debbano essere
escluse solo quando siano a tal punto carenti degli elementi
essenziali da ingenerare una situazione di «incertezza
assoluta sul contenuto …. dell’offerta», ovvero in
presenza di specifiche clausole della legge di gara che
tipizzino una siffatta situazione di incertezza assoluta;
II) la valutazione delle offerte –e dunque anche
della loro “incertezza assoluta”– nonché
l’attribuzione dei punteggi da parte della commissione
giudicatrice, rientrano nell’ampia discrezionalità tecnica
riconosciuta a tale organo, sicché le censure che impingono
il merito di tale valutazione (opinabile) sono
inammissibili, perché sollecitano il giudice amministrativo
ad esercitare un sindacato sostitutorio, al di fuori dei
tassativi casi sanciti dall’art. 134 c.p.a., fatto salvo il
limite della abnormità della scelta tecnica;
III) la previsione esplicita della possibilità di
presentare varianti progettuali in sede di offerta (a
fortiori per il tipo di gara in contestazione, un
appalto di lavori basato sulla sola progettazione
definitiva), è stata oggi generalizzata dall’art. 76 del
codice dei contratti pubblici (per qualsivoglia appalto);
l’amministrazione deve indicare, in sede di redazione della
lex specialis, se le varianti sono ammesse e, in caso
affermativo, identificare i loro requisiti minimi;
IV) la ratio della scelta normativa
–nazionale e comunitaria- si fonda sulla circostanza che,
allorquando il sistema di selezione delle offerte sia basato
sul criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, la
stazione appaltante ha maggiore discrezionalità e
soprattutto sceglie il contraente valutando non solo criteri
matematici ma la complessità dell’offerta proposta alla luce
della vantaggiosità della stessa in funzione dell’interesse
proprio; nel corso del procedimento di gara, quindi,
potrebbero rendersi necessari degli aggiustamenti rispetto
al progetto base elaborato dall’amministrazione,
favorevolmente apprezzabili perché ritenuti utili dalla
medesima stazione appaltante; nel caso, invece, di offerta
selezionata col criterio del prezzo più basso, poiché tutte
le condizioni tecniche sono predeterminate al momento
dell’offerta e non vi è alcuna ragione per modificare
l’assetto contrattuale, non è mai ammessa la possibilità di
presentare varianti;
V) in ogni caso, a prescindere dalla espressa previsione di
varianti progettuali in sede di bando, deve
ritenersi insito nella scelta del criterio selettivo
dell’offerta economicamente più vantaggiosa che, anche
quando il progetto posto a base di gara sia definitivo, è
consentito alle imprese di proporre quelle variazioni
migliorative rese possibili dal possesso di peculiari
conoscenze tecnologiche, purché non si alterino i caratteri
essenziali delle prestazioni richieste dalla lex
specialis onde non ledere la par condicio;
b) la giurisprudenza ha elaborato alcuni criteri guida
relativi alle varianti in sede di offerta:
I) si ammettono varianti migliorative riguardanti
le modalità esecutive dell’opera o del servizio, purché non
si traducano in una diversa ideazione dell’oggetto del
contratto, che si ponga come del tutto alternativo rispetto
a quello voluto dalla p.a.;
II) risulta essenziale che la proposta tecnica sia
migliorativa rispetto al progetto base, che l’offerente dia
contezza delle ragioni che giustificano l’adattamento
proposto e le variazioni alle singole prescrizioni
progettuali, che si dia la prova che la variante garantisca
l’efficienza del progetto e le esigenze della p.a. sottese
alla prescrizione variata;
III) viene lasciato un ampio margine di
discrezionalità alla commissione giudicatrice, trattandosi
dell’ambito di valutazione dell’offerta economicamente più
vantaggiosa.
c) facendo applicazione dei su esposti principi al caso di
specie, nonché alla stregua delle risultanze della
documentazione versata in atti, emerge che:
I) le censure proposte sono inammissibili nella parte in cui
sollecitano il giudice amministrativo a sostituirsi, al di
fuori dei tassativi casi di giurisdizione di merito sanciti
dall’art. 134 c.p.a., alle valutazioni rimesse alla
commissione, che costituiscono manifestazione di una ampia
discrezionalità tecnica;
II) le censure sono infondate anche in fatto, perché la commissione
di gara ha ritenuto (sulla scorta di una opinabile ma
legittima valutazione) che il progetto esecutivo
dell’aggiudicataria non stravolge le linee fondamentali
poste a base di quello preliminare e non presenta mende
reali in tema di sicurezza, stabilità e conformità ai
parametri richiesti;
III) la legge di gara ha previsto la possibilità di proporre
varianti, senza comminare alcuna esclusione e precisando,
altresì, i casi in cui la commissione avrebbe dovuto
assegnare il punteggio zero (evenienze queste che non si
sono verificate nel caso di specie);
IV) la valutazione dell’organo tecnico non risulta abnorme, in
quanto quest’ultimo ha motivato in modo sintetico ma
esaustivo sull’ammissibilità dell’offerta e
sull’attribuzione dei punteggi ai vari elementi tecnici,
senza sconfinare nell’arbitrio e rimanendo nei limiti della
opinabilità;
V) le criticate innovazioni progettuali sono riferibili, nella
sostanza, a migliorie proposte secondo quanto stabilito
dalla legge di gara e non incidono, pertanto, su elementi
essenziali del progetto base. |
APPALTI: Sul
diritto -o meno-
di accesso agli atti della gara.
La ricorrente, partecipante alla gara in
oggetto e risultante non aggiudicataria, presentava istanza
di accesso allo specifico “fine di valutare la possibilità
di effettuare un formale ricorso”.
Non si può quindi escludere una specifica esigenza difensiva
per la tutela di una posizione concreta e differenziata.
Riguardo alla pretesa esigenza di salvaguardare il “know-how
industriale e commerciale”, va osservato che l’esigenza di
riservatezza viene genericamente affermata
dall’amministrazione richiamando le opposizioni delle
controinteressate trascritte nel provvedimento impugnato che
contengono, nella sostanza, un generico dissenso senza
specificare quale tipo di segreto verrebbe divulgato e in
quali documenti sarebbe contenuto.
L’amministrazione ha l’onere di rappresentare quali sono le
specifiche ragioni di tutela del segreto industriale e
commerciale custoditi negli atti di gara, in riferimento a
precisi dati tecnici. In assenza di tale dimostrazione,
l’accesso deve essere consentito.
Di conseguenza, ove non sia fornita, in modo puntuale,
idonea prova circa l’esistenza di un vero e proprio segreto,
non possono che prevalere le esigenze di trasparenza della
procedura cui lo stesso concorrente (che oggi si oppone
all’accesso) si è volontariamente ed implicitamente
assoggettato con la partecipazione alla gara, peraltro con
la duplice garanzia offerta dall’ordinamento della
limitazione, sul piano della legittimazione soggettiva
attiva, dell’accessibilità dell’offerta ad esclusivo
vantaggio dei soli concorrenti che abbiano partecipato alla
selezione e, sul piano oggettivo, per le sole esigenze di
tutela giurisdizionale.
---------------
... per l'annullamento in parte qua, della nota prot.
n. 5916 del 20/02/2015 recante parziale diniego di accesso
agli atti di gara per la fornitura biennale di generi
alimentali vari per refezione scolastica periodo 01/01/2015
31/12/2016.
...
Con l’odierno ricorso viene impugnato il diniego di accesso
agli atti della gara per la fornitura biennale di generi
alimentari, con specifico riferimento alle offerte
presentate dalle ditte controinteressate stante
l’opposizione delle stesse, ai sensi dell’art. 13, comma 5,
del D.Lgs. n. 163/2006, per salvaguardare proprie esigenze
tecniche e commerciali la cui divulgazione avvantaggerebbe
le aziende concorrenti in difetto di una concreta esigenza
difensiva manifestata dalla ricorrente.
Il ricorso è fondato.
Contrariamente a quanto affermato nel provvedimento di
diniego, la ricorrente, partecipante alla gara in oggetto e
risultante non aggiudicataria, presentava istanza di accesso
allo specifico “fine di valutare la possibilità di
effettuare un formale ricorso”.
Non si può quindi escludere una specifica esigenza difensiva
per la tutela di una posizione concreta e differenziata.
Riguardo alla pretesa esigenza di salvaguardare il “know-how
industriale e commerciale”, va osservato che l’esigenza di
riservatezza viene genericamente affermata
dall’amministrazione richiamando le opposizioni delle controinteressate trascritte nel provvedimento impugnato che
contengono, nella sostanza, un generico dissenso senza
specificare quale tipo di segreto verrebbe divulgato e in
quali documenti sarebbe contenuto.
Solo Ri. Srl aggiunge che alcuni documenti sono stati
rilasciati da enti pubblici loro clienti che non l’hanno
autorizzata a diffonderli ma, al riguardo, è agevole
rilevare che gli enti pubblici sono soggetti alla disciplina
sulla trasparenza.
Sul punto va ricordato che l’amministrazione ha l’onere di
rappresentare quali sono le specifiche ragioni di tutela del
segreto industriale e commerciale custoditi negli atti di
gara, in riferimento a precisi dati tecnici. In assenza di
tale dimostrazione, l’accesso deve essere consentito.
Di conseguenza, ove non sia fornita, in modo puntuale,
idonea prova circa l’esistenza di un vero e proprio segreto,
non possono che prevalere le esigenze di trasparenza della
procedura cui lo stesso concorrente (che oggi si oppone
all’accesso) si è volontariamente ed implicitamente
assoggettato con la partecipazione alla gara, peraltro con
la duplice garanzia offerta dall’ordinamento della
limitazione, sul piano della legittimazione soggettiva
attiva, dell’accessibilità dell’offerta ad esclusivo
vantaggio dei soli concorrenti che abbiano partecipato alla
selezione e, sul piano oggettivo, per le sole esigenze di
tutela giurisdizionale (cfr. TAR Lazio, Roma, Sez. III,
26.02.2013, n. 2106; TAR Lombardia, Milano, Sez. III,
15.01.2013 n. 116).
L’impugnato diniego è quindi illegittimo e va annullato
(TAR Marche,
sentenza 11.12.2015 n. 875 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Nelle gare d’appalto sono clausole della lex
specialis immediatamente lesive, e quindi autonomamente
impugnabili senza attendere la loro concreta applicazione da
parte della stazione appaltante, le clausole che determinano
una sicura preclusione all’ammissione alla gara di un
potenziale concorrente.
Un onere di impugnazione immediata di clausole contenute
negli atti di indizione della gara, inoltre, può sussistere
qualora le relative clausole impediscano una corretta e
consapevole elaborazione dell'offerta: tale situazione si
verifica, in particolare, qualora la legge di gara preveda
disposizioni abnormi che rendano impossibile il calcolo di
convenienza tecnica ed economica ai fini della
partecipazione alla procedura concorsuale, ovvero
abbreviazioni irragionevoli dei termini per la presentazione
dell'offerta o, ancora, condizioni negoziali che configurano
il rapporto contrattuale in termini di eccessiva onerosità e
obiettiva non convenienza ed imposizioni di obblighi contra
ius.
---------------
Il ricorso è inammissibile.
Nelle gare d’appalto sono clausole della lex specialis
immediatamente lesive, e quindi autonomamente impugnabili
senza attendere la loro concreta applicazione da parte della
stazione appaltante, le clausole che determinano una sicura
preclusione all’ammissione alla gara di un potenziale
concorrente.
Un onere di impugnazione immediata di clausole contenute
negli atti di indizione della gara, inoltre, può sussistere
qualora le relative clausole impediscano una corretta e
consapevole elaborazione dell'offerta: tale situazione si
verifica, in particolare, qualora la legge di gara preveda
disposizioni abnormi che rendano impossibile il calcolo di
convenienza tecnica ed economica ai fini della
partecipazione alla procedura concorsuale, ovvero
abbreviazioni irragionevoli dei termini per la presentazione
dell'offerta o, ancora, condizioni negoziali che configurano
il rapporto contrattuale in termini di eccessiva onerosità e
obiettiva non convenienza ed imposizioni di obblighi
contra ius (cfr. TAR Lazio, I, 13.01.2014 n. 351; TAR
Liguria, II, 28.11.2013 n. 1449; TAR Veneto, I, 03.04.2013
n. 491).
Nel caso di specie la ricorrente contesta, in buona
sostanza, l’obbligo di rispetto della “clausola sociale”
nei termini e con le modalità imposti dalla stazione
appaltante che aveva onerato la ditta aggiudicataria
dell’assorbimento di tutto il personale dell’impresa uscente
con la conservazione, peraltro, del trattamento giuridico ed
economico in godimento (cfr. l’art. 9 del disciplinare di
gara): obbligo che, secondo la ricorrente, deve essere
interpretato in maniera elastica, in coerenza con l’assetto
organizzativo proprio della ditta subentrante, atteso che,
diversamente, la clausola si porrebbe in evidente contrasto
con i canoni di economia e di autonomia che necessariamente
permeano, pur calmierati dal principio di utilità sociale,
l’attività imprenditoriale e sarebbe, pertanto, illegittima.
Ebbene, a tal proposito deve osservarsi che se la predetta
clausola imponeva effettivamente oneri sproporzionati che
impedivano una corretta e consapevole elaborazione
dell’offerta –la ricorrente ha sottolineato, infatti, “che
negli atti di gara non era rinvenibile né il numero esatto
del personale in servizio alla data di pubblicazione
dell’avviso di gara né, tantomeno la qualifica e il livello
retributivo di inquadramento di ciascun lavoratore”,
talché non era possibile prevederne il costo con certezza-,
tant’è che la ricorrente era fin da subito determinata a
disattenderne il contenuto, allora quella clausola doveva
essere impugnata tempestivamente, senza attendere di essere
esclusa dalla gara in conseguenza della sua (pacificamente
preventivata) violazione.
È evidente, peraltro, che la clausola sociale, così come
formulata (in maniera chiara, precisa ed inequivoca)
nell’art. 9 del disciplinare, non poteva poi essere
interpretata dalla ricorrente limitandone l’efficacia
prescrittiva a proprio piacimento, alla luce di
quell’orientamento giurisprudenziale che afferma che la
clausola sociale, ove genericamente richiamata dal bando, ha
sì portata cogente, ma non tale da comportare l'obbligo per
l'impresa aggiudicataria di assumere a tempo indeterminato
ed in forma automatica e generalizzata tutto il personale
già utilizzato dalla precedente impresa affidataria del
servizio.
Nel caso di specie -lo si ribadisce- la legge di gara non
richiamava genericamente la clausola sociale, ma stabiliva
espressamente (in grassetto e sottolineato) che “…la
ditta aggiudicataria dovrà assorbire tutto il personale
impiegato dall’impresa uscente dal precedente appalto, con
mantenimento delle condizioni retributive…, pena la
risoluzione del contratto, senza necessità di alcun
preavviso da parte della Stazione appaltante”.
Si tratta, dunque, di una prescrizione chiara che non
consente interpretazioni diverse da quella letterale:
sicché, se la ricorrente voleva contestarne la portata (così
come ha fatto), perché ritenuta lesiva, doveva impugnarla
immediatamente, censurando gli atti di gara “in parte qua”.
Ciò in quanto la sua violazione (recte: la sua
omessa, integrale applicazione) avrebbe pacificamente ed
automaticamente comportato l’eliminazione dalla gara.
Nei confronti dell’odierna ricorrente, infatti, il
pregiudizio si è radicato -ossia l’attualità della lesione
si è verificata- già con la pubblicazione dell’avviso di
gara.
Quanto, poi, all’osservazione dell’interessata secondo cui
il rispetto della clausola sociale va verificato in sede di
esecuzione del servizio, se ciò è vero, è altresì vero che
essa ha comunicato la volontà di non voler applicare la
clausola nella sua integralità prima di eseguire le
prestazioni, sicché, per economia procedimentale –sarebbe
stato assurdo stipulare il contratto per poi risolverlo
immediatamente–, sussistendo i presupposti per
l’allontanamento della concorrente l’Amministrazione
appaltante l’ha (correttamente) esclusa dalla procedura
selettiva.
Donde l’inammissibilità del ricorso per tardiva impugnazione
della clausola asseritamente lesiva (TAR Campania-Napoli, Sez. II,
sentenza 10.12.2015 n. 5718 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
LAVORI PUBBLICI: Oggetto:
D.P.C.M. 29.08.2014 n. 171, art. 16, comma 2, lett. o) -
Direzione Generale Arte e Architettura Contemporanee e
Periferie Urbane - "Attività di vigilanza sulla
realizzazione delle opere d'arte negli edifici pubblici ai
sensi della legge 29.07.1949, n. 717 e successive
modificazioni"
(MIBACT,
nota 10.12.2015 n. 2798 di prot.). |
APPALTI SERVIZI: La revisione prezzi nei contratti ad esecuzione periodica o
continuativa riceve regolamentazione cogente dall’art. 6,
comma 4, della legge n. 537 del 1993 e successive
modificazioni, ora art. 115 del d.lgs. n. 163 del 2006, a
tutela non solo della parte privata ma dello stesso buon
fine delle prestazioni nell’interesse pubblico, in un
contesto economico che si caratterizza per la fluttuazione
dei prezzi dei fattori della produzione, incidenti sulla
percentuale di utile considerata in sede di formulazione
dell'offerta.
Il carattere imperativo della norma non può, quindi,
ricevere deroga in base a successive e diverse convenzioni
contrattuali fra l’affidatario del servizio e l’
Amministrazione, cui non possa ricondursi, come nel caso di
specie, alcuna volontà concludente di rinunzia al benefizio
revisionale.
---------------
2. L’appello è fondato nella parte in cui si invoca
l’attivazione da parte dell’ Azienda Ospedaliera
dell’istruttoria per la verifica dei presupposti per il
riconoscimento dei compensi revisionali per il periodo
31.10.2006–14.01.2008.
Si tratta di un arco temporale che è restato regolato
dall’originario contratto di affidamento del servizio di
pulizia e di sanificazione dei presidi ospedalieri in base
all’offerta a tal fine formulata. A detto periodo di vigenza
contrattuale non trova quindi applicazione il principio
affermato dal TAR –e non contraddetto dall’odierna
appellante– in base al quale, per il periodo in cui
l’espletamento del servizio è proseguito in virtù di
apposita clausola di rinnovo del rapporto contrattuale, con
previsione di uno sconto sui corrispettivi inizialmente
convenuti, non può trovare applicazione il meccanismo di
revisione dei corrispettivi, perché incompatibile con la
volontà della ditta di rendere il servizio ad un minor costo
rispetto a quello in precedenza concordato e con
valutazione, quindi, della congruità del corrispettivo.
Il collegio reputa che -in assenza di espressa dichiarazione
della soc. Di. di non avvalersi del meccanismo di revisione
dei prezzi per il periodo antecedente al rinnovo
dell’appalto dei servizi- non può ricondursi
all’applicazione della clausola di rinnovo una rinunzia
implicita al riconoscimento dei compensi revisionali per il
periodo di vigenza a regime dell’iniziale rapporto
contrattuale.
Si tratta, invero, di materia che, nei contratti ad
esecuzione periodica o continuativa, riceve regolamentazione
cogente dall’art. 6, comma 4, della legge n. 537 del 1993 e
successive modificazioni, ora art. 115 del d.lgs. n. 163 del
2006, a tutela non solo della parte privata, ma dello stesso
buon fine delle prestazioni nell’interesse pubblico, in un
contesto economico che si caratterizza per la fluttuazione
dei prezzi dei fattori della produzione, incidenti sulla
percentuale di utile considerata in sede di formulazione
dell'offerta.
Il carattere imperativo della norma non può, quindi,
ricevere deroga in base a successive e diverse convenzioni
contrattuali fra l’affidatario del servizio e l’
Amministrazione, cui non possa ricondursi, come nel caso di
specie, alcuna volontà concludente di rinunzia al benefizio
revisionale (Consiglio di Stato, Sez. III,
sentenza 09.12.2015 n.
5601 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
La determinazione di mancato invito ad un
operatore economico a partecipare ad una gara può essere
individuata anche in precedenti comportamenti negativi del
medesimo operatore.
Ai sensi dell'articolo 2 del D.Lgs. 12.4.2006, n.163,
l'affidamento e l'esecuzione dei servizi e forniture deve
garantire la qualità delle prestazioni e svolgersi nel
rispetto dei principi di efficacia, tempestività e
correttezza.
In applicazione del citato principio generale, sono esclusi
dalla partecipazione alle procedure di affidamento degli
appalti di lavori, servizi e forniture e non possono
stipulare i relativi contratti i soggetti che, secondo
motivata valutazione della stazione appaltante, hanno
commesso grave negligenza o malafede nell'esecuzione delle
prestazioni affidate dalla stazione appaltante che gestisce
la gara, o che hanno commesso un errore grave nell'esercizio
della loro attività professionale, accertato con qualsiasi
mezzo di prova da parte della stazione appaltante.
Ciò premesso, se è vero che la citata norma prevede che
l'esclusione venga disposta "secondo motivata valutazione
della stazione appaltante", è altresì indubitabile che
l'esistenza in tal senso di una valutazione discrezionale
dell'amministrazione debba essere verificata avuto riguardo
alla peculiarità della vicenda oggetto di causa, la quale si
caratterizza per la circostanza che l'operatore non invitato
era parte del pregresso rapporto contrattuale inerente lo
svolgimento del medesimo servizio oggetto di nuovo
affidamento.
In tale situazione, dunque, non può farsi esclusivo
riferimento, ai fini dell'accertamento della concreta
esistenza di una determinazione di non invito e della sua
motivazione, agli atti specificamente inerenti la singola
procedura concorsuale, ma occorre estendere l'indagine anche
a quelli che hanno caratterizzato il rapporto contrattuale
in scadenza. Sicché la determinazione di mancato invito e le
sue ragioni possono essere individuate anche in atti
precedenti nei quali la pubblica amministrazione abbia in
anticipo chiaramente palesato la propria volontà di non
affidare il servizio per il futuro a tale operatore
economico.
Tale valutazione, invero, ove esistente, esprime già le
ragioni della "motivata valutazione" e va a
costituire, nella nuova procedura, l'atto di mancato invito
ovvero ad integrare, quanto a supporto motivazionale, l'atto
implicito di mancato invito che, in assenza di espressa
determinazione provvedimentale, voglia individuarsi nel
nuovo procedimento di affidamento del servizio (Consiglio di
Stato, Sez. IV,
sentenza 07.12.2015 n. 5564 - link a
www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI:
Fuori gara con il mancato invito. Consiglio di
Stato. Il giudizio negativo sul contraente del precedente
appalto.
Se la stazione appaltante si è già
espressa sull’affidabilità del contraente uscente che ha
commesso grave negligenza o malafede nell’esecuzione
dell’appalto, lo stesso può essere escluso “implicitamente”
dalla nuova gara anche con un mancato invito, essendo
quest’ultimo atto ormai vincolato.
Il Consiglio di
Stato -Sez. IV,
sentenza 07.12.2015 n. 5564- ha così bocciato il
ricorso di una società che contestava a un Tribunale il
mancato invito alla nuova gara per il noleggio di sistemi di
supporto alle intercettazioni della Procura sulla base di «disservizi
e inadempimenti» nel contratto precedente per lo stesso
servizio.
Secondo la ricorrente, per l’esclusione dalla nuova gara era
necessario un atto formale «secondo motivata valutazione
della stazione appaltante» come previsto dal Codice
appalti in tema di «requisiti di ordine generale»
(comma f, articolo 38, del Dlgs 163/2006) per chi ha
commesso grave negligenza o malafede negli affidamenti della
Pa che indice il bando.
Per il Tribunale, invece, la «motivata valutazione»
era in una nota di contestazioni inviata tre mesi prima
della scadenza del contratto e in cui si precisava come,
seppur con gravi violazioni, alla risoluzione o al recesso
anticipato si fosse preferito attenderne il termine ormai
vicino, e si dichiarava la volontà di non rinnovarlo «essendo
venuto meno il rapporto di fiducia».
Respingendo la tesi dell’ormai ex gestore, il collegio ha
chiarito che in questi casi «… non può farsi esclusivo
riferimento, ai fini dell’accertamento della concreta
esistenza di una determinazione di non invito e della sua
motivazione, agli atti specificamente inerenti la singola
procedura concorsuale, ma occorre estendere l’indagine anche
a quelli che hanno caratterizzato il rapporto contrattuale
in scadenza», perciò «la determinazione di mancato
invito e le sue ragioni possono essere individuate anche in
atti precedenti nei quali la pubblica amministrazione abbia
in anticipo chiaramente palesato la propria volontà di non
affidare il servizio per il futuro a tale operatore
economico».
Per i giudici, «tale valutazione, invero, ove esistente,
esprime già le ragioni della “motivata valutazione” e va a
costituire, nella nuova procedura, l’atto di mancato invito
ovvero ad integrare, quanto a supporto motivazionale, l’atto
implicito di mancato invito che, in assenza di espressa
determinazione provvedimentale, voglia individuarsi nel
nuovo procedimento di affidamento del servizio».
Nel caso in esame si è spiegato che «si è, dunque, in
presenza di un mancato invito consentito dalla normativa, il
quale non è arbitrario né irragionevole», posto che «si
palesa come atto vincolato, meramente applicativo di una
scelta già in precedenza espressa dall’organo pubblico».
Nella sentenza si è poi ribadito che la non “annullabilità”
dell'atto adottato in violazione di legge è ammessa dalle
norme sul procedimento (articolo 21-octies, articolo
241/1990) solo «qualora, per la natura vincolata del
provvedimento, sia palese che il suo contenuto dispositivo
non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto
adottato», ma nella fattispecie ciò vale anche se segue
un’attività discrezionale che «(…) in ordine alla
motivata valutazione circa la sussistenza di inadempimenti
escludenti era già stata esercitata (e consumata)...»
(articolo Il Sole 24 Ore del 12.01.2016 - tratto da www.centrostudicni.it). |
APPALTI: Come
noto, ai sensi dell’art. 113, comma 4, D.Lgs. 163/2006 “La
mancata costituzione della garanzia di cui al comma 1,
determina la decadenza dell'affidamento e l'acquisizione
della cauzione provvisoria di cui all'art. 75 da parte della
stazione appaltante, che aggiudica l'appalto o la
concessione al concorrente che segue nella graduatoria”
senza al riguardo alcun margine di discrezionalità per la
stazione appaltante.
---------------
L'utilizzo del fax costituisce modalità "ordinaria" di
scambio delle comunicazioni tra la stazione appaltante e le
imprese partecipanti alle gare e rappresenta, pertanto, uno
strumento idoneo a determinare la piena conoscenza del
provvedimento.
Infatti, il fax costituisce un sistema basato su linee di
trasmissione di dati e su apparecchiature che consentono di
documentare sia la partenza del messaggio dall'apparato
trasmittente sia -attraverso il c.d rapporto di
trasmissione- la ricezione del messaggio in quello
ricevente.
Pertanto, la trasmissione del fax consente di presumere
l'avvenuta ricezione senza che colui che dimostra di aver
inviato il messaggio debba fornire alcuna ulteriore prova,
salva l'eventuale prova contraria concernente la
funzionalità dell'apparecchio ricevente fornita, secondo
l'ordinaria regola processualistica, da chi afferma la
mancata ricezione del messaggio.
Va rilevato come nella fattispecie per cui è causa la difesa
del ricorrente non ha abbia né allegato né tantomeno provato
eventuali malfunzionamenti del fax da essa stessa indicato
in sede di offerta.
---------------
Laddove la lettera di invito alla gara, ai sensi dell’art.
79, comma 5-quinqiues, del D.lgs. 163 del 2006, richieda
espressamente l’autorizzazione dei concorrenti a ricevere le
comunicazioni inerenti la gara stessa a mezzo fax in tal
caso parte della giurisprudenza ritiene, invero, che nelle
gare per l'aggiudicazione di appalti pubblici la
comunicazione mediante fax non può rappresentare uno
strumento idoneo a determinare la piena conoscenza
dell'aggiudicazione e/o di un atto o documento, nel caso in
cui non sia stata espressamente autorizzata dal concorrente;
ciò perché, in base alla disposizione normativa di cui al
comma 5-bis dell'art. 79, D.lgs. n. 163 del 2006, la
comunicazione a mezzo fax degli atti di una procedura di
evidenza pubblica è consentita “solo se espressamente
autorizzata dal concorrente”.
Rileva il Collegio che ai sensi dell’art. 43, comma 6, del
d. P.R. 28.12.2000, n. 445, i documenti trasmessi tramite
fax o altro mezzo idoneo ad accertarne la fonte di
provenienza soddisfano il requisito della forma scritta e
che la loro trasmissione non deve essere seguita da quella
del documento originale, salva la necessità del riscontro
dell’avvenuta ricezione mediante il rapporto di
trasmissione.
Il fax, infatti, rappresenta ormai un modo del tutto
ordinario di comunicazione idoneo a determinare la
conoscenza dalla quale decorre il termine per impugnare,
qualora il rapporto di trasmissione indichi che questa sia
avvenuta regolarmente, spettando unicamente a chi eccepisce
la mancata ricezione la prova della non funzionalità
dell’apparecchio ricevente.
Anche volendo ritenere imprescindibile l’autorizzazione del
ricorrente, invero richiesta come visto nella lex specialis,
ritiene il Collegio che la comunicazione attraverso fax, il
cui numero è stato espressamente riportato dalla società
offerente nell’offerta economica presentata per partecipare
alla gara quale sede legale dell’impresa, e della cui
ricezione esiste rapporto negli atti di causa, costituisce
mezzo di comunicazione sufficiente a fondare la conoscenza
del procedimento e della sua lesività, valendo
sostanzialmente tale indicazione come autorizzazione
implicita ai sensi del citato art. 79, comma 5-bis, Codice
contratti pubblici.
---------------
2. E’ materia del contendere la legittimità del
provvedimento 1643 del 14.05.2013 con cui il Ministero delle
Infrastrutture e dei Trasporti ha disposto ai sensi
dell’art. 113, comma 4, del D.lgs. 163 del 2006 la decadenza
dall’aggiudicazione dei lavori di ristrutturazione,
manutenzione straordinaria e adeguamento degli impianti
elettrici e speciali della Caserma “Cefalonia-Corfù”
vecchio edificio, sede del Comando Provinciale della Guardia
di Finanza di Perugia, con importo a base di gara di
806.139,20 euro.
3. Preliminarmente deve essere esaminata la questione
preliminare di ammissibilità del ricorso per mancata
notificazione alla controinteressata impresa “Delta
Impianti s.r.l.”.
Trattasi di questione di rito eccepita soltanto all’udienza
di discussione nel merito e quindi oltre i termini
pacificamente perentori di cui all’art. 73, comma 1, cod.
proc. amm. e che non può essere esaminata d’ufficio, non
essendosene dato atto al verbale d’udienza così come
prescrive l’art. 73, comma 3, cod. proc. amm. (Consiglio di
Stato sez. IV, 26.08.2015, n. 3992; id. 12.05.2014, n.
2420).
4. L’esame della suesposta questione è comunque non decisivo
nell’economia del giudizio, essendo il ricorso infondato nel
merito.
Come noto, ai sensi dell’art. 113, comma 4, “La mancata
costituzione della garanzia di cui al comma 1, determina la
decadenza dell'affidamento e l'acquisizione della cauzione
provvisoria di cui all'art. 75 da parte della stazione
appaltante, che aggiudica l'appalto o la concessione al
concorrente che segue nella graduatoria” senza al
riguardo alcun margine di discrezionalità per la stazione
appaltante (ex multis TAR Sicilia Catania sez. IV,
05.12.2013, n. 2909; TAR Lombardia Brescia sez. II,
02.05.2013, n. 401).
Come emerge dalla documentazione depositata in giudizio dal
Ministero resistente, la nota prot. 1479 dell’11.04.2013 di
diffida a produrre la documentazione necessaria alla
stipulazione del contratto, tra cui la cauzione definitiva,
è stata spedita a mezzo fax al numero della sede legale
dell’impresa ricorrente indicato negli atti di gara (vedi
offerta economica allegato n. 2 al ricorso) e regolarmente
ricevuta lo stesso giorno alle ore 9 e 11 minuti, come da
rapporto di trasmissione depositato dall’Amministrazione
resistente.
L'utilizzo del fax costituisce modalità "ordinaria"
di scambio delle comunicazioni tra la stazione appaltante e
le imprese partecipanti alle gare e rappresenta, pertanto,
uno strumento idoneo a determinare la piena conoscenza del
provvedimento. Infatti, il fax costituisce un sistema basato
su linee di trasmissione di dati e su apparecchiature che
consentono di documentare sia la partenza del messaggio
dall'apparato trasmittente sia -attraverso il c.d rapporto
di trasmissione- la ricezione del messaggio in quello
ricevente. Pertanto, la trasmissione del fax consente di
presumere l'avvenuta ricezione senza che colui che dimostra
di aver inviato il messaggio debba fornire alcuna ulteriore
prova, salva l'eventuale prova contraria concernente la
funzionalità dell'apparecchio ricevente fornita, secondo
l'ordinaria regola processualistica, da chi afferma la
mancata ricezione del messaggio (ex multis TAR
Sicilia Palermo sez. I, 04.03.2014, n. 613; Consiglio di
Stato sez. IV, 12.06.2013, n. 3252).
Va rilevato come nella fattispecie per cui è causa la difesa
del ricorrente non ha abbia né allegato né tantomeno provato
eventuali malfunzionamenti del fax da essa stessa indicato
in sede di offerta.
Deve invece essere rilevato come la lettera di invito (pag
4, punto HH) ai sensi dell’art. 79, comma 5-quinqiues, del
D.lgs. 163 del 2006 richiedesse espressamente
l’autorizzazione dei concorrenti a ricevere le comunicazioni
inerenti la gara a mezzo fax.
In tal caso, parte della giurisprudenza ritiene invero che
nelle gare per l'aggiudicazione di appalti pubblici, la
comunicazione mediante fax non può rappresentare uno
strumento idoneo a determinare la piena conoscenza
dell'aggiudicazione e/o di un atto o documento, nel caso in
cui non sia stata espressamente autorizzata dal concorrente;
ciò perché, in base alla disposizione normativa di cui al
comma 5-bis dell'art. 79, D.lgs. n. 163 del 2006, la
comunicazione a mezzo fax degli atti di una procedura di
evidenza pubblica è consentita “solo se espressamente
autorizzata dal concorrente” (TAR Calabria Catanzaro
sez. I, 12.12.2012, n. 1171; Consiglio di Stato sez. III,
11.07.2012, n. 4116).
Rileva il Collegio che ai sensi dell’art. 43, comma 6, del
d. P.R. 28.12.2000, n. 445, i documenti trasmessi tramite
fax o altro mezzo idoneo ad accertarne la fonte di
provenienza soddisfano il requisito della forma scritta e
che la loro trasmissione non deve essere seguita da quella
del documento originale, salva la necessità del riscontro
dell’avvenuta ricezione mediante il rapporto di
trasmissione.
Il fax, infatti, rappresenta ormai un modo del tutto
ordinario di comunicazione idoneo a determinare la
conoscenza dalla quale decorre il termine per impugnare,
qualora il rapporto di trasmissione indichi che questa sia
avvenuta regolarmente, spettando unicamente a chi eccepisce
la mancata ricezione la prova della non funzionalità
dell’apparecchio ricevente (ex multis TAR Lazio sez.
III, 13.02.2008, n. 1254; id. sez. II, 08.01.2015, n. 151).
4.1. Anche volendo ritenere imprescindibile l’autorizzazione
del ricorrente, invero richiesta come visto nella lex
specialis, ritiene il Collegio che la comunicazione
attraverso fax, il cui numero è stato espressamente
riportato dalla società offerente nell’offerta economica
presentata per partecipare alla gara quale sede legale
dell’impresa, e della cui ricezione esiste rapporto negli
atti di causa, costituisce mezzo di comunicazione
sufficiente a fondare la conoscenza del procedimento e della
sua lesività, valendo sostanzialmente tale indicazione come
autorizzazione implicita ai sensi del citato art. 79, comma
5-bis, Codice contratti pubblici.
5. Le doglianze di illegittimità del provvedimento di
decadenza e del consequenziale atto di segnalazione
all’Autorità di Vigilanza per mancata ricezione della
presupposta diffida prot. 1479/13 sono pertanto prive di
pregio.
6. Parimenti infondate oltre che pretestuose risultano tutte
le rimanenti censure, del tutto prive di capacità
invalidante, non avendo la ricorrente mai provveduto, così
come più volte richiesto dalla stazione appaltante, a
produrre la documentazione richiesta e necessaria per la
stipulazione del contratto
(TAR Umbria,
sentenza 04.12.2015 n. 559 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI: In
tema di valutazione dell'anomalia dell'offerta e del
relativo procedimento di verifica sono da considerare
acquisiti i seguenti principi:
a) il procedimento di verifica dell'anomalia non ha carattere
sanzionatorio e non ha per oggetto la ricerca di specifiche
e singole inesattezze dell'offerta economica, mirando
piuttosto ad accertare se in concreto l'offerta, nel suo
complesso, sia attendibile ed affidabile in relazione alla
corretta esecuzione dell'appalto: esso mira piuttosto a
garantire e tutelare l'interesse pubblico concretamente
perseguito dall'amministrazione attraverso la procedura di
gara per la effettiva scelta del miglior contraente
possibile ai fini dell'esecuzione dell'appalto, così che
l'esclusione dalla gara dell'offerente per l'anomalia della
sua offerta è l'effetto della valutazione (operata
dall'amministrazione appaltante) di complessiva
inadeguatezza della stessa rispetto al fine da raggiungere;
b) il corretto svolgimento del procedimento di verifica presuppone
l'effettività del contraddittorio (tra amministrazione
appaltante ed offerente), di cui costituiscono necessari
corollari: l'assenza di preclusioni alla presentazione di
giustificazioni ancorate al momento della scadenza del
termine di presentazione delle offerte; la immodificabilità
dell'offerta ed al contempo la sicura modificabilità delle
giustificazioni, nonché l'ammissibilità di giustificazioni
sopravvenute e di compensazioni tra sottostime e sovrastime,
purché l'offerta risulti nel suo complesso affidabile al
momento dell'aggiudicazione e a tale momento dia garanzia di
una seria esecuzione del contratto;
c) il giudizio di anomalia o di incongruità dell'offerta
costituisce espressione di discrezionalità tecnica,
sindacabile solo in caso di macroscopica illogicità o di
erroneità fattuale che rendano palese l'inattendibilità
complessiva dell'offerta;
d) il giudice amministrativo può sindacare le valutazioni della
pubblica amministrazione sotto il profilo della logicità,
ragionevolezza ed adeguatezza dell'istruttoria, senza poter
tuttavia procedere ad alcuna autonoma verifica della
congruità dell'offerta e delle singole voci, ciò
rappresentando un'inammissibile invasione della sfera
propria della pubblica amministrazione;
e) anche l'esame delle giustificazioni prodotte dai concorrenti a
dimostrazione della non anomalia della propria offerta
rientra nella discrezionalità tecnica dell'amministrazione,
con la conseguenza che soltanto in caso di macroscopiche
illegittimità, quali gravi ed evidenti errori di valutazione
oppure valutazioni abnormi o inficiate da errori di fatto,
il giudice di legittimità può esercitare il proprio
sindacato, ferma restando l'impossibilità di sostituire il
proprio giudizio a quello dell'amministrazione;
f) sebbene, poi, la valutazione di congruità debba essere globale e
sintetica, senza concentrarsi esclusivamente ed in modo
parcellizzato sulle singole voci di prezzo, dal momento che
l'obiettivo dell'indagine è l'accertamento dell'affidabilità
dell'offerta nel suo complesso e non già delle singole voci
che lo compongono, non può considerarsi viziato il
procedimento di verifica per il fatto che l'amministrazione
appaltante e per essa la commissione di gara si sia limitata
a chiedere le giustificazioni per le sole voci sospette di
anomalia e non per le altre, giacché il concorrente, per
illustrare la propria offerta e dimostrane la congruità, può
fornire, ex art. 87, comma 1, D.Lgs, n. 163 del 2006,
spiegazioni e giustificazioni su qualsiasi elemento
dell'offerta e quindi anche su voci non direttamente
indicate dall'amministrazione come incongrue, così che se un
concorrente non è in grado di dimostrare l'equilibrio
complessivo della propria offerta attraverso il richiamo di
voci ed elementi diversi da quelli individuati nella
richiesta di giustificazioni, in via di principio ciò non
può essere ascritto a responsabilità della stazione
appaltante per erronea o inadeguata.
---------------
Con il secondo motivo di ricorso, parte ricorrente contesta
la motivazione utilizzata dal seggio di gara per escluderla
dalla gara, secondo la quale l’offerta determinerebbe
un’inammissibile compressione degli oneri di personale al di
sotto dei trattamenti minimi salariali, in virtù della
ritenuta possibilità di applicazione di una normativa,
l’art. 1, comma 118, della L. n. 190/2014, sopravvenuta alla
stessa offerta, e, quindi, non invocabile senza una espressa
riserva contenuta nella lex specialis di gara.
Occorre premettere che (cfr. Consiglio di Stato, sez. V,
05/09/2014, n. 4516), <<in tema di valutazione dell'anomalia
dell'offerta e del relativo procedimento di verifica (che
costituisce l'oggetto della controversia in esame) sono da
considerare acquisiti i seguenti principi:
a) il procedimento di verifica dell'anomalia non ha
carattere sanzionatorio e non ha per oggetto la ricerca di
specifiche e singole inesattezze dell'offerta economica,
mirando piuttosto ad accertare se in concreto l'offerta, nel
suo complesso, sia attendibile ed affidabile in relazione
alla corretta esecuzione dell'appalto: esso mira piuttosto a
garantire e tutelare l'interesse pubblico concretamente
perseguito dall'amministrazione attraverso la procedura di
gara per la effettiva scelta del miglior contraente
possibile ai fini dell'esecuzione dell'appalto (ex multis,
C.d.S., sez. III, 14.12.2012, n. 6442; sez. IV, 30.05.2013, n. 2956; sez. V, 18.02.2013, n. 973, 15.04.2013, n. 2063), così che l'esclusione dalla gara
dell'offerente per l'anomalia della sua offerta è l'effetto
della valutazione (operata dall'amministrazione appaltante)
di complessiva inadeguatezza della stessa rispetto al fine
da raggiungere;
b) il corretto svolgimento del procedimento di verifica
presuppone l'effettività del contraddittorio (tra
amministrazione appaltante ed offerente), di cui
costituiscono necessari corollari: l'assenza di preclusioni
alla presentazione di giustificazioni ancorate al momento
della scadenza del termine di presentazione delle offerte; la immodificabilità dell'offerta ed al contempo la sicura
modificabilità delle giustificazioni, nonché l'ammissibilità
di giustificazioni sopravvenute e di compensazioni tra
sottostime e sovrastime, purché l'offerta risulti nel suo
complesso affidabile al momento dell'aggiudicazione e a tale
momento dia garanzia di una seria esecuzione del contratto
(ex pluribus, C.d.S., sez. IV, 22.03.2013, n. 1633; 23.07.2012, n. 4206; sez. V, 20.02.2012, n. 875; sez. VI, 24.08.2011, n. 4801; 21.05.2009, n. 3146);
c) il giudizio di anomalia o di incongruità dell'offerta
costituisce espressione di discrezionalità tecnica,
sindacabile solo in caso di macroscopica illogicità o di
erroneità fattuale che rendano palese l'inattendibilità
complessiva dell'offerta (Cons. Stato, sez. V, 26.06.2012, n. 3737; 22.02.2011, n. 1090;
08.07.2008, n.
3406; 29.01.2009, n. 497);
d) il giudice amministrativo può sindacare le valutazioni
della pubblica amministrazione sotto il profilo della
logicità, ragionevolezza ed adeguatezza dell'istruttoria,
senza poter tuttavia procedere ad alcuna autonoma verifica
della congruità dell'offerta e delle singole voci, ciò
rappresentando un'inammissibile invasione della sfera
propria della pubblica amministrazione (Cons. Stato, sez. V,
18.02.2013, n. 974; 19.11.2012, n. 5846; 23.07.2012, n. 4206; 11.05.2012, n. 2732);
e) anche l'esame delle giustificazioni prodotte dai
concorrenti a dimostrazione della non anomalia della propria
offerta rientra nella discrezionalità tecnica
dell'amministrazione, con la conseguenza che soltanto in
caso di macroscopiche illegittimità, quali gravi ed evidenti
errori di valutazione oppure valutazioni abnormi o inficiate
da errori di fatto, il giudice di legittimità può esercitare
il proprio sindacato, ferma restando l'impossibilità di
sostituire il proprio giudizio a quello dell'amministrazione
(Cons. Stato, sez. V, 06.06.2012, n. 3340; 29.02.2012, n. 1183);
f) sebbene, poi, la valutazione di congruità debba essere
globale e sintetica, senza concentrarsi esclusivamente ed in
modo parcellizzato sulle singole voci di prezzo, dal momento
che l'obiettivo dell'indagine è l'accertamento
dell'affidabilità dell'offerta nel suo complesso e non già
delle singole voci che lo compongono (Cons. Stato, sez. V,
27.08.2012, n. 4600; sez, V, 16.08.2011, n. 4785;
sez. IV, 14.04.2010, n. 2070; sez. VI, 02.04.2010, n.
1893; sez. V, 18.03.2010, n. 1589; 12.06.2009, n.
3762), non può considerarsi viziato il procedimento di
verifica per il fatto che l'amministrazione appaltante e per
essa la commissione di gara si sia limitata a chiedere le
giustificazioni per le sole voci sospette di anomalia e non
per le altre, giacché il concorrente, per illustrare la
propria offerta e dimostrane la congruità, può fornire, ex
art. 87, comma 1, D.Lgs, n. 163 del 2006, spiegazioni e
giustificazioni su qualsiasi elemento dell'offerta e quindi
anche su voci non direttamente indicate dall'amministrazione
come incongrue, così che se un concorrente non è in grado di
dimostrare l'equilibrio complessivo della propria offerta
attraverso il richiamo di voci ed elementi diversi da quelli
individuati nella richiesta di giustificazioni, in via di
principio ciò non può essere ascritto a responsabilità della
stazione appaltante per erronea o inadeguata>>.
Secondo i detti condivisibili principi, quindi, l’offerta,
immutabile nella sua consistenza finale, può essere oggetto
di precisazioni e giustificazioni anche sopravvenute
(TAR Sicilia-Catania, Sez. IV,
sentenza 03.12.2015 n. 2840
- link a www.giustizia-amministrativa.it). |
novembre 2015 |
|
APPALTI:
Soggetti tenuti al rilascio della documentazione
antimafia in caso di partecipazioni societarie indirette
(parere
26.11.2015-536024, AL 35225/15 -
Rassegna
Avvocatura dello Stato n. 1/2016).
---------------
1. Quesito
Si fa riferimento alla nota in oggetto, con cui codesta
Amministrazione ha chiesto un parere della Scrivente in
merito all’ambito di operatività, sul piano della sfera
soggettiva, della prescrizione contenuta nell’art. 85, comma
2, lett. c), D.Lgs. n. 159/2011 la quale, in materia di
soggetti tenuti al rilascio della documentazione antimafia,
fa riferimento al «socio di maggioranza in caso di società
con un numero di soci pari o inferiore a quattro».
(...continua). |
APPALTI: Nelle
gare pubbliche la certificazione di qualità rientra tra i
requisiti soggettivi di carattere tecnico-organizzativo che
può essere oggetto di avvalimento, ma a condizione che
l'impresa ausiliaria si impegni a mettere a disposizione
dell'impresa ausiliata le proprie risorse e il proprio
apparato organizzativo in tutte le parti che giustificano
l'attribuzione del requisito di qualità (a seconda dei casi:
mezzi, personale, prassi e tutti gli altri elementi
aziendali qualificanti).
Inoltre l'avvalimento, così come configurato dalla legge,
deve essere reale e non formale, nel senso che non può
considerarsi sufficiente prestare la certificazione
posseduta assumendo impegni assolutamente generici, giacché
in questo modo verrebbe meno la stessa essenza
dell'istituto, finalizzato non già ad arricchire la capacità
tecnica ed economica del concorrente, bensì a consentire a
soggetti, che ne siano sprovvisti, di concorrere alla gara
ricorrendo ai requisiti di altri soggetti, garantendo
l'affidabilità dei lavori, dei servizi o delle forniture
appaltati.
---------------
Nelle gare pubbliche la certificazione di qualità, essendo
connotata dal precipuo fine di valorizzare gli elementi di
eccellenza dell'organizzazione complessiva, è da
considerarsi anch'essa requisito di idoneità tecnico
organizzativa dell'impresa, da inserirsi tra gli elementi
idonei a dimostrarne la capacità tecnico-professionale
assicurando che l'impresa, cui sarà affidato il servizio o
la fornitura, sarà in grado di effettuare la prestazione nel
rispetto di un livello minimo di qualità accertato da un
organismo a ciò predisposto; di conseguenza, afferendo essa
alla capacità tecnica dell'imprenditore, può formare oggetto
dell'avvalimento come disciplinato dall'art. 49, d.lgs.
12.04.2006 n. 163.
---------------
L'impresa ausiliata può senz'altro utilizzare tutti i
requisiti afferenti alla capacità economica e tecnica
dell'impresa ausiliaria, tra cui la certificazione di
qualità, in quanto quest’ultima, essendo connotata dal
precipuo fine di valorizzare gli elementi d’eccellenza
dell'organizzazione complessiva, è anch'essa requisito
d’idoneità tecnico-organizzativa dell'impresa. Essa, dunque,
s’inserisce tra gli elementi idonei a dimostrare la capacità
dell'impresa, cui sarà affidato il servizio o la fornitura,
di effettuare la prestazione nel rispetto di quel livello
minimo di qualità accertato da un organismo a ciò
predisposto ed indipendente.
Certo, come in tutti gli altri casi d’avvalimento, l’unico
limite dell’istituto è e resta la condizione che l'avvalimento
sia effettivo e non fittizio, non potendosi ammettere il
c.d. "prestito" della sola certificazione di qualità quale
mero documento e senza quel minimo d’apparato
dell’ausiliaria atta a dar senso al prestito stesso, a
seconda dei casi i mezzi, il personale, il know how, le
prassi e tutti gli altri elementi aziendali qualificanti.
Sul punto, è stato chiarito che siffatta certificazione, in
quanto finalizzata ad assicurare l'espletamento del servizio
o della fornitura da una impresa secondo il livello
qualitativo accertato dall’apposito organismo e sulla base
di parametri rigorosi delineati a livello internazionale
—che danno rilievo all'organizzazione complessiva della
relativa attività ed all'intero svolgimento delle diverse
fasi di lavoro—, non può essere oggetto di avvalimento senza
la messa a disposizione di tutto o di quella parte del
complesso aziendale del soggetto al quale è stato
riconosciuto il sistema di qualità, occorrente per
l’effettuazione del servizio o della fornitura.
L’art. 49 del Dlgs 163/2006, che non può non esser letto in
coerenza con la norma UE correlata, non tollera perciò
limitazioni sull’an dell’istituto, pur imponendo, come
d’altronde già prevede l’ordinamento generale, la serietà
dell’impegno nel quid e nel quomodo dell’ausiliaria verso l’ausiliata,
al fine di garantire l’effettività ai fini dell’adempimento
dell’appalto. Tanto perché, com’è ovvio, nelle gare
pubbliche, il requisito di ammissione dimostrato
dall'impresa partecipante mediante l’avvalimento deve
rassicurare la stazione appaltante circa l'affidabilità
della futura offerta allo stesso modo in cui ciò avverrebbe
se il requisito fosse posseduto in via diretta dalla
partecipante alla gara.
---------------
Inoltre, come recentemente affermato da questa sezione nella
sentenza n. 2513/2014 e confermato dalla terza sezione del
Consiglio di Stato con la sentenza n. 3517/2015, che
riguardano atti della medesima gara oggetto della presente
impugnazione, secondo il più recente orientamento della
giurisprudenza amministrativa, nelle gare pubbliche la
certificazione di qualità rientra tra i requisiti soggettivi
di carattere tecnico-organizzativo che può essere oggetto di
avvalimento, ma a condizione che l'impresa ausiliaria si
impegni a mettere a disposizione dell'impresa ausiliata le
proprie risorse e il proprio apparato organizzativo in tutte
le parti che giustificano l'attribuzione del requisito di
qualità (a seconda dei casi: mezzi, personale, prassi e
tutti gli altri elementi aziendali qualificanti); inoltre l'avvalimento,
così come configurato dalla legge, deve essere reale e non
formale, nel senso che non può considerarsi sufficiente
prestare la certificazione posseduta assumendo impegni
assolutamente generici, giacché in questo modo verrebbe meno
la stessa essenza dell'istituto, finalizzato non già ad
arricchire la capacità tecnica ed economica del concorrente,
bensì a consentire a soggetti, che ne siano sprovvisti, di
concorrere alla gara ricorrendo ai requisiti di altri
soggetti, garantendo l'affidabilità dei lavori, dei servizi
o delle forniture appaltati (Cons. Stato, sez. V,
11.07.2014, n. 3574).
Nelle gare pubbliche la certificazione di qualità, essendo
connotata dal precipuo fine di valorizzare gli elementi di
eccellenza dell'organizzazione complessiva, è da
considerarsi anch'essa requisito di idoneità
tecnico-organizzativa dell'impresa, da inserirsi tra gli
elementi idonei a dimostrarne la capacità tecnico
professionale assicurando che l'impresa, cui sarà affidato
il servizio o la fornitura, sarà in grado di effettuare la
prestazione nel rispetto di un livello minimo di qualità
accertato da un organismo a ciò predisposto; di conseguenza,
afferendo essa alla capacità tecnica dell'imprenditore, può
formare oggetto dell'avvalimento come disciplinato dall'art.
49, d.lgs. 12.04.2006 n. 163 (Cons. Stato, sez. V,
20.12.2013, n. 6125).
Inoltre, come risulta affermato dal giudice di appello: “Nella
specie, sulla fornitura del CO2 l’aggiudicataria ha
dichiarato di volersi avvalere del certificato di qualità
UNI EN ISO 22000:2005, per il trasporto, della GASCAR s.r.l.
e, per la produzione, della certificazione di qualità della
SAPIO Produzione idrogeno e ossigeno s.r.l.. Deduce
l’appellante che non è possibile avvalersi della qualità
altrui, ché attiene ai requisiti soggettivi dell’impresa, ma
pare al Collegio che, prima ancora del TAR, la stessa
Azienda appaltante abbia fatto corretto governo dei criteri
che disciplinano il sistema dell’avvalimento, anche per ciò
che attiene a tal certificazione. In particolare, un’impresa
ha formulato taluni quesiti sul punto, cioè se il possesso
della certificazione di qualità per il trasporto dei gas
potesse esser soddisfatto con l’avvalimento. L’Azienda ha
risposto che pure tal possesso può esser oggetto d’avvalimento
ai sensi dell’art. 49 del Dlgs 163/2006, poiché si tratta
d’un requisito dell’impresa di natura
tecnico–organizzativo".
Ebbene, nella specie, anche l’aggiudicataria s’è adeguata
all’avviso dell’Azienda, il quale, si badi, è coerente con
la consolidata giurisprudenza di questo Consiglio, specie se
si tiene conto dell’assenza di un’espressa preclusione della
lex specialis al riguardo. Infatti, l'impresa ausiliata può
senz'altro utilizzare tutti i requisiti afferenti alla
capacità economica e tecnica dell'impresa ausiliaria, tra
cui la certificazione di qualità, in quanto quest’ultima,
essendo connotata dal precipuo fine di valorizzare gli
elementi d’eccellenza dell'organizzazione complessiva, è
anch'essa requisito d’idoneità tecnico-organizzativa
dell'impresa (Cons. St., IV, 03.10.2014 n. 4958). Essa,
dunque, s’inserisce tra gli elementi idonei a dimostrare la
capacità dell'impresa, cui sarà affidato il servizio o la
fornitura, di effettuare la prestazione nel rispetto di quel
livello minimo di qualità accertato da un organismo a ciò
predisposto ed indipendente (cfr. così Cons. St., V,
06.03.2013 n. 1368; id., 20.12.2013 n. 6125; id., 24.07.2014
n. 3949).
Certo, come in tutti gli altri casi d’avvalimento, l’unico
limite dell’istituto è e resta la condizione che l'avvalimento
sia effettivo e non fittizio, non potendosi ammettere il
c.d. "prestito" della sola certificazione di qualità quale
mero documento e senza quel minimo d’apparato
dell’ausiliaria atta a dar senso al prestito stesso, a
seconda dei casi i mezzi, il personale, il know how, le
prassi e tutti gli altri elementi aziendali qualificanti
(cfr. così, Cons. St., V, 11.07.2014 n. 3574).
Sul punto, la Sezione (cfr., per tutti, Cons. St., III,
07.04.2014 n. 1636) ha chiarito che siffatta certificazione,
in quanto finalizzata ad assicurare l'espletamento del
servizio o della fornitura da una impresa secondo il livello
qualitativo accertato dall’apposito organismo e sulla base
di parametri rigorosi delineati a livello internazionale
—che danno rilievo all'organizzazione complessiva della
relativa attività ed all'intero svolgimento delle diverse
fasi di lavoro—, non può essere oggetto di avvalimento senza
la messa a disposizione di tutto o di quella parte del
complesso aziendale del soggetto al quale è stato
riconosciuto il sistema di qualità, occorrente per
l’effettuazione del servizio o della fornitura. L’art. 49
del Dlgs 163/2006, che non può non esser letto in coerenza
con la norma UE correlata, non tollera perciò limitazioni
sull’an dell’istituto, pur imponendo, come d’altronde già
prevede l’ordinamento generale, la serietà dell’impegno nel
quid e nel quomodo dell’ausiliaria verso l’ausiliata, al
fine di garantire l’effettività ai fini dell’adempimento
dell’appalto. Tanto perché, com’è ovvio, nelle gare
pubbliche, il requisito di ammissione dimostrato
dall'impresa partecipante mediante l’avvalimento deve
rassicurare la stazione appaltante circa l'affidabilità
della futura offerta allo stesso modo in cui ciò avverrebbe
se il requisito fosse posseduto in via diretta dalla
partecipante alla gara (giurisprudenza consolidata).
Questi essendo i capisaldi della giurisprudenza
sull’argomento, l’Azienda ed il TAR, ciascuno per il proprio
ambito di competenza, ne hanno fornito corretta applicazione
nel caso in esame…” (Cons. Stato, sez. III, 14.07.2015,
n. 3517)
(TAR Lombardia-Milano, Sez. IV,
sentenza 26.11.2015 n. 2492 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
E' illegittima
l'esclusione automatica da una gara pubblica, indetta per
l'affidamento di un appalto di forniture, di una impresa che
non aveva indicato, nell'offerta economica, gli oneri per la
sicurezza.
Ed invero, nel caso di appalti non aventi ad oggetto
l'esecuzione di lavori pubblici, nei cui confronti si
applica la norma dettata ad hoc dall'art. 131 del d.lgs.
12.04.2006 n. 163, ed il cui bando di gara non contenga una
comminatoria espressa, l'omessa indicazione nell'offerta
dello scorporo matematico degli oneri di sicurezza per
rischio specifico non comporta di per sé l'esclusione dalla
gara, ma rileva ai soli fini dell'anomalia del prezzo
offerto, nel senso che, per scelta della stazione
appaltante, il momento di valutazione dei suddetti oneri non
è eliso, ma è posticipato al sub-procedimento di verifica
della congruità dell'offerta nel suo complesso.
---------------
E’ stato statuito in una recente decisione che, in relazione
agli appalti di forniture e di servizi intellettuali (nel
cui ambito il rischio c.d. ‘specifico’ o ‘aziendale’ ha
minore possibilità di incidenza), la regola di
specificazione (o separata indicazione) dei costi di
sicurezza, ai sensi degli articoli 86 e 87 del decreto
legislativo n. 163 del 2006 opera in via primaria nei
confronti delle amministrazioni aggiudicatrici in sede di
predisposizione delle gare di appalto e di valutazione
dell’anomalia, con la conseguenza che l’assenza di scorporo
nel quantum fin dalla fase di presentazione dell’offerta non
può risolversi in causa di esclusione dalla gara, anche alla
luce dei criteri di tassatività della cause espulsive
previsti dall’art. 46, comma 1-bis, del medesimo codice.
Il difetto di effettivi profili di rischiosità afferenti al
tema della salute e della sicurezza sul lavoro
nell’esecuzione dell’appalto (nella specie si trattava della
fornitura di materiale informatico e di servizi di
installazione) rende sostanzialmente inutile l’inserimento
nell’ambito della lex specialis di una clausola la quale ne
preveda (ciò che avviene normalmente) l’obbligo di
quantificazione sotto comminatoria di esclusione. In tali
casi, l’inserimento nella lex specialis degli oneri di
sicurezza non ha carattere cogente ed inderogabile, onde non
può farsi luogo ad eterointegrazione delle prescrizioni di
gara.
Tale principio ha finito per essere da ultimo condiviso
nella sostanza dalla recente decisione dell’Adunanza
plenaria 20.03.2015, n. 3, nella quale è stato affermato che
“nelle procedure di affidamento di lavori i partecipanti
alla gara devono indicare nell’offerta economica i costi
interni per la sicurezza del lavoro, pena l’esclusione
dell’offerta dalla procedura anche se non prevista nel bando
di gara”; tuttavia, la decisione si muove nella direzione di
una lettura costituzionalmente orientata delle disposizioni
dinanzi richiamate e del comma 6 dell’articolo 26 del d.lgs.
n. 81 del 2008 e conclude nel senso che le stazioni
appaltanti, nella predisposizione degli atti di gara per
lavori e al fine della valutazione dell’anomalia delle
offerte, devono determinare il valore economico degli
appalti includendovi l’idonea stima di tutti i costi per la
sicurezza con l’indicazione specifica di quelli da
interferenze; i concorrenti, a loro volta, devono indicare
nell’offerta economica sia i costi di sicurezza per le
interferenze (quali predeterminati dalla stazione
appaltante) che i costi di sicurezza interni che essi
determinano in relazione alla propria organizzazione
produttiva e al tipo di offerta formulata.
Ne discende la conferma del condiviso orientamento secondo
cui nelle procedure ad evidenza pubblica la regola di
specificazione (o separata indicazione) dei costi di
sicurezza, ai sensi degli articoli 86 e 87 del decreto
legislativo n. 163 del 2006 opera in via primaria nei
confronti delle amministrazioni aggiudicatrici in sede di
predisposizione delle gare di appalto e di valutazione
dell’anomalia, con la conseguenza che l’assenza di scorporo
nel quantum fin dalla fase di presentazione dell’offerta non
può risolversi in causa di esclusione dalla gara, anche alla
luce dei criteri di tassatività della cause espulsive
previsti dall’art. 46, comma 1-bis, del medesimo Codice.
---------------
Nel caso di specie, la lex specialis di gara non prevedeva
l’obbligo per le imprese partecipanti di indicare in sede di
offerta i cc.dd. costi ‘specifici’ o ‘aziendali’ e
–correlativamente– non comminava alcuna conseguenza
escludente per la violazione di tale obbligo.
Laddove una siffatta clausola escludente fosse stata inclusa
nell’ambito della lex specialis, essa sarebbe risultata di
dubbia validità con riferimento al comma 1-bis dell’articolo
46 del ‘Codice di contratti’, stante l’insussistenza di una
siffatta ipotesi legale di esclusione e la conseguente
violazione del principio di tipicità e tassatività legale di
tali clausole.
Da tali statuizioni si ricava, dunque, che, nella
fattispecie in questione, nella quale l’indicazione degli
oneri di sicurezza aziendali non era espressamente prevista
dalla lex specialis a pena di esclusione, tale mancanza non
può di certo ravvisarsi come rilevante ai fini
dell’esclusione dell’offerta di Sa.Li..
---------------
Con riferimento al secondo motivo, specificato con il primo
motivo aggiunto, la ricorrente, essenzialmente, deduce la
violazione degli artt. 87, comma 4 e 46, comma 1-bis del
d.lgs. n. 163/2006 e 3 della legge n. 241/1990 e l’eccesso
di potere per difetto di motivazione e di istruttoria e
travisamento dei fatti per la mancata indicazione
nell’offerta della controinteressata degli oneri di
sicurezza aziendali, i quali non sarebbero stati neppure
valutati dalla commissione di gara nell’ambito del giudizio
sull’anomalia dell’offerta.
In relazione alla prima parte della censura si ritiene di
confermare l’orientamento espresso più volte dalla sezione
(cfr., per tutte, TAR Lombardia, sez. IV, 09.01.2014, n. 36;
05.03.2015, n. 645), nonché dalla maggioranza della
giurisprudenza amministrativa (cfr., fra le tante, Cons.
Stato, sez. V, 17.03.2015, n. 1375; sez. III, 04.03.2014, n.
1030), per il quale è illegittima l'esclusione automatica da
una gara pubblica, indetta per l'affidamento di un appalto
di forniture, di una impresa che non aveva indicato,
nell'offerta economica, gli oneri per la sicurezza. Ed
invero, nel caso di appalti non aventi ad oggetto
l'esecuzione di lavori pubblici, nei cui confronti si
applica la norma dettata ad hoc dall'art. 131 del
d.lgs. 12.04.2006 n. 163, ed il cui bando di gara non
contenga una comminatoria espressa, l'omessa indicazione
nell'offerta dello scorporo matematico degli oneri di
sicurezza per rischio specifico non comporta di per sé
l'esclusione dalla gara, ma rileva ai soli fini
dell'anomalia del prezzo offerto, nel senso che, per scelta
della stazione appaltante, il momento di valutazione dei
suddetti oneri non è eliso, ma è posticipato al
sub-procedimento di verifica della congruità dell'offerta
nel suo complesso (Cons. Stato, sez. V, 02.10.2014, n.
4907).
Tale consolidato orientamento è stato confermato pure a
seguito della nota pronuncia resa dal giudice di appello in
adunanza plenaria (Cons. Stato, A.P., 20.03.2015, n. 3).
E’ stato, invero, statuito in una recente decisione che, in
relazione agli appalti di forniture e di servizi
intellettuali (nel cui ambito il rischio c.d. ‘specifico’
o ‘aziendale’ ha minore possibilità di incidenza), la
regola di specificazione (o separata indicazione) dei costi
di sicurezza, ai sensi degli articoli 86 e 87 del decreto
legislativo n. 163 del 2006 opera in via primaria nei
confronti delle amministrazioni aggiudicatrici in sede di
predisposizione delle gare di appalto e di valutazione
dell’anomalia, con la conseguenza che l’assenza di scorporo
nel quantum fin dalla fase di presentazione
dell’offerta non può risolversi in causa di esclusione dalla
gara, anche alla luce dei criteri di tassatività della cause
espulsive previsti dall’art. 46, comma 1-bis, del medesimo
codice.
Il difetto di effettivi profili di rischiosità afferenti al
tema della salute e della sicurezza sul lavoro
nell’esecuzione dell’appalto (nella specie si trattava della
fornitura di materiale informatico e di servizi di
installazione) rende sostanzialmente inutile l’inserimento
nell’ambito della lex specialis di una clausola la
quale ne preveda (ciò che avviene normalmente) l’obbligo di
quantificazione sotto comminatoria di esclusione. In tali
casi, l’inserimento nella lex specialis degli oneri
di sicurezza non ha carattere cogente ed inderogabile, onde
non può farsi luogo ad eterointegrazione delle prescrizioni
di gara (Cons. Stato, V, 17.06.2014, n. 3056).
Tale principio ha finito per essere da ultimo condiviso
nella sostanza dalla recente decisione dell’Adunanza
plenaria 20.03.2015, n. 3, nella quale è stato affermato che
“nelle procedure di affidamento di lavori i partecipanti
alla gara devono indicare nell’offerta economica i costi
interni per la sicurezza del lavoro, pena l’esclusione
dell’offerta dalla procedura anche se non prevista nel bando
di gara”; tuttavia, la decisione si muove nella
direzione di una lettura costituzionalmente orientata delle
disposizioni dinanzi richiamate e del comma 6 dell’articolo
26 del d.lgs. n. 81 del 2008 e conclude nel senso che le
stazioni appaltanti, nella predisposizione degli atti di
gara per lavori e al fine della valutazione dell’anomalia
delle offerte, devono determinare il valore economico degli
appalti includendovi l’idonea stima di tutti i costi per la
sicurezza con l’indicazione specifica di quelli da
interferenze; i concorrenti, a loro volta, devono indicare
nell’offerta economica sia i costi di sicurezza per le
interferenze (quali predeterminati dalla stazione
appaltante) che i costi di sicurezza interni che essi
determinano in relazione alla propria organizzazione
produttiva e al tipo di offerta formulata.
Ne discende la conferma del condiviso orientamento secondo
cui nelle procedure ad evidenza pubblica la regola di
specificazione (o separata indicazione) dei costi di
sicurezza, ai sensi degli articoli 86 e 87 del decreto
legislativo n. 163 del 2006 opera in via primaria nei
confronti delle amministrazioni aggiudicatrici in sede di
predisposizione delle gare di appalto e di valutazione
dell’anomalia, con la conseguenza che l’assenza di scorporo
nel quantum fin dalla fase di presentazione dell’offerta non
può risolversi in causa di esclusione dalla gara, anche alla
luce dei criteri di tassatività della cause espulsive
previsti dall’art. 46, comma 1-bis, del medesimo Codice.
Inoltre, nel caso in questione, la lex specialis di
gara non prevedeva l’obbligo per le imprese partecipanti di
indicare in sede di offerta i cc.dd. costi ‘specifici’
o ‘aziendali’ e –correlativamente– non comminava
alcuna conseguenza escludente per la violazione di tale
obbligo.
Laddove una siffatta clausola escludente fosse stata inclusa
nell’ambito della lex specialis, essa sarebbe
risultata di dubbia validità con riferimento al comma 1-bis
dell’articolo 46 del ‘Codice di contratti’, stante
l’insussistenza di una siffatta ipotesi legale di esclusione
e la conseguente violazione del principio di tipicità e
tassatività legale di tali clausole (Cons. Stato, sez. VI,
09.04.2015, n. 1798).
Da tali statuizioni si ricava, dunque, che, nella
fattispecie in questione, nella quale l’indicazione degli
oneri di sicurezza aziendali non era espressamente prevista
dalla lex specialis a pena di esclusione, tale
mancanza non può di certo ravvisarsi come rilevante ai fini
dell’esclusione dell’offerta di Sa.Li.
(TAR Lombardia-Milano, Sez. IV,
sentenza 26.11.2015 n. 2492 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Per giurisprudenza costante, nelle procedure da
aggiudicarsi con il criterio dell’offerta economicamente più
vantaggiosa l’attribuzione dei punteggi all’offerta tecnica
costituisce una valutazione di natura discrezionale
insindacabile, purché immune da macroscopici vizi di
irrazionalità, incongruità o illogicità.
---------------
Nelle gare d’appalto, in tema di verifica dell’anomalia
dell’offerta, deve ritenersi che il giudizio della stazione
appaltante costituisca esplicazione paradigmatica di
discrezionalità tecnica, sindacabile solo in caso di
macroscopica illogicità o di erroneità fattuale.
Anche l’esame delle giustificazioni prodotte dai concorrenti
a dimostrazione della non anomalia della propria offerta
rientra nella discrezionalità tecnica dell’Amministrazione,
con la conseguenza che soltanto in caso di macroscopiche
illegittimità, quali errori di valutazione gravi ed evidenti
oppure valutazioni abnormi o inficiate da errori di fatto,
il giudice può intervenire, fermo restando l’impossibilità
di sostituire il proprio giudizio a quello
dell’Amministrazione.
---------------
Riguardo, invece, alla seconda parte della censura,
specificata con il primo motivo aggiunto, con la quale
l’istante ha lamentato la mancata valutazione degli oneri di
sicurezza aziendali al fine della valutazione dell’anomalia
dell’offerta di Sa.Li., senza addurre, peraltro, specifiche
contestazioni a riguardo che possano far dubitare
dell’effettuazione di tale giudizio anche in relazione a
tale aspetto, il collegio ritiene, invece, che tale
valutazione risulti essere stata effettuata nell’ambito del
complessivo giudizio sulla anomalia dell’offerta come
risulta dalla documentazione versata in atti e precisamente
dai verbali del giudizio di valutazione sull’eventuale
anomalia dell’offerta (docc. 10 e 11 depositati dalla
stazione appaltante).
Con riferimento al terzo motivo di gravame, specificato con
il terzo motivo aggiunto, la società istante ha contestato
la valutazione della sua offerta tecnica da parte della
commissione di gara, la quale, penalizzandola, avrebbe
attribuito solo 12 punti al parametro dell’organizzazione
aziendale rispetto ai 18 attribuiti all’offerta tecnica
della controinteressata con riferimento allo stesso
parametro.
Tali censure investono, evidentemente, il corretto esercizio
della discrezionalità tecnica della stazione appaltante,
contestabile in sede di giudizio di legittimità solo entro
limiti, il cui superamento non risulta nella fattispecie
adeguatamente rappresentato e provato. Come ribadito
dall’art. 64 Cod. proc. amm., infatti, detta provata
rappresentazione era a carico dell’appellante, che ha invece
fornito sotto alcuni profili un proprio diverso (ma
inammissibile) apprezzamento di merito (cfr. Cons. Stato,
sez. VI, 23.10.2015, n. 4883).
In proposito deve ricordarsi che, per giurisprudenza
costante, nelle procedure da aggiudicarsi con il criterio
dell’offerta economicamente più vantaggiosa l’attribuzione
dei punteggi all’offerta tecnica costituisce una valutazione
di natura discrezionale insindacabile, purché immune da
macroscopici vizi di irrazionalità, incongruità o
illogicità.
Nella fattispecie in questione, dall’esame della
documentazione inerente la valutazione delle offerte
tecniche delle concorrenti tali illogicità ed incongruità
non si evincono in alcun modo, risultando, di conseguenza,
impossibile per il giudice sostituirsi alla valutazione
operata dalla commissione giudicatrice.
Riguardo al secondo motivo del ricorso per motivi aggiunti,
con il quale l’istante ha dedotto genericamente la mancata
indicazione nelle giustificazioni presentate dalla
controinteressata delle voci richieste dalla legge per la
verifica dell’anomalia dell’offerta, deve innanzitutto
precisarsi che la ricorrente non ha fornito alcun elemento
dal quale poter dedurre l’incongruità dell’offerta economica
della controinteressata, che, peraltro, ammonta a 396.257,20
euro rispetto a quella della ricorrente medesima, pari ad
euro 349.095,35.
Il collegio si riporta, inoltre, al consolidato orientamento
giurisprudenziale in base al quale “Nelle gare d’appalto,
in tema di verifica dell’anomalia dell’offerta, deve
ritenersi che il giudizio della stazione appaltante
costituisca esplicazione paradigmatica di discrezionalità
tecnica, sindacabile solo in caso di macroscopica illogicità
o di erroneità fattuale” e che, quindi, “Anche
l’esame delle giustificazioni prodotte dai concorrenti a
dimostrazione della non anomalia della propria offerta
rientri nella discrezionalità tecnica dell’Amministrazione,
con la conseguenza che soltanto in caso di macroscopiche
illegittimità, quali errori di valutazione gravi ed evidenti
oppure valutazioni abnormi o inficiate da errori di fatto,
il giudice può intervenire, fermo restando l’impossibilità
di sostituire il proprio giudizio a quello
dell’Amministrazione” (cfr., fra le tante, Cons. Strato,
sez. IV, 11.11.2014, n. 5514).
E tali macroscopiche illogicità, erroneità fattuali,
macroscopiche illegittimità, quali errori di valutazione
gravi ed evidenti, valutazioni abnormi o inficiate da errori
di fatto non risultano in alcun modo essersi verificate
nella fattispecie all’esame del collegio.
Alla luce delle suesposte considerazioni, il ricorso
principale ed i motivi aggiunti vanno respinti, unitamente
alla domanda di risarcimento del danno
(TAR Lombardia-Milano, Sez. IV,
sentenza 26.11.2015 n. 2492 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Segretezza dell'offerta, gara ko per violazione.
Tra le violazioni delle regole fondamentali in materia di
gara pubblica rientra, certamente, l'inosservanza del
principio di segretezza dell'offerta, che si manifesta nella
commistione, inammissibile, tra offerta economica ed offerta
tecnica, sebbene ci siano delle eccezioni.
È quanto ribadito dai giudici della prima sezione del TAR
Emilia Romagna-Bologna, Sez. I, con
sentenza
23.11.2015 n. 1030.
Ma eccoci alle eccezioni: in taluni casi, infatti,
l'anticipata conoscenza di elementi dell'offerta economica
non può in alcun modo alterare l'assegnazione, del tutto
automatica, dei punteggi relativi all'offerta tecnica, sì da
rivelarsi contra legem le norme di gara che
prevedessero quale causa di esclusione dalla selezione
quella legata all'inclusione dell'offerta economica nella
busta relativa all'offerta tecnica.
È stato altresì aggiunto nella sentenza in commento che
proprio perché la previsione della necessità dell'assenza
nell'offerta tecnica di elementi riferibili all'offerta
economica è posta a presidio del principio dell'autonomia
dell'apprezzamento discrezionale dell'offerta tecnica
rispetto a quello dell'offerta economica, principio il cui
rispetto è garantito dall'anteriorità della prima
valutazione e dalla necessità che dall'offerta tecnica
esulino elementi e valori dell'offerta economica (Cons.
stato, sez. VI, 27/11/2014 n. 5890), verrà meno una simile
esigenza di segretezza dell'offerta viene meno nel momento
in cui la normativa di gara andrà a prevedere criteri di
attribuzione dei punteggi tecnici che, per risolversi nella
predisposizione di griglie di valori e di formule
aritmetiche che danno poi luogo all'automatica
individuazione del risultato finale, nessun effettivo
margine di autonoma valutazione lasciano alla commissione di
gara, la quale si troverà quindi a conoscere le offerte
tecniche secondo meccanismi logico-matematici simili a
quelli delle offerte economiche.
Nel caso in esame avverso gli atti di gara, compresa la
clausola di esclusione applicata dall'ente appaltante,
proponeva impugnativa una società, denunciando –ai sensi
dell'art. 46, comma 1-bis, del dlgs n. 163 del 2006–
l'illegittimità della norma di gara invocata
dall'Amministrazione a fondamento dell'atto di esclusione in
quanto il carattere assolutamente vincolato
dell'attribuzione dei punteggi tecnici avrebbe escluso nella
circostanza quel condizionamento dell'operato della
Commissione che è alla base del generale divieto di
commistione di elementi tecnici ed elementi economici
(articolo ItaliaOggi Sette dell'11.01.2016). |
APPALTI:
L'appalto è salvo pure a costi svelati.
Nell'offerta tecnica per l'appalto c'è traccia anche di
costi ma l'impresa non può essere esclusa dalla procedura
pubblica solo per questo. Possibile? Sì, perché ad
attribuire il punteggio alla prima busta è una griglia molto
precisa: il risultato va ritenuto praticamente automatico e
dunque la commissione non compie in merito alcuna autonoma
valutazione.
Insomma: va escluso che il richiamo alla
separata parte economica della proposta possa in qualche
modo condizionare il giudizio di chi dovrà decretare la
vincitrice della gara.
È quanto emerge dalla
sentenza
23.11.2015 n. 1030, pubblicata dalla I Sez. del TAR
Emilia Romagna-Bologna.
Scala di valori
Annullata l'esclusione della società dalla gara bandita a
opera della multiutility. L'impresa è eliminata dalla
procedura perché all'interno della busta (elettronica) con
l'offerta tecnica spunta un documento che contiene al
proprio interno delle determinazioni di importi economici.
Ma la separazione fra l'offerta tecnica e quella economica
punta solo a evitare che la commissione giudicatrice possa
valutare il progetto già conoscendo i costi. Se però
l'attribuzione dei punteggi avviene sulla base di indici
molto rigidi, con una scala di valori predisposta in modo da
dare meccanicamente l'esito, viene meno l'esigenza di
segretezza che impone la separazione fra l'uno e l'altro
versante.
Trova dunque ingresso la censura dell'impresa che
denuncia ai sensi dell'articolo 46 del codice dei contratti
pubblici l'illegittimità della norma di gara invocata
dall'amministrazione
(articolo ItaliaOggi del
07.01.2016).
---------------
MASSIMA
- ritenuto che, secondo un consolidato orientamento
giurisprudenziale, tra le violazioni delle
regole fondamentali in materia –per attenere agli elementi
essenziali dell'offerta–, e quindi tra le cause di
esclusione tassativamente previste dall’art. 46, comma
1-bis, del d.lgs. n. 163 del 2006, rientra l’inosservanza
del principio di segretezza dell’offerta, che si manifesta
nella commistione, inammissibile, tra offerta economica ed
offerta tecnica, atteso che la conoscenza di elementi
economici da parte della commissione di gara è di per sé
idonea a determinarne anche in astratto un condizionamento,
alterandone la serenità ed imparzialità valutativa, sicché
nessun elemento economico deve essere reso noto alla
commissione stessa prima che questa abbia effettuato le
proprie valutazioni sull’offerta tecnica
(v., tra le altre, TAR Emilia-Romagna, Bologna, Sez. I,
24.04.2015 n. 394);
- che, tuttavia, proprio perché la
previsione della necessità dell’assenza nell’offerta tecnica
di elementi riferibili all’offerta economica è posta a
presidio del principio dell’autonomia dell’apprezzamento
discrezionale dell’offerta tecnica rispetto a quello
dell’offerta economica, principio il cui rispetto è
garantito dall’anteriorità della prima valutazione e dalla
necessità che dall’offerta tecnica esulino elementi e valori
dell’offerta economica
(v. Cons. Stato, Sez. VI, 27.11.2014 n. 5890),
una simile esigenza di segretezza dell’offerta viene
meno quando, come nel caso di specie, la normativa di gara
preveda criteri di attribuzione dei punteggi tecnici che,
per risolversi nella predisposizione di griglie di valori e
di formule aritmetiche che danno poi luogo all’automatica
individuazione del risultato finale, nessun effettivo
margine di autonoma valutazione lasciano alla commissione di
gara, la quale si trova quindi a conoscere le offerte
tecniche secondo meccanismi logico-matematici simili a
quelli delle offerte economiche;
- che in tali casi, insomma, l’anticipata
conoscenza di elementi dell’offerta economica non può in
alcun modo alterare l’assegnazione, del tutto automatica,
dei punteggi relativi all’offerta tecnica, sì da rivelarsi
contra legem le norme di gara che prevedessero quale
causa di esclusione dalla selezione quella legata
all’inclusione dell’offerta economica nella busta relativa
all’offerta tecnica;
- che nella circostanza, come si è detto, si rientra in
quest’ultima ipotesi, non inducendo a diverse conclusioni
l’obiezione della difesa dell’ente appaltante in ordine alla
previsione –inerente la categoria «proposte migliorative
al progetto/capitolato»– secondo cui “la riduzione
dei tempi d’intervento offerta dall’impresa deve essere
dimostrata mediante cronoprogramma di dettaglio riportante
le modalità operative e organizzative previste, ovvero:
evidenze dettagliate circa l’organizzazione delle risorse
umane, mezzi e attrezzature messi in campo con elencazione e
relativa produzione, inclusa l’analisi di
eventuali/potenziali criticità”, che implica sì la
verifica degli strumenti organizzatori a tal fine previsti e
un apprezzamento della Commissione, ma al solo scopo di
accertare l’attendibilità della soluzione prospettata –anche
in vista dell’acquisizione di un impegno puntuale di cui
tenere poi conto in sede di esecuzione dell’appalto quanto
alla correttezza delle relative prestazioni–, e senza che
ciò incida sulla graduazione dei singoli punteggi secondo la
scala di valori rigidamente predisposta dalla lettera di
invito;
- che, in conclusione, il ricorso si presenta fondato, con
conseguente annullamento degli atti impugnati. |
APPALTI:
La centrale unica di committenza per i comuni associati.
DOMANDA:
Con la presente per formulare il seguente quesito:
- tre comuni hanno costituito il 01.10.2014 la gestione
associata dell’ufficio tecnico “Val D.”
- L’ufficio tecnico associato non è evidentemente un
soggetto giuridico autonomo, non avendo pertanto partita
iva…
- L’Anac non ha accettato l’accreditamento della Centrale
Unica “Val D.” per mancanza di requisiti (per le ragioni
sopra indicate - l’ut associato non è un soggetto giuridico
autonomo)
Domanda:
1. Come può fare l’ut associato a bandire una gara
d’appalto?
2. Può accedere al mercato elettronico (Sintel o Consip) e
ritenere così di aver adempiuto ai disposti normativi?
RISPOSTA:
Ai fini di adempiere agli obblighi di centralizzazione
previsti dal comma 3-bis dell’art. 33 del codice dei
contratti pubblici occorre, nell’ipotesi che si sia optato
per l’”accordo consortile” che i comuni interessati abbiano
stabilito in via convenzionale (ex art. 30 D.lgs. n. 267/2000)
di costituire tra di loro una apposita “centrale unica di
committenza” e non già un mero “ufficio tecnico”
che svolge in modo associato le proprie funzioni.
Potranno quindi o
stabilire convenzionalmente di istituire un ufficio comune
operante come centrale unica di committenza per i comuni
associati oppure designare uno di essi come ente capofila
per la gestione associata delle acquisizioni di lavori,
servizi e beni in base a quanto previsto dal cit. comma 3-bis.
Nel primo caso l’ufficio comune rappresenta una mera
articolazione organizzativa costituita presso uno degli enti
associati e funge quindi da CUC mentre nell’altra ipotesi è
lo stesso ente capofila che assumerà tale ruolo; Trattandosi
di “ufficio comune” operante come centrale unica di
committenza si ritiene che iscrivibile alla Anagrafe unica
delle stazioni appaltanti presso l’ANAC sia il Comune presso
cui l’ufficio comune è istituito, mentre nell’altro caso sia
lo stesso ente capofila che funge da CUC.
In ogni caso la
struttura organizzativa comune non ha soggettività giuridica
autonoma e pertanto ai fini dello svolgimento delle
procedure occorre far riferimento a tutti gli elementi
identificativi del Comune di riferimento, fermo restando che
i singoli comuni aderenti risultano ad ogni effetto stazioni
appaltanti e mantengono tale definizione ai fini degli
obblighi di iscrizione e comunicazione all’AUSA
(link a www.ancirisponde.ancitel.it). |
APPALTI:
Il mancato guadagno va provato. Dimostrazione a
carico dell’impresa che vuole il risarcimento del danno.
Consiglio di Stato. Respinto il ricorso su un
appalto assegnato alla società classificata seconda.
La recente
sentenza
17.11.2015 n. 5255 del
Consiglio di Stato, Sez. III, si inserisce nel filone
giurisprudenziale in tema di onere della prova in relazione
alla domanda risarcitoria.
La questione è centrale, in quanto in caso di rigetto
dell’istanza cautelare i tempi di definizione del
contenzioso –per quanto accelerati rispetto al regime
processuale ordinario– non consentono all’imprenditore che
veda riconosciute le proprie ragioni di ottenere un reale
beneficio se non in termini di risarcimento per equivalente.
Ciò a maggior ragione ove ciò avvenga all’esito del secondo
grado di giudizio.
Il Consiglio di Stato, con la decisione in commento, dopo
aver accertato la fondatezza delle doglianze articolate da
una società attiva nel settore delle forniture informatiche
in relazione alla sentenza del Tar Lazio che, annullando
l’aggiudicazione di un appalto triennale bandito dal
ministero dell’Interno, aveva assegnato il contratto alla
società seconda classificata, è stato chiamato a decidere
sull’istanza risarcitoria con cui l’appellante aveva
richiesto che -in relazione al tempo trascorso dalla
stipula del contratto- il ministero venisse condannato a
risarcire il danno correlato alla consumazione di parte del
periodo di durata dell’appalto, quantificandolo in
proporzione all’utile atteso dichiarato in sede di
giustificazioni.
Il collegio ha rigettato la domanda, osservando che
l’appellante non aveva dichiarato di non aver altrimenti
impiegato, nel periodo predetto, le risorse occorrenti per
l’esecuzione dell’appalto, e in generale non aveva
prospettato alcun elemento in ordine all’utilizzazione delle
figure professionali disponibili in azienda ovvero impegnate
in vista dell’esecuzione dell’appalto.
Richiamando quindi l’orientamento secondo il quale,«ai fini
del risarcimento dei danni provocati da illegittimo
esercizio del potere amministrativo nel corso di gare
pubbliche, va comunque detratto dall’importo dovuto a titolo
risarcitorio quanto dall’impresa percepito grazie allo
svolgimento di ulteriori attività lucrative nel periodo in
cui avrebbe dovuto eseguire l’appalto in contestazione» e
l’onere di provare l’assenza dell’aliunde perceptum vel
percepiendum grava non sulla Pa ma sull’impresa, i giudici
di Palazzo Spada hanno ritenuto che la lacuna probatoria
impedisse di accogliere la domanda risarcitoria.
Il Consiglio di Stato fa dunque pedissequa applicazione del
meccanismo probatorio peculiare elaborato dalla
giurisprudenza amministrativa, che si pone in frontale
contrasto con un totem della materia istruttoria processuale
(soprattutto civilistica), ossia l’inammissibilità della
prova negativa: negativa non sunt probanda. Palazzo Spada,
in ultima analisi, chiede al ricorrente di provare di non
avere realizzato guadagni: solo in presenza di tale prova,
il risarcimento può essere riconosciuto.
Se difficilmente può ipotizzarsi il ricorso proficuo alla
prova documentale, la via della prova costituenda non è di
più facile percorribilità considerando la marginalità e
inusualità della prova testimoniale nel processo
amministrativo. Che poi la prova del fatto negativo gravi
sull’imprenditore è –all’atto pratico- inevitabile,
essendo egli l’unico soggetto, almeno in linea di principio,
nella condizione di reperire elementi adatti a soddisfare
l’onere probatorio. Tuttavia, anche sotto tale profilo si
evidenzia l’originalità della posizione del giudice
amministrativo: i principi generali della materia probatoria
rimettono in capo al debitore la prova del fatto estintivo.
Per converso, seguendo il ragionamento fatto proprio anche
dalla decisione in commento, il ricorrente è chiamato a
provare il danno –secondo l’ordinario meccanismo delineato
dall’articolo 2697 Codice civile– e, contestualmente, a
provare che non si siano verificati eventi idonei a
incidere, elidendolo in tutto o in parte, sul lamentato
nocumento. Si realizza pertanto un totale ribaltamento
dell’ottica probatoria, determinando l’orientamento che si è
andato consolidando in materia di danno da illegittimo
esercizio del potere amministrativo nel corso di gare
pubbliche la radicale inversione dell’onere della prova.
Se è pur vero, quindi, che in materia di appalti, dopo la
sentenza della Corte di Giustizia sezione III, 30.09.2010, C–314/09, si è ormai consolidata la tesi della
responsabilità oggettiva della stazione appaltante, per cui
il ricorrente è sollevato dall’onere di provare l’elemento
soggettivo della colpa dell’agente, tale vantaggio è
controbilanciato dall’intensità dell’onere allegativo
imposto in punto di prova del danno.
Proprio la difficoltà della prova può spiegare la relativa
infrequenza di pronunce di accoglimento delle istanze
risarcitorie proposte a corredo dei ricorsi in materia di
appalti. Tale dato, unitamente all’elevato costo del
contenzioso disciplinato dall’articolo 120, dlgs 163/2006,
può incidere sulla propensione dell’aspirante appaltatore
all’impugnativa, posto che, salva l’ipotesi di subentro
tempestivo nel contratto all’esito della sospensiva, il
ricorso in via giurisdizionale può non costituire un
efficace strumento di reintegrazione dell’interesse leso (articolo Il Sole 24 Ore del
07.01.2016).
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MASSIMA
17. Con memoria finale, in relazione al tempo trascorso
dalla stipula del contratto con SIRFIN, TBS ha chiesto che
il Ministero dell’interno venga condannato a risarcirle il
danno correlato alla consumazione di parte del periodo di
durata dell’appalto, quantificandolo (per l’ipotesi che
l’auspicato subentro avvenga alla fine del corrente anno),
in proporzione all’utile atteso dichiarato in sede di
giustificazioni, nella somma di euro 35.735,84 (4.466,98 al
mese, da maggio a dicembre 2015).
18. Il Collegio osserva che l’appellante non ha dichiarato
di non aver altrimenti impiegato, nel periodo predetto, le
risorse occorrenti per l’esecuzione dell’appalto, e in
generale non ha prospettato alcun elemento in ordine
all’utilizzazione delle figure professionali disponibili in
azienda ovvero impegnate in vista dell’esecuzione
dell’appalto.
Tale circostanza, in applicazione dell’orientamento di
questo Consiglio, secondo il quale, ai fini
del risarcimento dei danni provocati da illegittimo
esercizio del potere amministrativo nel corso di gare
pubbliche, va comunque detratto dall’importo dovuto a titolo
risarcitorio quanto dall’impresa percepito grazie allo
svolgimento di ulteriori attività lucrative nel periodo in
cui avrebbe dovuto eseguire l’appalto in contestazione e
tale onere di provare l’assenza dell’aliunde perceptum
vel percepiendum grava non sull’Amministrazione, ma
sull’impresa
(cfr., da ultimo, III, n. 1839/2015 e n. 5567/2014; IV, n.
1708/2015 e n. 5531/2014; V, n. 4248/2014), impedisce di
accogliere la domanda risarcitoria. |
LAVORI PUBBLICI:
Cantieri e lavori in corso su strada: chi risarcisce i
danni?
Dossi, buche, voragini e crepe sulla strada per cantieri con
lavori in corso: la responsabilità è sia dell’ente titolare
del suolo, come il Comune, sia della ditta appaltatrice dei
lavori.
Nel caso di danni subiti da un
automobilista alla propria auto o da un pedone per via di
lavori in corso sulla sede stradale, a pagare il
risarcimento è sia l’amministrazione titolare della strada
(il Comune, la Provincia, la Regione, lo Stato, ecc.), sia
la ditta appaltatrice dei lavori: entrambi i soggetti,
infatti, restano custodi della strada e sono quindi
responsabili dei relativi danni procurati ai cittadini.
L’ente titolare del suolo pubblico, però, può poi rivalersi
(con un’azione di regresso) nei confronti dell’appaltatore
se quest’ultimo non ha predisposto la segnaletica di avviso
per come imposto dalla legge.
Lo ha chiarito il TRIBUNALE di Firenze, Sez. II civile, con
la
sentenza 12.11.2015 n. 3983.
I lavori di manutenzione sulla strada vanno segnalati.
L’avviso dei lavori in corso va sempre adeguatamente
indicato con apposita segnaletica che risulti visibile,
anche se mobile; così, nel caso di pericolo non visibile e
non prevedibile, il motociclista, l’automobilista o il
pedone hanno sempre diritto al risarcimento; risarcimento
che non può essere loro negato, almeno in parte, anche
nell’ipotesi in cui vi sia un concorso di colpa da parte
dell’utente della strada per via della velocità non consona
da questi mantenuta (tale era il caso di specie che ha visto
coinvolto un motociclista il quale procedeva ad andatura non
consona allo stato dei luoghi). In questi casi, ditta
appaltatrice e Comune (o altra amministrazione titolare
della strada) non possono rimpallarsi la responsabilità del
risarcimento nei confronti del danneggiato: entrambi sono
responsabili in pari misura nei confronti di quest’ultimo
che potrà chiedere i soldi all’uno o all’altro soggetto
indifferentemente, salvo il diritto dell’amministrazione, di
rivalersi contro l’appaltatore qualora sia stato
responsabile nel non segnalare il pericolo.
Secondo il Tribunale di Firenze, in tema di danni
determinati dall’esistenza di cantieri e lavori stradali, “se
l’area del cantiere è stata completamente delimitata ed
affidata all’esclusiva custodia dell’appaltatore con
conseguente divieto su di essa del traffico veicolare e
pedonale, dei danni subiti all’interno di questa area ne
risponde esclusivamente l’appaltatore che ne è l’unico
custode”.
Se, invece, l’area risulta ancora adibita al traffico “la
responsabilità per i danni subiti dall’utente a causa di
lavori in corso su detta strada grava su entrambi i soggetti”
in quanto “l’ente titolare della strada ne ha conservato
la custodia sia pure insieme all’appaltatore utilizzando la
strada ai fini della circolazione” (link a
www.laleggepertutti.it). |
APPALTI: a)
l’indicazione del nominativo del subappaltatore già in sede
di presentazione dell’offerta non è obbligatoria, neanche
nell’ipotesi in cui il concorrente non possieda la
qualificazione nelle categorie scorporabili previste
all’art. 107, comma 2, d.P.R. cit.;
b) non sono legittimamente esercitabili i poteri attinenti
al soccorso istruttorio, nel caso di omessa indicazione
degli oneri di sicurezza aziendali, anche per le procedure
nelle quali la fase della presentazione delle offerte si è
conclusa prima della pubblicazione della decisione
dell’Adunanza Plenaria n. 3 del 2015.
---------------
2.- Occorre, quindi, procedere all’analisi delle questioni
devolute all’Adunanza Plenaria, principiando da quella
formulata per prima (e meglio di seguito descritta).
2.1- Come già rilevato in fatto, la Quarta Sezione,
registrando un contrasto giurisprudenziale sulla decisiva
questione dell’obbligatorietà (o meno) dell’indicazione del
subappaltatore già nella fase dell’offerta da parte
dell’impresa concorrente sprovvista della qualificazione in
una o più categorie scorporabili (e, quindi, a fronte di un
c.d. subappalto necessario) e, quindi, sulla doverosità
della sua esclusione, nell’ipotesi di inosservanza del
predetto obbligo (ove giudicato tale), ne ha devoluto la
risoluzione all’Adunanza Plenaria.
Al predetto problema, infatti, sono state offerte due
diverse soluzioni.
Secondo una prima tesi, infatti, la necessità della
dimostrazione, ai fini della partecipazione alla procedura,
della qualificazione per tutte le lavorazioni per le quali
la normativa di riferimento la esige implica, quale
indefettibile corollario, la necessità dell’indicazione del
nominativo del subappaltatore già nella fase dell’offerta,
di guisa da permettere alla stazione appaltante il controllo
circa il possesso, da parte della concorrente, di tutti i
requisiti di capacità richiesti per l’esecuzione
dell’appalto (Cons. St., sez. V, 25.02.2015, n. 944; sez. V,
10.02.2015, n. 676; sez. V, 28.08.2014, n. 4405; sez. IV,
26.08.2014, n. 4299; sez. IV, 26.05.2014, n. 2675; sez. IV,
13.03.2014, n. 1224; sez. III 05.12.2013, n. 5781);
secondo una diversa, e minoritaria, lettura dell’istituto,
viceversa, una corretta esegesi delle regole che presidiano
i requisiti di qualificazione, e che escludono che, ai fini
della partecipazione alla gara, sia necessario il possesso
della qualificazione anche per le opere relative alle
categorie scorporabili (esigendo il ricorso al subappalto
solo per quelle a qualificazione necessaria e nella sola
fase dell’esecuzione dell’appalto), impone la diversa
soluzione dell’affermazione del solo obbligo di indicazione
delle lavorazioni che il concorrente intende affidare in
subappalto, ma non anche del nome dell’impresa
subappaltatrice (Cons. St., sez. IV, 04.05.2015, n. 2223;
sez. V, 07.07.2014, n. 3449; sez. V, 19.06.2012, n. 3563).
Si tratta, come si vede, di ricostruzioni (entrambe)
plausibili e ragionevoli, oltre che fondate sull’esigenza di
tutelare l’interesse pubblico all’amministrazione imparziale
e corretta delle procedure di affidamento dei contratti
pubblici.
2.2- La scelta dell’opzione ricostruttiva più coerente con
la normativa di riferimento esige una preliminare disamina
del sistema di regole alla stregua del quale dev’essere
affermata la sussistenza (o meno) dell’obbligo
dell’indicazione nominativa del subappaltatore ai fini della
partecipazione alla gara.
L’art. 92, commi 1 e 3, del d.P.R. 05.10.2010, n. 207, che
disciplina i requisiti di partecipazione alla gara,
stabilisce, innanzitutto, che, ai predetti fini, è
sufficiente il possesso della qualificazione nella categoria
prevalente (quando il concorrente, singolo o associato, non
la possieda anche per le categorie scorporabili), purché per
l’importo totale dei lavori.
Il combinato disposto degli artt. 92, comma 7 e 109, comma
2, d.P.R. cit. e 37, comma 11, d.lgs. 12.04.2006, n. 163
chiarisce, poi, che il concorrente che non possiede la
qualificazione per le opere scorporabili indicate all’art.
107, comma 2 (c.d. opere a qualificazione necessaria) non
può eseguire direttamente le relative lavorazioni ma le deve
subappaltare a un’impresa provvista della relativa,
indispensabile qualificazione.
L’art. 118 d.lgs. cit. (collocato sistematicamente entro la
Sezione V del codice, rubricata “principi relativi
all’esecuzione del contratto”) si occupa, invece, di
definire le modalità e le condizioni per il valido
affidamento delle lavorazioni in subappalto e prevede, per
quanto qui rileva, che all’atto dell’offerta siano indicati
(solo) i lavori che il concorrente intende subappaltare e
che l’affidatario depositi, poi, il contratto di subappalto
presso la stazione appaltante almeno venti giorni prima
della data di inizio delle relative lavorazioni (unitamente
a tutte le attestazioni e dichiarazioni prescritte).
2.3- Dall’analisi delle regole appena citate si ricavano,
quindi, i seguenti principi:
a) per la partecipazione alla gara è sufficiente il possesso
della qualificazione nella categoria prevalente per
l’importo totale dei lavori e non è, quindi, necessaria
anche la qualificazione nelle categorie scorporabili
(neanche in quelle indicate all’art. 107, comma 2, d.P.R.
cit.);
b) le lavorazioni relative alle opere scorporabili nelle
categorie individuate all’art. 107, comma 2, d.P.R. cit. non
possono essere eseguite direttamente dall’affidatario, se
sprovvisto della relativa qualificazione (trattandosi,
appunto, di opere a qualificazione necessaria);
c) nell’ipotesi sub b) il concorrente deve subappaltare
l’esecuzione delle relative lavorazioni ad imprese provviste
della pertinente qualificazione;
d) la validità e l’efficacia del subappalto postula, quali
condizioni indefettibili, che il concorrente abbia indicato
nella fase dell’offerta le lavorazioni che intende
subappaltare e che abbia, poi, trasmesso alla stazione
appaltante il contratto di subappalto almeno venti giorni
prima dell’inizio dei lavori subappaltati;
e) il subappalto è un istituto che attiene alla fase di
esecuzione dell’appalto (e che rileva nella gara solo negli
stretti limiti della necessaria indicazione delle
lavorazioni che ne formeranno oggetto), di talché il suo
mancato funzionamento (per qualsivoglia ragione) dev’essere
trattato alla stregua di un inadempimento contrattuale, con
tutte le conseguenze che ad esso ricollega il codice (tra le
quali, ad esempio, l’incameramento della cauzione).
Si tratta come si vede di un apparato regolativo compiuto,
coerente, logico e, soprattutto, privo di aporie, antinomie
o lacune.
2.4- Ora, a fronte di un sistema di regole chiaro e univoco,
quale quello appena esaminato, restano precluse opzioni
ermeneutiche additive, analogiche, sistematiche o estensive,
che si risolverebbero, a ben vedere, nell’enucleazione di
una regola non scritta (la necessità dell’indicazione del
nome del subappaltatore già nella fase dell’offerta) che
(quella sì) configgerebbe con il dato testuale della
disposizione legislativa dedicata alla definizione delle
condizioni di validità del subappalto (art. 118, comma 2,
d.lgs. cit.) e che, nella catalogazione (esauriente e
tassativa) delle stesse, non la contempla.
2.5- Secondo il canone interpretativo sintetizzato nel
brocardo in claris non fit interpretatio (e
codificato all’art. 12 delle Preleggi), infatti, la prima
regola di una corretta esegesi è quella che si fonda sul
significato delle parole e che, quindi, là dove questo
risulta chiaro ed univoco, quale deve intendersi il dato
testuale della predetta disposizione, non è ammessa alcuna
interpretazione che corregga la sua portata precettiva (per
come desunta dal lessico ivi utilizzato, ove risulti privo
di ambiguità semantiche).
2.6- Ma anche in ossequio al canone interpretativo espresso
nel brocardo ubi lex voluit dixit ubi noluit tacuit
si perviene alle medesime conclusioni.
Là dove, infatti, l’art. 118, secondo comma, d.lgs. cit., ha
catalogato (articolandoli in quattro lettere) i requisiti di
validità del subappalto, ha evidentemente inteso
circoscrivere, in maniera tassativa ed esaustiva, a quei
presupposti (e solo a quelli) le condizioni di efficacia del
subappalto, sicché ogni opzione ermeneutica che si
risolvesse nell’aggiunta di un diverso ed ulteriore
adempimento (rispetto a quelli ivi classificati) dev’essere
rifiutata in quanto finirebbe per far dire alla legge una
cosa che la legge non dice (e che, si presume, secondo il
suddetto canone interpretativo, non voleva dire).
2.7- Dall’esame della vigente normativa di riferimento può,
in definitiva, identificarsi il paradigma (riferito
all’azione amministrativa, ma anche al giudizio della sua
legittimità) secondo cui l’indicazione del nome del
subappaltatore non è obbligatoria all’atto dell’offerta,
neanche nei casi in cui, ai fini dell’esecuzione delle
lavorazioni relative a categorie scorporabili a
qualificazione necessaria, risulta indispensabile il loro
subappalto a un’impresa provvista delle relative
qualificazioni (nella fattispecie che viene comunemente, e,
per certi versi, impropriamente definita come “subappalto
necessario”).
2.8- La correttezza della soluzione appena enunciata (e che
risponde al primo quesito nel senso di negare la doverosità
dell’indicazione nominativa del subappaltatore) risulta,
peraltro, avvalorata e corroborata dai convergenti argomenti
di seguito (sinteticamente) dettagliati.
2.9- L’esegesi ut supra preferita risulta,
innanzitutto, riscontrata dall’esame diacronico della
legislazione in materia, che consegna all’Adunanza la
preziosa informazione dell’originaria previsione (nella
legge 11.02.1994, n. 109, c.d. Legge Merloni) dell’obbligo
dell’indicazione, già nella fase dell’offerta, di una rosa
di imprese subappaltatrici (fino al numero di sei) entro le
quali avrebbe poi dovuto essere scelta quella affidataria
delle lavorazioni subappaltate, e della successiva
abrogazione di tale previsione (già nella legge 18.11.1998,
n. 415, c.d. Legge Merloni-ter e poi, definitivamente, con
il codice dei contratti pubblici), che costituisce il più
valido indice della consapevole ed univoca volontà del
legislatore del 2006 di escludere, tra le condizioni di
validità del subappalto, l’obbligo dell’indicazione
nominativa in discussione.
Non solo, ma anche nel disegno di legge di delega al Governo
per il recepimento delle direttive 2014/23/UE, 2014/24/UE e
2014/25/UE (all’esame della Camera dei Deputati, in seconda
lettura, al momento della redazione della presente
decisione) può ricavarsi un ulteriore prezioso riscontro
alla tesi scelta dall’Adunanza Plenaria, là dove si
ripristina, ivi, l’obbligo dell’indicazione di una terna di
subappaltatori, ad ulteriore conferma che il silenzio
serbato sul punto dal codice dei contratti pubblici in
vigore non può essere trattato alla stregua di una lacuna
colmabile in esito ad una complessa ed incerta operazione
ermeneutica, ma costituisce una scelta chiara e cosciente
(tanto che la legislazione precedente e, forse, quella
successiva hanno operato e, probabilmente, opereranno una
scelta diversa).
2.10- La correttezza della scelta interpretativa sopra
enunciata risulta, peraltro, avvalorata anche dalle
determinazioni dell’Autorità di vigilanza sui contratti
pubblici (l’AVCP, prima, e l’ANAC, poi) che hanno
ripetutamente affermato il principio dell’obbligatorietà
della sola indicazione delle lavorazioni che si intendono
affidare in subappalto e contestualmente escluso
l’obbligatorietà dell’indicazione nominativa del
subappaltatore (si vedano la determinazione ANAC nr. 1
dell’08.01.2015; il parere ANAC nr. 11 del 30.01.2014 e la
determinazione AVCP nr. 4 del 10.10.2012), approvando, in
coerenza con tali enunciazioni, gli schemi dei bandi, con il
valore vincolante ad essi assegnati dall’art. 64, comma
4-bis, d.lgs. cit. (e previo parere conforme del Ministero
delle infrastrutture).
Come si vede, dunque, le autorità istituzionalmente
provviste di competenza in ordine alla vigilanza sulla
corretta amministrazione delle procedure di affidamento
degli appalti pubblici hanno costantemente espresso l’avviso
della doverosità della sola indicazione delle lavorazioni da
subappaltare (e non anche del nome dell’impresa
subappaltatrice), validando gli schemi dei bandi
confezionati in coerenza a tale regola ed ingenerando,
perciò, un significativo affidamento circa la legittimità
del relativo modus procedendi.
2.11- Lo scrutinio delle direttive europee non conduce ad
esiti differenti, confermando, anzi, la correttezza dei
principi prima affermati.
Le direttive in materia di appalti pubblici hanno, infatti,
rimesso alla discrezionale scelta degli Stati membri o,
comunque, delle stazioni appaltanti l’opzione regolatoria
attinente alla doverosità dell’indicazione del nome del
subappaltatore, ai fini della partecipazione alla gara,
astenendosi, quindi, dall’imporre una qualsivoglia soluzione
alla pertinente questione.
Orbene, in difetto di un vincolo europeo all’introduzione
(in via legislativa o amministrativa) dell’obbligo in
discussione, la sua positiva affermazione esige una chiara,
univoca ed esplicita sua previsione (con una specifica
disposizione di legge), in mancanza della quale resta
precluso all’interprete (che eserciterebbe inammissibilmente,
in tal modo, in luogo del legislatore o della stazione
appaltante, la potestà discrezionale assegnata allo Stato
membro dalle direttive) il suo riconoscimento (in esito,
peraltro, a un percorso ermeneutico di dubbio fondamento
positivo).
2.12- Non solo, ma la tesi contraria dev’essere rifiutata
anche perché produrrebbe effetti distorsivi (rispetto al
sistema) o, comunque, inutili (rispetto agli interessi che
con la stessa si intendono tutelare).
2.13- In primo luogo, l’affermazione dell’obbligo di
indicare il nominativo del subappaltatore all’atto
dell’offerta si risolverebbe in una eterointegrazione del
bando (che non lo prevedeva), mediante l’inammissibile
inserzione automatica nella lex specialis di un
obbligo non previsto da alcuna disposizione normativa
cogente pretermessa nell’avviso (da valersi quale unica
condizione legittimante della sua eterointegrazione).
Mentre, infatti, l’eterointegrazione della lex specialis
postula logicamente l’omessa ripetizione, in essa, di un
adempimento viceversa sancito chiaramente da una
disposizione normativa imperativa (cfr. ex multis
Cons. St., sez. VI, 11.03.2015, n. 1250), nella fattispecie
in esame verrebbe, al contrario, automaticamente inserita
nel bando una clausola non rinvenibile nel diritto positivo
e di mera creazione giurisprudenziale.
2.14- La statuizione dell’adempimento in questione
finirebbe, inoltre, per costituire una clausola espulsiva
atipica, in palese spregio del principio di tassatività
delle cause di esclusione (codificato all’art. 46, comma
1-bis, d.lgs. cit.).
Se è vero, infatti, che la latitudine applicativa della
predetta disposizione è stata decifrata come comprensiva
anche dell’inosservanza di adempimenti doverosi prescritti
dal codice, ancorché non assistiti dalla sanzione espulsiva
(cfr. Ad. Plen. n. 9 e n. 16 del 2014), è anche vero che
l’applicazione di tale principio esige, in ogni caso,
l’esistenza di una prescrizione legislativa espressa, chiara
e cogente (nella fattispecie non rintracciabile nel codice
dei contratti pubblici).
2.15- La tesi favorevole all’affermazione dell’obbligo in
questione comporterebbe, peraltro, una confusione tra
avvalimento e subappalto, nella misura in cui attrae il
rapporto con l’impresa subappaltatrice nella fase della
gara, anziché in quella dell’esecuzione dell’appalto, con
ciò assimilando due istituti che presentano presupposti,
finalità e regolazioni diverse, ma senza creare il medesimo
vincolo dell’avvalimento e senza assicurare, quindi, alla
stazione appaltante le stesse garanzie contrattuali da esso
offerte.
Non solo, ma il relativo assunto si rivela distorsivo del
mercato dei lavori pubblici, nella misura in cui costringe
le imprese concorrenti a scegliere una (sola) impresa
subappaltatrice, già nella fase della partecipazione alla
gara, mediante l’imposizione di un onere partecipativo del
tutto sproporzionato e gravoso.
2.16- La prospettazione qui disattesa finirebbe, infine, per
introdurrebbe un requisito di qualificazione diverso ed
ulteriore rispetto a quelli stabiliti, con disciplina
completa ed autosufficiente, dall’art. 92 d.P.R. cit. (che,
come si è già rilevato, esclude l’obbligo del possesso delle
attestazioni nelle categorie scorporabili, ancorché a
qualificazione necessaria, ai fini della partecipazione alla
gara), implicando, di conseguenza, la sua inammissibile
disapplicazione, che, tuttavia, postula l’indefettibile
presupposto, nella specie inconfigurabile,
dell’illegittimità della norma secondaria in quanto
confliggente con la disposizione legislativa primaria (come
chiarito, ex multis, da Cons. St., sez. VI,
14.07.2014, n.3623).
Se, infatti, il fondamento logico e sistematico della tesi
ricostruttiva che afferma l’obbligatorietà dell’indicazione
del nominativo del subappaltatore all’atto dell’offerta dev’essere
rinvenuto nell’esigenza di garantire alla stazione
appaltante il controllo del possesso da parte del
concorrente di tutti i requisiti di qualificazione
necessari, la sua condivisione postula l’affermazione della
necessità, ai fini della partecipazione alla procedura,
della dimostrazione della titolarità delle attestazioni
riferite anche alle opere scorporabili (ciò che, invece,
risulta chiaramente escluso dalla citata disposizione
regolamentare dedicata alla disciplina delle qualificazioni
e che andrebbe, quindi, logicamente disapplicata, ma in
difetto della indispensabile condizione, sopra ricordata,
della sua illegittimità).
3.- La soluzione del primo quesito implica la decadenza del
secondo, in quanto fondato sull’unico presupposto
dell’affermazione della necessità dell’indicazione
nominativa del subappaltatore (viceversa negata con la
risposta al primo quesito).
4.- Con il terzo quesito si chiede all’Adunanza Plenaria di
chiarire la legittimità (rectius: la doverosità)
dell’uso dei poteri di soccorso istruttorio nei casi in cui
la fase procedurale di presentazione delle offerte si sia
perfezionata prima della pubblicazione della decisione
dell’Adunanza Plenaria 20.03.2015 n. 3 (con la quale è stato
chiarito che l’obbligo, codificato all’art. 87, comma 4,
d.lgs. cit., di indicazione degli oneri di sicurezza
aziendale si applica anche agli appalti di lavori).
A tale problema occorre offrire una risposta negativa, in
quanto con la medesima decisione dell’Adunanza Plenaria è
stata espressamente esclusa la sanabilità con il soccorso
istruttorio dell’omissione dell’indicazione degli oneri di
sicurezza aziendale, che si risolverebbe in un’inammissibile
integrazione postuma di un elemento essenziale dell’offerta
(cfr. Ad. Plen. n. 3 del 2015, punto 2.10).
Non si ravvisano, peraltro, ragioni per rimeditare tale
(condivisibile e recente) avviso, nella misura in cui si
rivela coerente con la lettura della funzione e dei limiti
di operatività dell’istituto del soccorso istruttorio, per
come enunciati da questa stessa Adunanza Plenaria (Ad. Plen.
n.9 del 2014).
A questo proposito non può accedersi alla tesi propugnata
dalla difesa delle appellanti secondo cui, in applicazione
del principio di cui alla A.P. n. 21 del 2012, dovrebbe
affermarsi che la esclusione dalla gara per non avere
indicato gli oneri di sicurezza aziendale potrebbe essere
comminata solo per le procedure bandite successivamente alla
pubblicazione della decisione della A.P. n. 3 del 2015.
L’Adunanza al riguardo approfondendo la questione, ritiene
di dover riaffermare il tradizionale insegnamento in tema di
esegesi giurisprudenziale, anche monofilattica, che
attribuisce ad essa valore esclusivamente dichiarativo.
La diversa opinione finisce per attribuire alla esegesi
valore ed efficacia normativa in contrasto con la logica
intrinseca della interpretazione e con il principio
costituzionale della separazione dei poteri venendosi a
porre in sostanza come una fonte di produzione.
In proposito è stato perspicuamente osservato: “Ad una
diversa conclusione potrebbe invero giungersi solo ove si
ritenga che la precedente interpretazione, ancorché poi
corretta, costituisca il parametro normativo immanente per
la verifica di validità dell’atto compiuto in correlazione
temporale con essa (ut lex temporis acti). Ma con ciò,
all’evidenza, si trasformerebbe una sequenza di interventi
accertativi del contenuto della norma in una operazione di
creazione di un novum ius, in sequenza ad un vetus ius, con
sostanziale attribuzione, ai singoli arresti, del valore di
atti fonte del diritto, di provenienza dal giudice;
soluzione non certo coniugabile con il precetto
costituzionale dell’art. 101 Cost.” (Cassazione SS.UU.
n. 15144 del 2011).
E’ significativo che anche le recenti aperture del giudice
di legittimità in tema di prospective overruling
siano rimaste confinate in ambito strettamente delimitato.
A far tempo dalla già citata pronuncia delle Sezioni unite
n. 15144 del 2011 si è costantemente affermato che per
attribuire carattere innovativo all’intervento nomofilattico
occorre la concomitanza di tre precisi presupposti e cioè
che l’esegesi incida su una regola del processo; che si
tratti di esegesi inprevedibile susseguente ad altra
consolidata nel tempo e quindi tale da indurre un
ragionevole affidamento, e che infine -presupposto decisivo–
comporti un effetto preclusivo del diritto di azione o di
difesa (v. anche Cass. 28967/2011; 12704/2012 e, da ultimo,
19700/2015; 20007/2015).
Nel caso di specie nessuno degli anzidetti presupposti può
ritenersi sussistente non trattandosi di norma attinente ad
un procedimento di carattere giurisdizionale, non
preesistendo un indirizzo lungamente consolidato nel tempo e
non risultando precluso il diritto di azione o di difesa per
alcuna delle parti in causa.
In conclusione, se da un lato non sembra possibile elevare
la precedente esegesi al rango di legge per il periodo
antecedente al suo mutamento, dall’altro non possono essere
sottotaciute le aspirazioni del cittadino alla sempre
maggiore certezza del diritto ed alla stabilità della
nomofiliachia, ma trattasi di esigenze che, ancorché
comprensibili e condivisibili de jure condendo,
nell’attuale assetto costituzionale possono essere
affrontate e risolte esclusivamente dal legislatore.
5.- Alla stregua delle considerazioni che precedono, si
devono, quindi, affermare i principi di diritto che seguono:
a) l’indicazione del nominativo del
subappaltatore già in sede di presentazione dell’offerta non
è obbligatoria, neanche nell’ipotesi in cui il concorrente
non possieda la qualificazione nelle categorie scorporabili
previste all’art. 107, comma 2, d.P.R. cit.;
b) non sono legittimamente esercitabili i poteri attinenti
al soccorso istruttorio, nel caso di omessa indicazione
degli oneri di sicurezza aziendali, anche per le procedure
nelle quali la fase della presentazione delle offerte si è
conclusa prima della pubblicazione della decisione
dell’Adunanza Plenaria n. 3 del 2015
(Consiglio di Stato, Adunanza plenaria,
sentenza 02.11.2015 n. 9 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Enti
pubblici al test riciclaggio. Sotto la lente appalti,
sanità, rifiuti, energie rinnovabili.
Riorganizzazione delle amministrazioni richiesta
dagli adempimenti di segnalazione.
Appalti, sanità, produzione di energie rinnovabili, raccolta
e smaltimento dei rifiuti sono le attività che presentano i
maggiori rischi di riciclaggio, nonché i settori economici
interessati dall'erogazione di fondi pubblici, anche di
fonte comunitaria.
Sono questi, quindi, gli ambiti che devono essere monitorati
con particolare attenzione dagli operatori di enti locali,
istituti, scuole, aziende sanitarie e amministrazioni della
p.a., secondo il
decreto 25.09.2015
del Ministero dell'interno, ai fini della segnalazione delle operazioni
sospette di riciclaggio e finanziamento del terrorismo.
Ciò
comporta una sostanziale opera di riorganizzazione degli
uffici pubblici che dovranno concretamente attrezzarsi per
verificare la sussistenza delle fattispecie previste negli
indicatori previsti dal decreto, per scovare il possibile
coinvolgimento dell'imprenditore, che entri in contatto con
l'amministrazione, in situazioni di riciclaggio o
finanziamento del terrorismo.
La collaborazione attiva delle pubbliche amministrazioni.
Non più solo i professionisti e gli intermediari finanziari
devono preoccuparsi, da un punto di vista operativo, di
provvedere alle segnalazioni di operazioni sospette e agli
obblighi antiriciclaggio.
Con il decreto del 25/09/2015,
infatti, anche tutta la pubblica amministrazione deve
concretamente attivarsi al fine di agevolare
l'individuazione delle operazioni sospette di riciclaggio e
di finanziamento del terrorismo (si veda ItaliaOggi del
09/10/2015). In effetti, ricordiamo che gli uffici della
pubblica amministrazione rientrano fra i destinatari della
normativa antiriciclaggio fin dalla legge 197/1991. Il dlgs
231/2007 conferma tale scelta all'art. 10, comma 2,
prevedendo per detti uffici esclusivamente il rispetto degli
obblighi di segnalazione di operazioni sospette.
Nonostante
il dato normativo, tuttavia, afferma l'Uif nel suo rapporto
annuale per il 2014: «Finora la pubblica amministrazione non
ha dimostrato di avere, in generale, consapevolezza del
proprio ruolo nell'ambito della collaborazione attiva». In
proposito, il National Risk Assessment rileva che si tratta
di una «vulnerabilità non di poco conto se si pensa alla
rilevanza del fenomeno della corruzione ovvero alla presenza
di ambiti fortemente appetibili per la criminalità come il
settore degli appalti pubblici o dei finanziamenti
comunitari».
Proprio al fine di sensibilizzare la p.a. sugli
obblighi di collaborazione attiva, la Uif, unitamente al
ministero dell'interno, ha provveduto a definire gli
specifici indicatori di anomalia in commento che, in accordo
al principio di proporzionalità e secondo un approccio
basato sul rischio, tengono conto dei settori pubblici
maggiormente esposti al rischio di riciclaggio. In
proposito, gli ambiti di attività più colpiti risultano
quelli interessati dalla movimentazione di elevati flussi
finanziari, anche di natura pubblica, quali il settore
fiscale, gli appalti e i finanziamenti pubblici.
Sul tema, comunque si tiene a precisare che la via
intrapresa dall'Italia, non trova corrispondenza con la
normativa europea in quanto la Direttiva 2005/60/Ce (c.d.
III Direttiva), così come la Direttiva 2015/849 del 20.05.2015 (c.d. IV Direttiva), pubblicata in Guue del
05.06.2015 e da recepire negli ordinamenti nazionali entro
la data del 26.06.2017 (si veda ItaliaOggi Sette del
05/10/2015), non contengono riferimenti a obblighi di
prevenzione del riciclaggio e del finanziamento del
terrorismo a carico della p.a..
---------------
Massima allerta sui comportamenti sotto
la lente.
Non basta la verifica formale della documentazione fornita
dalle imprese che chiedono di partecipare agli appalti o di
ricevere dei fondi pubblici, piuttosto serve un controllo
sostanziale dei comportamenti attuati dai richiedenti per
individuare possibili fattispecie tipizzate negli indicatori
previsti dal decreto con conseguente responsabilità sui
responsabili dei procedimenti e sui dirigenti delle
strutture pubbliche.
Si tratta di controlli di non semplice
realizzazione pratica anche considerando che il decreto
tiene a precisare la non esaustività dell'elencazione delle
anomalie e inoltre che l'impossibilità di ricondurre
operazioni o comportamenti a uno o più degli indicatori
previsti nell'allegato del decreto non è sufficiente a
escludere che l'operazione sia sospetta.
Gli operatori
devono, pertanto, valutare con la massima attenzione
ulteriori comportamenti e caratteristiche dell'operazione
che, sebbene non descritti negli indicatori, siano
egualmente sintomatici di profili di sospetto. Per quanto
riguarda, poi, il sospetto di operazioni riconducibili al
finanziamento del terrorismo, il decreto puntualizza che lo
stesso può essere desunto anche dal riscontro di un
nominativo e dei relativi dati anagrafici nelle liste
pubbliche consultabili sul sito della Uif.
A riguardo, si
chiarisce comunque che, ai fini della segnalazione, non è
sufficiente la mera omonimia, qualora il segnalante possa
escludere, sulla base di tutti gli elementi disponibili, che
uno o più dei dati identificativi siano effettivamente gli
stessi indicati nelle liste, intendendo per dati
identificativi le cariche, le qualifiche e ogni altro dato
riferito nelle liste che risulti incompatibile con il
profilo economico-finanziario e con le caratteristiche
oggettive e soggettive del nominativo.
Nell'ottica
operativa, infine, il decreto richiede che gli operatori
della p.a. adottino in base alla propria autonomia
organizzativa, procedure interne di valutazione che
culminano con la trasmissione delle informazioni relative
all'operazione sospetta a un soggetto denominato «gestore».
Quest'ultimo può coincidere con il responsabile della
prevenzione della corruzione previsto dall'art. 1, comma 7,
legge 190/2012. Negli enti locali con popolazione inferiore
a 15 mila abitanti può essere individuato un gestore comune
ai fini dell'adempimento dell'obbligo di segnalazione delle
operazioni sospette
(articolo ItaliaOggi Sette del 02.11.2015). |
ottobre 2015 |
|
APPALTI: Comuni, gli appalti a rischio.
Il sistema non è pronto: Cantone sollecita una soluzione al
Governo.
Spending review. Dal primo novembre scatta l’obbligo di
aggregare le gare per le città non capoluogo.
Appalti dei
Comuni a rischio blocco dal primo novembre. Dopo sei
proroghe consecutive entra in vigore la norma che impone a
tutte le città non capoluogo di aggregare le gare,
attraverso consorzi e unioni di comuni oppure passando dagli
uffici di una provincia o da un soggetto aggregatore.
Dalla prossima settimana solo i grandi comuni potranno
continuare a bandire le gare in autonomia. Per tutti gli
enti non capoluogo scatta invece la tagliola prevista dalla
spending review inaugurata dal Governo Monti nel 2012: per
risparmiare e permettere di controllare meglio la spesa le
gare vanno aggregate. Un principio che vale per beni e
servizi, ma anche per i lavori pubblici.
A meno di proroghe dell’ultim’ora non c’è possibilità di
aggirare i vincoli. Chi non si adegua non potrà neppure
avviare l’iter di gara. La norma del codice appalti che
impone l’aggregazione, e che finora è rimasta congelata a
suon di proroghe (articolo 33, comma 3-bis), vieta infatti
all’Autorità Anticorruzione di rilasciare il codice che
identifica la procedura (il cosiddetto codice Cig) la cui
richiesta è propedeutica alla pubblicazione dei bandi di
gara.
Uno spauracchio che non è bastato. Nel Paese degli 8mila
campanili finora poco o nulla si è mosso sul fronte della
centralizzazione degli appalti. Anche il sistema dei 35
soggetti aggregatori è in via di formazione. Qualche Regione
è pronta a partire, altre sono indietro. In alcune aree del
paese i sindaci non saprebbero a chi rivolgersi per bandire
le loro gare. Dunque è più che concreto il pericolo di
mandare in stallo gli appalti dei comuni: il principale tra
i motori che in questi ultimi mesi hanno tenuto
faticosamente a galla i lavori pubblici.
Se ne rende conto anche l’Anac di Raffaele Cantone. Che non
a caso in queste ore sta lavorando a un documento da inviare
a Governo e Parlamento per segnalare l’urgenza di una
soluzione. Il problema si era già posto, negli stessi
termini, a luglio 2014, alla scadenza di una delle tante
proroghe concesse ai Comuni in ritardo sugli obblighi di
aggregazione degli acquisti. Allora l'impasse fu superata
con l'inserimento di una nuova proroga nel Dl 90/2014 e la
decisione di Cantone di sbloccare il rilascio dei codici di
gara (Cig) in anticipo sulla conversione del decreto. Uno
scenario che potrebbe replicarsi anche ora.
Ad aggravare la situazione e c'è il fatto che l'entrata in
vigore dal primo novembre porterebbe due mesi di caos totale
per i Comuni più piccoli. Con le regole in vigore, infatti,
quelli sotto i 10mila abitanti non possono bandire gare in
autonomia, neppure sotto la soglia di 40mila euro. Dal primo
gennaio, però, in base alla legge di Stabilità potranno
farlo. C'è da scommettere che in questi 60 giorni la
maggioranza dei sindaci tirerà i remi in barca, aspettando
il 2016 per ricominciare a gestire gli appalti in maniera
ordinata.
Per questo è allo studio un emendamento al Dl sulla finanza
locale (promosso dai Comuni, ma non ancora presentato), per
collegare l’entrata in vigore dei vincoli di aggregazione
alla partenza del nuovo Codice appalti. Una riforma che
peraltro continua a slittare in Parlamento.
L’esame della
delega al governo per riscrivere il sistema dei contratti
pubblici, calendarizzato per ieri, è stato rinviato alla
prossima settimana su richiesta del Governo. Motivazione
ufficiale: la necessità di riesaminare il testo varato dalla
Commissione Lavori pubblici guidata da Ermete Realacci per
blindarlo rispetto a ipotesi di ulteriori modifiche al
Senato. Ma forse pesa anche l’assenza del premier Matteo
Renzi , impegnato nel viaggio istituzionale in Sud America,
alla vigilia dell’approvazione di una riforma decisiva per
il settore
(articolo Il Sole 24 Ore del
28.10.2015). |
APPALTI: L’art. 49 del d. lgs. n. 163 del 2006 stabilisce, al
comma 2, lettera d), che per usufruire dell’avvalimento il
concorrente deve allegare «una dichiarazione sottoscritta
dall'impresa ausiliaria con cui quest'ultima si obbliga
verso il concorrente e verso la stazione appaltante a
mettere a disposizione per tutta la durata dell'appalto le
risorse necessarie di cui è carente il concorrente», e, al
comma 2, lettera f), che deve pure allegare «in originale o
copia autentica il contratto in virtù del quale l'impresa
ausiliaria si obbliga nei confronti del concorrente a
fornire i requisiti e a mettere a disposizione le risorse
necessarie per tutta la durata dell'appalto».
Poiché il riportato art. 49 non pone alcuna limitazione
all’applicazione dell'istituto dell'avvalimento, se non con
riguardo ai requisiti strettamente personali di carattere
generale, di cui agli artt. 38 e 39, deve ritenersi
ammissibile l'avvalimento anche per dimostrare il fatturato
e l'esperienza pregressa.
A tale istituto la giurisprudenza ha riconosciuto un
amplissimo ambito di applicazione, anche per i requisiti che
attengono a profili personali del concorrente, quali il
fatturato o l'esperienza pregressa, la certificazione di
qualità e, in genere, i requisiti soggettivi di qualità.
Va pertanto ritenuto ammissibile anche il c.d. «avvalimento
di garanzia», con il quale l'impresa ausiliaria mette la
propria solidità economica e finanziaria al servizio dell'ausiliata.
L'unico limite imposto al riguardo dall'ordinamento è che l'avvalimento
non si risolva nel prestito di una mera «condizione
soggettiva», del tutto disancorata dalla concreta messa a
disposizione di risorse materiali, economiche o gestionali,
dovendo l'impresa ausiliaria assumere l'obbligazione di
mettere a disposizione dell'impresa ausiliata, in relazione
all'esecuzione dell'appalto, le proprie risorse e il proprio
apparato organizzativo in tutte le parti che giustificano
l'attribuzione del requisito di qualità (e, quindi, a
seconda dei casi, i mezzi, il personale, la prassi e tutti
gli altri elementi aziendali qualificanti, in relazione
all'oggetto dell'appalto).
Di conseguenza il limite di operatività dell'istituto è dato
dal fatto che la messa a disposizione del requisito mancante
non deve risolversi nel prestito di un valore puramente
«cartolare e astratto», ma è invece necessario che dal
contratto di avvalimento risulti un impegno chiaro e
concreto dell'impresa ausiliaria a prestare le proprie
risorse ed il proprio apparato organizzativo in tutte le
parti che giustificano l'attribuzione del requisito di
garanzia.
Le regole applicabili in materia di avvalimento, pur
finalizzate a garantire la serietà, la concretezza e la
determinatezza di questo, ad avviso del collegio non devono
comunque essere interpretate meccanicamente, secondo
aprioristici schematismi concettuali, che non tengano conto
del singolo appalto e, soprattutto, frustrando la
sostanziale disciplina dettata dalla lex specialis.
Nelle gare pubbliche, il ricorso all'avvalimento, avente ad
oggetto il fatturato o l'esperienza pregressa, è quindi, in
linea di principio, legittimo, non ponendo la disciplina
dell'art. 49 del d.lgs. n. 163 del 2006 alcuna limitazione
se non per i requisiti strettamente personali di carattere
generale, di cui agli artt. 38 e 39 dello stesso d.lgs. n.
163 del 2006.
Nelle gare pubbliche, il ricorso all'avvalimento, avente ad
oggetto il fatturato o l'esperienza pregressa, è quindi, in
linea di principio, legittimo, non ponendo la disciplina
dell'art. 49 del d.lgs. n. 163 del 2006 alcuna limitazione
se non per i requisiti strettamente personali di carattere
generale, di cui agli artt. 38 e 39 dello stesso d.lgs. n.
163 del 2006.
---------------
Invero,
nelle gare pubbliche, per stabilire il grado di
specificità del contratto di avvalimento di garanzia fra
l'impresa partecipante e l'ausiliaria, occorre avere
riguardo a come il requisito ausiliato si pone e che peso
ha, nel sistema delineato dalla lex specialis, rispetto
all'oggetto dell'appalto; proprio per questo, il requisito
solo finanziario non impone altro obbligo negoziale che
l'impegno dell'impresa ausiliaria di rispondere, nei limiti
che il requisito stesso ha nel contesto della gara, con le
proprie e complessive risorse economiche quando, in sede
esecutiva, la necessità sottesa al requisito si renda
attuale.
Ciò non implica necessariamente il coinvolgimento di aspetti
specifici dell'organizzazione della impresa, donde la non
necessità di dedurli in contratto, se questi non rispondano
al concreto interesse della stazione appaltante, desumibile
dall'indicazione del requisito stesso.
Peraltro, in un caso analogo è stato ritenuto dalla
giurisprudenza conforme alle previsioni di legge in
proposito il contratto con il quale la società ausiliaria si
è obbligata a mettere a disposizione dell'impresa ausiliata,
per tutta la durata dell'appalto, il requisito del fatturato
specifico realizzato in un determinato anno.
---------------
Circa il
fatto che la fattispecie
in esame sarebbe inquadrabile almeno in parte nell’ambito
dell’«avvalimento di garanzia», che ha ad oggetto requisiti
immateriali o soggettivi (come referenze bancarie, fatturato
e simili), distinto dall’«avvalimento operativo», avente ad
oggetto requisiti materiali (come mezzi ed attrezzature),
con sufficienza della responsabilità solidale
dell’ausiliaria, di cui all’art. 49, comma 4, del d.lgs. n.
163 del 2006, alla tutela delle esigenze pubbliche, senza
necessità di specificazione delle risorse e dei mezzi messi
a disposizione, la distinzione tra tali figure di avvalimento
non avrebbe un solido fondamento giuridico, non esistendo
disposizioni differenzianti la specificità dell’oggetto a
seconda dell’una o dell’altra categoria e non potendo l’«avvalimento
di garanzia» rimanere astratto, cioè svincolato da qualsiasi
collegamento con risorse materiali ed immateriali poste a
disposizione dell’ausiliata.
16.1.- Osserva in proposito il Collegio che, come già
rilevato, il ricorso all'istituto dell'avvalimento è
riconosciuto dalla giurisprudenza come possibile in un ampio
ventaglio di ipotesi, muovendo dalla ratio dello stesso, che
è quella di consentire la massima partecipazione alle gare,
permettendo ai concorrenti, privi dei requisiti richiesti
dal bando, di avvalersi dei requisiti di altri soggetti, e
di agevolare così l'ingresso sul mercato di nuovi operatori
e quindi la concorrenza fra le imprese.
E’ stato ritenuto ammissibile anche il c.d. avvalimento di
garanzia, con l’unico limite che esso non si risolva nel
prestito di una mera condizione soggettiva, del tutto
disancorata dalla concreta messa a disposizione di risorse
materiali, economiche o gestionali.
Può convenirsi con la sentenza del Consiglio di giustizia
amministrativa della Sicilia n. 35 del 2015 richiamata dalla
appellante che la distinzione tra avvalimento di garanzia e
avvalimento tecnico-operativo non può tradursi in un
differente regime giuridico, ma va considerato che è pure
ivi condivisibilmente affermato che il c.d. avvalimento di
garanzia «non deve rimanere astratto, cioè svincolato da
qualsivoglia collegamento con risorse materiali o
immateriali, che snaturerebbe l'istituto, in elusione dei
requisiti stabiliti nel bando di gara, esibiti solo in modo
formale, finendo col frustare anche la funzione di garanzia».
Ciò si
traduce nella necessità che nel contratto siano
adeguatamente indicati, a seconda dei casi, il fatturato
globale e l'importo relativo ai servizi o forniture nel
settore oggetto della gara nonché, come specificato dalla
dottrina, gli specifici «fattori della produzione e tutte le
risorse che hanno permesso all'ausiliaria di eseguire le
prestazioni analoghe nel periodo richiesto dal bando».
Anche nell'avvalimento di garanzia i requisiti di fatturato
sono infatti preordinati a garantire l'affidabilità del
concorrente a sostenere finanziariamente sia l'attuazione
dell'appalto, sia il risarcimento della stazione appaltante
nel caso d'inadempimento.
Può quindi concludersi che anche l'avvalimento di garanzia,
a prescindere dalla possibilità di distinguerlo
giuridicamente da quello operativo, è consentito purché i
relativi atti non si risolvano in formule generiche e
svincolate da qualsiasi collegamento con le risorse
materiali o immateriali rese disponibili.
---------------
Deve ritenersi invalido il
contratto di avvalimento solo in presenza di una condizione,
apposta all'impegno relativo, tale da non consentire la
certezza dell'impegno contenuto nel contratto di avvalimento.
Il contratto di avvalimento non è quindi valido ove
sottoposto a condizione meramente potestativa, trattandosi
in questo caso dell’assunzione di un obbligo ‘nulla’ ai
sensi dell'art. 1355 del c.c.
È stato invece ritenuto legittimo il contratto di
avvalimento sottoposto a condizione di acquisire efficacia
solo nel caso in cui la società avvalsa avrebbe conseguito
l'aggiudicazione della gara, essendo chiaro che l'evento
dedotto in condizione è proprio l'aggiudicazione
dell'appalto, in funzione del quale l'avvalimento è stato
stipulato, e che si tratta propriamente di condizione
risolutiva,
che postula che le parti subordinino la risoluzione
del contratto, o di un singolo patto, ad un evento, futuro
ed incerto, il cui verificarsi priva di effetti il negozio ab origine.
---------------
15.1.- Passando all’esame di tali censure, la Sezione rileva
che l’art. 49 del d.lgs. n. 163 del 2006 stabilisce, al
comma 2, lettera d), che per usufruire dell’avvalimento il
concorrente deve allegare «una dichiarazione sottoscritta
dall'impresa ausiliaria con cui quest'ultima si obbliga
verso il concorrente e verso la stazione appaltante a
mettere a disposizione per tutta la durata dell'appalto le
risorse necessarie di cui è carente il concorrente», e, al
comma 2, lettera f), che deve pure allegare «in originale o
copia autentica il contratto in virtù del quale l'impresa
ausiliaria si obbliga nei confronti del concorrente a
fornire i requisiti e a mettere a disposizione le risorse
necessarie per tutta la durata dell'appalto».
Inoltre, l’art. 88 del d.P.R. n. 207 del 2010 dispone che,
«Per la qualificazione in gara, il contratto di cui
all'articolo 49, comma 2, lettera f), del codice deve
riportare in modo compiuto, esplicito ed esauriente:
a) oggetto: le risorse e i mezzi prestati in modo
determinato e specifico;
b) durata;
c) ogni altro utile elemento ai fini dell'avvalimento».
Poiché il riportato art. 49 non pone alcuna limitazione
all’applicazione dell'istituto dell'avvalimento, se non con
riguardo ai requisiti strettamente personali di carattere
generale, di cui agli artt. 38 e 39, deve ritenersi
ammissibile l'avvalimento anche per dimostrare il fatturato
e l'esperienza pregressa.
A tale istituto la giurisprudenza ha riconosciuto un
amplissimo ambito di applicazione, anche per i requisiti che
attengono a profili personali del concorrente, quali il
fatturato o l'esperienza pregressa, la certificazione di
qualità e, in genere, i requisiti soggettivi di qualità.
Va pertanto ritenuto ammissibile anche il c.d. «avvalimento
di garanzia», con il quale l'impresa ausiliaria mette la
propria solidità economica e finanziaria al servizio dell'ausiliata.
L'unico limite imposto al riguardo dall'ordinamento è che l'avvalimento
non si risolva nel prestito di una mera «condizione
soggettiva», del tutto disancorata dalla concreta messa a
disposizione di risorse materiali, economiche o gestionali,
dovendo l'impresa ausiliaria assumere l'obbligazione di
mettere a disposizione dell'impresa ausiliata, in relazione
all'esecuzione dell'appalto, le proprie risorse e il proprio
apparato organizzativo in tutte le parti che giustificano
l'attribuzione del requisito di qualità (e, quindi, a
seconda dei casi, i mezzi, il personale, la prassi e tutti
gli altri elementi aziendali qualificanti, in relazione
all'oggetto dell'appalto).
Di conseguenza il limite di operatività dell'istituto è dato
dal fatto che la messa a disposizione del requisito mancante
non deve risolversi nel prestito di un valore puramente
«cartolare e astratto», ma è invece necessario che dal
contratto di avvalimento risulti un impegno chiaro e
concreto dell'impresa ausiliaria a prestare le proprie
risorse ed il proprio apparato organizzativo in tutte le
parti che giustificano l'attribuzione del requisito di
garanzia.
Le regole applicabili in materia di avvalimento, pur
finalizzate a garantire la serietà, la concretezza e la
determinatezza di questo, ad avviso del collegio non devono
comunque essere interpretate meccanicamente, secondo
aprioristici schematismi concettuali, che non tengano conto
del singolo appalto e, soprattutto, frustrando la
sostanziale disciplina dettata dalla lex specialis (che nel
caso di specie, mirava a garantire con l'avvalimento una
specifica risorsa immateriale, cioè il fatturato, frutto di
una specifica esperienza maturata in un settore eguale o
analogo a quello del servizio richiesto).
Nelle gare pubbliche, il ricorso all'avvalimento, avente ad
oggetto il fatturato o l'esperienza pregressa, è quindi, in
linea di principio, legittimo, non ponendo la disciplina
dell'art. 49 del d.lgs. n. 163 del 2006 alcuna limitazione
se non per i requisiti strettamente personali di carattere
generale, di cui agli artt. 38 e 39 dello stesso d.lgs. n.
163 del 2006 (Consiglio di Stato, sez. III, 17.06.2014,
n. 3058; Consiglio di Stato, sez. V, 14.02.2013, n.
911).
Come posto in rilievo dal giudice di primo grado, con il
contratto di avvalimento di cui trattasi la ausiliaria
s.r.l. Global Cri si era impegnata a mettere a disposizione
della s.r.l. La Cascina Global Service i requisiti speciali
di partecipazione di cui ai punti III.2.2 lett. c.2) e III.2.3
lett. a) del bando di gara, cioè il «fatturato dell’impresa
relativo ai servizi nel settore oggetto della gara pari o
superiore, nel triennio, ad euro 2.482.652,50, ossia pari ad
1 volta il valore complessivo del presente appalto» e la
«realizzazione di almeno un servizio analogo nell’ambito
dello stesso settore negli ultimi tre anni, con
l’indicazione degli importi, delle date e dei destinatari,
pubblici o privati, dei servizi stessi» (cioè il fatturato
specifico del triennio 2010-2012 per il servizio di pulizia
e manutenzione immobili, servizi cimiteriali e servizio di
custodia, svolti presso il Comune di Torre Santa Susanna).
Con il contratto era stato anche stabilito che l’impresa
ausiliaria, «ove occorra: a) presterà la consulenza
richiesta dall’impresa concorrente, per la risoluzione di
problemi tecnici di particolare difficoltà; b) comunicherà
all’impresa concorrente gli standards operativi e le
procedure di intervento elaborate per una più efficace
esecuzione dei servizi affidati; c) formerà ed organizzerà
il personale dell’impresa concorrente».
Quindi era stato messo a disposizione dell’ausiliata solo un
bene, richiesto dalla lex specialis (non precipuamente
classificabile secondo le indicazioni contenute nelle norme
sopra richiamate, trattandosi non di mezzi o strumentazioni,
o attrezzature), cioè un bene immateriale, che, comunque,
non era indeterminato nell’oggetto, o solo cartolare o
generico, né riproduceva pedissequamente la formula
legislativa, essendo valutabile come congruo con riferimento
alla natura del requisito prestato, meramente esperienziale,
e dell’oggetto della gara, senza alcuna necessità di
indicazione di mezzi ed attrezzature.
All’impresa ausiliaria non poteva infatti essere chiesto di
dimostrare il possesso di un requisito in maniera diversa e
più intensa rispetto a quanto previsto dalla lex specialis
come oggetto di sua dimostrazione, se non avesse avuto
bisogno di ricorrere all’avvalimento (cioè, nel caso di
specie, la realizzazione di almeno un servizio analogo
nell’ambito dello stesso settore negli ultimi tre anni, con
indicazione degli importi, delle date e dei destinatari dei
servizi stessi).
Invero, nelle gare pubbliche, per stabilire il grado di
specificità del contratto di avvalimento di garanzia fra
l'impresa partecipante e l'ausiliaria, occorre avere
riguardo a come il requisito ausiliato si pone e che peso
ha, nel sistema delineato dalla lex specialis, rispetto
all'oggetto dell'appalto; proprio per questo, il requisito
solo finanziario non impone altro obbligo negoziale che
l'impegno dell'impresa ausiliaria di rispondere, nei limiti
che il requisito stesso ha nel contesto della gara, con le
proprie e complessive risorse economiche quando, in sede
esecutiva, la necessità sottesa al requisito si renda
attuale.
Ciò non implica necessariamente il coinvolgimento di aspetti
specifici dell'organizzazione della impresa, donde la non
necessità di dedurli in contratto, se questi non rispondano
al concreto interesse della stazione appaltante, desumibile
dall'indicazione del requisito stesso.
Peraltro, in un caso analogo è stato ritenuto dalla
giurisprudenza conforme alle previsioni di legge in
proposito il contratto con il quale la società ausiliaria si
è obbligata a mettere a disposizione dell'impresa ausiliata,
per tutta la durata dell'appalto, il requisito del fatturato
specifico realizzato in un determinato anno (Consiglio di
Stato, sez. III, 02.03.2015, n. 1020).
15.2.- Quanto alla dedotta elusività della messa a
disposizione delle risorse da parte della ausiliaria solo
«ove occorra» e «se necessario», che avrebbe escluso la
possibilità di verifica della concreta disponibilità attuale
di risorse e dotazioni aziendali, ritiene la Sezione, a
prescindere dalla eccepita inammissibilità della censura
perché non formulata in primo grado e proposta in violazione
del divieto di nova in appello di cui all’art. 104, comma 1,
del c.p.a., che sia da escludere che essa possa avere
rilievo al fine di dimostrare la irregolarità del prestato
avvalimento.
Infatti le locuzioni suddette vanno interpretate non nel
senso che la disponibilità sarebbe stata solo eventuale, ma
in quello che le risorse indicate nel contratto sarebbero
state messe a disposizione della ausiliaria ogniqualvolta
che la ausiliata ne avesse avuto necessità, il che appare al
collegio pienamente coerente con la ratio dell’istituto
dell’avvalimento e con le concrete esigenze della stazione
appaltante in ordine alla formulata richiesta di
attestazione del possesso dei requisiti speciali di
partecipazione in questione.
16.- Con il primo motivo di gravame è stato ulteriormente
sostenuto che non sarebbe condivisibile anche la ulteriore
tesi, fatta propria dal TAR, secondo cui la fattispecie
in esame sarebbe inquadrabile almeno in parte nell’ambito
dell’«avvalimento di garanzia», che ha ad oggetto requisiti
immateriali o soggettivi (come referenze bancarie, fatturato
e simili), distinto dall’«avvalimento operativo», avente ad
oggetto requisiti materiali (come mezzi ed attrezzature),
con sufficienza della responsabilità solidale
dell’ausiliaria, di cui all’art. 49, comma 4, del d.lgs. n.
163 del 2006, alla tutela delle esigenze pubbliche, senza
necessità di specificazione delle risorse e dei mezzi messi
a disposizione.
Come rilevato dal C.G.A.R.S. con la sentenza 21.01.2015, n. 35,
la distinzione tra tali figure di avvalimento
non avrebbe un solido fondamento giuridico, non esistendo
disposizioni differenzianti la specificità dell’oggetto a
seconda dell’una o dell’altra categoria e non potendo l’«avvalimento
di garanzia» rimanere astratto, cioè svincolato da qualsiasi
collegamento con risorse materiali ed immateriali poste a
disposizione dell’ausiliata.
16.1.- Osserva in proposito il Collegio che, come già
rilevato, il ricorso all'istituto dell'avvalimento è
riconosciuto dalla giurisprudenza come possibile in un ampio
ventaglio di ipotesi, muovendo dalla ratio dello stesso, che
è quella di consentire la massima partecipazione alle gare,
permettendo ai concorrenti, privi dei requisiti richiesti
dal bando, di avvalersi dei requisiti di altri soggetti, e
di agevolare così l'ingresso sul mercato di nuovi operatori
e quindi la concorrenza fra le imprese.
E’ stato ritenuto ammissibile anche il c.d. avvalimento di
garanzia, con l’unico limite che esso non si risolva nel
prestito di una mera condizione soggettiva, del tutto
disancorata dalla concreta messa a disposizione di risorse
materiali, economiche o gestionali.
Può convenirsi con la sentenza del Consiglio di giustizia
amministrativa della Sicilia n. 35 del 2015 richiamata dalla
appellante che la distinzione tra avvalimento di garanzia e
avvalimento tecnico-operativo non può tradursi in un
differente regime giuridico, ma va considerato che è pure
ivi condivisibilmente affermato che il c.d. avvalimento di
garanzia «non deve rimanere astratto, cioè svincolato da
qualsivoglia collegamento con risorse materiali o
immateriali, che snaturerebbe l'istituto, in elusione dei
requisiti stabiliti nel bando di gara, esibiti solo in modo
formale, finendo col frustare anche la funzione di garanzia»
(Cons. St., III, 22.01.2014, n. 294; in termini
analoghi Cons. St., III, 17.06.2014, n. 3057).
Ciò si
traduce nella necessità che nel contratto siano
adeguatamente indicati, a seconda dei casi, il fatturato
globale e l'importo relativo ai servizi o forniture nel
settore oggetto della gara nonché, come specificato dalla
dottrina, gli specifici «fattori della produzione e tutte le
risorse che hanno permesso all'ausiliaria di eseguire le
prestazioni analoghe nel periodo richiesto dal bando».
Anche nell'avvalimento di garanzia i requisiti di fatturato
sono infatti preordinati a garantire l'affidabilità del
concorrente a sostenere finanziariamente sia l'attuazione
dell'appalto, sia il risarcimento della stazione appaltante
nel caso d'inadempimento.
Può quindi concludersi che anche l'avvalimento di garanzia,
a prescindere dalla possibilità di distinguerlo
giuridicamente da quello operativo, è consentito purché i
relativi atti non si risolvano in formule generiche e
svincolate da qualsiasi collegamento con le risorse
materiali o immateriali rese disponibili (Consiglio di
Stato, sez. III, 07.07.2015, n. 3390).
Nel caso di specie, come già evidenziato, il contratto di
avvalimento intercorso tra la ausiliaria Global Cri s.r.l.
non consisteva in una formula astratta e generica, ma
indicava compiutamente e sufficientemente la risorse messe a
disposizione della società ausiliata, cioè il fatturato
specifico del triennio 2010-2012 per il servizio di pulizia
e manutenzione immobili, servizi cimiteriali e servizio di
custodia, svolti presso il Comune di Torre Santa Susanna.
L’esaminata censura non è quindi idonea a dimostrare la
inadeguatezza, rispetto ai requisiti previsti dalla
normativa in materia, del contratto di avvalimento
intercorso tra dette società (che mirava a garantire una
specifica risorsa immateriale, cioè il fatturato, frutto di
una specifica esperienza maturata in un settore eguale o
analogo a quello del servizio richiesto) e deve essere
respinta.
17.- Con il secondo motivo d’appello è stato dedotto che il
contratto di avvalimento esibito dall’aggiudicataria non
sarebbe comunque stato idoneo a mettere a disposizione dell’ausiliata
e della stazione appaltante le risorse necessarie per la
durata dell’appalto, in quanto all’art. 12 del contratto era
contenuta una clausola risolutiva espressa che collegava ad
inadempimenti di qualsiasi natura dell’ausiliata la
risoluzione ipso iure del contratto, con la conseguenza che
la stazione appaltante si sarebbe potuta trovare priva della
responsabilità solidale della ausiliaria.
Sarebbe stato quindi stipulato un contratto di avvalimento
condizionato, che però non sarebbe ammissibile, atteso che
in caso di inadempimento dell’appaltatore la stazione
appaltante deve poter agire direttamente sull’impresa
ausiliaria.
Non sarebbe condivisibile la tesi TAR, che ha respinto
dette censure rilevando che due delle ipotesi di risoluzione
erano riconducibili a procedure concorsuali e a violazioni
di norme in materia di contratti della p.a. che
configuravano fattispecie che, prima di determinare la
risoluzione del contratto di avvalimento, avrebbero
comportato la risoluzione del contratto di appalto tra la
aggiudicataria e la stazione appaltante, perché comunque la
clausola risolutiva si riferiva ad ipotesi di grave
inadempimento idonee a comportare la risoluzione del
contratto di avvalimento ex art. 1455 del c.c., anche se non
prevista espressamente.
Infatti, tale clausola avrebbe reso nullo il contratto di
avvalimento, che non sarebbe sottoponibile a condizioni
perché, consentendo all’impresa ausiliaria di sottrarsi ai
propri obblighi nell’ipotesi in cui valuti la ricorrenza di
una delle clausole risolutive, inserirebbe nel rapporto
trilaterale un elemento di incertezza e di indeterminatezza
idoneo a vanificarne la finalità di garanzia del contratto.
17.1.- Osserva il Collegio che deve ritenersi invalido il
contratto di avvalimento solo in presenza di una condizione,
apposta all'impegno relativo, tale da non consentire la
certezza dell'impegno contenuto nel contratto di avvalimento.
Il contratto di avvalimento non è quindi valido ove
sottoposto a condizione meramente potestativa, trattandosi
in questo caso dell’assunzione di un obbligo ‘nulla’ ai
sensi dell'art. 1355 del c.c.
È stato invece ritenuto legittimo il contratto di
avvalimento sottoposto a condizione di acquisire efficacia
solo nel caso in cui la società avvalsa avrebbe conseguito
l'aggiudicazione della gara, essendo chiaro che l'evento
dedotto in condizione è proprio l'aggiudicazione
dell'appalto, in funzione del quale l'avvalimento è stato
stipulato, e che si tratta propriamente di condizione
risolutiva (Consiglio di Stato, sez. III, 25.02.2014,
n. 895), che postula che le parti subordinino la risoluzione
del contratto, o di un singolo patto, ad un evento, futuro
ed incerto, il cui verificarsi priva di effetti il negozio
ab origine.
Invece, con la clausola risolutiva espressa, le parti
prevedono lo scioglimento del contratto qualora una
determinata obbligazione non venga adempiuta affatto o lo
sia secondo modalità diverse da quelle prestabilite, sicché
la risoluzione opera di diritto ove il contraente non
inadempiente dichiari di volersene avvalere, senza necessità
di provare la gravità dell'inadempimento della controparte
all'inadempimento dell'obbligazione oggetto della clausola
risolutiva espressa.
Nel caso di specie, l’art. 3 del contratto di avvalimento
conteneva l’impegno espresso della società ausiliaria di
mettere a disposizione dell’ausiliata i requisiti e le
risorse per tutta la durata dell’appalto e poi all’art. 12
la seguente clausola risolutiva espressa: «A norma dell'art.
1456 c.c., l'impresa ausiliaria potrà invocare la
risoluzione del contratto ove ricorrano le seguenti ipotesi:
a) nel caso in cui l'impresa concorrente venga sottoposta a
procedura concorsuale o esecutiva e in caso di scioglimento
o sottoposizione alle procedure di cui all'art. 2409 c.c.
(gravi irregolarità nella gestione sociale);
b) nel caso di inadempimento grave ai sensi dell’art. 1455
del c.c. da parte dell'impresa concorrente anche ad una sola
obbligazione del presente contratto, salvo il risarcimento
del danno;
c) nel caso che l'impresa concorrente, violi norme di legge
in materia di contratti della Pubblica Amministrazione,
norme penali per reati attinenti lo svolgimento
dell'attività di impresa, i rapporti che le pubbliche
amministrazioni, norme fiscali».
Come ha correttamente rilevato il TAR, le fattispecie
indicate in tale clausola contrattuale comunque avrebbero
avuto rilevanza giuridica, con la conseguenza che di per sé
essa non può apportare alcun nocumento all’amministrazione.
Sotto tale profilo, l’ordinamento giuridico –una volta
attribuita rilevanza giuridica al contratto di avvalimento-
non può precludere l’esercizio della autonomia negoziale, in
ordine alla predeterminazione delle conseguenze che inter
partes si debbano verificare nei casi da loro individuati.
Del resto, l’assenza di nocumento specifico si desume
proprio dalla normativa in materia.
Nell'ipotesi di cui alla citata lettera a), la società, ex
art. 38, comma 1, lettera a), del d.lgs. n. 163 del 2006,
che si trova in stato di fallimento, di liquidazione coatta,
di concordato preventivo o nei cui riguardi sia in corso un
procedimento per la dichiarazione di tali situazioni è
comunque esclusa dalla partecipazione alle procedure di
affidamento delle concessioni e degli appalti di lavori,
forniture e servizi, né può essere affidataria di subappalti
e non può stipulare i relativi contratti.
Nell’ipotesi di cui alla lettera b), la clausola risolutiva
si riferisce ad ipotesi di grave inadempimento che
comportano comunque la possibile risoluzione del contratto
di avvalimento ex art. 1455 del c.c., con la sola,
irrilevante, differenza che, trattandosi di clausola
risolutiva espressa non sarebbe stata necessaria la prova
della gravità dell’inadempimanto, ma sarebbe stata
sufficiente la manifestazione della volontà di avvalersi di
detta clausola, esercitando il diritto potestativo di
risolvere il contratto.
Nell’ipotesi di cui alla lettera c), le circostanze previste
configurano invece situazioni che, in quanto non attinenti
all’esecuzione della prestazione principale e all’interesse
della parte a cui favore sono previste (di percepire il
corrispettivo pattuito per la fornitura dell’avvalimento),
non potrebbero essere invocate per svincolarsi dall’avvalimento.
In conclusione, le riportate clausole contrattuali non
escludevano la serietà dell'impegno contenuto nel contratto
di avvalimento e non lo rendevano quindi invalido
(Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 22.10.2015 n. 4860 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Appalti,
protocolli limitati. Non è possibile bloccare i subappalti e
le intese con altri partecipanti.
Corte Ue. Nelle gare l’uso preventivo degli «impegni» di
legalità non confligge con i principi comunitari.
Va promosso, ma con cautela, l’uso dei protocolli
di legalità negli appalti.
La Corte di giustizia Ue, con la
sentenza 22.10.2015 - C-425/14, da una parte
riconosce la correttezza dell’introduzione dell’obbligo di
accettazione come condizione di ammissione alla procedura di
aggiudicazione dell’appalto; dall’altra, però, invita a
calibrarne con attenzione i contenuti, andando oltre la
necessità per prevenire condotte collusive.
I fatti al centro della causa sottoposta alla Corte
risalgono al 2013, quando la Soprintendenza ai beni
culturali di Trapani ha affidato a due società un appalto
pubblico di lavori del valore di oltre due milioni di euro
per il restauro degli antichi templi greci in Sicilia. A
causa dell’impugnazione presentata dalla società arrivata al
secondo posto al termine della gara (aperta anche a società
straniere), l’Amministrazione ha annullato l’aggiudicazione
e ha affidato l’appalto alla società ricorrente.
L'Amministrazione ha motivato l’annullamento (e quindi
l'esclusione delle due società inizialmente aggiudicatarie)
con il mancato deposito, assieme all’offerta,
dell'accettazione del protocollo di legalità, accettazione
prevista come propedeutica alla partecipazione alla gara.
Secondo il protocollo, il partecipante alla gara si doveva
impegnare espressamente a tenere una serie di comportamenti
in caso di aggiudicazione dell’appalto: egli avrebbe dovuto,
ad esempio, impegnarsi a informare l’amministrazione sullo
stato di avanzamento dei lavori e sulle modalità di
selezione dei subappaltatori; comunicare alle Autorità
eventuali irregolarità; cooperare con la polizia; denunciare
tutti i tentativi di influenza di natura illecita.
Il candidato, inoltre, doveva dichiarare espressamente: di
non trovarsi in un rapporto di controllo o associazione (di
diritto o di fatto) con altri concorrenti; di non avere
stipulato né di stipulare in futuro alcun accordo con altri
partecipanti alla procedura di gara; di non subappaltare in
futuro qualsiasi tipo di opera o servizio ad altre imprese
partecipanti alla gara; di impegnarsi a rispettare i
principi di lealtà, integrità e trasparenza; di non avere
concluso né di concludere in futuro, con gli altri
partecipanti alla gara, accordi volti a limitare o impedire
la concorrenza. La vicenda giudiziaria si è trascinata sino
al Consiglio di Giustizia amministrativa per la Regione
Siciliana, che ha sollevato una questione pregiudiziale
davanti alla Corte Ue.
La Corte ha chiarito che la disciplina italiana non
contrasta con i principi comunitari e che è legittima
l’esclusione delle imprese che non depositano, insieme
all’offerta, l’accettazione di un protocollo indirizzato a
evitare le infiltrazioni della criminalità organizzata e le
conseguenti distorsioni della concorrenza. Quanto ai tempi,
l’obbligo di accettazione preventiva non fa che anticipare
la tutela della legalità e scoraggiare fenomeni criminali.
Tuttavia, la giustificazione viene meno se il protocollo
contiene dichiarazioni secondo cui il candidato o
l’offerente non è in rapporto di controllo o associazione
con altri candidati od offerenti; non ha concluso né
concluderà accordi con altri partecipanti alla gara; non
subappalterà prestazioni di qualunque tipo ad altre società
partecipanti alla procedura. In questi casi i mezzi
utilizzati dal legislatore vanno al di là di quanto
necessario a prevenire comportamenti collusivi
(articolo
Il Sole 24 Ore del 23.10.2015 - tratto da
www.centrostudicni.it).
---------------
MASSIMA
... Per questi motivi, la Corte (Decima Sezione)
dichiara:
Le norme fondamentali e i principi
generali del Trattato FUE, segnatamente i principi di parità
di trattamento e di non discriminazione nonché l’obbligo di
trasparenza che ne deriva, devono essere interpretati nel
senso che essi non ostano a una disposizione di diritto
nazionale in forza della quale un’amministrazione
aggiudicatrice possa prevedere che un candidato o un
offerente sia escluso automaticamente da una procedura di
gara relativa a un appalto pubblico per non aver depositato,
unitamente alla sua offerta, un’accettazione scritta degli
impegni e delle dichiarazioni contenuti in un protocollo di
legalità, come quello di cui trattasi nel procedimento
principale, finalizzato a contrastare le infiltrazioni della
criminalità organizzata nel settore degli appalti pubblici.
Tuttavia, nei limiti in cui tale protocollo preveda
dichiarazioni secondo le quali il candidato o l’offerente
non si trovi in situazioni di controllo o di collegamento
con altri candidati o offerenti, non si sia accordato e non
si accorderà con altri partecipanti alla gara e non
subappalterà lavorazioni di alcun tipo ad altre imprese
partecipanti alla medesima procedura, l’assenza di siffatte
dichiarazioni non può comportare l’esclusione automatica del
candidato o dell’offerente da detta procedura. |
APPALTI:
Sul giudizio di anomalia dell'offerta.
Il giudizio positivo di anomalia non richiede una specifica
motivazione, mentre incombe su chi contesti l'aggiudicazione
l'onere, nel caso di specie non assolto, di individuare gli
specifici elementi tesi a dimostrare che la valutazione
tecnico-discrezionale dell'Amministrazione sia stata
manifestamente irragionevole, ovvero basata su fatti erronei
o travisati (Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 20.10.2015 n. 4796 - link a
www.dirittodeiservizipubblici.it). |
LAVORI PUBBLICI:
Per l'ipotesi di mancata tempestiva
contabilizzazione dei lavori, gli interessi di cui all'art.
35 del D.P.R. n. 1063 del 1962, competono, secondo la
disciplina riassunta a seguire, a decorrere dalla data in
cui la contabilizzazione stessa avrebbe dovuto aver luogo
non già secondo uno schema astratto, come pretende la
ricorrente (che invoca, a tal fine, il criterio della media
ponderale), ma in relazione al concreto atteggiarsi
dell'appalto stesso, quale risultante dalle attestazioni
contenute nei registri di contabilità.
Invero, il dPR n. 1063 del 1962,
al tempo vigente, prevede, al capo
III, intitolato "pagamenti all'appaltatore" all'art. 33,
comma 1, che, nel corso dell'esecuzione dei lavori,
competono all'appaltatore, sulla base dei dati risultanti
dai documenti contabili, pagamenti in acconto "nei termini o
nelle rate stabilite nel capitolato speciale ed a misura
dell'avanzamento dei lavori regolarmente eseguiti".
Il comma 2 del menzionato art. 33 dispone che i certificati
di pagamento devono essere emessi "non appena sia scaduto il
termine ... o appena raggiunto l'importo prescritto per
ciascuna rata, e in ogni caso non oltre 45 giorni dal
verificarsi delle circostanze previste nel comma
precedente".
Il successivo art. 35 prevede, al comma 1, che, in caso in
cui il certificato di pagamento non sia emesso "per mancata
tempestiva contabilizzazione dei lavori o per qualsiasi
altro motivo attribuibile all'amministrazione entro i
termini di cui al secondo comma del precedente art. 33",
l'appaltatore ha diritto agli interessi ivi previsti, ed al
comma 2 disciplina gli interessi dovuti per il ritardo
nell'emissione del titolo di spesa in riferimento
all'emissione del certificato di acconto.
---------------
1. Col primo motivo, la ricorrente lamenta che l'impugnata
sentenza ha ritenuto insussistente il suo diritto agli
interessi
moratori in violazione degli artt. 33, 35, e 36 del dPR n.
1063 del
1962; 4, co. 1, della L n. 741 del 1981; 54, 57 e 58 del RD
n. 350
del 1895; 165, 168 e 169 del dPR n. 554 del 1999; 1219 co. 2
n. 3,
1224 e 1227 cc; 270 RD n. 827 del 1924.
La ricorrente
afferma
che, in base alle disposizioni del Capitolato Generale del
1962,
applicabile ratione temporis, nell'ipotesi in cui "il
certificato di
pagamento ed il mandato di pagamento siano ritardati in
conseguenza di mancata tempestiva contabilizzazione dei
lavori
rispetto alla data di maturazione della rata, spettano
all'appaltatore gli interessi legali e di mora di cui agli
artt. 35 e 36 del Capitolato Generale. Detti interessi
devono esser computati
con riguardo alle date nelle quali il certificato di
pagamento e il
mandato di pagamento avrebbero dovuto essere emanati avendo
riguardo non alla data dell'effettiva contabilizzazione dei
lavori
da parte del DL, ma alla data in cui questi avrebbe dovuto
provvedervi in relazione alla maturazione della rata, a
misura
dell'avanzamento dei lavori eseguiti, secondo le convenzioni
di
contratto o di capitolato speciale. Il credito
dell'appaltatore agli
interessi conseguiti da ritardata contabilizzazione dei
lavori ....
non è condizionato alla messa in mora della DL da parte
dello
stesso appaltatore, per la contabilizzazione dei lavori
relativi alla
rata maturata né all'onere della iscrizione, sempre da parte
dell'appaltatore, di riserva nel registro di contabilità".
2. Col secondo motivo, si deduce, sotto altro profilo, la
violazione degli artt. 33, 35, e 36 del dPR n. 1063 del
1962; 4, co.
1, della L. n. 741 del 1981, nonché degli artt. 1218, 1219,
1277 e
1655 cc, per avere la Corte d'Appello ritenuto che il debito
dell'Amministrazione per il ritardo nella liquidazione,
contrattualmente obbligatoria, costituisca un debito di
valore, in
quanto tale, produttivo di interessi moratori a seguito
dell'applicazione dei principi generali in tema
d'inadempimento.
La ricorrente afferma, per contro, che il debito per il
corrispettivo
dell'appalto costituisce per sua natura un debito di valuta,
e che,
ad ogni modo, nel sistema del Capitolato generale il debito
è
produttivo d'interessi senza necessità di costituzione in
mora, né quanto alla contabilizzazione dei lavori, e cioè
alla liquidazione,
né quanto al pagamento.
3. Con il terzo mezzo, la ricorrente lamenta la violazione
degli artt. 33, 35, e 36 del dPR n. 1063 del 1962; 4, co. 1,
della L.
n. 741 del 1981; 57 e 58 del RD n. 350 del 1895, oggi 168 e
169
del dPR n. 554 del 1999, 1218 cc, oltre che dei principi
generali
in tema di responsabilità per inadempimento delle
obbligazioni.
La necessità d'indagare sulla sussistenza o meno della
responsabilità della Stazione appaltante nel ritardo della
contabilizzazione dei lavori, non tiene conto del fatto che
nella
disciplina di Capitolato, art. 35, tale responsabilità è
presunta, de
iure, a carico dell'Amministrazione, sicché l'appaltatore,
per
conseguire gli interessi, non è tenuto a dare la prova che
il ritardo
sia ad essa imputabile, essendo piuttosto la committente
onerata
di fornire la prova che l'inadempimento è dipeso da fatto
non a lei
non imputabile.
4. Col quarto motivo, si deduce la violazione degli artt.
33,
35, e 36 del dPR n. 1063 del 1962; 3, 13, 14, 38 e segg. del
RD n.
350 del 1895, oggi 123, 124, 128, 152 e segg. del dPR n. 554
del
1999, 1218 cc, per avere la Corte addossato ad essa impresa
l'onere, inesistente, di sollecitare la redazione del SAL,
attività
che costituisce, invece, l'oggetto di preciso dovere del DL,
non
appena raggiunto l'importo prescritto.
5. Con il quinto mezzo, la ricorrente lamenta la violazione
degli artt. 33, 35, e 36 del dPR n. 1063 del 1962; 4, co. 1,
della L. n. 741 del 1981; 57 e 58 del RD n. 350 del 1895,
oggi 168 e 169
del dPR n. 554 del 1999, 1 della L n. 463 del 1964, per
avere la
Corte territoriale ritenuto erroneo il riferimento al
criterio medio
ponderale operato nella ricostruzione dei tempi
d'avanzamento
dei lavori, senza considerare che il predetto metodo era
proprio
quello utilizzato dal Comune committente per il calcolo
della
revisione prezzi, che avrebbe, perciò, potuto essere
applicato in
via analogica.
6. Disattesa l'eccezione d'inammissibilità del ricorso, che
contiene tutti gli elementi idonei a far comprendere alla
Corte i
necessari dati di fatto, i motivi, da valutarsi
congiuntamente per la
loro connessione, sono infondati, anche se va in parte
corretta la
motivazione.
7. Il dPR n. 1063 del 1962
di cui nessuna delle parti ha contestato l'applicabilità ai
vari contratti d'appalto cui si riferiscono gli interessi
richiesti ed era, al tempo, vigente,
prevede, al capo III, intitolato "pagamenti
all'appaltatore" all'art. 33, comma 1, che, nel corso
dell'esecuzione dei lavori, competono all'appaltatore, sulla
base dei dati risultanti dai documenti contabili, pagamenti
in acconto "nei termini o nelle rate stabilite nel
capitolato speciale ed a misura dell'avanzamento dei lavori
regolarmente eseguiti".
Il comma 2 del menzionato art. 33 dispone che i certificati
di pagamento devono essere emessi "non appena sia scaduto
il termine ... o appena raggiunto l'importo prescritto per
ciascuna rata, e in ogni caso non oltre 45 giorni dal
verificarsi delle circostanze previste nel comma precedente".
Il successivo art. 35 prevede, al comma 1, che, in caso in
cui il certificato di pagamento non sia emesso "per
mancata tempestiva contabilizzazione dei lavori o per
qualsiasi altro motivo attribuibile all'amministrazione
entro i termini di cui al secondo comma del precedente art.
33", l'appaltatore ha diritto agli interessi ivi
previsti, ed al comma 2 disciplina gli interessi dovuti per
il ritardo nell'emissione del titolo di spesa in riferimento
all'emissione del certificato di acconto.
8. Il pagamento in conto, finalizzato ad evitare lunghe
anticipazioni finanziarie a carico dell'appaltatore non è,
dunque,
connesso al semplice trascorrere del tempo stabilito nelle
condizioni contrattuali ma è, piuttosto, volto, in parziale
correttivo del principio della postnumerazione del
corrispettivo
dell'appalto, a ricompensare l'esecuzione della pattuita
entità di
prestazione dell'appaltatore, quale certificata dal DL in
seno allo
stato d'avanzamento lavori.
9. Da tanto, consegue che la
mancata
contabilizzazione dei lavori non può tout court addebitarsi
alla
stazione appaltante, ma intanto rileva come inadempimento
della
stessa, e, dunque, ai fini della spettanza degli interessi
moratori
ex art. 35 del Capitolato OOPP, in quanto il SAL non sia
stato
effettuato per inerzia o per altra ragione addebitabile al DL -la cui
attività è a quella imputabile- pur sussistendone i
presupposti, id
est che l'appaltatore abbia, in concreto, esattamente
adempiuto la pattuita parte della prestazione, in
riferimento alla quale il
pagamento dell'acconto costituisce, appunto, la
controprestazione.
Ne consegue, ancora, che la mancata
redazione
del SAL esula, di per sé, dal disposto di cui all'art. 35
del dPR n.
1063 del 1962, che, con disposizione di stretta
interpretazione
(cfr. in tema di anticipazione, Cass. n. 11297 del 2010),
disciplina
il diritto agli speciali interessi moratori per il, diverso,
caso del
ritardo nel pagamento di ciascuna rata di acconto
(contemplando
separatamente l'ipotesi del ritardo nella emissione del
certificato
di pagamento della rata di acconto e quella del ritardo
nella
emissione del titolo di spesa).
10. Resta da aggiungere che tale conclusione non limita in
alcun modo il diritto dell'appaltatore al conseguimento
degli
interessi moratori -in costanza, beninteso, del menzionato
presupposto- potendo egli far constare la colpevole
omissione del
DL nella contabilizzazione dei lavori mediante l'iscrizione
di
apposita riserva nel registro di contabilità, istituto che,
ai sensi
dell'art. 54 del R.D. n. 350 del 1895, risponde, proprio,
all'esigenza di assicurare la tempestiva e costante evidenza
di tutti
i fattori incidenti sull'andamento dell'appalto e sui suoi
costi, così
da consentire all'Amministrazione di procedere senza ritardo
alle
verifiche necessarie per accertare la fondatezza delle
pretese
dell'appaltatore (in tesi, l'effettiva -e regolare-
esecuzione della
dovuta misura dei lavori) e, al tempo stesso, da assicurare
la
continua evidenza della spesa complessiva (cfr. Cass., Sez.
I, 03.03.2006, n. 4702; 21.07.2004, n. 13500; 01.12.1999, n.
13399).
11. Deve in conclusione affermarsi che, per
l'ipotesi di mancata tempestiva contabilizzazione dei
lavori, gli interessi di cui all'art. 35 del D.P.R. n. 1063
del 1962, competono, secondo la disciplina riassunta al
punto 7., a decorrere dalla data in cui la contabilizzazione
stessa avrebbe dovuto aver luogo non già secondo uno schema
astratto, come pretende la ricorrente (che invoca, a tal
fine, il criterio della media ponderale), ma in relazione al
concreto atteggiarsi dell'appalto stesso, quale risultante
dalle attestazioni contenute nei registri di contabilità
(Corte di Cassazione, Sez. I civile,
sentenza 15.10.2015 n. 20873). |
APPALTI SERVIZI:
Concessione di servizi ex art. 30 del d.lgs. 163/2006.
Modalità di individuazione del nuovo concessionario.
La procedura di scelta del
concessionario, come delineata dall'art. 30, comma 3, del
Codice dei contratti, è caratterizzata dal ricorso ad una
gara informale a cui sono invitati almeno cinque soggetti
(ammesso che sussistano in tale numero soggetti qualificati
in relazione all'oggetto della concessione) con
l'indicazione dei requisiti, che devono essere
predeterminati e resi noti fin dal momento in cui viene
avviata la procedura.
Devono comunque essere rispettati i principi di logicità,
trasparenza, parità di trattamento e non discriminazione tra
i concorrenti, da garantire attraverso l'idonea pubblicità
delle procedure selettive e la valutazione comparativa di
più offerte. Per quanto attiene alle modalità di
pubblicizzazione della gara informale, si può ritenere che
il grado di pubblicità vada commisurato all'entità della
concessione, in relazione alla sua rilevanza economica e,
dunque, adeguato all'importo stimato dell'appalto.
Il Comune, nell'approssimarsi della scadenza del contratto
di concessione relativo al servizio di accertamento,
liquidazione e riscossione dell'imposta sulla pubblicità e
della tassa di occupazione di aree e spazi pubblici, si
accinge a bandire una procedura per l'individuazione del
nuovo concessionario, ai sensi dell'art. 30 del decreto
legislativo 12.04.2006, n. 163, che disciplina la
concessione di servizi. L'Ente chiede quindi un parere con
riferimento alle caratteristiche della procedura da
utilizzare per l'individuazione dei concorrenti da invitare
alla selezione e alle modalità di pubblicizzazione della
gara informale.
L'art. 30, comma 1, del d.lgs. 163/2006, stabilisce che 'Salvo
quanto disposto nel presente articolo, le disposizioni del
codice non si applicano alle concessioni di servizi'; il
successivo comma 3, dispone che 'La scelta del
concessionario deve avvenire nel rispetto dei principi
desumibili dal Trattato e dei principi generali relativi ai
contratti pubblici e, in particolare, dei principi di
trasparenza, adeguata pubblicità, non discriminazione,
parità di trattamento, mutuo riconoscimento,
proporzionalità, previa gara informale a cui sono invitati
almeno cinque concorrenti, se sussistono in tale numero
soggetti qualificati in relazione all'oggetto della
concessione, e con predeterminazione dei criteri selettivi'.
La procedura di scelta del concessionario, come delineata
dall'art. 30, comma 3 del Codice, è quindi caratterizzata:
1) dal ricorso ad una gara informale;
2) dall'invito ad almeno cinque soggetti (ammesso che
sussistano in tale numero soggetti qualificati in relazione
all'oggetto della concessione);
3) dall'indicazione dei requisiti, che devono essere
predeterminati e resi noti fin dal momento in cui viene
avviata la procedura.
Come ripetutamente chiarito dalla giurisprudenza, la gara
informale di cui al citato art. 30, comma 3, consente ampia
discrezionalità da parte dell'amministrazione nella
fissazione delle regole selettive (con possibilità quindi di
prescindere dalle regole interne e comunitarie dell'evidenza
pubblica), fermi restando il rispetto dei principi di
logicità, trasparenza, parità di trattamento e non
discriminazione tra i concorrenti, da garantire attraverso
l'idonea pubblicità delle procedure selettive e la
valutazione comparativa di più offerte; ne derivano una
maggior speditezza e semplificazione procedimentale
[1].
Laddove decidesse di inserire nel bando di gara disposizioni
ulteriori rispetto al contenuto minimo previsto dalla legge,
l'amministrazione aggiudicatrice eserciterebbe un potere
attinente al merito amministrativo [2].
Di conseguenza, nel momento in cui l'amministrazione
individua le regole per la selezione dei partecipanti e i
criteri per l'aggiudicazione (ad esempio attraverso
l'individuazione dell'offerta economicamente più
vantaggiosa), si autolimita rispetto alle prescrizioni di
cui alla norma su riportata. Infatti, alle concessioni di
servizi non si applicano le disposizioni del Codice degli
appalti, salvo quelle espressamente richiamate dall'art. 30
(commi 1 e 7). Pertanto, l'applicazione di norme
codicistiche non direttamente richiamate dall'art. 30
rientra nella facoltà decisionale della stazione appaltante,
la quale può decidere autonomamente di assoggettarvisi
[3].
Con riferimento alle modalità di pubblicizzazione di un
eventuale avviso per manifestazione di interesse, premesso
che non spetta a questo ufficio esprimere valutazioni che
competono esclusivamente ai singoli enti in virtù della
propria autonomia e discrezionalità, si forniscono i
seguenti spunti di riflessione.
Come si è detto, il comma 1 dell'art. 30 dispone, per le
concessioni di servizi, la non applicazione delle
disposizioni codicistiche: ciò significa che non trovano
applicazione nemmeno gli articoli 63 e seguenti, relativi a
bandi, avvisi e inviti; tuttavia, come già rimarcato,
l'affidamento di servizi in concessione deve rispettare i
principi generali relativi ai contratti pubblici, tra i
quali l'adeguata pubblicità e la proporzionalità, al fine di
garantire il più ampio confronto concorrenziale
[4].
In linea di principio, si può ritenere che il grado di
pubblicità va commisurato all'entità della concessione, in
relazione alla sua rilevanza economica e, dunque, adeguato
all'importo stimato dell'appalto [5].
Tuttavia, con riferimento a concessioni di servizi in cui le
amministrazioni aggiudicatrici avevano deciso di avvalersi
della procedura aperta (e quindi autovincolandosi) per la
selezione del concessionario, è dato riscontrare
orientamenti giurisprudenziali divergenti.
Infatti, in alcune pronunce il Consiglio di Stato ha
affermato che per le concessioni ex art. 30 non è richiesta
la pubblicazione del bando in Gazzetta Ufficiale
[6].
Per contro, in altre occasioni i giudici amministrativi
hanno affermato che la pubblicazione del bando all'albo
pretorio dell'amministrazione procedente è strumento
inidoneo a garantire la possibilità di conoscenza alle
imprese che operano nel settore e sono portatrici di un
interesse differenziato e qualificato all'adozione di
adeguate forme di pubblicità della gara allo scopo di
prendervi parte [7].
Dello stesso avviso l'AVCP (ora ANAC), secondo cui: 'Non
rispetta il principio di adeguata pubblicità la
pubblicazione del bando di gara per l'affidamento di una
concessione di servizi mediante procedura aperta sull'albo
pretorio comunale, sul BUR e sui siti internet di alcune
agenzie specializzate accessibili solo da parte di utenti
abbonati, in quanto inidonea a consentire l'effettività
della concorrenza.' [8]
Infine si osserva che, qualora l'amministrazione instante
procedesse alla pubblicazione di un avviso per
manifestazione di interesse a partecipare alla procedura per
l'affidamento della concessione de qua e ricevesse un numero
di richieste di operatori economici inferiore a quello
indicato dall'art. 30, comma 3 [9],
si ritiene che i principi richiamati dallo stesso articolo
siano rispettati nel momento in cui si possa verificare il
confronto fra una pluralità di offerte [10].
---------------
[1] TAR Puglia, Lecce, sez. III, Sent. 1444/2012.
[2] TAR Puglia, Bari, sez. I, Sent. 70/2009.
[3] TAR Veneto, Venezia, Sez. I, sent. 1474/2012.
[4] AVCP, deliberazione n. 47 del 01/05/2011.
[5] TAR Puglia, Lecce, cit.; TAR Liguria, sez. II, Sent.
434/2013; TAR Molise, sez. I, Sent. 677/2008.
[6] Consiglio di Stato, sez. V, Sent. 2709/2011; sez. III,
Sent. 3842/2011.
[7] TAR Puglia, Bari, sez. I, Sent. 995/2005; TAR Lombardia,
Brescia, sez. II, Sent. 1521/2011.
[8] Deliberazione n. 69 del 30/07/2009. Si veda anche la
Deliberazione n. 207 del 21/06/2007, laddove si afferma, con
riferimento alla 'concessione di servizi, ai sensi dell'art.
30 del d.lgs. 12.04.2006, n. 163. [che] È opportuno che le
s.a. adottino comportamenti positivi, cioè misure concrete
volte a instaurare procedure conformi ai principi
fondamentali di trasparenza e libera concorrenza sanciti dal
Trattato CE e dallo stesso d.lgs. 163/2006. È evidente che
nei casi di concessione per i quali la concorrenza sarebbe
suscettibile di esplicarsi prevalentemente a livello locale,
assume maggior interesse, tra le possibili forme di
pubblicità, l'affissione dell'avviso presso la sede della
stazione appaltante e la pubblicazione sui giornali locali.
Diversamente, nel caso di servizi economicamente rilevanti,
dovrebbero essere utilizzate forme di pubblicità più consone
alle specificità dei servizi e degli operatori interessati.'
[9] '...almeno cinque concorrenti, se sussistono in tale
numero soggetti qualificati in relazione all'oggetto della
concessione...'
[10] Si osserva al riguardo che, nel rispetto del principio
di trasparenza, nulla vieta all'amministrazione procedente
di stabilire già nell'avviso che, qualora non venisse
raggiunto il numero minimo di richieste previsto dalla norma
più volte richiamata, è sua facoltà procedere con un numero
di soggetti inferiore a cinque ovvero procedere all'invito
di ulteriori soggetti in possesso dei requisiti richiesti
fino a raggiungere tale numero (14.10.2015 -
link a
www.regione.fvg.it). |
APPALTI: Sindacati
non radicati? L'appalto viene annullato.
Deve essere annullata l'aggiudicazione dell'appalto se
l'offerta dell'impresa nella determinazione degli oneri
contributivi si rifà a contratti collettivi che non
risultano sottoscritti dalle organizzazioni sindacali e
datoriali più radicate nella categoria in cui opera
l'impresa.
È quanto emerge dalla
sentenza
13.10.2015 n. 4699 della III Sez. del Consiglio di
stato.
Anomalia evidente
Devono considerarsi anomale perché troppo basse le offerte
che si discostano in modo evidente dai costi medi del lavoro
indicati nelle tabelle predisposte dal ministero in base ai
valori previsti dalla contrattazione collettiva.
L'offerta
deve, infatti, risultare nel suo complesso affidabile e
conveniente, al momento dell'aggiudicazione, e in quel
momento l'aggiudicatario deve dare garanzia di una seria
esecuzione del contratto. E quando la discordanza dagli
indici standard è forte bisogna dubitare della serietà
dell'offerta.
Nella specie è evidente che l'offerta
presentata dall'azienda è più conveniente per la stazione
appaltante, che ha evidenziato un risparmio di circa 4
milioni di euro per l'intera durata del contratto. Ma questo
non può giustificare le conclusioni raggiunte all'esito del
giudizio di anomalia: l'adeguatezza dell'offerta non può
essere valutata solo sulla sua ritenuta convenienza
economica e prescindendo dai suoi contenuti, ma implica
anche una rigorosa verifica della sua serietà e della sua
legittimità che nella fattispecie non risulta effettuata.
Gli oneri contributivi non sono infatti calcolati rispetto
al Ccnl «giusto».
Spese compensate per la novità della questione
(articolo ItaliaOggi del 10.11.2015).
---------------
MASSIMA
6.- Tutto ciò premesso, considerato che la principale
censura formulata dall’appellante GPI riguarda la ritenuta
anomalia dell’offerta del RTI SDS che aveva presentato
un’offerta economica molto inferiore all’importo della gara
e alle offerte delle altre concorrenti per aver calcolato il
costo del lavoro sulla base di un contratto sottoscritto da
sigle sindacali non rappresentative,
si deve ricordare, in generale, che gli articoli 86 e 87 del
d.lgs. 12.04.2006, n. 163 (Codice dei contratti pubblici),
prevedono che l’Amministrazione, prima di procedere
all’aggiudicazione definitiva, debba effettuare una
valutazione sulla congruità complessiva dell’offerta
ritenuta migliore in presenza di determinati indicatori di
possibile anomalia dell’offerta, e possa procedere ad un
approfondimento sulla possibile anomalia anche in assenza di
tali indicatori.
L’offerta deve, infatti, risultare nel suo complesso
affidabile e conveniente, al momento dell’aggiudicazione, e
in tale momento l’aggiudicatario deve dare garanzia di una
seria esecuzione del contratto
(Consiglio di Stato, Sez. III, n. 1487 del 27.03.2014).
6.1.- In particolare, l’art. 86 del codice dei contratti
pubblici individua, nei commi 1 e 2, distinti indici, a
seconda che il criterio di aggiudicazione sia quello del
prezzo più basso, ovvero, come nella fattispecie, quello
dell’offerta economicamente più vantaggiosa, per
l’individuazione delle offerte che sono sospettate di essere
anomale (cd. indicatori automatici di anomalia). In presenza
di tali indicatori la Stazione appaltante è quindi tenuta ad
attivare una verifica sulla possibile anomalia dell’offerta.
L’art. 86, al comma 3, con una clausola generale valida per
entrambe le ipotesi, stabilisce poi che la stazione
appaltante possa procedere in ogni caso alla valutazione
della congruità di ogni altra offerta che in base ad
elementi specifici appaia anormalmente bassa.
6.2.-
La scelta dell’Amministrazione di attivare in tali casi il
procedimento di verifica dell’anomalia dell’offerta è,
pertanto, ampiamente discrezionale e può, per questo, essere
sindacata davanti al giudice amministrativo solo per
manifesta illogicità o per la presenza di rilevanti errori
di fatto.
6.3.-
L’esercizio di tale facoltà comporta, pertanto, l’apertura
di un subprocedimento in contraddittorio con il concorrente
che ha presentato l’offerta ritenuta a rischio di anomalia,
che può concludersi con un giudizio di anomalia o di non
anomalia dell’offerta. Anche tale giudizio è ampiamente
discrezionale e può essere sindacato, in conseguenza,
davanti al giudice amministrativo solo per manifesta
illogicità o per la presenza di rilevanti errori di fatto.
7.- Tenuto conto del rilievo che in molti contratti ha il
costo del lavoro e tenuto conto delle esigenze di tutela dei
lavoratori, il legislatore ha aggiunto, all’art. 86, con
l’art. 1, comma 909, lettera a) della legge 27.12.2006, n.
296, il comma 3-bis che prevede che gli enti aggiudicatori
verifichino «che il valore economico sia adeguato e
sufficiente rispetto al costo del lavoro … il quale deve
essere specificamente indicato e risultare congruo rispetto
all’entità e alle caratteristiche dei lavori, dei servizi o
delle forniture».
7.1.- Il Ministero del Lavoro è, quindi, incaricato della
predisposizione di apposite tabelle che tengono conto dei
valori economici previsti dalla contrattazione collettiva
stipulata dai sindacati comparativamente più
rappresentativi, delle norme in materia previdenziale e
assistenziale, delle differenti aree territoriali e dei
diversi settori merceologici.
In esito all’istruttoria disposta da questa Sezione, il
Ministero del Lavoro ha fornito ampi ragguagli sulle
modalità con le quali in concreto tale funzione è
esercitata.
8.- Per effetto di tale ultima disposizione
il costo del lavoro è ritenuto indice di anomalia
dell’offerta quando non risultino rispettati i livelli
salariali che la normativa vigente –anche a base pattizia–
rende obbligatori.
Una determinazione complessiva dei costi basata su un costo
del lavoro inferiore ai livelli economici minimi fissati
normativamente (o in sede di contrattazione collettiva) per
i lavoratori del settore può costituire, infatti, indice di
inattendibilità economica dell’offerta e di lesione del
principio della par condicio dei concorrenti ed è fonte di
pregiudizio per le altre imprese partecipanti alla gara che
abbiano correttamente valutato i costi delle retribuzioni da
erogare.
8.1.- La giurisprudenza, anche di questa Sezione, ha
peraltro precisato che
una anomalia dell’offerta non può essere automaticamente
desunta dal mancato rispetto delle tabelle ministeriali,
richiamate dall’art. 87, comma 2, lett. g), del codice dei
contratti pubblici, considerato che i costi medi del lavoro,
indicati nelle tabelle predisposte dal Ministero del Lavoro,
in base ai valori previsti dalla contrattazione collettiva,
non costituiscono parametri inderogabili ma sono indici del
giudizio di adeguatezza dell'offerta che costituiscono
oggetto della valutazione dell’Amministrazione
(Consiglio di Stato, sez. III, n. 1743 del 02.04.2015).
8.2.- Si è quindi affermato che
devono considerarsi anormalmente basse le offerte che si
discostino in modo evidente dai costi medi del lavoro
indicati nelle tabelle predisposte dal Ministero del Lavoro
in base ai valori previsti dalla contrattazione collettiva,
con la conseguenza che può ritenersi ammissibile un'offerta
che da essi si discosti, purché lo scostamento non sia
eccessivo e vengano salvaguardate le retribuzioni dei
lavoratori, così come stabilito in sede di contrattazione
collettiva.
Mentre occorre, perché possa dubitarsi della congruità
dell’offerta, che la discordanza sia considerevole ed
ingiustificata
(Consiglio di Stato, sez. III, n. 3329 del 03.07.2015).
8.3.- Si è ulteriormente chiarito che
non possono non essere considerati, in sede di valutazione
delle offerte, aspetti particolari ed elementi che possono
variare da azienda ad azienda. Ai fini di una valutazione
sulla congruità dell’offerta, la stazione appaltante deve,
pertanto, tenere conto anche delle possibili economie che le
diverse singole imprese possono conseguire (ed anche con
riferimento al costo del lavoro), nel rispetto delle
disposizioni di legge e dei contratti collettivi
(Consiglio di Stato, sez. III, n. 1743 del 02.04.2015 cit.).
9.- Nella fattispecie, come emerge dagli atti, l’Azienda
Ospedaliera, aveva rilevato che fra la proposta formulata
dal RTI SDS, che aveva offerto uno sconto del 29,30 sulla
base d’asta, e gli altri concorrenti vi era un evidente
scostamento. Pur non ricorrendo la fattispecie prevista
dall’art. 86, comma 2, del codice dei contratti pubblici,
con la deliberazione n. 776 del 22.07.2014, ha quindi
ritenuto «opportuno valutare l’eventuale anomalia
dell’offerta ai sensi del comma 3 del medesimo art. 86 del
D. Lgs. 163/2006».
Con la stessa delibera l’Amministrazione ha quindi
individuato la Commissione prevista dall’art. 88, comma
1-bis, del codice dei contratti pubblici.
9.1.- Il RUP, nominato Presidente della Commissione, ha, in
conseguenza, invitato il concorrente a fornire le relative
giustificazioni, con particolare riferimento ai costi del
personale indicati nell’offerta.
9.2.- Nella seduta del 28.08.2014, la Commissione, viste le
giustificazioni trasmesse, ha ritenuto di dover approfondire
«l’aspetto riguardante le tabelle riportanti il costo
medio orario relativo ai contratti collettivi di lavoro
applicati dal RTI». La Commissione ha pertanto deciso di
verificare, presso il CNAI, la disponibilità di un documento
ufficiale con il costo del lavoro del settore terziario
relativo al contratto applicato dal RTI SDS, e di
richiedere, allo stesso RTI, un documento ufficiale con la
tabella del costo orario totale per il 4° e 5° livello (CNAI
Terziario).
La Commissione ha poi anche deciso di acquisire da un
professionista del settore un parere «in merito alla
correttezza della “Tabella costo orario totale 4° e 5°
livello (CNAI Terziario)” prodotta dal concorrente».
9.3.- Nella successiva seduta del 09.09.2014, la
Commissione, vista la risposta del RTI SDS, in data
05.09.2014 (con allegata una certificazione rilasciata dallo
studio di consulenza commerciale De Pace Francesco, revisore
legale), vista la nota del CNAI del 02.09.2014 e viste le
note trasmesse, in data 3 e 05.09.2014, dal rag. Ma.Sa.,
revisore ufficiale dei conti, esperto contabile ed iscritto
all’Ordine dei dottori commercialisti e degli esperti
contabili, ha ritenuto che «l’offerta formulata dal
concorrente non sia affetta da anomalia» (verbale n. 2
del 9 settembre 2014).
10.- Considerato che la Commissione non ha esplicitato, con
una propria motivazione, le ragioni del suo convincimento,
si deve evidenziare che il RTI SDS aveva chiarito, con nota
del 05.09.2014, che il contratto collettivo nazionale
applicato era il CCNL CNAI, settore Terziario e Servizi,
regolarmente depositato presso il Consiglio Nazionale
dell’Economia e del Lavoro (CNEL), sul cui sito era
reperibile.
Il RTI SDS, dopo aver ricordato che per il detto CCNL non
esistono tabelle ufficiali di determinazione del costo
orario del lavoro, ha evidenziato che nel contratto sono
però espressamente riportate le tabelle retributive sulla
base delle quali, tenendo conto dell’incidenza degli altri
elementi retributivi e degli oneri previdenziali,
assicurativi, fiscali e assistenziali e delle ore di
effettivo lavoro (per le ferie, permessi ed assenze), ha
potuto determinare il costo orario aziendale.
Con successiva nota, sempre in data 05.09.2014, il RTI SDS
ha meglio precisato le modalità di determinazione del totale
delle ore annuali lavorate (1.821), calcolate sulla base
delle ore di ferie annuali (160), delle ore di permessi
annuali (16), delle ore annuali per festività (72) e
dell’incidenza delle altre ore non lavorate per malattie e
varie (19).
10.1.- La Commissione ha poi tenuto conto delle osservazioni
fatte pervenire dal rag. Ma.Sa., revisore ufficiale dei
conti, esperto contabile ed iscritto all’Ordine dei dottori
commercialisti e degli esperti contabili, che, con nota del
03.09.2014, ha affermato che il costo paga base utilizzato
dagli iscritti CNAI è inferiore (nella misura poi meglio
specificata) a quello utilizzato dalle tabelle del contratto
collettivo della Confcommercio e prevede contributi per il “Fondo
Est” in misura inferiore a quelli previsti per il fondo
“Enmoa”.
Il rag. Ma.Sa. ha poi aggiunto che il contratto collettivo
della Confcommercio prevede anche la quattordicesima
mensilità, mentre il contratto CNAI esprime i valori in 13
mensilità.
Il rag. Sa. ha inoltre precisato che i conteggi INPS e INAIL
erano corretti (benché il conteggio INAIL evidenziasse
l’aliquota più bassa e con minima copertura rischi, da
verificare con una analisi del rischio infortuni reale) e
che il conteggio IRAP presentava una differenza poco
significativa.
10.2.- A seguito di richiesta del RUP di ulteriori
chiarimenti sul totale delle ore lavorate, pari (per il RTI
SDS) a 1821, il rag. Sa., con successiva mail del
05.09.2014, ha aggiunto che per il contratto Confcommercio
il totale delle ore lavorate era pari a 1720 annue.
11.- Così ricostruito il quadro normativo e fattuale e
tenuto conto delle risultanze dell’istruttoria compiuta, la
Sezione ritiene che il giudizio di anomalia condotto
dall’Azienda Ospedaliera e la conseguente aggiudicazione
della gara al RTI SDS non possano ritenersi esenti dalle
censure sollevate da GPI.
L’Azienda Ospedaliera ha, infatti, ritenuto congrua ed
affidabile un’offerta che prevedeva un ribasso di quasi il
30% sull’importo a base d’asta (notevolmente superiore al
ribasso offerto dalle altre imprese partecipanti alla gara),
per effetto dell’applicazione di un contratto collettivo che
prevede livelli retributivi decisamente inferiori rispetto a
quelli previsti dalle tabelle ministeriali di riferimento e
che risulta stipulato da associazioni non comparativamente
più rappresentative, come accertato all’esito
dell’istruttoria disposta da questa Sezione, nell’ambito di
un settore che è regolato dalla contrattazione collettiva e
nel quale sono presenti contratti, stipulati da soggetti
sindacali comparativamente maggiormente rappresentativi, che
sono stati tenuti in considerazione dalle tabelle
ministeriali di riferimento.
12.- In proposito, si deve, innanzitutto, evidenziare che,
come ha rilevato il Ministero del Lavoro all’esito di
un’accurata istruttoria, il CCNL CNAI, utilizzato dal RTI
SDS nella sua offerta, non può considerarsi siglato da
rappresentanze sindacali (dei datori di lavoro e dei
lavoratori) comparativamente più rappresentative (pagine 6
ed 8 della Relazione istruttoria).
12.1.- Tale (rilevante) circostanza non è stata peraltro
oggetto di una particolare attenzione nel giudizio di
anomalia effettuato dall’Azienda Ospedaliera resistente (e
non è stata nemmeno considerata dal TAR che ha ritenuto che
incombesse alla ricorrente GPI fornire la prova di tale
elemento).
Mentre tale circostanza doveva essere oggetto di particolare
attenzione nel giudizio di anomalia tenuto conto che, come
si è già prima ricordato,
l’art. 86, comma 3-bis, del Codice dei contratti pubblici
non solo prevede che, nella predisposizione delle gare di
appalto e nella valutazione dell'anomalia delle offerte, gli
enti aggiudicatori siano tenuti a verificare che il valore
economico dell’offerta sia adeguato e sufficiente rispetto
al costo del lavoro (e al costo relativo alla sicurezza), ma
stabilisce anche che il parametro di valutazione del costo
del lavoro è costituito dalle apposite tabelle redatte
periodicamente dal Ministro del lavoro «sulla base dei
valori economici previsti dalla contrattazione collettiva
stipulata dai sindacati comparativamente più
rappresentativi, delle norme in materia previdenziale ed
assistenziale, dei diversi settori merceologici e delle
differenti aree territoriali».
13. Nella fattispecie, mancando il giudizio di non anomalia
dell’offerta del RTI SDS di ogni motivazione, si può
ritenere, dall’esame degli atti sui quali il giudizio è
stato formulato, che l’Azienda Ospedaliera, in base agli
atti acquisiti e ai chiarimenti forniti dal proprio
consulente, ha ritenuto sufficiente rilevare che il
contratto CNAI, utilizzato dal RTI SDS, era esistente e
valido, perché depositato presso il CNEL, e che, quindi,
l’offerta presentata era congrua anche perché faceva
applicazione di tale contratto (pur avendo l’istruttoria
evidenziato differenze nel trattamento retributivo dei
lavoratori, non irrilevanti).
13.1.- Ma
tale giudizio non può ritenersi legittimo non essendo stata
fatta, come si è potuto accertare, alcuna concreta
valutazione sull’effettiva possibile applicazione in una
gara pubblica del contratto CNAI, sottoscritto da sigle
sindacali non maggiormente rappresentative, ed essendo
mancata anche un’effettiva comparazione dei costi indicati e
delle ore di lavoro stimate con le tabelle ministeriali
predisposte per il settore in questione, essendosi il rag.
Sa. limitato ad effettuare alcune comparazioni con il
contratto collettivo nazionale “Confcommercio”.
14.- Secondo l’Azienda Ospedaliera (e il resistente RTI SDS)
in Italia il datore di lavoro può peraltro liberamente
scegliere il CCNL da applicare ai rapporti di lavoro. Ed è
rispetto al contratto collettivo prescelto che può essere
condotto il giudizio di adeguatezza e sufficienza della
retribuzione e quindi può essere valutata la possibile
anomalia dell’offerta.
Ma, sebbene il contratto CNAI non possa ritenersi invalido,
come pure ha affermato l’appellante, tenuto conto che non vi
sono norme che ne prevedono espressamente la nullità o
l’inefficacia, è però evidente che il
vigente sistema normativo pone come parametro di
riferimento, per la valutazione della congruità degli oneri
per il lavoro del personale impiegato negli appalti
pubblici, i costi determinati dalle tabelle predisposte dal
Ministro del lavoro. E tali tabelle hanno come esclusivo
riferimento i valori economici previsti dalla contrattazione
collettiva stipulata dai sindacati comparativamente più
rappresentativi di entrambe le parti che lo sottoscrivono.
14.1.-
Il possibile utilizzo, nel settore pubblico, di contratti
collettivi di lavoro stipulati da sigle sindacali che non
hanno il sufficiente grado di rappresentatività (e che per
questo non sono considerati nella determinazione delle
citate tabelle ministeriali) costituisce pertanto
un’evidente anomalia del sistema.
15.- Peraltro, come anche il TAR ha evidenziato,
se si ammettono senza riserve offerte che sono formulate
facendo applicazione di costi del lavoro molto più
contenuti, oggetto di contratti collettivi di lavoro
sottoscritti da sindacati non adeguatamente rappresentativi,
si determinano pratiche di dumping sociale perché
solo alcune imprese possono beneficiare di disposizioni che
giustificano un costo del lavoro inferiore.
Peraltro le altre aziende di quel settore, per essere
competitive e non essere estromesse dal mercato, soprattutto
in gare cd. labour intensive nelle quali è decisivo
il costo del lavoro, sarebbero costrette poi ad utilizzare
quegli stessi contratti collettivi che, anche se non
sottoscritti da rappresentanze dei sindacati maggiormente
rappresentativi, offrono trattamenti retributivi inferiori,
con una evidente alterazione del sistema.
15.1.-
Senza contare che in tal modo i lavoratori potrebbero
vedersi applicate, in modo sostanzialmente unilaterale,
condizioni di lavoro stabilite da sigle sindacali a loro del
tutto sconosciute.
15.2.- Peraltro,
considerato che in gare come quella in questione è previsto
il passaggio dei lavoratori già occupati da un datore di
lavoro ad un altro (art. 13 del bando), per la presenza
della cd. clausola sociale, se si ammettono senza riserve
offerte formulate facendo applicazione di costi del lavoro
molto più contenuti, oggetto di contratti collettivi di
lavoro sottoscritti da sindacati non adeguatamente
rappresentativi, la competizione fra le imprese partecipanti
alla gara si svolgerebbe non sulla base di una migliore o
diversa articolazione del lavoro (e quindi sulle base di
caratteristiche proprie dell’impresa) ma in base ai diversi
costi del lavoro determinati dall’applicazione di diversi
contratti collettivi anche eventualmente sottoscritti da
sindacati non adeguatamente rappresentativi.
15.3.-
Ciò conferma la necessità che il costo del lavoro debba
avere come parametro di riferimento quello stabilito dalle
tabelle ministeriali del settore interessato che sono
calcolate sulla base della contrattazione collettiva
stipulata dai sindacati comparativamente più
rappresentativi.
16.- Sebbene, come ha sottolineato nella sua memoria
l’Azienda Ospedaliera resistente, la lex specialis di
gara non prescriveva, nella fattispecie, alcun obbligo per i
concorrenti di applicare al proprio personale un determinato
contratto collettivo, non può tuttavia convenirsi
sull’affermazione della stessa Azienda secondo la quale, in
conseguenza, era liberamente applicabile da parte del RTI
SDS il contratto CNAI.
16.1.- Il giudizio di anomalia avrebbe dovuto essere,
invece, particolarmente rigoroso perché il settore è
regolato da contratti collettivi nazionali di lavoro
stipulati da soggetti sindacali comparativamente
maggiormente rappresentativi, come è stato confermato
dall’istruttoria disposta da questa Sezione, e perché il
contratto CNAI non rientra fra quelli stipulati da soggetti
sindacali comparativamente maggiormente rappresentativi.
Mentre la procedura di verifica di anomalia condotta
dall’Azienda Ospedaliera ha permesso al RTI SDS di
giustificare i propri costi del lavoro sulla base di un CCNL
che, in virtù del chiaro disposto dell'art. 86, comma 3,
cit., non poteva essere impiegato come valido parametro di
riferimento e che presentava poi, come si è accertato,
diversi non irrilevanti scostamenti rispetto ai legittimi
parametri indicati.
17.-
E’ vero che, come si è prima ricordato, le tabelle
ministeriali, secondo la giurisprudenza amministrativa,
costituiscono solo un parametro di riferimento nella
valutazione di una possibile anomalia dell’offerta. Ma una
possibile differenza del costo del lavoro determinato (in
concreto) nell’offerta dal costo indicato nelle tabelle
ministeriali può essere giustificata dalle diverse
particolari situazioni aziendali e territoriali e dalla
capacità organizzativa dell’impresa che possono rendere
possibile, in determinati contesti particolarmente virtuosi,
anche una riduzione dei costi del lavoro.
Come si è già in precedenza ricordato, questa Sezione ha
affermato in proposito che
i costi indicati nelle tabelle ministeriali sono costi medi,
tipologici, e non possono non essere considerati, in sede di
valutazione delle offerte, aspetti che riguardano le singole
imprese (diverse per natura, caratteristiche, agevolazioni e
sgravi fiscali ottenibili). In conseguenza, ai fini della
valutazione della migliore offerta, si può tenere conto
anche delle possibili economie che le singole imprese
possono conseguire (anche con riferimento al costo del
lavoro), nel rispetto delle disposizioni di legge e dei
contratti collettivi
(Consiglio di Stato, Sez. III, n. 1743 del 02.04.2015,
cit.).
17.1.-
La ritenuta possibile presentazione di offerte da parte di
imprese che affermano di utilizzare contratti collettivi che
non rientrano fra quelli stipulati da associazioni
maggiormente rappresentative risulta, invece, del tutto
estranea alle suddette valutazioni riguardanti le specifiche
caratteristiche dell’attività di impresa.
18.- Il resistente RTI SDS, nella sua memoria conclusiva, ha
sostenuto che anche la Corte Costituzionale, nella recente
sentenza n. 51 del 2015, ha ribadito il principio che i
contratti collettivi stipulati dalle organizzazioni
sindacali comparativamente più rappresentative non hanno
efficacia erga omnes.
Ma se è vero che in tale sentenza la Corte ha affermato che
la censurata disposizione riguardante i soci lavoratori di
società cooperative (art. 7, comma 4, del d.l. n. 248 del
2007) non assegnava ai contratti collettivi stipulati dalle
organizzazioni sindacali comparativamente più
rappresentative efficacia erga omnes, in contrasto
con quanto statuito dall’art. 39 della Costituzione, la
stessa Corte ha poi affermato, dichiarando non fondata la
questione sollevata, che l’indicata disposizione,
nell’effettuare un rinvio alla fonte collettiva che, meglio
di altre, recepisce l’andamento delle dinamiche retributive
nei settori in cui operano le società cooperative, «si
propone di contrastare forme di competizione salariale al
ribasso, in linea con l’indirizzo giurisprudenziale che, da
tempo, ritiene conforme ai requisiti della proporzionalità e
della sufficienza (art. 36 Cost.) la retribuzione concordata
nei contratti collettivi di lavoro firmati da associazioni
comparativamente più rappresentative».
Tali conclusioni sono del tutto coerenti con quanto ritenuto
dalla Sezione nel caso in esame.
19.- Si deve poi anche considerare che, come ha evidenziato
nelle sue memorie la FILCAMS CGIL, l’art. 1 del d.l. n. 338
del 09.10.1989 (Disposizioni urgenti in materia di evasione
contributiva, di fiscalizzazione degli oneri sociali, di
sgravi contributivi nel Mezzogiorno e di finanziamento dei
patronati), convertito in legge, con modificazioni,
dall'art. 1, comma 1, della legge 07.12.1989, n. 389, ha
previsto, al comma 1, che «la
retribuzione da assumere come base per il calcolo dei
contributi di previdenza e di assistenza sociale non può
essere inferiore all'importo delle retribuzioni stabilito da
leggi, regolamenti, contratti collettivi, stipulati dalle
organizzazioni sindacali più rappresentative su base
nazionale, ovvero da accordi collettivi o contratti
individuali, qualora ne derivi una retribuzione di importo
superiore a quello previsto dal contratto collettivo».
L’art. 2, comma 25, della legge n. 549 del 28.12.1995, ha
poi precisato che il predetto articolo 1 del decreto-legge
09.10.1989, n. 338, si interpreta nel senso che, in caso di
pluralità di contratti collettivi intervenuti per la
medesima categoria, la retribuzione da assumere come base
per il calcolo dei contributi previdenziali ed assistenziali
è quella stabilita dai contratti collettivi stipulati dalle
organizzazioni sindacali dei lavoratori e dei datori di
lavoro comparativamente più rappresentative nella categoria.
Il legislatore ha, quindi, stabilito che i contratti
collettivi da considerare, per la determinazione degli oneri
contributivi, nel rispetto dell’art. 36 della Costituzione,
sono quelli sottoscritti dai sindacati dei lavoratori e dei
datori di lavoro comparativamente più rappresentativi nella
categoria, su base nazionale.
20.- Si deve poi aggiungere che il giudizio di non anomalia
effettuato dall’Azienda Ospedaliera resistente, come è
emerso dall’istruttoria compiuta, non può considerarsi
legittimo anche perché non irrilevanti (perché superiori al
6,5%) sono gli scostamenti dei livelli retributivi
considerati nelle tabelle ministeriali e il CCNL CNAI.
21.- Non può pertanto essere condivisa la sentenza appellata
che, nell’erroneo presupposto della non dimostrata carenza
di rappresentatività delle organizzazioni sindacali che
hanno sottoscritto il contratto CNAI, ha ritenuto non
viziato il giudizio di adeguatezza dell’offerta del RTI SDS.
22.- Del resto
se pure l’offerta del RTI SDS è chiaramente più conveniente
per l’Azienda Ospedaliera resistente, che ha evidenziato un
risparmio di circa 4 milioni di euro per l’intera durata del
contratto, tuttavia tale circostanza non può giustificare le
conclusioni raggiunte all’esito del giudizio di anomalia,
tenuto conto l’adeguatezza dell’offerta non può essere
valutata solo sulla sua ritenuta convenienza economica e
prescindendo dai suoi contenuti, ma implica anche una
rigorosa verifica della sua serietà e della sua legittimità
che, nella fattispecie, per i motivi esposti, non risulta
effettuata.
23.- In conclusione, per tutti gli esposti motivi, l’appello
deve essere accolto e,
in integrale riforma dell’appellata sentenza del TAR per la
Lombardia, Sezione staccata di Brescia, Sezione II, n. 1470
del 31.12.2014, deve essere annullato il giudizio di non
anomalia effettuato dall’Azienda Ospedaliera resistente
sull’offerta presentata dal RTI SDS e la conseguente
aggiudicazione allo stesso RTI della gara in questione.
Sono fatti salvi i successivi provvedimenti
dell’Amministrazione.
23.1.- Ai sensi degli articoli 121 e 122 del c.p.a., il
contratto eventualmente nelle more sottoscritto dall’Azienda
Ospedaliera con il RTI SDS deve ritenersi inefficace a
decorrere dal termine di 90 giorni dalla data della notifica
o comunicazione in via amministrativa, se anteriore, della
presente decisione. |
APPALTI:
Azienda in gara se la banca sbaglia.
Occhio alle banche: si rischia di restare fuori
dall'appalto. L'impresa si ritrova senza Durc perché manca
all'appello una tranche di contributi previdenziali e l'ente
non può attestare la regolarità nei versamenti.
L'azienda
aggiudicataria subito ne approfitta tentando di impedire che
si possa riaprire la procedura. E invece no: perché
l'importo mancante risulta esiguo e soprattutto l'errore è
addebitabile all'istituto di credito delegato che ha
sbagliato il bonifico. Insomma: scatta lo stop
all'attribuzione dei lavori con la vittoria nella causa
dell'azienda che era a rischio esclusione.
È quanto emerge dalla
sentenza
09.10.2015 n. 2178, pubblicata dal TAR
Campania-Salerno, Sez. I.
Errore di esecuzione
Niente da fare per il ricorso incidentale dell'azienda
controinteressata. Bocciata la censura secondo cui non
avrebbe rilievo la regolarizzazione cui nel frattempo è
giunto il competitor. E ciò perché secondo l'impresa
vincitrice il pagamento successivo non vale a sanare la
precedente dichiarazione falsa che farebbe scattare
automaticamente l'esclusione della concorrente.
In realtà nel caso specifico l'espulsione dalla procedura
scatta ai sensi dell'articolo 38, comma 1, lettera i), del
decreto legislativo 163/2006, che tuttavia richiede «violazioni
gravi, definitivamente accertate, alle norme in materia di
contributi previdenziali e assistenziali».
Ma la cassa previdenziale conferma: i contributi non versati
ammontano a soli 110 euro e le norme applicabili alla
fattispecie chiudono un occhio sugli scostamenti contenuti.
Lo sbaglio addebitabile alla banca fa il resto. Insomma:
gara tutta da rifare
(articolo ItaliaOggi del
07.01.2016).
----------------
MASSIMA
- Vista la censura incidentale con la quale viene
dedotto che, alla data (22.7.2014) di sottoscrizione della
dichiarazione di regolarità contributiva, l’impresa
ricorrente non era in possesso del suddetto requisito, come
emerge dal DURC acquisito d’ufficio e rilasciato in data
09.01.2015, non assumendo rilievo la procedura di
regolarizzazione postuma da essa attuata, sia perché il
pagamento successivo non vale a sanare la mendacità della
dichiarazione, sia perché la carenza originaria del
requisito è causa originaria ed automatica di esclusione;
- Ritenuta l’infondatezza della censura incidentale
suindicata;
- Premesso che la causa di esclusione di cui si tratta è
integrata, ai sensi dell’art. 38, comma 1, lett. i), d.lvo
n. 163/2006, dalla commissione di “violazioni gravi,
definitivamente accertate, alle norme in materia di
contributi previdenziali e assistenziali”;
- Ritenuto in particolare che non sia ravvisabile il
presupposto della “gravità” della violazione, alla
luce dell’importo del versamento non eseguito e delle
circostanze della violazione;
- Evidenziato, quanto al primo aspetto, che l’omesso
versamento ha ad oggetto l’importo di soli € 110 (cfr. nota
della Cassa Edile di Como e Lecco del 17.11.2014, allegata
alla memoria di parte ricorrente del 05.05.2015), quanto al
secondo, che la parte ricorrente ha dimostrato che la
violazione è derivata dall’errore di esecuzione del bonifico
disposto in data 30.06.2014 imputabile alla banca delegata
(cfr. dichiarazione del Banco Popolare del 20.01.2015,
ordine di bonifico del 30.06.2015 –recte 30.06.2014–
e distinta di bonifico del 30.06.2014);
- Rilevato inoltre che, ai sensi dell’art.
38, comma 2, quarto periodo, d.lvo n. 163/2006, “si
intendono gravi le violazioni ostative al rilascio del
documento unico di regolarità contributiva di cui
all'articolo 2, comma 2, del decreto-legge 25.09.2002, n.
210, convertito, con modificazioni, dalla legge 22.11.2002,
n. 266”;
- Visto a tal fine l’art. 8, comma 3, d.m. 24.10.2007,
vigente ratione temporis, ai sensi del quale “ai
soli fini della partecipazione a gare di appalto non osta al
rilascio del DURC uno scostamento non grave tra le somme
dovute e quelle versate, con riferimento a ciascun Istituto
previdenziale ed a ciascuna Cassa edile”;
- Rilevato che la parte ricorrente incidentale non dimostra
il carattere grave della contestata omissione, alla luce
della disposizione appena citata, mentre l’importo della
stessa induce a presumere, come già rilevato, l’assenza del
suddetto requisito, indispensabile al fine di giustificare
l’espulsione dalla gara dell’impresa irregolare;
- Ritenuto quindi che il ricorso incidentale debba essere
respinto, siccome infondato; |
APPALTI:
Gare, no all'esclusione automatica senza il
Passoe.
La mancata inclusione del Passoe nell'offerta non comporta
l'esclusione automatica dalla gara.
È quanto afferma l'Autorità nazionale anticorruzione con il
parere di precontenzioso n. 165 del 07/10/2015 - rif. PREC
32/15/L con
riguardo al cosiddetto «Passoe», ossia al codice «Pass
operatore economico» da rilasciare da parte del sistema Avcpass, oggi gestito dall'Autorità nazionale
anticorruzione, ma che in futuro dovrebbe rientrare nelle
competenze del ministero delle infrastrutture, secondo
quanto prevede il testo attuale del disegno di legge delega
sugli appalti all'esame dell'aula della camera.
Nella fattispecie oggetto del parere una stazione appaltante
aveva bandito una gara senza specificare nel bando di gara
l'obbligo per i concorrenti di inserimento, tra la
documentazione da presentare a corredo dell'offerta, del
documento Passoe. Si trattava quindi di decidere se fosse
conforme alla normativa di settore l'ammissione alla
procedura di tutti i concorrenti che non avevano prodotto il
documento Passoe.
Il sistema di verifica dei requisiti (Avcpass)
prevede, ai sensi di quanto stabilito dalla deliberazione
dell'Autorita n. 111 del 20.12.2012 (poi modificata
l'08.05. e il 05.06.2013) che ogni concorrente, tramite
il sistema informativo, sia in possesso di un «Passoe» da
inserire nella busta contenente la documentazione
amministrativa.
L'Anac ha chiarito che la mancata inclusione
del documento Passoe nella busta contenente la
documentazione amministrativa, non può costituire causa di
esclusione e quindi ha nella sostanza affermato che se una
stazione non richiede la produzione del Passoe la gara è
valida e i concorrenti non possono essere esclusi. Da ciò si
deduce quindi che è consentito alla stazione appaltante
verificare i requisiti autodichiarati dai concorrenti
attraverso la successiva produzione materiale dei documenti
a comprova dei requisiti stessi.
Il punto della questione è
infatti che il sistema Avcpass non sembra funzionare a
dovere al punto che la stessa Anac ha dovuto chiarire che,
per quanto riguarda il Durc (per comprova del requisito
della regolarità contributiva) va chiesto direttamente
all'Inps, implicitamente considerando l'Avcpass un sistema
di verifica non esclusivo.
D'altro canto la stessa
giurisprudenza amministrativa aveva legittimato
l'annullamento di una gara per malfunzionamento del sistema Avcpass
(articolo ItaliaOggi del
31.10.2015). |
APPALTI:
Il procedimento di verifica dell'anomalia mira ad
accertare in concreto che l'offerta, nel suo complesso, sia
attendibile ed affidabile in relazione alla corretta
esecuzione dell'appalto.
---------------
Principi sul giudizio di anomalia dell'offerta. Il nuovo
gestore deve impegnarsi ad assumere i dipendenti del gestore
uscente, precedentemente addetti al servizio di
distribuzione del gas, ma non anche obbligarsi ad assegnarli
allo specifico servizio oggetto di gara.
Il procedimento di verifica dell'anomalia non ha carattere
sanzionatorio e non ha per oggetto la ricerca di specifiche
e singole inesattezze dell'offerta economica, mirando
piuttosto ad accertare in concreto che l'offerta, nel suo
complesso, sia attendibile ed affidabile in relazione alla
corretta esecuzione dell'appalto.
Detto procedimento, dunque, risulta di per sé avulso da ogni
formalismo, essendo improntato alla massima collaborazione
tra Amministrazione appaltante e offerente, ponendosi quale
mezzo indispensabile per l'effettiva instaurazione del
contraddittorio ed il concreto apprezzamento
dell'adeguatezza dell'offerta, in modo da garantire e
tutelare l'interesse pubblico concretamente perseguito
dall'amministrazione, attraverso la procedura di gara, e
consistente nell'effettiva scelta del miglior contraente
possibile ai fini dell'esecuzione dell'appalto.
La legittimità del procedimento di verifica postula, dunque,
quale suo elemento costitutivo e caratterizzante,
l'effettività del contraddittorio (tra Amministrazione
appaltante ed offerente), di cui costituiscono necessari
corollari, l'assenza di preclusioni alla presentazione di
giustificazioni, ancorate al momento della scadenza del
termine di presentazione delle offerte e l'immodificabilità
dell'offerta.
Nelle procedure per l'aggiudicazione di appalti pubblici
l'esame delle giustificazioni presentate dal soggetto che è
tenuto a dimostrare la non anomalia dell'offerta è vicenda
che rientra nella discrezionalità tecnica
dell'Amministrazione, per cui soltanto in caso di
macroscopiche illogicità, vale a dire di errori di
valutazione evidenti e gravi, oppure di valutazioni abnormi
o affette da errori di fatto, il giudice della legittimità
può intervenire, restando per il resto la capacità di
giudizio confinata entro i limiti dell'apprezzamento tecnico
proprio di tale tipo di discrezionalità.
La giurisprudenza è altresì saldamente orientata nel senso
che, nel caso di ricorso proposto avverso il giudizio di
anomalia dell'offerta presentata in una pubblica gara, il
g.a. possa sindacare le valutazioni compiute
dall'Amministrazione sotto il profilo della loro logicità e
ragionevolezza e della congruità dell'istruttoria, mentre
non possa invece operare autonomamente la verifica della
congruità dell'offerta presentata e delle sue singole voci,
sovrapponendo così la sua idea tecnica al giudizio -non
erroneo né illogico- formulato dall'organo amministrativo
cui la legge attribuisce la tutela dell'interesse pubblico
nell'apprezzamento del caso concreto, poiché, così facendo,
il Giudice invaderebbe una sfera propria della P.A..
Inoltre, il giudizio di anomalia postula una motivazione
rigorosa ed analitica ove si concluda in senso sfavorevole
all'offerente, mentre non si richiede, di contro, una
motivazione analitica nell'ipotesi di esito positivo della
verifica di anomalia, nel qual caso è sufficiente motivare
per relationem con riferimento alle giustificazioni
presentate dal concorrente (sempre che a loro volta
adeguate).
Di conseguenza, in questa seconda evenienza incombe su chi
contesti l'aggiudicazione l'onere di individuare gli
specifici elementi da cui il g.a. possa evincere che la
valutazione tecnico-discrezionale dell'Amministrazione sia
stata manifestamente irragionevole, ovvero basata su fatti
erronei o travisati. Infine, il giudizio di verifica della
congruità di un'offerta potenzialmente anomala ha natura
globale e sintetica, vertendo sulla serietà o meno
dell'offerta nel suo insieme.
L'attendibilità della offerta va cioè valutata nel suo
complesso, e non con riferimento alle singole voci di prezzo
ritenute incongrue, avulse dall'incidenza che potrebbero
avere sull'offerta economica nel suo insieme: questo ferma
restando la possibile rilevanza del giudizio di
inattendibilità che dovesse investire voci che, per la loro
importanza ed incidenza complessiva, rendano l'intera
operazione economica implausibile e, per l'effetto,
insuscettibile di accettazione da parte
dell'Amministrazione, in quanto insidiata da indici
strutturali di carente affidabilità.
---------------
La clausola sociale va interpretata nel senso che
l'appaltatore subentrante deve prioritariamente assumere gli
stessi addetti che operavano alle dipendenze
dell'appaltatore uscente, a condizione che il loro numero e
la loro qualifica siano armonizzabili con l'organizzazione
d'impresa prescelta dall'imprenditore subentrante.
I lavoratori che non trovano spazio nell'organigramma
dell'appaltatore subentrante e che non vengano ulteriormente
impiegati dall'appaltatore uscente in altri settori, sono
destinatari delle misure legislative in materia di
ammortizzatori sociali. Nel caso in cui la c.d. "clausola
sociale" sia stata richiamata espressamente dal bando,
essa assume portata cogente, sia per gli offerenti che per
l'Amministrazione.
Ciò implica che l'offerente non può obliarne la portata
riducendo ad libitum il numero di unità impiegate
nell'appalto cui rapportare il servizio; ovvero, a tutto
concedere, potrebbe così operare, chiarendo però il formale
rispetto della detta prescrizione, richiamando la "flessibilità"
affermata dal diritto vivente, e disponendo che le unità
assunte vadano adibite ad altre mansioni e servizi".
Dunque, il nuovo gestore ha certamente l'obbligo prioritario
di rispettare le mansioni proprie del "personale
assorbito" e, solo nel caso in cui ciò non sia
possibile, impiegarlo in altri settori, ovvero, quale
extrema ratio, fare ricorso alle misure legislative in
materia di ammortizzatori sociali (TAR Lombardia-Milano,
Sez. IV,
sentenza 06.10.2015 n. 2106 - link a
www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI: Ticket fisso sui ricorsi negli appalti.
Non vi è l’obbligo di pagare altri tributi se i motivi
aggiunti non ampliano la controversia.
Corte Ue/1. I giudici europei ritengono legittimo il
contributo da 2mila a 6mila euro modulati in base all’entità
dei lavori o dei servizi in gara.
La Corte di
giustizia dell’Unione europea si pronuncia sui contributi
che vanno pagati quando si impugna una gara di appalto.
La
sentenza
06.10.2015 (C-61/14) ritiene legittimi
gli importi (da 2mila a 6mila euro) dovuti contestualmente
al deposito di ricorsi in primo e in secondo grado. La
sentenza stessa, tuttavia, consentirà agli operatori
notevoli risparmi lungo il procedimento giurisdizionale, con
riferimento ai motivi aggiunti e ai ricorsi incidentali.
Questa seconda affermazione della Corte di giustizia
interessa, in quanto principio generale, tutti i tipi di
contenzioso dinanzi ai giudici amministrativi, cioè anche
quelli che non riguardano appalti di lavori, servizi o
forniture.
Per ciò che riguarda il primo tema, cioè la fase iniziale
della lite, i giudici europei ritengono che la soglia di
peso eccessivo del contributo iniziale sia individuabile nel
2% del valore dell’appalto: solo un contributo che superi
tale percentuale limiterebbe l’esercizio del diritto alla
giustizia. Non ha quindi rilievo il vantaggio che l’impresa
può attendersi dall’aggiudicazione dell’appalto (il
cosiddetto utile d’impresa, che può anche essere modesto),
con la conseguenza che è corretto pretendere il pagamento di
importi fissi (2, 4 e 6mila euro) a seconda del valore
dell’appalto (inferiore a 200mila euro, tra 200mila e 1
milione, superiore al milione di euro).
Rimane quindi il
rilevante peso economico del contributo iniziale, che in
materia di appalti aggiunge ad altri ostacoli quali i tempi
ridotti per agire in giudizio (30 giorni per le gare), i
limiti alla lunghezza degli atti giudiziari (25 pagine) e
infine le difficoltà, per chi risulta vincitore in giudizio,
di ottenere l’effettiva assegnazione dei lavori nel
frattempo iniziati da un altro, scorretto concorrente.
Ogni problema sull'entità del contributo, sottolinea la
Corte, deve poi tenere presente che, in caso di vittoria in
giudizio, vi è il diritto a ottenere il rimborso del
contributo pagato. Il secondo principio espresso dalla
Corte, può giovare a tutti coloro i quali hanno liti
giudiziarie, ed è quello che dà rilievo al «bene della vita»
cui la lite tende. Quando infatti in un unico procedimento
giurisdizionale la parte interessata presenti poche
richieste successive, quali motivi aggiunti o ricorsi
incidentali, tutti convergenti verso un unico risultato,
dovrà accertarsi se vi sia un «ampliamento considerevole»
dell’oggetto della controversia già pendente: mancando tale
ampliamento, non vi è nemmeno l’obbligo di pagare ulteriori
tributi giudiziari.
Ciò consentirà risparmi consistenti, in
quanto ogni ricorso si arricchisce, in attesa della
sentenza, di fasi successive quali i motivi aggiunti o le
domande incidentali man mano che si chiarisce l’operato
dell’amministrazione. Se i vari segmenti della lite
convergono verso un unico oggetto (l’annullamento del
provvedimento lesivo), il contributo sarà unico. Spetta al
giudice amministrativo l’accertamento su tali elementi: fino
a oggi si è applicata una circolare del Segretariato della
giustizia amministrativa (18.10.2011) che esigeva un
contributo ogni volta che si ampliasse l’oggetto del
giudizio, impugnando provvedimenti diversi o connessi.
Di
fatto, ogni volta che si depositava un ulteriore atto
notificato alle controparti, scattava l’onere di pagare un
nuovo contributo, perché in ogni atto si leggeva un
ampliamento del giudizio. Oggi invece, sulla base del chiaro
indirizzo della Corte di giustizia si potrà adottare il
criterio del «bene nella vita» (Consiglio di Stato, adunanza
plenaria 15/2011) tenendo cioè presente il risultato cui
tende la parte ricorrente.
Se tale risultato è unico (la
vittoria di una gara, un titolo edilizio, un posto messo a
concorso), non conta il numero degli atti giudiziari se
questi servono solamente a circostanziare la pretesa (articolo Il Sole 24 Ore del 07.10.2015 - tratto da www.centrostudicni.it).
---------------
MASSIMA
...
Per questi motivi, la Corte (Quinta Sezione) dichiara:
1) L’articolo 1 della direttiva 89/665/CEE
del Consiglio, del 21.12.1989, che coordina le disposizioni
legislative, regolamentari e amministrative relative
all’applicazione delle procedure di ricorso in materia di
aggiudicazione degli appalti pubblici di forniture e di
lavori, come modificata dalla direttiva 2007/66/CE del
Parlamento europeo e del Consiglio, dell’11.12.2007, nonché
i principi di equivalenza e di effettività devono essere
interpretati nel senso che essi non ostano a una normativa
nazionale che impone il versamento di tributi giudiziari,
come il contributo unificato oggetto del procedimento
principale, all’atto di proposizione di un ricorso in
materia di appalti pubblici dinanzi ai giudici
amministrativi.
2) L’articolo 1 della direttiva 89/665, come modificata
dalla direttiva 2007/66, nonché i principi di equivalenza e
di effettività non ostano né alla riscossione di tributi
giudiziari multipli nei confronti di un amministrato che
introduca diversi ricorsi giurisdizionali relativi alla
medesima aggiudicazione di appalti pubblici né a che tale
amministrato sia obbligato a versare tributi giudiziari
aggiuntivi per poter dedurre motivi aggiunti relativi alla
medesima aggiudicazione di appalti pubblici, nel contesto di
un procedimento giurisdizionale in corso.
Tuttavia, nell’ipotesi di contestazione di una parte
interessata, spetta al giudice nazionale esaminare gli
oggetti dei ricorsi presentati da un amministrato o dei
motivi dedotti dal medesimo nel contesto di uno stesso
procedimento. Il giudice nazionale, se accerta che tali
oggetti non sono effettivamente distinti o non costituiscono
un ampliamento considerevole dell’oggetto della controversia
già pendente, è tenuto a dispensare l’amministrato
dall’obbligo di pagamento di tributi giudiziari cumulativi.
|
APPALTI:
Liti,
contributo legittimo. Nei ricorsi al Tar in materia di
appalti pubblici.
Corte di giustizia Ue: ok chiedere più versamenti
per lo stesso giudizio.
È legittimo e non esoso il contributo unificato previsto per
i ricorsi al Tar in materia di contratti pubblici; corretta
anche la richiesta di più contributi nello stesso giudizio,
ma soltanto se sia giustificato da un'effettiva estensione
dell'oggetto del processo e dei motivi di ricorso e ciò è
rimesso alla valutazione del giudice nazionale.
Sono questi i principi affermati dalla Corte di giustizia
europea nella
sentenza
06.10.2015 (C-61/14)
pronunciata nelle cause
riunite C-61/14 (Orizzonte salute), emessa su richiesta
pregiudiziale del Tar Trento a seguito della ordinanza di
rinvio del 29.01.2014 n. 23.
La vicenda nasce da un ricorso presentato da uno studio
infermieristico associato che aveva partecipato a un appalto
e aveva impugnato l'aggiudicazione ad altro studio.
Dopo un primo pagamento del contributo unificato per 650
euro, il Tar Trento aveva chiesto di effettuare un pagamento
supplementare per raggiungere la cifra di 2.000 euro
prevista dalla normativa vigente.
Da qui il ricorso in merito alla legittimità della richiesta
dei 1.350 euro di differenza; nel gennaio 2014, il Tar
Trento ha valutato opportuno rimettere al giudice europeo la
questione pregiudiziale di legittimità per violazione di
alcune norme della direttive 89/665/Ce sui ricorsi in
materia di contratti pubblici.
Dopo aver premesso che il tributo giudiziario è necessario
in quanto contribuisce al buon funzionamento della giustizia
perché è fonte di finanziamento dell'attività
giurisdizionale degli stati membri e, dall'altro, svolge
anche un'efficacia dissuasiva rispetto a domande pretestuose
o manifestamente infondate, la sentenza entra nel merito
affermando la legittimità dei contributi unificati.
In particolare la sentenza afferma che il diritto
dell'Unione permette al legislatore nazionale di stabilire
un tariffario di contributi unificati, anche cumulativi,
applicabile specificamente ai procedimenti amministrativi in
materia di appalti.
La condizione è che l'importo del tributo giudiziario non
sia di ostacolo l'accesso alla giustizia (principio di
effettività) e che da ciò non derivi una violazione del
principio di equivalenza per cui le modalità di tutela dei
diritti previste nell'ordinamento italiano siano equivalenti
a quelle approntate per la protezione di diritti sanciti
dall'ordinamento dell'Unione europea.
Il limite del 2% previsto in Italia per i contributi
processuali per la sentenza «non lede il predetto principio
di effettività, sia perché tale percentuale in sé è assai
contenuta sia perché, secondo le direttive dell'Unione, la
partecipazione di un'impresa a un appalto pubblico ne
presuppone un'appropriata capacità economica e finanziaria
sia perché, infine, il soggetto soccombente nel giudizio è
normalmente tenuto a rimborsare alla parte vittoriosa le
spese di giustizia».
Per quel che concerne il cumulo di più contributi unificati
nell'ambito dello stesso processo relativo al medesimo
appalto, la sentenza lo ammette «se giustificato da
un'effettiva estensione dell'oggetto del processo e dei
motivi di ricorso», ma su questo rimette la valutazione
al giudice nazionale
(articolo ItaliaOggi del 07.10.2015). |
APPALTI:
Conta la
solidità finanziaria.
Dell'impresa ausiliaria nell'avvalimento.
In un appalto pubblico per il contratto di avvalimento
relativo al fatturato non è necessaria la specifica messa a
disposizione dei mezzi e delle risorse da parte dell'impresa
ausiliaria. È sufficiente l'impegno a garantire con la
propria solidità finanziaria l'esecuzione del contratto. La
capacità economica è anche elemento di prova dell'esperienza
nel settore.
È quanto ha stabilito il Consiglio di
Stato, III Sez.,
con la
sentenza
02.10.2015 n. 4617 in merito a un
contratto di avvalimento concernente il requisito di
capacità economico-finanziaria.
Nello specifico, la stazione appaltante aveva richiesto di
dimostrare l'esistenza di un fatturato globale triennale di
almeno 3 mln di euro e la società ausiliaria aveva previsto
nel contratto di avvalimento a favore del concorrente di
prestare «la sua capacità economico-finanziaria, nonché
tutte le risorse per consentire l'esecuzione del servizio» e
«il fatturato globale di impresa conseguito nel triennio per
oltre 13 mln».
Riguardo l'oggetto della prestazione inerente l'avvalimento,
i giudici hanno chiarito che quando un'impresa intenda
avvalersi dei requisiti finanziari di un'altra impresa, la
prestazione (oggetto specifico dell'obbligazione) è
costituita «non già dalla messa a disposizione da parte
dell'impresa ausiliaria di strutture organizzative e mezzi
materiali, ma dal suo impegno a garantire con le proprie
complessive risorse economiche». Così facendo l'impresa
ausiliaria mette a disposizione del concorrente quello che
la sentenza definisce come «suo valore aggiunto in termini
di solidità finanziaria e di acclarata esperienza di
settore, dei quali il fatturato costituisce indice
significativo».
In questo caso, quindi, non è necessario, per ritenere
legittimo il contratto di avvalimento, il riferimento a
specifici beni patrimoniali o a indici materiali atti a
esprimere una determinata consistenza patrimoniale.
Viceversa, diversamente da quanto accade per l'avvalimento
di mezzi e attrezzature, per esempio, è sufficiente che dal
contratto emerga l'impegno della società ausiliaria a «prestare»
la sua complessiva solidità finanziaria ed il suo patrimonio
esperienziale, e garantire con essi una determinata
affidabilità ed un concreto supplemento di responsabilità
(articolo ItaliaOggi del 09.10.2015.).
---------------
MASSIMA
1.1.1. Quanto al primo profilo (sub a), non può non
concordarsi con quanto ritenuto dal Giudice di primo grado;
e cioè che il ‘contratto di avvalimento’ sottoscritto
dalla società controinteressata (aggiudicataria), non è
affatto generico.
La Stazione appaltante aveva richiesto di dimostrare la
esistenza di un fatturato globale, relativo al triennio
corrente dal 2008 al 2010, pari (o superiore) a €.
3.000.000,00.
Nel contratto di avvalimento stipulato dalla società DO.TR.
con la società AU.GR. & GA. è chiaramente stabilito che
quest’ultima ‘presta’ alla (rectius: mette a
disposizione della) prima “la sua capacità
economico-finanziaria, nonché tutte le risorse, nessuna
esclusa, per consentire l’esecuzione del servizio”.
Il contratto in questione precisa altresì che le risorse
messe a disposizione sono costituite:
- dal “fatturato globale di impresa conseguito nel
triennio 2008-2010 di importo economico pari ad
€.13.493.060,00 (i.v.a. esclusa)”;
- nonché dalle “risorse, mancanti all’avvalente, di
qualsiasi genere o tipo nella disponibilità dell’impresa
ausiliaria ivi comprese eventuali consulenze”.
Non appare revocabile in dubbio, pertanto, che il contenuto
del contratto e della obbligazione è chiaro e
sufficientemente specifico; e che la dichiarazione negoziale
è idonea ad impegnare tutte le risorse della società
ausiliaria (precisamente e letteralmente: la sua “intera
capacità economico-finanziaria, nonché tutte le risorse,
nessuna esclusa, per consentire l’esecuzione del servizio”);
ed a garantire in pieno la c.d. società “ausiliata”.
D’altra parte la Sezione ha già chiarito -in un analogo
precedente- che
allorquando un’impresa
intenda avvalersi (mediante stipula di un c.d. ‘contratto
di avvalimento’) dei requisiti finanziari di un’altra,
la prestazione (oggetto specifico dell’obbligazione) è
costituita non già dalla messa a disposizione da parte
dell’impresa ausiliaria di strutture organizzative e mezzi ‘materiali’,
ma dal suo impegno a “garantire” con le proprie
complessive risorse economiche -il cui indice è costituito
dal fatturato- l’impresa ‘ausiliata’ (munendola,
così, di un requisito che altrimenti non avrebbe e
consentendole di accedere alla gara nel rispetto delle
condizioni poste dal Bando)
(C.S., III, 06.02.2014 n. 584)
In altri termini ciò che la impresa
ausiliaria ‘presta’ alla (rectius: mette a
disposizione della) ‘impresa ausiliata’ è il suo
valore aggiunto in termini di “solidità finanziaria”
e di acclarata “esperienza di settore”, dei quali il
fatturato costituisce indice significativo.
Ne consegue che non occorre che la
dichiarazione negoziale costitutiva dell’impegno
contrattuale si riferisca a specifici beni patrimoniali o ad
indici materiali atti ad esprimere una determinata
consistenza patrimoniale (dunque alla messa a disposizione
di beni da descrivere ed individuare), essendo sufficiente
che da essa (dichiarazione) emerga l’impegno (contrattuale)
della società ausiliaria a ‘prestare’ (ed a mettere a
disposizione della c.d. società ausiliata) la sua
complessiva solidità finanziaria ed il suo patrimonio
esperienziale, e garantire con essi una determinata
affidabilità ed un concreto supplemento di responsabilità.
E poiché dal contratto di avvalimento esaminato emerge che
la volontà negoziale dei contraenti è orientata nel senso
sopra descritto, il provvedimento impugnato resiste, sotto
il profilo in esame, alla censura.
1.1.2. Del pari infondata si appalesa il secondo profilo
(sub b) del motivo in esame, con cui l’appellante lamenta
che il Presidente della società aggiudicataria non aveva i
necessari poteri (cc.dd. “poteri di rappresentanza”)
per sottoscrivere il contratto di avvalimento, non essendo
stato espressamente autorizzato dall’Assemblea dei soci.
La giurisprudenza afferma, al riguardo, che
gli Amministratori (ed il Presidente del Consiglio
di Amministrazione) delle società di capitali possono
compiere tutti gli atti che rientrano nell’”oggetto
sociale” della società amministrata
(Cass., I, 03.03.2010 n. 5152).
Ne consegue che tutti gli atti di tal
genere (rientranti, cioè, nell’oggetto sociale in quanto
fisiologicamente orientati al raggiungimento degli obiettivi
statutari), vanno considerati “ordinari”.
E proprio perché compiuti nell’esercizio
dell’”ordinaria” gestione dell’impresa,
costituiscono, per essa, “atti di ordinaria
amministrazione”, che -perciò stesso- ben possono essere
compiuti dai soggetti che esercitano poteri di
amministrazione e che hanno la rappresentanza del soggetto
giuridico che esercita l’attività d’impresa.
Sicché, essendo evidente che l’atto di
sottoscrizione di un contratto di avvalimento per la
partecipazione ad una gara costituisce un atto di ordinaria
amministrazione nel senso testé indicato -in quanto
fisiologicamente volto a realizzare, quale “fatto di
ordinaria gestione”, gli obiettivi statutari- non appare
revocabile in dubbio che il Presidente del CdA ben potesse
sottoscriverlo nell’ordinario esercizio dei suoi poteri di
rappresentanza e senza alcuna specifica autorizzazione al
riguardo da parte dell’Assemblea dei soci.
Se a ciò si aggiunge che nella fattispecie non risulta che
fossero operanti espresse limitazioni statutarie agli
ordinari poteri di amministrazione e che in pendenza di
giudizio (in data 25.11.2014) è stata prodotta la delibera
del CdA che autorizzava il Presidente della società a
sottoscrivere il contratto di avvalimento, non resta che
concludere che la condotta della Stazione appaltante resiste
sotto ogni profilo alla doglianza in esame. |
settembre 2015 |
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APPALTI:
Gare, non
partecipa chi ha carichi pendenti.
Cds: anche senza sentenza definitiva.
Non occorre attendere la sentenza definitiva per escludere
un concorrente da una gara per grave negligenza o malafede.
È quanto afferma il Consiglio di
Stato, Sez. V, con
la
sentenza 28.09.2015 n. 4502 rispetto a una
procedura di gara nella quale a carico di un concorrente era
risultata la pendenza di indagini penali con richiesta di
rinvio a giudizio e fissazione dell'udienza preliminare
relativamente ad attività inerenti l'appalto da affidare,
svolte negli anni precedenti. Profilo che avrebbe a sua
volta configurato una grave negligenza o malafede e quindi
una esclusione dalla gara.
I giudici hanno precisato che il requisito della grave
negligenza e malafede non presuppone il definitivo
accertamento di tale comportamento.
In sostanza, prima ancora della sentenza definitiva la
stazione appaltante può valutare l'inidoneità del
concorrente sotto il profilo dell'affidabilità e procedere
alla sua esclusione. In tema di contenzioso per l'esclusione
da gara di appalto ai sensi dell'articolo 38, comma 1,
lettera f), del dlgs n. 163 del 2006 per inadempimenti in
precedenti contratti, la decisione di esclusione per deficit
di fiducia è quindi frutto di una valutazione discrezionale
della stazione appaltante, alla quale il legislatore riserva
l'individuazione del «punto di rottura dell'affidamento» nel
pregresso o futuro contraente.
La sentenza chiarisce anche i limiti dell'intervento del
giudice amministrativo che, nell'esame degli atti, non può
rivalutare nel merito i fatti già vagliati
dall'amministrazione nel provvedimento impugnato dovendosi
limitare a un controllo teso soltanto ad accertare la mera
pretestuosità del giudizio di inaffidabilità dell'impresa.
Pertanto, il controllo del giudice amministrativo su tale
valutazione discrezionale deve essere svolto ab extrinseco,
ed è diretto ad accertare il ricorrere di seri indici di
simulazione (dissimulante una odiosa esclusione), ma non è
mai sostitutivo.
Il sindacato sulla motivazione del rifiuto deve essere
rigorosamente mantenuto sul piano della verifica della non
pretestuosità della valutazione degli elementi di fatto
esibiti dall'appaltante come ragione di rifiuto e non può
avvalersi di criteri che portano a evidenziare la mera non
condivisibilità della valutazione stessa
(articolo ItaliaOggi del 02.10.2015
- tratto da www.centrostudicni.it).
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MASSIMA
7.- L’appello è fondato e va accolto.
8.- Deve premettersi che, alla stregua della consolidata
giurisprudenza della Cassazione e del Consiglio di Stato,
l’elemento che caratterizza la misura interdittiva
di cui all’articolo 38, comma 1, lettera f), del codice dei
contratti pubblici è il pregiudizio arrecato, a causa della
negligenza o dell’inadempimento a specifiche obbligazioni
contrattuali, alla fiducia che la stazione appaltante deve
poter riporre ex ante nell’impresa alla quale affidare un
servizio di interesse pubblico ed include di conseguenza
presupposti squisitamente soggettivi, incidenti
sull’immagine della stessa agli occhi della stazione
appaltante.
Ne consegue che, esclusa la natura sanzionatoria di detta
misura, l’ambito operativo prescinde dalla rilevanza penale
dei comportamenti ascritti e degli inadempimenti
contrattuali e dalla necessità di una sentenza penale di
condanna per i fatti contestati, venendo in rilievo
solamente la loro incidenza sull’elemento fiduciario che
connota i rapporti contrattuali con la pubblica
amministrazione.
In questa prospettiva il requisito della grave negligenza e
malafede non presuppone il definitivo accertamento di tale
comportamento, essendo sufficiente la valutazione fatta
dalla stessa amministrazione, ed il giudice amministrativo
nell’esame degli atti non può rivalutare nel merito i fatti
già vagliati dall’amministrazione nel provvedimento
impugnato (Cons.
Stato, V, 16.08.2010, n. 5725), dovendosi
limitare ad un controllo ex externo onde accertare la
mera pretestuosità del giudizio di inaffidabilità
dell’impresa.
Come ha precisato la Cassazione (cfr. Cass. sez. un.,
17.02.2012, nn. 2312 e 2313; 14.01.1997, n. 313; 22.12.2003,
n. 19664), in tema di contenzioso per
l’esclusione da gara di appalto ai sensi dell’articolo 38,
comma 1, lettera f), del d.lgs. n. 163 del 2006 per
inadempimenti in precedenti contratti, la decisione di
esclusione per deficit di fiducia è frutto di una
valutazione discrezionale della stazione appaltante, alla
quale il legislatore riserva la individuazione del “punto
di rottura dell’affidamento” nel pregresso o futuro
contraente.
Pertanto il controllo del giudice
amministrativo su tale valutazione discrezionale deve essere
svolto ab extrinseco, ed è diretto ad accertare il
ricorrere di seri indici di simulazione (dissimulante una
odiosa esclusione), ma non è mai sostitutivo.
Il sindacato sulla motivazione del rifiuto deve, pertanto,
essere rigorosamente mantenuto sul piano della verifica
della non pretestuosità della valutazione degli elementi di
fatto esibiti dall’appaltante come ragione di rifiuto e non
può avvalersi di criteri che portano ad evidenziare la mera
non condivisibilità della valutazione stessa
La sostituzione da parte del giudice amministrativo della
propria valutazione a quella riservata alla discrezionalità
dell’amministrazione costituisce ipotesi di sconfinamento
vietato della giurisdizione di legittimità nella sfera
riservata all’amministrazione, quand’anche l’eccesso in
questione sia compiuto da una pronuncia il cui contenuto
dispositivo si mantenga nell’area dell’annullamento
dell’atto.
9.- Ciò posto in via di principio, è indubbio che la
sentenza impugnata ha disatteso i limiti al potere
giurisdizionale del giudice di legittimità, avendo ritenuto
che la valutazione dell’amministrazione comunale di
considerare gravi le infrazioni accertate in capo alla
Sa.Vi. alla luce delle previsioni del capitolato speciale e
per ciò solo incidenti sull’affidabilità dell’appaltatore,
sarebbe manifestamente sproporzionata e irragionevole a
fronte delle infrazioni accertate in capo alla Sa.Vi..
Il Comune -si assume nella sentenza– non avrebbe confutato
in punto di fatto le argomentazioni dell’impresa,
concludendo nel senso della loro gravità e incidenza
sull’affidabilità.
Così argomentando il TAR ha invaso non solo l’ambito di
giurisdizione spettante al giudice ordinario nella materia
della esecuzione del contratto ma la stessa sfera di potere
riconosciuta in materia alla pubblica amministrazione,
atteso che nell’indagine demandata al
giudice amministrativo, il requisito della grave negligenza
e malafede non presuppone il definitivo accertamento di tale
comportamento, essendo sufficiente la valutazione fatta
dalla stessa amministrazione e non può rivalutare nel merito
i fatti già vagliati dall’amministrazione nel provvedimento
impugnato (Cons.
Stato, V, 16.08.2010, n. 5725).
Orbene è incontestabile che il TAR nell’accertare la
sussistenza degli elementi di cui all’articolo 38, comma 1,
lettera f) del codice dei contratti pubblici ha
sostanzialmente compiuto un accertamento palesemente rivolto
non tanto alla verifica dell’eventuale figura sintomatica
dell’eccesso di potere, quanto alla valutazione operata
dalla stazione appaltante ai fini del riconoscimento della
causa ostativa di cui all’articolo 38, comma 1, lettera f),
ovvero della sussistenza delle gravi negligenze e della
malafede idonee a compromettere il rapporto fiduciario.
Il TAR non ha confutato i fatti valutati
dall’amministrazione, ma la valutazione che ne ha fatto
l’amministrazione ai fini dell’affidabilità, ingerendosi in
valutazioni rimesse alla discrezionalità
dell’amministrazione.
Così operando è incorso nella figura sintomatica
dell’eccesso di potere giurisdizionale denunziabile ai sensi
dell’articolo 111, comma 8, della Costituzione sotto il
profilo dello sconfinamento nella sfera del merito,
essendosi spinto alla valutazione dell’opportunità e
convenienza dell’atto, così che la volontà dell’organo
giudicante si è sostituita a quella dell’amministrazione.
In sostanza, la sentenza dietro la rilevata
contraddittorietà del comportamento del Comune che non
avrebbe contestato tempestivamente gli inadempimenti
relativi alla gestione del servizio 2006–2007 e avrebbe
concesso proroghe alla ditta, è entrato nel merito
dell’azione amministrativa e delle sue valutazioni,
sostituendosi all’amministrazione nella valutazione delle
gravi negligenze e dei relativi effetti ai fini del giudizio
prognostico sulla sua affidabilità nella gestione del
servizio.
Ne consegue la fondatezza del vizio di eccesso di potere
giurisdizionale della sentenza dedotto con il terzo motivo
di appello dal Comune di Bari. |
APPALTI - PUBBLICO IMPIEGO: Programmare le manutenzioni:
una buona prassi Anticorruzione.
IL QUESITO: In che modo il RUP può preservare la sua azione
dal rischio di pressioni e ingerenze in particolare nei
micro-appalti sottosoglia?
(Risponde l'Avv. Nadia Corà)
A fronte della "ipertrofia" normativa che ha caratterizzato
il sistema dei contratti pubblici negli ultimi anni si sta
ora riscoprendo e valorizzando l'"antica" via di normazione,
consistente nel ricorso all'ausilio delle buone prassi, da
introdurre e consolidare all'interno dell'amministrazione, e
da affiancare alla legge e ai regolamenti quale fonte di
disciplina ulteriore.
Questa nuova fase di riscoperta di un livello di
regolamentazione incentrato sulle Buone Prassi, quale
strumento utile per le amministrazioni, è attestata anche
dalla normativa anticorruzione (L. 190/2012) che, non a
caso, rinvia molti aspetti della regolamentazione sulla
prevenzione della corruzione e della illegalità a apposite
Linee Guida, rappresentate dal Piano Nazionale
Anticorruzione (PNA).
A loro volta, le Linee Guida del PNA, con riferimento alle
attività amministrative a maggiore rischio di corruzione e
di illegalità, ivi comprese le procedure di affidamento dei
contratti pubblici, rinviano alla peculiare valenza di Buone
Pratiche sulla gestione degli appalti.
Una delle buone pratiche da sviluppare negli Enti locali,
soprattutto al fine di evitare il rischio di responsabilità
amministrativa dei Rup, è certamente quella di inserire
nella programmazione dei lavori pubblici, e nell'elenco
annuale, anche le manutenzioni di strade e marciapiedi e di
procedere all'affidamento tenendo conto dell'importo
complessivo annuo.
L'attività di manutenzione, infatti, va considerata
unitariamente con riferimento all'anno di riferimento, e non
va gestita "a spot", di volta in volta, magari facendo anche
un ricorso improprio alla somma urgenza.
Posto che la somma urgenza va limitata al solo ripristino
dello stato dei luoghi, attraverso la messa in sicurezza, e
non può estendersi alla esecuzione di opere ulteriori
rispetto alla sicurezza, va tenuto in considerazione la
circostanza che plurimi interventi manutentivi di strade e
marciapiedi nel corso dell'anno, individualmente di importo
inferiore a € 40.000, eseguiti attraverso il metodo
dell'affidamento diretto e magari attraverso il richiamo
alla somma urgenza dell'intervento, sono censurabili sotto
il profilo della illecita e non consentita suddivisione
degli importi, attuata al fine di eludere le norme, di
natura imperativa, sulla evidenza pubblica.
Numerose, al riguardo, sono sia le deliberazioni dell'ANAC
che le sentenze della Corte dei conti, entrambe concordi
nella condannare la suddivisione artificiosa delle
manutenzioni.
Al fine di formalizzare la buona pratica relativa alle
manutenzioni si suggerisce porsi l'obiettivo, nel medio
periodo, di adottare e di pubblicare, sul sito web
dell'ente, un vero proprio documento di "PROCEDURE OPERATIVE
o MANUALE OPERATIVO DELLE MANUTENZIONI" al cui interno
inserire, in maniera integrata, le regole procedurali che il Rup deve seguire, all'interno del comune, non solo per
l'affidare le manutenzioni senza rischi di responsabilità
amministrativa, ma anche le regole relative al monitoraggio
del costo e della qualità delle manutenzioni, al flusso
informativo specifico verso il RPC e il RT, nonché agli
obblighi di pubblicazione e di trasparenza che debbono
assistere l'esecuzione delle manutenzioni.
Il Rup, seguendo il protocollo indicato nella
PROCEDURA/MANUALE, è al riparo da rischi di errore e, ancor
più, al riparo da eventuali "richieste/sollecitazioni" da
parte di amministratori o di soggetti esterni volti ad
ottenere, illecitamente, l'affidamento di singole
manutenzioni. In presenza di tali richieste/sollecitazioni,
il Rup può motivatamente fondare il proprio diniego
richiamandosi alla prassi in uso nel Comune, così come
incarnata e documentata dalle sopra citate PROCEDURE
OPERATIVE o MANUALE OPERATIVO DELLE MANUTENZIONI. Al che
l'illecita richiesta/sollecitazione dovrebbe cadere nel
vuoto (tratto dalla newsletter 28.09.2015 n. 120
di http://asmecomm.it). |
APPALTI:
Riforma
appalti, niente regolamento. Edilizia. Delrio conferma la
semplificazione.
Via al recepimento tramite il Codice, senza
transitare dal regolamento. E più poteri alle linee guida
dell’Anac di Raffaele Cantone, che saranno però sottoposte a
un parere (non vincolante) del Parlamento.
Il ministro delle Infrastrutture, Graziano Delrio ieri in
commissione Ambiente alla Camera si è per la prima volta
pronunciato sulle modifiche che il Governo ha intenzione di
portare al Ddl delega di recepimento delle direttive appalti
(Atto
Camera n. 3194).
Tutto ruota attorno a un emendamento che cancellerà il
regolamento dai radar della riforma e che sarà presentato
all’inizio della prossima settimana. Anche se non è il solo
intervento in preventivo: qualcosa cambierà sul fronte dei
lavori in house delle concessionarie.
Il presidente dell’ottava commissione, Ermete Realacci fa il
punto sul calendario. «È evidente che non possiamo far
proseguire i lavori senza la proposta di modifica del
Governo». Il riferimento è all’emendamento annunciato
ieri formalmente da Delrio: cancellazione del regolamento di
attuazione del Codice, con un ruolo più pesante per le linee
guida dell’Anac. A monitorare il lavoro dell’Autorità ci
sarà il Parlamento. Alcuni dettagli dell’intervento, però,
sono oggetto di limature. In attesa di questi aggiustamenti,
la commissione starà ferma. «Tra lunedì e martedì
-prosegue Realacci- aspettiamo le proposte del Governo. Le
votazioni partiranno lunedì 28 settembre». Sul piatto
non c’è solo il tema del regolamento. Dal Governo è attesa
una proposta anche sul tema dei lavori in house delle
concessionarie.
A completare il quadro ci saranno alcune proposte della
maggioranza e della relatrice, Raffaella Mariani. Che ieri
in una giornata di studi sugli appalti, organizzata da Tor
Vergata e ospitata dall’Antitrust, ha confermato anche la
scelta di spostare sui controlli il bonus del 2%
riconosciuto ai progettisti della Pa. Norme più stringenti
arriveranno anche per facilitare l’accesso agli appalti da
parte delle Pmi, come chiesto ieri dal presidente della
Piccola Industria di Unindustria Angelo Camilli.
Dall’Antitrust sono arrivate la proposta di una patente a
punti per valutare la reputazione delle imprese e la
richiesta di stringere le maglie sugli appalti in house,
limitando questa possibilità alle società a capitale
interamente pubblico. Vero che le direttive su questo punto
aprono alla presenza di privati. «Ma si tratta di una
norma a recepimento volontario», ha chiarito Valentina
Guidi, dirigente del dipartimento Politiche europee di
palazzo Chigi (articolo Il Sole 24 Ore
del 17.09.2015 - tratto da www.centrostudicni.it). |
APPALTI - INCENTIVO PROGETTAZIONE:
Riforma
appalti, progetti della Pa senza bonus 2%. Delrio in
commissione per sciogliere il nodo regolamento.
Contratti pubblici. Semplificazioni sul subappalto tra gli
emendamenti della relatrice Mariani.
Sarà Graziano Delrio
oggi in commissione Ambiente della Camera a sciogliere gli
ultimi nodi sulla riforma degli appalti (Atto
Camera n. 3194). Primo fra tutti quello della
normativa secondaria che dovrà attuare il nuovo codice degli
appalti: il ministro delle Infrastrutture confermerà la sua
posizione, che si può fare a meno del regolamento generale,
per fare posto a una soft law guidata dall'Anac di
Raffaele Cantone.
Il ministro dovrà anche spiegare che tipo di soft law
ha in mente e dovrà in sostanza anticipare i contenuti
dell'emendamento che i suoi uffici stanno ancora
predisponendo e che dovrebbe essere presentato fra domani e
l'inizio della prossima settimana.
Intanto la relatrice del disegno di legge in commissione,
Raffaella Mariani (Pd), ha pronti alcuni emendamenti che
dovrebbero riformulare parzialmente alcuni dei criteri di
delega contenuti nel testo approvato a Palazzo Madama.
Sul subappalto, per esempio, Mariani è orientata a
semplificare la procedura di gara spostando l'obbligo di
presentazione della terna di subappaltatori per ogni
tipologia di lavorazione (prevista dalla lettera LLL) dal
momento della presentazione dell'offerta in gara a quello
dell'aggiudicazione.
L'altra questione che si dovrebbe risolvere, con un
emendamento della relatrice, è l'incentivo del 2% dato ai
dipendenti pubblici o alle strutture della PA che effettuano
progettazioni. Una vecchia questione fortemente distorsiva
del mercato della progettazione in termini di concorrenza e
di qualità del risultato finale. L'emendamento Mariani
dovrebbe lasciare l'incentivo del 2% alle strutture interne
delle amministrazioni, ma dovrebbe essere sposato su
attività che la Pa svolge effettivamente in esclusiva, come
la programmazione o l'esecuzione contrattuale.
Quella dell'eliminazione del regolamento e del tipo di
soft law che dovrebbe sostituirlo è l'ultima grande
questione aperta del nuovo codice appalti, ma non è affatto
secondaria. Non a caso sta bloccando i lavori della
commissione Ambiente che ha sul tavolo già dai primi di
agosto gli emendamenti dei gruppi.
«Non ha senso riprendere i lavori per affrontare aspetti
marginali quando abbiamo davanti questa questione
fondamentale da affrontare», dice il presidente della
commissione Ambiente, Ermete Realacci. «La correttezza e
la trasparenza del passaggio parlamentare -aggiunge-
richiede questa condizione. C'è accordo con il ministro che
la discussione debba riprendere da questo emendamento, anche
perché i gruppi e i relatori avranno poi la possibilità di
presentare subemendamenti».
Il primo obiettivo che l'abolizione del regolamento vuole
ottenere è una grande semplificazione della struttura
normativa che governa il settore. Il secondo, non meno
importante nella decisione iniziale di procedere su questa
strada, è consentire realisticamente il recepimento delle
direttive europee 23, 24 e 25 del 2014 entro il termine del
18 aprile con l'approvazione del solo codice senza dover
approvare contemporaneamente anche il regolamento, come
aveva previsto il testo del Senato (ma non quello originario
del Governo).
L'altro aspetto per cui si attende da Delrio un'indicazione
è come debba essere prodotta la «soft law», a quale
condizione essa possa procedere senza trovare ostacoli di
legittimità generale e come possa essere ricondotta a
coerenza l'enorme mole di poteri affidati all'Autorità
nazionale anticorruzione, che, dopo i poteri di vigilanza,
acquisirà quelli fondamentali di regolazione del settore e
ora anche di regolamentazione.
La scuola di pensiero che oggi sembra prevalere è che il
regolamento dovrebbe essere sostituito da una o più linee
guida generali dell'Anac, approvate subito dopo l'entrata in
vigore del codice. Una sorta di regolamento semplificato e
flessibile che poi sarebbe a sua volta attuato con
linee-guida di settore.
Non è escluso che i tempi lunghi dell'emendamento
governativo siano dati anche dalla necessità di stabilire un
coordinamento con l'Autorità Anticorruzione che ha fatto già
sapere di essere in grado di far fronte al nuovo compito, ma
ha bisogno di conoscere anche le modalità in cui esso sarà
esercitato (articolo Il Sole 24 Ore
del 16.09.2015 - tratto da www.centrostudicni.it). |
LAVORI PUBBLICI: G. Comin,
Come
combattere la disinformazione dei NoTutto (dopo la
bomba Nimby del Tar)
(13.09.2015 - link a
http://www.formiche.net). |
APPALTI: Il beneficio
di legge dell’esenzione dal pagamento dei diritti di
segreteria si limita ai soli
contratti di acquisto di beni e servizi.
La chiara volontà del legislatore di prevedere l’esenzione
in relazione ai soli contratti relativi a beni e servizi non
consente di estendere il beneficio agli acquisti di lavori
che hanno natura diversa e presentano peculiarità
particolari che rendono difficoltoso, se non in relazione a
situazioni particolari, il ricorso al mercato elettronico.
---------------
L’esenzione dal pagamento dei diritti di
segreteria è stata prevista dal legislatore quale
conseguenza della modalità seguita per addivenire
all’acquisto mediante l’utilizzo di strumenti informatici e
senza il ricorso alle formalità stabilite dalla legge di
contabilità, ivi compresa la stipula di contratto in forma
pubblica.
Risulta, quindi, ragionevole ritenere che
si possa ricorrere alla deroga introdotta dall’art. 13 del
d.l. n. 52 del 2012 nei soli casi nei quali l’intera
procedura, dall’ordine al contratto, avvenga e si concluda in
forma elettronica.
--------------
Il Sindaco del Comune di Cassano Magnago (VA) ha
inoltrato alla Sezione un quesito con il quale, dopo aver
richiamato il contenuto del parere della Sezione n. 301 del
2014, ha domandato:
- se la disapplicazione dal pagamento dei diritti di
segreteria prevista dall’art. 13 del d.l. n. 52 del
06.07.2012, conv. dalla legge n. 94 del 06.07.2012, “sia
limitata ai soli contratti per acquisto di beni e servizi
conclusi mediante strumenti informatici e non si estenda
anche ai contratti per l’affidamento di lavori pubblici”;
- se la citata disapplicazione “riguardi solo gli
acquisti di beni e servizi effettuati grazie al ricorso a
piattaforme che consentono di concludere il procedimento con
la stipula del negozio in forma digitale/elettronica (vedi
MEPA o adesione a convenzione CONSIP) oppure si estenda
anche agli acquisti di beni e servizi effettuati grazie al
ricorso a piattaforme che non consentono di concludere il
procedimento con la stipula del negozio in forma
digitale/elettronica (vedi Sistema Sintel predisposto da
ARCA in Lombardia)”.
...
La Sezione, come ricordato dallo stesso Sindaco di Cassano
Magnago nella richiesta di parere, si è già occupata
dell’interpretazione dell’art. 13 del d.l. 07.05.2012, n.
52, convertito dalla legge 06.07.2012, n. 94, osservando che
la norma ha “previsto la disapplicazione dell’obbligo di
richiedere i diritti di segreteria, ai sensi dell’art. 40
della legge 08.06.1962, n. 604 nell’ipotesi” di
contratti conclusi a seguito del ricorso a gare telematiche
di acquisto.
Il d.l. n. 52 del 2012, nell’ambito di numerosi interventi
di razionalizzazione della spesa pubblica, ha introdotto
modifiche alle procedure di acquisto che le amministrazioni
sono tenute a seguire per contenere e limitare gli oneri a
carico della finanza pubblica.
In particolare, per quanto interessa in questa sede, al fine
di favorire il ricorso al mercato elettronico e ai
conseguenti risparmi, all’art. 13 ha stabilito che “per i
contratti relativi agli acquisti di beni e servizi degli
enti locali, ove i beni o i servizi da acquistare risultino
disponibili mediante strumenti informatici di acquisto, non
trova applicazione quanto previsto dall’articolo 40 della
legge 08.06.1962, n. 604”,
vale a dire l’applicazione
dei diritti di segreteria al momento della stipula del
contratto.
In relazione al primo quesito posto dal Sindaco del Comune
di Cassano Magnago, occorre osservare che il testo
dell’articolo 13
limita il beneficio dell’esenzione ai soli
contratti di acquisto di beni e servizi, come specificato in
due punti della medesima disposizione e, peraltro, la stessa
rubrica delimita l’oggetto della norma specificando “semplificazione
dei contratti di acquisto di beni e servizi”.
La chiara volontà del legislatore di prevedere l’esenzione
in relazione ai soli contratti relativi a beni e servizi non
consente di estendere il beneficio agli acquisti di lavori
che hanno natura diversa e presentano peculiarità
particolari che rendono difficoltoso, se non in relazione a
situazioni particolari, il ricorso al mercato elettronico.
Quanto al secondo quesito, è necessario mettere in
luce che
l’esenzione dal pagamento dei diritti di
segreteria è stata prevista dal legislatore quale
conseguenza della modalità seguita per addivenire
all’acquisto mediante l’utilizzo di strumenti informatici e
senza il ricorso alle formalità stabilite dalla legge di
contabilità, ivi compresa la stipula di contratto in forma
pubblica.
Risulta, quindi, ragionevole ritenere che
si possa ricorrere alla deroga introdotta dall’art. 13 del
d.l. n. 52 del 2012 nei soli casi nei quali l’intera
procedura, dall’ordine al contratto, avvenga e si concluda in
forma elettronica
(Corte dei Conti, Sez. controllo Lombardia,
parere 11.09.2015 n. 275). |
LAVORI PUBBLICI:
G. Zapponini,
Caro Renzi, attento alla bomba Nimby del Tar. Parla Chicco
Testa (11.09.2015 - link a
http://www.formiche.net). |
LAVORI PUBBLICI:
G. Zapponini,
Il Tar del Lazio sgancia una bomba Nimby
(10.09.2015
- link a http://www.formiche.net). |
LAVORI PUBBLICI:
Le
proteste giustificano il blocco dell’opera. Tar Lazio. Per i
giudici le manifestazioni legittimano la marcia indietro dei
Comuni.
L’effetto Nimby entra nella giurisprudenza. La
rivolta popolare può, infatti, legittimare la revoca della
decisione di un comune.
L’indicazione arriva
da una sentenza del Tar del Lazio, chiamato a pronunciarsi
su un impianto per servizi alla popolazione. È un principio
consolidato, a livello normativo e giurisprudenziale, quello
per cui alla Pa è consentito revocare i propri provvedimenti
per effetto di una nuova (cioè rinnovata) valutazione
dell’interesse pubblico. Così come è pacifico che,
nell’esercizio di questo potere di ripensamento,
l’Amministrazione goda di ampia discrezionalità.
Ora, con la
sentenza 08.09.2015 n. 11098
del
TAR Lazio-Roma,
Sez. II-bis,
viene chiarito che «deve ritenersi che la manifestazione da
parte della popolazione del Comune della contrarietà alla
realizzazione dell’opera e l’interesse primario, dunque, a
rispondere ai bisogni manifestati dalla stessa popolazione,
costituiscano espressione di una nuova valutazione
dell’interesse pubblico. Tenuto che nell’esercizio del
cosiddetto jus poenitendi l’Amministrazione gode di ampia
discrezionalità, deve ritenersi che la motivazione posta a
fondamento della revoca non sia affetta da vizi di
legittimità». Se il principio di fondo non è nuovo,
fortemente innovativo è invece il riferimento espresso alla
contrarietà della popolazione locale come fattore di
legittimazione della revoca.
La decisione spinge a due considerazioni. La prima è che la
sentenza è sul piano formale da ritenere corretta (anche
nella parte in cui nega l’indennizzo richiesto dal
proponente riguardo al project financing rimasto, per
effetto del «legittimo» ripensamento, solo a metà del
guado). La seconda considerazione è che, tuttavia, nel
momento in cui si ammette la legittimità della revoca dei
provvedimenti (nel caso di specie, di quelli intermedi
nell’ambito dell’iter di realizzazione dell’opera pubblica)
in nome, apertamente, della «manifestazione da parte della
popolazione del Comune della contrarietà alla realizzazione
dell’opera», assumendo che essa fonda «l’interesse primario
... a rispondere ai bisogni manifestati dalla stessa
popolazione», ciò fa riesplodere l’irrisolto problema
dell’effetto Nimby e della sua incidenza come freno a
crescita e sviluppo.
Tema spinoso e difficile, schiacciato
com’è fra spinte contrapposte: crisi di credibilità delle
istituzioni rappresentative (per colpe oggettive e
antipolitica), evidente insufficienza strutturale dello
strumento asettico del procedimento amministrativo a
comporre conflitti, diffidenze e incomprensioni fra opposti
punti di vista (specie su questioni e aspetti a forte
connotazione tecnica), carenze di completezza e obiettività
delle fonti di informazione e dei processi di comunicazione
utilizzati dall’apparato burocratico.
Per uscirne, appare
essenziale cambiare metodo, sul piano legislativo. Per
evitare questi conflitti a posteriori che disseminano il
Paese di opere iniziate e non finite (con corredo di onerosi
indennizzi dovuti ai privati delusi nei loro legittimi
affidamenti, in molti casi) occorre istituire la verifica “a
monte”, prima ancora di fare il progetto preliminare, della
reale “fattibilità di contesto” di un’opera di livello
medio/grande.
Confrontando (e se necessario, opponendo)
argomenti tecnici, economici e sociali a controargomenti
della stessa natura, nel contraddittorio –ove occorra– fra
esperti di parte.
È lo schema del debat public alla
francese, all’attenzione del Senato (AS 980, 1724 e 1845),
che prova a conciliare il dovere di non prendere
decisioni contro la volontà popolare con la
necessità di evitare che un territorio resti
ostaggio di minoranze ben organizzate (articolo Il Sole 24 Ore
del 12.09.2015). |
LAVORI PUBBLICI: I
giudici hanno rilevato nella delibera con cui il comune
revocava il bando di project financing “alcuni profili
inerenti una nuova valutazione dell’interesse pubblico” vale
a dire “la manifestazione da parte della popolazione del
comune della contrarietà alla realizzazione dell’opera e
l’interesse primario, dunque, a rispondere ai bisogni
manifestati dalla stessa popolazione”.
Per il tribunale “tale motivazione rende prevalenti le
ragioni di opportunità della nuova scelta, con conseguente
conferma della qualificazione del provvedimento in termini
di revoca”.
---------------
Nella delibera di Giunta (e nella
conseguente determina dirigenziale) sono evidenziati alcuni
profili inerenti una nuova valutazione dell’interesse
pubblico (la manifestazione da parte della popolazione del
Comune della contrarietà alla realizzazione dell’opera e
l’interesse primario, dunque, a rispondere ai bisogni
manifestati dalla stessa popolazione).
Tale motivazione rende prevalenti le ragioni di opportunità
della nuova scelta, con conseguente conferma della
qualificazione del provvedimento in termini di revoca. Nel
caso di specie, la già citata motivazione del provvedimento
di revoca è costituita appunto da una nuova valutazione
dell’interesse pubblico. Tenuto che nell’esercizio del c.d.
jus poenitendi l’Amministrazione gode di ampia
discrezionalità, deve ritenersi che la motivazione posta a
fondamento della revoca non sia affetta da vizi di
legittimità.
---------------
La giurisprudenza, ancora, ha
precisato che “la mancata liquidazione dell’indennizzo
unitamente alla disposta revoca non costituisce un vizio
dell’atto di autotutela, ma consente al privato di agire per
ottenere l’indennizzo”.
---------------
nell’ordinamento precedente
all’introduzione dell’art. 21-quinquies, l. n. 241 del 1990,
l’orientamento prevalente era nel senso di escludere
qualsiasi indennizzo per il soggetto nei cui confronti
intervenisse la revoca in modo legittimo di un precedente
provvedimento amministrativo vantaggioso per il privato
o per lo meno un indennizzo veniva ammesso solo in
casi particolari.
Dopo l’introduzione del menzionato art.
21-quinquies nella legge generale del procedimento
amministrativo, ad opera dell’art. 14 l. 11.02.2005, n. 15,
come integrato dal comma 1-bis introdotto dall’art. 13 d.l.
31.01.2007, n. 7, (convertito dalla l. 02.04.2007, n. 40),
ha fatto ingresso la c.d. responsabilità della p.a. per atti
legittimi.
Nel caso che occupa, dunque, la domanda
risarcitoria, deve essere interpretata –secondo i canoni di
effettività della tutela– come contenente in sé quella di
indennizzo.
Peraltro, l’indennizzo ex art.
21-quinquies, l. n. 241 del 1990 non spetta in caso di
revoca di atti ad effetti instabili ed interinali, ma solo
in caso di revoca di atti definitivamente attributivi di
vantaggi. Deve quindi escludersi che spetti un indennizzo,
ex art. 21-quinquies cit., per revoca
(come nella specie) di una dichiarazione di
pubblico interesse della proposta di progetto di finanza.
Tale dichiarazione non attribuisce,
infatti, all’interessato una posizione giuridica definitiva,
ben potendo l’Amministrazione dar luogo o meno a successiva
procedura di affidamento della concessione o non dare corso
affatto alle proposte che pure abbia ritenuto di pubblico
interesse. Pur differenziando, in vero, tale dichiarazione
di p.i. la posizione del proponente,
essa non assicura al promotore alcune diretta,
definitiva ed immediata ultilità.
Né nella specie la posizione della
ricorrente potrebbe avere assunto maggiore consistenza
dall’indizione della gara che è stata infatti revocata prima
ancora della partecipazione dell’istante stessa ed atteso
che il rimborso spese, in caso di gara, spetta a favore del
promotore solo ove questo non risulti aggiudicatario della
concessione quando la gara stessa si sia peraltro conclusa.
----------------
... per l'annullamento:
- della delibera di G.C. n. 67 del 04.08.2014, con cui era
revocata la precedente deliberazione n. 40 del 2014 avente
ad oggetto la dichiarazione di pubblica utilità e
l’individuazione del soggetto promotore per la costruzione e
gestione economico funzionale di un impianto di cremazione
per salme con annessa sala del commiato presso il cimitero
comunale;
- e della determina dirigenziale n. 371 dell’08.08.2014,
resa pubblica con avviso pubblico dell’08.08.2014 sul
portale del Comune, con cui era revocata la precedente
determinazione n. 316 del 2014 avente ad oggetto la
determina a contrarre relativa al predetto affidamento e,
per l’effetto, era revocata la procedura di gara indetta;
- di tutti gli atti e provvedimenti consequenziali o
comunque connessi;
...
FATTO
Con il ricorso indicato in epigrafe, la Società Altair
s.r.l., in proprio e quale mandataria della ATI “ALTAIR”,
esponeva che ad esito del procedimento di valutazione della
proposta di project financing della ricorrente
medesima, conclusosi con la motivata dichiarazione di
pubblica utilità dell’opera e con l’individuazione dell’ATI
ALTAIR come promotore il Comune di Borgorose avviava la
procedura di gara per l’affidamento in concessione della
progettazione, realizzazione e successiva gestione economico
funzionale di un impianto di cremazione; del tutto
inaspettatamente, dunque, mentre la ricorrente si accingeva
e partecipare alla seconda fase della procedura, il Comune,
tuttavia, revocava il precedente provvedimento di pubblica
utilità e la conseguente gara.
...
DIRITTO
I - L’oggetto del giudizio è costituito dalla contestazione,
da parte dell’ATI costituenda, della legittimità
dell’esercizio del potere di autotutela in ordine a un
provvedimento di dichiarazione di pubblica utilità di una
proposta di project financing e di avvio della
procedura di affidamento di pubblici lavori da parte della
p.a. e dalle connesse pretese patrimoniali, di carattere
risarcitorio o indennitario.
II - Con un primo gruppo di censure la parte
ricorrente contesta la competenza della Giunta a disporre la
revoca di atti posti in essere dal Consiglio comunale.
Tale assunto è smentito per tabulas; infatti, la
Giunta si è limitata a revocare un proprio atto ed il
dirigente, lo stesso. Mentre successivamente è intervenuto
l’atto consiliare di revoca della precedente delibera del
Consiglio, atto gravato anch’esso con i motivi aggiunti.
Risulta, dunque, rispettato il principio del contrarius
actus. E neanche le competenze consiliari risultano, di
fatto, violate.
Anche ove si volesse considerare la necessità della previa
deliberazione dell’Assemblea consiliare a modifica del
precedente deliberato, si può con sicurezza affermare
l’effetto sanante del successivo provvedimento, che ha
inciso esplicitamente sulle scelte e la valutazione del
pubblico interesse.
III – Con un ulteriore gruppo di censure, la parte
istante si duole della mancanza dei presupposti per
esercitare il potere di revoca con riguardo all’assenza di
ragioni di pubblico interesse, alla omessa valutazione
dell’affidamento delle parti destinatarie del provvedimento
da rimuovere e del tempo trascorso, all’obbligo di
motivazione.
Essa ha certamente interesse a dimostrare l’illegittimità
del potere di autotutela esercitato dall’amministrazione per
ottenere il pieno risarcimento dei danni. Infatti la parte
ricorrente chiede la condanna dell’Amministrazione alla
reintegra della posizione compromessa e, in via subordinata,
il risarcimento dei danni patiti.
Il gravame è, dunque, teso a contestare la legittimità del
potere di revoca esercitato al fine di ottenere il
risarcimento dei danni, quanto meno a titolo di danno
emergente.
IV - Passando, dunque, all’esame della fattispecie, nel caso
che occupa, la Giunta ha revocato –con la delibera n. 67 del
2014- la precedente delibera n. 40 del 2014 avente ad
oggetto l’approvazione del progetto preliminare e la
dichiarazione di p.u. ed il responsabile del servizio –con
la determina n. 371 del 2014– ha annullato la precedente
determina dirigenziale n. 316 del 2014 contenente il parere
di regolarità tecnica e l’attestazione della copertura
finanziaria, e conseguentemente la procedura di gara
indetta.
Nella delibera di Giunta (e nella
conseguente determina dirigenziale) sono evidenziati alcuni
profili inerenti una nuova valutazione dell’interesse
pubblico (la manifestazione da parte della popolazione del
Comune della contrarietà alla realizzazione dell’opera e
l’interesse primario, dunque, a rispondere ai bisogni
manifestati dalla stessa popolazione).
Tale motivazione rende prevalenti le ragioni di opportunità
della nuova scelta, con conseguente conferma della
qualificazione del provvedimento in termini di revoca. Nel
caso di specie, la già citata motivazione del provvedimento
di revoca è costituita appunto da una nuova valutazione
dell’interesse pubblico. Tenuto che nell’esercizio del c.d.
jus poenitendi l’Amministrazione gode di ampia
discrezionalità, deve ritenersi che la motivazione posta a
fondamento della revoca non sia affetta da vizi di
legittimità.
Nella specie, peraltro, l’Amministrazione non ha
espressamente valutato la spettanza di un qualche
indennizzo.
Tuttavia, va rilevato, che specie nel caso che occupa si era
unicamente svolta la progettazione –ovvero la prima fase
della procedura, mentre la ricorrente– soggetto promotore,
non aveva ancora maturato alcune affidamento in ordine
all’assegnazione dell’opera, né aveva ancora prodotto
domanda di partecipazione alla gara.
Peraltro, non primo di rilevanza è il breve termine occorso
tra la delibera di n. 40 (05.06.2014) e l’avviso di revoca
dell’08.08.2014.
La giurisprudenza, ancora, ha precisato che
“la mancata liquidazione dell’indennizzo unitamente alla
disposta revoca non costituisce un vizio dell’atto di
autotutela, ma consente al privato di agire per ottenere
l’indennizzo”
(Cons. Stato, Sez., n. 2244 del 2010).
V – Orbene, nel caso di legittimità del
provvedimento di autotutela viene meno il presupposto su cui
è stata fondata la domanda risarcitoria, costituito appunto
dall’illegittimità provvedimentale.
Va precisato che anche in caso di revoca
legittima si può ipotizzare che al privato derivino danni
risarcibili, e non meramente indennizzabili, ma ciò discende
dal fatto che tali danni conseguono non già direttamente
dall’atto di revoca, ma da altre illegittimità
(procedimentali o di altro tipo) commesse
dall’Amministrazione.
Nella specie, devono essere respinte le ulteriori censure
mosse dalla parte ricorrente in ordine ai profili
partecipativi e procedimentali. Infatti, è evidente come
l’eventuale partecipazione della ricorrente non avrebbe in
alcun modo potuto incidere sulla decisione
dell’Amministrazione che si appalesa di carattere
eminentemente discrezionale.
Del resto i già evidenziati profili di
tempestività dell’esercizio dell’autotutela non consentono
di riscontrare alcuno degli addebiti mossi
all’Amministrazione sotto il profilo della correttezza della
condotta.
Ciò comporta che l’Amministrazione non è
tenuta a corrispondere l’integrale risarcimento del danno.
VI – Le valutazioni sin qui svolte non possono che valere
anche per i successivi motivi aggiunti, per i medesimi
motivi evidenziati.
VII – Il Consiglio di Stato (cfr. sentenza n. 7334 del 2010)
ha avuto modo di rilevare che
nell’ordinamento precedente all’introduzione dell’art.
21-quinquies, l. n. 241 del 1990, l’orientamento prevalente
era nel senso di escludere qualsiasi indennizzo per il
soggetto nei cui confronti intervenisse la revoca in modo
legittimo di un precedente provvedimento amministrativo
vantaggioso per il privato
(cfr. Cons. Stato, sez. VI, 06.06.1969, n. 266)
o per lo meno un indennizzo veniva ammesso solo in
casi particolari
(Cass. S.U. 02.04.1959, n. 672).
Dopo l’introduzione del menzionato art.
21-quinquies nella legge generale del procedimento
amministrativo, ad opera dell’art. 14 l. 11.02.2005, n. 15,
come integrato dal comma 1-bis introdotto dall’art. 13 d.l.
31.01.2007, n. 7, (convertito dalla l. 02.04.2007, n. 40),
ha fatto ingresso la c.d. responsabilità della p.a. per atti
legittimi. n.
5266).
Nel caso che occupa, dunque, la domanda
risarcitoria, deve essere interpretata –secondo i canoni di
effettività della tutela– come contenente in sé quella di
indennizzo.
Peraltro, l’indennizzo ex art.
21-quinquies, l. n. 241 del 1990 non spetta in caso di
revoca di atti ad effetti instabili ed interinali, ma solo
in caso di revoca di atti definitivamente attributivi di
vantaggi. Deve quindi escludersi che spetti un indennizzo,
ex art. 21-quinquies cit., per revoca
(come nella specie) di una dichiarazione di
pubblico interesse della proposta di progetto di finanza.
Tale dichiarazione non attribuisce,
infatti, all’interessato una posizione giuridica definitiva,
ben potendo l’Amministrazione dar luogo o meno a successiva
procedura di affidamento della concessione o non dare corso
affatto alle proposte che pure abbia ritenuto di pubblico
interesse. Pur differenziando, in vero, tale dichiarazione
di p.i. la posizione del proponente
(Ad. Plen. N. 1/12), essa non assicura al
promotore alcune diretta, definitiva ed immediata ultilità.
Né nella specie la posizione della
ricorrente potrebbe avere assunto maggiore consistenza
dall’indizione della gara che è stata infatti revocata prima
ancora della partecipazione dell’istante stessa ed atteso
che il rimborso spese, in caso di gara, spetta a favore del
promotore solo ove questo non risulti aggiudicatario della
concessione quando la gara stessa si sia peraltro conclusa
(cfr. Cons. Stato n. 3237 del 26.06.2015) (TAR Lazio-Roma,
Sez. II-bis,
sentenza 08.09.2015 n. 11098 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
LAVORI PUBBLICI:
Sull'esecuzione dei c.d. "lavori di somma urgenza":
gli affidamenti illegittimi (di lavori e forniture) non
vincolano l’Amministrazione ma danno origine ad un rapporto
obbligatorio tra il soggetto ordinante ed il fornitore.
Ergo, sono forieri di danno erariale.
----------------
Nella
vicenda in esame si ravvisano tutti i presupposti
necessari e sufficienti per l’esercizio dell’azione
amministrativo-contabile.
Con la delibera di riconoscimento di debiti
fuori bilancio in esame l’Amministrazione ha valutato la
sussistenza dei presupposti sostanziali di riconoscibilità
del debito, tra i quali il riconoscimento dell’utilità della
prestazione e dell’arricchimento dell’Ente ex art. 194, 1°
comma, lett. e), del D.Lgs. 267/2000.
Tutto questo si è svolto in presenza di
indici di illegittimità, sia sotto il profilo contabile
sia sotto il profilo della mancata applicazione delle
procedure previste in tema di “lavori d’urgenza”.
---------------
La violazione, da parte
di tutti i soggetti convenuti e non,
degli obblighi di servizio
se non caratterizzata da animus doloso sicuramente
integra la cd. colpa grave, sottoposta al sindacato di
questa Corte.
Ciò premesso, le norme violate attengono
alla disciplina della procedura dei lavori d’urgenza, così
come era dettata dagli artt. 146 e 147 del D.P.R. n.
554/1999, all’epoca vigenti.
---------------
Gli affidamenti
illegittimi di lavori e forniture non vincolano
l’Amministrazione ma danno origine ad un rapporto
obbligatorio tra il soggetto ordinante ed il fornitore.
Nel caso di specie le acquisizioni
documentali provano che gli affidamenti dei tre lavori in
esame sono avvenuti su presupposti
assolutamente non attendibili sì da violare i principi di
imparzialità e di trasparenza dell’azione
amministrativa nonché il criterio del confronto
concorrenziale, sancito dalla normativa di settore di
cui al D.Lgs. 163/2006.
In buona sostanza nella fattispecie sussiste l’incompletezza
e l’inattendibilità della contabilità dei lavori reperita,
l’inattendibilità di quanto attestato in ordine alla reale
tempistica di esecuzione dei lavori nonché degli atti
redatti e firmati, con le relative certificazioni su fatti
ed eventi, da parte dei soggetti istituzionalmente
competenti.
Sussistono anche gravi profili critici in ordine ai costi
effettivamente sostenuti dall’azienda affidataria dei
lavori, per l’esecuzione dei lavori di cui trattasi.
Risulta, infine, disatteso quanto normativamente stabilito
in materia di procedure amministrativo-contabili, stante che
all’ordine di esecuzione di lavori non è seguita la
deliberazione autorizzativa con la quale si sarebbe dovuto
provvede anche alla copertura della spesa.
---------------
Il Collegio condivide la
tesi di parte attrice per la quale sono chiamati a
rispondere dei fatti i convenuti:
- il Direttore
dei Lavori e Tecnico incaricato per gli asseriti lavori di
somma urgenza, considerato che dagli atti risulta che egli
avrebbe provveduto ad effettuare il sopralluogo di verifica
dei lavori di cui trattasi, a sottoscrivere il verbale di
consegna dei lavori, a redigere il computo metrico nello
stesso giorno del sopralluogo, ad attestare, quale Direttore
dei lavori, che i lavori erano stati ultimati nelle date del
07-14-18.04.2008, certificandone poi l'avvenuta esecuzione “a
regola d'arte e in conformità alle prescrizioni contrattuali”
solo nelle date del 05-24.11.2008, momento posteriore al
riconoscimento di debito (30.09.2008);
- il Segretario generale che
ha assistito alla seduta consiliare del 30.09.2008, ed in
relazione alle funzioni di assistenza giuridico
amministrativa avrebbe dovuto rilevare la carente
documentazione o quantomeno la violazione di quanto
normativamente previsto in tema di regolarizzazione
dell’ordinazione fatta a terzi, con i correlati limiti
oggettivi relativi al riconoscimento della legittimità dei
debiti fuori bilancio;
- l’Assessore, relatore della
proposta di riconoscimento del debito che, in considerazione
degli specifici obblighi di sovrintendenza che fanno carico
all’assessore delegato dal Sindaco per il settore di sua
specifica competenza, non ha, quantomeno, rilevato che, alla
data del 30.09.2008, la documentazione agli atti dell’Ente
non consentiva di asserire che la somma complessiva di euro
225.737,00 (IVA inclusa) fosse correlata ad una accertata e
dimostrata utilità ed arricchimento per l’Ente, requisiti
normativamente richiesti al fine del riconoscimento di un
debito fuori bilancio.
---------------
Per quanto
riguarda la richiesta risarcitoria deve essere
integralmente accolta sia pure non nelle percentuali
indicate dalla Procura.
In particolare il Collegio ritiene che l’apporto causale del
Responsabile del procedimento e Dirigente del Servizio
responsabile del parere di regolarità tecnica
sia meritevole di una potenziale condanna pari al 40%,
misura maggiore di quella indicata dalla Procura (35%),
il tutto in quanto ha apposto il proprio
visto sui verbali di regolare esecuzione, sul computo
metrico degli stessi e sui consuntivi di spesa ed ha,
altresì, istruito la delibera di riconoscimento dei debiti
fuori bilancio.
Per quanto concerne la posizione del Tecnico incaricato
della Direzione lavori il Collegio valuta
di elevare la percentuale di responsabilità al 45%, rispetto
al 40% della tesi attorea, alla luce del fatto che
il medesimo avrebbe redatto i verbali di somma urgenza,
datati senza alcun numero di protocollo di riferimento, il
giorno dopo l’evento atmosferico in uno con i verbali di
consegna dei lavori nonché con il computo metrico dei lavori
stessi.
Considerato che si sarebbe trattato di ben tre affidamenti
distinti la contemporanea formazione di tutti questi atti
tecnici di relativa complessità non pare plausibile, da qui
la maggior responsabilità del convenuto.
Diversamente la responsabilità del Segretario Generale e dell’Assessore ai Lavori pubblici e
relativa esecuzione sig. Fa.Br. deve essere
ridimensionata rispettivamente nel 10% e nel 5%
in considerazione della loro partecipazione alla
delibera in esame sulla quale non hanno espresso alcuna
riserva pur trattandosi di una procedimento “a sanatoria”
che avrebbe meritato opportuna ponderazione da parte dei
convenuti che, pur non avendo partecipato alla formazione
degli elaborati tecnici, ne hanno, sia pure in parte minima
avallato gli effetti.
---------------
FATTO
Con l’atto di citazione in esame la Procura regionale ha
convenuto in giudizio i nominati per sentirli condannare “al
pagamento, della complessiva somma di euro 58.690,00
ciascuno nella misura suindicata, in favore del Comune di
Massa, salva ogni diversa valutazione da parte del Collegio,
oltre rivalutazione, interessi legali e spese di giudizio”.
Nel merito dei fatti, dalle allegazioni processuali risulta
che con deliberazione n. 69 del 30.09.2008, il Consiglio
comunale di Massa, udita la relazione dell’Assessore Fa.Br.,
sulla base del documento istruttorio predisposto dal
responsabile del procedimento arch. La.Me., riconosceva “la
legittimità del debito fuori bilancio derivante
dall’esecuzione dei lavori di somma urgenza per la messa in
sicurezza dei cimiteri urbani e frazionali a seguito del
fortunale abbattutosi nel Comune di Massa il 05.03.2008 per
un importo complessivo di € 225.737,00 I.V.A. compresa”.
Dalla lettura della citata deliberazione emerge che veniva
rappresentato all’organo consiliare che “i lavori sono
stati affidati esclusivamente per motivi improcrastinabili
ai sensi dell’art. 147 del DPR n. 554/1999 (Regolamento
d’attuazione della legge 11.02.1994, n. 109 legge quadro in
materia di lavori pubblici) e che ad oggi gli interventi
…sono stati completati” e che l’esecuzione degli
interventi “si sono rivelati essenziali per
l’Amministrazione, garantendo agli utenti dei cimiteri la
possibilità di usufruire in sicurezza e senza pericoli per
l’incolumità pubblica e igienico sanitari”.
La deliberazione veniva assunta con il parere favorevole di
regolarità tecnica reso dal dott. La.Me., di regolarità
contabile reso dal dott. Ma.To. e con il visto di conformità
all’azione amministrativa reso dal Segretario generale dott.
Ca.Fe..
Nei verbali di somma urgenza -allegati alla deliberazione-
che sarebbero stati redatti in data 06.03.2008 (privi però
di protocollo) da Gi.Be., in qualità di tecnico incaricato
dal dirigente del settore, veniva affermata la necessità di
tali interventi, atteso che per le eccezionali avverse
condizioni atmosferiche si erano verificati distacchi di
vari materiali dalle coperture dei tetti delle strutture dei
cimiteri di Turano e Mirteto nonché dei cimiteri frazionali
di Canevara, Casette, Forno, Casania, Resceto, Pariana,
Altagnana e Antona.
Pertanto, il tecnico delegato Be. dichiarava che per
l’esecuzione dei lavori ivi menzionati, da dettagliarsi
nella perizia giustificativa, ricorrevano gli estremi della
somma urgenza ex art. 147 del DPR n. 554/1999.
La delibera di riconoscimento di debito di cui sopra è stata
poi trasmessa, ai sensi e per gli effetti dell’art. 23,
comma 5, della legge 27.12.2002 n. 289, alla competente
Procura cui è pervenuta in data 27.10.2008.
In relazione a quanto sopra, la Procura erariale delegava la
Guardia di Finanza Nucleo di Polizia Tributaria Massa
Carrara –Sezione Tutela Finanza Pubblica– a svolgere
accertamenti istruttori.
...
DIRITTO
A parere di questo Collegio, nella vicenda
in esame si ravvisano tutti i presupposti necessari e
sufficienti per l’esercizio dell’azione
amministrativo-contabile.
In primo luogo è indubitabile che all’epoca degli eventi le
parti convenute erano direttamente legate all’Ente erogante
da un rapporto funzionale di servizio o perché dipendenti di
ruolo della Amministrazione locale (Tecnico ufficio lavori)
o perché inseriti nella struttura, sia pure temporaneamente,
(Assessore e Segretario generale) come figure funzionali
all’azione amministrativa dell’Ente.
Altrettanto evidente è il nesso causale tra la condotta
delle parti convenute e l’evento dannoso.
Con la delibera di riconoscimento di debiti
fuori bilancio in esame l’Amministrazione ha valutato la
sussistenza dei presupposti sostanziali di riconoscibilità
del debito, tra i quali il riconoscimento dell’utilità della
prestazione e dell’arricchimento dell’Ente ex art. 194, 1°
comma, lett. e), del D.Lgs. 267/2000.
Tutto questo si è svolto in presenza di
indici di illegittimità, sia sotto il profilo contabile
sia sotto il profilo della mancata applicazione delle
procedure previste in tema di “lavori d’urgenza”.
A questo punto rilevanti nella fattispecie sono l’indagine
sull’elemento soggettivo e la individuazione della
posta di danno azionabile.
Elemento soggettivo
Come già accennato la violazione, da parte
di tutti i soggetti convenuti e non
(nella specie, risultando medio-tempore deceduto il
Responsabile del procedimento e Dirigente del settore Arch.
Me., non è stato ravvisato l’illecito arricchimento degli
aventi causa), degli obblighi di servizio
se non caratterizzata da animus doloso sicuramente
integra la cd. colpa grave, sottoposta al sindacato di
questa Corte.
Ciò premesso, le norme violate attengono
alla disciplina della procedura dei lavori d’urgenza, così
come era dettata dagli artt. 146 e 147 del D.P.R. n.
554/1999, all’epoca vigenti.
In base alla citata normativa, l’esecuzione di lavori in
economia determinata dalla necessità di provvedere d’urgenza
doveva risultare da un verbale, nel quale dovevano essere
indicati i motivi dello stato di urgenza, le cause che lo
avevano provocato e i lavori necessari per rimuoverlo (art.
146, 1° comma).
Il verbale doveva poi essere compilato dal responsabile del
procedimento o da un tecnico all’uopo incaricato e,
unitamente alla perizia estimativa, andava trasmesso alla
stazione appaltante, per la copertura della spesa e
l’autorizzazione dei lavori (art. 146, 2° comma).
Per altro verso, l’art. 147, 1° comma, disponeva che: “In
circostanze di somma urgenza che non consentono alcun
indugio, il soggetto fra il responsabile del procedimento e
il tecnico che si reca prima sul luogo, può disporre,
contemporaneamente alla redazione del verbale di cui
all’articolo 146, l'immediata esecuzione dei lavori entro il
limite di 200.000 Euro o comunque di quanto indispensabile
per rimuovere lo stato di pregiudizio alla pubblica
incolumità.”
Pertanto, l’esecuzione dei lavori di cui trattasi può essere
affidata in forma diretta ad una o più imprese individuate
dal responsabile del procedimento o dal tecnico, da questi
incaricato.
Ai sensi poi dell’art. 147, 4° comma, “il responsabile
del procedimento o il tecnico incaricato compila entro dieci
giorni dall’ordine di esecuzione dei lavori una perizia
giustificativa degli stessi e la trasmette, unitamente al
verbale di somma urgenza, alla stazione appaltante che
provvede alla copertura della spesa e alla approvazione dei
lavori.”
Sotto il profilo prettamente contabile, ex art. 191 del
D.Lgs. 267/2000, “1. Gli enti locali possono effettuare
spese solo se sussiste l'impegno contabile registrato sul
competente intervento o capitolo del bilancio di previsione
e l'attestazione della copertura finanziaria di cui
all'articolo 153, comma 5...
3. Per i lavori pubblici di somma urgenza, cagionati dal
verificarsi di un evento eccezionale o imprevedibile,
l'ordinazione fatta a terzi è regolarizzata, a pena di
decadenza, entro trenta giorni e comunque entro il 31
dicembre dell'anno in corso se a tale data non sia scaduto
il predetto termine. La comunicazione al terzo interessato è
data contestualmente alla regolarizzazione.
4. Nel caso in cui vi è stata l'acquisizione di beni e
servizi in violazione dell'obbligo indicato nei commi 1, 2 e
3, il rapporto obbligatorio intercorre, ai fini della
controprestazione e per la parte non riconoscibile ai sensi
dell'articolo 194, comma 1, lettera e), tra il privato
fornitore e l'amministratore, funzionario o dipendente che
hanno consentito la fornitura.”.
In estrema sintesi gli affidamenti
illegittimi di lavori e forniture non vincolano
l’Amministrazione ma danno origine ad un rapporto
obbligatorio tra il soggetto ordinante ed il fornitore.
Nel caso di specie le acquisizioni
documentali provano che gli affidamenti dei tre lavori in
esame, di cui in narrativa, sono avvenuti su presupposti
assolutamente non attendibili sì da violare i principi di
imparzialità e di trasparenza dell’azione
amministrativa nonché il criterio del confronto
concorrenziale, sancito dalla normativa di settore di
cui al D.Lgs. 163/2006.
In buona sostanza nella fattispecie sussiste l’incompletezza
e l’inattendibilità della contabilità dei lavori reperita,
l’inattendibilità di quanto attestato in ordine alla reale
tempistica di esecuzione dei lavori nonché degli atti
redatti e firmati, con le relative certificazioni su fatti
ed eventi, da parte dei soggetti istituzionalmente
competenti.
Sussistono anche gravi profili critici in ordine ai costi
effettivamente sostenuti dall’azienda affidataria dei
lavori, per l’esecuzione dei lavori di cui trattasi.
Risulta, infine, disatteso quanto normativamente stabilito
in materia di procedure amministrativo-contabili, stante che
all’ordine di esecuzione di lavori non è seguita la
deliberazione autorizzativa con la quale si sarebbe dovuto
provvede anche alla copertura della spesa
(per inciso intervenuta il 24.11.2008 dopo la delibera di
riconoscimento di debito del 30.09.2008).
Quanto sopra risulta dalle esaurienti acquisizioni
istruttorie che, distinte per i singoli affidamenti,
conseguono a specifici verbali di accesso effettuati dal
Nucleo di Polizia tributaria di Massa-Carrara, nel mese di
settembre 2013, presso le Ditte aggiudicatarie.
Tutto ciò premesso il Collegio condivide la
tesi di parte attrice per la quale sono chiamati a
rispondere dei fatti i convenuti:
- geom. Gi.Be., nella qualità di Direttore
dei Lavori e Tecnico incaricato per gli asseriti lavori di
somma urgenza, considerato che dagli atti risulta che egli
avrebbe provveduto ad effettuare il sopralluogo di verifica
dei lavori di cui trattasi, a sottoscrivere il verbale di
consegna dei lavori, a redigere il computo metrico nello
stesso giorno del sopralluogo, ad attestare, quale Direttore
dei lavori, che i lavori erano stati ultimati nelle date del
07-14-18.04.2008, certificandone poi l'avvenuta esecuzione “a
regola d'arte e in conformità alle prescrizioni contrattuali”
solo nelle date del 05-24.11.2008, momento posteriore al
riconoscimento di debito (30.09.2008);
- del Segretario generale dott. Ca.Fe. che
ha assistito alla seduta consiliare del 30.09.2008, ed in
relazione alle funzioni di assistenza giuridico
amministrativa avrebbe dovuto rilevare la carente
documentazione o quantomeno la violazione di quanto
normativamente previsto in tema di regolarizzazione
dell’ordinazione fatta a terzi, con i correlati limiti
oggettivi relativi al riconoscimento della legittimità dei
debiti fuori bilancio;
- dell’Assessore Fa.Br., relatore della
proposta di riconoscimento del debito che, in considerazione
degli specifici obblighi di sovrintendenza che fanno carico
all’assessore delegato dal Sindaco per il settore di sua
specifica competenza, non ha, quantomeno, rilevato che, alla
data del 30.09.2008, la documentazione agli atti dell’Ente
non consentiva di asserire che la somma complessiva di euro
225.737,00 (IVA inclusa) fosse correlata ad una accertata e
dimostrata utilità ed arricchimento per l’Ente, requisiti
normativamente richiesti al fine del riconoscimento di un
debito fuori bilancio.
Sussisterebbero, quindi, presupposti oggettivi per ritenere
che le condotte omissive e commissive poste in essere dai
soggetti suindicati abbiano determinato un pregiudizio
patrimoniale al Comune di Massa, in relazione agli oneri
accollati al bilancio comunale nella misura di cui infra.
Danno azionabile
Venendo al profilo della stima del danno, secondo la Procura
regionale, emerge che “una quota parte quantomeno pari al
40% della somma accollata al bilancio comunale costituisca
una spesa priva di utilità ed in quanto tale un danno
patrimoniale per il Comune di Massa”.
Tale condivisibile riduzione in via equitativa conseguirebbe
al non computo dell’utile di impresa pari
al 10% (che non spetterebbe in caso di affidamenti
illegittimi), del
risparmio non conseguito dall’Ente per mancato ricorso al
mercato concorrenziale nonché della non applicazione delle
penali per tardiva esecuzione dei lavori.
Al riguardo il tenore dei verbali di consegna ed ultimazione
dei lavori, tutti privi di protocollo, sono contraddetti
dalle fatture e dai documenti di trasporto acquisiti dalla
GdF.
Risultano noleggi di macchinari industriali e consegne di
materiali in data anteriore alla affidamento ufficiale dei
lavori nonché in data posteriore alla dichiarazione di
ultimazione degli stessi, tutti fatti idonei a dubitare del
tenore degli atti tecnici redatti dalla Amministrazione.
Da qui la sostanziale riduzione dell’utilitas della
spesa nei termini prospettati dalla Procura e, pertanto,
della spesa sostenuta pari nel totale ad €. 225.737,00 il
40% della stessa pari ad €. 90.294,80 sarebbe danno
azionabile e di questo, sempre secondo la Procura, il 35%
andrebbe (teoricamente) attribuito al de cuis Me., il
40% al Tecnico incaricato della Direzione lavori, il 15%
all’Assessore proponente ed il 10% al Segretario generale,
in ragione della diversa incidenza causale delle singole
condotte fonte del danno oggi azionato, parametrate in
relazione alle funzioni intestate nell’ambito
dell’Amministrazione comunale.
Ciò premesso in primo luogo deve essere disattesa
l’eccezione di prescrizione avanzata in quanto, dalle
acquisizioni istruttorie del Nucleo di polizia tributaria di
Massa-Carrara della GdF disposte nel settembre 2013, emerge
che tutti gli importi di cui trattasi sono stati oggetto di
mandati di pagamento (n. 145 del 20.01.2009 e n. 328 del
26.01.2009) emessi nell’arco quinquennale di prescrizione,
decorrente dalla notifica degli inviti a dedurre (dicembre
2013).
Per quanto sopra la richiesta risarcitoria deve essere
integralmente accolta sia pure non nelle percentuali
indicate dalla Procura.
In particolare il Collegio ritiene che l’apporto causale del
Responsabile del procedimento e Dirigente del Servizio
responsabile del parere di regolarità tecnica arch. La.Me.
sia meritevole di una potenziale condanna pari al 40%,
misura maggiore di quella indicata dalla Procura (35%),
il tutto in quanto ha apposto il proprio
visto sui verbali di regolare esecuzione, sul computo
metrico degli stessi e sui consuntivi di spesa ed ha,
altresì, istruito la delibera di riconoscimento dei debiti
fuori bilancio.
Per quanto concerne la posizione del Tecnico incaricato
della Direzione lavori geom. Gi.Be. il Collegio valuta
di elevare la percentuale di responsabilità al 45%, rispetto
al 40% della tesi attorea, alla luce del fatto che
il medesimo avrebbe redatto i verbali di somma urgenza,
datati senza alcun numero di protocollo di riferimento, il
giorno dopo l’evento atmosferico in uno con i verbali di
consegna dei lavori nonché con il computo metrico dei lavori
stessi.
Considerato che si sarebbe trattato di ben tre affidamenti
distinti la contemporanea formazione di tutti questi atti
tecnici di relativa complessità non pare plausibile, da qui
la maggior responsabilità del convenuto.
Diversamente la responsabilità del Segretario Generale
dr. Ca.Fe. e dell’Assessore ai Lavori pubblici e
relativa esecuzione sig. Fa.Br. deve essere
ridimensionata rispettivamente nel 10% e nel 5%
in considerazione della loro partecipazione alla
delibera in esame sulla quale non hanno espresso alcuna
riserva pur trattandosi di una procedimento “a sanatoria”
che avrebbe meritato opportuna ponderazione da parte dei
convenuti che, pur non avendo partecipato alla formazione
degli elaborati tecnici, ne hanno, sia pure in parte minima
avallato gli effetti.
In tali termini percentuali deve essere disposta la
condanna.
Detti importi dovranno, inoltre, essere maggiorati di
interessi e rivalutazione monetaria dalla data di emissione
dei relativi mandati di pagamento.
Dalla data di pubblicazione della presente sentenza sono
dovuti, infine, gli interessi nella misura del saggio legale
fino al momento del saldo;
PER QUESTI MOTIVI
la Sezione giurisdizionale della Corte dei conti per la
Regione Toscana, definitivamente pronunciando sul giudizio
n. 59846/R e respinta ogni contraria istanza ed eccezione,
in parziale conformità delle conclusioni del Pubblico
ministero,
CONDANNA
le parti convenute, in relazione alla richiesta risarcitoria
di €. 90.294,00 e preso atto della non azionabilità della
percentuale del 40% a carico di La.Me. medio-tempore
deceduto, al pagamento in favore della Amministrazione
comunale di Massa, senza vincolo di solidarietà, del residuo
importo di €. 54.176,40 nelle seguenti percentuali:
- Gi.Be. – 45%;
- Ca.Fe. – 10%;
- Fa.Br. – 5%,
oltre interessi e rivalutazione come esposto in motivazione.
Dalla data di pubblicazione della presente sentenza sono
dovuti gli interessi, nella misura del saggio legale, fino
alla data di effettivo pagamento
(Corte dei Conti, Sez. giurisdiz. Toscana,
sentenza 08.09.2015 n. 177). |
APPALTI:
In caso in cui il bando di gara non contenga una
comminatoria espressa, l’omessa indicazione nell’offerta
dello scorporo matematico degli oneri per la sicurezza per
rischio specifico non comporta di per sé l’esclusione dalla
gara ma rileva solo ai fini dell’anomalia del prezzo.
Quanto all’obbligo di indicazione nella offerta economica
degli oneri di sicurezza le argomentazioni reiettive del Tar
devono essere confermate atteso che nessuna comminatoria di
esclusione era stata prevista dal bando di gara in caso di
mancata indicazione degli oneri di sicurezza, né la mancata
indicazione è prevista tra le cause di esclusione indicate
dall’art. 46, co. 1-bis, del codice degli appalti.
Si richiamano i precedenti specifici di questo Consiglio in
materia in cui si è evidenziato che in caso in cui il bando
non contenga una comminatoria espressa, l’omessa indicazione
nell’offerta dello scorporo matematico degli oneri per la
sicurezza per rischio specifico non comporta di per sé
l’esclusione dalla gara ma rileva solo ai fini dell’anomalia
del prezzo (Cons. Stato III, 1030/2014; VI n. 3964/ 2014; V
n. 4907/2014) (Consiglio
di Stato, Sez. III,
sentenza 07.09.2015 n. 4132 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
In tema di
ammissione alla gara per l'affidamento di un contratto di
appalto di lavori pubblici o di servizi, in ordine alla
dichiarazione di sopralluogo, occorre distinguere tra dichiarazione a cura
del partecipante e verbale di sopralluogo a cura
della stazione appaltante; pertanto, si considera
sufficiente, ai fini dell'ammissione alla gara, la
dichiarazione di sopralluogo a prescindere dalle modalità
con cui esso sia stato eseguito, a meno che non sia
espressamente richiesto anche uno specifico verbale di
sopralluogo sulle relative modalità.
3. - Del pari
non meritevole di accoglimento è il terzo motivo di appello,
riproduttivo del motivo del ricorso incidentale in primo
grado, con cui veniva censurata la mancata effettuazione del
sopralluogo da parte del dottor Va. che si sarebbe
avvalso per l’adempimento di altro soggetto.
Dall’esame della documentazione versata in atti si evinceva
che effettivamente il sopralluogo, richiesto al punto 5.7
del bando di gara, era stato effettuato da un soggetto
diverso dall’istante, ma che tale soggetto era stato
espressamente delegato dal ricorrente a prendere visione
degli elaborati progettuali e del contesto urbano dove
avrebbe trovato spazio la nuova farmacia, e che il
ricorrente aveva fatto propria l’attività del delegato
mediante la produzione agli atti di gara di una
dichiarazione sostitutiva di notorietà e certificazione,
dichiarando espressamente di aver preso visione degli
elaborati progettuali e di conoscere il luogo presso cui
sarebbe stata insediata la nuova sede farmaceutica,
ottemperando, dunque, alle prescrizioni del suddetto punto
5.7..
Rilevava esattamente il Tar che in tema di ammissione alla
gara per l'affidamento di un contratto di appalto di lavori
pubblici o di servizi, in ordine alla dichiarazione di
sopralluogo, occorre distinguere tra dichiarazione a cura
del partecipante e verbale di sopralluogo a cura della
stazione appaltante; pertanto, si considera sufficiente, ai
fini dell'ammissione alla gara, la dichiarazione di
sopralluogo a prescindere dalle modalità con cui esso sia
stato eseguito, a meno che non sia espressamente richiesto
anche uno specifico verbale di sopralluogo sulle relative
modalità (Cons. Stato, sez. V, 07.07.2005, n. 3729) (Consiglio
di Stato, Sez. III,
sentenza 07.09.2015 n. 4132 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI: Sulla
responsabilità precontrattuale.
Come è stato condivisibilmente affermato
dalla giurisprudenza, deve escludersi la sussistenza di un
rapporto di antinomia e comunque di interferenza tra l'art.
109 del D.P.R. n. 554/1999 e l'art. 1337 c.c., dal momento
che la disposizione regolamentare non esclude affatto la
configurabilità di ipotesi di responsabilità
precontrattuale per fatto illecito, disciplinando
piuttosto le sole conseguenze patrimoniali dell'esercizio
della facoltà di non addivenire alla stipulazione del
contratto.
---------------
Chiarito che la domanda formulata dalla ricorrente va
qualificata in termini di responsabilità precontrattuale,
istituto che trova la propria regolamentazione nel Codice
civile, il quale, all'art. 1337, sancisce l'obbligo delle
parti di comportarsi secondo buona fede nello svolgimento
delle trattative e nella formazione del contratto, va
rammentato che tale ipotesi di responsabilità è ormai
pacificamente riferibile anche alla Pubblica Amministrazione
laddove, con il proprio comportamento, violi i doveri di
correttezza e di buona fede che gravano su un qualunque
soggetto nel corso delle trattative.
La responsabilità precontrattuale, infatti, è una
responsabilità da comportamento, non da provvedimento, che
incide non sull’interesse legittimo pretensivo
all’aggiudicazione, ma sul diritto soggettivo di
autodeterminarsi liberamente nei rapporti negoziali, sulla
libertà di compiere le proprie scelte negoziali senza subire
ingerenze illegittime frutto dell’altrui scorrettezza.
Dunque, in seno ad un procedimento ad evidenza pubblica può
configurarsi, accanto ad una responsabilità civile per
lesione dell'interesse legittimo, derivante dalla
illegittimità degli atti o dei provvedimenti relativi al
procedimento amministrativo di scelta del contraente, una
responsabilità di tipo precontrattuale per violazione di
norme imperative che pongono "regole di condotta", da
osservarsi durante l'intero svolgimento della procedura di
evidenza pubblica.
Le predette regole "di validità" e "di condotta", come
ribadito più volte dalla giurisprudenza amministrativa,
operano su piani distinti: non è necessaria la violazione
delle regole di validità per aversi responsabilità
precontrattuale e, viceversa, la inosservanza delle regole
di condotta può non determinare l'invalidità della procedura
di affidamento.
---------------
Non è necessario, ai fini della verifica di tale
responsabilità, accertare la legittimità o meno del rifiuto
di stipulare il contratto, avendo la giurisprudenza ormai
chiarito che la responsabilità precontrattuale è
configurabile anche nell'ipotesi di svolgimento di attività
amministrativa legittima, che, tuttavia, ben può essere
lesiva del principio di affidamento e buona fede.
Nel caso di specie la violazione degli obblighi di buona
fede emerge se si considera che l’Amministrazione comunale
ha definitivamente manifestato la propria volontà di non
addivenire alla stipulazione del contratto a due anni di
distanza dall’aggiudicazione definitiva, con una nota
piuttosto laconica quanto alla motivazione del ripensamento
(“per nuove situazioni intervenute che richiedono una
diversa valutazione dell’esigenza di ristrutturazione del
Palazzo Municipale”), nonostante diversi solleciti
dell’aggiudicataria (precisamente in data 22.11.2001,
17.06.2002 e 24.06.2003).
Tale comportamento, ad avviso del Collegio, concreta la
violazione degli obblighi di buona fede e correttezza di cui
all’art. 1337 c.c..
---------------
Il danno risarcibile a titolo di responsabilità
precontrattuale in relazione alla mancata stipula di un
contratto d'appalto è limitato all’interesse negativo e
comprende sia le spese sostenute dall'impresa per aver
partecipato alla gara (danno emergente), sia la perdita, se
adeguatamente provata, di ulteriori occasioni di
stipulazione di altri contratti altrettanto o maggiormente
vantaggiosi, impedite proprio dalle trattative indebitamente
interrotte (lucro cessante), con esclusione del mancato
guadagno che sarebbe derivato dalla stipulazione ed
esecuzione del contratto non concluso.
Si è infatti in
presenza della lesione dell'interesse giuridico al corretto
svolgimento delle trattative. La differenza in negativo del
patrimonio attiene all'interesse a non essere coinvolti in
trattative inutili e dispendiose, non già all'interesse alla
positiva esecuzione dei doveri contrattuali.
In relazione alla dimostrazione del danno, nei limiti delle
poste ammissibili sopra precisate, deve preliminarmente
rammentarsi che la regola generale dell'onere probatorio,
secondo cui spetta a chi agisce in giudizio indicare e
provare i fatti su cui fonda la propria pretesa, trova
integrale applicazione nel giudizio risarcitorio davanti al
giudice amministrativo. In tal giudizio infatti non ricorre
quella diseguaglianza di posizioni tra amministrazione e
privato che giustifica, nel giudizio di legittimità,
l'applicazione del principio dispositivo con metodo
acquisitivo.
Con il ricorso proposto l’impresa aggiudicataria
dell’appalto per i lavori di ristrutturazione del palazzo
municipale ha chiesto il risarcimento del danno dipendente
dalla mancata sottoscrizione del contratto.
Sul punto ha dedotto che l’Amministrazione avrebbe
esercitato il diritto di recesso dal contratto, ai sensi
dell’art. 122 del DPR 554/1999, applicabile ratione temporis.
Ciò determinerebbe, ad avviso della parte ricorrente,
l’obbligo dell’Amministrazione di pagare i lavori eseguiti e
il valore dei materiali utili esistenti in cantiere, oltre
al decimo dell'importo delle opere non eseguite.
A tale tesi si contrappone quella della difesa del Comune,
secondo cui nel caso di specie non potrebbe trovare
applicazione l’art. 122 del DPR 554/1999, non essendo mai
stato stipulato il contratto, bensì dovrebbe farsi
riferimento all’art. 109 dello stesso DPR 554/1999, secondo
cui l’Amministrazione avrebbe sessanta giorni di tempo per
addivenire alla stipulazione del contratto, decorsi i quali
l’impresa può ritenersi sciolta da ogni impegno. In tal caso
l’aggiudicatario non avrebbe diritto ad alcun compenso o
indennizzo, salvo il rimborso delle spese contrattuali e la
restituzione della cauzione versata (adempimento
quest’ultimo eseguito dal Comune in data 21.08.2003).
L’Amministrazione ha inoltre dedotto che, nel caso di
specie, il verbale di aggiudicazione atteneva esclusivamente
all’importo economico dell’appalto, tenuto conto del ribasso
di gara offerta dalla ricorrente, cui avrebbe dovuto seguire
la presentazione di un progetto esecutivo per la conseguente
valutazione definitiva e per la stipulazione del contratto,
circostanza che tuttavia non si sarebbe verificata.
Ad avviso del Collegio è necessario qualificare
correttamente la domanda alla luce dei suoi elementi
essenziali, di seguito evidenziati, e tenuto conto che il
petitum espressamente formulato (si vedano le conclusioni
dell’atto introduttivo del giudizio) consiste in una domanda
risarcitoria.
Ora, successivamente all’aggiudicazione definitiva
dell’appalto il Comune non ha proceduto alla conseguente
stipulazione del contratto e alla consegna dei lavori. Va
precisato che, diversamente da quanto sembra sostenere
l’Amministrazione resistente, l’aggiudicazione, di cui alla
determina n. 874 del 24.07.2001, non è sospensivamente
condizionata ad alcun adempimento da parte del contraente,
in particolare alla presentazione del progetto esecutivo.
Invero, secondo quanto previsto dal disciplinare di gara, la
stipulazione del contratto era subordinata, esclusivamente,
“al positivo esito delle procedure previste dalla normativa
vigente in materia di lotta alla mafia”.
Inoltre, con nota prot. n. 16200 del 07.08.2001, l’Amministrazione ha
richiesto, ai fini della predisposizione del contratto, la
consegna della cauzione definitiva, la ricevuta di
versamento dei diritti di segreteria, la corresponsione
dell’importo pari alla tassa di registrazione del contratto
e le relative marche da bollo. Si tratta in altri termini di
adempimenti materiali –strettamente funzionali alla
stipulazione del contratto- che, peraltro, l’impresa
aggiudicataria, con la nota del 22.11.2011, si è
dichiarata disponibile ad eseguire previa fissazione della
data di stipulazione del contratto stesso. Tuttavia il
contratto non è mai stato stipulato e, a distanza di due
anni dall’aggiudicazione, il Comune ha rappresentato la
propria volontà di non procedere, non volendo più dar corso
all’esecuzione dell’appalto.
A fronte di tali elementi, la questione sottoposta all’esame
del Collegio non è qualificabile come recesso da un
contratto, ai sensi dell’art. 122 del DPR 554/1999, non
essendo mai stato stipulato l’atto negoziale, ma è
riconducibile ad un’ipotesi di responsabilità
precontrattuale, ai sensi dell’art. 1337 c.c..
In tal senso
quindi deve essere qualificata l’azione proposta, ai sensi
dell’art. 32, comma 2, c.p.a., in relazione alla quale
sussiste la giurisdizione del giudice amministrativo sia
proprio in ragione della non intervenuta stipulazione (da
ritenersi la linea ideale di confine tra fase procedimentale
autoritativa e fase contrattuale da cui origina un rapporto
di natura paritetica tra contraenti) sia in quanto la
domanda, così come riqualificata dal Tribunale, è volta alla
tutela risarcitoria di una posizione giuridica soggettiva
che ha natura di interesse legittimo in quanto si esplica in
una fase –quella antecedente alla stipulazione del
contratto– governata dal potere autoritativo
dell’Amministrazione.
Deve precisarsi che, ad avviso del Collegio, non trova
applicazione, nella fattispecie di cui è causa, neppure la
disposizione di cui all’art. 109 del citato DPR 554/1999,
invocato dall’Amministrazione resistente.
La norma infatti dispone che, decorso il termine previsto
per la stipulazione del contratto, l'impresa può, mediante
atto notificato alla stazione appaltante sciogliersi da ogni
impegno; in caso di mancata presentazione dell'istanza,
all'impresa non spetta alcun indennizzo. Si tratta in
sostanza di un diritto potestativo posto in capo
all’aggiudicataria.
Ora, nella vicenda all’esame non risulta che l’impresa
esercitato tale diritto. Infatti non solo non ha notificato
all’Amministrazione la propria determinazione di sciogliersi
dal vincolo nascente dall’aggiudicazione, ma anzi –come si
dirà in seguito– ha più volte sollecitato la stazione
appaltante ad addivenire alla stipulazione del contratto,
manifestando quindi una volontà di segno nettamente
contrario a quella di ritenersi “liberata”.
Va ulteriormente precisato che la non applicabilità del
disposto di cui all’art. 109 del DPR 554/1999 non preclude
di configurare nella specie un’ipotesi di responsabilità
precontrattuale.
Come è stato condivisibilmente affermato dalla
giurisprudenza (cfr. TAR Napoli sez. VIII 05.06.2012,
n. 2646), infatti, deve escludersi la sussistenza di un
rapporto di antinomia e comunque di interferenza tra l'art.
109 del D.P.R. n. 554/1999 e l'art. 1337 c.c., dal momento
che la disposizione regolamentare non esclude affatto la
configurabilità di ipotesi di responsabilità precontrattuale
per fatto illecito, disciplinando piuttosto le sole
conseguenze patrimoniali dell'esercizio della facoltà di non
addivenire alla stipulazione del contratto.
Chiarito che la domanda formulata dalla ricorrente va
qualificata in termini di responsabilità precontrattuale,
istituto che trova la propria regolamentazione nel Codice
civile, il quale, all'art. 1337, sancisce l'obbligo delle
parti di comportarsi secondo buona fede nello svolgimento
delle trattative e nella formazione del contratto, va
rammentato che tale ipotesi di responsabilità è ormai
pacificamente riferibile anche alla Pubblica Amministrazione
laddove, con il proprio comportamento, violi i doveri di
correttezza e di buona fede che gravano su un qualunque
soggetto nel corso delle trattative (Cons. Stato, sez. VI,
n. 633 del 2013 ; Cons. Stato sez. IV, n. 744/2014 e n.
4674/2014).
La responsabilità precontrattuale, infatti, è una
responsabilità da comportamento, non da provvedimento, che
incide non sull’interesse legittimo pretensivo
all’aggiudicazione, ma sul diritto soggettivo di
autodeterminarsi liberamente nei rapporti negoziali, sulla
libertà di compiere le proprie scelte negoziali senza subire
ingerenze illegittime frutto dell’altrui scorrettezza.
Dunque, in seno ad un procedimento ad evidenza pubblica può
configurarsi, accanto ad una responsabilità civile per
lesione dell'interesse legittimo, derivante dalla
illegittimità degli atti o dei provvedimenti relativi al
procedimento amministrativo di scelta del contraente, una
responsabilità di tipo precontrattuale per violazione di
norme imperative che pongono "regole di condotta", da
osservarsi durante l'intero svolgimento della procedura di
evidenza pubblica.
Le predette regole "di validità" e "di condotta", come
ribadito più volte dalla giurisprudenza amministrativa,
operano su piani distinti: non è necessaria la violazione
delle regole di validità per aversi responsabilità
precontrattuale e, viceversa, la inosservanza delle regole
di condotta può non determinare l'invalidità della procedura
di affidamento.
Orbene, ciò detto, ritiene il Collegio sussistente, nella
vicenda di cui è causa, la responsabilità precontrattuale
dell’Amministrazione comunale.
Non è necessario, ai fini della verifica di tale
responsabilità, accertare la legittimità o meno del rifiuto
di stipulare il contratto (accertamento peraltro non
richiesto dalla parte ricorrente), avendo la giurisprudenza
ormai chiarito che la responsabilità precontrattuale è
configurabile anche nell'ipotesi di svolgimento di attività
amministrativa legittima, che, tuttavia, ben può essere
lesiva del principio di affidamento e buona fede (cfr. Ad.
Plen. n. 6/2005).
Nel caso di specie la violazione degli obblighi di buona
fede emerge se si considera che l’Amministrazione comunale
ha definitivamente manifestato la propria volontà di non
addivenire alla stipulazione del contratto a due anni di
distanza dall’aggiudicazione definitiva, con una nota
piuttosto laconica quanto alla motivazione del ripensamento
(“per nuove situazioni intervenute che richiedono una
diversa valutazione dell’esigenza di ristrutturazione del
Palazzo Municipale”), nonostante diversi solleciti
dell’aggiudicataria (precisamente in data 22.11.2001,
17.06.2002 e 24.06.2003).
Tale comportamento, ad avviso del Collegio, concreta la
violazione degli obblighi di buona fede e correttezza di cui
all’art. 1337 c.c..
Il danno risarcibile a titolo di responsabilità
precontrattuale in relazione alla mancata stipula di un
contratto d'appalto è limitato all’interesse negativo e
comprende sia le spese sostenute dall'impresa per aver
partecipato alla gara (danno emergente), sia la perdita, se
adeguatamente provata, di ulteriori occasioni di
stipulazione di altri contratti altrettanto o maggiormente
vantaggiosi, impedite proprio dalle trattative indebitamente
interrotte (lucro cessante), con esclusione del mancato
guadagno che sarebbe derivato dalla stipulazione ed
esecuzione del contratto non concluso.
Si è infatti in
presenza della lesione dell'interesse giuridico al corretto
svolgimento delle trattative. La differenza in negativo del
patrimonio attiene all'interesse a non essere coinvolti in
trattative inutili e dispendiose, non già all'interesse alla
positiva esecuzione dei doveri contrattuali.
In relazione alla dimostrazione del danno, nei limiti delle
poste ammissibili sopra precisate, deve preliminarmente
rammentarsi che la regola generale dell'onere probatorio,
secondo cui spetta a chi agisce in giudizio indicare e
provare i fatti su cui fonda la propria pretesa, trova
integrale applicazione nel giudizio risarcitorio davanti al
giudice amministrativo. In tal giudizio infatti non ricorre
quella diseguaglianza di posizioni tra amministrazione e
privato che giustifica, nel giudizio di legittimità,
l'applicazione del principio dispositivo con metodo
acquisitivo.
Ciò posto, la parte ricorrente non ha dato dimostrazione del
danno subito né in termini di danno emergente né di lucro
cessante. Quanto a tale secondo profilo nessuna allegazione
è stata fornita in ordine ad eventuali occasioni perse
durante la pendenza delle trattative, ovvero nell’attesa di
stipulare il contratto. Quanto alle spese sostenute, secondo
quanto risulta dalla documentazione prodotta in giudizio, la
cauzione provvisoria è stata restituita.
In relazione alla
polizza fideiussoria presentata a garanzia degli obblighi
inerenti la partecipazione alla gara, di cui è stata
prodotta copia, non è stata data dimostrazione dei premi
corrisposti, mediante idonea documentazione, riportando,
invero, la copia della polizza predetta l’importo della rata
iniziale del premio, ma non essendo stata fornita
dimostrazione dell’effettivo pagamento della stessa ed
eventualmente delle rate successive.
Nessuna allegazione è stata poi fornita in relazione a
possibili ulteriori voci di danno.
In conclusione la domanda, così come sopra qualificata, deve
essere respinta
(TAR Lombardia-Milano, Sez. III,
sentenza 02.09.2015 n. 1918 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
agosto 2015 |
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APPALTI:
Diritto di accesso agli atti di una procedura negoziata.
Questioni inerenti la sussistenza o meno dell'interesse
all'accesso e decorrenza dei termini per la conclusione del
procedimento di accesso.
1) Il soggetto che ha partecipato alla
procedura concorsuale è titolare di un interesse qualificato
e differenziato alla regolarità della procedura che, come
tale, concretizza quell'interesse personale e concreto per
la tutela di situazioni giuridicamente rilevanti che in
puntuale applicazione dell'art. 22 della L. n. 241/1990, è
richiesto quale presupposto necessario per il riconoscimento
del diritto di accesso.
2) Il procedimento di accesso deve concludersi nel termine
di trenta giorni decorrenti dalla presentazione della
richiesta all'ufficio competente. Qualora la richiesta di
accesso, relativa alla documentazione presentata dalla ditta
aggiudicataria, abbia ad oggetto documenti 'non esistenti'
in quanto l'amministrazione non ha ancora ultimato la
procedura di aggiudicazione, vi è l'impossibilità di far
decorrer i termini come indicati dal legislatore e
l'amministrazione dovrebbe disporre il differimento dello
stesso al momento della aggiudicazione definitiva.
Il Comune chiede di conoscere un parere in merito ad
un'istanza di accesso agli atti pervenutagli da una ditta
che era stata invitata a partecipare ad una procedura
negoziata indetta dall'Ente ai sensi dell'articolo 30 del
decreto legislativo 12.04.2006, n. 163. [1]
Più in particolare, precisa di avere, in prima battuta,
pubblicato un avviso di indagine volto ad individuare le
imprese da invitare e di avere, successivamente, invitato
tutte le ditte che avevano manifestato il loro interesse in
tal senso. Riferisce, altresì, che l'indicata ditta, che non
ha presentato nei termini la propria offerta, ha richiesto 'copia
integrale dei verbali di gara e della documentazione
amministrativa presentata dalla ditta aggiudicataria';
tale richiesta è stata inoltrata al Comune lo stesso giorno
in cui si è tenuta la seduta pubblica destinata all'apertura
dei plichi di gara. [2]
A sostegno della propria istanza di diritto di accesso la
ditta ha addotto le seguenti motivazioni: 'tutela del
proprio legittimo diritto alla verifica dell'esistenza di
eventuali vizi procedurali, di vizi nella documentazione di
gara, nonché manifesta illogicità nelle previsioni della lex
specialis' e 'aggiornamento delle proprie anagrafiche
commerciali'. Attesa la fattispecie descritta l'Ente
desidera sapere:
1) se sussista il diritto del richiedente ad ottenere
l'accesso alla documentazione;
2) da quando decorre il termine di trenta giorni entro cui
deve chiudersi il procedimento di accesso.
In via preliminare, si ricorda che compito dello scrivente
Ufficio è fornire consulenza giuridico-amministrativa nelle
materie di interesse per gli enti locali. Non spetta allo
scrivente assumere decisioni o compiere valutazioni che
competono unicamente al Comune che ha posto il quesito. Di
conseguenza, di seguito, si forniscono una serie di
considerazioni generali che possano orientare l'Ente nelle
decisioni da assumere in relazione alla fattispecie
concreta.
In termini generali, si osserva che l'articolo 22, comma 1,
della legge 07.08.1990, n. 241, precisa, alla lettera a),
che per 'diritto di accesso' si intende il «diritto
degli interessati di prendere visione e di estrarre copia di
documenti amministrativi» e, alla lettera b), che per 'interessati'
debbano intendersi «tutti i soggetti privati, compresi
quelli portatori di interessi pubblici o diffusi, che
abbiano un interesse diretto, concreto e attuale,
corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata e
collegata al documento al quale è chiesto l'accesso».
Al fine del riconoscimento dell'interesse giuridicamente
rilevante, il soggetto deve, pertanto, dimostrare che esiste
una correlazione tra la propria situazione giuridica
soggettiva e l'utilità di conoscere il bene o la vicenda,
oggetto dell'atto o del documento amministrativo di cui
chiede visione o copia. La domanda di accesso deve, quindi,
essere finalizzata alla tutela di uno specifico interesse
giuridico di cui il richiedente è portatore.
Come rilevato dalla giustizia amministrativa, si osserva, in
particolare, che 'deve pur sempre sussistere un legame
tra finalità dichiarata e documento richiesto, con la
conseguenza che il titolare deve esternare non solo le
ragioni per cui intende accedere ma, soprattutto, la
coerenza di tali ragioni con gli scopi alla cui
realizzazione il diritto di accesso è preordinato.'
[3]
Ed, invero, per la giurisprudenza, l'articolo 22, legge
241/1990, lungi dall'aver introdotto una forma di azione
popolare, diretta a consentire una sorta di verifica diffusa
dell'attività amministrativa, 'deve correlarsi ad un
interesse qualificato, che giustifichi la cognizione di
determinati documenti, onde l'accesso agli atti della p.a. è
consentito soltanto a coloro cui gli atti stessi,
direttamente o indirettamente, si rivolgano e che se ne
possano eventualmente avvalere per la tutela di una
posizione soggettiva la quale, anche se non assurta alla
consistenza dell'interesse legittimo o del diritto
soggettivo, deve comunque essere giuridicamente tutelata,
non essendo consentito identificarla con il generico ed
indistinto interesse di ogni cittadino al buon andamento
dell'attività amministrativa (v. art. 97, Cost.)'.
[4]
Che non possano ritenersi ammissibili istanze di accesso
preordinate ad un controllo generalizzato dell'operato delle
pubbliche amministrazioni è, del resto, sancito anche dalla
legge 241/1990, all'articolo 24, comma 3, nella versione
introdotta dalla legge 11.02.2005, n. 15.
Con riferimento alle procedure di gara occorre segnalare
l'orientamento giurisprudenziale che sostiene come 'il
soggetto che abbia partecipato alla procedura concorsuale è
titolare di un interesse qualificato e differenziato alla
regolarità della procedura che, come tale, concretizza
quell'interesse personale e concreto per la tutela di
situazioni giuridicamente rilevanti che in puntuale
applicazione dell'art. 22 della L. n. 241/1990, è richiesto
quale presupposto necessario per il riconoscimento del
diritto di accesso'. [5]
Circa la possibilità di applicare tale principio alla
fattispecie in esame, caratterizzata dal fatto che la ditta
che ha avanzato la richiesta di accesso agli atti, benché
abbia manifestato il proprio interesse alla gara nel corso
dell'indagine di mercato svolta dal Comune, non ha,
successivamente, seppur invitata a partecipare, presentato
la propria offerta, [6]
si riportano i contributi giurisprudenziali espressi
sull'argomento.
In un caso concernente una ditta che aveva partecipato alle
fasi di prequalificazione di una gara a procedura ristretta,
ma che, benché ammessa alla fase finale, a causa della
complessità del progetto, non aveva presentato la propria
offerta, [7]
il giudice amministrativo ha ritenuto sussistere il diritto
all'accesso ai documenti della fase finale della gara.
[8]
A sostegno di un tanto ha affermato che: 'Anche ove si
volesse interpretare la comunicazione dell'impresa di non
essere in grado di formulare un'offerta come rinuncia alla
gara, non vi è da dubitare che l'interesse alla regolarità
di questa permanesse e fosse qualificato e specifico. [...]
In primo luogo, [...] la procedura concorsuale in questione
è unica, anche se suddivisa in due fasi le quali, a
determinati fini, possono anche rispondere a norme e
principi diversi, senza che per ciò venga meno l'unicità
della gara. [9]
In secondo luogo, ed in conseguenza del primo punto,
l'interesse della richiedente deve essere giudicato tenendo
conto che essa è una partecipante alla gara stessa, vale a
dire è un operatore del settore con un interesse concreto e
specifico a quella determinata gara, al quale la
giurisprudenza, come è noto, ha riconosciuto ormai una
molteplicità di interessi. Oltre a quello tradizionale alla
legittimità e regolarità della gara cui partecipa, anche
alla demolizione della gara stessa quando ciò conduca alla
non aggiudicazione del contratto ed alla sua ripetizione.
[...]'.
Si ritiene interessante riportare anche le considerazioni di
altra giurisprudenza [10]
che, con riferimento ad un caso similare
[11] a quello in
esame ha affermato: 'In primo luogo non vi è alcuna
necessità di esternare nella istanza di accesso alla
documentazione di una gara pubblica le ragioni giuridiche
sottese alla richiesta stessa, l'accesso si giustifica con
il diritto di chi alla gara ha partecipato di conoscere le
modalità di svolgimento della procedura e le determinazioni
prese dall'Amministrazione. [...] Non è, poi, dubbio,
neanche per il primo giudice, [12]
che la richiesta di partecipazione, seguita dall'invito
dell'Amministrazione a presentare la propria offerta,
integri una posizione di legittimazione all'accesso agli
atti della gara che non è esclusa dalla circostanza della
mancata presentazione dell'offerta. Da altra angolazione si
deve rilevare che nel caso di specie vi era stato un
contraddittorio, tra la Società appellante ed il Comune di
XX, in ordine alle caratteristiche tecniche dell'opera da
realizzare [...]. Era, infatti, ben chiaro
all'Amministrazione Comunale il motivo che induceva la
Società attuale appellante a verificare le condizioni di
realizzazione del parcheggio per tutelarsi eventualmente in
sede giurisdizionale per il pregiudizio subito per non aver
potuto partecipare alla gara in forza delle carenze
progettuali di cui aveva rappresentato l'esistenza. Nella
fattispecie qui considerata sussiste in modo evidente, ad
avviso del Collegio, l'interesse diretto alla tutela di
«situazioni giuridicamente rilevanti» che a tenore dell'art.
22, primo comma, della legge 07.08.1990, n. 241, consente
l'accesso ai documenti amministrativi da parte dei privati'.
[13]
In conclusione, su tale aspetto, si osserva che le pronunce
sopra riportate hanno riconosciuto l'esistenza del diritto
di accesso a tutta la documentazione di gara in capo a
quelle imprese che, benché non presentatrici dell'offerta,
avevano preso parte alla fase precedente di
prequalificazione (o preselezione). Caratteristica comune ai
casi giurisprudenziali citati, tuttavia, era l'avvenuta
comunicazione o l'intervenuto scambio di note, da parte
delle indicate imprese alla P.A. appaltante, concernenti le
motivazioni a sostegno della non presentazione dell'offerta
e consistenti nella paventata esistenza di carenze o
complessità progettuali dell'opera da realizzare.
[14]
Passando a trattare della seconda questione posta, sempreché
si ritenga esistente l'interesse all'accesso da parte del
richiedente lo stesso, si forniscono le seguenti
considerazioni.
Il D.P.R. 12.04.2006, n. 184, 'Regolamento recante
disciplina in materia di accesso ai documenti amministrativi',
all'articolo 6, comma 4, recita: 'Il procedimento di
accesso deve concludersi nel termine di trenta giorni, ai
sensi dell'articolo 25, comma 4, della legge,
[15]
decorrenti dalla presentazione della richiesta all'ufficio
competente o dalla ricezione della medesima nell'ipotesi
disciplinata dal comma 2'.
Il medesimo regolamento, all'articolo 2, comma 2, prevede,
altresì, che: 'Il diritto di accesso si esercita con
riferimento ai documenti amministrativi materialmente
esistenti al momento della richiesta e detenuti alla stessa
data da una pubblica amministrazione, di cui all'articolo
22, comma 1, lettera e), della legge, nei confronti
dell'autorità competente a formare l'atto conclusivo o a
detenerlo stabilmente. La pubblica amministrazione non è
tenuta ad elaborare dati in suo possesso al fine di
soddisfare le richieste di accesso'.
Con riferimento alla fattispecie in esame risulta evidente
che la richiesta di accesso ha ad oggetto documenti 'non
esistenti' ciò in quanto l'amministrazione non ha ancora
ultimato la procedura di aggiudicazione con impossibilità di
individuazione degli atti richiesti. Di qui l'impossibilità
di far decorrere i termini come indicati dal legislatore.
A fronte della situazione prospettata, e nell'impossibilità
di dare seguito alla richiesta di accesso agli atti,
l'amministrazione dovrebbe disporre il differimento dello
stesso al momento della aggiudicazione definitiva. In tal
senso depone, infatti, l'articolo 24, comma 4, della legge
241/1990 il quale recita: 'L'accesso ai documenti
amministrativi non può essere negato ove sia sufficiente
fare ricorso al potere di differimento'.
---------------
[1] L'articolo 30 del d.lgs. 163/2006 rubricato
'Concessione di servizi', al comma 3 prevede che: 'La scelta
del concessionario deve avvenire nel rispetto dei principi
desumibili dal Trattato e dei principi generali relativi ai
contratti pubblici e, in particolare, dei principi di
trasparenza, adeguata pubblicità, non discriminazione,
parità di trattamento, mutuo riconoscimento,
proporzionalità, previa gara informale a cui sono invitati
almeno cinque concorrenti, se sussistono in tale numero
soggetti qualificati in relazione all'oggetto della
concessione, e con predeterminazione dei criteri selettivi'.
[2] L'Ente precisa, altresì, che tale seduta è stata sospesa
non avendo un concorrente prodotto correttamente tutta la
documentazione richiesta e che, pertanto, non essendosi
proceduto all'apertura di tutte le buste, si procederà in
tal senso in fase di riapertura della seduta stessa.
[3] In tal senso si legga TAR Ancona, sentenza del
30.03.2005, n. 274.
[4] TAR Emilia Romagna, Parma, sez. I, sentenza del
09.02.2010, n. 52.
[5] TAR Calabria, Catanzaro, sez. II, sentenza del
05.08.2013, n. 861; TAR Campania, Salerno, sez. II, sentenza
del 24.06.2013, n. 1408; TAR Lazio, Roma, sez. II, sentenza
del 24.10.2012, n. 8772; TAR Lazio, Roma, sez. III, sentenza
dell'08.07.2008, n. 6450.
[6] Si precisa che l'indicata ditta ha comunicato
all'Amministrazione che si trovava nell'impossibilità di
formulare un'offerta a causa di impegni precedentemente
presi, che saturavano la sua attuale disponibilità.
[7] Si precisa che la ditta in questione aveva, dapprima,
chiesto una proroga del termine di consegna dell'offerta
formulando una serie di quesiti connessi alla complessità
del progetto e, successivamente, 'presentava alla stazione
appaltante una nota in ordine all'impossibilità, alla luce
delle tecniche richieste, di prestare una qualsiasi offerta,
impegnandosi, tuttavia, a formulare tale offerta in caso di
gara deserta'.
[8] Cons. Giust. Amm., sentenza del 05.12.2007, n. 1087.
[9] Sul tema del rapporto intercorrente tra la trattativa
privata vera e propria e la c.d. indagine di mercato si
veda, anche, TAR Veneto, sez. I, sentenza del 04.11.2002, n.
6199.
[10] Consiglio di Stato, sez. V, sentenza del 10.05.2005, n.
2340.
[11] Più in particolare, si trattava di una società che
aveva presentato una richiesta di partecipazione alla gara
cui aveva fatto seguito la lettera di invito del Comune; la
medesima società non aveva, tuttavia, successivamente
presentato l'offerta. Nel caso di specie vi era stato, tra
l'altro, un contraddittorio tra la società e il Comune
instaurato con un duplice scambio di note avente ad oggetto
le perplessità esternate dalla impresa sulla progettazione
dell'opera e sugli eventuali rischi idraulici derivanti
dalla realizzazione della stessa secondo le modalità
progettate.
[12] Si osserva, più precisamente, che il giudice di primo
grado ha ricordato il principio che vede la legittimazione
all'accesso documentale da parte della ditta ammessa ad una
gara ma non offerente correlandolo, tuttavia, all'ulteriore
requisito, presente nel caso esaminato dal giudice
amministrativo, della contestazione da parte dell'impresa
del comportamento di non collaborazione della pubblica
amministrazione, il quale radicherebbe in capo alla stessa
un interesse giuridicamente rilevante a conoscere gli
ulteriori atti del procedimento di gara.
[13] Per completezza espositiva, si riportano le
considerazioni espresse sempre dalla magistratura
amministrativa (TAR Lazio, Roma, sez. III-ter, sentenza del
10.05.2011, n. 4081) in ordine ad una fattispecie relativa
ad un'impresa che, benché non partecipante alla gara (non
essendovi stata alcuna fase prodromica all'espletamento
della procedura concorsuale vera e propria) aveva motivato
di essere titolare di un interesse qualificato all'accesso,
'in qualità di primaria operatrice nel settore della
locazione a lungo termine di veicoli senza conducente,
aspirando, attraverso l'impugnativa di tali atti, alla
rinnovazione della procedura concorsuale ed alla
partecipazione a seguito di rinnovazione della gara'.
Il caso, benché differente nei suoi presupposti dalla
fattispecie in esame, si ritiene interessante nel punto in
cui il giudice, nel negare la sussistenza del diritto
all'accesso, afferma che: 'Con riferimento ai fatti in
controversia, la ricorrente afferma di avere una posizione
giuridica differenziata in quanto mira alla riedizione della
procedura concorsuale di cui si tratta, ancorché la medesima
non vi abbia preso parte, né abbia lamentato l'impossibilità
di prendervi parte a causa della apposizione di clausole del
bando impeditive o limitative della partecipazione alla
gara. [...] Ritiene il Collegio che il diritto di accesso
agli atti amministrativi non può estendersi ad un sindacato
generalizzato dell'intera attività nell'ambito di una
procedura concorsuale cui si è rimasti volontariamente
estranei, attraverso l'enunciazione di un interesse
meramente esplorativo, e privo dell'indicazione di alcun
principio di prova in ordine alle illegittimità che si
sarebbero perpetrate [...]'.
[14] Per completezza espositiva, si segnala come utile il
riferimento alla previsione di cui all'articolo 13, del
D.Lgs. 163 benché lo stesso non sia direttamente applicabile
alla fattispecie in esame atteso il disposto di cui
all'articolo 30, comma 1, del Codice dei contratti pubblici
il quale recita: 'Salvo quanto disposto nel presente
articolo, le disposizioni del codice non si applicano alle
concessioni di servizi'. Tale articolo, concernente 'Accesso
agli atti e divieti di divulgazione', al comma 2, lett. b),
prevede che il diritto di accesso sia differito 'nelle
procedure ristrette e negoziate, e in ogni ipotesi di gara
informale, in relazione all'elenco dei soggetti che hanno
fatto richiesta di invito o che hanno segnalato il loro
interesse, e in relazione all'elenco dei soggetti che sono
stati invitati a presentare offerte e all'elenco dei
soggetti che hanno presentato offerte, fino alla scadenza
del termine per la presentazione delle offerte medesime
[...]'.
Al riguardo merita segnalare che, impregiudicata la
questione sull'esistenza del diritto ad accedere alla
documentazione presentata dalla ditta aggiudicataria, la
legge riconosce l'esistenza del diritto all'accesso ai
documenti ivi indicati ma con differimento della loro
ostensione al momento della scadenza del termine per la
presentazione delle offerte. Come affermato dalla
giurisprudenza la ratio della norma va individuata 'nell'esigenza
che, per quanto possibile, le imprese si presentino alla
gara non sulla base di accordi più o meno sotterranei, ma
sulla base delle regole dettate dal principio della
concorrenza, dato che la suindicata disposizione è orientata
non tanto alla tutela della sfera di riservatezza delle
imprese partecipanti al pubblico incanto o aspiranti
all'invito alla gara (ristretta o informale), quanto alla
garanzia della correttezza e trasparenza dei comportanti
connessi alla presentazione delle offerte o degli inviti
alla gara'. Così, tra le altre, Consiglio di Stato, sez. VI,
sentenza del 12.04.2005, n. 1678; TAR Puglia Lecce, sez. I,
sentenza del 03.09.2002, n. 3827.
[15] L'articolo 25, comma 4, della legge 241/1990 prevede
che 'decorsi inutilmente trenta giorni dalla richiesta,
questa si intende respinta [...]' (25.08.2015 -
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www.regione.fvg.it). |
LAVORI PUBBLICI - SICUREZZA LAVORO:
Ai sensi del d.PR. n. 554 del 1999, art.
7, comma 2 (regolamento di attuazione della legge
Quadro dei Lavori Pubblici), il responsabile del
procedimento (RUP) provvede a creare le condizioni
affinché il processo realizzativo dell’intervento
risulti condotto nei tempi e costi preventivati e
nel rispetto della sicurezza e della salute dei
lavoratori, in conformità a qualsiasi altra
disposizione di legge in materia.
Inoltre egli, ai sensi dell’art. 8, lett. f), deve
coordinare le attività necessarie alla redazione del
progetto definitivo ed esecutivo, verificando che
siano rispettate le indicazioni contenute nel
documento preliminare alla progettazione e nel
progetto preliminare, nonché alla redazione del
piano di sicurezza e di coordinamento e del piano
generale di sicurezza.
Inoltre, ai sensi dell’art. 8, comma 3, egli vigila
sulla attività, valuta il piano di sicurezza e di
coordinamento e l’eventuale piano generale di
sicurezza e il fascicolo predisposti dal
coordinatore per la progettazione.
In sostanza a carico del RUP (responsabile unico del
procedimento) grava una posizione di garanzia
connessa ai compiti di sicurezza, non solo nella
fase genetica dei lavori, laddove vengono redatti i
piani di sicurezza, ma anche durante il loro
svolgimento, fase nella quale vige l’obbligo di
sorvegliarne la corretta attuazione, controllando
anche l’adeguatezza e la specificità dei piani di
sicurezza rispetto alla loro finalità, preordinata
alla incolumità dei lavoratori.
Con sentenza del 03.03.2010 il Tribunale di Sassari
condannava Ch.G.B.F. e altri in ordine al reato di
cui all'articolo 590, co. 1, 2 e 3, c.p. alla pena
di mesi due di reclusione, concesse le attenuanti
generiche con giudizio di equivalenza rispetto
all'aggravante contestata, con i benefici della
sospensione condizionale della pena e della non
menzione ex art. 175 c.p..
All'imputato, nella sua qualità di responsabile del
procedimento e dell'esecuzione dei lavori, era stato
contestato di avere cagionato per colpa generica e
specifica lesioni personali comportanti una malattia
di durata superiore ai quaranta giorni all'operaio
C.R. (costituito parte civile nel processo), che il
25.07.2002, a Siligo, era stato colpito
violentemente alla testa dall'entrata della pompa di
una betoniera erogante calcestruzzo.
In particolare al Ch., quale coordinatore in fase di
progettazione e di esecuzione dei lavori (per conto
della committente Amministrazione comunale di Siligo)
era stato contestato di avere omesso di far
applicare all'impresa esecutrice il piano di
sicurezza e di coordinamento (P.S.C.), ai sensi
dell'art. 5, 1 co., lett. b), d.lgs. 494/1996.
...
Va premesso che la responsabilità del Ch. è stata
ritenuta sulla base della sua qualità di "responsabile
del procedimento" e "responsabile dei lavori".
Sul responsabile dei lavori incombe, ai sensi del
d.PR. n. 494 del 1996, art. 6, l'obbligo della
verifica delle condizioni di sicurezza del lavoro in
attuazione dei relativi piani (art. 4 e art. 5,
comma 1, lett. a) d.PR. citato).
Orbene, ciò premesso, deve ricordarsi che ai sensi
del d.PR. n. 554 del 1999, art. 7, comma 2
(regolamento di attuazione della legge Quadro dei
Lavori Pubblici), il responsabile del procedimento
provvede a creare le condizioni affinché il processo
realizzativo dell'intervento risulti condotto nei
tempi e costi preventivati e nel rispetto della
sicurezza e della salute dei lavoratori, in
conformità a qualsiasi altra disposizione di legge
in materia. Inoltre egli, ai sensi dell'art. 8,
lett. f), deve coordinare le attività necessarie
alla redazione del progetto definitivo ed esecutivo,
verificando che siano rispettate le indicazioni
contenute nel documento preliminare alla
progettazione e nel progetto preliminare, nonché
alla redazione del piano di sicurezza e di
coordinamento e del piano generale di sicurezza.
Inoltre, ai sensi dell'art. 8, comma 3, egli vigila
sulla attività, valuta il piano di sicurezza e di
coordinamento e l'eventuale piano generale di
sicurezza e il fascicolo predisposti dal
coordinatore per la progettazione.
In sostanza a carico del RUP (responsabile unico del
procedimento) grava una posizione di garanzia
connessa ai compiti di sicurezza, non solo nella
fase genetica dei lavori, laddove vengono redatti i
piani di sicurezza, ma anche durante il loro
svolgimento, fase nella quale vige l'obbligo di
sorvegliarne la corretta attuazione, controllando
anche l'adeguatezza e la specificità dei piani di
sicurezza rispetto alla loro finalità, preordinata
alla incolumità dei lavoratori (cfr, Cass., sez. 4,
sent. n. 7597 dell'08.11.2013, Rv. 259123; Cass.,
sez. 4, sent. n. 41993 del 14.06.2011, Rv. 251925).
Orbene, nel caso di specie, come correttamente
rilevato dal giudice di merito, il Ch. è venuto meno
all'adempimento degli oneri gravanti a suo carico. I
giudici della Corte territoriale hanno infatti
evidenziato a tal proposito che i compiti
dell'imputato non potevano esaurirsi nella mera
redazione del P.S.C., dovendo egli anche svolgere
l'indispensabile opera di coordinatore che prevedeva
innanzitutto il controllo che il sub-appaltatore Fe.
avesse a sua volta predisposto il P.O.S e lo avesse
a sua volta portato a conoscenza dei lavoratori
interessati. Egli inoltre avrebbe dovuto accertarsi
che in cantiere sussistesse una buona coordinazione
tra appaltatore (E. s.r.l.), sub-appaltatore
(impresa individuale Fe.) e ditta incaricata del
solo gettito del calcestruzzo.
Le predette attività demandate al Ch. erano state da
lui omesse e tale omissione è collegata con nesso di
causalità all'evento lesivo per cui è giudizio.
La difesa ha sostenuto che la sentenza impugnata non
aveva spiegato da dove il Ch. avrebbe dovuto trarre
la conoscenza di un sub-appalto in favore del Fe. e
soprattutto della sua ritualità. Sul punto si
osserva che si tratta di una questione di fatto non
introdotta in appello e comunque entrambe le
sentenze, sia quella di primo, sia quella di secondo
grado, hanno ritenuto di non porre in dubbio la
conoscenza da parte del ricorrente del subappalto.
Il ricorso deve essere pertanto rigettato e il
ricorrente condannato al pagamento delle spese
processuali (massima tratta da http://renatodisa.com
- Corte di Cassazione, Sez. IV penale,
sentenza 04.08.2015 n. 34088). |
luglio 2015 |
|
LAVORI PUBBLICI: Condannato
per danno erariale il RUP che non applica la penale
di contratto.
Anche
il Giudice di primo grado ha, motivatamente, escluso
la responsabilità del Dirigente tecnico, ing. Te.,
che delegò al Ca. le funzioni di RUP responsabile
unico del procedimento. Non si tratta di delega di
poteri, ma di nomina, di assegnazione di funzioni a
soggetto sottoposto e fornito dei titoli.
Il Te. era il dirigente, quindi ben poteva nominare
il RUP e il Ca. non può affermare di essere stato un
mero esecutore, perché era un ingegnere, non un
impiegato di mero ordine.
L’articolo 10, comma 5, del d.lgs. 163/2006 (Codice
dei contratti pubblici) così definisce il RUP: "Il
responsabile del procedimento deve possedere titolo
di studio e competenza adeguati in relazione ai
compiti per cui è nominato. Per i lavori e i servizi
attinenti all'ingegneria e all'architettura deve
essere un tecnico. Per le amministrazioni
aggiudicatrici deve essere un dipendente di ruolo.
In caso di accertata carenza di dipendenti di ruolo
in possesso di professionalità adeguate, le
amministrazioni aggiudicatrici nominano il
responsabile del procedimento tra i propri
dipendenti in servizio".
Nell’atto con cui il suo dirigente gli conferiva
l’incarico specifico erano indicati i compiti tra
cui proprio il problema delle eventuali penali. La
Sezione territoriale ha correttamente individuato il
nesso di causalità tra il comportamento del Ca., in
relazione ai compiti attribuitigli, e il danno, con
particolare riferimento al parere reso al Consiglio
di amministrazione (CdA) sulla penale da applicare
al Gr. che aveva maturato lunghissimi ritardi
nell’esecuzione dell’attività di progettazione
commessagli (oltre 900 giorni).
---------------
Afferma l’appellante che l’incarico affidato al Gr.
venne modificato (ampliato) e, pertanto, non era
applicabile la clausola penale.
Si tratta di difesa già svolta in primo grado e su
cui la Sezione territoriale ha correttamente deciso,
con motivazione congrua e priva di vizi logici,
rilevando che l’ing. Gr. non chiese neppure la
modifica dei termini contrattuali per la consegna
degli elaborati e, comunque, il ritardo accumulato,
si può aggiungere, supera qualsiasi tolleranza e
possibilità di giustificazione con la maggiore
ampiezza dell’oggetto contrattuale.
---------------
L’appellante deduce che il danno non gli è
imputabile, perché imputabile a decisione del CdA.
A parte che il Ca. espresse il proprio parere al CdA
il quale sospese l’applicazione della penale proprio
sulla scorta del parere reso dall’appellante, resta
da dire che ha ragione il PG quando afferma che
-sulla base del principio di separazione tra potere
di indirizzo e potere di gestione– che spettava al
Ca., nella sua qualità di RUP di provvedere
all’applicazione della penale; il CdA si sarebbe
assunto la responsabilità della sospensione; ma nel
caso di specie è il Ca. che ha mancato, gravemente,
ai suoi doveri professionali.
---------------
Con la sentenza impugnata l’appellante, in parziale
accoglimento delle domande avverso lo stesso
proposte dalla Procura contabile territoriale, è
stato condannato (con altra persona) a pagare
–individualmente- alla società C.I.I.P. S.p.A. la
somma di euro 2.117,08 oltre la rivalutazione
monetaria dal 14.02.2008 e fino alla data di
pubblicazione della sentenza con gli interessi
legali decorrenti dalla data del deposito della
sentenza e fino al pagamento; oltre le spese del
giudizio, liquidate in complessivi euro 2.940,74.
Il Ca. propone appello per i seguenti motivi.
1) Errore di fatto e di diritto su un punto decisivo
del giudizio. Inderogabilità dell’ordine legale
delle competenze.
2) Inesistenza del danno erariale, inapplicabilità
della clausola penale.
3) Non imputabilità all’ing. Ca. della
responsabilità per non aver applicato all’ing.
Am.Gr. la sanzione prevista nel contratto di
affidamento dell’incarico.
Conclusioni dell’appellante: riforma della sentenza
impugnata, con assoluzione dell’ing. Ca. da ogni
addebito di responsabilità contestata, il tutto con
il favore delle spese di giudizio come per legge.
...
L’appello non merita accoglimento e la sentenza
impugnata deve essere confermata.
La Procura regionale ha contestato all’odierno
appellante (e ad altri due soggetti, uno dei quali
assolto e l’altro condannato, ma che non risulta
abbia appellato) il danno consistente nella mancata
applicazione della penale contrattuale nei confronti
del professionista (tale ingegner Gr.) incaricato
della progettazione del consolidamento dei Ponti
Tubo della rete di distribuzione idrica dei tratta
Pescara d’Arquata Sibillini, per il ritardo
nell’adempimento della prestazione.
Preliminarmente il Collegio osserva che l’atto
d’appello è proposto con insolita formula “e con”,
nei confronti degli altri soggetti evocati nel
giudizio di primo grado, in quanto “controinteressati”
(così, il difensore presente in udienza all’atto del
deposito della relazione di notifica nei loro
confronti); il Collegio osserva che nei confronti di
costoro non è proposta domanda alcuna e che il
giudizio di responsabilità amministrativa si
differenzia dal giudizio amministrativo, nel quale è
prevista la figura del controinteressato cui deve
essere partecipato il giudizio. Inoltre manca la
vocatio in ius anche nei confronti dell’altra
parte (necessaria) del giudizio e cioè il
Procuratore generale.
Tanto premesso, il Collegio può affrontare l’esame
del primo motivo d’appello.
Il motivo è infondato e anche il Giudice di primo
grado ha, motivatamente, escluso la responsabilità
del Dirigente tecnico, ing. Te., che delegò al Ca.
le funzioni di RUP responsabile unico del
procedimento. Non si tratta di delega di poteri, ma
di nomina, di assegnazione di funzioni a soggetto
sottoposto e fornito dei titoli.
Il Te. era il dirigente, quindi ben poteva nominare
il RUP e il Ca. non può affermare di essere stato un
mero esecutore, perché era un ingegnere, non un
impiegato di mero ordine.
L’articolo 10, comma 5, del d.lgs. 163/2006 (Codice
dei contratti pubblici) così definisce il RUP: "Il
responsabile del procedimento deve possedere titolo
di studio e competenza adeguati in relazione ai
compiti per cui è nominato. Per i lavori e i servizi
attinenti all'ingegneria e all'architettura deve
essere un tecnico. Per le amministrazioni
aggiudicatrici deve essere un dipendente di ruolo.
In caso di accertata carenza di dipendenti di ruolo
in possesso di professionalità adeguate, le
amministrazioni aggiudicatrici nominano il
responsabile del procedimento tra i propri
dipendenti in servizio".
Nell’atto con cui il suo dirigente gli conferiva
l’incarico specifico erano indicati i compiti tra
cui proprio il problema delle eventuali penali. La
Sezione territoriale ha correttamente individuato il
nesso di causalità tra il comportamento del Ca., in
relazione ai compiti attribuitigli, e il danno, con
particolare riferimento al parere reso al Consiglio
di amministrazione (CdA) sulla penale da applicare
al Gr. che aveva maturato lunghissimi ritardi
nell’esecuzione dell’attività di progettazione
commessagli (oltre 900 giorni).
Per quanto esposto, il motivo deve essere respinto.
Con il secondo motivo d’appello si eccepisce
l’inesistenza del danno per inapplicabilità della
clausola penale.
Afferma l’appellante che l’incarico affidato al Gr.
venne modificato (ampliato) e, pertanto, non era
applicabile la clausola penale.
Si tratta di difesa già svolta in primo grado e su
cui la Sezione territoriale ha correttamente deciso,
con motivazione congrua e priva di vizi logici,
rilevando che l’ing. Gr. non chiese neppure la
modifica dei termini contrattuali per la consegna
degli elaborati e, comunque, il ritardo accumulato,
si può aggiungere, supera qualsiasi tolleranza e
possibilità di giustificazione con la maggiore
ampiezza dell’oggetto contrattuale.
La sentenza della Corte di Cassazione citata
dall’appellante afferma che la clausola penale non
opera se, variata quantitativamente la prestazione,
la clausola penale viene meno se non viene fissato
un nuovo termine; nel caso di specie il termine
rimase immutato, ma un termine esisteva e doveva
essere rispettato nell’ipotesi, come nel caso di
specie in cui il contraente (ing. Gr.) non ebbe a
richiedere un nuovo diverso termine per
l’adempimento delle sue obbligazioni progettuali.
Con un terzo motivo, l’appellante deduce che
il danno non gli è imputabile, perché imputabile a
decisione del CdA.
A parte che il Ca. espresse il proprio parere al CdA
il quale sospese l’applicazione della penale proprio
sulla scorta del parere reso dall’appellante, resta
da dire che ha ragione il PG quando afferma che
-sulla base del principio di separazione tra potere
di indirizzo e potere di gestione– che spettava al
Ca., nella sua qualità di RUP di provvedere
all’applicazione della penale; il CdA si sarebbe
assunto la responsabilità della sospensione; ma nel
caso di specie è il Ca. che ha mancato, gravemente,
ai suoi doveri professionali.
Conclusivamente, per quanto esposto, il Collegio
respinge l’appello
(Corte dei Conti, Sez. I Centrale d'Appello,
sentenza 20.07.2015 n. 441). |
LAVORI PUBBLICI:
a) nel regime transitorio previsto dal comma 12,
prima parte, dell'art. 375 del d.P.R. n. 207 del 2010 per le
categorie non modificate dal nuovo regolamento, di validità
delle attestazioni rilasciate nella vigenza del d.P.R. n. 34
del 2000 “fino alla naturale scadenza prevista per ciascuna
di esse”, è applicabile l'onere di verifica triennale
imposto prima dall'art. 15-bis del d.P.R. n. 34 del 2000 e
poi dall'art. 77 del d.P.R. n. 207 del 2010;
b) nel regime transitorio dettato dall'art. 375, commi 13,
16 e 17, del d.P.R. n. 207 del 2010 e ss.mm.ii. per le
categorie "variate” non sussiste, durante il regime di
proroga, l'obbligo di verifica triennale, di cui agli artt.
15-bis del d.P.R. n. 34 del 2000 e 77 del d.P.R. n. 207 del
2010;
c) nelle gare di appalto per l’aggiudicazione di contratti
pubblici i requisiti generali e speciali devono essere
posseduti dai candidati non solo alla data di scadenza del
termine per la presentazione della richiesta di
partecipazione alla procedura di affidamento, ma anche per
tutta la durata della procedura stessa fino
all’aggiudicazione definitiva ed alla stipula del contratto,
nonché per tutto il periodo dell’esecuzione dello stesso,
senza soluzione di continuità.
...
7. - Con il primo quesito viene posto a questa
Adunanza Plenaria il problema se, nel regime transitorio
dettato dall’art. 357 del D.P.R. 05/10/2010, n. 207
(Regolamento di esecuzione ed attuazione del decreto
legislativo 12.04.2006, n. 163, recante «Codice dei
contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture in
attuazione delle direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE») ed
in particolare per il caso di bandi di gara pubblicati
precedentemente alla data di entrata in vigore del
regolamento (la gara d'appalto de qua è stata indetta con
bando trasmesso alla G.U.U.E. il 28.03.2011 e pubblicato
sulla G.U.R.I. il 01.04.2011), le disposizioni di cui ai
commi 12, 13, 16 e 17 del citato art. 357, per le
attestazioni SOA rilasciate secondo la “vecchia”
normativa di cui al D.P.R. n. 34/2000 (delle quali le dette
norme transitorie prevedono un periodo di ultrattività, come
si vedrà differenziato a seconda che si tratti di
attestazioni relative a categorie variate o meno dal
regolamento stesso ed in particolare, per quanto rileva nel
presente giudizio, alla categoria variata OG11 ed alla
categoria non variata OG1), sia comunque necessario, per
usufruire della “prorogatio“ successiva all’entrata
in vigore del regolamento e per il periodo ivi considerato
in misura come s’è detto distinta tra categorie variate o
meno, il requisito della verifica triennale, come prescritta
prima dall’art. 15-bis del d.P.R. n. 34 del 2000 e poi
dall’art. 76 del d.P.R. n. 207 del 2010; se, in definitiva,
detto adempimento debba considerarsi “doveroso” o
meno nell’anzidetto periodo transitorio ai fini del valido
utilizzo delle attestazioni SOA.
Osserva anzitutto il Collegio che così dispongono le citate
disposizioni transitorie: “12. Le attestazioni rilasciate
nella vigenza del decreto del Presidente della Repubblica n.
34 del 2000 nelle categorie non modificate dal presente
regolamento hanno validità fino alla naturale scadenza
prevista per ciascuna di esse; gli importi ivi contenuti,
dal cinquecentoquarantaseiesimo giorno dalla data di entrata
in vigore del presente regolamento, si intendono sostituiti
dai valori riportati all'articolo 61, commi 4 e 5. Cessano
di avere validità a decorrere dal
cinquecentoquarantaseiesimo giorno dalla data di entrata in
vigore del presente regolamento le attestazioni relative
alla categoria OG 11 di cui all' allegato A del decreto del
Presidente della Repubblica n. 34 del 2000, nonché le
attestazioni relative alle categorie OS 7, OS 8, OS 12, OS
18, OS 21, di cui all' allegato A del decreto del Presidente
della Repubblica n. 34 del 2000, e alla categoria OS 2,
individuata ai sensi del decreto del Presidente della
Repubblica n. 34 del 2000 e rilasciata ai sensi del
regolamento di cui al decreto del Ministro per i beni e le
attività culturali 03.08.2000, n. 294, e successive
modificazioni, relative a imprese che hanno ottenuto, a
seguito della riemissione dei certificati di esecuzione dei
lavori ai sensi del comma 14-bis, l'attestazione nelle
corrispondenti categorie modificate dal presente regolamento
…
13. Le attestazioni relative alle categorie OG 10, OG 11, OS
7, OS 8, OS 12, OS 18, OS 20, OS 21, di cui all'allegato A
del decreto del Presidente della Repubblica 25.01.2000, n.
34, e OS 2, individuata ai sensi del decreto del Presidente
della Repubblica 25.01.2000, n. 34 , e rilasciata ai sensi
del D.M. 03.08.2000, n. 294 , come modificato dal D.M.
24.10.2001, n. 420 , la cui scadenza interviene nel periodo
intercorrente tra la data di pubblicazione del presente
regolamento e la data di entrata in vigore dello stesso, si
intendono prorogate fino alla data di entrata in vigore del
presente regolamento…
16. Per trecentosessantacinque giorni successivi alla data
di entrata in vigore del presente regolamento, i soggetti di
cui all' articolo 3 , comma 1, lettera b), ai fini della
predisposizione dei bandi o degli avvisi con cui si indice
una gara nonché in caso di contratti senza pubblicazione di
bandi o avvisi ai fini della predisposizione degli inviti a
presentare offerte, applicano le disposizioni del decreto
del Presidente della Repubblica 25.01.2000, n. 34 e le
categorie del relativo allegato A. Per
trecentosessantacinque giorni successivi alla data di
entrata in vigore del presente regolamento, ai fini della
partecipazione alle gare riferite alle lavorazioni di cui
alle categorie OG 10, OG 11, OS 7, OS 8, OS 12, OS 18, OS
20, OS 21, di cui all' allegato A del decreto del Presidente
della Repubblica 25.01.2000, n. 34, e OS 2 individuata ai
sensi del decreto del Presidente della Repubblica
25.01.2000, n. 34, e rilasciata ai sensi del D.M.
03.08.2000, n. 294 , come modificato dal D.M. 24.10.2001, n.
420, la dimostrazione del requisito relativo al possesso
della categoria richiesta avviene mediante presentazione
delle attestazioni di qualificazione rilasciate dalle SOA in
vigenza del decreto del Presidente della Repubblica
25.01.2000, n. 34 , purché in corso di validità alla data di
entrata in vigore del presente regolamento anche per effetto
della disposizione di cui al comma 13.
17. Le attestazioni di qualificazione rilasciate dalle SOA
relative alle categorie OG 10, OG 11, OS 2-A, OS 2-B, OS 7,
OS 8, OS 12-A, OS 12-B, OS 18-A, OS 18-B, OS 20-A, OS 20-B,
OS 21 e OS 35, di cui all' allegato A del presente
regolamento, possono essere utilizzate, ai fini della
partecipazione alle gare, a decorrere dal
trecentosessantaseiesimo giorno dalla data di entrata in
vigore del presente regolamento”.
Ciò posto, precisato che l'art. 1, comma 1, D.L. 06.06.2012,
n. 73 , convertito, con modificazioni, dalla L. 23.07.2012,
n. 119, ha prorogato di centottanta giorni i termini di cui
ai veduti commi 15, 16 e 17 e che non è contestato che il
bando della gara del cui esito qui si controverte ha fatto
regolare applicazione delle disposizioni del decreto del
Presidente della Repubblica 25.01.2000, n. 34 e delle
categorie del relativo allegato “A”, la risposta al primo
quesito posto dalla Sezione remittente mérita un
differenziato esame (che comporta, come si vedrà, un diverso
ésito), a seconda che si tratti della disciplina transitoria
dettata per le categorie non variate o di quella prevista
per le categorie variate ad opera del d.P.R. n. 207 del
2010.
7.1 - Invero, quanto alla prima, nel veduto quadro
normativo, una volta abrogato il decreto del Presidente
della Repubblica 25.01.2000, n. 34 “fermo quanto disposto
dall’articolo 357” (art. 358, comma 1, lett. d), del
d.P.R. n. 207/2010) con decorrenza dalla data di entrata in
vigore di quest’ultimo, non v’è dubbio, ad avviso del
Collegio, che, sulla base del chiaro disposto del primo
periodo del veduto comma 12 (“le attestazioni rilasciate
nella vigenza del decreto del Presidente della Repubblica n.
34 del 2000 nelle categorie non modificate dal presente
regolamento hanno validità fino alla naturale scadenza
prevista per ciascuna di esse …”), la conferma di
validità delle attestazioni in corso valga anche a
configurare un’implicita, ma inequivoca, applicabilità
dell’onere di verifica triennale, che medio tempore maturi,
richiesto sia dalla normativa previgente (art. 15-bis del
d.P.R. n. 34/2000), che dal nuovo testo regolamentare (art.
77 del d.P.R. n. 207/2010).
Se, infatti, le attestazioni rilasciate nella vigenza del
d.P.R. n. 34/2000 per le categorie non modificate dal “nuovo”
regolamento (ivi compresa, per quanto più da vicino riguarda
la fattispecie all’esame, la categoria “OG1”)
conservano la loro validità per l’intera originaria durata
della loro efficacia (cinque anni, ai sensi del primo
periodo del comma 5 dell’art. 15 del d.P.R. n. 34/2000),
tale norma transitoria, che si pone in palese linea di
continuità con la durata a regime prevista sia dalla “vecchia”
normativa che dalla “nuova” (v. il primo periodo del
comma 5 dell’art. 76 del d.P.R. n. 207/2010), dev’essere
interpretata nel senso che le imprese concorrenti devono
essere in grado di provare, ai fini della partecipazione
alla procedura selettiva per l’aggiudicazione di appalti di
lavori pubblici, il possesso dell’attestazione SOA richiesta
sia nel vecchio che nel nuovo regime con caratteri e
requisiti immutati, della cui persistente validità fino alla
naturale scadenza del quinquennio (sulla quale il
legislatore non è intervenuto innovativamente nemmeno per la
sola fase transitoria) costituisce pacificamente condizione
indefettibile, derivante per la fase transitoria dal
sottolineato integrale carattere di continuità tra “vecchio”
e “nuovo” regime, l’anzidetto onere di verifica
triennale, ch’è coessenziale alla durata quinquennale
dell’attestazione, al chiaro fine di prevenire ogni
diminuzione del livello qualitativo delle imprese in così
lungo periodo; livello, questo, i cui caratteri, come s’è
detto, restano immutati nel passaggio tra un regime e
l’altro, sì che non possono che restarne confermate le
garanzie all’uopo predisposte dal sistema (Cons. St., III,
12.11.2014, n. 5573; Cons. St., ad. plen., 18.07.2012, n.
27, secondo cui, tra l’altro, “fra i titoli da presentare
ai sensi dell’art. 11, c. 8, del d.lgs. n. 163 del 2006,
perché l’aggiudicazione sia efficace rientra anche
l’attestazione dell’esito positivo della verifica” in
questione).
Va peraltro precisato che una tale interpretazione delle
vedute disposizioni transitorie riguardanti le categorie non
modificate dal Regolamento del 2010, oltre a rispettare
l’evidente, già sottolineato, principio di continuità che
connota il passaggio della disciplina delle relative
attestazioni SOA dal d.P.R. n. 34/2000 al d.P.R. n.
207/2010, non mette in alcun modo a repentaglio:
- i principi di certezza del diritto e di buona fede ed
affidamento reciproco che devono improntare i rapporti tra
stazioni appaltanti ed operatori economici circa
l’individuazione della normativa applicabile alle gare
ricadenti in tale periodo transitorio, così come l’esigenza
sottolineata dall’Ordinanza di rimessione di esaustività del
“complesso delle regole destinate a presidiare la fase di
transizione dal vecchio al nuovo regime normativo”, dal
momento che l’univocità del bando nel prevedere classi e
categorie dei lavori con riferimento al DPR n. 34/2000
(sulla cui vigenza ed applicabilità alla procedura di gara
le concorrenti dovevano intendersi dunque espressamente
avvisate sin dalla sua indizione), nonché la conferma nel
periodo transitorio della “normale” durata
dell’efficacia delle attestazioni relative alle categorie
non modificate, non potevano indurre in dubbio i soggetti
interessati circa la normale “attrazione” nella
disciplina transitoria anche dell’onere di verifica
intermedia, che, quale componente essenziale della
fattispecie normativa della fissazione al quinquennio della
“naturale” durata dell’attestazione (Cons. St., ad.
plen., n. 27/2012, cit.), produce notoriamente
nell’ordinamento uno specifico effetto di determinazione
della validità o meno della stessa dopo il triennio dal
rilascio e dunque condiziona la stessa ininterrotta
efficacia quinquennale dell’attestazione.
Effetto, questo, che non può certo considerarsi sic et
simpliciter eliso sol perché la normale durata
quinquennale dell’attestazione viene qui in considerazione
in quanto confermata dalla norma transitoria, che, nella
misura in cui ha appunto mero carattere di conferma, non può
che ricomprendere tutti i caratteri del regime confermato;
il che non può sfuggire ad ogni operatore qualificato,
accorto e diligente, che deve seguire l’evoluzione normativa
delle regole che ne disciplinano l’attività secondo cànoni
di professionalità, responsabilità ed in definitiva di
riduzione del rischio derivante dal mancato adempimento di
oneri posti in realtà a tutela del corretto funzionamento
del complesso mercato ristretto di cui si tratta;
- l’esigenza di non gravare le imprese di oneri inutilmente
gravosi, atteso che, nel passaggio dalle “vecchie”
alle “nuove” disposizioni, la tempistica come sopra
disegnata della progressiva entrata a regime delle nuove
qualificazioni ai fini SOA per le categorie non modificate
dal nuovo regolamento lascia invariata sia la scadenza
finale che quella intermedia delle attestazioni rilasciate
anteriormente alla data della sua entrata in vigore, con
conseguente invarianza sia degli adempimenti che dei costi
di certificazione gravanti sulle imprese, che, pur libere di
dotarsi da subito di una nuova attestazione nel nuovo regime
(come nella fattispecie incontestatamente accaduto a seguito
di rilascio di una nuova attestazione con decorrenza di
validità dal 22.09.2011), possono utilizzare le
qualificazioni SOA rilasciate nella medesima categoria
secondo il previgente allegato “A” del DPR n. 34/2000 per
tutta la loro naturale durata, cui è riconnesso, come s’è
visto, ove ricorrente (come nella fattispecie all’esame, in
cui la data di scadenza del periodo triennale
dell’attestazione ex DPR n. 34/2000 era quella del
31.07.2011), l’onere di provvedere alla presentazione in
termini della domanda di verifica (come precisato dalla
ridetta decisione dell’Adunanza Plenaria n. 27/2012,
l'attestazione decade non soltanto se l'esito della verifica
è negativo, ma anche, ai sensi della normativa, se l'impresa
non vi si sottopone, come nella specie incontestatamente non
vi si è assoggettata, almeno sessanta giorni prima della
scadenza del triennio: comma 1 dell'art. 15-bis del d.P.R.
n. 34/2000, vigente al sessantesimo giorno antecedente al
31.07.2011);
- il corretto espletamento da parte delle SOA della
procedura di verifica triennale, che avrà riguardo, anche
durante il periodo transitorio di cui si tratta, ai
requisiti d’ordine generale, di capacità strutturale e di
congruità organizzativa dettati dal d.P.R. n. 207/2010, che,
una volta come s’è visto intervenuta l’abrogazione del
d.P.R. n. 34/2000 con decorrenza dall’08.06.2011, richiede,
per dette categorie, capacità organizzative ed esecutive in
tutto e per tutto invariate rispetto al sistema anteriore.
Alla luce delle considerazioni di cui sopra e della
documentazione in atti, nel caso all’esame risulta in
definitiva scoperto, quanto alla categoria OG1, il periodo
intercorso dal 31.07.2011 (data di scadenza del periodo di
verifica triennale del certificato ARTIGIANSOA, senza che
fosse stata presentata tempestiva istanza di verifica) al
22.09.2011 (data di efficacia ex nunc del nuovo
certificato rilasciato dalla AXSOA s.p.a.).
7.2 – A diversa conclusione deve pervenirsi quanto alla
disciplina transitoria che riguarda le categorie modificate
dal d.P.R. n. 207 del 2010, fra le quali la categoria “OG11”,
la cui attestazione è contemplata tra i requisiti di
partecipazione alla gara di cui qui si tratta.
Non è al riguardo anzitutto condivisibile l’assunto, secondo
cui la proroga legale nel periodo transitorio della
efficacia delle attestazioni rilasciate sotto il regime del
“vecchio” regolamento sia recata dal secondo periodo
del comma 12 dell’art. 357 più volte citato.
Tale disposizione (“cessano di avere validità a decorrere
dal cinquecentoquarantaseiesimo giorno dalla data di entrata
in vigore del presente regolamento le attestazioni relative
alla categoria OG 11 di cui all' allegato A del decreto del
Presidente della Repubblica n. 34 del 2000, nonché le
attestazioni relative alle categorie OS 7, OS 8, OS 12, OS
18, OS 21, di cui all'allegato A del decreto del Presidente
della Repubblica n. 34 del 2000, e alla categoria OS 2,
individuata ai sensi del decreto del Presidente della
Repubblica n. 34 del 2000 e rilasciata ai sensi del
regolamento di cui al decreto del Ministro per i beni e le
attività culturali 03.08.2000, n. 294, e successive
modificazioni, relative a imprese che hanno ottenuto, a
seguito della riemissione dei certificati di esecuzione dei
lavori ai sensi del comma 14-bis, l'attestazione nelle
corrispondenti categorie modificate dal presente regolamento”),
relativa sì alle categorie “variate” (tra cui la
categoria “OG11”), prevede piuttosto una scadenza
anticipata rispetto alla naturale scadenza quinquennale
delle attestazioni S.O.A. rilasciate nella vigenza del
d.P.R. n. 34 del 2000, quando siffatta scadenza si collochi
in un momento posteriore alla nuova “attestazione nelle
corrispondenti categorie modificate dal presente regolamento”,
che l’impresa potrà poi utilizzare “a decorrere dal
trecentosessantaseiesimo giorno dalla data di entrata in
vigore del presente regolamento” (comma 17; termine poi
prorogato di centottanta giorni); in tal senso, del resto, è
da leggersi, e da condividersi, il comunicato AVCP, con
relativa esemplificazione, del 22.07.2011.
Trattasi di indubbia situazione di svantaggio (e di stimolo
a dotarsi di attestazioni “aggiornate”) per le
imprese che versino in tale situazione, che trova comunque
la sua giustificazione logica e ragionevole nell’esigenza,
tipica di tutte le discipline transitorie, di introdurre uno
spartiacque tra la “vecchia” e la “nuova”
normativa, ancorandolo ad una data precisa, alla quale
fissare la scadenza della validità del possesso dei
requisiti ormai superati dal nuovo ordinamento; nel caso
della disciplina in esame, al fine di consentire un graduale
adeguamento delle attestazioni alla nuova disciplina dei
requisiti di qualificazione per l’esecuzione di lavori
pubblici.
La proroga legale della scadenza quinquennale delle
attestazioni in esame è piuttosto da individuarsi nel
disposto del secondo periodo del comma 16 dell’art. 357 in
considerazione, che, come s’è visto, dispone: “Per
trecentosessantacinque giorni successivi alla data di
entrata in vigore del presente regolamento, ai fini della
partecipazione alle gare riferite alle lavorazioni di cui
alle categorie OG 10, OG 11, OS 7, OS 8, OS 12, OS 18, OS
20, OS 21, di cui all' allegato A del decreto del Presidente
della Repubblica 25.01.2000, n. 34, e OS 2 individuata ai
sensi del decreto del Presidente della Repubblica
25.01.2000, n. 34, e rilasciata ai sensi del D.M.
03.08.2000, n. 294, come modificato dal D.M. 24.10.2001, n.
420, la dimostrazione del requisito relativo al possesso
della categoria richiesta avviene mediante presentazione
delle attestazioni di qualificazione rilasciate dalle SOA in
vigenza del decreto del Presidente della Repubblica
25.01.2000, n. 34, purché in corso di validità alla data di
entrata in vigore del presente regolamento anche per effetto
della disposizione di cui al comma 13” (l'art. 1, comma
1, del D.L. 06.06.2012, n. 73, convertito, con
modificazioni, dalla L. 23.07.2012, n. 119, ha poi prorogato
di centottanta giorni il termine ivi indicato ).
Orbene, siffatta disposizione non può esser letta, ad avviso
del Collegio, nel senso che, per le imprese per le quali la
scadenza triennale dell’attestazione intervenga tra la data
di pubblicazione del nuovo regolamento (v. comma 13) e
quella finale anzidetta di “utilizzabilità” delle
attestazioni rilasciate sotto il precedente regime, esse
siano comunque tenute all’obbligo di verifica triennale.
Se, invero, tale obbligo assolve alla funzione di accertare
la permanenza dei requisiti di qualificazione in capo
all'impresa certificata, onde garantirne l'effettivo
mantenimento fino alla scadenza del quinquennio di validità
della certificazione, osserva il Collegio che l'esigenza di
un controllo attorno all'effettiva permanenza dei requisiti
di qualificazione che avevano consentito l’iniziale rilascio
dell’attestazione non solo non è espressamente previsto
dalla norma di deroga all’ordinario periodo di validità
dell’attestazione (all’interno del quale esso rappresenta
come s’è visto condizione indefettibile della persistenza
della stessa fino alla naturale scadenza del quinquennio),
ma essa deve ritenersi esclusa dalla stessa locuzione “purché
in corso di validità alla data di entrata in vigore del
nuovo regolamento”; locuzione, questa, il cui unico
senso logico ( salvo volerla ritenere meramente pleonastica,
il che non risponde agli ordinari criteri di esegesi
interpretativa ) è quello di ritenere per disposto di legge
la permanenza dei requisiti per tutto il periodo
transitorio, visto che l’unica condizione apposta alla
proroga dell’efficacia dell’attestazione è quella della sua
“validità alla data di entrata in vigore” del
regolamento; donde la non applicabilità alle attestazioni
relative alle categorie variate dell’onere di verifica
triennale.
Del resto, ammesso che l’impresa avanzi in tale periodo
transitorio istanza di verifica dell’attestazione “in
corso di validità” (il che non è pacificamente avvenuto
nel caso di specie), la SOA non potrebbe fare applicazione
dei “vecchi” requisiti di qualificazione per effetto
dell’ormai intervenuta abrogazione delle relative
disposizioni del d.P.R. n. 34/2000 (non fatte salve nel
periodo transitorio, sì che non è più possibile in tale
periodo alcuna qualificazione sulla base delle “vecchie”
categorie di cui all’Allegato “A” al DPR medesimo) e non
potrebbe applicare i nuovi e diversi requisiti, di cui al
DPR n. 207/2010, che il legislatore, col disegno della fase
transitoria di cui si tratta, ha voluto che facessero
ingresso nell’ordinamento solo in un momento storico
successivo (chiaramente senza soluzione di continuità) a
quello di scadenza della fase stessa, com’è reso palese
anche dalla già veduta prescrizione, di cui al comma 17
dell’art. 357, relativa all’utilizzabilità delle nuove
attestazioni.
Ne consegue che, per le categorie non modificate dal nuovo
Regolamento, le attestazioni in corso di validità alla data
di entrata in vigore dello stesso possono essere validamente
utilizzate fino allo scadere del termine di cui al secondo
periodo del comma 16 dell’art. 357 del DPR n. 207/2010,
senza onere di verifica triennale in tale arco temporale.
7.3 – Conclusivamente, al primo quesito posto
dall’Ordinanza di rimessione deve essere data la seguente
soluzione:
a) nel regime transitorio previsto dal
comma 12, prima parte, dell'art. 375 del d.P.R. n. 207 del
2010 per le categorie non modificate dal nuovo regolamento,
di validità delle attestazioni rilasciate nella vigenza del
d.P.R. n. 34 del 2000 “fino alla naturale scadenza
prevista per ciascuna di esse”, è applicabile l'onere di
verifica triennale imposto prima dall'art. 15-bis del d.P.R.
n. 34 del 2000 e poi dall'art. 77 del d.P.R. n. 207 del
2010;
b) nel regime transitorio dettato dall'art. 375, commi 13,
16 e 17, del d.P.R. n. 207 del 2010 e ss. mm. ii. per le
categorie “variate” non sussiste, durante il regime
di proroga, l'obbligo di verifica triennale, di cui agli
artt. 15-bis del d.P.R. n. 34 del 2000 e 77 del d.P.R. n.
207 del 2010.
8. – Si può passare ora all’esame del secondo quesito
sollevato dall’Ordinanza stessa, che conserva la rilevanza
in essa sottolineata, alla luce del fatto che la riscontrata
carenza di continuità dell’attestazione del requisito di
qualificazione per la categoria “OG1” in capo
all’anzidetta ausiliaria è in grado di comportare o meno
l’esclusione dalla gara de qua del R.T.I. risultato
aggiudicatario a seconda della soluzione che venga data al
quesito medesimo.
Premesso, invero, che la menzionata ditta ausiliaria “ha
perso la qualificazione OG1 nel solo periodo intercorrente
tra il 31 luglio e il 22.09.2011 (e, quindi, in un segmento
temporale nel quale nella gara non è accaduto nulla di
rilevant)”, la Sezione remittente dubita che il
deficit di tale requisito in un segmento temporale
intermedio della procedura (diverso dai momenti nei quali
soli assumerebbe “rilievo il possesso dei requisiti di
partecipazione e di qualificazione”) possa comportare “la
necessaria esclusione dell’impresa, che lo ha
provvisoriamente perso, nonostante il suo possesso al
momento della domanda di partecipazione alla gara e
dell’aggiudicazione”; sì che, conclude, il temporaneo
deficit di uno o più requisiti in siffatto arco di tempo “dovrebbe
essere giudicato del tutto ininfluente sulla regolarità del
procedimento e sulla legittimità dell’aggiudicazione”.
Ritiene l’Adunanza Plenaria di dover ribadire la costante
giurisprudenza, anche di questa stessa Adunanza, che ha
affermato il principio generale, secondo cui il possesso dei
requisiti di ammissione si impone a partire dall'atto di
presentazione della domanda di partecipazione e per tutta la
durata della procedura di evidenza pubblica (cfr., fra le
tante, Cons. Stato, sez. IV, 18.04.2014, n. 1987; Cons.
Stato, sez. V, 30.09.2013, n. 4833 e 26.03.2012, n. 1732;
Cons. Stato, sez. III, 13.07.2011, n. 4225; Cons. Stato, Ad.
pl., 25.02.2014, n. 10; nn. 15 e 20 del 2013; nn. 8 e 27 del
2012; n. 1 del 2010).
Invero, per esigenze di trasparenza e di certezza del
diritto, che non collidono col pur rilevante principio del
favor partecipationis, la verifica del possesso, da
parte del soggetto concorrente (ancor prima che
aggiudicatario), dei requisiti di partecipazione alla gara
deve ritenersi immanente all’intero procedimento di evidenza
pubblica, a prescindere dalla indicazione, da parte del
legislatore, di specifiche fasi espressamente dedicate alla
verifica stessa, quali quelle di cui all’art. 11, comma 8,
ed all’art. 48 del D.Lgs. n. 163/2006.
Proprio perché la verifica può avvenire in tutti i momenti
della procedura (a tutela dell’interesse costante
dell’Amministrazione ad interloquire con operatori in via
permanente affidabili, capaci e qualificati), allora in
qualsiasi momento della stessa deve ritenersi richiesto il
costante possesso dei detti requisiti di ammissione; tanto,
vale la pena di sottolineare, non in virtù di un astratto e
vacuo formalismo procedimentale, quanto piuttosto a garanzia
della permanenza della serietà e della volontà dell’impresa
di presentare un’offerta credibile e dunque della sicurezza
per la stazione appaltante dell’instaurazione di un rapporto
con un soggetto, che, dalla candidatura in sede di gara fino
alla stipula del contratto e poi ancora fino all’adempimento
dell’obbligazione contrattuale, sia provvisto di tutti i
requisiti di ordine generale e
tecnico-economico-professionale necessari per contrattare
con la P.A.
Al riguardo va sottolineato che lo stesso legislatore
richiede la dimostrazione delle capacità tecniche (art. 42
del D.Lgs. n. 163/2006 ) ed economica e finanziaria (art. 41
del D.Lgs. n. 163/2006) alle imprese “concorrenti” e
tale qualità l’impresa mantiene indubbiamente per tutta la
durata della procedura, con correlato obbligo di
mantenimento (e di prova del possesso) del corrispondente
requisito richiestole.
D’altra parte, con specifico riferimento all’ambito dei
lavori pubblici, l’art. 92 del D.P.R. n. 207/2010, nel
prescrivere che “il concorrente singolo può partecipare
alla gara qualora sia in possesso dei requisiti
economico-finanziari e tecnico-organizzativi …”, dà
anch’esso rilievo ad un attributo dell’impresa (quello di “concorrente”)
e ad un’attività della stessa (quella di “partecipazione
alla gara”), che hanno un rilievo con tutta evidenza
dinamico, in quanto non si esauriscono in uno o più
specifici momenti, nei quali “soli”, secondo
l’Ordinanza di rimessione, “assume rilievo il possesso
dei requisiti di partecipazione e di qualificazione”;
mentre l’art. 50 dello stesso D.P.R. disciplina i “requisiti
economico-finanziari e tecnico-organizzativi di
partecipazione alla gara” sempre dando rilievo alla “partecipazione”,
che non si riduce certo a specifici passaggi del
procedimento di gara..
E tale specifico onere di continuità in corso di gara del
possesso dei requisiti, è appena il caso di rilevarlo, non
solo è del tutto ragionevole, siccome posto a presidio
dell'esigenza della stazione appaltante di conoscere in ogni
tempo dell’affidabilità del suo interlocutore “operatore
economico” (e dunque di poter monitorare stabilmente la
perdurante idoneità tecnica ed economica del concorrente),
ma è altresì non sproporzionato, essendo assolvibile da
quest’ultimo in modo del tutto agevole, mediante ricorso
all’ordinaria diligenza, che gli operatori professionali
devono tenere al fine di poter correttamente insistere e
gareggiare nel concorrenziale mercato degli appalti
pubblici; il che significa, per quanto qui ne occupa,
garantire costantemente la qualificazione loro richiesta e
la possibilità concreta della sua dimostrazione e verifica.
Diversamente ritenendo, del resto, la naturale flessibilità
temporale dei momenti della procedura che l’Ordinanza di
rimessione assume come “esclusivamente” rilevanti si
tradurrebbe nella assoluta aleatorietà della collocazione,
nell’arco temporale della procedura stessa, dei singoli
momenti, nei quali (“soli”) sarebbero richiesti il
possesso a pena di esclusione dei requisiti e la sua prova;
aleatorietà, questa, che, oltre a contrastare palesemente
con i principi indefettibili della trasparenza e della par
condicio che presiedono all’evidenza pubblica, finirebbe col
collidere con la stessa esigenza, sottolineata
dall’Ordinanza di rimessione in collegamento con il diritto
dell’Unione, di “un controllo ragionevole, trasparente e
proporzionato” in relazione a termini temporali, che la
qui assunta (o, meglio, confermata) interpretazione del
principio di continuità della sussistenza dei requisiti per
tutta la durata della procedura consente, invece, di
assicurare con caratteri di sufficiente certezza (quanto
meno in relazione alla univocità delle conseguenze della
perdita del requisito in qualunque momento della gara essa
si collochi) sia per la stazione appaltante che per gli
operatori concorrenti.
La qui prospettata inconfigurabilità di una qualsivoglia
soluzione di continuità in ordine al possesso dei requisiti
di partecipazione nel corso della procedura di gara tiene
poi anche conto del fatto, già accennato, che trattasi di
requisiti indispensabili per la stessa partecipazione alla
gara (la mancanza dei quali l’amministrazione appaltante può
in ogni momento accertare: Cons. St., V, 12.07.2010, n.
4477), del cui possesso, nel campo dei lavori pubblici,
l’attestazione SOA costituisce lo strumento necessario e
sufficiente, nonché esclusivo, di dimostrazione;
circostanza, questa, che vale ad escludere la stessa sua
pertinenza, come ventilata dall’Ordinanza di rimessione,
alla sola “fase dell’esecuzione dell’appalto”, dal
momento che il sistema di qualificazione di cui all’art. 40
del D.Lgs. n. 163/2006 ( nel pieno rispetto dei principi,
anche comunitari, di par condicio, massima partecipazione
alle procedure di evidenza pubblica e di capacità
tecnico-professionale ed economica degli operatori: v. artt.
45 e ss. della Dir. 31/03/2004, n. 2004/18/CE) richiede
indubbiamente la dimostrazione della qualificazione ad
effettuare i lavori (in termini di esperienze professionali
pregresse dell’operatore e di connotati attuali della sua
struttura organizzativa e della sua capacità economica,
elementi tutti “riassunti” dall’attestazione SOA)
quale requisito indispensabile per la stessa partecipazione
alla gara e dunque fin dal momento dell’ammissione alla
stessa e non certo a far tempo dal momento, eventuale e
successivo, dell’effettuazione concreta dei lavori a seguito
dell’aggiudicazione e del contratto (“la qualificazione
in una categoria abilita l’impresa a partecipare alle gare e
ad eseguire i lavori della propria classifica …”: art.
61, comma 2, del D.P.R. n. 207 del 2010).
Anche, peraltro, nella fattispecie all’esame, alla stregua
del dato sistematico enucleabile dalla disciplina di gara,
il requisito di cui si tratta costituisce invero il titolo
professionale minimo richiesto expressis verbis ai
fini della proficua ammissione e non certo una condizione da
soddisfare successivamente all’aggiudicazione per la
corretta esecuzione del contratto.
Né a diverse conclusioni è dato giungere, come pretenderebbe
nelle sue difese il R.T.I. controinteressato, sol perché si
tratta qui del possesso non dei requisiti generali e
speciali di partecipazione (nella specie attestati dalla
certificazione SOA) da parte del diretto concorrente, ma dei
requisiti richiesti in capo al soggetto indicato come “ausiliario”
dal concorrente stesso, sulla base delle norme in materia di
avvalimento, di cui all’art. 49 del codice dei contratti
pubblici.
A tal proposito, devesi sottolineare che, laddove il
concorrente non sia in possesso delle qualificazioni
necessarie per l’esecuzione in via autonoma delle
lavorazioni oggetto dell’appalto, la dichiarazione dello
stesso di volersi avvalere “dei requisiti di un altro
soggetto o dell’attestazione SOA di altro soggetto”
(comma 1 dell’art. 49, cit.) non vale certo ad escludere che
la stazione appaltante debba essere posta in condizione di
valutare, fin dall’ammissione alla gara e per tutta la
durata della procedura sulla base dei principi sopra
enunciati, l’idoneità dell’offerente all’aggiudicazione del
contratto, anche con riguardo ai requisiti (e dunque al
titolare degli stessi) oggetto di avvalimento.
In definitiva, dunque, un RTI (quale l’odierno
controinteressato), in caso di mancato autonomo possesso, da
parte della mandataria e delle mandanti, dei necessari
requisiti di qualificazione, deve necessariamente indicare
l’impresa ausiliaria, dei cui requisiti si avvalga (
allegando la documentazione, di cui al comma 2 dell’art. 49
cit.); e deve dimostrare il possesso, da parte di
quest’ultima, di tali requisiti e dunque, in caso di
attestazione di qualificazione SOA, di una attestazione
valida ed efficace per tutta la durata della procedura.
Al contrario, la pretesa possibilità che, in caso di ricorso
all’avvalimento, il concorrente possa acquisire (e
dimostrare il possesso) dei requisiti a gara conclusa, in
sede o quanto meno ai soli fini dell’esecuzione,
costituirebbe una precisa violazione delle norme sulla
qualificazione, che sono previste a pena di esclusione e
della parità di trattamento, in danno dei concorrenti più
diligenti.
In base ai canoni dell'imparzialità e della par condicio non
si può infatti consentire che vengano ammesse alla gara
offerte provenienti da soggetti sprovvisti dei requisiti,
che, in ragione della loro peculiare rilevanza sul piano
economico e tecnico, la legge prevede debbano essere "a
qualificazione obbligatoria"; la qualificazione,
insomma, deve essere valutata “in gara” (v. art. 88 del
D.P.R. n. 207/2010).
Ne consegue, sul piano dell’accertamento dei requisiti di
ordine generale e tecnico-professionali ed economici, una
totale equiparazione tra gli operatori economici offerenti
in via diretta e gli operatori economici in rapporto di
avvalimento e dunque, in definitiva, fra i primi e
l’imprenditore, che preferisca seguire la via del possesso
mediato ed indiretto dei requisiti di partecipazione ad una
gara.
Va pertanto escluso chi si avvale di soggetto ausiliario a
sua volta privo del titolo (Cons. St., IV, 19.03.2015, n.
1425).
Né appare rilevante il riferimento al costante indirizzo
giurisprudenziale, secondo cui, in caso di ricorso a tale
istituto (che ha una portata generale), è onere del
concorrente di dimostrare che l'impresa ausiliaria non si
impegna semplicemente a prestare il requisito soggettivo
richiesto, quale mero valore astratto, ma assume
l'obbligazione di mettere a disposizione dell'impresa
ausiliata, in relazione all'esecuzione dell'appalto, le
proprie risorse e il proprio apparato organizzativo, in
tutte le parti che giustificano l'attribuzione del requisito
di qualità (Cons. St., sez. III, 25.02.2014, n. 887;
07.04.2014, n. 1636; sez. IV, 16.01.2014, n. 135; sez. V,
20.12.2013, n. 6125; da ultimo, sez. V, 22.01.2015, n. 257)
e quindi, a seconda dei casi, mezzi, personale, prassi e
tutti gli altri elementi aziendali qualificanti, in
relazione all'oggetto dell'appalto (Cons. St., sez. III,
22.01.2014, n. 294).
Ed invero, se non v’è ragione di dubitare dell'ammissibilità
dell'avvalimento anche quanto alla certificazione SOA (del
resto espressamente prevista dal legislatore), la notazione,
più volte fatta dalla giurisprudenza, secondo cui la messa a
disposizione del requisito mancante non può risolversi nel
prestito di un valore puramente cartolare e astratto
(essendo invece necessario che dal contratto risulti
chiaramente l'impegno dell'impresa ausiliaria a prestare le
proprie risorse e il proprio apparato organizzativo in tutte
le parti che giustificano l'attribuzione del requisito di
qualità: a seconda dei casi, mezzi, personale, prassi e
tutti gli altri elementi aziendali qualificanti), non porta
certo alla possibilità di prescindere dalla necessità
preliminare della verifica della coerenza dell’offerta con i
requisiti di qualificazione e dunque della serietà ed
affidabilità dell’impresa concorrente (ed in via mediata
dell’impresa ausiliaria) sotto il profilo del possesso degli
stessi ai fini ed in sede di partecipazione al procedimento
di gara.
Quanto sopra considerato si rivela peraltro perfettamente
congruente con la normativa comunitaria sugli appalti
pubblici, ch’è volta nel suo complesso a far sì che la
massima concorrenza sia anche condizione per la più efficace
e sicura esecuzione degli appalti (Cons. St., VI,
13.06.2011, n. 3565), nel rispetto comunque ineludibile
delle garanzie di imparzialità, pubblicità e trasparenza
dell’azione amministrativa, che costituiscono principi
fondanti del diritto comunitario.
Tanto porta a ritenere non necessaria ed irrilevante la
presentazione sul punto, richiesta dal R.T.I.
controinteressato, di una questione pregiudiziale alla Corte
di Giustizia dell’Unione Europea, non esistendo dubbio
alcuno, ad avviso del Collegio, né sul fatto che, se secondo
lo stesso diritto comunitario finalità dell’avvalimento è
quella di fornire alle imprese la possibilità di ricorrere
ai requisiti di altri soggetti solo se ed in quanto da
questi autonomamente posseduti, nel caso di specie
l’ausiliaria dallo stesso individuata non ha posseduto (o
non ha dimostrato comunque di possedere), come sopra s’è
ampiamente visto, il richiesto requisito di qualificazione
(l’attestazione SOA per la categoria “OG1”, della
quale, per espressa disposizione normativa, è coessenziale
il momento della verifica) per l’intera procedura; né in
ordine alla evidente compatibilità col diritto comunitario
del predetto principio di continuità, alla luce in
particolare del disposto dell’art. 44 della Dir. 31/03/2004,
n. 2004/18/CE, che, nel subordinare l'aggiudicazione degli
appalti al “previo accertamento dell'idoneità degli
operatori economici non esclusi in forza degli articoli 45 e
46”, non limita detto accertamento ad alcuna specifica
fase del procedimento di gara.
In definitiva, quanto al secondo dei quesiti posti
dall’Ordinanza di rimessione, resta così confermata la
statuizione dell’Adunanza Plenaria 07.04.2011, n. 4, secondo
cui, “in materia di accertamento dei requisiti di ordine
speciale per il conseguimento degli appalti di lavori
pubblici, vige il principio secondo cui le qualificazioni
richieste dal bando debbono essere possedute dai concorrenti
non solo al momento della scadenza del termine per la
presentazione delle offerte, ma anche in ogni successiva
fase del procedimento di evidenza pubblica e per tutta la
durata dell'appalto, senza soluzione di continuità”.
Trattasi peraltro di affermazione che non si pone di certo
in contraddizione con quella, richiamata dall’Ordinanza di
rimessione, di cui al par. 59 della stessa sentenza (laddove
si premette che “nelle gare di appalto i requisiti
generali e speciali devono essere posseduti non solo alla
data di scadenza del bando, ma anche al momento della
verifica dei requisiti da parte della stazione appaltante e
al momento dell'aggiudicazione sia provvisoria che
definitiva”), rivelandosi l’individuazione di tali
momenti come meramente esemplificativa, come è ben
dimostrato dall’assenza in tale proposizione di qualsiasi
aggettivo od avverbio, che consenta di identificarli come i
“soli”, in cui assuma rilievo il possesso dei
requisiti di partecipazione.
Come chiarito dalla stessa Adunanza Plenaria n. 4/2011, il
principio che non ammette soluzioni di continuità nel
possesso (e nella sua dimostrazione) di detti requisiti
risponde “ad evidenti esigenze di certezza e di
funzionalità del sistema di qualificazione obbligatoria,
imperniato sul rilascio da parte degli organismi di
attestazione di certificati che costituiscono condizione
necessaria e sufficiente per l'idoneità ad eseguire
contratti pubblici”; e “pertanto, l'impresa che
partecipa alla procedura selettiva deve dimostrare di
possedere, dalla presentazione dell'offerta fino
all'eventuale fase di esecuzione dell'appalto, la
qualificazione tecnico-economica richiesta dal bando”.
8.1 - Conclusivamente, al secondo quesito posto
dall’Ordinanza di rimessione deve essere data la seguente
soluzione: nelle gare di appalto per
l’aggiudicazione di contratti pubblici i requisiti generali
e speciali devono essere posseduti dai candidati non solo
alla data di scadenza del termine per la presentazione della
richiesta di partecipazione alla procedura di affidamento,
ma anche per tutta la durata della procedura stessa fino
all’aggiudicazione definitiva ed alla stipula del contratto,
nonché per tutto il periodo dell’esecuzione dello stesso,
senza soluzione di continuità.
9. – Alla luce dei principi sopra enunciati (v. punti 7.3 e
8.1) la Sezione remittente, cui il giudizio viene restituito
ai sensi dell’art. 99, comma 4, c.p.a., deciderà il ricorso,
anche con riguardo alle preliminari questioni della
ammissibilità dell’atto di intervento dispiegato in grado di
appello, dell’ammissibilità del ricorso incidentale per la
prima volta proposto in primo grado in sede di riassunzione
del giudizio e del rapporto tra appello principale ed
appello incidentale alla stregua della Sentenza Corte di
Giustizia del 04.07.2013 nella causa n. 100/2012, così come
interpretata dall'Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato
con la decisione n. 9 del 25.02.2014.
10. Spese al definitivo.
P.Q.M.
il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Adunanza
Plenaria), non definitivamente pronunciando sul ricorso in
epigrafe, enuncia i seguenti principi di diritto:
a) nel regime transitorio previsto dal
comma 12, prima parte, dell'art. 375 del d.P.R. n. 207 del
2010 per le categorie non modificate dal nuovo regolamento,
di validità delle attestazioni rilasciate nella vigenza del
d.P.R. n. 34 del 2000 “fino alla naturale scadenza
prevista per ciascuna di esse”, è applicabile l'onere di
verifica triennale imposto prima dall'art. 15-bis del d.P.R.
n. 34 del 2000 e poi dall'art. 77 del d.P.R. n. 207 del
2010;
b) nel regime transitorio dettato dall'art. 375, commi 13,
16 e 17, del d.P.R. n. 207 del 2010 e ss.mm.ii. per le
categorie "variate” non sussiste, durante il regime
di proroga, l'obbligo di verifica triennale, di cui agli
artt. 15-bis del d.P.R. n. 34 del 2000 e 77 del d.P.R. n.
207 del 2010;
c) nelle gare di appalto per l’aggiudicazione di contratti
pubblici i requisiti generali e speciali devono essere
posseduti dai candidati non solo alla data di scadenza del
termine per la presentazione della richiesta di
partecipazione alla procedura di affidamento, ma anche per
tutta la durata della procedura stessa fino
all’aggiudicazione definitiva ed alla stipula del contratto,
nonché per tutto il periodo dell’esecuzione dello stesso,
senza soluzione di continuità
(Consiglio di
Stato, Adunanza Plenaria,
sentenza 20.07.2015 n. 8 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
LAVORI PUBBLICI: PROCESSO VERBALE D’AGGIUDICAZIONE E VINCOLO
CONTRATTUALE PRIMA E DOPO L’AVVENTO DEL CODICE
DEI CONTRATTI PUBBLICI.
Sino all’entrata in vigore dell’art. 11 del D.Lgs. n.
163/2006, nei contratti stipulati dalla P.A. con il sistema
dell’asta pubblica o della licitazione privata, il processo
verbale di aggiudicazione definitiva equivaleva a ogni
effetto al contratto, con forza immediatamente vincolante
per entrambe le parti (art. 16, R.D. n. 2440/1923;
artt. 88, 89, 97, R.D. n. 827/1924), salvo che dal verbale
stesso non emergesse la volontà della P.A. di rinviare la
costituzione del vincolo al momento successivo della
stipulazione del contratto la quale, in tal caso, non assume
il valore di un mero atto formale e riproduttivo,
ma rappresenta la vera ed unica fonte del rapporto per
entrambe le parti.
Un’impresa convenne al Tribunale civile una società
interportuale
marittima dolendosi di avere subito -quale aggiudicataria
provvisoria di un ingente appalto di lavori, malgrado
la tempestiva trasmissione di ogni documento necessario
per la sottoscrizione del contratto- una revoca
dell’affidamento
per non avere dimostrato la propria capacità economico-
finanziaria.
Nella domanda era chiesto l’accertamento
della valida formazione del vincolo contrattuale, oltre
alla condanna per lucro cessante ai sensi dell’art. 345,
L. n. 2248/allF/1865, in allora vigente, ovvero a una
maggiore
somma a titolo di responsabilità contrattuale.
La convenuta eccepiva, in priorità, il difetto di
giurisdizione
del G.O. e deduceva nel merito l’infondatezza della pretesa.
Il Tribunale riteneva sussistente la giurisdizione e,
ravvisando
nella specie un’ipotesi di recesso ad nutum del committente,
riconosceva all’appaltatore il diritto a ricevere il 10%
del prezzo dell’appalto secondo il dettato dell’art. 345,
cit.
La sentenza era gravata dalla stazione appaltante,
censurando
anzitutto la ritenuta giurisdizione del G.O. in ragione
del fatto che -avendo in precedente occasione il Consiglio
di Stato affermatane la natura di ente pubblico- ne
discendeva
la presenza di un interesse pubblico nell’azione da essa
svolta, pur senza la necessità che fossero posti in essere
atti amministrativi.
Ancora, l’appellante poneva censure di
merito alla sentenza resa, deducendo che la società aveva
partecipato alla gara producendo documentazione attestante
una solidità economica che, invece, non sussisteva:
per il che l’appellante -che tramite la revoca
dell’aggiudicazione
aveva legittimamente esercitato, per fini di pubblico
interesse, il proprio potere autoritativo- non poteva
essere
destinataria di condanna.
La Corte territoriale rigettava l’appello.
Contro la sentenza ricorre per cassazione l’interporto,
contestando
la sussistenza di giurisdizione ordinaria, in favore
di quella amministrativa, in ragione del fatto che la
controversia,
promossa nel 1998 dall’aggiudicatario di un contratto
d’appalto di lavori pubblici, mira a ottenere la condanna
della Stazione appaltante -ente pubblico- al risarcimento
derivato dall’esercizio del potere di revoca legittimamente
esercitato, perché la committente dopo l’aggiudicazione
provvisoria ma prima della definitiva e della stipula del
contratto
aveva disposto, in via di autotutela, la revoca della
stessa per ragioni di interesse pubblico adeguatamente
esplicitati nella motivazione del relativo atto
amministrativo
assunto.
Non essendo, a dir della ricorrente, giunti alla
sottoscrizione
del contratto dopo l’aggiudicazione, non era
sorto alcun diritto soggettivo in capo all’impresa, versante
ancora in mera situazione di interesse legittimo a fronte
del
provvedimento di revoca.
La Corte non condivide l’assunto, osservando che alla data
dell’aggiudicazione (17.02.1997) ancora vigeva il
modello
poggiante sul combinato disposto degli artt. 16, R.D.
n. 2440/1923; 88, 89, 97 del R.D. n. 827/1924, applicabili
agli enti locali per il richiamo contenuto all’art. 140 del
R.D.
n. 383/1934 e all’art. 56 della L. n. 142/1990. Sicché,
osserva
la Suprema Corte, il vincolo contrattuale si è formato tra
le parti per il solo effetto della comunicazione
dell’aggiudicazione
sicché la decisione della stazione appaltante di
sciogliersi dal vincolo deve considerarsi recesso
intervenuto
nell’ambito di una vicenda contrattuale retta dal regime
civilistico, con conseguente sussistenza della giurisdizione
del giudice ordinario.
Questo anche in base alla giurisprudenza consolidata su
tale disciplina, per la quale nei contratti stipulati dalla
P.A.
con il sistema dell’asta pubblica o della licitazione
privata,
il processo verbale di aggiudicazione definitiva equivale
per
ogni effetto legale al contratto, con forza immediatamente
vincolante, sia per l’ente che per l’altro contraente, salvo
che dal verbale stesso non risulti la volontà della P.A. di
rinviare
la costituzione del vincolo al momento successivo
della stipulazione del contratto la quale, in tal caso, non
assume
il valore di un mero atto formale e riproduttivo, ma
rappresenta la vera ed unica fonte del rapporto per entrambe
le parti (ex plurimis, Cass. nn. 7481/2007; 1103/2004,
9366/2003, 8420/2000, 5807/1998, 11513/1997,
5771/1990, 2938/1984, 5702/1981, 5404/1981, 1695/1979,
5295/1977, 4781/1977; Cons. Stato, Sez. 5, 2331/2001;
Cons. Stato, Sez. 4, n. 16/1996).
Il predetto sistema normativo non è stato modificato neppure
dalla L. n. 109/1994, che non ha in alcun modo reso
obbligatorio il successivo contratto per l’insorgenza del
vincolo
negoziale (Cass. n. 5217/2011). A tale proposito è stato
osservato che il successivo D.Lgs. n. 490/1994 che ha
introdotto la necessità di fornire in sede di appalto
documentazioni
di prevenzione da infiltrazioni mafiose, ha disposto
che il relativo accertamento sfavorevole può sopravvenire
alla conclusione del contratto e comportarne l’invalidità,
senza perciò interferire sui fatti generatori del
contratto (Cass. n. 5217/2011).
Neppure il d.P.R. n.
554/1999 (artt. 45 ss. e 110 ss.) ha fatto determinato
l’effetto
“costitutivo dell’accordo” in capo al provvedimento di
aggiudicazione: infatti l’art. 109, comma 3, d.P.R., cit. ha
lasciato impregiudicata la facoltà della stazione appaltante
di prevedere “la stipula del contratto o la sua
approvazione”
ed ha significativamente attribuito alla impresa, qualora
la stipulazione non avvenga nei termini stabiliti, il
diritto
di “sciogliersi da ogni impegno o recedere dal contratto”.
Dal che si deduce che il contratto, anche nel regime di
questa normativa, può trarre origine direttamente ed
immediatamente
dal provvedimento di aggiudicazione (Cass.
n. 5217/2011).
La modifica di questo modello si è avuta solo con l’art. 11
del D.Lgs. n. 163/2006 (Codice dei contratti pubblici),
giusta
quale tal separazione è divenuta “regola”: ivi si stabilisce
che l’aggiudicazione definitiva non equivale a accettazione
dell’offerta che è irrevocabile, per l’impresa, fino al
termine, stabilito nel comma 9 (pari a 60 giorni o al
diverso
termine previsto dalla legge di gara, decorrenti
dall’aggiudicazione
provvisoria, salva la possibilità di dar esercitare il
potere di autotutela nei casi stabiliti dalla legge). Solo
alla
loro scadenza, l’operatore economico è legittimato a
svincolarsi
o a recedere dal contratto, senza altro indennizzo
che non siano le spese contrattuali documentate.
Il Codice
dei contratti pubblici, quindi, disciplina diversamente
termini
e modalità per la stipula del contratto e le relative
vicende
che peraltro, a differenza di quelle dell’aggiudicazione,
per le quali è stata introdotta una nuova ipotesi di
giurisdizione
esclusiva, restano attribuite alla giurisdizione ordinaria
(Cass. n. 5217/2011) (Corte
di
Cassazione, SS.UU. civili,
sentenza 13.07.2015 n. 14555
- Urbanistica e appalti
n. 10/2015). |
giugno 2015 |
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LAVORI PUBBLICI:
Costruzioni senza confini. Illegittimo imporre la
sede in Italia alle Soa. La Corte Ue ha bocciato la
normativa sulle società di attestazione.
È illegittimo dal punto di vista comunitario imporre di
avere la sede legale in Italia per svolgere l'attività di
attestazione delle imprese di costruzione.
È quanto
afferma la Corte di giustizia europea con la
sentenza 16.06.2015 (causa C-593/13) rispetto ad
una vicenda che ha avuto ad oggetto la disciplina italiana
sull'accreditamento delle società organismo di attestazione
(Soa) che svolgono da 15 anni la funzione, pubblica, di
qualificazione delle imprese di costruzioni rilasciando gli
appositi attestati.
Era accaduto che tre società del Gruppo Rina avevano
contestato in Consiglio di stato (e quest'ultimo aveva
rimesso la questione pregiudiziale agli organi comunitari)
la legittimità della normativa italiana in forza della quale
la sede legale di una società organismo di attestazione (Soa)
deve essere ubicata nel territorio italiano.
Il governo italiano aveva invece confermato la legittimità
comunitaria della norma italiana sostenendo che l'attività
svolta dalle Soa, traducendosi in esercizio di un potere
pubblico, doveva ritenersi estranea all'ambito di
applicazione della direttiva e del Trattato.
La Corte di giustizia con la sentenza resa nota ieri, boccia
la normativa italiana partendo dal fatto che i servizi di
attestazione rientrano nell'ambito di applicazione della «direttiva
servizi» e che le Soa sono imprese a scopo di lucro che
esercitano le loro attività in condizioni di concorrenza e
che non dispongono di alcun potere decisionale connesso
all'esercizio di poteri pubblici.
In antitesi con quanto da sempre si afferma nel nostro
ordinamento, la Corte sostiene che le attività di
attestazione delle Soa non configurano una partecipazione
diretta e specifica all'esercizio di poteri pubblici.
Pertanto imporre che la sede legale del prestatore di
servizi sia ubicata nel territorio nazionale limita la
libertà di quest'ultimo e lo obbliga ad avere il suo
stabilimento principale nel territorio nazionale.
In materia di libertà di stabilimento, la direttiva elenca
infatti una serie di requisiti vietati tra cui figurano
quelli riguardanti l'ubicazione della sede legale), i quali
non possono essere giustificati. Infatti, la direttiva non
consente agli Stati membri di giustificare il mantenimento
di tali requisiti nelle loro normative nazionali.
D'altro canto se si ammettesse, dice la Corte, un
comportamento vietato dalla direttiva ciò priverebbe
quest'ultima di ogni effetto utile e pregiudicherebbe, in
definitiva, l'armonizzazione da essa operata
(articolo ItaliaOggi del 17.06.2015). |
APPALTI FORNITURE:
Fornitura energia elettrica impianti comunali.
L'art. 1, comma 7, D.L. n. 95/2012,
stabilisce una disciplina speciale per l'approvvigionamento
da parte delle pubbliche amministrazioni di determinate
categorie merceologiche, tra cui l'energia elettrica. In
particolare, in alternativa all'obbligo di
approvvigionamento mediante le Convenzioni Consip o gli
accordi quadro messi a disposizione da Consip, il ricorso al
libero mercato postula il necessario esperimento di
procedure ad evidenza pubblica, nonché la stipula di
contratti che prevedano corrispettivi inferiori a quelli
indicati nelle convenzioni o accordi quadro messi a
disposizione da Consip Spa.
In caso di ricorso al libero mercato, la necessità di
assicurare il servizio di fornitura di energia elettrica
senza soluzione di continuità tra la scadenza del contratto
in essere e la stipula del nuovo accordo può essere
soddisfatta attraverso un acquisto in economia, ai sensi
dell'art. 125, comma 10, lett. c), D.Lgs. n. 163/2006 (per
importi inferiori a 40.000, mediante affidamento diretto ai
sensi del comma 11, ultimo periodo, del medesimo art. 125).
Nell'ipotesi in cui la procedura ad evidenza pubblica non
andasse a buon fine, l'Ente rientrerebbe nel cosiddetto
regime di salvaguardia, applicato ai clienti finali di
energia elettrica senza fornitore di energia elettrica o che
non abbiano scelto il proprio fornitore nel libero mercato
dell'energia (art. 1, comma 4, D.L. n. 73/2007).
Il Comune riferisce di avere aderito alla Convenzione Consip
2014 per la fornitura di energia elettrica agli impianti
comunali, e di avere in corso con la società aggiudicataria
un rapporto contrattuale in scadenza a luglio 2015.
Posto che non risulta possibile per il Comune aderire alla
convenzione Consip 2015, atteso che la società affidataria
di questa convenzione ha rifiutato la richiesta, sulla base
del fatto che la media del quantitativo necessitato di
energia elettrica risulta inferiore alla soglia minima
ordinabile secondo le previsioni della convenzione stessa,
l'Ente chiede se sia consentito proseguire il rapporto
contrattuale con l'attuale fornitore di energia elettrica
fino alla fine del 2015, stante la disponibilità dal
medesimo manifestata.
Sentito il Servizio centrale unica di committenza di questa
Direzione centrale, si esprimono le seguenti considerazioni.
L'art. 1, comma 7, D.L. n. 95/2012 [1],
stabilisce una disciplina speciale per l'approvvigionamento
da parte delle pubbliche amministrazioni di determinate
categorie merceologiche, quali l'energia elettrica (per
quanto qui di interesse), il gas, i carburanti, i
combustibili per riscaldamento e telefonia.
Il comma 7 richiamato prevede che la fornitura dei predetti
beni avvenga utilizzando le convenzioni o gli accordi quadro
messi a disposizione da Consip o da centrali di committenza
regionali ovvero attraverso proprie autonome procedure, nel
rispetto della normativa vigente, utilizzando i sistemi
telematici di negoziazione resi disponibili dai soggetti
indicati.
In alternativa, sussiste la possibilità di procedere ad
affidamenti che conseguano ad approvvigionamenti da altre
centrali di committenza o a procedure ad evidenza pubblica i
cui corrispettivi siano inferiori (e, quindi, migliorativi)
rispetto a quelli delle convenzioni e degli accordi quadro
messi a disposizione da Consip e dalle centrali regionali di
committenza. In tale caso, i contratti devono essere
sottoposti a condizione risolutiva, con possibilità di
adeguamento da parte del contraente, per il caso in cui
intervengano convenzioni Consip e delle centrali di
committenza regionali che prevedano condizioni economiche di
maggior favore.
L'art. 1, comma 8, D.L. n. 95/2012, stabilisce che sono
nulli, costituiscono illecito disciplinare e sono causa di
responsabilità amministrativa i contratti stipulati in
violazione di quanto previsto dal comma 7.
Il tenore letterale dell'art. 1, comma 7, D.L. n. 95/2012,
pertanto, individua sostanzialmente tre modalità di
approvvigionamento, da parte delle pp.aa., delle categorie
merceologiche ivi previste (tra cui l'energia elettrica): 1)
adesione alle Convenzioni o agli accordi quadro messi a
disposizione da Consip s.p.a. e dalle centrali di
committenza regionali di riferimento; 2) esperimento da
parte dell'amministrazione di 'autonome procedure nel
rispetto della normativa vigente, utilizzando i sistemi
telematici di negoziazione messi a disposizione dai soggetti
sopra indicati'; 3) in alternativa, le pp.aa. possono
rivolgersi ad altre centrali di committenza oppure possono
svolgere autonome procedure di evidenza pubblica, purché, in
tali casi, i corrispettivi ottenuti siano inferiori a quelli
indicati nelle convenzioni e accordi quadro messi a
disposizione da Consip e dalle centrali di committenza
regionali e sia prevista nello schema contrattuale la
clausola risolutiva in caso di sopravvenute condizioni più
vantaggiose da parte di Consip e delle centrali di
committenza regionali.
Nel caso in esame, l'Ente ha stipulato nel 2014 un contratto
per la fornitura di energia elettrica con una società
aggiudicataria Consip, ora in scadenza, e si trova nella
situazione di non poter nell'anno 2015 utilizzare una
convenzione Consip, in quanto la società convenzionata ha
comunicato che i quantitativi di energia richiesta sono
sotto soglia minima.
Avuto riguardo al quadro normativo sopra delineato in tema
di procedure di approvvigionamento di energia elettrica,
l'Ente dovrà utilizzare a tal fine gli strumenti alternativi
alle Convenzioni Consip espressamente previsti dall'art. 1,
comma 7, D.L. n. 95/2012 e sopra illustrati.
In particolare, il ricorso al libero mercato postula il
necessario esperimento di procedure ad evidenza pubblica per
l'individuazione del soggetto contraente, nonché la stipula
di contratti che prevedano corrispettivi inferiori a quelli
indicati nelle convenzioni e accordi quadro messi a
disposizione da Consip S.p.A. e dalle centrali di
committenza regionali.
Peraltro, a fronte dei tempi necessari all'esperimento delle
procedure ad evidenza pubblica, si pone la necessità di
assicurare il servizio di fornitura di energia elettrica
senza soluzione di continuità, tra la scadenza del contratto
in essere e la stipula del nuovo contratto a seguito di
dette procedure ad evidenza pubblica.
Al riguardo, viene in considerazione e si rivela utile la
previsione di cui all'art. 125, comma 10, lett. c), D.Lgs.
n. 163/2006, che consente il ricorso all'acquisizione in
economia per prestazioni periodiche di servizi o forniture,
a seguito della scadenza dei relativi contratti, nelle more
dello svolgimento delle ordinarie procedure di scelta del
contraente, nella misura strettamente necessaria e nei
limiti d'importo sotto la soglia di rilievo comunitario
previsti dalla norma.
Va evidenziato che l'art. 125, comma 10, lett. c), citato è
applicabile unicamente se la gara è iniziata prima della
scadenza del contratto da affidare e riguarda il tempo
strettamente necessario ad espletare le operazioni di gara.
La norma non si riferisce ai casi in cui la procedura di
selezione ha inizio successivamente rispetto alla scadenza
del contratto e, soprattutto, non legittima ad effettuare
affidamenti di durata superiore a quanto strettamente
necessario a concludere detta procedura di gara
[2].
Con riferimento agli acquisti in economia, deve altresì
richiamarsi l'art. 331 del d.p.r. 207/2010, a tenore del
quale le procedure in economia devono essere sempre
espletate nel rispetto del principio della massima
trasparenza, contemperando altresì l'efficienza dell'azione
amministrativa con i principi di parità di trattamento, non
discriminazione e concorrenza tra gli operatori economici.
Peraltro, qualora l'importo della fornitura sia inferiore a
40.000, l'Ente potrebbe procedere all'affidamento diretto
alla società attuale fornitrice di energia elettrica, ai
sensi dell'art. 125, comma 10, lettera c) e 11, ultimo
periodo, del D.Lgs. n. 163/2006, per poter continuare ad
approvvigionarsi dalla stessa, oltre la scadenza del
rapporto contrattuale in essere, nella misura strettamente
necessaria, fino alla conclusione della procedura ad
evidenza pubblica, che deve essere attivata prima della
scadenza del contratto in corso.
Questa soluzione appare possibile stante la disponibilità
manifestata da detta società a continuare a garantire le
prestazioni
contrattuali anche dopo la scadenza del contratto e consente
invero di mantenere, nel frattempo, nelle more dello
svolgimento della procedura ordinaria di individuazione del
contraente, l'invarianza del prezzo quale indicato dalla
Convenzione Consip 2014.
Per l'ipotesi in cui la procedura ad evidenza pubblica sul
mercato libero non dovesse andare a buon fine nel reperire
il fornitore di energia elettrica [3],
l'Ente rientrerebbe nel cosiddetto 'regime di
salvaguardia', applicato ai clienti finali di energia
elettrica senza fornitore di energia elettrica o che non
abbiano scelto il proprio fornitore nel libero mercato
dell'energia (art. 1, comma 4, D.L. n. 73/2007)
[4]. Per
cui, il fornitore di energia verrebbe ad essere la società
aggiudicataria della fornitura del servizio di salvaguardia
per l'area di riferimento, a seguito di asta pubblica (art.
1, comma 4, D.L. n. 73/2007) [5].
In proposito, si rileva che il prezzo applicato sul prelievo
di energia elettrica in regime di salvaguardia può essere
più oneroso di quello ottenuto da Consip S.p.a.
[6], a
seconda dell'area territoriale di riferimento. Per cui, se
il ricorso al regime di salvaguardia può costituire una
soluzione temporanea per assicurare la continuità del
servizio di energia elettrica, nel caso in cui si riveli
infruttuosa la procedura ad evidenza pubblica sul libero
mercato e qualora non sia possibile aderire alle Convenzioni
Consip [7],
va da sé che comunque il regime di salvaguardia dovrebbe
durare il tempo strettamente necessario e lasciare il posto
ad un contratto stipulato alle condizioni Consip, non appena
possibile [8].
Comunque, in ragione della gravità delle sanzioni previste
dal DL 95/2012, si suggerisce al Comune di segnalare
formalmente a Consip s.p.a. tale problematica affinché possa
valutare di tenerla in considerazione nella progettazione
delle nuove procedure di affidamento delle convenzioni per
la fornitura di energia elettrica.
---------------
[1] D.L. 06.07.2012, n. 95, recante: 'Disposizioni
urgenti per la revisione della spesa pubblica con invarianza
dei servizi ai cittadini nonché misure di rafforzamento
patrimoniale delle imprese nel settore bancario'.
[2] Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, Servizio
contratti pubblici, Servizio supporto tecnico giuridico,
Supporto tecnico giuridico: risposte ai quesiti più
frequenti in materia di contratti pubblici,
Volume 1°.
Il contenuto del comma 10 in argomento viene esplicitato,
sia sul piano giurisprudenziale che su quello della prassi,
nel senso che nelle ipotesi ivi previste, tipiche e
tassative, il ricorso all'acquisizione in economia è
consentito indipendentemente dalla circostanza che i beni e
servizi da affidare siano ricompresi nella tipologia di beni
e servizi previamente individuati con proprio provvedimento
dall'amministrazione che intende procedere all'affidamento,
comunque sempre nel rispetto del limite massimo di spesa (in
giurisprudenza, cfr. TAR Marche, sez. I, 10.01.2013, n. 28,
e 03.09.2013, n. 637. Il Giudice amministrativo marchigiano
precisa che l'affidamento in economia, sulla base del
parametro normativo di cui all'art. 125, può essere
disposto, entro i limiti di importo di legge, per i servizi
individuati dalle stazioni appaltanti con regolamenti o atti
amministrativi generali, ovvero nelle fattispecie tipiche
contemplate dal secondo periodo dell'art. 125, decimo comma
del Codice dei contratti pubblici. Sul piano della prassi,
v. Presidenza del Consiglio dei Ministri, Segretariato
Generale, Dipartimento per le Politiche di Gestione e di
Sviluppo delle Risorse Umane, Guida pratica per i contratti
pubblici ci servizi e forniture, vol. 1°, Il mercato degli
appalti, p. 79).
[3] La base d'asta per corrispettivi inferiori da quelli
indicati nella Convenzione Consip, in ottemperanza all'art.
1, comma 7, D.L. n. 95/2012, potrebbe infatti non trovare
risposte sul libero mercato.
[4] D.L. 18.06.2007, n. 73, recante: 'Misure urgenti per
l'attuazione di disposizioni comunitarie in materia di
liberalizzazione dei mercati dell'energia', convertito, con
modificazioni, dalla L. n. 125/2007. In particolare, le
pubbliche amministrazioni sono clienti finali, e dunque
idonei, di energia elettrica (nel senso di poter usufruire
del mercato libero dell'energia elettrica), ai sensi
dell'art. 14, comma 5-bis, D.Lgs. 16.03.1999, n. 79,
recante: 'Attuazione della direttiva 96/92/CE recante norme
comuni per il mercato interno dell'energia elettrica'.
[5] Nel settore dell'energia, per facilitare un passaggio
graduale dal regime 'vincolato' al mercato libero, il
legislatore italiano con il D.L. n. 73/2007, ha dettato un
particolare regime di tutela per i clienti che non abbiano
scelto un fornitore sul mercato libero, articolato
attraverso due servizi: il 'servizio di maggior tutela',
destinato ai clienti domestici e alle imprese connesse in
bassa tensione, aventi meno di 50 dipendenti e un fatturato
annuo non superiore a 10 milioni di euro; il 'servizio di
salvaguardia' destinato ai clienti finali non domestici, che
abbiano autocertificato di non essere piccole imprese, che
siano senza fornitore di energia elettrica o che non abbiano
scelto il proprio fornitore nel libero mercato dell'energia.
Il medesimo decreto ha previsto che l'erogazione del
servizio di salvaguardia sia affidata a imprese scelte in
base ad una procedura di gara. La relativa disciplina è
stata individuata con decreto nel Ministero dello Sviluppo
Economico del 23.11.2007 e con delibera 21.12.2007 n. 337
dell'Autorità per l'energia elettrica il gas e il sistema
idrico (AEEG).
[6] Il costo del Servizio di salvaguardia varia
sensibilmente tra le diverse regioni italiane, come emerge
dagli esiti della procedura concorsuale, di cui all'art. 1,
comma 4, D.L. n. 73/2007, pubblicati da Acquirente Unico per
gli anni 2014, 2015 e 2016. (V. al
seguente indirizzo web).
In proposito, si evidenzia che non è consentito all'ente
pubblico stipulare col soggetto fornitore di energia
elettrica in regime di salvaguardia contratti in regime di
libero mercato, a condizioni più vantaggiose, senza esperire
la necessaria procedura ad evidenza pubblica. Infatti, non
vi è alcuna deroga alla normativa del Codice dei contratti
pubblici (D.Lgs. n. 163/2006) per gli enti pubblici che
intendano concludere contratti di fornitura nel mercato
libero dell'energia elettrica con imprese che esercitano il
ruolo di fornitore del servizio di salvaguardia. (Cfr.
Autorità garante della concorrenza e del mercato,
provvedimento n. 21205 del 09.06.2010).
[7] Perché, come nel caso di specie, la società
aggiudicataria della Convenzione Consip rifiuta ordinativi
di fornitura in quanto inferiori ad una determinata soglia
minima.
[8] Va segnalato, infatti, che l'art. 1, commi 7 e 8, D.L.
n. 95/2012, sanziona i costi sostenuti per l'energia
elettrica in misura superiore ai parametri Consip (12.06.2015
-
link a
www.regione.fvg.it). |
APPALTI - ATTI AMMINISTRATIVI:
Le comunicazioni con le imprese.
DOMANDA:
Premesso che la PA è tenuta ad intraprendere rapporti con le
imprese mediante l'utilizzo della PEC, con il presente
quesito si desiderano richiedere delucidazioni in merito
alle seguenti problematiche:
1- L'invio di documentazioni ed istanze in formato cartaceo
direttamente mediante servizio postale o allo sportello del
protocollo è ancora possibile, se si fino a quale data?
2- Qualora l'invio cartaceo fosse possibile e la ditta
ometta di indicare la sua PEC, l'ente può mediante
regolamento o disposizioni dirigenziali dichiarare
irricevibile l'istanza con archiviazione diretta della
stessa?
3- Qualora una mail pec inviata all'indirizzo indicato dalla
ditta o reperibile sul sito
www.inipec.gov.it non
venga consegnata con indicazione "avviso di mancata
consegna", condizione non addebitabile a problemi
informatici ma a causa del mancato pagamento del rinnovo
dell'indirizzo mail, quale validità può essere attribuita
alla pec inviata dall'Ente? Ci sono differenze tra
quest'ultimo caso e l'eventuale mancata consegna per casella
piena? E quali rimedi sono esperibili qualora non sia
reperibile un valido indirizzo pec?
RISPOSTA:
A norma dell’art. 5-bis, comma 1, del Codice
dell’Amministrazione Digitale “la presentazione di
istanze, dichiarazioni, dati e lo scambio di informazioni e
documenti, anche a fini statistici, tra le imprese e le
amministrazioni pubbliche avviene esclusivamente utilizzando
le tecnologie dell'informazione e della comunicazione. Con
le medesime modalità le amministrazioni pubbliche adottano e
comunicano atti e provvedimenti amministrativi nei confronti
delle imprese”.
Tale disposizione è pienamente vigente e, pertanto, non è
più possibile utilizzare la modalità cartacea per le
comunicazioni tra l’Ente e le imprese. La presenza –su
INI-PEC– di indirizzi di posta elettronica certificata non
attivi, errati o comunque inutilizzati dall’impresa titolare
che, lasciando la propria casella in condizione di non poter
ricevere i messaggi PEC, di fatto impedisce il buon fine
della comunicazione, rappresenta un limite dello strumento.
La mancata consegna della PEC per mancato rinnovo
dell’indirizzo corrisponde alla raccomandata tornata al
mittente per irreperibilità. Diversamente, l’impossibilità
di consegnare il messaggio dovuta al raggiungimento della
capienza massima della casella di posta della società,
seppur dovuta alla mancanza di diligenza di quest’ultima nel
liberare lo spazio sufficiente sulla casella per consentire
la ricezione dei messaggi, non permette l’effettivo
perfezionamento della ricezione del messaggio in quanto il
mittente non riceve la conferma del recapito dello stesso.
In tali casi, al fine di avere la certezza circa l’effettivo
recapito delle comunicazioni, si consiglia di provvedere con
le tradizionali modalità analogiche (link a
www.ancirisponde.ancitel.it). |
LAVORI PUBBLICI:
L'armonizzazione contabile e il leasing finanziario.
DOMANDA:
Nel 2012 il Comune ha stipulato locazione finanziaria a
seguito di procedura ad evidenza pubblica per la
realizzazione di un nuovo polo scolastico, impegnandosi con
l'intermediario finanziario al pagamento di un canone
periodico a fronte del godimento del bene del quale
acquisirà la proprietà al termine del periodo contrattuale.
Alla consegna dell'opera la società di leasing comincerà ad
incassare i canoni.
L'opera che doveva concludersi entro il 2014, per diverse
problematiche non si concluderà prima di agosto 2015.
L'operazione era stata impostata in base al c.d. metodo
patrimoniale che, dando priorità agli aspetti
giuridico-formali attinenti alla titolarità del bene in capo
al soggetto finanziatore, determinava l'iscrizione delle
spese per i canoni comprensive di quota capitale e quota
interessi tra le spese correnti e l'iscrizione del bene nel
conto del patrimonio dell'ente al momento dell'esercizio
dell'opzione di riscatto.
In questo caso l'operazione non produceva effetti sui limiti
di indebitamento ed incideva ai fini del patto di stabilità
sul saldo di parte corrente per la quota impegnata
annualmente per i canoni. Nel nuovo sistema di contabilità
armonizzata, invece, il principio di competenza finanziaria
potenziata impone la prevalenza della sostanza sulla forma e
la considerazione del leasing finanziario come operazione di
indebitamento per cui il debito va rilavato in bilancio per
l'intero importo del finanziamento da iscrivere tra le
accensioni di prestito con inevitabili conseguenze sul patto
di stabilità.
Secondo il principio contabile 3.25 dell'allegato 4/2 al
D.Lgs. 118/2011 il leasing finanziario ....è registrato
secondo il metodo finanziario al fine di rilevare
sostanzialmente che l'Ente si sta indebitando per acquisire
un bene. Al momento della consegna del bene oggetto del
contratto, si rileva il debito pari all'importo oggetto di
finanziamento, da iscrivere tra le accensioni di prestiti, e
si registra l'acquisizione del bene tra le spese di
investimento.
Da ciò si evince l'incidenza oltre che sul limite di
indebitamento, anche sul patto di stabilità per l'intero
importo del debito. E' corretta questa interpretazione?
L'ultima parte del principio contabile 3.25 di cui sopra,
recita ......I principi di cui al presente paragrafo si
applicano a decorrere dal 01.01.2015, alle nuove operazioni
di leasing.
In merito a quest'ultimo punto, poiché il Comune ha
stipulato il contratto di leasing e il contratto di appalto
nel 2012, può escludersi che venga considerata come nuova
operazione di leasing, con la possibilità che, pur imputando
in bilancio il valore dell'immobile acquisito in leasing
finanziario per l'intero valore del bene, incida ai fini del
patto di stabilità solo per la quota di canone annuo, ferma
restando l'incidenza sulla capacità di indebitamento?
RISPOSTA:
Il quesito ha correttamente impostato la problematica del
leasing finanziario secondo i nuovi principi rivenienti
dall’ armonizzazione contabile. In sostanza e sinteticamente
il leasing finanziario è registrato con le stesse scritture
utilizzate per gli investimenti finanziati da indebitamento,
con l’importo del finanziamento pari al valore attuale dei
pagamenti dovuti per il leasing.
Pertanto i canoni periodici sono registrati distinguendo la
parte interessi, da imputare tra le spese correnti, dalla
parte capitale da imputare ai rimborsi prestiti.
Poiché nella parte conclusiva del Principio 3.25 viene
stabilito che l’applicazione dello stesso, come sopra
riportato, è riferita alle operazioni di leasing stipulate
dopo l’01/01/2015 appare corretta l’interpretazione fornita
nell’ultima parte del quesito (link a
www.ancirisponde.ancitel.it). |
APPALTI: Sui
requisiti soggetti dei membri della commissione di gara.
L'art. 84 del d.lgs. 163/2006, laddove
ha previsto che i commissari siano selezionati tra gli
esperti "nello specifico settore cui si riferisce l'oggetto
del contratto", deve essere inteso nel senso che è “la
commissione nel suo complesso a dover garantire il possesso
delle conoscenze tecniche globalmente occorrenti nella
singola fattispecie”.
Correlativamente, è stato reputato che la costituzione di
una commissione di cinque membri a presenza maggioritaria di
tecnici esperti sia invece coerente con le regole di
carattere generale in tema di commissioni giudicatrici di
procedure concorsuali che sono state messe a fuoco dalla
giurisprudenza a salvaguardia delle superiori esigenze di
buon andamento, imparzialità e trasparenza.
E si è pertanto respinta la tesi secondo cui, anche in caso
di maggioranza della commissione pacificamente composta da
tecnici, vi sarebbe illegittimità della costituzione per il
mero fatto il relativo collegio non è composto in via
"esclusiva" da esperti "nello specifico settore cui si
riferisce l’oggetto del contratto”, sul presupposto che così
andrebbe interpretato l’art. 84 del Codice dei contratti
pubblici: una interpretazione tanto radicale del precetto
non risponde, peraltro, all’elaborazione giurisprudenziale
cui la norma si riallaccia né al più ampio principio di cui
la stessa è espressione, che portano a ritenere
indispensabile, sì, ma di regola anche sufficiente, che i
tecnici dello specifico settore rappresentino la maggioranza
(e non addirittura la totalità) dei componenti della
commissione.
Superate le eccezioni di carattere preliminare, si può
entrare nel merito del ricorso, partendo dai motivi di
impugnazione concernenti la composizione della commissione
giudicatrice in quanto articolati in via principale dalla
ricorrente.
Sul punto la P.C. spa ha formulato le seguenti doglianze:
violazione dell’art. 84 comma 2 del d.lgs. n. 163 del 2006
per non essere stata la commissione composta da “esperti
nello specifico settore cui si riferisce l’oggetto
dell’appalto”; violazione dell’art. 84, comma 8, del
d.lgs. n. 163 del 2006 per essere stati nominati quali
commissari (fatta eccezione per il Presidente) soggetti
diversi dai funzionari della stazione appaltante, senza
previo accertamento della carenza in organico presso la
stessa di adeguate professionalità in grado di espletare
l’incarico, così da evitare il ricorso ad esperti esterni;
violazione dell’art. 84, comma 4, del d.lgs. n. 163 del 2006
(i commissari diversi dal presidente non devono aver svolto
o svolgere alcuna funzione o incarico relativamente al
contratto del cui affidamento si tratta) per essere stato
nominato tra i commissari l’Ing. L.Dell’A., funzionario
tecnico del Provveditorato Interregionale alle OO.PP. per la
Puglia e Basilicata, ente quest’ultimo che ha provveduto, in
relazione all’opera per cui è causa, alla verifica della
progettazione definitiva ed esecutiva, emettendo il Rapporto
di Verifica Finale n. 1 del 06.05.2014.
Tutte le censure appena esposte ad avviso del collegio vanno
disattese.
Invero, quanto all’ultimo aspetto evidenziato, l’Autorità
Portuale di Taranto costituendosi in giudizio ha dimostrato
(mediante produzione in giudizio del Rapporto di Verifica
citato) che l’Ing. Dell’A., benché Funzionario Tecnico del
provveditorato, non si è occupato della verifica della
progettazione definitiva ed esecutiva dell’opera per cui è
causa, essendo del tutto estraneo al gruppo di verifica
(c.d. “Unità di Verifica Progetti”, costituita dagli
Ing. N., M. e R.) che ha compiuto tale attività redigendo il
conseguente Rapporto di Verifica, sicché nessuna
incompatibilità ex art. 84, comma 4, del d.lgs. 163 del 2006
può ritenersi sussistente nel caso in esame.
Quanto, invece, alla nomina nell’ambito della commissione
giudicatrice di soggetti esterni all’Autorità Portuale,
l’infondatezza della censura trova conferma nell’art. 120,
comma 4, del DPR 207 del 2010 che riconosce la generale
possibilità di scegliere commissari esterni alla stazione
appaltante nel caso di lavori di importo superiore a 25
milioni di euro nei quali le componenti architettonica e/o
strutturale e/o impiantistica siano non usuali e di
particolare rilevanza, ipotesi configurabile nel caso in
esame, come correttamente evidenziato nell’atto di nomina
della commissione di cui si discute.
Quanto, infine, alle contestazioni inerenti la scelta dei
commissari e più specificamente alle loro qualifiche e
conoscenze, la ricorrente ha nell’atto introduttivo
formulato doglianze puntuali in relazione alla Dott.ssa B.A.
e all’Arch. M.R.A., mettendo in discussione le loro
competenze.
In particolare la Piacentini Costruzioni spa ha sostenuto
che la dott.ssa A. non sarebbe munita della necessaria
professionalità in quanto laureata in giurisprudenza e priva
di conoscenze ed esperienze tecniche in ordine al settore
oggetto dell’appalto; la Dott.ssa An., invece, benché
architetto, ad avviso della ricorrente non potrebbe
qualificarsi come esperto ai fini della valutazione delle
offerte della procedura per cui è causa, in quanto reca nel
proprio curriculum incarichi pregressi estranei alle
specifiche tecniche ingegneristiche rilevanti nell’appalto
in esame.
Tale censura non può, tuttavia, essere condivisa alla luce
dei consolidati e condivisibili principi affermati dalla
giurisprudenza del Consiglio di Stato in materia di
composizione delle commissioni giudicatrici: l'art. 84 del
d.lgs. 163/2006, laddove ha previsto che i commissari siano
selezionati tra gli esperti "nello specifico settore cui
si riferisce l'oggetto del contratto", deve essere
inteso nel senso che è “la commissione nel suo complesso
a dover garantire il possesso delle conoscenze tecniche
globalmente occorrenti nella singola fattispecie”
(C.d.S., sentenza sez. V del 28.05.2012, n. 3124; sentenza
sez. V del 16.01.2015, n. 92; sentenza sez. VI, del
10.06.2013, n. 3203). “I casi noti in cui questo
Consiglio ha riscontrato la presenza del vizio che viene qui
dedotto erano caratterizzati dalla prevalenza, nelle singole
commissioni, di elementi sprovvisti di competenze tecniche
specifiche (C.d.S., sentenza sez. VI, 25.07.1994, n. 1261),
ad esempio per il fatto che quattro componenti del collegio
su cinque erano privi di diploma di laurea (C.d.S., sentenza
sez. V, 17.03.2009, n. 6297), oppure in quanto il personale
amministrativo predominava su quello tecnico (C.d.S.,
sentenza sez. V, n. 5100 del 2008), o comunque quest’ultimo
costituiva una netta minoranza (C.d.S., sentenza sez. V,
09.06.2003, n. 3242)” (Consiglio di Stato, sentenza n.
1824 del 09.04.2015).
Correlativamente, è stato reputato che la costituzione di
una commissione di cinque membri a presenza maggioritaria di
tecnici esperti sia invece coerente con le regole di
carattere generale in tema di commissioni giudicatrici di
procedure concorsuali che sono state messe a fuoco dalla
giurisprudenza a salvaguardia delle superiori esigenze di
buon andamento, imparzialità e trasparenza (C.d.S., sentenza
sez. V, 26.04.2005, n. 1902).
E si è pertanto respinta la tesi secondo cui, anche in caso
di maggioranza della commissione pacificamente composta da
tecnici, vi sarebbe illegittimità della costituzione per il
mero fatto il relativo collegio non è composto in via "esclusiva"
da esperti "nello specifico settore cui si riferisce
l’oggetto del contratto”, sul presupposto che così
andrebbe interpretato l’art. 84 del Codice dei contratti
pubblici: una interpretazione tanto radicale del precetto
non risponde, peraltro, all’elaborazione giurisprudenziale
cui la norma si riallaccia né al più ampio principio di cui
la stessa è espressione, che portano a ritenere
indispensabile, sì, ma di regola anche sufficiente, che i
tecnici dello specifico settore rappresentino la maggioranza
(e non addirittura la totalità) dei componenti della
commissione (C.d.S., Sez. V, 20.12.2011, n. 6701).
Nel caso in esame, quindi, essendo pacifico che dei cinque
componenti la commissione giudicatrice quattro erano tecnici
(un architetto e tre ingegneri) e uno solo (la Dott.ssa A.)
risultava laureato in giurisprudenza deve ritenersi che i
principi suesposti concernenti la legittima composizione del
collegio siano stati rispettati.
Peraltro, la Dott.ssa A., benché membro "non tecnico"
in quanto, appunto, dotato di laurea in giurisprudenza,
risulta attualmente “dirigente della Divisione n. 5
presso il Ministero delle Infrastrutture, con l’incarico di
coordinamento dell’assetto del territorio. Programmi e
progetti europei di sviluppo spaziale ed urbano” e reca
tra le esperienze maturate in passato quella di redazione di
“convenzioni PON”, “gestione di programmi di
iniziativa territoriale, transnazionale, trasfrontaliera,
interregionale”, “redazione di un programma innovativo
porti e stazioni”, sicché non se ne può certamente
affermare la totale estraneità rispetto alle competenze
necessarie ai fini della procedura per cui è causa,
implicando la stessa, in primo luogo, l’utilizzazione di
cognizioni giuridiche ai fini del corretto svolgimento delle
operazioni valutative e, in secondo luogo aspetti di
carattere gestionale ed organizzativo (si pensi
all’organizzazione del cantiere, voce che costituisce
oggetto di specifica valutazione nell’ipotesi in
discussione) nel cui ambito la Dott.ssa A. ha sicuramente
potuto offrire un utile apporto, a maggior ragione tenuto
conto del fatto che il lavoro oggetto dell’appalto rientra
proprio tra le azioni PON “Reti e mobilità 2007/2013”
ed è stato finanziato anche da fondi europei, con
conseguente necessità da parte dei commissari di conoscere i
profili e le normative connesse a tali gare.
Quanto, invece, alla Dott.ssa An., innanzitutto non se ne
può affermare il profilo “non tecnico” essendo la
stessa laureata in architettura; né si può ritenere, come
sostiene invece la ricorrente, che tale commissario non sia
“esperto” nel settore oggetto della gara d’appalto
per il fatto che tra le esperienze dallo stesso maturate non
rientrerebbero mansioni specificamente attinenti alle
tecniche ingegneristiche coinvolte nell’appalto per cui è
causa.
Invero, dal curriculum della professionista in esame
emerge che la Dott.ssa An., laureata in architettura, si è
specializzata dopo la laurea in “progettazione
architettonica assistita dal computer” e in
“architettura antisismica e protezione civile” e reca tra le
proprie attività di ricerca quella dello studio dei “siti
archeologici ed infrastrutture”; inoltre ha curato il
coordinamento delle monografie riguardanti proprio i “quaderni
del PON Reti e mobilità 2007/2013”, nel cui ambito si
colloca l’iniziativa oggetto dell’appalto.
Essa si è altresì occupata, presso il Ministero dei
Trasporti, di progettazione preliminare, direzione lavori,
collaudo ed ha svolto mansioni di responsabile del
procedimento e membro di altre commissioni, sicché non
sussistono dubbi in ordine al fatto che la stessa possa
ritenersi dotata delle competenze necessarie per valutare le
offerte per cui è causa.
Né possono condividersi le argomentazioni di parte
ricorrente secondo cui la necessità di particolare
conoscenze in capo ai commissari deriverebbe nel caso in
esame dalla complessità dell’appalto, atteso che pur
riguardando la gara in esame un intervento di sicura
complessità (interventi di dragaggio di sedimenti in area
Molo Polisettoriale per la realizzazione di un primo lotto
della cassa di colmata funzionale all’ampliamento del V
sporgente del Porto di Taranto), va tuttavia evidenziato che
alle società concorrenti non è stato chiesto di effettuare
l’intera progettazione dell’opera ma solo di determinare, in
relazione al progetto definitivo dettagliato già posto a
base di gara, “le modalità tecnico realizzative del
tratto a mare della struttura di confinamento della cassa di
colmata” e “gli interventi migliorativi volti a
limitare i lavori necessari al completamento della cassa di
colmata ai fini del suo utilizzo finali”, aspetti sui
quali una commissione formata prevalentemente da ingegneri e
da un architetto è sicuramente in grado di esprimere il
proprio giudizio in modo adeguato e corretto.
Pertanto, ad avviso del collegio, la censura di illegittima
composizione della commissione per mancato inserimento nella
stessa di esperti "nello specifico settore cui si
riferisce l'oggetto del contratto" deve essere
disattesa, tenuto conto della prevalenza nel collegio di
ingegneri (tre su cinque), del fatto che dei due componenti
contestati dalla ricorrente solo uno (la Dott.ssa A.) gode
di una laurea “non tecnica” (in giurisprudenza)
mentre l’altra (la Dott.ssa An.) è, invece, un architetto e,
in ogni caso, delle considerazioni suesposte circa la
capacità tecnica e la competenza giuridico-amministrativa in
tema di gare anche di questi ultimi due commissari, i cui
profili hanno quindi sicuramente completato il patrimonio di
cognizioni della commissione nel suo insieme, rendendola
pienamente idonea alla complessa attività valutativa da
compiere (TAR Puglia-Lecce, Sez. I,
sentenza 04.06.2015 n. 1854 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI: Spetta
al RUP stilare la relazione di valutazione
dell’anomalia dell’offerta da trasmettere alla
commissione di gara, la quale provvederà
all’aggiudicazione provvisoria dei lavori.
---------------
In base all’Adunanza Plenaria n. 36 del 29.11.2012,
anche nel regime anteriore all'entrata in vigore
dell'art. 121 d.P.R. 05.10.2010 n. 207, è attribuita
al responsabile del procedimento facoltà di
scegliere, a seconda delle specifiche esigenze di
approfondimento richieste dalla verifica, se
procedere personalmente ovvero affidare le relative
valutazioni alla commissione aggiudicatrice.
Con la conseguenza che è legittima la verifica di
anomalia dell'offerta eseguita, anziché dalla
commissione aggiudicatrice, direttamente dal
responsabile unico del procedimento avvalendosi
degli uffici e organismi tecnici della stazione
appaltante.
---------------
La scelta di far espletare la verifica dell’anomalia
alla commissione di gara o ad apposita commissione
ex articolo 88, comma 1-bis, del d.lgs. n. 163 del
2006 è rimessa alla piena discrezionalità del RUP al
quale è affidata ai sensi dell’articolo 10 del
d.lgs. n. 163 del 2006 “la gestione integrale della
procedura di gara, svolgendo il ruolo di fornire
alla stazione appaltante ogni elemento informativo
idoneo a una corretta e consapevole formazione della
volontà contrattuale dell’amministrazione
committente”.
8.- E’ infondata e va respinta la censura di
incompetenza del RUP ad effettuare la verifica
dell’anomalia.
Come rilevato nella sentenza impugnata, il ruolo del
RUP nella verifica dell’anomalia dell’offerta deriva
dalla delibera del consiglio di amministrazione del
CREAF del 04.11.2010 -tardivamente impugnata con i
motivi aggiunti– che stabilisce testualmente <il
RUP si attiva per richiedere all’impresa le
giustificazioni dei prezzi offerti…il RUP
verificherà la congruità dell’offerta alla luce
della documentazione pervenuta..>, espressioni
queste che lasciano poco spazio a dubbi sul ruolo
assegnato al RUP nella suddetta procedura.
Sempre al RUP spetta, poi, stilare la relazione di
valutazione dell’anomalia dell’offerta da
trasmettere alla commissione di gara, la quale
provvederà all’aggiudicazione provvisoria dei
lavori.
Le operazioni di gara si sono svolte in aderenza a
tali prescrizioni e della complessa attività
istruttoria si dà conto nel verbale della
commissione n. 94 del 21.03.2011.
Ne consegue l’infondatezza della censura.
8.1- Ugualmente infondata la censura di violazione
dell’articolo 121 del d.p.r. n. 207 del 2010, atteso
che, come correttamente evidenziato nella sentenza
impugnata, tale regolamento non era applicabile
ratione temporis.
Infatti, il d.p.r. n. 207 del 2010 è entrato in
vigore il 10.12.2011, dopo 180 giorni dalla
pubblicazione sulla G.U. avvenuta il 09.06.2011,
sicché in base al combinato disposto dei commi 2 e 3
dell’articolo 253 del d.lgs. n. 163 del 2006, la
fattispecie ricadeva nella disciplina del d.p.r. n.
554 del 1999 (il Regolamento in materia di lavori
pubblici) il cui articolo 89, comma 4, con
riferimento a lavori di importo inferiore al
controvalore in euro di 5.000.000 di DSP, nei quali
rientra l’appalto in questione del valore di euro
2.548.000.000, attribuiva la verifica della
congruità delle offerte che presentassero carattere
anormalmente basso, al responsabile del
procedimento.
8.2- D’altro canto, in base all’Adunanza Plenaria n.
36 del 29.11.2012, anche nel regime anteriore
all'entrata in vigore dell'art. 121 d.P.R.
05.10.2010 n. 207, è attribuita al responsabile del
procedimento facoltà di scegliere, a seconda delle
specifiche esigenze di approfondimento richieste
dalla verifica, se procedere personalmente ovvero
affidare le relative valutazioni alla commissione
aggiudicatrice. Con la conseguenza che è legittima
la verifica di anomalia dell'offerta eseguita,
anziché dalla commissione aggiudicatrice,
direttamente dal responsabile unico del procedimento
avvalendosi degli uffici e organismi tecnici della
stazione appaltante.
In conclusione, la scelta di far espletare la
verifica dell’anomalia alla commissione di gara o ad
apposita commissione ex articolo 88, comma 1-bis,
del d.lgs. n. 163 del 2006 è rimessa alla piena
discrezionalità del RUP al quale è affidata ai sensi
dell’articolo 10 del d.lgs. n. 163 del 2006 “la
gestione integrale della procedura di gara,
svolgendo il ruolo di fornire alla stazione
appaltante ogni elemento informativo idoneo a una
corretta e consapevole formazione della volontà
contrattuale dell’amministrazione committente”.
8.2- Per le stesse ragioni su evidenziate è
infondata è anche la censurata incompatibilità del
RUP per potenziale conflitto di interessi.
Poiché è la legge ad attribuire al RUP il ruolo
centrale nella verifica dell’anomalia dell’offerta,
un potenziale conflitto di interessi è escluso a
monte, non avendo il legislatore ravvisato
l’incompatibilità del RUP -soggetto interno
all’amministrazione– rispetto alla verifica
dell’anomalia dell’offerta.
D’altra parte la verifica della congruità
dell’offerta anomala e della sostenibilità della
commessa è finalizzata alla tutela
dell’amministrazione appaltante e, quindi,
coerentemente è affidata al responsabile del
procedimento, salve difficoltà tecniche di
valutazione che ne consiglino l’affidamento ad una
commissione appositamente costituita.
Situazione che, come detto, non ricorre nel caso in
esame.
8.3- Infondate sono anche le censure dedotte avverso
il giudizio di inaffidabilità dell’offerta espresso
dal RUP.
Il procedimento di verifica dell’anomalia risulta,
infatti, corretto sia formalmente che nella
sostanza.
Esso è stato caratterizzato da una approfondita
indagine voce per voce, con richieste di
giustificazioni e audizioni dell’interessata e
risulta adeguatamente motivato e supportato da
specifici riferimenti ad elementi di dubbia
congruità evidenziati anche nella sentenza
impugnata.
D’altra parte essendo la valutazione di congruità
dell’offerta un apprezzamento tecnico–discrezionale,
essa è sindacabile solamente per manifesta
irragionevolezza o travisamento dei fatti, che nella
specie non risultano provati ma contestati con mere
affermazioni inidonee a costituire elemento
probatorio adeguato
(Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 03.06.2015 n. 2727 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
maggio 2015 |
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LAVORI PUBBLICI: Appalti,
costi per la sicurezza nell’offerta. Lavori pubblici. I
chiarimenti dell’Anac sugli interventi di valore superiore
ai 150mila euro.
Gli operatori economici che
concorrono in una gara di appalto per lavori pubblici devono
specificare nell’offerta i costi della sicurezza aziendali,
mentre le stazioni appaltanti devono specificare questo
elemento nel disciplinare.
L’Autorità nazionale
anticorruzione, con il
comunicato del
Presidente del 27.05.2015 ha fornito
alcune importanti precisazioni alle stazioni appaltanti in
ordine al bando-tipo numero 2/2014, che le amministrazioni
devono obbligatoriamente utilizzare per le gare per appalti
di lavori pubblici di valore superiore ai 150mila euro,
indette con il criterio del prezzo più basso.
L’Anac ha chiarito che anche nelle procedure per
l’affidamento di lavori pubblici i concorrenti devono
specificare nell’offerta economica i costi della sicurezza
aziendali, analogamente a quanto previsto per gli appalti di
beni e servizi, con estensione applicativa di quanto
stabilito dall’articolo 87, comma 4, Dlgs. 163/2006,
aderendo all’interpretazione del Consiglio di Stato, che
nella decisione dell’adunanza plenaria n. 3 del 20.03.2015 ha ritenuto che l’obbligo di procedere a tale
indicazione, pur se non dettato expressis verbis dal
legislatore, si ricavi in modo univoco da un’interpretazione
sistematica delle norme regolatrici della materia date sia
nel Codice dei contratti che nel Testo unico sulla sicurezza
sul lavoro.
Dato che nel bando-tipo tale aspetto non era stato
regolamentato, l’Anac specifica che al fine di garantire
l’osservanza del principio di diritto espresso ed evitare di
generare un errato affidamento dei concorrenti in ordine
all’assenza dell’obbligo, le stazioni appaltanti sono tenute
a prevedere nei bandi di gara l’obbligo degli operatori
economici di indicare espressamente nell’offerta gli oneri
di sicurezza aziendali.
L’Anac precisa che deve essere
inserita una specifica frase al punto 1 del paragrafo 17.1
del bando-tipo n. 2/2014 e che analoga formulazione deve
essere contenuta nel modello di dichiarazione di offerta
economica allegato al bando. Per le procedure in corso l’Anac
suggerisce alle stazioni appaltanti di inserire un
chiarimento al bando nel profilo del committente, in cui
specificare ai concorrente l’obbligo di indicazione dei
costi della sicurezza aziendali.
Il bando-tipo per gli appalti di lavori presentava anche un
altro problema, essendo stato definito prima
dell’assestamento del quadro normativo e interpretativo in
materia di nuovo soccorso istruttorio.
L’Anac evidenzia come le cause di esclusione dalla procedura
di gara individuate nel bando-tipo n. 2/2014 siano
regolarizzabili nei modi e nei limiti chiariti nella
determinazione n. 1/2015, con conseguente possibilità di
procedere all’esclusione del concorrente solo dopo
l’infruttuosa richiesta di regolarizzazione da parte della
stazione appaltante.
Per le clausole del bando relative all’esercizio del potere
di soccorso istruttorio, il bando per i lavori pubblici può
essere integrato con le formulazioni proposte dall’Autorità
nello schema per i beni e servizi sottoposto a consultazione
il 18 maggio (articolo Il Sole 24 Ore del
23.06.2015 - tratto da www.centrostudicni.it). |
LAVORI PUBBLICI:
Se le utilizza, l'ente paga le opere
extracontratto.
L'ente paga le opere extracontratto realizzate dal privato
se le utilizza anche senza delibera ad hoc. Alle sezioni
unite passa l'indirizzo minoritario: l'impresa prova
l'indebito arricchimento, il giudice accerta il fatto
oggettivo, mentre l'amministrazione non può opporre il suo
mancato riconoscimento.
Diventa più facile per il privato farsi certificare dal
giudice che la pubblica amministrazione si è indebitamente
arricchita alle sue spalle: il riconoscimento dell'utilità
dei lavori svolti dall'impresa edile fuori dal contratto,
infatti, non costituisce un requisito dell'azione ex
articolo 2041 cc..
Il privato deve dunque provare il fatto oggettivo
dell'arricchimento da parte dell'ente e il giudice ad
accertarlo, mentre l'amministrazione non può opporre il suo
mancato riconoscimento dei lavori: in altri termini, conta
che il comune abbia comunque utilizzato le opere realizzate
ma non contrattualizzate, anche se manca una delibera ad hoc
della giunta o del consiglio o il placet del sindaco.
Lo stabiliscono le Sezz. Unite civili della Corte di
Cassazione con la
sentenza 26.05.2015 n. 10798.
Vantaggio ingiustificato.
Accolto il ricorso proposto dagli eredi del piccolo
impresario edile. La ditta realizza per conto del comune
anche lavori non previsti in origine ma chiesti dall'ufficio
tecnico dell'ente per garantire la funzionalità degli
edifici. Le opere, però, non vengono mai pagate. E la Corte
d'appello esclude la configurabilità dell'indebito
arricchimento perché manca il riconoscimento dell'utilitas
della prestazione da parte degli organi dell'ente.
Ora il revirement della Suprema corte sta nello
spostare il baricentro dell'indagine del giudice sulla
valutazione in fatto d'arricchimento: il soggetto privato e
l'ente pubblico sono entrambi soggetti alla regola secondo
cui non possono essere legittimati trasferimenti
patrimoniali non giustificabili. Fra loro, ci deve essere
par condicio: se si riconoscesse che l'amministrazione possa
opporre al privato il suo mancato riconoscimento dei lavori
si finirebbe per conferire all'ente una posizione di
vantaggio che è priva di base normativa.
Il fatto che il comune abbia comunque utilizzato l'opera ha
una valenza probatoria del riconoscimento. La circostanza
che i lavori svolti risultino utili all'ente è necessaria
per far scattare l'indennizzo al privato. Ma per liberarsi
l'amministrazione deve dimostrare che l'arricchimento non fu
voluto o non fu consapevole
(articolo ItaliaOggi del 27.05.2015).
---------------
MASSIMA
2. Col primo motivo (il secondo è al primo correlato, in
quanto attiene alla mancata ammissione della prova
articolata sul punto della conoscenza da parte degli "amministratori"
dei lavori di cui trattasi), la ricorrente si duole,
deducendo violazione e falsa applicazione dell'art. 2041
cod. civ., che la Corte d'appello abbia disatteso il
principio, patrocinato da alcune decisioni di questa Corte
di legittimità, secondo il quale il giudizio di utilità può
essere compiuto anche dal giudice, che ha il potere di
accertare se ed in quale misura l'opera o la prestazione
siano state effettivamente utilizzate dalla pubblica
amministrazione.
2.1. Il ricorso richiama un orientamento minoritario di
questa Corte, stigmatizzando il mancato accertamento
giudiziale della fruizione delle opere di manutenzione da
parte dell'ente pubblico nella piena consapevolezza della
relativa esecuzione, sebbene nell'assenza di un
riconoscimento implicito o esplicito dei suoi organi
rappresentativi.
La sezione terza, assegnataria del ricorso, ne ha, dunque,
promosso la devoluzione alle Sezioni unite, rilevando
nell'ordinanza interlocutoria che sussiste un contrasto
interno alla giurisprudenza di legittimità, «tra
l'orientamento (prevalente) che assume come assolutamente
ineludibile la necessità che il riconoscimento anche
implicito dell'utilitas provenga da organi quanto
meno rappresentativi dell'ente pubblico e quello
(minoritario, ma significativo e fondato su solide
argomentazioni) che offre invece spazi all'apprezzamento
diretto da parte del giudice».
2.2. Non è, invece, in discussione la sussistenza del
requisito della sussidiarietà dell'azione imposto dall'art.
2042 cod. civ., non essendo qui applicabile ratione
temporis la normativa di cui D.L. n. 66 del 1989, art.
23 (conv. in L. 24.04.1989, n. 144, abrogato dall'art. 123,
comma primo, lett. n, del d.lgs. 25.02.1995, n. 77, ma
riprodotto senza sostanziali modifiche dall'art. 35 del
medesimo decreto e infine rifluito nell'art. 191 del D.Lgs.
n. 267 del 2000) che, per i casi di richiesta di prestazioni
o servizi, non rientranti nello schema procedimentale di
spesa tipizzato dalla stessa normativa, ha previsto la
costituzione di un rapporto obbligatorio diretto con
l'amministratore o funzionario responsabile,
correlativamente rimettendo all'ente pubblico la valutazione
esclusiva circa l'opportunità o meno di attivare il
procedimento del riconoscimento del debito fuori bilancio
nei limiti degli accertati e dimostrati utilità ed
arricchimento per l'ente stesso [cfr. lett. e) art. 194
D.Lgs. n. 267 del 2000].
Invero, non potendosi, in difetto di espressa previsione
normativa, affermare la retroattività del cit. d.l. n. 66
del 1989 art. 23, deve ritenersi l'esperibilità dell'azione
di indebito arricchimento nei confronti della P.A. per tutte
le prestazioni e i servizi resi alla stessa anteriormente
all'entrata in vigore di tale normativa (ex plurimis,
tra le più recenti: Cass. 26.06.2012, n. 10636; Cass.
11.05.2007, n. 19572). E poiché i lavori in contestazione
vennero eseguiti nell'anno 1986, è indubbio che il
depauperato non aveva la possibilità di farsi indennizzare
del pregiudizio subito agendo, ai sensi della normativa cit.
direttamente nei confronti dell'amministratore o del
funzionario che aveva consentito l'acquisizione.
2.3. Il punto nodale della controversia si rinviene sulla
necessità o meno di un requisito ulteriore -quello del
riconoscimento dell'utilità dell'opera o della prestazione-
rispetto a quelli standards fissati dagli artt. 2041 e 2042
cod. civ., allorché l'azione venga proposta nei confronti
della P.A.. Strettamente connessa a detta questione si
rivela, poi, quella evidenziata nell'ordinanza
interlocutoria del ruolo assegnato al giudice
nell'accertamento dell'arricchimento; ciò in quanto
individuare l'elemento qualificante dell'azione, in ragione
della qualificazione pubblicistica dell'arricchito, in un
atto di volontà o di autonomia dell'amministrazione
interessata, significa confinare il ruolo giudiziale
all'accertamento di un utile "soggettivo" e, cioè,
riconosciuto come tale (esplicitamente o implicitamente)
dagli organi rappresentativi dell'ente pubblico;
all'inverso, consentire al giudice di sostituirsi alla
pubblica amministrazione nella valutazione dell'utilitas
finisce per spostare l'indagine sul fatto oggettivo
dell'arricchimento, giacché solo questo dovrebbe essere
l'elemento costitutivo della fattispecie, ove non si
ammettano deroghe all'esercizio dell'azione in relazione
alla qualificazione pubblicistica dell'arricchito.
3. Così definito l'ambito della questione all'esame delle
Sezioni Unite, si impone una sintesi delle argomentazioni a
sostegno dell'uno e dell'altro indirizzo di legittimità,
come individuati dall'ordinanza interlocutoria, osservando
sin da ora che nella giurisprudenza di questa Corte ricorre
un ulteriore approccio interpretativo, più risalente nel
tempo, che offre una sorta di tertium genus tra le
soluzioni astrattamente praticabili in materia.
3.1. La tesi prevalente
muove dalla considerazione delle specifiche condizioni e
limitazioni, costituite dalle regole c.d. dell'evidenza
pubblica che presidiano l'attività negoziale della P.A. e si
radica sul rilievo che l'azione di arricchimento comporta,
di fatto, il superamento della regola assoluta a tutela del
buon andamento della pubblica amministrazione, secondo cui
non si può dar luogo a spese non deliberate dall'ente nei
modi previsti dalla legge e senza la previsione
dell'apposita copertura finanziaria. Di qui l'esigenza
-avvertita dalla giurisprudenza, ancor prima che il
legislatore a partire dal già cit. D.L. n. 66 del 1989
segnasse drasticamente l'ambito di operatività dell'azione-
di marcare di "specialità" la domanda di
arricchimento proposta nei confronti della P.A., posto che
il relativo oggetto è costituito quasi sempre da prestazioni
o opere eseguite da privati in dipendenza di contratti
irregolari, nulli o addirittura inesistenti.
E', dunque, ricorrente nella giurisprudenza di legittimità
l'affermazione che per l'utile esperimento dell'azione nei
confronti della P.A. occorre la prova di un duplice
requisito, e cioè, non solo il fatto materiale
dell'esecuzione di un'opera o di una prestazione vantaggiosa
per l'ente pubblico, ma anche il cd. riconoscimento,
espresso o tacito e, in sostanza, che l'amministrazione
interessata abbia compiuto una cosciente e consapevole
valutazione dell'utilità dell'opera, del servizio, o della
prestazione, e che li abbia considerati rispondenti alle
proprie finalità istituzionali.
In particolare -secondo l'orientamento giurisprudenziale
all'esame- la configurazione del riconoscimento dell'utilità
dell'opera o della prestazione come un atto di volontà o di
autonomia della P.A. comporta che la stessa configurabilità
di un arricchimento senza causa resti affidata alla
valutazione discrezionale della sola amministrazione, unica
legittimata a esprimere il relativo giudizio, che presuppone
il doveroso apprezzamento circa la rispondenza diretta o
indiretta della cosa o della prestazione al pubblico
interesse (Cass. 18.04.2013, n. 9486; Cass. 11.05.2007, n.
10884; Cass. 20.08.2004, n.16348; Cass. 23.04.2002, n.
5900); inoltre detta valutazione non solo non può essere
sostituita da quella di amministrazioni terze, pur se
interessate alla prestazione, ma neanche provenire da atti e
comportamenti imputabili a qualsiasi soggetto che faccia
parte della struttura dell'ente di esse destinatario (Cass.
18.04.2013 n. 9486), essendo necessariamente rimessa solo
agli organi rappresentativi di detta amministrazione o a
quelli cui è istituzionalmente devoluta la formazione della
sua volontà (Cass. 27.07.2002, n. 11133; Cass. 17.07.2001,
n. 9694).
E sebbene non si richieda che il riconoscimento avvenga
necessariamente in maniera esplicita -cioè con un atto
formale (il quale, peraltro, può essere assistito dai crismi
richiesti per farne un atto amministrativo valido ed
efficace, ovvero può anche essere carente delle formalità e
dei controlli richiesti, come nel caso in cui l'organo di
controllo lo annulli) e si sia predicata la sufficienza del
riconoscimento implicito- l'una e l'altra forma di
riconoscimento sono ritenute soggette alle medesime regole
dell'evidenza pubblica (sul riconoscimento come atto di
volontà, cfr Cass. 24.10.2011, n. 21962; Cass. 31.01.2008 n.
2312; Cass. 24.09.2007 n. 19572), richiedendosi che
l'utilizzazione dell'opera o della prestazione sia
consapevolmente attuata dagli organi rappresentativi
dell'ente (cfr. Cass. Sez. un. 25.02.2009, n. 4463; Cass.
20.10.2004, n. 16348; nonché Cass. 11133/2002 già cit.).
3.2. Secondo questa tesi, che esalta i limiti istituzionali
della giurisdizione ordinaria, fissati dall'art. 4 della
legge 20.03.1865, n. 2248, all. E, a presidio della
discrezionalità amministrativa, il giudice ordinario non può
giudicare dell'utilitas, dal momento che la necessità
del riconoscimento è tradizionalmente impostata sulla
discrezionalità amministrativa che la valutazione del
vantaggio comporta. L'utiliter versum non può essere
altro che un utile soggettivo, cioè relativo all'interesse
dell'accipiens e la valutazione dell'utilità
dell'ente pubblico si risolve in una valutazione
dell'interesse pubblico, come tale necessariamente affidata
alla P.A..
La tesi si radica sull'evidente timore che -in specie nel
caso assai frequente di indebito arricchimento derivante da
rapporti negoziali instaurati da dipendenti pubblici privi
dei necessari poteri- fa pubblica amministrazione possa
essere chiamata a rispondere ex art. 2041 cod. civ. di tutte
le iniziative arbitrarie assunte al di fuori del controllo
degli organi amministrativi responsabili della spesa, quando
il riconoscimento dell'utilità sia ravvisato nella stessa
utilizzazione dell'opera o del servizio acquisito, da parte
di coloro che hanno abusivamente speso il nome dell'ente o
dell'ufficio.
Sennonché essa -oltre ad apparire espressiva di esigenze di
tutela della P.A., di cui si è fatto carico, nel tempo, il
legislatore, facendo leva, come si è visto, sul carattere
sussidiario dell'azione- rivela la sua criticità sol che si
consideri che, portata alle sue naturali conseguenze, essa
comporta che il giudice, mentre dovrebbe condannare l'ente
pubblico per un arricchimento riconosciuto, ancorché non
provato, dovrebbe assolverlo per un arricchimento provato,
ma non riconosciuto.
Soprattutto l'orientamento risulta fortemente penalizzante
per il depauperato, allorquando l'arricchimento si risolva
in un risparmio di spesa (come nel caso che qui ricorre di
esecuzione di opere di manutenzione), dal momento che un
riconoscimento implicito da parte degli organi
rappresentativi dell'ente pubblico appare ravvisabile solo
in relazione a opere e prestazioni comportanti un incremento
patrimoniale, e quindi suscettibili di appropriazione;
mentre, nel caso che l'opera risulti già esistente e già a
disposizione della collettività, si è ritenuto che il
perdurare -od il riprendere dopo gli interventi- della
pubblica fruizione non possa costituire riconoscimento
implicito dell'utilitas, perché non implica alcuna
valutazione consapevole da parte dell'ente (Cass.
02.09.2005, n. 17703 in motivazione).
3.3. Non mancano tuttavia pronunce
improntate a un approccio più duttile,
nelle quali, in ragione del fondamento equitativo che permea
tutta l'azione di ingiustificato arricchimento, si evidenzia
che il riconoscimento, da parte di enti pubblici,
dell'utilità di una prestazione professionale, con
conseguente loro arricchimento, si realizza con la mera
utilizzazione della stessa, indipendentemente dal fatto che
i fini alla cui realizzazione la prestazione poteva essere
diretta non fossero stati realizzati dall'ente cui il
progetto era stato destinato (Cass. Sez. un. 10.02.1996, n.
1025; e più di recente Cass. 18.06.2008, n. 16596).
In tale prospettiva, l'utilità è stata ritenuta ravvisabile
allorché la P.A., ad esempio, si sia servita della
prestazione del privato per corredare pratiche
amministrative, ovvero ne abbia ricavato un risparmio di
spesa (v. Cass. 12.12.2003, n. 19059; e ancora Cass. n.
10576 del 1997; Cass. n. 1025 del 1996; Cass. n. 12399 del
1992), ridimensionandosi la necessità della provenienza
dagli organi formalmente qualificati della P.A. (cfr. Cass.
16.09.2005, n. 18329) e precisandosi che, seppure il
giudizio sull'utilità per la P.A. dell'opera o della
prestazione del privato è riservato in via esclusiva
all'amministrazione e non può essere compiuto, in
sostituzione di quella, del giudice, spetta pur sempre a
quest'ultimo il compito di accertare se e in che misura
l'opera o la prestazione siano state effettivamente
utilizzate dalla pubblica amministrazione (cfr. Cass.
02.09.2005, n. 17703).
3.4. Si tratta di un orientamento
minoritario, che non abbandona il tradizionale argomento,
secondo cui l'esperimento dell'azione di arricchimento nei
confronti della P.A. richiede un quid pluris, qual è
il riconoscimento dell'utilitas, sebbene al fatto
dell'utilizzazione venga attribuita una valenza probatoria
di detto riconoscimento; in tal modo esso presta il fianco
alla critica dell'incongruenza di legittimare soggetti
diversi in ragione del fatto che il riconoscimento sia
esplicito (per il quale si afferma la necessità che provenga
dagli organi rappresentativi della pubblica amministrazione)
o implicito (nel qual caso si ritiene che il riconoscimento
può provenire da organi non qualificati
dell'amministrazione), vale a dire in ragione della forma
del riconoscimento, che dovrebbe essere un elemento neutro
sotto questo profilo
(così Cass. 07.03.2014, n. 5397 in motivazione).
In realtà l'avere svincolato il
riconoscimento dalla provenienza dagli organi formalmente
qualificati ad esprimere la volontà dell'ente pubblico ha
finito per incrinare fortemente lo stesso principio della
relatività soggettiva dell'utilitas, consentendo di
recuperare la connotazione ordinaria dell'azione, giacché il
baricentro dell'indagine risulta spostato sulla valutazione
in fatto dell'arricchimento, che deve essere accertato con
la regola paritaria di diritto comune, sia quando riguarda
il privato che quando si riferisce alla pubblica
amministrazione
(così Cass. 16.05.2006, n. 11368),
affidando al saggio apprezzamento del giudice lo
scrutinio sull'intervenuto riconoscimento ovvero la
valutazione, in fatto, dell'utilità dell'opus
(così Cass. 21.04.2011, n. 9141).
3.5. Come evidenziato nell'ordinanza interlocutoria,
soprattutto l'ultima delle sentenze citate si è
fatta carico di rimarcare l'insufficienza dell'approccio
ermeneutico che confina il ruolo giudiziale all'esterno
della valutazione di utilità, ritenendo che il giudice non
possa accertare se la prestazione del depauperato sia stata
utile all'ente pubblico, ma solo se l'ente pubblico l'abbia
riconosciuta come tale.
In contrario senso si è osservato che il richiedere sempre e
comunque comportamenti inequivocabilmente asseverativi
dell'utilità dell'opera o della prestazione da parte degli
organi rappresentativi dell'ente è scelta interpretativa che
depotenzia fortemente il diritto del privato ad essere
indennizzato dell'impoverimento subito, svuotando di fatto i
poteri di accertamento del giudice, in vista della tutela
delle posizioni soggettive in sofferenza; e si è, quindi,
ritenuto che «il criterio idoneo a mediare tra tutti gli
interessi in conflitto è l'affidamento al saggio
apprezzamento del giudice dello scrutinio sull'intervenuto
riconoscimento ovvero la valutazione, in fatto, dell'utilità
dell'opus, utilità desunta dal contesto fattuale di
riferimento, senza pretendere di imbrigliare l'ineliminabile
discrezionalità del relativo giudizio in schemi prede
finiti, ma solo esigendo che del suo convincimento il
decidente dia adeguata e congrua motivazione»
(cfr. Cass. n. 9141 del 2011 cit. in motivazione).
Occorre, tuttavia, rilevare che la pista
interpretativa indicata dalla sentenza da ultima citata,
tendente a marcare di autonomia il sindacato giudiziale e a
spostare decisamente l'oggetto dell'indagine dalla
qualificazione soggettiva dell'arricchito al fatto
dell'arricchimento, non risulta seguita dalla successiva
giurisprudenza di legittimità che, anche da recente, ha
privilegiato una connotazione negoziale dell'istituto,
contrapponendo alla regola paritaria di diritto comune
nemo locupletari potest cum aliena iactura la normativa
di diritto pubblico che regola la contabilità della pubblica
amministrazione, con efficacia anche per i soggetti esterni
che vengono in contatto con essa, e che si giustifica oltre
che con vincoli di spesa imposti da norme di rango primario
nell'impiego di denaro pubblico, anche con le dimensioni e
la complessità dell'articolazione interna della pubblica
amministrazione
(così Cass. n. 5397 del 2014 sopra cit.).
3.6. Mette conto a questo punto evidenziare che la
previsione di un'azione generale di arricchimento era ignota
al codice del 1865; l'istituto venne, quindi, accolto dal
progetto di codice delle obbligazioni del 1936 e, infine,
codificato dal legislatore del 1942, accanto a numerosi
altre fattispecie particolari di arricchimento (artt. 31, co.
3, 535, 821, co. 2, 935, 940, 1150, 1185, co. 2, 1190, 1443,
1769, 2037, co. 3, 2038 co. 3 cod. civ.), assolutamente
eterogenee e, comunque, ispirate al medesimo principio e
accomunate dall'obbligo di "restituire"
all'impoverito esclusivamente perdite, esborsi, spese,
prestazioni ed altri elementi, utilità o valori già
sussistenti nel suo patrimonio "nei limiti
dell'arricchimento".
Orbene -mentre nel vigore del codice del 1865, la
prefigurazione della specialità dell'azione nei confronti
della P.A. si giustificava in considerazione
dell'elaborazione giurisprudenziale dell'actio de in rem
verso sugli schemi della gestione di affari e
dell'attribuzione al riconoscimento dell'utilitas
dello stesso fondamento dell'utiliter gestum-
l'intervenuta codificazione dell'istituto ad opera del
legislatore del 1942 ne ha privilegiato una connotazione
oggettivistica, fatta palese dall'impiego dei concetti
materiali di «arricchimento» e «diminuzione
patrimoniale», senza richiamo alcuno al parametro
soggettivistico dell'«utilità», ponendo così il
problema se vi sia ancora spazio per postulare una
valutazione discrezionale da parte dell'arricchito in
ragione della sua qualificazione pubblicistica.
Orbene il terzo e più risalente orientamento
giurisprudenziale di cui si è detto sub 3. muove proprio
dalla considerazione della sopravvenuta inclusione della
disciplina nel codice del 1942 per postulare la necessità di
abbandonare «il remoto principio», secondo cui
l'azione è esperibile nei confronti della P.A. soltanto se
questa ha riconosciuto la locupletazione, evidenziando non
solo il superamento degli schemi su cui era stata costruita
la fattispecie giurisprudenziale dell'actio de in rem
verso, ma anche e soprattutto la necessità di una
lettura costituzionalizzante dell'istituto, che assicurasse
la piena tutela della garanzia di agire in giudizio contro
l'amministrazione pubblica, assicurata a chiunque dagli
artt. 24 e 113 Cost. (cfr. Cass. Sez. unite sentenze
28.05.1975, n. 2157; Cass. Sez. unite 19.07.1982, n. 4198).
Sulla base di tali premesse si è esclusa, in radice, la tesi
che all'ente pubblico possa essere riservato non solo di
riconoscere il vantaggio in sé, ma anche la relativa entità
economica: tesi ritenuta inaccettabile per la considerazione
che essa pone il giudice nella condizione di dover
unicamente prendere atto delle determinazioni del convenuto,
contraddicendo alla stessa funzione dell'azione consistente
nell'apprestare un rimedio "generale" per i casi in
cui sia possibile risolvere sul piano economico il contrasto
tra legalità e giustizia. In luogo della questione del
riconoscimento dell'utilità, è stato evidenziato un problema
di imputabilità dell'arricchimento, paventandosi il pericolo
che l'ente pubblico possa subire iniziative che i terzi, pur
presentandosi come ingiustamente depauperati, abbiano
assunto conto il volere dell'ente o comunque senza che i
suoi organi rappresentativi ne avessero contezza.
In tale prospettiva il problema risulta ridotto unicamente a
quello dell'«attribuzione» del vantaggio all'ente
pubblico e risolto nel senso che si debba indagare «non
tanto se quest'ultimo abbia riconosciuto l'arricchimento,
quanto se sia stato almeno consapevole della prestazione
indebita e nulla abbia fatto per respingerla, sicché
nell'avvenuta utilizzazione della prestazione è da
ravvisare, invece che un atto di riconoscimento
-difficilmente definibile nei suoi caratteri e soprattutto
giuridicamente inammissibile, non potendo mai condizionarsi
la proponibilità di un'azione ad una preventiva
manifestazione di volontà del soggetto contro cui essa è
diretta- un mero fatto dimostrativo dell'imputabilità
giuridica a tale soggetto della situazione dedotta in
giudizio» (così, Cass. n. 4198 del 1982 in motivazione).
4. Questi, in estrema sintesi, i principali argomenti a
sostegno delle opzioni ermeneutiche a confronto,
le Sezioni unite, nel risolvere il contrasto,
intendono proseguire sulla strada tracciata nelle sentenze
da ultime citate e, in parte, ripercorsa da quell'indirizzo
minoritario (sub 3.4. e 3.5.) che ha rimarcato la
connotazione ordinaria dell'azione anche nei confronti della
P.A., predicando una valutazione oggettiva
dell'arricchimento che prescinda dal riconoscimento
esplicito o implicito dell'ente beneficiato.
A questi risultati conduce una lettura
dell'istituto più aderente ai principi costituzionali e a
quelli specifici della materia che assegnano una dimensione
fattuale di evento oggettivo all'arricchimento di cui
all'art. 2041 cod. civ. e alla relativa azione una funzione
di rimedio generale a situazioni giuridiche altrimenti
ingiustamente private di tutela, tutte le volte che tale
tutela non pregiudichi in alcun modo le posizioni,
l'affidamento, la buona fede dei terzi
(cfr. Cass. Sez. un. 08.12.2008, n. 24772).
In tale prospettiva il diritto fondamentale
di azione del depauperato può adeguatamente coniugarsi con
l'esigenza, altrettanto fondamentale, del buon andamento
dell'attività amministrativa, affidando alla stessa pubblica
amministrazione l'onere di eccepire e provare il rifiuto
dell'arricchimento o l'impossibilità del rifiuto per la sua
inconsapevolezza (c.d. arricchimento imposto).
Del resto sulla qualificazione dell'arricchimento come
istituto civilistico che dà luogo a situazioni di diritto
soggettivo perfetto anche quando parte sia una P.A., salvo
il limite interno del divieto di annullamento e di
modificazione degli atti amministrativi, la giurisprudenza
ha mostrato di non dubitare, allorché ha costantemente
affermato la giurisdizione ordinaria in materia
(Cass. Sez. un. 18.11.2010, n. 23284; Cass. Sez. un.
20.11.1999 n. 807).
4.1. Valga considerare che l'impostazione
fondata sulla necessità di un riconoscimento esplicito o
implicito degli organi rappresentativi è sostanzialmente
ancorata ad una lettura dell'istituto in chiave contrattuale
che è stata già stigmatizzata da queste Sezioni Unite in
occasione della risoluzione di altro contrasto sul tema
dell'arricchimento nei confronti della P.A., rilevandosi che
se è indubbio che l'arricchimento che dipende da fatto
dell'impoverito presenta punti di contatto con la
responsabilità contrattuale, ciononostante non se ne
giustifica l'assimilazione
(cfr. sentenza 11.09.2008, n. 23385).
Invero il principio secondo cui «chi
senza una giusta causa, si è arricchito a danno di un'altra
persona, è tenuto, nei limiti dell'arricchimento, a
indennizzare quest'ultima della correlativa diminuzione
patrimoniale» è stato dettato dal legislatore del 1942,
accanto ad altre fattispecie particolari di cui già si è
dato conto, con la funzione di norma di chiusura onde
coprire -come si legge nella Relazione al progetto del
codice- anche i casi «che il legislatore non sarebbe in
grado di prevedere tutti singolarmente».
L'istituto risulta, così, configurato come un rimedio
unitario, idoneo a ricomprendere tutte le ipotesi di
arricchimento di un soggetto e di correlativo impoverimento
di un altro soggetto in mancanza di una giusta causa e,
quindi, sia i casi di arricchimento conseguito
appropriandosi di utilità insite nell'altrui situazione
protetta, sia quelli che dipendono da comportamenti
dell'impoverito.
E sebbene la prima categoria presenti innegabili punti di
contatto con la responsabilità civile e la seconda con il
regime di esecuzione dei contratti, l'istituto non si presta
ad essere letto né in una chiave, né nell'altra, avendo una
precisa identità di autonoma fonte di obbligazione
restitutoria e l'esclusiva finalità di indennizzare lo
spostamento di ricchezza senza giusta causa dall'uno
all'altro soggetto.
4.2. In particolare la lettera della norma, che -come sopra
evidenziato- adopera un lessico oggettivistico
nell'individuazione dei presupposti dell'azione, nonché la
funzione dell'istituto che è quella di eliminare l'iniquità
prodottasi mediante uno spostamento patrimoniale privo di
giustificazione di fronte al diritto, sancendone la
restituzione, riconducono l'arricchimento ad una dimensione
fattuale di evento oggettivo, escludendo che la
qualificazione pubblicistica del soggetto arricchito possa
essere evocata a fondamento di una riserva di
discrezionalità in punto di riconoscimento
dell'arricchimento e/o del suo ammontare.
Ne consegue che ciò che il privato attore
ex art. 2041 cod. civ. nei confronti della P.A. deve provare
è il fatto dell'arricchimento; e il relativo accertamento da
parte del giudice non incorre nei limiti di cognizione ai
sensi dell'art. 4 della legge 20.03.1865, n. 2248, all. E,
trattandosi di verificare un evento patrimoniale oggettivo,
qual è l'arricchimento, senza che l'amministrazione possa
opporre il mancato riconoscimento dello stesso, perché
altrimenti si riconoscerebbe all'amministrazione una
posizione di vantaggio che è priva di base normativa.
In tale prospettiva il riconoscimento da
parte della P.A. dell'utilità della prestazione o dell'opera
può rilevare non già in funzione di recupero sul piano del
diritto di una fattispecie negoziale inesistente, invalida o
comunque imperfetta -trattandosi di un elemento estraneo
all'istituto- bensì in funzione probatoria e, precisamente,
ai soli fini del riscontro dell'imputabilità
dell'arricchimento all'ente pubblico. Mentre le esigenze di
tutela delle finanze pubbliche e la considerazione delle
dimensioni e della complessità dell'articolazione interna
della pubblica amministrazione, che l'espediente
giurisprudenziale del riconoscimento dell'utilitas ha
inteso perseguire, possono essere adeguatamente coniugate
con la piena garanzia del diritto di azione del depauperato,
nell'ambito del principio di diritto comune
dell'arricchimento imposto, in ragione del quale
l'indennizzo non è dovuto se l'arricchito ha rifiutato
l'arricchimento o non abbia potuto rifiutarlo, perché
inconsapevole dell'eventum utilitatis. |
LAVORI PUBBLICI:
La pubblica amministrazione deve tenere un
comportamento corretto in tutte le fasi della procedura
pubblica che portano al consenso contrattuale e informare il
contraente privato di tutte le circostanze che potrebbero
determinare l’invalidità o l’inefficacia del contratto. Se
ciò non avviene sussiste responsabilità precontrattuale in
capo all’ente pubblico.
Nel caso di specie, la Cassazione ha ritenuto sussistente la
responsabilità della stazione appaltante che in seguito a
licitazione privata, aveva stipulato un importante contratto
di appalto con una società di costruzioni chiedendo la
consegna immediata dei lavori per ragioni di urgenza, salvo
poi sospenderli dopo 17 mesi perché la Corte dei conti aveva
negato la registrazione, rendendo il contratto inefficace.
Il motivo e’ fondato.
2.1.- E’ necessario considerare che la responsabilità
precontrattuale della Pubblica Amministrazione,
contrariamente a quanto trapela dalla sentenza impugnata,
non è responsabilità da provvedimento, ma da comportamento,
e presuppone la violazione dei doveri di correttezza e buona
fede nella fase delle trattative e della formazione del
contratto (v. Cons. di Stato, sez. 4, n. 790/2014, in caso
di revoca legittima degli atti della procedura di gara),
sicché non rileva la legittimità dell’esercizio della
funzione pubblica cristallizzato nel provvedimento
amministrativo di aggiudicazione o in altri provvedimenti
successivi, ma la correttezza del comportamento
complessivamente tenuto dall’Amministrazione durante il
corso delle trattative e della formazione del contratto. La
ragione dell’evoluzione della giurisprudenza in tal senso,
con una piena equiparazione dell’Amministrazione ad ogni
contraente privato, si spiega considerando che tutte le fasi
della procedura ad evidenza pubblica si pongono quale
strumento di formazione progressiva del consenso
contrattuale.
Ad analoga conclusione è pervenuta questa Corte che ha
ammesso la responsabilità precontrattuale
dell’Amministrazione, prima e a prescindere
dall’aggiudicazione, anche nell’ambito del procedimento
strumentale alla scelta del contraente, nel quale essa
instaura trattative (multiple o parallele) idonee a
determinare la costituzione di rapporti giuridici specifici
e differenziati nel momento in cui entra in contatto con una
pluralità di offerenti ed è, quindi, tenuta al rispetto dei
principi generali di comportamento (di cui agli articoli
1337 e 1338 c.c.) posti a tutela degli interessi delle parti
(v. Cass. n. 15260/2014, che ha superato il precedente
orientamento espresso, ad esempio, da Cass. n. 477/2013, n.
12313/2005, sez. un. n. 4673/1997; anche secondo Cons. di
Stato, sez. IV, n. 1142/2015, “il rispetto dei principi
di cui agli articoli 1337 e 1338 c.c., non può essere
circoscritto al singolo periodo successivo alla
determinazione del contraente”).
La Corte d’appello, alla quale era stato chiesto di valutare
la correttezza complessiva del comportamento
dell’Amministrazione committente, avuto riguardo al rispetto
dei principi di buona fede e correttezza (articoli 1337 e
1338 c.c.), si è limitata a rilevare la legittimità formale
degli atti della procedura di licitazione privata, ma tale
risposta è evidentemente inadeguata perché contrastante con
il seguente principio di diritto: la responsabilità
precontrattuale della Pubblica Amministrazione, anche
nell’ambito della procedura pubblicistica di scelta del
contraente, non è responsabilità da provvedimento, ma da
comportamento e presuppone la violazione dei doveri di
correttezza e buona fede nella fase delle trattative e della
formazione del contratto; pertanto, non rileva la
legittimità dell’esercizio della funzione pubblica espressa
nel provvedimento amministrativo di aggiudicazione e in
altri provvedimenti successivi (anche emessi in autotutela),
ma la correttezza del comportamento complessivamente tenuto
dall’Amministrazione durante il corso delle trattative e
della formazione del contratto, poiché tutte le fasi della
procedura ad evidenza pubblica si pongono quale strumento di
formazione progressiva del consenso contrattuale.
2.2.- Una simile evoluzione del formante giurisprudenziale
rafforza la conclusione cui da tempo è pervenuta questa
Corte che ha ritenuto configurabile la responsabilità
precontrattuale della P.A. in presenza di una relazione
specifica tra soggetti che è possibile, anche nell’ambito
della procedura amministrativa di scelta del contraente, a
seguito dell’aggiudicazione, ad esempio nel caso di omessa
redazione del contratto formale senza giustificazione e, a
maggior ragione, quando –come nella specie– sia stato
stipulato il contratto, nel caso di omessa trasmissione
dello stesso all’autorità di controllo (v. Cass. n.
2255/1987) e quando l’Amministrazione abbia preteso
l’adempimento della prestazione prima dell’approvazione del
contratto da parte dell’autorità di controllo, comportamento
questo che è suscettibile di dar luogo, ove l’approvazione
non sia intervenuta, a responsabilità precontrattuale, in
considerazione dell’affidamento ragionevolmente ingenerato
nell’altra parte (v. Cass. n. 23393/2008, n. 3383/1981, n.
3008/1968; quest’ultima sentenza, pur avendo affermato che
l’Amministrazione non è tenuta a rispondere dell’attività
direttamente svolta dall’organo di controllo, l’ha ritenuta
responsabile per non avere comunicato tempestivamente la
mancata approvazione di una sua delibera e per avere
sollecitato la prestazione del privato).
La sentenza impugnata ha omesso di indagare sulle ragioni
che avevano indotto la Corte dei conti a formulare
osservazioni sulle scelte tecniche di realizzazione
dell’opera e, soprattutto, ha omesso di dare il necessario
rilievo alla consegna anticipata dei lavori in via d’urgenza
e, quindi, all’impegno organizzativo e di spesa posto a
carico dell’impresa per l’esecuzione di un contratto
rivelatosi poi ineseguibile per la mancata registrazione del
decreto di approvazione del contratto.
In tal modo ha trascurato che la Pubblica Amministrazione,
in pendenza del procedimento di controllo ed approvazione
del contratto stipulato con il privato e in osservanza
dell’obbligo generale di comportamento secondo correttezza e
buona fede, deve tenere informato l’altro contraente delle
vicende attinenti al procedimento di controllo, in modo che
questi sia posto in grado di evitare i pregiudizi connessi
agli sviluppi e ai tempi dell’indicato procedimento, a
prescindere dagli strumenti di tutela spettanti al privato a
seguito dell’eventuale esito negativo del controllo (recesso
e rimborso delle spese sostenute) (v. Cass., sez. un., n.
5328/1978).
Del resto, un riconoscimento del legittimo affidamento
dell’appaltatore (per avere dovuto iniziare l’esecuzione del
contratto prima della sua approvazione) era già espresso
nell’articolo 337, secondo comma, della legge 20.03.1865 n.
2248, all. F, che gli riconosceva il diritto alla
reintegrazione nelle spese per i lavori eseguiti qualora
l’approvazione non fosse poi intervenuta.
Il principio di diritto, cui la Corte d’appello dovrà
attenersi in sede di rinvio, è il seguente: nel caso in cui,
all’esito della procedura di evidenza pubblica, sia
stipulato il contratto la cui efficacia sia condizionata
all’approvazione da parte dell’autorità di controllo (nella
specie, alla registrazione del decreto di approvazione da
parte della Corte dei conti), l’Amministrazione committente
ha l’obbligo di comportarsi secondo buona fede e correttezza
(articoli 1337 e 1338 c.c.), cioè di tenere informato
l’altro contraente delle vicende attinenti al procedimento
di controllo e di fare in modo che non subisca i pregiudizi
connessi agli sviluppi e all’esito del medesimo
procedimento, essendo in condizioni di farlo, in ragione del
suo status professionale nel quale è implicita una posizione
di garanzia nei confronti di coloro che si rapportano ad
essa; l’Amministrazione è quindi responsabile qualora,
avendo preteso l’anticipata esecuzione della prestazione,
abbia accettato il rischio del successivo mancato
avveramento della condizione di efficacia del contratto a
causa della mancata registrazione del decreto di
approvazione, in tal modo frustrando il legittimo e
ragionevole affidamento del privato nella eseguibilità del
contratto.
2.3.- Nel ragionamento della Corte romana si sente l’eco del
tradizionale principio che esclude la configurabilità di una
responsabilità dell’Amministrazione, a norma dell’articolo
1338 c.c., per non avere informato l’altra parte di una
causa di invalidità o inefficacia del contratto di cui debba
presumersi la conoscenza e conoscibilità con l’uso della
normale diligenza, a causa della mancanza del visto
ministeriale necessario ex lege per quella
registrazione, ovvero della stessa natura legale della
condicio juris di cui si tratta (la registrazione del
decreto di approvazione del contratto da parte della Corte
dei conti). Questo principio merita una rimeditazione.
Si e’ dato conto (nel precedente p. 2.1.) dell’esito finale
di un lungo percorso che, a partire dagli anni sessanta
dello scorso secolo (v., tra le prime pronunce, Cass. n.
1142/1963), ha condotto la giurisprudenza di legittimità a
riconoscere che le deroghe alla disciplina privatistica
stabilite dalla legge di contabilità di Stato non
giustificavano l’esenzione da responsabilità della Pubblica
Amministrazione, la quale (prima di essere configurabile, in
casi sempre meno numerosi, come pubblico potere) è un
soggetto di diritto comune e, in quanto tale, anch’essa
soggetta agli obblighi generali di comportamento di buona
fede e correttezza.
Il lento incedere della responsabilità dell’Amministrazione
in ambito precontrattuale, tuttavia, secondo una parte della
dottrina, non può dirsi completato, come dimostrato dalla
rigida interpretazione dell’articolo 1338 c.c., che impone
alla parte che “conoscendo o dovendo conoscere
l’esistenza di una causa d’invalidità del contratto, non ne
ha dato notizia all’altra parte” di “risarcire il danno
da questa risentito per avere confidato, senza sua colpa,
nella validità del contratto”.
In effetti, la giurisprudenza di questa Corte ha escluso la
responsabilità della P.A., per omessa informazione, in
presenza di invalidità derivanti dall’affidamento di un
contratto a trattativa privata anziché con il metodo della
licitazione privata (v. Cass. n. 11135/2009), dalla mancanza
dei requisiti per partecipare alla gara conclusasi con
l’aggiudicazione annullata in sede giurisdizionale (v. Cass.
n. 7481/2007), dal difetto di forma scritta del contratto
(v., tra le altre, Cass. n. 4635/2006),
dall’incommerciabilità della res (v. Cass. n.
1987/1985), dal fatto che il prezzo di cessione in proprietà
di alloggio economico e popolare sia inferiore a quello
determinabile per legge (v. Cass., sez. un., n. 835/1982),
ecc..
E’ costante l’affermazione secondo cui la responsabilità
prevista dall’articolo 1338 c.c., a differenza di quella di
cui all’articolo 1337, tutela l’affidamento di una delle
parti non nella conclusione del contratto, ma nella sua
validità, sicché non è configurabile una responsabilità
precontrattuale della P.A. ove l’invalidità del contratto
derivi da norme generali, da presumersi note alla generalità
dei consociati e, quindi, tali da escludere l’affidamento
incolpevole della parte adempiente (v. Cass. n. 7481/2007,
n. 4635/2006).
Tale principio e’ estensibile alle cause di inefficacia del
contratto (v. Cass. n. 16149/2010), tra le quali rientra la
mancata approvazione del contratto stipulato da una P.A.,
nei cui confronti è configurabile la responsabilità “in
applicazione analogica dei principi fissati dall’articolo
1338 c.c.” (v. Cass., sez. un., n. 5328/1978).
Nell’interpretazione della norma in esame è necessario
verificare cosa si intenda per “norme generali, da
presumersi note alla generalità dei consociati”, posto
che qualunque norma di legge, imperativa o proibitiva che
sia o “avente efficacia di diritto obiettivo” (Cass.
n. 4635/2006), dovrebbe o potrebbe essere conosciuta da
chiunque per presunzione assoluta, nel qual caso l’articolo
1338 c.c. sarebbe facilmente fuori gioco.
Si è osservato in dottrina che il riferimento al principio
ignorantia legis non excusat (la cui assolutezza,
peraltro, è venuta meno in seguito a Corte costit. n.
364/1988) sarebbe improprio in questa materia, dal momento
che il contraente non evidenzia la propria ignoranza al fine
di evitare la produzione degli effetti ricollegati
dall’ordinamento alla mancata osservanza della norma di
legge (visto che non è in discussione la invalidità o
inefficacia del contratto), ma agisce soltanto per il
risarcimento del danno conseguente alla violazione
dell’obbligo di informazione che è posto dalla legge a
carico dell’altra parte. E si è anche rilevato, seppure con
riferimento ad ipotesi previste dalla legge a fini diversi,
che l’ordinamento attribuisce rilievo all’errore di diritto
che abbia inficiato la volontà del contraente quando sia
stato essenziale (articolo 1429 c.c., n. 3) e riconoscibile
e lo tutela con l’annullamento del contratto nel suo
interesse.
A queste serie obiezioni si è replicato osservando che è lo
stesso articolo 1338 c.c. a riconoscere il risarcimento del
danno in favore della parte che abbia confidato “senza
sua colpa” nella validità del contratto. La parte che è
in colpa perché a conoscenza della invalidità o inefficacia
del contratto, non può addossare alla controparte il danno
(quantomeno per l’intero) che è conseguenza del proprio
comportamento, alla luce di un principio generale desumibile
anche dall’articolo 1227 c.c., comma 1.
E’ invero evidente che, estendendo eccessivamente il dovere
di diligenza a carico della parte che dovrebbe ricevere
l’informazione circa la causa di invalidità o inefficacia
del contratto, sarebbero compromessi lo scopo e l’utilità
dell’articolo 1338 c.c. che non è norma meramente ripetitiva
dell’articolo 2043, né dell’articolo 1337 c.c., il quale,
obbligando le parti a comportarsi secondo buona fede, già
impone loro implicitamente di rendersi reciprocamente le
informazioni necessarie per pervenire alla conclusione di un
contratto che sia eseguibile.
L’articolo 1338 c.c., pone, invece, significativamente a
carico di una sola delle parti, cioè di quella che, in
ragione delle circostanze di fatto e tenuto conto della sua
posizione sociale o professionale, conosca o debba conoscere
l’esistenza di una causa di invalidità o inefficacia,
l’obbligo specifico di informare l’altra parte, la quale ha
diritto a ricevere l’informazione e, in mancanza, al
risarcimento del danno per avere ragionevolmente confidato
nella validità ed efficacia del contratto.
La parte obbligata ha la facoltà di dimostrare che l’altra
parte aveva confidato nella validità del contratto
colpevolmente e non “senza sua colpa” (come richiesto
dall’articolo 1338), ma dovrà dedurre fatti e circostanze
specifiche che dimostrino che, in quel determinato rapporto,
fosse effettivamente a conoscenza della causa che viziava il
contratto concluso o da concludere.
Non si esclude la possibilità di desumere tale conoscenza
dal tipo di invalidità o inefficacia e, in definitiva, dalla
natura della norma violata, ma non e’ possibile riconoscerla
automaticamente rispetto a qualunque norma “avente
efficacia di diritto obiettivo” (Cass. n. 4635/2006)
che, in tesi, sarebbe conoscibile dalla generalità dei
cittadini e, quindi, da qualunque potenziale contraente, al
fine di escludere la responsabilità dell’altra parte che
aveva l’obbligo legale di informare.
Altrimenti, l’articolo 1338 c.c. verrebbe privato della sua
principale funzione che è di compensare l’asimmetria
informativa nelle contrattazioni tra parti che non sono su
un piano di parità, come avviene nei rapporti con la
Pubblica Amministrazione.
E ciò non soltanto in ragione del fatto che la procedura di
evidenza pubblica è da essa governata sulla base
dell’esercizio di poteri previsti da norme di azione
tradotte nella lex specialis della gara, ma anche in
ragione dello status professionale e del bagaglio di
conoscenze tecniche ed amministrative di cui essa è in
possesso (è significativo che la giurisprudenza
amministrativa abbia talora valutato la colpa della P.A. con
riferimento al criterio di imputazione soggettiva della
responsabilità del professionista di cui all’articolo 2236
c.c., introducendo un parametro di imputazione del danno
riferito al grado di complessità delle questioni implicate
dall’esecuzione della prestazione, v. Cons. di Stato, sez. 5
, n. 1300/2007; sez. 4 , n. 5500/2004).
Pertanto, il principio ignorantia legis non excusat,
in materia contrattuale, non ha un valore generale e
assoluto dal quale si possa desumere in modo incondizionato
e aprioristico l’inescusabilità dell’ignoranza
dell’invalidità contrattuale che trovi fondamento (come di
regola) in norme di legge, dovendosi piuttosto indagare caso
per caso sulla diligenza e, quindi, sulla scusabilità
dell’affidamento del contraente, avendo riguardo non solo (e
non tanto) alla conoscibilità astratta della norma, ma anche
all’esistenza di interpretazioni univoche della stessa e,
soprattutto, alla conoscibilità delle circostanze di fatto
cui la legge ricollega l’invalidità.
Infatti, come notato da autorevole dottrina, il contraente
che ignori una norma di legge o intenda sottrarsi alla sua
osservanza si trova in una situazione ben diversa dal
contraente che, eventualmente in presenza di interpretazioni
non univoche della giurisprudenza, credeva che la
fattispecie concreta fosse tale da non rientrare nella
previsione legale d’invalidità a lui nota.
In tale secondo caso, l’astratta conoscibilità della norma
non dimostra necessariamente che il privato sia in colpa,
specialmente quando questi contragga con un’Amministrazione
che non solo rimanga silente, ma improvvidamente conduca il
procedimento sino alla stipulazione di un contratto
destinato ad essere caducato o a rimanere inefficace e
talora ne pretenda l’anticipata esecuzione, in tal modo
frustrando il suo legittimo affidamento nell’eseguibilità
dello stesso e nella legalità dell’azione amministrativa.
In altri termini, l’astratta conoscenza della norma non è
elemento decisivo per la percezione –che rileva ai fini
applicativi dell’articolo 1338 c.c.– della invalidità o
inefficacia del contratto, per la quale spesso si richiede
la necessaria cooperazione dell’altro contraente, il quale è
tenuto a comunicare le circostanze di fatto cui la legge
ricollega la invalidità o inefficacia, quando ne sia (o ne
debba essere) informato in ragione delle sue qualità
professionali o istituzionali e, in mancanza, non può
sfuggire alla responsabilità per culpa in contraendo.
L’obbligo del clare loqui, e cioè di comunicare alle
parti tutte le cause di invalidità negoziale di cui abbia o
debba avere conoscenza, e’ imposto all’Amministrazione
–anche in ragione della sua funzione istituzionale di
rappresentanza e, quindi, di protezione degli interessi di
coloro che entrano in rapporti con essa– non solo
nell’ambito del procedimento di formazione del contratto
secondo il modulo privatistico della trattativa privata, ma
anche nel procedimento di evidenza pubblica, a tutela
dell’affidamento delle imprese concorrenti nel rispetto
delle prescrizioni della lex specialis.
Proprio in tale ottica, nel caso di annullamento
dell’aggiudicazione con caducazione del contratto (fenomeno
assimilabile alla mancata registrazione da parte della Corte
dei conti), la giurisprudenza amministrativa ha ammesso la
tutela dell’imprenditore che, a norma dell’articolo 1338
c.c., abbia fatto legittimo affidamento nell’aggiudicazione
dell’appalto e nella successiva stipulazione del contratto e
che abbia ignorato, senza sua colpa, una causa di
invalidità, con conseguente responsabilità
dell’Amministrazione appaltante per non essersi astenuta
dalla stipulazione del negozio che doveva sapere essere
invalido, rientrando nei suoi poteri conoscere le cause
dell’illegittimità dell’aggiudicazione e, tuttavia,
ingenerando nell’impresa l’incolpevole affidamento di
considerare valido ed efficace il contratto (v. Cons. di
Stato, sez. 3 , n. 279/2013).
In conclusione, può essere enunciato il seguente principio
di diritto: accertare se un contraente
abbia confidato colpevolmente o incolpevolmente nella
validità ed efficacia del contratto (concluso o da
concludere) con la Pubblica Amministrazione –al fine di
escludere o affermare la responsabilità di quest’ultima, a
norma dell’articolo 1338 c.c.,– è un’attività propria del
giudice di merito, il quale deve verificare in concreto se
la norma (di relazione) violata sia conosciuta o facilmente
conoscibile da qualunque cittadino mediamente avveduto (e
sia quindi causa di invalidità “autoevidente”),
tenuto conto della univocità dell’interpretazione della
norma e della conoscenza e conoscibilità delle circostanze
di fatto cui la legge ricollega l’invalidità; in presenza di
norme (di azione) che l’Amministrazione è tenuta
istituzionalmente a conoscere ed applicare in modo
professionale (come, ad esempio, quelle che disciplinano il
procedimento di scelta del contraente), essa ha l’obbligo di
informare il privato delle circostanze che potrebbero
determinare la invalidità o inefficacia e, comunque,
incidere negativamente sulla eseguibilità del contratto,
pena la propria responsabilità per culpa in contraendo,
salva la possibilità di dimostrare in concreto che
l’affidamento del contraente sia irragionevole, in presenza
di fatti e circostanze specifiche
(massima
tratta da http://renatodisa.com - Corte di Cassazione,
Sez. I civile, nella
sentenza 12.05.2015 n. 9636). |
APPALTI:
Il termine per la stipula del contratto di appalto.
DOMANDA:
Parcheggi a pagamento per il solo periodo estivo cioè 90
giorni (giugno-agosto) secondo il codice contratti che
prevede la stipula del contratto entro 60 giorni dalla
aggiudicazione definitiva, essendo già a maggio significa
che il servizio inizierà dopo giugno e quindi non è
possibile assicurare i 90 giorni previsti dal bando creando
un danno all'aggiudicatario che si rivarrà contro il Comune.
E' possibile aggiudicare subito sotto riserva di legge in
tale caso il servizio, motivando che in caso contrario
scaturisce un danno certo per l'ente?
RISPOSTA:
Il termine di 60 giorni tra la aggiudicazione definitiva e
la stipulazione del contratto di appalto è un termine
perentorio, non dilatorio. Ciò comporta che la stipula deve
avvenire entro e non oltre il termine di sessanta giorni,
altrimenti l'aggiudicatario può, mediante atto notificato
alla stazione appaltante, sciogliersi da ogni vincolo o
recedere dal contratto.
Ma il fatto che il termine non sia dilatorio, significa che
non debbano necessariamente trascorrere 60 giorni prima che
sia compiuto l’atto, potendosi procedere alla stipula del
contratto anche prima, purché si sia proceduto -da parte
dell'amministrazione- alla verifica del possesso dei
requisiti prescritti ("Divenuta efficace l'aggiudicazione
definitiva, e fatto salvo l'esercizio dei poteri di
autotutela nei casi consentiti dalle norme vigenti, la
stipulazione del contratto di appalto o di concessione ha
luogo entro il termine di sessanta giorni, salvo diverso
termine previsto nel bando o nell'invito ad offrire, ovvero
l'ipotesi di differimento espressamente concordata con
l'aggiudicatario", art. 11, comma 9, Codice contratti)
(link a www.ancirisponde.ancitel.it). |
APPALTI:
Il fascicolo di gara virtuale.
DOMANDA:
Si chiede se alla luce delle recenti disposizioni dettate
dalla AVCPAS, si ha l'obbligo di chiedere agli operatori
economici il PASSOE tra i documenti amministrativi da
esibire trattandosi di gara con importo al di sotto dei
40.000 euro.
Ove e qualora previsto tale requisito, la stazione
appaltante lo deve indicare nel bando o nella lettera di
invito in caso di procedura ristretta?
RISPOSTA:
L'Autorità per la Vigilanza sui Contratti Pubblici, con
deliberazione n. 111 del 20.12.2012, ha stabilito che a
partire dal 01.01.2014 (scadenza poi prorogata al
01.07.2014) è obbligatorio -per le imprese che intendono
partecipare alle gare di appalto di importo pari o superiore
ad € 40.000,00- inserire nella busta contenente la
documentazione di offerta il cosiddetto PASSOE, ovvero il
documento (contenente un codice numerico e a barre) che
attesta che l’Operatore Economico ha creato uno specifico
fascicolo di gara virtuale, contenente tutti i documenti
comprovanti i requisiti dichiarati, che potrà essere oggetto
di verifica da parte della stazione appaltante, e in cui
l’operatore economico potrà eventualmente “caricare”
gli ulteriori documenti mancanti o utili (per esempio, i
certificati di buona esecuzione di soggetti privati).
In una procedura di importo inferiore ai 40.000 euro il
Passoe non è pertanto richiesto (link a
www.ancirisponde.ancitel.it). |
APPALTI FORNITURE:
Art. 1, comma 7, D.L. n. 95/2012. Approvvigionamento di
carburanti.
L'art. 1, comma 7, D.L. n. 95/2012,
stabilisce una disciplina speciale per l'approvvigionamento
da parte delle pubbliche amministrazioni di determinate
categorie merceologiche, tra cui i carburanti.
Per detti beni, la norma in commento prevede l'obbligo di
approvvigionamento mediante le Convenzioni Consip o gli
accordi quadro messi a disposizione da Consip o da centrali
di committenza regionali, ovvero attraverso autonome
procedure, nel rispetto della normativa vigente, utilizzando
i sistemi telematici di negoziazione resi disponibili dai
soggetti indicati.
In alternativa, sussiste la possibilità di procedere ad
affidamenti che conseguano ad approvvigionamenti da altre
centrali di committenza o a procedure ad evidenza pubblica,
a condizione che gli stessi prevedano corrispettivi
inferiori a quelli indicati nelle convenzioni o accordi
quadro messi a disposizione da Consip Spa e dalle centrali
di committenza regionali, avuto riguardo allo specifico
parametro dei prezzi dei beni o servizi che devono essere
più bassi ('corrispettivi inferiori').
Il Comune pone la questione dell'acquisizione di carburanti,
alla luce di quanto previsto dall'art. 1, comma 7, D.L. n.
95/2012 [1],
in particolare sulla sussistenza dell'obbligo di acquisto a
mezzo convenzione Consip anche in caso di dimostrabile anti
economicità della fornitura per ragioni di maggiori distanze
dei fornitori Consip e dunque di maggior impiego di tempo,
mezzi e persone.
Al riguardo, il Comune chiede di sapere se ci siano
aggiornamenti rispetto a quanto già affermato da questo
Servizio nella nota prot. n. 2679/2013 [2].
Per chiarezza espositiva, si ritiene utile riportare i
contenuti della nota richiamata dal Comune, di sintesi del
quadro normativo di interesse, rilevando, sin da adesso, che
non si riscontrano nuovi elementi, provenienti da pronunce
giurisprudenziali o da circolari esplicative dei competenti
organi statali, che consentano di discostarsi da quanto già
espresso.
L'art. 1, comma 7, D.L. n. 95/2012, stabilisce una
disciplina speciale per l'approvvigionamento da parte delle
pubbliche amministrazioni di beni, quali energia elettrica,
gas, carburanti (per quanto qui di interesse), combustibili
per riscaldamento e telefonia.
Il comma 7 richiamato prevede che la fornitura dei predetti
beni avvenga utilizzando le convenzioni o gli accordi quadro
messi a disposizione da Consip o da centrali di committenza
regionali ovvero attraverso proprie autonome procedure, nel
rispetto della normativa vigente, utilizzando i sistemi
telematici di negoziazione resi disponibili dai soggetti
indicati.
In alternativa, sussiste la possibilità di procedere ad
affidamenti che conseguano ad approvvigionamenti da altre
centrali di committenza o a procedure ad evidenza pubblica i
cui corrispettivi siano inferiori (e, quindi, migliorativi)
rispetto a quelli delle convenzioni e degli accordi quadro
messi a disposizione da Consip e dalle centrali regionali di
committenza. In tale caso, i contratti devono essere
sottoposti a condizione risolutiva, con possibilità di
adeguamento da parte del contraente, per il caso in cui
intervengano convenzioni Consip e delle centrali regionali
di committenza che prevedano condizioni economiche di
maggiore vantaggio.
L'art. 1, comma 8, D.L. n. 95/2012, stabilisce che sono
nulli, costituiscono illecito disciplinare e sono causa di
responsabilità amministrativa i contratti stipulati in
violazione di quanto previsto dal comma 7.
A ben vedere, il tenore letterale dell'art. 1, comma 7, D.L.
n. 95/2012, subordina la possibilità di procedere ad
affidamenti sul libero mercato alla duplice condizione che
gli stessi conseguano a procedure ad evidenza pubblica e
prevedano corrispettivi inferiori a quelli indicati nelle
convenzioni e accordi quadro messi a disposizione da Consip
S.p.a. e dalle centrali di committenza regionali.
In particolare, la procedura ad evidenza pubblica deve
determinare condizioni contrattuali più convenienti, avuto
riguardo allo specifico parametro previsto dei prezzi dei
beni o servizi, che devono essere più bassi ('corrispettivi
inferiori'). Mentre, non sono contemplati, nella norma
in commento, altri indici di risparmio di spesa pubblica,
quali, nel caso di specie, potrebbero essere i risparmi sui
costi accessori derivanti dalla maggiore lontananza dei
distributori di carburante convenzionati Consip. Un tanto si
osserva, fermo restando che, comunque, la norma in commento
non consente alle pubbliche amministrazioni di
approvvigionarsi da altri fornitori se non previo
esperimento di procedure ad evidenza pubblica.
Per come formulato l'art. 1, comma 7, D.L. n. 95/2012, non è
dato, dunque, in questa sede, di assumere una posizione
diversa da quella espressa nella precedente nota prot. n.
2679/2013, non essendo ad oggi intervenuti, come sopra
anticipato, rilievi giurisprudenziali o indicazioni
ministeriali che possano giustificare un'apertura rispetto
agli obblighi di approvvigionamento ivi previsti.
Sulla questione, è stata, invero, chiamata a rendere parere
la Corte dei conti, sezione di controllo per la Regione
Umbria [3],
che, peraltro, non ha offerto una soluzione di merito allo
specifico riguardo. In particolare, il comune che ad essa si
era rivolto aveva chiesto di poter derogare all'obbligo
previsto dall'art. 1, comma 7, D.L. n. 95/2012, in quanto la
fornitura di carburanti presso distributori non rientranti
nella convenzione Consip avrebbe consentito, a suo dire, un
risparmio di spesa pari ai costi accessori dovuti alla
maggiore distanza dal Comune dei distributori previsti dalla
convenzione Consip.
La Corte dei conti dell'Umbria ha ritenuto inammissibile la
richiesta sotto il profilo oggettivo in quanto relativo alla
possibilità di derogare agli obblighi derivanti dalla
normativa vigente in materia di forniture di carburanti alle
pubbliche amministrazioni.
Specificamente, la Corte dei conti ha rilevato che
trattavasi di un quesito concernente uno specifico caso di
gestione e non limitato, come dovrebbe essere, a temi di
carattere generale in materia di contabilità pubblica
[4], ma
comportante di fatto valutazioni relative all'adeguatezza
delle specifiche scelte gestionali, sia di natura tecnica
che contabile, da adottarsi da parte dell'ente, per cui,
eventuali sue pronunce avrebbero contrastato con i principi
e le modalità per l'esercizio dell'attività consultiva della
Corte dei conti.
--------------
[1] D.L. 06.07.2012, n. 95, recante: 'Disposizioni
urgenti per la revisione della spesa pubblica con invarianza
dei servizi ai cittadini nonché misure di rafforzamento
patrimoniale delle imprese nel settore bancario'.
[2] La nota è rinvenibile all'indirizzo web della Regione
FVG: http://autonomielocali.regione.fvg.it
[3] Corte dei conti, Sezione regionale di controllo per
l'Umbria, Perugia, parere n. 241 del 30.11.2012.
[4] La Corte dei conti Umbria richiama, in questo senso, i
principi e le modalità per l'esercizio dell'attività
consultiva, fissati dalla Sezione delle Autonomie, adunanza
del 27.04.2004
(04.05.2015 -
link a
www.regione.fvg.it). |
aprile 2015 |
|
APPALTI:
Una stazione appaltante può chiarire nel corso
del procedimento le previsioni della lex specialis, quando
queste siano equivoche o comunque si prestino ad incertezze
interpretative.
I chiarimenti dell'amministrazione, in una situazione di
obiettiva incertezza, non costituiscono un'indebita modifica
delle regole di gara ma una sorta di interpretazione
autentica.
Applicando tale orientamento al caso di specie, ne consegue
l'infondatezza della censura, attesa l'obiettiva incertezza
derivante dagli errori ortografici presenti nella originaria
formulazione della disposizione.
Pertanto, una stazione appaltante può chiarire nel corso del
procedimento le previsioni della lex specialis,
quando queste siano equivoche o comunque si prestino ad
incertezze interpretative (Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 27.04.2015 n. 2097 - link a
www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI: ►
Nelle gare pubbliche la verifica delle offerte sospette di
anomalia ha natura globale e sintetica e quindi si risolve
in un apprezzamento che non può essere "parcellizzato" su
singoli profili, aspetti o voci, salvo che non emergano
macroscopici vizi di travisamento dei dati acquisiti e/o di
irragionevole e illogico apprezzamento dei medesimi. La
valutazione globale e sintetica si traduce, a sua volta, in
un giudizio complessivo sull'affidabilità dell'offerta,
espressivo di squisita discrezionalità di natura tecnica che
si sottrae al sindacato giurisdizionale salvi i casi di
deviazione dai canoni di ragionevolezza o di logicità.
►
Nelle gare pubbliche, il giudizio di anomalia o di
incongruità dell’offerta costituisce espressione di
discrezionalità tecnica, sindacabile dal Giudice
Amministrativo solo in caso di macroscopica illogicità o di
erroneità fattuale.
►
Nelle gare pubbliche, in sede di verifica delle offerte
anomale, l’esame delle giustificazioni prodotte dai
concorrenti, a dimostrazione della non anomalia della
propria offerta, rientra nella discrezionalità tecnica
dell’Amministrazione, con la conseguenza che soltanto in
caso di macroscopiche illegittimità, quali gravi ed evidenti
errori di valutazione o valutazioni abnormi o inficiate da
evidenti errori di fatto, il Giudice di legittimità può
esercitare il proprio sindacato, ferma restando
l’impossibilità di sostituire il proprio giudizio a quello
dell’amministrazione.
---------------
Nelle gare pubbliche il mancato rispetto dei minimi
tabellari sul costo del lavoro o, in mancanza, dei valori
indicati dalla contrattazione collettiva non determina
l’automatica esclusione dalla gara, ma costituisce un indice
di anomalia dell’offerta che deve essere poi verificato
mediante un giudizio complessivo di remuneratività ed
affidabilità che consente all’impresa di fornire le proprie
giustificazioni di merito.
Occorre considerare, come sostenuto dalla giurisprudenza
amministrativa (cfr. Cons. Stato Sez. IV, 20.01.2015, n.
147), cui questo Collegio non ritiene di doversi discostare
“Nelle gare pubbliche la verifica delle offerte sospette di
anomalia ha natura globale e sintetica e quindi si risolve
in un apprezzamento che non può essere "parcellizzato" su
singoli profili, aspetti o voci, salvo che non emergano
macroscopici vizi di travisamento dei dati acquisiti e/o di
irragionevole e illogico apprezzamento dei medesimi. La
valutazione globale e sintetica si traduce, a sua volta, in
un giudizio complessivo sull'affidabilità dell'offerta,
espressivo di squisita discrezionalità di natura tecnica che
si sottrae al sindacato giurisdizionale salvi i casi di
deviazione dai canoni di ragionevolezza o di logicità”;
(Cons. Stato Sez. III, 13.03.2015, n. 1337) “Nelle gare
pubbliche, il giudizio di anomalia o di incongruità
dell’offerta costituisce espressione di discrezionalità
tecnica, sindacabile dal Giudice Amministrativo solo in caso
di macroscopica illogicità o di erroneità fattuale”; (Cons.
Stato Sez. III, 13.03.2015, n. 1337) “Nelle gare pubbliche,
in sede di verifica delle offerte anomale, l’esame delle
giustificazioni prodotte dai concorrenti, a dimostrazione
della non anomalia della propria offerta, rientra nella
discrezionalità tecnica dell’Amministrazione, con la
conseguenza che soltanto in caso di macroscopiche
illegittimità, quali gravi ed evidenti errori di valutazione
o valutazioni abnormi o inficiate da evidenti errori di
fatto, il Giudice di legittimità può esercitare il proprio
sindacato, ferma restando l’impossibilità di sostituire il
proprio giudizio a quello dell’amministrazione”.
Nella fattispecie qui in esame non risulta che
l’amministrazione abbia commesso macroscopici errori di
valutazione in considerazione della motivazione del
provvedimento di verifica dell’anomalia dell’offerta della
prima classificata. Peraltro, sinteticamente, è possibile
osservare che:
- nelle gare pubbliche il mancato rispetto dei minimi
tabellari sul costo del lavoro o, in mancanza, dei valori
indicati dalla contrattazione collettiva non determina
l’automatica esclusione dalla gara, ma costituisce un indice
di anomalia dell’offerta che deve essere poi verificato
mediante un giudizio complessivo di remuneratività ed
affidabilità che consente all’impresa di fornire le proprie
giustificazioni di merito (cfr. Cons. Stato Sez. V,
16.01.2015, n. 84; Cons. Stato Sez. V, 17.11.2014, n. 5633);
- l’indennità ex art. 108 CCNL era stata mal calcolata per
mero errore materiale, come riconosciuto dalla stessa prima
classificata;
- il ricalcolo della stazione appaltante è da intendersi
come soccorso istruttorio, come tale ammissibile, anche in
considerazione del valore parametrato ai termini di legge;
Pertanto, l’amministrazione ha complessivamente valutato
congrua l’offerta della CLSTV senza commettere violazioni
macroscopiche nel giudizio valutativo che, per contro,
risulta essere stato approfonditamente sviluppato in
contraddittorio con l’aggiudicataria
(TAR Lazio-Roma, Sez. III-ter,
sentenza 24.04.2015 n. 5979 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI SERVIZI:
Ammissibilità dell'affidamento di contratti pubblici ad
associazioni.
I princìpi desumibili dalla disciplina
comunitaria impongono di interpretare in senso estensivo
l'elencazione dei soggetti a cui possono essere affidati
contratti pubblici, recata dall'art. 34, c. 1, del D.Lgs.
163/2006.
Deve, quindi, ritenersi ammissibile la partecipazione alle
relative gare di soggetti che -indipendentemente dalla
propria veste giuridica e a prescindere dallo scopo di
lucro- possiedano i requisiti richiesti dal bando di gara
per l'esecuzione del contratto.
Il Comune ha indetto una procedura aperta per l'affidamento,
con il criterio dell'offerta economicamente più vantaggiosa,
della gestione di un rifugio alpino, indicando
espressamente, nella lex specialis di gara, la
tipologia dei soggetti ammessi a parteciparvi
[1].
Poiché l'Ente ha disposto l'aggiudicazione provvisoria a
favore di un'associazione culturale di promozione sociale,
ma si è poi avveduto che tale veste giuridica non risulta
tra quelle indicate nella previsione del bando di gara, esso
chiede di conoscere se, in via di autotutela, possa
provvedere, prima di dichiarare l'aggiudicazione definitiva,
ad escludere l'associazione in questione dalla procedura
concorsuale, «per carenza dei requisiti espressamente
previsti dal bando approvato e dalla norma di riferimento
art. 34 del D.Lgs 163/2006».
L'art. 34, comma 1 [2],
del decreto legislativo 12.04.2006, n. 163, dispone che sono
ammessi a partecipare alle procedure di affidamento dei
contratti pubblici i soggetti ivi elencati (il cui novero
risulta più ampio rispetto alla previsione comunale), salvo
i limiti espressamente indicati.
La formulazione testuale della norma di legge (che contiene
l'inciso «i seguenti soggetti») ha favorito il
formarsi di un orientamento giurisprudenziale restrittivo,
volto ad escludere dalle gare alcune figure, in quanto non
espressamente contemplate dalla disposizione, ancorché esse
fossero qualificabili come operatori economici, ai sensi
delle direttive europee (ad es. enti pubblici non economici,
fondazioni, enti no profit, imprese sociali, associazioni,
ecc.).
La giurisprudenza più recente ha, però, mutato posizione,
ritenendo che l'elencazione contenuta nell'art. 34 del
D.Lgs. 163/2006 non possa considerarsi tassativa, atteso
che:
- la disciplina comunitaria in materia di appalti pubblici
prevede che «I termini 'imprenditore', 'fornitore' e
'prestatore di servizi' designano una persona fisica o
giuridica o un ente pubblico o un raggruppamento di tali
persone e/o enti che offra sul mercato, rispettivamente, la
realizzazione di lavori e/o opere, prodotti o servizi»,
specificando che «Il termine 'operatore economico' comprende
l'imprenditore, il fornitore e il prestatore di servizi»
[3];
- il D.Lgs. 163/2006, conformemente alle predette
previsioni, fornisce analoghe nozioni di imprenditore,
fornitore e prestatore di servizi e riconduce anch'esso tali
soggetti al concetto di 'operatore economico'
[4].
La lettura ermeneutica estensiva, secondo cui il soggetto
abilitato a partecipare alle gare pubbliche è l''operatore
economico' che offre sul mercato lavori, forniture o
servizi, secondo un principio di libertà di forme, risulta
coerente con l'indirizzo assunto dalla giurisprudenza
comunitaria, la quale sancisce che:
- per 'impresa', pur in mancanza di una sua
definizione nel Trattato, va inteso qualsiasi soggetto che
eserciti attività economica, a prescindere dal suo stato
giuridico e dalle sue modalità di finanziamento
[5];
- costituisce attività economica qualsiasi attività che
consiste nell'offrire beni o servizi su un determinato
mercato [6];
- l'assenza di fine di lucro non esclude che un soggetto
giuridico che esercita un'attività economica possa essere
considerato impresa [7];
- la nozione di 'operatore economico', contenuta
nelle direttive sugli appalti (nozione che comprende ogni «persona
fisica o giuridica o un ente pubblico o un raggruppamento di
tali persone e/o enti che offra sul mercato,
rispettivamente, la realizzazione di lavori/opere, prodotti
o servizi»), va interpretata nel senso di consentire la
partecipazione alle gare anche a soggetti che:
- non perseguono un preminente scopo di lucro,
- non dispongono della struttura organizzativa di
un'impresa,
- non assicurano una presenza regolare sul mercato
[8].
Il giudice sovranazionale afferma, in sintesi, che «sia
dalla normativa comunitaria sia dalla giurisprudenza della
Corte risulta che è ammesso a presentare un'offerta o a
candidarsi qualsiasi soggetto o ente che, considerati i
requisiti indicati in un bando di gara, si reputi idoneo a
garantire l'esecuzione di detto appalto, in modo diretto
oppure facendo ricorso al subappalto, indipendentemente dal
fatto di essere un soggetto di diritto privato o di diritto
pubblico e di essere attivo sul mercato in modo sistematico
oppure soltanto occasionale, o, ancora, dal fatto di essere
sovvenzionato tramite fondi pubblici o meno»
[9].
I giudici comunitari sostengono, dunque, il principio della
massima apertura delle gare pubbliche (favor
partecipationis) [10],
il quale prevale su qualsiasi disposizione nazionale che
precluda la partecipazione a soggetti privi di specifiche
forme.
Rileva, infatti, la Corte di giustizia che «secondo una
giurisprudenza consolidata, il giudice nazionale è tenuto a
dare a una disposizione di diritto interno, avvalendosi per
intero del margine di discrezionalità consentitogli dal suo
ordinamento nazionale, un'interpretazione ed un'applicazione
conformi alle prescrizioni del diritto comunitario. Se una
siffatta applicazione conforme non è possibile, il giudice
nazionale ha l'obbligo di applicare integralmente il diritto
comunitario e di tutelare i diritti che quest'ultimo
conferisce ai singoli, disapplicando, se necessario,
qualsiasi contraria disposizione del diritto interno»
[11].
All'impostazione tracciata dalla giurisprudenza comunitaria
aderisce il Consiglio di Stato [12],
il quale sostiene che l'elencazione recata dall'art. 34 del
D.Lgs. 163/2006 non può ritenersi tassativa ed afferma che:
- è legittima la partecipazione di una fondazione ad una
gara per l'aggiudicazione di un contratto pubblico,
considerata la rispondenza di tale soggetto giuridico alla
nozione di 'operatore economico' e restando
irrilevante l'assenza dello scopo di lucro, posto che la
definizione comunitaria di 'impresa' non si fonda su
presupposti soggettivi, quali la pubblicità dell'ente o
l'assenza di lucro, ma su elementi oggettivi, quali
l'offerta di beni o servizi da scambiare con altri soggetti;
- non si può escludere che anche soggetti economici senza
scopo di lucro, quali le fondazioni, siano in grado di
soddisfare i necessari requisiti ed essere qualificati come
'imprenditori', 'fornitori' o 'prestatori
di servizi' ai sensi delle disposizioni vigenti in
materia, purché si tratti di soggetti che possono esercitare
anche attività d'impresa, qualora funzionale ai loro scopi,
e sempre che tale possibilità trovi riscontro nella
disciplina statutaria del singolo soggetto giuridico
[13];
- il regime fiscale di favore di cui gode una fondazione non
incide sulla dinamica concorrenziale, perché esso assiste
anche altri soggetti, quali le cooperative, senza che si
possa sostenere che esse siano escluse dagli appalti
pubblici, o le Onlus [14],
che possono essere ammesse alle gare pubbliche quali 'imprese
sociali' [15].
Anche l'Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di
lavori, servizi e forniture (Avcp) [16]
condivide le suesposte considerazioni, ai fini
dell'interpretazione estensiva dell'art. 34 del D.Lgs.
163/2006.
Tra i diversi interventi dell'Avcp sull'argomento
[17] si
richiama, soprattutto, la determinazione n. 7 del
21.10.2010, volta a chiarire dubbi interpretativi circa la
disciplina dettata dall'art. 34 del D.Lgs. 163/2006 e, in
special modo, la possibilità di ammettere, alle gare per
l'aggiudicazione dei contratti pubblici, soggetti giuridici
diversi da quelli ivi elencati, con la quale vengono
fornite, alle stazioni appaltanti, indicazioni applicative
di carattere generale, anche alla luce della recente
giurisprudenza comunitaria in materia.
Conclusivamente, si ritiene di poter affermare che la
disposizione della lex specialis adottata dal Comune
debba essere interpretata conformemente ai princìpi sanciti
dal giudice comunitario e da quello nazionale: pertanto, non
sembrano ricorrere gli estremi per poter disporre
l'esclusione dalla gara dell'associazione aggiudicataria.
---------------
[1] «Sono ammessi a partecipare alla gara, i concorrenti
aventi i requisiti previsti dal capitolato approvato:
- imprese individuali;
- società commerciali;
- cooperative o consorzi;
- raggruppamento d'imprese ai sensi e con le modalità di cui
al D.Lgs. 12.04.2006 n. 163 art. 37.».
[2] «1. Sono ammessi a partecipare alle procedure di
affidamento dei contratti pubblici i seguenti soggetti,
salvo i limiti espressamente indicati:
a) gli imprenditori individuali, anche artigiani, le società
commerciali, le società cooperative;
b) i consorzi fra società cooperative di produzione e lavoro
costituiti a norma della legge 25.06.1909, n. 422, e del
decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato
14.12.1947, n. 1577, e successive modificazioni, e i
consorzi tra imprese artigiane di cui alla legge 08.08.1985,
n. 443;
c) i consorzi stabili, costituiti anche in forma di società
consortili ai sensi dell'articolo 2615-ter del codice
civile, tra imprenditori individuali, anche artigiani,
società commerciali, società cooperative di produzione e
lavoro, secondo le disposizioni di cui all'articolo 36;
d) i raggruppamenti temporanei di concorrenti, costituiti
dai soggetti di cui alle lettere a), b) e c), i quali, prima
della presentazione dell'offerta, abbiano conferito mandato
collettivo speciale con rappresentanza ad uno di essi,
qualificato mandatario, il quale esprime l'offerta in nome e
per conto proprio e dei mandanti; si applicano al riguardo
le disposizioni dell'articolo 37;
e) i consorzi ordinari di concorrenti di cui all'articolo
2602 del codice civile, costituiti tra i soggetti di cui
alle lettere a), b) e c) del presente comma, anche in forma
di società ai sensi dell'articolo 2615-ter del codice
civile; si applicano al riguardo le disposizioni
dell'articolo 37;
e-bis) le aggregazioni tra le imprese aderenti al contratto
di rete ai sensi dell'articolo 3, comma 4-ter, del
decreto-legge 10.02.2009, n. 5, convertito, con
modificazioni, dalla legge 09.04.2009, n. 33; si applicano
le disposizioni dell'articolo 37;
f) i soggetti che abbiano stipulato il contratto di gruppo
europeo di interesse economico (GEIE) ai sensi del decreto
legislativo 23.07.1991, n. 240; si applicano al riguardo le
disposizioni dell'articolo 37;
f-bis) operatori economici, ai sensi dell'articolo 3, comma
22, stabiliti in altri Stati membri, costituiti
conformemente alla legislazione vigente nei rispettivi
Paesi».
[3] V. art. 1, comma 8, della direttiva 2004/18/CE.
[4] L'art. 3 del D.Lgs. 163/2006 dispone, infatti, che «I
termini 'imprenditore', 'fornitore' e 'prestatore di
servizi' designano una persona fisica, o una persona
giuridica, o un ente senza personalità giuridica, ivi
compreso il gruppo europeo di interesse economico (GEIE)
costituito ai sensi del decreto legislativo 23.07.1991, n.
240, che offra sul mercato, rispettivamente, la
realizzazione di lavori o opere, la fornitura di prodotti,
la prestazione di servizi» (comma 19) e che «Il termine
'operatore economico' comprende l'imprenditore, il fornitore
e il prestatore di servizi o un raggruppamento o consorzio
di essi» (comma 22).
[5] Corte di giustizia - Grande Sez., sent. 01.07.2008,
causa C-49/07 e richiami ivi contenuti.
[6] Corte di giustizia - Sez. II, sent. 10.01.2006, causa
C-222/04.
[7] Corte di giustizia - Sez. III, sent. 29.11.2007, causa
C-119/06.
[8] Corte di giustizia - Sez. IV, sentt. 18.12.2007, causa
C-357/06 e 23.12.2009, causa C-305-08.
[9] Corte di giustizia - Sez. IV, sent. 23.12.2009, causa
C-305/08, cit..
[10] La Corte di giustizia afferma, infatti, che «uno degli
obiettivi della normativa comunitaria in materia di appalti
pubblici è costituito dall'apertura alla concorrenza nella
misura più ampia possibile» (Sez. IV, sent. 13 dicembre
2007, causa C-337/06 e, in senso conforme, sent. 19 maggio
2009, causa C-538/07) e che tale apertura «è prevista non
soltanto con riguardo all'interesse comunitario alla libera
circolazione dei prodotti e dei servizi, bensì anche
nell'interesse stesso dell'amministrazione aggiudicatrice
considerata, la quale disporrà così di un'ampia scelta circa
l'offerta più vantaggiosa e più rispondente ai bisogni della
collettività pubblica interessata» (Sez. IV, sent. 23
dicembre 2009, causa C-305/08, cit.).
[11] Corte di giustizia - Sez. IV, sent. 18.12.2007, causa
C-357/06, cit..
[12] V., in particolare, stante l'affinità della fattispecie
al caso in trattazione, Sez. VI, sent. 16.06.2009, n. 3897,
che ha ritenuto legittima l'aggiudicazione di una fornitura
ad un'ATI, composta da un soggetto (fondazione) non
contemplato tra quelli indicati nell'art. 34 del D.Lgs.
163/2006.
[13] Al riguardo, il TAR Lazio - Sez. III, sent. 14.01.2015,
n. 539, precisa che «L'unico limite all'ammissibilità delle
offerte di soggetti pubblici non imprenditori può semmai
derivare, eventualmente, da clausole statutarie
auto-limitative ovvero dallo statuto giuridico proprio di
quel tipo di ente (sia esso pubblico o privato) sulla base
delle normativa nazionale di riferimento: sarà cioè
necessario effettuare, caso per caso, un esame approfondito
dello statuto di tali persone giuridiche al fine di valutare
gli scopi istituzionali per cui sono state costituite».
Si segnala che lo statuto dell'associazione cui il quesito
fa riferimento annovera, tra gli scopi che essa si prefigge
di perseguire, quello di «gestire rifugi alpini ed
escursionistici» (art. 4) e prevede che, per raggiungere i
propri scopi, l'associazione si giova di mezzi finanziari
derivanti anche dalla predetta gestione (art. 5).
[14] Il Consiglio di Stato - Sez. VI, sent. 25.01.2008, n.
185, afferma la legittimità dell'aggiudicazione di un
appalto di servizi a favore di una Onlus, per aver questa
presentato l'offerta economicamente più vantaggiosa per
l'amministrazione, «in quanto soggetto esente da Iva e
quindi, tale da non far ricadere sull'amministrazione,
consumatore finale, la predetta imposta».
[15] V. Consiglio di Stato - Sez. V, sent. 25.02.2009, n.
1128.
[16] Le cui funzioni sono attualmente esercitate
dall'Autorità Nazionale Anticorruzione (ANAC).
[17] Deliberazione 18.04.2007, n. 119; pareri 23.04.2008, n.
127, 27.05.2010, n. 101 e 20.10.2011, n. AG 28/2011
(22.04.2015 -
link a
www.regione.fvg.it). |
APPALTI FORNITURE E SERVIZI:
Sull'illegittimità degli affidamenti di servizi
ulteriori non contemplati dalla convenzione Consip.
Gli affidamenti di servizi ulteriori, non contemplati dalla
convenzione Consip, così come tutte le estensioni
dell'oggetto e della durata delle forniture acquisite
mediante il ricorso al sistema centralizzato, sono
illegittimi perché comportano la violazione delle direttive
comunitarie e delle norme nazionali che dispongono l'obbligo
della gara pubblica a garanzia della concorrenza, della par
condicio tra i partecipanti, della correttezza e della
trasparenza della condotta della s.a..
L'art. 57, c. 5, lett. a), del d.lgs. n. 163/2006, prevede
che il ricorso alla procedura negoziata senza previa
pubblicazione di un bando di gara è possibile nella misura
strettamente necessaria, quando l'estrema urgenza,
risultante da eventi imprevedibili per le stazioni
appaltanti, non è compatibile con i termini imposti dalle
procedure aperte, ristrette o negoziate, di pubblicazione di
un bando di gara e sempre che tali circostanze, invocate a
giustificazione dell'estrema urgenza, non siano imputabili
alle stazioni appaltanti.
Poiché l'urgenza di provvedere e l'imprevedibilità non
devono essere addebitabili in alcun modo all'amministrazione
per carenza di adeguata organizzazione o programmazione
ovvero per sua inerzia o responsabilità, nel caso di specie,
non sussisteva, quanto meno il presupposto della
imprevedibilità, in quanto l'Azienda, in precedenti appalti,
aveva sempre aggiudicato il servizio di gestione e
manutenzione degli impianti elettrici dell'Ospedale
garantendo la copertura 24 ore su 24 ore per tutto l'anno
proprio in relazione alle attività di urgenza e di alta
specializzazione ivi svolte, risultando quindi del tutto
prevedibile che con la adesione alla convenzione non sarebbe
stata adeguatamente garantita la sicurezza degli impianti
elettrici e speciali dalle 21,00 alle 7 e nei giorni di
sabato e festivi.
Del pari il servizio non previsto nella convenzione Consip
non avrebbe potuto essere affidato ad una seconda impresa, a
meno di gravi disfunzioni e inconvenienti, con l' effetto
che l'amministrazione non avrebbe potuto aderire alla
convenzione che non soddisfaceva interamente le sue
esigenze, né poteva colmare la parziale inidoneità della
convenzione affidando a trattativa privata servizi
complementari, peraltro di peso economico e durata non
indifferenti, dividendo artificiosamente il servizio in due
tronconi di cui uno, adesivo alla convenzione Consip, mentre
l'altro attribuito alla medesima ditta ai sensi dell'art.
57, c. 5, del codice dei contratti.
Pertanto, non sussisteva nessun obbligo di adesione alla
convenzione Consip a norma dell'art. 15, c. 13, del d.l.
06.07.2012 n. 95, conv. nella l. 07.08.2012 n. 135, essendo
tale obbligo di adesione, ipotizzabile, non certo
astrattamente, ma solo per l'acquisto di servizi
concretamente rispondenti alle esigenze della stazione
appaltante non potendo diversamente ipotizzarsi un obbligo
giuridico di adesione là dove sia carente la concreta
esigenza o inadeguato il contenuto della convenzione
(Consiglio di Stato, Sez. III,
sentenza 14.04.2015 n. 1908 - link a
www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI:
Non è sufficiente ad invalidare una procedura
selettiva il mero sospetto di possibili manomissioni delle
buste contenenti le offerte.
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Solo con l'aggiudicazione definitiva può dirsi sorto un
affidamento meritevole di tutela e risarcibile a titolo di
responsabilità precontrattuale.
Non è sufficiente ad invalidare una procedura selettiva il
mero sospetto di possibili manomissioni delle buste
contenenti le offerte, occorrendo suffragare la deduzione
con elementi, anche di carattere indiziario, che possano
avere effettivamente inciso sulla genuinità dell'offerta
(sentenza Consiglio di Stato, Ad. plen. 03.02.2014, n. 8).
Questo principio è estensibile anche al concorso di idee,
potendo essere declinato nel senso che occorre corroborare
la censura di irregolarità della procedura mediante
l'allegazione di specifiche circostanze in virtù delle quali
l'attività valutativa della giuria possa essere stata in
concreto influenzata o vi sia stato un errore
nell'abbinamento a posteriori dei nominativi dei progettisti
con i progetti.
---------------
L'estensione alle procedure di affidamento di contratti
pubblici dei principi e delle regole in materia di
responsabilità precontrattuale comporta che
l'amministrazione aggiudicatrice in tanto può ritenersi
soggetta alle conseguenze derivanti dall'art. 1337 cod.
civ., in quanto la gara sia giunta ad uno stadio tale da
avere ingenerato nel concorrente la ragionevole aspettativa
di conseguire l'aggiudicazione e dunque la stipulazione del
contratto. In altri termini, occorre che quest'ultimo veda
frustrato un affidamento consolidato in ordine alla
favorevole conclusione della procedura di gara.
A quest'ultimo riguardo, secondo una giurisprudenza ormai
consolidata di questo Consiglio di Stato, solo con
l'aggiudicazione definitiva può dirsi sorto un affidamento
meritevole di tutela e risarcibile a titolo di
responsabilità precontrattuale. Sotto questo profilo, è
comune l'affermazione secondo cui una volta emesso l'atto
terminale della procedura selettiva di evidenza pubblica, il
concorrente destinatario può in effetti vantare un
affidamento tutelabile a titolo di responsabilità
precontrattuale, poiché la sua offerta, individuata come la
migliore dalla commissione di gara, è stata ritenuta tale
anche dalla stazione appaltante, attraverso l'approvazione
dell'aggiudicazione provvisoria (art. 12, c. 1, d.lgs. n.
163/2006).
In questa prospettiva diviene pertanto fondamentale il
passaggio dall'aggiudicazione provvisoria a quella
definitiva, giacché la prima, stante il suo carattere
meramente interinale e non conclusivo di questo
provvedimento, non è idonea a configurare alcun affidamento
sull'esito positivo della procedura di gara.
Quindi, l'ipotesi tipica di responsabilità precontrattuale
dell'amministrazione è quella in cui quest'ultima, dopo
avere definitivamente aggiudicato una gara, decida di
ritirarla in autotutela o comunque non addivenga alla
stipula del contratto (Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 14.04.2015 n. 1864 - link a
www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI SERVIZI: Il
Collegio ritiene che la misura di cui all'art. 8, comma 8,
lett. a), del d.l. 66/2014 (ndr: riduzione unilaterale del
corrispettivo contrattuale del 5%) non sia applicabile ai
contratti aventi ad oggetto il servizio di igiene urbana
finanziati a tariffa.
Vale precisare che per eventuali altre
prestazioni, eventualmente acquistate in concreto con il
medesimo contratto e remunerate mediante l'erogazione di un
corrispettivo diversamente convenuto fra le parti,
l'esercizio di tale facoltà rimane impregiudicato e rimesso
a quelle valutazioni discrezionali dell'amministrazione, che
ordinariamente devono precedere la scelta di applicare la
riduzione unilaterale autorizzata dalla norma esaminata.
Al riguardo, è bene richiamare l'attenzione
sull'impatto che la misura può avere in termini di riduzione
della controprestazione acquistata e di eventuale recesso
anticipato dell'altro contraente, conseguenze che richiedono
l'accurata ponderazione caso per caso, in base ai contenuti
dei singoli atti negoziali di acquisto di beni e servizi,
della possibilità effettiva di rinegoziare un nuovo
equilibrio sinallagmatico secondo canoni di convenienza
economica e senza pregiudicare l'interesse pubblico da
soddisfare.
Rientra, in altre parole, nella
discrezionalità e responsabilità dell'amministrazione
valutare “ex ante” la sostenibilità giuridica e la
praticabilità concreta dell'operazione, onde neutralizzare i
rischi di effetti indesiderati e sul piano finanziario
contrastanti con gli stessi obiettivi cui la misura è
finalizzata.
---------------
Con la nota citata in epigrafe, prodotta espressamente ai
sensi dell’art. 7, comma 8, della legge 05.06.2003, n. 131,
il Sindaco del Comune di Sant’Oreste, per il tramite
del Consiglio delle Autonomie locali del Lazio (CAL -
Lazio), ha chiesto di conoscere il parere della Sezione
in ordine all’applicabilità dell’art. 8, comma 8, lett. a),
del d.l. 24.04.2014, n. 66, convertito con modificazioni
dalla legge 23.06.2014, n. 89, ai contratti concernenti il “settore
dell’igiene urbana ed ambientale”.
La riduzione unilaterale del 5% del corrispettivo pattuito,
con facoltà di rinegoziare il contenuto contrattuale,
contemplata dalla predetta norma quale misura specifica di
concorso al perseguimento degli obiettivi programmati di
riduzione della spesa di beni e servizi di cui ai commi 4-7,
riguarderebbe -secondo quanto esplicitato in atti– il
contratto in fase di stipula per l’affidamento, previa
aggiudicazione definitiva perfezionatasi in data 03.06.2014,
del “servizio di igiene urbana, servizi accessori e
fornitura di attrezzature e materiali d’uso per la raccolta
differenziata” in territorio comunale.
L’istante espone, a sostegno dei dubbi espressi, talune
argomentazioni avanzate in dottrina e tendenti ad escludere
i detti contratti dall’ambito applicativo della norma in
argomento.
...
Nel merito, il Collegio ritiene che per risolvere la
prospettata questione, in punto di diritto ed impregiudicata
ogni valutazione rientrante nella discrezionalità
dell’Amministrazione richiedente, non si possa prescindere
dal rilevare come la riduzione del
corrispettivo contrattuale prevista dall’art. 8, comma 8
lett. a), del d.l. 66/2014 costituisca misura discrezionale,
per tabulas finalizzata al conseguimento di obiettivi
macroeconomici di abbattimento della spesa corrente e,
specificamente, della componente individuata dalla stessa
norma al comma 4 come destinata agli acquisti di beni e
servizi, con conseguente recupero di maggiori margini di
manovra finanziaria pubblica.
Si tratta di obiettivi cogenti anche per gli Enti Locali che
sono chiamati a concorrervi pro-quota nella misura e con
modalità all'uopo legislativamente fissate.
Ed in effetti, il successivo art. 47 configura un meccanismo
preciso di riduzione delle risorse pubbliche destinabili
alla copertura della spesa corrente dei detti Enti, che
opera in modo differenziato in relazione alle peculiarità
dei rispettivi rapporti finanziari con lo Stato e che per i
Comuni si sostanzia in minori erogazioni a carico del fondo
di solidarietà comunale.
In tale ambito, si inquadrano i tagli inerenti agli
interventi sulla spesa corrente comunale per acquisti di
beni e servizi, qualificati come risparmi di spesa non già
per il bilancio del singolo ente interessato, bensì in una
più ampia prospettiva di sostenibilità dei conti pubblici
consolidati e quantificati in misura proporzionale alla
spesa media sostenuta nell’ultimo triennio relativamente a
voci classificate secondo i codici SIOPE elencati in
apposita Tabella A, annessa al decreto legge ed ivi
espressamente richiamata. Con le stesse modalità è
specularmente individuata, ex art. 47, comma 9, la riduzione
delle erogazioni spettanti a carico del fondo di solidarietà
comunale.
L' elencazione delle voci di cui alla citata Tabella A è da
ritenersi tassativa proprio perché finalizzata a
concretizzare gli obblighi di compartecipazione dei singoli
Comuni al conseguimento degli indicati obiettivi generali di
finanza pubblica (in senso parzialmente contrario, cfr. Sez.
regionale di controllo Lombardia deliberazione 24/2015/PAR).
Si tratta, infatti, di un parametro normativo di calcolo
che, ad avviso del Collegio, risponde a quelle esigenze di
certezza alle quali vanno fisiologicamente improntati i
rapporti finanziari fra Stato ed Enti Locali nel sistema di
finanza pubblica allargata, anche per garantire la
regolarità della pianificazione di bilancio rimessa
all’autonomia comunale, esigenze che rimarrebbero frustrate
ove il parametro stesso fosse considerato meramente
indicativo.
In proposito, peraltro, non si può omettere
di osservare come, dagli ambiti di spesa in relazione ai
quali individuare gli obiettivi obbligatori di risparmio
ricadenti sui singoli Comuni sia stato espunto, per scelta
legislativa operata in sede di conversione del d.l. 66/2014,
proprio quello concernente i contratti di servizio per
smaltimento rifiuti, contrassegnato dal codice SIOPE S1303,
e come, perciò, tale voce di spesa non possa concorrere in
alcun modo a determinare la base di calcolo delle riduzioni
proporzionali di cui trattasi.
Ciò posto, occorre chiedersi se tali ambiti di spesa segnino
con la stessa tassatività anche il perimetro dell'azione di
contenimento contemplata dall'art. 8, comma 4, e così pure
il limite dell'autorizzazione, strumentalmente ad essa
correlata in modo espresso, ad esercitare la facoltà
unilaterale di riduzione dell’importo contrattuale di cui al
comma 8, lett. a), riconosciuta al contraente pubblico in
deroga ai principi civilistici in tema di accordo, per
finalità di salvaguardia degli equilibri di finanza
pubblica.
Sul punto, il Collegio ritiene sussistenti argomentazioni di
ordine letterale e sistematico che portano ad escludere tale
ulteriore valenza dell’elencazione delle spese sopra
richiamata.
Depone in questa direzione innanzitutto la lettera del comma
4, per la quale la riduzione della spesa di beni e servizi è
testualmente riferibile ad “ogni settore”.
Sembrerebbe, poi, di difficile riconduzione a logica
coerenza -in un contesto caratterizzato dal riconoscimento
espresso di autonomia degli Enti interessati nella scelta di
misure alternative di riduzione della spesa corrente (art.
47, comma 12)- ipotizzare preclusioni, a monte ed in
astratto, proprio delle iniziative di risparmio autorizzate
per indirizzare l’azione di contenimento nell'ambito degli
acquisti di beni e servizi, cui il legislatore ha inteso
riservare prioritaria attenzione per riqualificare la spesa
corrente.
Per quanto sopra detto, si ritiene non
sostenibile la tesi per la quale l'esclusione dei contratti
di appalto del servizio di igiene urbana dal novero di
quelli per i quali è esercitabile la facoltà unilaterale di
abbattimento dell’importo contrattuale deriverebbe
indirettamente dalla sola mancata menzione dei medesimi
nella tabella A di cui all’art. 47, comma 9, lett. a), primo
alinea.
A tale conclusione si può, peraltro, pervenire per
considerazioni diverse che attengono alla configurazione
astratta della misura in termini di idoneità al
conseguimento degli obiettivi di risparmio, come delineati
dalle norme in esame.
Così concepita, infatti, la misura per sua
natura si attaglia ai contratti di tipo sinallagmatico
caratterizzati dallo scambio tra la prestazione richiesta al
contraente privato ed il pagamento, da parte del contraente
pubblico, di un prezzo la cui riduzione sottende un minore
esborso a carico del bilancio.
Solo con riguardo a questi contratti, tra
l'altro, è possibile ipotizzare la rinegoziazione “iure
privatorum” del contenuto contrattuale, con contrazione
della controprestazione, contemplata espressamente dalla
norma all’esame a fronte dell’esercizio della facoltà di
riduzione del prezzo originariamente pattuito, anche con
riferimento a contratti già in corso di esecuzione e
limitatamente alla loro durata residua.
Esula da questo schema, viceversa, il
servizio di igiene urbana che, secondo la pertinente
normativa di settore, è obbligatoriamente finanziato con
apposite entrate tariffarie, strutturalmente determinate
sulla base della pianificazione analitica dei costi del
servizio dedotta nel contratto di affidamento e di
regolazione dei rapporti con il soggetto gerente.
L’abbattimento dell’importo contrattuale in
queste fattispecie, pertanto, si rivelerebbe
finanziariamente neutro per i conti pubblici in quanto
dovrebbe essere compensato da una riduzione di
corrispondente valore della tariffa gravante sui cittadini
destinatari del servizio, effetto diverso dal risparmio di
spesa di cui trattasi.
Esso, poi, non sarebbe non altrimenti conseguibile se non
mediante la previa rideterminazione del piano
economico-finanziario del servizio, alla quale la
ridefinizione del regime tariffario, varata dall’ente
interessato nell’esercizio di poteri pubblicistici, è
strettamente correlata.
E ciò ne evidenzia la difficile compatibilità sul piano
giuridico con la salvaguardia dell’originario affidamento,
mantenendo l'erogazione di un servizio con caratteristiche
corrispondenti a quelle convenute e senza esiti contenziosi.
Per le esposte ragioni, il Collegio ritiene
che la misura di cui all'art. 8, comma 8, lett. a), non sia
applicabile ai contratti aventi ad oggetto il servizio di
igiene urbana finanziati a tariffa,
ferme comunque le esigenze di razionalizzazione dei costi a
beneficio dell'utenza di cui l'ente locale è
responsabilmente tenuto a farsi carico.
Vale precisare che per eventuali altre
prestazioni, eventualmente acquistate in concreto con il
medesimo contratto e remunerate mediante l'erogazione di un
corrispettivo diversamente convenuto fra le parti,
l'esercizio di tale facoltà rimane impregiudicato e rimesso
a quelle valutazioni discrezionali dell'amministrazione, che
ordinariamente devono precedere la scelta di applicare la
riduzione unilaterale autorizzata dalla norma esaminata.
Al riguardo, è bene richiamare l'attenzione
sull'impatto che la misura può avere in termini di riduzione
della controprestazione acquistata e di eventuale recesso
anticipato dell'altro contraente, conseguenze che richiedono
l'accurata ponderazione caso per caso, in base ai contenuti
dei singoli atti negoziali di acquisto di beni e servizi,
della possibilità effettiva di rinegoziare un nuovo
equilibrio sinallagmatico secondo canoni di convenienza
economica e senza pregiudicare l'interesse pubblico da
soddisfare.
Rientra, in altre parole, nella
discrezionalità e responsabilità dell'amministrazione
valutare “ex ante” la sostenibilità giuridica e la
praticabilità concreta dell'operazione, onde neutralizzare i
rischi di effetti indesiderati e sul piano finanziario
contrastanti con gli stessi obiettivi cui la misura è
finalizzata (Corte
dei Conti, Sez. controllo Lazio,
parere 14.04.2015 n. 48). |
APPALTI FORNITURE E SERVIZI:
Nomina del RUP per gli affidamenti di beni e servizi.
La disciplina del RUP nel settore dei
contratti pubblici è contenuta nell'art. 10, D.Lgs. n.
163/2006, e, specificamente per le forniture e i servizi,
negli artt. 272 e 273 del D.P.R. n. 207/2010.
L'art. 10 del codice dei contratti pubblici prevede che il
responsabile del procedimento sia un dipendente di ruolo o
un dipendente in servizio, mentre l'art. 272, comma 4, del
Regolamento attuativo richiede specificamente che il RUP sia
un funzionario, anche di qualifica non dirigenziale.
Il comma 4 richiamato consente l'attribuzione dell'incarico
di RUP a soggetti non muniti di qualifica dirigenziale, e
quindi a funzionari muniti di funzioni dirigenziali
(titolari di posizione organizzativa, nel sistema degli enti
locali del FVG); peraltro, ai sensi di detta norma, come
osservato dal Consiglio di Stato, sembra possibile
l'attribuzione anche a dipendenti appartenenti alle
categorie immediatamente inferiori a quella dirigenziale (e
dunque che abbiano almeno il livello occupazionale di
categoria D, avuto riguardo al sistema di classificazione
del personale degli enti locali del FVG).
Il Comune chiede se sia possibile nominare responsabile
unico di procedimento (RUP) personale di categoria C, ai
fini dell'acquisizione del CIG per le gare relative a beni e
servizi [1].
Il Comune ha meno di 5.000 abitanti e non ha personale con
qualifica dirigenziale o titolare di posizione
organizzativa, ed è stata attribuita la responsabilità di
tutti i servizi al Sindaco, ai sensi della L. n. 388/2000
[2].
Si ritiene, in via preliminare, di esprimere alcune
considerazioni sulla disciplina generale del responsabile
del procedimento contenuta nella L. n. 241/1990
[3] (artt.
4, 5 e 6), per poi concentrare l'attenzione su quella
speciale, nel settore degli appalti pubblici, dettata
dall'art. 10, D.Lgs. n. 163/2006 [4],
e poi ulteriormente specificata, per le forniture e i
servizi, dagli articoli 272 e 273 del regolamento attuativo
approvato con D.P.R. n. 207/2010 [5].
L'art. 5, comma 1, L. n. 241/1990, dispone che 'il
dirigente di ciascuna unità organizzativa provvede ad
assegnare a sé o ad altro dipendente addetto all'unità la
responsabilità dell'istruttoria e di ogni altro adempimento
inerente il singolo procedimento, nonché, eventualmente,
dell'adozione del provvedimento finale'
[6].
Specificamente, la competenza all'adozione del provvedimento
finale discende dalla posizione giuridica e professionale di
dirigente (nonché, negli enti locali privi di qualifica
dirigenziale, di titolare di posizione organizzativa,
incarico, questo, che comporta il conferimento di funzioni
dirigenziali, ai sensi dell'art. 42 del CCRL del
07.12.2006), al quale, ai sensi dell'art. 107, comma 2,
D.Lgs. n. 267/2000, è attribuita la competenza all'adozione
di atti e provvedimenti che impegnano l'amministrazione
verso l'esterno, nell'ambito del suo potere di gestione
finanziaria, tecnica e amministrativa.
Solo in capo a detti soggetti -muniti di qualifica
dirigenziale o titolari di posizione organizzativa- sussiste
la competenza ad emanare atti che impegnano la p.a. verso
l'esterno.
Conferma di un tanto si ha dalla combinazione della
previsione di cui all'art. 5, comma 1, L. n. 241/1990,
richiamato, che prevede eventualmente l'adozione del
provvedimento finale da parte del responsabile del
procedimento, e della previsione di cui all'art. 6, comma 1,
lett. e), della medesima legge, che prescrive che il
responsabile del procedimento adotti il provvedimento finale
'ove ne abbia la competenza', ovvero, in caso
contrario, impone la trasmissione degli atti all'organo
competente per l'adozione.
In proposito, il Consiglio di Stato chiarisce che
l'attribuzione delle funzioni di responsabile del
procedimento implica l'assegnazione della responsabilità
dell'istruttoria e di ogni altro adempimento inerente al
procedimento, rimanendo 'solo eventuale' l'adozione
del provvedimento finale con effetti esterni
[7], che,
come detto sopra compete al dirigente (o titolare di
posizione organizzativa munito di funzioni dirigenziali).
Venendo alla questione in esame, relativa al soggetto che
può essere nominato RUP nel settore dei contratti pubblici,
ai fini dell'acquisizione del CIG nelle procedure di
affidamento di beni e servizi, in particolare se possa
essere un appartenente alla categoria C, viene in
considerazione la disciplina specifica in materia recata dal
D.Lgs. n. 163/2006 e dal relativo regolamento attuativo,
D.P.R. n. 207/2010.
Al riguardo, si precisa che le riflessioni che seguono sono
improntate, in via collaborativa, a criteri prudenziali e di
ragionevolezza, alla luce di alcuni spunti offerti dalla
giurisprudenza e dalla dottrina, evidenziando, peraltro,
come non sia allo stato possibile addivenire ad una
interpretazione univoca delle norme statali in argomento.
L'art. 10, D.Lgs. n. 163/2006, prevede che il responsabile
del procedimento: svolge tutti i compiti relativi alle
procedure di affidamento previste dal Codice dei contratti
pubblici, che non siano specificamente attribuiti ad altri
organi o soggetti (comma 2); deve possedere titolo di studio
e competenza adeguati in relazione ai compiti per cui è
nominato e, per le amministrazioni aggiudicatrici, deve
essere un dipendente di ruolo, o anche un dipendente in
servizio, in caso di accertata carenza di dipendenti di
ruolo in possesso di professionalità adeguate (comma 5). Il
medesimo art. 10 rinvia al regolamento di attuazione la
determinazione dei requisiti di professionalità richiesti al
responsabile del procedimento (comma 6).
L'art. 272 del Regolamento dispone che il RUP è nominato 'contestualmente
alla decisione di procedere all'acquisizione' (comma 1)
e che 'il responsabile del procedimento è un funzionario,
anche di qualifica non dirigenziale, dell'amministrazione
aggiudicatrice' (comma 4).
Con riguardo alla qualifica del RUP, si osserva il carattere
specificativo del comma 4 dell'art. 272 del Regolamento
rispetto alle prescrizioni del Codice dei contratti
pubblici.
Infatti, mentre l'art. 10, D.Lgs. n. 163/2006, prevede che
il responsabile del procedimento sia un dipendente di ruolo
o un dipendente in servizio, il comma 4 dell'art. 272 del
D.P.R. n. 207/2010 richiede specificamente che il RUP sia un
'funzionario, anche di qualifica non dirigenziale'.
Il tenore letterale del comma 4 in argomento è chiaro nel
consentire l'attribuzione dell'incarico di RUP a soggetti
non muniti di qualifica dirigenziale, e dunque a funzionari
muniti di funzioni dirigenziali (titolari di posizione
organizzativa, nel sistema degli enti locali del FVG)
[8],
nonché, come osservato dal Consiglio di Stato, a dipendenti
appartenenti alle categorie immediatamente inferiori a
quella dirigenziale [9].
Quest'ultima ipotesi potrebbe, infatti, verificarsi qualora,
come nel caso in esame, le unità organizzative per gli
approvvigionamenti siano sprovviste sia di personale
dirigenziale che incaricato di posizione organizzativa, per
cui ad essere investiti del ruolo di RUP potrebbero essere i
dipendenti delle qualifiche immediatamente inferiori a
quella dirigenziale [10],
e dunque che abbiamo almeno il livello occupazionale di
categoria D, avuto riguardo al sistema di classificazione
del personale degli enti locali del FVG.
Si precisa, come già detto sopra con riferimento alla
disciplina generale del responsabile del procedimento, che
un RUP non munito di qualifica dirigenziale o di funzioni
dirigenziali sarà legittimato a compiere unicamente atti
privi di rilevanza esterna [11].
La possibilità di nominare RUP dipendenti di categoria
immediatamente inferiore a quella dirigenziale è stata
espressa dal Consiglio di Stato con riferimento, invero, al
settore delle opere pubbliche, nella vigenza della L. n.
109/1994 [12],
che prevedeva che il RUP dovesse essere un tecnico con
competenze professionali adeguate alle caratteristiche
dell'intervento da svolgere [13].
Con riferimento alla questione della possibilità che il RUP
potesse non essere un dirigente, il Consiglio di Stato ha
espresso la posizione di apertura alle categorie
immediatamente inferiori, nel quadro di un'impostazione che
il Supremo Giudice amministrativo reputa valida non solo in
materia di lavori pubblici, ma in termini generali per ogni
tipo di procedimento amministrativo, ai sensi della L. n.
241/1990, e che appare del resto attuale alla luce della
normativa vigente in materia [14].
---------------
[1] Il Comune aderisce ad Unione, ai sensi della L.R. n.
1/2006, nell'ambito della quale opera il Servizio Centrale
Unica di Committenza, cui spettano gli adempimenti relativi
alle procedura di gara per la scelta del contraente, mentre
l'acquisizione del CIG compete ai singoli comuni aderenti,
così come la stipula del contratto, secondo quanto previsto
dal Regolamento di organizzazione sul funzionamento della
Centrale Unica di Committenza dell'Unione.
[2] L. 23.12.2000, n. 388, recante: 'Disposizioni per la
formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato'.
Vedi, in particolare, l'art. 53, comma 23, che consente ai
Comuni con popolazione inferiore a 5.000 abitanti di
attribuire ai componenti dell'organo esecutivo la
responsabilità degli uffici e dei servizi e il potere di
adottare atti anche di natura tecnica gestionale.
[3] L. 07.08.1990, n. 241, recante: 'Nuove norme in materia
di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai
documenti amministrativi'. Questa legge ha introdotto la
figura del RUP nell'ambito dell'azione amministrativa con
una disciplina generale che l'art. 2, comma 3, D.Lgs. n.
163/2006 (Codice dei contratti pubblici), richiama per tutti
quegli aspetti non espressamente disciplinati dal Codice.
[4] D.Lgs. 12.04.2006, n. 163, recante: 'Codice dei
contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture in
attuazione delle direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE'.
[5] D.P.R. 05.10.2010, n. 207, recante: «Regolamento di
esecuzione ed attuazione del decreto legislativo 12.04.2006,
n. 163, recante: 'Codice dei contratti pubblici relativi a
lavori, servizi e forniture in attuazione delle direttive
2004/17/CE e 2004/18/CE'»
[6] Il comma successivo stabilisce che, fino a quando non
sia effettuata tale assegnazione, è considerato responsabile
del singolo procedimento il funzionario preposto all'ufficio
stesso, che assume la veste di responsabile di tutti i
procedimenti, a partire dal loro impulso fino alla loro
conclusione.
[7] Consiglio di Stato, parere n. 304 del 03.03.2004.
[8] In questo senso, in dottrina, v. Aldo Gurrieri, Il
Responsabile del procedimento negli appalti di beni e
servizi (con particolare riferimento alle Aziende del
S.S.N.), pubblicazione del 02.03.2009 su www.diritto.it. Per
l'autore, di norma il ruolo di RUP dovrebbe essere affidato
a dirigenti, ovvero, in assenza di dipendenti con qualifica
dirigenziale, a funzionari titolari di posizione di elevata
responsabilità (previste dai contratti collettivi di
settore) muniti di funzioni dirigenziali.
[9] Consiglio di Stato, sez. I, parere 03.03.2004, n. 204.
[10] Cfr., in dottrina, Aldo Guerrieri, cit., secondo cui
nei casi eccezionali in cui le strutture per
l'approvvigionamento si trovano sprovviste sia di personale
dirigenziale sia di personale con incarico di posizione
organizzativa, il responsabile di struttura può dirigere la
designazione del R.U.P. su qualunque dipendente in servizio,
senza però poter prescindere dal tenere nel dovuto conto
l'inquadramento professionale dei dipendenti e le relative
sfere di competenza (risultanti oltre che dai contratti -
individuale e collettivo - anche da atti di conferimento di
incarichi e atti di delega).
[11] Cfr. Consiglio di Stato, n. 204/2004, cit., secondo cui
lungi da potersi affermare che dai compiti propri del
responsabile del procedimento debba trarsi la qualifica
(necessariamente dirigenziale) del soggetto da nominare, è
vero invece che quei compiti possono in concreto
diversamente specificarsi in relazione alla qualifica
(eventualmente dirigenziale) posseduta dal singolo
responsabile del procedimento. Specificamente, i compiti del
responsabile del procedimento non implicano che lo stesso
debba compiere ogni singolo atto in cui il procedimento si
articola, che a seconda delle specifiche competenze
richieste, potrà essere affidato ad altri dipendenti addetti
all'unità organizzativa o riservato, una volta debitamente
istruito, al dirigente della stessa unità.
[12] Legge 11.02.1994, n. 109, recante 'La nuova legge
quadro in materia di lavori pubblici', abrogata dal D.Lgs.
12.04.2006, n. 163. In attuazione della L. n. 109/1994 è
stato emanato il D.P.R. 21.12.1999, n. 554, recante:
'Regolamento di attuazione della legge quadro 11.02.1994, n.
109, e successive modificazioni', abrogato dal D.P.R.
05.10.2010, n. 207.
[13] La questione è stata risolta espressamente, nel senso
che il RUP non è necessariamente un dirigente, sia per le
opere pubbliche che per le forniture e servizi, dal D.P.R.
n. 207/2010 (rispettivamente, art. 9, comma 4, e art. 272,
comma 4).
[14] Il Consiglio di Stato muove dall'art. 7 della L. n.
109/1994, secondo cui il soggetto che può essere nominato
RUP deve essere un tecnico con competenze professionali
adeguate alle caratteristiche dell'intervento da svolgere.
Del pari, ai sensi dell'art. 7 del D.P.R. n. 554/1999, il
responsabile del procedimento è un tecnico in possesso di
titolo di studio adeguato alla natura dell'intervento da
realizzare, abilitato all'esercizio della professione o,
quando l'abilitazione non sia prevista dalle norme vigenti,
è un funzionario con idonea professionalità, e con anzianità
di servizio in ruolo non inferiore a cinque anni.
L'art. 10, D.Lgs. n. 163/2006, riferito sia ai lavori che
alle forniture e servizi, riproduce l'art. 7, L. n.
109/1994, mentre il D.P.R. n. 207/2010 introduce, agli artt.
272 e 273, una disciplina specifica per le procedure di
affidamento di servizi e forniture. In particolare le
considerazioni espresse dal Consiglio di Stato con
riferimento alla figura del RUP delineata dalla L. n.
109/1994, di un tecnico abilitato alla professione o di un
funzionario con professionalità adeguata, ben sembrano
attagliarsi alla disciplina vigente del RUP, di cui al
D.Lgs. 163/2006 e al D.P.R. n. 207/2010, per cui questi deve
avere competenza e professionalità adeguate e specificamente
essere un funzionario per gli affidamenti relativi ai
servizi e forniture
(08.04.2015 -
link a
www.regione.fvg.it). |
APPALTI:
Gli obblighi associativi per gli acquisti.
DOMANDA:
Quali sono gli obblighi associativi dei comuni non capoluogo
di Provincia con popolazione inferiore a 10.000 abitanti in
relazione all'acquisto di lavori, beni e servizi?
RISPOSTA:
Al fine di fornire una risposta esaustiva al parere
richiesto, pare utile richiamare brevemente la normativa che
disciplina gli istituti in esame.
In base al primo periodo del riformulato comma 3-bis
dell'art. 33 del Codice, i Comuni non capoluogo di provincia
procedono all'acquisizione di lavori, beni e servizi facendo
ricorso a tre modelli organizzativi strutturati e ad uno più
flessibile:
a) Unioni dei comuni costituite in base all'articolo 32 del
decreto legislativo 15.08.2000, n. 267, ove esistenti
(Comuni non capoluogo possono essere già parte dell'Unione o
possono decidere di associarsi ad un'Unione già costituita);
b) soggetto aggregatore, inteso secondo la definizione
desumibile dal comma 1 dell'art. 9 del d.l. n. 66/2014 conv.
l. n. 89/2014, pertanto individuabile, allo stato attuale,
nella Consip s.p.a. e nelle centrali di committenza
regionali; in base a quanto previsto dal comma 2 dello
stesso art. 9, il novero dei soggetti aggregatori può
risultare ampliato in base alla progressiva iscrizione
all'elenco speciale presso l'AUSA;
c) Province, ai sensi della legge 07.04.2014, n. 56; il
comma 88 dell'art. 1 della stessa legge di riforma
stabilisce infatti che la Provincia può, d'intesa con i
Comuni, esercitare le funzioni di predisposizione dei
documenti di gara, di stazione appaltante, di monitoraggio
dei contratti di servizio e di organizzazione di concorsi e
procedure selettive, assumendo pertanto il ruolo di Stazione
Unica Appaltante (SUA);
d) apposito accordo consortile tra Comuni, avvalendosi dei
competenti uffici anche delle Province.
Il d.l. 66/2014, stabilisce all'art. 9, commi 1 e 2, che la
veste di soggetto aggregatore è riconosciuta, ipso iure,
a Consip S.p.A. e ad una centrale di committenza per
ciascuna regione, qualora costituita ai sensi dell'articolo
1, comma 455, della legge 27.12.2006, n. 296 ("le regioni
possono costituire centrali di acquisto"). Tale natura,
inoltre, può essere attribuita dall'A.N.A.C. anche ai
soggetti diversi da quelli in precedenza citati che svolgono
attività di centrale di committenza ai sensi dell'art. 33
d.lgs. 163/2006 (ossia alle centrali uniche di committenza
già costituite sotto la vigenza del precedente art. 33,
comma 3-bis), attraverso l'iscrizione all'elenco dei
soggetti aggregatori. Conseguentemente, nella Determinazione
n. 3 del 25.02.2015, l'ANAC specifica che la nozione di
soggetto aggregatore presuppone, quanto a funzione, quella
di centrale di committenza, ma "si tratta di centrale di
committenza "qualificata" ed "abilitata" (ex lege o tramite
preventiva valutazione dell'A.N.AC. e successiva iscrizione
nell'apposito elenco) all'approvvigionamento di lavori, beni
e servizi per conto dei soggetti che se ne avvalgono".
L'art. 9, comma 2, del cit. d.l. 66/2014 prevede che, con
decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri di
concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, da
emanarsi entro 60 giorni dalla data di entrata in vigore del
decreto, previa intesa con la Conferenza unificata, sono
definiti i requisiti per l'iscrizione, tra cui il carattere
di stabilità dell'attività di centralizzazione, nonché i
valori di spesa ritenuti significativi per le acquisizioni
di beni e di servizi con riferimento ad ambiti, anche
territoriali, da ritenersi ottimali ai fini
dell'aggregazione e della centralizzazione della domanda.
Il relativo d.p.c.m. è stato emanato in data 11.11.2014 e
pubblicato sulla G.U. Serie Generale n. 15 del 20.01.2015.
L'art. 2, comma 1, del d.p.c.m. prevede che "Richiedono
l'iscrizione all'elenco dei soggetti aggregatori, se in
possesso dei requisiti di cui al successivo comma 2, i
seguenti soggetti o i soggetti da loro costituiti che
svolgano attività di centrale di committenza ai sensi
dell'art. 33 del decreto legislativo 12.04.2006, n. 163 con
carattere di stabilità, mediante un'organizzazione dedicata
allo svolgimento dell'attività di centrale di committenza,
per il soddisfacimento di tutti i fabbisogni di beni e
servizi dei relativi enti locali:
a) città metropolitane istituite ai sensi della legge
07.04.2014, n. 56 e del decreto legislativo 17.09.2010, n.
156 e le province
b) associazioni, unioni e consorzi di enti locali, ivi
compresi gli accordi tra gli stessi comuni resi in forma di
convenzione per la gestione delle attività ai sensi del
decreto legislativo 18.08.2000, n. 267".
Ai fini dell'iscrizione all'elenco dei soggetti aggregatori,
i soggetti di cui alle lettere a) e b) del comma 1, devono
nei tre anni solari precedenti la richiesta, avere
pubblicato bandi e/o inviato lettera di invito per procedure
finalizzate all'acquisizione di beni e servizi di importo a
base di gara pari o superiore alla soglia comunitaria, il
cui valore complessivo sia superiore a 200.000.000 euro nel
triennio e comunque con un valore minimo di 50.000.000 euro
per ciascun anno. In sede di prima attuazione del presente
decreto, rileva ai fini del possesso del requisito il
triennio 2011- 2012-2013.
Ai fini del possesso del requisito relativo al valore delle
procedure, si tiene conto anche delle procedure avviate dai
singoli enti locali facenti parte dell'associazione, unione,
consorzio o accordi tra gli stessi comuni resi in forma di
convenzione per la gestione delle attività.
I soggetti che intendono essere iscritti all'elenco dei
soggetti aggregatori dovranno inviare, entro venerdì
17.04.2015, richiesta formale all'ANAC - Ufficio UMABS, con
il file Excel corredato da tutte le informazioni richieste
(cfr. Determinazione 2/2015 del 3 marzo u.s.).
Nella richiesta i candidati dovranno dichiarare:
- che essi o i soggetti da loro costituiti "svolgono
attività di centrale di committenza ai sensi dell'art. 33
del DLGS 163/2006 con carattere di stabilità, mediante
un'organizzazione dedicata allo svolgimento dell'attività di
centrale di committenza, per il soddisfacimento di tutti i
fabbisogni di beni e servizi dei relativi enti locali";
- che le informazioni fornite tramite file Excel
corrispondono al vero;
- per le città metropolitane che esse "sono state
istituite ai sensi della legge 07.04.2014 n. 56 e del D.Lgs.
17.09.2010 n. 156" e i riferimenti dell'atto istitutivo;
- per le associazioni, unioni e consorzi di enti locali,
compresi gli accordi tra gli stessi comuni resi in forma di
convezione per la gestione delle attività, che sono
costituiti "ai sensi del D.Lgs. 18.08.2000 n. 267" e
i riferimenti dell'atto costitutivo.
L'Autorità procede, sentita la Conferenza Unificata,
all'iscrizione all'elenco dei soggetti aggregatori
richiedenti secondo un ordine decrescente basato sul più
alto valore complessivo delle procedure avviate, fino al
raggiungimento del numero massimo complessivo dei soggetti
aggregatori di cui all'art. 9, comma 5, del d.l. 66/2014
(trentacinque), comprensivo dei soggetti facenti parte
dell'elenco ai sensi dell'art. 9, comma 1, del medesimo
decreto (venti regioni + Consip).
Per i soggetti che non riuscissero, quest'anno, ad ottenere
il riconoscimento di soggetto aggregatore, si evidenzia che
l'ANAC entro il 30.09.2017 e, successivamente, ogni tre
anni, procederà all'aggiornamento dell'elenco. A tal fine, i
soggetti aggregatori già iscritti -con esclusione di Consip
e dei soggetti aggregatori individuati dalle regioni di
riferimento per i quali la stessa regione provvede a
comunicare contestualmente eventuali modifiche- che
intendano mantenere l'iscrizione all'elenco, ovvero i
soggetti in possesso dei requisiti di cui all'art. 2 e non
iscritti all'elenco, inviano, secondo le modalità operative
di cui all'art. 3, comma 1, la relativa richiesta all'ANAC
che procede all'aggiornamento.
In base alla normativa richiamata si può riassumere, in
estrema sintesi, che i Comuni non capoluogo di provincia
procedono all'acquisizione di lavori, beni e servizi
tramite:
- Unione ex art. 32 Tuel;
- convenzione ex art. 30 Tuel (cd. "accordo consortile");
- Provincia, in qualità di Stazione Unica Appaltante (SUA);
- soggetto aggregatore (iscritto nell'elenco):
---------------
1. Consip 2. centrali di acquisto regionali 3. soggetti
iscritti nell'elenco dei soggetti aggregatori (città
metropolitane, Province, associazioni, unioni e consorzi di
enti locali, convenzioni tra Comuni, e soggetti da loro
costituiti) (link a www.ancirisponde.ancitel.it). |
marzo 2015 |
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APPALTI:
Il giudizio di verifica della congruità di
un'offerta sospetta di anomalia, per giurisprudenza
consolidata, ha natura globale e sintetica sulla serietà o
meno dell'offerta nel suo insieme, con irrilevanza di
eventuali singole voci di scostamento; esso non ha per
oggetto “la ricerca di specifiche e singole inesattezze
dell'offerta economica, essendo invero finalizzato ad
accertare se l'offerta nel suo complesso sia attendibile e
dunque se dia o meno serio affidamento circa la corretta
esecuzione dell'appalto, rilevando che l’offerta nel suo
complesso appaia “seria”.
Risulta diffusa, benché non pacifica, l’opzione
giurisprudenziale secondo cui in tema di anomalia delle
offerte, sussiste un puntuale ed analitico onere di
motivazione “solo nel caso in cui l'Amministrazione esprima
un giudizio negativo sulle giustificazioni”, mentre non
sussiste nel caso di esito positivo della relativa verifica,
essendo sufficiente in tal caso motivare il provvedimento
per relationem alle giustificazioni presentate dal
concorrente, sempre che esse non siano manifestamente
illogiche.
---------------
Nelle gare pubbliche il giudizio di anomalia o di
incongruità dell'offerta espresso dalla stazione appaltante
costituisce espressione di discrezionalità tecnica,
sindacabile solo in caso di macroscopica illogicità o di
erroneità fattuale che rendano palese l'inattendibilità
complessiva dell'offerta, potendo quindi il giudice
amministrativo sindacare tali valutazioni sotto il profilo
della logicità, ragionevolezza ed adeguatezza
dell'istruttoria, “ma senza procedere ad una autonoma
verifica della congruità dell'offerta e delle singole voci,
posto che ciò costituirebbe un'inammissibile invasione della
sfera propria della Pubblica amministrazione.
---------------
Dalle valutazioni effettuate dalla Cooperativa ... e
vagliate dall’Amministrazione, non può invero verosimilmente
escludersi la sussistenza di un margine pur esiguo di utile,
atteso che anche un utile apparentemente modesto può
comportare un vantaggio importante, in termini di ricadute
positive quali la qualificazione ed il fatturato per le
successive gare d’appalto specie nell’attuale contesto di
recessione economica.
3. Venendo all’esame delle suddette censure, non ritiene il
Collegio di poterle ritenere meritevoli di accoglimento,
potendosi pertanto prescindere dall’esame delle eccezioni in
rito, per ragioni di economia del giudizio.
Come noto, il giudizio di verifica della congruità di
un'offerta sospetta di anomalia, per giurisprudenza
consolidata, ha natura globale e sintetica sulla serietà o
meno dell'offerta nel suo insieme, con irrilevanza di
eventuali singole voci di scostamento; esso non ha per
oggetto “la ricerca di specifiche e singole inesattezze
dell'offerta economica, essendo invero finalizzato ad
accertare se l'offerta nel suo complesso sia attendibile e
dunque se dia o meno serio affidamento circa la corretta
esecuzione dell'appalto, rilevando che l’offerta nel suo
complesso appaia “seria” (ex multis Consiglio di Stato sez.
V, 27.08.2014, n. 4368; id. sez. III, 09.07.2014, n.
3492; id. sez. IV, 23.07.2012, n. 4206; id. sez. V, 22.02.2011, n. 1090; id. sez. VI, 24.08.2011, n.
4801; TAR Puglia-Bari sez. I, 08.03.2012, n. 506).
Risulta diffusa, benché non pacifica, l’opzione
giurisprudenziale secondo cui in tema di anomalia delle
offerte, sussiste un puntuale ed analitico onere di
motivazione “solo nel caso in cui l'Amministrazione esprima
un giudizio negativo sulle giustificazioni”, mentre non
sussiste nel caso di esito positivo della relativa verifica,
essendo sufficiente in tal caso motivare il provvedimento
per relationem alle giustificazioni presentate dal
concorrente, sempre che esse non siano manifestamente
illogiche (TAR Sicilia-Catania sez. III, 30.05.2012, n. 1416; Consiglio di Stato sez. III, 22.12.2014, n. 6349; id. sez. V, 18.04.2012, n. 1513; id. sez.
V, 20.06.2011, n. 3675; id. 13.02.2010, n. 741;
id. sez. V, 18.04.2012, n. 1513; TAR Puglia-Bari
sez. I, 08.03.2012, n. 506).
3.1. Muovendo da tali preliminari considerazioni, ritiene il
Collegio che, nel caso in esame, la verifica di congruità
dell’offerta sospettata di anomalia effettuata dalla
stazione appaltante -al di là di specifiche e singole
incongruenze di alcuni voci indicate nell’offerta- sia
immune dalle censure dedotte, alla luce delle
giustificazioni fornite dall’interessata, non essendo
imposto né dalla normativa né dalla lex specialis
l’indicazione espressa dell’utile in sede di offerta
economica.
3.2. Quanto ai costi per la promozione di attività culturali
(gite e visite) la Cooperativa ACTL ha fornito dimostrazione
della capacità di assorbirli al proprio interno, mediante
l’utilizzo dei propri soci lavoratori (ben 450) senza
necessità di rivolgersi al mercato esterno, così come per i
costi per l’acquisto di spazi pubblicitari, laddove è stato
parimenti chiarito che l’inserzione pubblicitaria non viene
realizzata su giornali bensì mediante articoli di promozione
del servizio sociale oggetto di affidamento, senza alcun
costo.
3.3. Non priva di profili di incongruità, invece, pare la
voce relativa ai costi c.d. amministrativi, stimati dalla
ACTL in 625 euro, relativamente alla stipulazione del
contratto, dal momento che l’art. 11, c. 13, del D.lgs.
163/2006 richiamato dalla difesa comunale, nel prevedere
come alternativa alla forma pubblica amministrativa la
stipulazione mediante scrittura privata semplice, va in
realtà integrato dal R.D. 18.11.1923 n. 2440, tutt’ora
vigente, i cui artt. 16 e 17 impongono la forma pubblica in
ipotesi di affidamento mediante evidenza pubblica, con la
conseguenza che soltanto le spese per diritti di segreteria
ammonterebbero a 517,36 euro (tenuto conto della riduzione
del 50% spettante alle Onlus) a cui aggiungersi 200,00 euro
di spese fisse di registrazione, per un totale di 717,36
euro a cui debbono aggiungersi le spese per l’accensione
delle richieste garanzie e per l’assicurazione RCO/RCT.
Trattasi comunque di scostamenti marginali e di lieve entità
del tutto irrilevanti ai fini della verifica di serietà
dell’offerta nel suo insieme.
3.4. Ad ogni modo, pare al Collegio nel caso di specie del
tutto tranciante, in punto di fatto, la sussistenza di una
differenza davvero minima tra l’offerta economica della
ricorrente (pari a 124.880,35 euro) e quella della
controinteressata (pari a 123.445,00 euro) inferiore di soli
circa 1.435,00 euro, risultando l’utile di impresa
ipotizzabile se non identico del tutto equiparabile, in
considerazione dello scopo non lucrativo delle cooperative
sociali, rilevando solo la circostanza che la struttura
dell'offerta sia tale da garantire uno svolgimento
efficiente ed efficace del servizio, nel pieno perseguimento
degli interessi pubblici della stazione appaltante (TAR
Molise 24.09.2008, n. 714).
Considerazioni analoghe possono svolgersi anche per le altri
“voci” asseritamente inattendibili, pur tenendosi sempre
presente che nelle gare pubbliche il giudizio di anomalia o
di incongruità dell'offerta espresso dalla stazione
appaltante costituisce espressione di discrezionalità
tecnica, sindacabile solo in caso di macroscopica illogicità
o di erroneità fattuale che rendano palese l'inattendibilità
complessiva dell'offerta, potendo quindi il giudice
amministrativo sindacare tali valutazioni sotto il profilo
della logicità, ragionevolezza ed adeguatezza
dell'istruttoria, “ma senza procedere ad una autonoma
verifica della congruità dell'offerta e delle singole voci,
posto che ciò costituirebbe un'inammissibile invasione della
sfera propria della Pubblica amministrazione” (Consiglio di
Stato sez. V, 22.01.2015, n. 246).
Conclusivamente, non può dirsi che la quantificazione dei
costi effettuata dall’aggiudicataria risulti in perdita
atteso che dalle valutazioni effettuate dalla Cooperativa
ACTL e vagliate dall’Amministrazione, non può invero
verosimilmente escludersi la sussistenza di un margine pur
esiguo di utile, atteso che anche un utile apparentemente
modesto può comportare un vantaggio importante, in termini
di ricadute positive quali la qualificazione ed il fatturato
per le successive gare d’appalto (Consiglio di Stato sez. IV,
23.07.2012, n. 4206; id. sez. III, 11.04.2012, n.
2073) specie nell’attuale contesto di recessione economica
(TAR Trentino Alto Adige 24.10.2013, n. 299).
Ritiene pertanto il Collegio che il giudizio di anomalia
effettuato non presenti profili di illogicità,
irragionevolezza o travisamento sindacabili da questo
giudice (ex multis Consiglio di Stato sez. IV, 23.07.2012, n. 4206; TAR Puglia-Bari sez. I,
08.03.2012, n. 506) con conseguente infondatezza di tutte le
censure di cui al I motivo di gravame
(TAR Umbria,
sentenza 14.03.2015 n. 114 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Come noto, la questione della possibilità per la
Commissione di gara di introduzione di sub-criteri di
valutazione predeterminati dal bando, in termini generali e
sistematici, è stata lungamente dibattuta nell’arco
temporale precedente l’entrata in vigore del Codice
contratti pubblici, avendo anche ingenerato la rimessione
alla Corte di Giustizia europea per la valutazione di
compatibilità con il diritto comunitario.
Con l’entrata in vigore del Codice contratti pubblici
approvato con D.lgs. 12.04.2006 n. 163, l’art. 83, c. 4, nel
testo originario, ha previsto che “Il bando per ciascun
criterio di valutazione prescelto prevede, ove necessario, i
sub-criteri e i sub-pesi o i sub-punteggi. Ove la stazione
appaltante non sia in grado di stabilirli tramite la propria
organizzazione, provvede a nominare uno o più esperti con il
decreto o la determina a contrarre, affidando ad essi
l'incarico di redigere i criteri, i pesi, i punteggi e le
relative specificazioni, che verranno indicati nel bando di
gara. La commissione giudicatrice, prima dell'apertura delle
buste contenenti le offerte, fissa in via generale i criteri
motivazionali cui si atterrà per attribuire a ciascun
criterio e sub-criterio di valutazione il punteggio tra il
minimo e il massimo prestabiliti dal bando”.
Già in riferimento a tale primo testo normativo, parte della
giurisprudenza aveva assunto orientamento non restrittivo in
ordine ai poteri specificativi o integrativi delle
prescrizioni del bando, richiedendo comunque quantomeno la
condizione della fissazione di tali sub-parametri prima
dell’apertura delle buste contenenti le offerte.
La Corte di Giustizia dell’Unione europea, con sentenza
24.01.2008 (proc. C-532/2006), ha precisato che "…tutti gli
elementi presi in considerazione dall’autorità
aggiudicatrice per identificare l’offerta economicamente più
vantaggiosa e la loro importanza relativa siano noti ai
potenziali offerenti al momento in cui presentano le offerte
... infatti i potenziali offerenti devono essere messi in
condizione di conoscere, al momento della presentazione
delle loro offerte, l’esistenza e la portata di tali
elementi ... pertanto un’amministrazione aggiudicatrice non
può applicare regole di ponderazione o sottocriteri per i
criteri di aggiudicazione che non abbia preventivamente
portato a conoscenza degli offerenti … gli offerenti devono
essere posti su un piano di parità durante l’intera
procedura, il che comporta che i criteri e le condizioni che
si applicano a ciascuna gara debbano costituire oggetto di
un’adeguata pubblicità da parte delle amministrazioni
aggiudicatici".
A sua volta, la Commissione CE, con nota del 30.01.2008, ha
avviato una procedura di infrazione contro lo Stato italiano
proprio in riferimento alla sospetta incompatibilità del
comma 4 dell’art. 83 Codice contratti pubblici con le
direttive comunitarie 2004/18/CE e 2004/17/CE, in quanto
consentiva alle commissione giudicatrici la fissazione di
criteri motivazionali dei punti attribuiti alle offerte, non
previsti nei documenti di gara.
Al fine di superare tale incompatibilità, il legislatore,
mediante il terzo D.lgs. correttivo del Codice contratti
pubblici (11.09.2008 n. 152) ha novellato il comma 4 del
citato art. 83, eliminandone l’ultimo capoverso ed
espungendo tout court il potere della Commissione di gara di
specificare e dettagliare i criteri di valutazione, andando
oltre anche le limitazioni imposte dal diritto comunitario.
Alla stregua della suddetta novella, tutti i criteri di
valutazione delle offerte, nessuno escluso debbono essere
dettagliatamente specificati nella lex specialis della
procedura. La giurisprudenza si è pertanto consolidata nel
ritenere illegittima la procedura di una gara di appalto per
violazione dell’art. 83, c. 4, nel caso in cui i criteri di
valutazione delle offerte non siano dettagliatamente
indicati nel bando e la commissione abbia dovuto integrare,
con più dettagliati sottocriteri la generica ripartizione
del punteggio complessivamente previsto nella lex specialis.
Più di recente, il Consiglio di Stato ha ribadito che sia
l’art. 83, c. 4, Codice contratti pubblici, nel testo
novellato, sia il diritto comunitario impediscono che la
Commissione, dopo la presentazione delle offerte, possa
stabilire elementi di specificazione dei criteri generali
previsti dalla lex specialis ai fini della valutazione delle
offerte attraverso la previsione di sottovoci integrative,
dovendo anche essi essere determinati dalla stessa
disciplina di gara, eliminando ogni margine di
discrezionalità in capo alla commissione.
Alla Commissione di gara, conclusivamente, può essere
pertanto devoluta solo un’attività meramente interpretativa
degli eventuali sottocriteri di valutazione indicati nella
lex specialis, come previsto anche dell'art. 53 della
direttiva 2004/18/Ce, che ha segnalato la mancanza di uno
specifico potere integrativo per l'organo giudicante della
gara.
5. Quanto al merito, la censura di violazione dell’art. 83,
c. 4, del Codice contratti pubblici merita condivisione.
5.1. In punto di fatto, va chiarito come nella fattispecie
per cui è causa, l’art. 24 del Capitolato speciale ha
previsto quali criteri di valutazione dell’offerta tecnica i
parametri a) “requisiti del personale” con un punteggio
massimo attribuibile di 20 punti, b) “progetto/offerta”
(max. 40 punti) e c) “progetto tecnico di sviluppo e di
informazione” (max. 10 punti).
Dal verbale di gara n. 3 del 12.09.2014 emerge
l’introduzione ex novo da parte della Commissione dei sub
parametri c1 e c2 per la valutazione del parametro c, oltre
il frazionamento del parametro b in 5 sotto voci con
l’attribuzione di un range di punteggio da 1 a 8. Per ognuno
dei sub elementi introdotti, il relativo punteggio è stato
moltiplicato per il coefficiente tra 0 ed 1 attribuito dalla
Commissione.
5.2. Ad avviso della stazione appaltante e della
controinteressata, la Commissione non avrebbe introdotto
criteri novativi di valutazione, essendosi limitata a
suddividere in parti uguali i punteggi massimi previsti
dalla lex specialis in corrispondenza degli stessi sub
elementi in cui il medesimo capitolato articola gli elementi
di valutazione.
Osserva il Collegio, quanto al parametro b, la completa
mancanza in sede di disciplinare di gara di una graduazione,
tra le diverse voci che lo compongono, del punteggio massimo
di 40 punti ivi previsto, lasciando inevitabilmente alla
Commissione un ambito di piena discrezionalità in merito
alla concreta pesatura degli stessi. Analoghe considerazioni
valgono quanto al parametro c.
5.3. Come noto, la questione della possibilità per la
Commissione di gara di introduzione di sub-criteri di
valutazione predeterminati dal bando, in termini generali e
sistematici, è stata lungamente dibattuta nell’arco
temporale precedente l’entrata in vigore del Codice
contratti pubblici, avendo anche ingenerato la rimessione
alla Corte di Giustizia europea per la valutazione di
compatibilità con il diritto comunitario (Consiglio di Stato
sez. VI, ordinanza 09.07.2004, n. 5033).
Con l’entrata in vigore del Codice contratti pubblici
approvato con D.lgs. 12.04.2006 n. 163, l’art. 83, c. 4,
nel testo originario, ha previsto che “Il bando per ciascun
criterio di valutazione prescelto prevede, ove necessario, i
sub-criteri e i sub-pesi o i sub-punteggi. Ove la
stazione appaltante non sia in grado di stabilirli tramite
la propria organizzazione, provvede a nominare uno o più
esperti con il decreto o la determina a contrarre, affidando
ad essi l'incarico di redigere i criteri, i pesi, i punteggi
e le relative specificazioni, che verranno indicati nel
bando di gara. La commissione giudicatrice, prima
dell'apertura delle buste contenenti le offerte, fissa in
via generale i criteri motivazionali cui si atterrà per
attribuire a ciascun criterio e sub-criterio di valutazione
il punteggio tra il minimo e il massimo prestabiliti dal
bando”.
Già in riferimento a tale primo testo normativo, parte della
giurisprudenza aveva assunto orientamento non restrittivo in
ordine ai poteri specificativi o integrativi delle
prescrizioni del bando, richiedendo comunque quantomeno la
condizione della fissazione di tali sub-parametri prima
dell’apertura delle buste contenenti le offerte (ex multis
Consiglio di Stato sez VI, 22.03.2007, n. 1369; TAR
Lombardia Milano sez III, 23.08.2006, n. 1930).
La Corte di Giustizia dell’Unione europea, con sentenza 24.01.2008 (proc. C-532/2006), ha precisato che "…tutti
gli elementi presi in considerazione dall’autorità
aggiudicatrice per identificare l’offerta economicamente più
vantaggiosa e la loro importanza relativa siano noti ai
potenziali offerenti al momento in cui presentano le offerte
... infatti i potenziali offerenti devono essere messi in
condizione di conoscere, al momento della presentazione
delle loro offerte, l’esistenza e la portata di tali
elementi ... pertanto un’amministrazione aggiudicatrice non
può applicare regole di ponderazione o sottocriteri per i
criteri di aggiudicazione che non abbia preventivamente
portato a conoscenza degli offerenti … gli offerenti devono
essere posti su un piano di parità durante l’intera
procedura, il che comporta che i criteri e le condizioni che
si applicano a ciascuna gara debbano costituire oggetto di
un’adeguata pubblicità da parte delle amministrazioni
aggiudicatici".
A sua volta, la Commissione CE, con nota del 30.01.2008, ha avviato una procedura di infrazione contro lo Stato
italiano proprio in riferimento alla sospetta
incompatibilità del comma 4 dell’art. 83 Codice contratti
pubblici con le direttive comunitarie 2004/18/CE e
2004/17/CE, in quanto consentiva alle commissione
giudicatrici la fissazione di criteri motivazionali dei
punti attribuiti alle offerte, non previsti nei documenti di
gara.
Al fine di superare tale incompatibilità, il legislatore,
mediante il terzo D.lgs. correttivo del Codice contratti
pubblici (11.09.2008 n. 152) ha novellato il comma 4
del citato art. 83, eliminandone l’ultimo capoverso ed
espungendo tout court il potere della Commissione di gara di
specificare e dettagliare i criteri di valutazione, andando
oltre anche le limitazioni imposte dal diritto comunitario.
5.4. Alla stregua della suddetta novella, tutti i criteri di
valutazione delle offerte, nessuno escluso debbono essere
dettagliatamente specificati nella lex specialis della
procedura. La giurisprudenza si è pertanto consolidata nel
ritenere illegittima la procedura di una gara di appalto per
violazione dell’art. 83, c. 4, nel caso in cui i criteri di
valutazione delle offerte non siano dettagliatamente
indicati nel bando e la commissione abbia dovuto integrare,
con più dettagliati sottocriteri la generica ripartizione
del punteggio complessivamente previsto nella lex specialis
(Consiglio di Stato sez V, 22.02.2011, n. 1094; id.
sez. V, 01.10.2010 n. 7256: id. sez. IV, 12.05.2008,
n. 2189; id. sez. III. 01.12.2012, n. 514).
5.5. Più di recente, il Consiglio di Stato ha ribadito che
sia l’art. 83, c. 4, Codice contratti pubblici, nel testo
novellato, sia il diritto comunitario impediscono che la
Commissione, dopo la presentazione delle offerte, possa
stabilire elementi di specificazione dei criteri generali
previsti dalla lex specialis ai fini della valutazione delle
offerte attraverso la previsione di sottovoci integrative,
dovendo anche essi essere determinati dalla stessa
disciplina di gara, eliminando ogni margine di
discrezionalità in capo alla commissione (Consiglio di Stato
sez III, 01.02.2012, n. 514; id. sez III, 29.11.2011, n. 6306; id. sez III, 22.03.2011, n. 1749; id. sez.
V, 22.02.2011, n. 1097; vedi anche TAR Lombardia
Milano sez. I, 14.02.2014, n. 473; TAR Abruzzo 19.07.2010, n. 532; TAR Lombardia-Brescia 15.07.2011, n. 1078; TAR Sicilia-Catania 29.04.2011, n.
1071).
5.6. Alla Commissione di gara, conclusivamente, può essere
pertanto devoluta solo un’attività meramente interpretativa
degli eventuali sottocriteri di valutazione indicati nella
lex specialis, come previsto anche dell'art. 53 della
direttiva 2004/18/Ce, che ha segnalato la mancanza di uno
specifico potere integrativo per l'organo giudicante della
gara (Consiglio di Stato sez. V, 22.02.2011, n. 1092).
5.7. Ciò premesso, è incontrovertibile come nel caso di
specie la Commissione abbia introdotto sub-criteri di
valutazione assolutamente non contemplati dalla lex
specialis, per giunta non solo dopo il termine di scadenza
della presentazione delle offerte, ma ad offerte già aperte
e note alla stazione appaltante, con evidente violazione
dell’art. 84, c. 3, D.lgs. 163/2006 e s.m. e del principio
comunitario ad esso sotteso di parità di trattamento, oltre
che del principio di imparzialità (art. 97 Cost.).
5.8. Non ritiene il Collegio che l’operato della Commissione
possa ritenersi legittimato dall’asserita inapplicabilità
dell’art. 83, c. 4, in relazione all’appartenenza del
servizio oggetto della gara tra quelli rientranti
nell’allegato II B al D.lgs. 163/2006 (servizi socio
sanitari) esclusi dall’applicazione delle norme del Codice
contratti pubblici ad eccezione degli artt. 68 (specifiche
tecniche) e 65 (avviso sui risultati della procedura di
affidamento).
5.9. Sotto un primo profilo, perché la regola codificata
dall’art. 83, c. 4, del Codice costituisce stretta espressione
dei generali principi di imparzialità e par condicio e come
tale risulta applicabile anche ai contratti esclusi di cui
all’allegato II B del D.lgs. 163/2006, sottratti
dall'applicazione delle norme di dettaglio dello stesso
Codice -fatta eccezione per quelle specificamente
richiamate dall'art. 20- ma al contempo assoggettati, ai
sensi del successivo art. 27, al rispetto del principi
generali di economicità, efficacia, imparzialità, parità di
trattamento, trasparenza e proporzionalità (Consiglio di
Stato Adunanza Plenaria 03.03.2008, n. 1; TAR Piemonte
sez. I, 22.11.2013, n. 1254). La predeterminazione in
sede di norme di gara di tutti i criteri per la valutazione
delle offerte è dunque ormai pacifico principio immanente in
seno ad ogni procedimento di aggiudicazione di appalti
pubblici.
5.10. Sotto un secondo ulteriore profilo, perché il citato
art. 83 è stato espressamente richiamato dall’art. 24 del
Capitolato con conseguente auto-vincolo della stazione
appaltante (ex multis TAR Piemonte sez. I, 21.12.2012, n. 1376) non potendosi condividere quanto prospettato
dalla difesa comunale e della controinteressata in merito
alla volontà di richiamarne solo i principi in esso
contenuti, risultando tal richiamo del tutto pieno ed
incondizionato.
5.11. Conclusivamente, l’operato della Commissione si è
pertanto posto oltre che in violazione della normativa
primaria di riferimento, in aperta violazione con i principi
comunitari di par condicio e trasparenza e con il principio
di imparzialità, considerato che le offerte presentate erano
già note.
Ne consegue la fondatezza delle assorbenti censure di
violazione dell’art. 83, c. 4, del D.lgs. 163/2006 e s.m.,
oltre che di eccesso di potere, quanto alla introduzione dei
sub-criteri di valutazione di cui al Disciplinare di gara,
vizio che determina l’invalidità del bando, della fase di
valutazione delle offerte tecniche e dell’intero
procedimento di gara, ivi naturalmente compresa
l’aggiudicazione definitiva.
6. Per i suesposti motivi il ricorso è fondato e va accolto,
e per l’effetto vanno annullati gli atti impugnati
(TAR Umbria,
sentenza 14.03.2015 n. 114 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
LAVORI PUBBLICI - PATRIMONIO: Condannato
il dirigente dell'UTC per l'affidamento diretto e per i
lavori di manutenzione straordinaria effettuati in qualità
di locatario.
Tra l'altro, lavori di "somma urgenza" sono stati affidati
direttamente in violazione ai principi di trasparenza,
rotazione e parità di trattamento, così come disciplinati
dal comma 8 dell'art. 125 del Codice dei Contratti, tanto
più che detti lavori di manutenzione straordinaria
dell'immobile avrebbero dovuto essere posti a carico del
proprietario e non dell'amministrazione locataria.
Vieppiù, non appare correttamente seguita la procedura
prescritta per i "Lavori d'urgenza" dall'art. 9 del
Regolamento del Comune per le Spese in Economia, in quanto
non risulta in atti che sia stato redatto "apposito
verbale in cui sono indicati i motivi dello stato d'urgenza,
le cause che lo hanno provocato e i lavori necessari per
rimuoverlo", né che al verbale de quo -da
compilare a cura del responsabile del procedimento o di un
tecnico incaricato- sia prontamente seguita la "redazione di
un'apposita perizia estimativa, che -qualora non si possa
attendere la redazione di un vero e proprio progetto-
costituisce presupposto sufficiente per definire la spesa
dei lavori da eseguirsi e permettere la relativa copertura
finanziaria" e nemmeno, infine, che il predetto verbale sia
stato "allegato alla determina di affidamento della
prestazione".
---------------
L'AVCP
ha rilevato la non corretta
applicazione da parte del comune "delle norme del Codice dei Contratti ed in
particolare del comma 8 dell'art. 125, poiché non ha
interpellato cinque ditte per l'affidamento di entrambi gli
appalti, in difformità del rispetto dei principi di
trasparenza, rotazione e parità di trattamento".
Tuttavia
ciò che realmente indica l'illiceità
della spesa sopportata dal Comune è il fatto che si è
trattato in netta prevalenza (ad eccezione della
realizzazione di un servizio igienico per disabili e della
costruzione all’ingresso principale di una rampa di accesso,
sempre per disabili) di lavori comportanti improrogabili
opere necessarie per conservare all'immobile la sua
destinazione o per evitare maggiori danni suscettibili di
comprometterne l'efficienza in relazione all'uso a cui è
adibito, ovvero opere di straordinaria manutenzione di una
certa entità, in quanto tali a carico del locatore.
Invero,
l'art. 1576 c.c. prevede, come criterio generale, che il
locatore (proprietario) deve eseguire tutte le riparazioni
necessarie, ad eccezione di quelle di piccola manutenzione,
che sono invece a carico del conduttore. Tutte le spese
ordinarie sono quindi a carico di quest'ultimo, mentre il
proprietario è tenuto ad intervenire in caso di manutenzione
straordinaria.
La L. 392/14978
(Disciplina delle locazioni di immobili urbani)
prevede più specificamente che sono interamente a carico del
conduttore, salvo patto contrario, le spese relative al
servizio di pulizia, al funzionamento e all'ordinaria
manutenzione dell'ascensore, alla fornitura dell'acqua,
dell'energia elettrica, del riscaldamento e del
condizionamento dell'aria, allo spurgo dei pozzi neri e
delle latrine, nonché alla fornitura di altri servizi
comuni.
Nel caso di specie, anche il contratto di locazione
dell’immobile prevede all’art. 5 che "l’ordinaria
manutenzione dell’immobile verrà curata dal Comune di
Afragola che si impegna a rilasciare, al momento della
disdetta, i locali nelle medesime condizioni in cui gli
stessi vengono concessi, salvo la normale usura, mentre gli
interventi di carattere straordinario restano a carico del
locatore".
Le su richiamate disposizioni non consentono
di ritenere sopportabili dall'Ente pubblico conduttore
dell'immobile gli interventi eseguiti, poiché questi sono
principalmente consistiti nella realizzazione di lavori
necessari per ricondurre la struttura in buono stato
locativo, lavori ad esclusivo carico del proprietario (quali
i nuovi intonaci alle pareti, nuova pavimentazione e
tinteggiatura dell’intero edificio, nuovi impianti,
sostituzione delle porte interne e degli infissi, ripristino
dei serramenti in ferro).
---------------
Valga sottolineare, altresì, che
non appare correttamente
seguita, nel caso di specie, la procedura prescritta per i
"Lavori d'urgenza" dall'art. 9 del Regolamento del Comune per le Spese in Economia,
in quanto non risulta in atti che sia
stato redatto "apposito verbale in cui sono indicati i
motivi dello stato d'urgenza, le cause che lo hanno
provocato e i lavori necessari per rimuoverlo", né che al
verbale de quo -da compilare a cura del responsabile del
procedimento o di un tecnico incaricato- sia prontamente
seguita la "redazione di un'apposita perizia estimativa, che
-qualora non si possa attendere la redazione di un vero e
proprio progetto- costituisce presupposto sufficiente per
definire la spesa dei lavori da eseguirsi e permettere la
relativa copertura finanziaria" e nemmeno, infine, che il
predetto verbale sia stato "allegato alla determina di
affidamento della prestazione".
---------------
C.
Sgombrato il campo dalle questioni pregiudiziali e
preliminari proposte dalle difese dei convenuti, il Collegio
può esaminare in punto di merito la vicenda descritta nella
premessa in fatto.
Deve quindi procedersi alla verifica
della sussistenza, nel caso concreto, degli elementi tipici
della responsabilità amministrativa che, com’è noto, si
sostanziano in un danno patrimoniale, economicamente
valutabile, arrecato alla pubblica amministrazione, in una
condotta connotata da colpa grave o dolo, nel nesso di
causalità tra il predetto comportamento e l'evento dannoso,
nonché nella sussistenza di un rapporto di servizio fra
coloro che lo hanno determinato e l'ente che lo ha subito.
D.
Con riferimento, in primo luogo, all’elemento oggettivo
del danno pubblico, la valutazione della relativa
sussistenza nel caso di specie impone l'attenta valutazione
degli atti di causa, dai quali risulta quanto segue.
Con relazione informativa n. 108/09 del 06.04.2009
l'ASL NA
2 Nord
- Dipartimento di Prevenzione - Servizio Prevenzione
e Sicurezza degli Ambienti di Lavoro - Servizio Igiene e
Medicina del Lavoro
dava comunicazione di quanto emerso nel
corso degli accertamenti effettuati durante l'ispezione
svolta il 23.03.2009 presso l'Ufficio Anagrafe del Comune di
Afragola situato in via SS. Cuori, ovvero della rilevata
inosservanza di talune disposizioni dettate in tema di
prevenzione degli infortuni sul lavoro (D.Lgs. n. 81/2008),
impartendo, di conseguenza, una serie di prescrizioni, cui
il datore di lavoro (individuato su delega del Sindaco del
Comune di Afragola nell'Ing. M.D., Responsabile del
Settore Recupero Urbano e Servizi Collettivi al Cittadino
del medesimo Comune)
avrebbe dovuto curare la puntuale
ottemperanza entro novanta giorni dalla data del verbale de
quo; contestualmente, l'ASL decretava, considerata la
situazione di pericolo derivante dall'inosservanza delle
prescrizioni indicate, il divieto d'uso dei locali adibiti
ad Ufficio Anagrafe del Comune di Afragola.
L'immobile de quo era condotto in locazione dall'Ente in
forza di contratto n. 1713 del 22.07.1998, stipulato con il
proprietario Istituto SS. Cuori, nel quale era stato
pattuito un canone mensile di £. 3.535.323, per complessive
£. 42.423.876 annue (da aggiornare con indici ISTAT).
Con determinazione dirigenziale n. 92/C del 12.06.2009
del
Responsabile del Settore Lavori Pubblici e Assetto del
Territorio ing. N.B.
si stabiliva, facendo
riferimento alla Relazione Informativa ASL NA 2 Nord n.
108/09 dianzi citata e dando atto dell'urgenza ed
indifferibilità ex art. 9 Regolamento Comunale delle Spese
in Economia approvato con deliberazione C.S. n. 119 del
07.04.2007 dei lavori di risistemazione e adeguamento dello
stabile da eseguire in ottemperanza alle prescrizioni
impartite dall'Azienda Sanitaria Locale, di affidare i
lavori de quibus all’impresa RDR di M. V. e R. s.n.c.
in forza di un precedente contratto d’appalto, n. 3181 del
24.09.2008, avente ad oggetto la manutenzione ordinaria e
straordinaria degli immobili comunali, ed utilizzando lo
stesso ribasso d’asta (34,105%), in ragione della
dichiarazione di disponibilità dell'impresa all'esecuzione
immediata dei lavori agli stessi patti e condizioni del
contratto n. 3181/2008 già in essere.
Il contratto da
stipulare in esecuzione della determinazione dirigenziale n.
92/C del 12.06.2009 è stato poi sottoscritto in data
16.07.2009, per un importo netto contrattuale di € 50.136,51
comprensivo di oneri di sicurezza. Infine, con determina
dirigenziale n. 161/C del 24-09-2009 è stato approvato il
primo ed unico SAL per un importo di € 48.780,52 oltre
I.V.A..
Con successiva determinazione dirigenziale n. 178 del
17.02.2010 del Responsabile del Settore Lavori Pubblici e
Assetto del Territorio ing. N.B., è stato approvato
un ulteriore progetto dell’importo di €. 83.860,00, di cui
€. 68.737,72 per lavori, contenente opere rese necessarie
sempre dalle prescrizioni dell’Azienda Sanitaria, di cui al
verbale n. 108/09 dell’Azienda sanitaria Locale Napoli 2
Nord; i predetti lavori sono stati affidati all’impresa
Coop. S., in forza di un precedente contratto,
stipulato in relazione ai lavori di manutenzione
straordinaria ed ordinaria annualità 2009/2010 dei plessi
scolastici di competenza dell’Ente Comunale della città di
Afragola per un importo contrattuale di € 136.869,78 -a
seguito di gara e con un ribasso d’asta del 34,463%-
applicando lo stesso ribasso d’asta (del 34,463%, appunto)
per un importo di € 46.707,52, comprensivo di € 4.906,97 per
oneri di sicurezza;
anche in questo caso l'affidamento è
avvenuto ai sensi dell’art. 9 del Regolamento delle Spese in
Economia dell’Ente, già richiamato per statuire l'urgenza e
l'indifferibilità dei lavori nella determinazione n.
92/C/2009 di cui si è detto in precedenza. La copertura
finanziaria è stata assicurata dall’economia risultante dal
ribasso d’asta dell’appalto originario.
Nella premessa della determinazione dirigenziale n. 178/2010
vengono, altresì richiamati due verbali di riunione,
tenutesi rispettivamente il 07.01.2010 ed il 22.01.2010 tra
il Vice-Sindaco ed i dirigenti dei vari Settori del Comune
di Afragola -la prima riunione, anche con la partecipazione
del segretario comunale- in cui era stata ribadita "la
necessità della sistemazione dei locali posti al primo piano
dell'Ufficio Anagrafe in via SS. Cuori", con particolare
riferimento alla scala delle stanze situate al primo piano
dello stabile, all'impianto elettrico, alle toilettes, a
bussole e finestre ed alla realizzazione di tompagnatura in
alcuni ambienti.
Dalla lettura della prot. n. 19922 del 02.08.2010 del
Dirigente del Settore A.T./LL.PP. comunale ing. N.B., emerge che i lavori affidati alla prima impresa RDR
di M. V. e R. s.n.c. hanno interessato il piano terra
dello stabile e solo marginalmente il primo piano,
quest'ultimo con lavori di piccola entità, e che con i
lavori aggiuntivi affidati alla Coop S. in forza
della determina n. 178 del 17.02.2010, sono stati completati
i lavori di sistemazione del primo piano, previo
trasferimento degli uffici al piano terra.
Più in dettaglio -come illustrato nella medesima nota dianzi
indicata, trasmessa a riscontro di richiesta di chiarimenti
e informazioni dell'AVCP- i primi lavori sono consistiti in:
A) ristrutturazione dell’intero piano terra dello stabile in
via SS. Cuori, previo sgombero dell’intero archivio e
trasporto di materiale al macero, rifacimento della
partizione interna, realizzazione degli impianti elettrico,
idrico, di riscaldamento e climatizzazione, realizzazione di
nuovi servizi igienici di cui uno per disabili, sistemazione
dell’ingresso principale con la costruzione di una rampa di
accesso per disabili, realizzazione di controsoffittatura,
nuovi intonaci alle pareti, nuova pavimentazione e
tinteggiatura dell’intero edificio, sostituzione delle porte
interne e degli infissi, ripristino dei serramenti in ferro;
B) lavori di piccola entità al primo piano del medesimo
stabile nei locali adibiti ai servizi igienici, quali
sostituzione di n. 4 vasi igienici nei wc, sostituzione e
ripristino di piccole parti di pavimentazione (in totale mq.
4 di pavimentazione), sostituzione dei serramenti nei locali
wc e ripristino intonaco nel corridoio principale.
Per i lavori del secondo affidamento (impresa Coop.
S.), invece, gli interventi da eseguire sono
dettagliatamente indicati nel verbale di riunione del
22.01.2010:
1. spostamento dell’archivio storico dalla precedente sede
alla stanza n. 3 indicata nell’allegato grafico;
2. chiusura, con realizzazione di muri, dei due ingressi al
corridoio di destra e di sinistra;
3. sistemazione delle tre stanze identificate ai nn. 1, 2 e
3, con ripristino delle parti ammalorate di intonaco,
ritinteggiatura complessiva, sostituzione degli infissi e
delle porte interne, dei vetri ove non a norma, rifacimento
dell’impianto elettrico, nonché realizzazione dell’impianto
di rilevazione incendi e verifica del solaio di calpestio
destinato all’archivio storico;
4. sostituzione degli infissi esistenti e della porta di
accesso ai locali adibiti a servizi igienici al primo piano;
5. rifacimento dell’impermeabilizzazione al solaio di
copertura del torrino scala;
6. rifacimento dell’intonaco al soffitto del vano scala,
ritinteggiatura complessiva e sistemazione dell’impianto
elettrico.
La realizzazione dei lavori de quibus è stata oggetto di
alcune note (n. 46270 del 14.07.2010, n. 70175 del
11.10.2010 e n. 30609 del 18.03.2011, quest'ultima già
citata in precedenza per aver costituito lo spunto per
l'apertura delle indagini eseguite dal requirente
contabile), due istruttorie ed una di definizione
dell'istruttoria medesima, dell'A.V.C.P. (Autorità di
Vigilanza sui Contratti Pubblici di Lavori, Servizi e
Forniture), la quale ha rilevato la non corretta
applicazione da parte della stazione appaltante (il Comune
di Afragola) "delle norme del Codice dei Contratti ed in
particolare del comma 8 dell'art. 125, poiché non ha
interpellato cinque ditte per l'affidamento di entrambi gli
appalti, in difformità del rispetto dei principi di
trasparenza, rotazione e parità di trattamento".
Tuttavia -come puntualmente e condivisibilmente evidenziato
dal PM di udienza-
ciò che realmente indica l'illiceità
della spesa sopportata dal Comune di Afragola a fronte dei
lavori precedentemente descritti, è il fatto che si è
trattato in netta prevalenza (ad eccezione della
realizzazione di un servizio igienico per disabili e della
costruzione all’ingresso principale di una rampa di accesso,
sempre per disabili) di lavori comportanti improrogabili
opere necessarie per conservare all'immobile la sua
destinazione o per evitare maggiori danni suscettibili di
comprometterne l'efficienza in relazione all'uso a cui è
adibito, ovvero opere di straordinaria manutenzione di una
certa entità, in quanto tali a carico del locatore.
Invero,
l'art. 1576 c.c. prevede, come criterio generale, che il
locatore (proprietario) deve eseguire tutte le riparazioni
necessarie, ad eccezione di quelle di piccola manutenzione,
che sono invece a carico del conduttore. Tutte le spese
ordinarie sono quindi a carico di quest'ultimo, mentre il
proprietario è tenuto ad intervenire in caso di manutenzione
straordinaria.
La L. 392/14978
(Disciplina delle locazioni di immobili urbani)
prevede più specificamente che sono interamente a carico del
conduttore, salvo patto contrario, le spese relative al
servizio di pulizia, al funzionamento e all'ordinaria
manutenzione dell'ascensore, alla fornitura dell'acqua,
dell'energia elettrica, del riscaldamento e del
condizionamento dell'aria, allo spurgo dei pozzi neri e
delle latrine, nonché alla fornitura di altri servizi
comuni.
Nel caso di specie, anche il contratto di locazione
dell’immobile prevede all’art. 5 che "l’ordinaria
manutenzione dell’immobile verrà curata dal Comune di
Afragola che si impegna a rilasciare, al momento della
disdetta, i locali nelle medesime condizioni in cui gli
stessi vengono concessi, salvo la normale usura, mentre gli
interventi di carattere straordinario restano a carico del
locatore".
Le su richiamate disposizioni non consentono
-come
giustamente osservato nell'atto introduttivo del giudizio-
di ritenere sopportabili dall'Ente pubblico conduttore
dell'immobile gli interventi eseguiti, poiché questi sono
principalmente consistiti nella realizzazione di lavori
necessari per ricondurre la struttura in buono stato
locativo, lavori ad esclusivo carico del proprietario (quali
i nuovi intonaci alle pareti, nuova pavimentazione e
tinteggiatura dell’intero edificio, nuovi impianti,
sostituzione delle porte interne e degli infissi, ripristino
dei serramenti in ferro).
Non a caso, infatti, era lo stesso Ente locale a riferire
alla competente Procura della Repubblica di Napoli -nella
nota n. 2183 del 26/01/2011 del Responsabile del Settore
A.T. e LL.PP. ing. N.B., odierno convenuto- che
“... la proprietà dei locali occupati dal personale di Stato
Civile dell’Amministrazione Comunale di Afragola non rientra
tra quelle disponibili dell’Ente e pertanto, è palese la
impossibilità giuridica di questo Ente di effettuare
interventi di manutenzione straordinaria quali sono quelli
finalizzati all’adeguamento ai sensi del T.U. 81/2008
(sicurezza sui luoghi di lavoro)”.
Erano proprio le prescrizioni dell’ASL NA 2 Nord indicate
nella Relazione Informativa n. 108/09 sopra citata, inoltre,
ad attestare uno stato di particolare degrado dell’immobile
locato, per il quale, dunque, deve dedursi che non siano
stati svolti e pretesi nel tempo -ovvero, per tutta la
ventennale durata del rapporto locativo- gli interventi
manutentivi necessari.
Poiché, dunque, i lavori realizzati in esecuzione delle
determinazioni n. 92/C/2009 e n. 178/2010 del Dirigente del
Settore Lavori Pubblici/Assetto del Territorio, sono di
straordinaria manutenzione, i relativi oneri non avrebbero
dovuto essere sopportati dal Comune di Afragola, in
sostituzione e con diretto vantaggio patrimoniale del
soggetto proprietario, bensì avrebbero dovuto essere sì
effettuati in tempi rapidi, ma poi posti a carico -detratti
i costi sostenuti per realizzare i prescritti adeguamenti
strutturali per disabili- del proprietario dello stabile.
Poiché ciò non è avvenuto -ed anzi l'ing. N.B. ha
escluso nella nota interna n. 3327/AT dell’11.09.2012 che
potesse avvenire, in aperto contrasto con quanto in un primo
momento da lui stesso osservato nella nota n. 2183 del
26.01.2011 sopra citata-
il Collegio ritiene che il Comune
di Afragola abbia senz'altro subito, in relazione alla
vicenda dianzi descritta, un pregiudizio economico.
Valga sottolineare, altresì, che
non appare correttamente
seguita, nel caso di specie, la procedura prescritta per i
"Lavori d'urgenza" dall'art. 9 del Regolamento del Comune di
Afragola per le Spese in Economia, approvato con delibera
C.S. n. 119 del 07.04.2007 (integrata da successiva delibera
n C.S. n. 133 del 12.07.2007) -cui pure fa riferimento la
difesa del convenuto-
in quanto non risulta in atti che sia
stato redatto "apposito verbale in cui sono indicati i
motivi dello stato d'urgenza, le cause che lo hanno
provocato e i lavori necessari per rimuoverlo", né che al
verbale de quo -da compilare a cura del responsabile del
procedimento o di un tecnico incaricato- sia prontamente
seguita la "redazione di un'apposita perizia estimativa, che
-qualora non si possa attendere la redazione di un vero e
proprio progetto- costituisce presupposto sufficiente per
definire la spesa dei lavori da eseguirsi e permettere la
relativa copertura finanziaria" e nemmeno, infine, che il
predetto verbale sia stato "allegato alla determina di
affidamento della prestazione".
In merito alla quantificazione del danno sopra descritto e
ritenuto sussistente nella fattispecie, il Collegio osserva,
preliminarmente, che con nota segretariale n. 440/Seg del
05.11.2012 del Comune di Afragola è stata trasmessa la nota
interna n. 3981/AT del 31.10.2012, in cui vengono indicate
in € 60.631,39 e in € 57.418,03 le spese sostenute per
effetto delle determinazioni n. 92/C del 12.06.2009 e n. 178
del 17.02.2010, che secondo la prospettazione attorea
costituiscono danno erariale per l'intero importo (€
118.049,42 = € 60.631,39 + € 57.418,03).
Tuttavia, il Collegio ritiene di dover rivedere la proposta
quantificazione tenendo conto, come rilevato anche dal PM di
udienza, della spesa che il Comune di Afragola avrebbe
comunque dovuto sostenere in proprio -senza cioè poterla
porre a carico del proprietario dello stabile adibito ad
Ufficio Anagrafe comunale- per la realizzazione di una rampa
d’accesso e di un servizio igienico per disabili,
complessivamente quantificabile in € 15.000,00, tenendo
conto dei costi medi di mercato di siffatte dotazioni
strutturali.
Poiché tali dotazioni strutturali sono state
realizzate con il primo affidamento (disposto con la
determinazione n. 92/C del 12.06.2009), è l'importo erogato
in relazione ad esso (€ 60.631,39) che va ridotto nella
predetta misura (€ 15.000,00) ai fini della presente
sentenza, risultando quindi pari a 45.631,39, cui va
comunque aggiunto l'importo di € 57.418,03 erogato a seguito
della determinazione n. 178 del 17.02.2010, con la
conseguenza che il pregiudizio economico complessivamente
subito dal Comune di Afragola in relazione all'esaminata
vicenda risulta pari ad € 103.049,42 (= € 45.631,39 + €
57.418,03).
E.
Ciò posto, e rilevata sotto il profilo del rapporto di
servizio la sussistenza della relazione d'immedesimazione
organica tra l'odierno convenuto -all'epoca dei fatti
Dirigente del Settore Lavori Pubblici/Assetto del Territorio
del Comune di Afragola- ed il medesimo Ente locale, va poi
osservato, per quel che concerne il nesso di causalità
rilevabile tra il danno descritto e quantificato in
precedenza e la condotta tenuta dal convenuto medesimo, che
la prospettazione attorea, secondo cui il nocumento
patrimoniale subito dal predetto Ente per effetto
dell'esaminata vicenda sarebbe a lui addebitabile in toto in
relazione alla determina dirigenziale n. 92/C/2009 e nella
misura del 50% in riferimento alla successiva determina n.
178/2010, è ad avviso del Collegio, condivisibile, per aver
egli adottato le determinazioni n. 92/C del 12.06.2009 e n.
178 del 17.02.2010, più volte citate in precedenza, mediante
le quali si è stabilito l'affidamento dei lavori da
eseguirsi sul bene privato senza porne contestualmente a
carico del proprietario il relativo onere economico e senza,
comunque, adottare alcuna statuizione in tale direzione.
Nel contempo,
è del pari condivisibile l'indicazione fornita
dal requirente nell'atto introduttivo del giudizio, secondo
cui la spesa erogata a seguito dell'effettuazione dei lavori
affidato con la determina n. 178/2010 (€ 57.418,03) va posta
al carico dell'ing. N.B. soltanto nella percentuale
del 50%, dovendo essere il restante 50% addebitato al
comportamento tenuto dai partecipanti (vice-sindaco,
segretario comunale, vari dirigenti, amministratori e
funzionari del Comune di Afragola) alle conferenze di
servizi e riunioni che hanno preceduto l'adozione della
predetta determina, in quanto nel corso di essa era stata
discussa la problematica dei lavori da effettuare nello
stabile di via SS. Cuori destinato ad Ufficio Anagrafe
comunale, con un pronunciamento favorevole agli stessi
(avvenuto nel verbale del 07.01.2010 e confermato con
modifiche nei lavori in data 22.01.2010), "influenzato sia
dall’esigenza di completare l’ottemperanza alle prescrizioni
dell’ASL che dalla necessità dell’Ufficio anagrafe di
ricevere in consegna delle apparecchiature ordinate (elettroarchivi
rotanti), fornitura per la quale la ditta interessata
denunciava danni di natura economica per il protrarsi
dell’impossibilità alla consegna e al collaudo imputabile
all’Ente" (cfr. atto di citazione, pagg. 12-13).
F.
Riguardo, infine, all'elemento soggettivo dell'illecito
amministrativo-contabile in controversia, che la Procura ha
indicato come colpa grave, questo deve, del pari essere
ritenuto sussistente per il convenuto N.B., per
aver egli adottato le suindicate determine senza poi porre
in essere alcuna attività finalizzata a porre a carico del
proprietario dell'immobile l'onere economico sostenuto per
far eseguire i lavori necessari per provvedere alla
straordinaria manutenzione di esso.
Il disinteresse dimostrato dal B. in ordine alle
conseguenze economicamente pregiudizievoli per l'Ente
determinate dal suo operato, emerge, altresì, dal fatto che,
come da egli stesso rappresentato nella nota interna n.
3327/AT dell’11.09.2012 (costituente riscontro a foglio
istruttorio richiedente [anche] la corrispondenza intercorsa
con il locatore per l’esecuzione dei lavori
[autorizzazioni]), i rapporti con il proprietario
dell'immobile erano avvenuti in modo verbale, ossia del
tutto irritualmente.
Né assumono efficacia scriminante le circostanze indicate
dallo stesso B. nella relazione illustrativa redatta il
09.06.2009 (ed allegata alla determina n. 92/C del
12.06.2009), in cui egli evidenzia che il Datore di Lavoro,
indicato dall'ASL nel Dirigente del Settore Recupero Urbano
e Servizi Collettivi al Cittadino del Comune di Afragola
ing. M.D., non aveva assunto sino a quella data
alcuna iniziativa intesa ad ottemperare alle prescrizioni
impartite dall'ASL nella Relazione Informativa n. 108/09 e
che, per contro, il medesimo ing. B. -"che lavora al
meglio per il funzionamento della macchina comunale"- si sia
in tale relazione illustrativa dichiarato disponibile anche
a risolvere la problematica dell'Ufficio Anagrafe, potendo,
tutt'al più, tali circostanze rappresentare motivo di
esercizio del potere riduttivo dell'addebito.
Nel contempo, il Collegio ritiene di condividere la
prospettazione esposta nell'atto introduttivo del giudizio,
anche laddove non si ravvisa a carico dei partecipanti alle
conferenze di servizi e riunioni che hanno preceduto la
determina n. 178 del 17.02.2010 -di cui sopra si è detto- la
sussistenza dell'elemento soggettivo della colpa grave,
essendosi tali soggetti pronunciati unicamente a favore
dell'effettuazione in via d'urgenza dei lavori necessari per
adeguare l'immobile ospitante l'Ufficio Anagrafe comunale
alle prescrizioni della locale Azienda Sanitaria, ma non
certamente per tenere indenne il locatore, con pregiudizio
economico per l'Ente, dagli oneri derivanti dai lavori de quibus.
G.
Conclusivamente,
questo Collegio ritiene che
l'effettuazione a carico del Comune di Afragola dei lavori
di straordinaria manutenzione dell'immobile privato condotto
in locazione quale sede dell'Ufficio Anagrafe comunale,
affidati con le determine n. 92/C del 12.06.2009 e n. 178
del 17.02.2010,
sia stato il frutto -almeno in via
prevalente, nelle misure suindicate- della condotta
gravemente colposa attribuibile all'odierno convenuto
e che
la conseguente erogazione della somma di € 103.049,42, nel
configurarsi come un danno ingiusto all’Ente vada a questi
addebitata nell'importo di € 45.631,39 + € 28.709,01 (50% di
€ 57.418,03) = € 74.340,40, da sottoporre ad ulteriore
riduzione, nella misura ritenuta equa del 20%,
nell'esercizio del potere attribuito al Giudice Contabile
dall'art. 52 TUCL n. 1214 del 1934, risultando dunque
quantificato, infine, in € 59.472,32 (= 80% di € 74.340,40).
Su dette somme dovranno essere applicati, innanzitutto, la
rivalutazione monetaria, da calcolarsi secondo gli indici
ISTAT, dall’esborso e fino al giorno della pubblicazione
della presente sentenza, nonché gli interessi legali sulla
somma così rivalutata dalla predetta pubblicazione al
soddisfo (Corte dei Conti, Sez. giurisdiz. Campania,
sentenza 09.03.2015 n. 253). |
APPALTI:
Modifica dell'appaltatore (raggruppamento temporaneo di
concorrenti) nel corso di esecuzione del contratto.
Benché la giurisprudenza sia unanime nel
ritenere che il principio di immodificabilità soggettiva
della compagine in corso di gara, o dopo l'aggiudicazione
-sancito dall'art. 37, c. 9, del D.Lgs. 163/2006- mira a
garantire il controllo preliminare e compiuto dei requisiti
dei concorrenti che intendono contrarre con la P.A.,
impedendo situazioni che vanifichino o eludano tale
verifica, essa giunge a conclusioni diverse.
Infatti, mentre l'orientamento 'restrittivo' afferma che, al
di fuori delle eccezioni espressamente previste dai cc. 18 e
19 del medesimo art. 37, non è consentita alcuna modifica
del raggruppamento prospettato in sede di offerta,
l'orientamento 'estensivo' -cui ha aderito anche l'A.V.C.P.-
sostiene che dopo l'aggiudicazione sarebbe possibile
ammettere il recesso di una o più imprese dal
raggruppamento, a condizione che quelle rimanenti siano in
possesso, da sole, dei requisiti di partecipazione e di
qualificazione per eseguire le prestazioni oggetto
dell'appalto.
Il Comune, che ha aggiudicato il servizio di trasporto
scolastico ad un raggruppamento temporaneo di concorrenti, è
stato informato dal mandatario che una delle imprese
mandanti ha segnalato, alla competente amministrazione
provinciale, la messa in liquidazione, richiedendo la
cancellazione dal registro e la revoca dell'autorizzazione
inerente all'attività di trasporto viaggiatori.
Poiché, ai sensi dell'art. 37, comma 9
[1], del decreto
legislativo 12.04.2006, n. 163, è vietata, salvo quanto
disposto ai commi 18
[2]
e 19
[3], qualsiasi modificazione
alla composizione dei raggruppamenti temporanei di
concorrenti rispetto a quella risultante dall'impegno
presentato in sede di offerta, l'Ente chiede di conoscere
se, non ricorrendo alcuna delle situazioni di cui al
predetto comma 19, l'originario raggruppamento possa essere
comunque oggetto di modificazione, considerato che la
mandataria ha dichiarato il proprio interesse a subentrare
nella posizione della ditta recedente, con esecuzione
diretta della percentuale di servizio facente carico a
quest'ultima.
Occorre, anzitutto, ricordare che la violazione delle
previsioni di cui all'art. 37, comma 9, del D.Lgs. 163/2006
è sanzionata, dal comma 10 della stessa disposizione, il
quale stabilisce -per quanto qui rileva- che
«L'inosservanza dei divieti di cui al precedente comma
comporta l'annullamento dell'aggiudicazione o la nullità del
contratto [...]».
Si evidenzia, sin d'ora, che la giurisprudenza non è univoca
circa l'interpretazione della norma che preclude 'qualsiasi
modificazione' alla composizione dei raggruppamenti
temporanei di concorrenti rispetto a quella dichiarata
all'atto dell'offerta, prevedendo espressamente i casi che
consentono di derogare al divieto, casi che attengono,
comunque, «a vicende patologiche che colpiscono il mandante
o il mandatario»
[4].
Pur ammettendo, unanimemente, che il principio di
immodificabilità soggettiva della compagine in corso di
gara, o dopo l'aggiudicazione, sancito dall'art. 37, comma
9, del D.Lgs. 163/2006
[5]
mira a garantire, alle
amministrazioni aggiudicatrici, una conoscenza piena dei
soggetti che intendono contrarre con esse, al fine di
consentire un controllo preliminare e compiuto dei requisiti
di idoneità morale, tecnico-organizzativa ed
economico-finanziaria dei concorrenti ed all'ulteriore scopo
di impedire che tale verifica venga vanificata o elusa con
modificazioni soggettive, in corso di gara, delle imprese
candidate, i giudici amministrativi pervengono a conclusioni
diverse.
Un primo orientamento, che propende per una lettura
particolarmente rigorosa del dato normativo, afferma che non
è consentita alcuna modifica del raggruppamento prospettato
in sede di offerta, al di fuori delle eccezioni
espressamente previste dai commi 18 e 19 del medesimo art.
37
[6], le quali «sono ammissibili in quanto riguardano
motivi indipendenti dalla volontà del soggetto partecipante
alla gara e trovano giustificazione nell'interesse della
stazione appaltante alla continuazione della stessa»
[7].
Secondo una diversa impostazione, invece, dopo
l'aggiudicazione sarebbe possibile ammettere il recesso di
una o più imprese del raggruppamento, a condizione che
quelle rimanenti siano in possesso, da sole, dei requisiti
di partecipazione e di qualificazione per eseguire le
prestazioni oggetto dell'appalto, in quanto il divieto
legislativo, il cui rigore va temperato in ragione dello
scopo che persegue, riguarderebbe solo l'aggiunta o la
sostituzione di componenti, non anche il venir meno, senza
sostituzione, di taluno dei componenti originariamente
indicati
[8].
È stato, infatti, rilevato che, attesa la funzione della
disposizione, risulta evidente che le uniche modifiche
soggettive elusive del dettato legislativo sono quelle volte
all'aggiunta o alla sostituzione di imprese e non anche
quelle che riguardano il recesso di una delle imprese del
raggruppamento poiché, in tal caso, l'amministrazione,
all'atto del mutamento soggettivo, ha già provveduto a
verificare i requisiti di capacità e di moralità
dell'impresa o delle imprese che restano, cosicché i rischi
che il divieto mira ad impedire non possono verificarsi
[9].
La giurisprudenza che aderisce a tale orientamento osserva,
inoltre, che esso:
- non penalizza né la stazione appaltante, non creando
incertezze, né le imprese, le cui dinamiche possono imporre
modificazioni soggettive di consorzi e raggruppamenti, per
ragioni che prescindono dalla singola gara e che non possono
precluderne la partecipazione, «se nessun nocumento ne
deriva per la stazione appaltante»
[10];
- non incide nemmeno sulla par condicio dei concorrenti,
perché non si tratta di consentire l'introduzione di nuovi
soggetti in corsa, ma solamente di permettere a qualcuno
degli associati o consorziati il recesso, «mediante utilizzo
dei requisiti dei soggetti residui, già comunque
posseduti»
[11].
Deve, comunque, osservarsi che la prospettiva in esame è
ritenuta percorribile «purché la modifica della compagine
soggettiva in senso riduttivo avvenga per esigenze
organizzative proprie dell'a.t.i. o consorzio, e non invece
per eludere la legge di gara e, in particolare, per evitare
una sanzione di esclusione dalla gara per difetto dei
requisiti in capo al componente dell'a.t.i. che viene meno
per effetto dell'operazione riduttiva»
[12].
La tesi interpretativa più restrittiva è avallata da una più
recente pronuncia
[13], che motiva la propria posizione con
ulteriori argomenti.
Il giudice afferma, infatti, che il divieto imposto dalla
norma riguarda 'qualsiasi modificazione', «con ciò
impedendosi all'interprete di escludere alcune delle
modificazioni dal 'totale' di esse, complessivamente vietato
dal legislatore», tanto più se si considera che lo stesso
legislatore ha indicato analiticamente le eccezioni al
regime di divieto.
[14]
Ne consegue, perciò, che «una volta che un raggruppamento
temporaneo di imprese abbia partecipato ad una gara e ne
abbia ottenuto l'aggiudicazione, non è possibile alcuna
modifica, tanto meno soggettiva, in ordine alla composizione
del raggruppamento ed a quanto dichiarato in sede di gara».
E ciò vale, a maggior ragione, qualora un'impresa dichiari
di non voler più partecipare al raggruppamento, o di non
avere più intenzione di eseguire le prestazioni cui era
obbligata in ragione dell'offerta, o ancora di 'rinunciare'
-anche solo in proprio- agli effetti dell'aggiudicazione o
del contratto, giacché in ognuna di tali evenienze «si
realizza una differente composizione (per
sottrazione/riduzione) del raggruppamento per come esso si è
presentato, quale concorrente, in sede di gara, di modo che
deve procedersi ai sensi dell'art. 37, comma 10,
all'annullamento dell'aggiudicazione o alla declaratoria di
nullità del contratto, fermo ogni ulteriore profilo di
(eventuale) responsabilità dell'impresa nei confronti della
amministrazione appaltante».
Con riferimento alle modifiche del raggruppamento che si
collocano in una fase temporale successiva a quella della
stipula del contratto, si è espressa anche l'Autorità per la
vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e
forniture (Avcp), aderendo all'orientamento più
estensivo
[15]
e ritenendo, perciò, ammissibile il solo
mutamento soggettivo in senso riduttivo del
raggruppamento
[16], con assunzione del servizio in capo
al/ai rimanente/i componente/i dello stesso, purché
l'esecutore sia singolarmente in possesso dei requisiti a
tal fine richiesti dalla lex specialis.
In conclusione, il Comune dovrà effettuare, alla luce degli
orientamenti di cui si è dato conto, la valutazione della
soluzione più appropriata al caso concreto, anche
considerando l'esigenza di garantire la prosecuzione del
servizio.
---------------
[1] «È vietata l'associazione in partecipazione. Salvo
quanto disposto ai commi 18 e 19, è vietata qualsiasi
modificazione alla composizione dei raggruppamenti
temporanei e dei consorzi ordinari di concorrenti rispetto a
quella risultante dall'impegno presentato in sede di
offerta.».
[2] «In caso di fallimento del mandatario ovvero, qualora si
tratti di imprenditore individuale, in caso di morte,
interdizione, inabilitazione o fallimento del medesimo
ovvero nei casi previsti dalla normativa antimafia, la
stazione appaltante può proseguire il rapporto di appalto
con altro operatore economico che sia costituito mandatario
nei modi previsti dal presente codice purché abbia i
requisiti di qualificazione adeguati ai lavori o servizi o
forniture ancora da eseguire; non sussistendo tali
condizioni la stazione appaltante può recedere
dall'appalto.».
[3] «In caso di fallimento di uno dei mandanti ovvero,
qualora si tratti di imprenditore individuale, in caso di
morte, interdizione, inabilitazione o fallimento del
medesimo ovvero nei casi previsti dalla normativa antimafia,
il mandatario, ove non indichi altro operatore economico
subentrante che sia in possesso dei prescritti requisiti di
idoneità, è tenuto alla esecuzione, direttamente o a mezzo
degli altri mandanti, purché questi abbiano i requisiti di
qualificazione adeguati ai lavori o servizi o forniture
ancora da eseguire.».
[4] Così Consiglio di Stato - Ad. Plen., 04.05.2012, n.
8.
[5] Già affermato, in precedenza, dall'art. 13, comma 5-bis,
della legge 11.02.1994, n. 109.
[6] Cfr. Consiglio di Stato - Sez. V, 07.04.2006, n.
1903; 30.08.2006, n. 5081; 20.04.2012, n. 2328; Sez. IV, 14.12.2012, n. 6446.
[7] Così Consiglio di Stato - Sez. V, n. 2328/2012, cit..
[8] Cfr. Consiglio di Stato - Sez. IV, 23.07.2007, n.
4101; Sez. VI, 13.05.2009, n. 2964.
[9] Cfr. Consiglio di Stato - Sez. IV, n. 4101/2007, cit.;
Sez. VI, n. 2964/2009, cit..
[10] Così Consiglio di Stato - Sez. VI, 16.02.2010, n.
842.
[11] Così Consiglio di Stato - Sez. VI, n. 842/2010, cit..
[12] Così Consiglio di Stato - Sez. VI, n. 842/2010, cit..
Il Consiglio di Stato - Ad. Plen., n. 8/2012, cit.,
riassumendo le diverse posizioni assunte dal supremo
Consesso sulla questione, afferma di condividere la tesi
secondo la quale «il recesso dell'impresa componente di un
raggruppamento nel corso della procedura di gara non vale a
sanare ex post una situazione di preclusione all'ammissione
alla procedura sussistente al momento dell'offerta in
ragione della sussistenza di cause di esclusione riguardanti
il soggetto recedente, pena la violazione della par condicio
tra i concorrenti [Cons. St., ad. plen., 15.04.2010, n.
2155; Cons. St., sez. V, 10.09.2010, n. 6546]», posto
che «una diversa soluzione ermeneutica, che intendesse
impedire il controllo sui requisiti di ammissione delle
imprese recedenti, consentirebbe l'elusione delle
prescrizioni legali che impongono il possesso dei requisiti
stessi in capo ai soggetti originariamente facenti parte del
raggruppamento all'atto della scadenza dei termini per la
presentazione delle domande di partecipazione [Cons. St.,
sez. V, 28.09.2011, n. 5406]».
[13] Consiglio di Stato - Sez. IV, n. 6446/2012, cit..
[14] Pertanto, un'interpretazione 'meno rigida' della
disposizione non risulta ammissibile giacché essa, a fronte
di un chiaro (e complessivo) divieto imposto dalla legge,
con l'escludere un caso da tale divieto, «compie una
operazione non già di interpretazione normativa, bensì di
(non consentita) integrazione della norma, di per sé
compiutamente disciplinante il caso considerato».
[15] V., in particolare, la determinazione 12.11.2013,
n. 5 concernente «Linee guida su programmazione,
progettazione ed esecuzione del contratto nei servizi e
nelle forniture» il cui par. 5 tratta delle 'Modifiche
soggettive del raggruppamento in corso di esecuzione'.
V. anche la deliberazione 22.07.2011, n. 68, che si
esprime sulla modifica della compagine aggiudicataria in
epoca successiva alla stipula del contratto ed alla consegna
del servizio.
[16] Tranne qualora emerga che l'operazione sia avvenuta per
evitare una sanzione di esclusione dalla gara, per difetto
dei requisiti in capo al soggetto recedente
(03.03.2015 -
link a
www.regione.fvg.it). |
febbraio 2015 |
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APPALTI: Ricorsi
nelle gare, basta mera conoscenza dell'esito.
La mera conoscenza dell'esito negativo di una gara è
sufficiente a far decorrere il termine per la proposizione
del ricorso avverso gli atti, rilevando la conoscenza
successiva dei motivi e dei singoli vizi di legittimità
degli stessi solo al fine della proposizione di motivi
aggiunti.
È quanto è stato ribadito dai giudici della II Sez. del TAR
Piemonte con la
sentenza 26.02.2015 n. 396.
Da tale sottolineatura, che trova concorde anche altra
giurisprudenza, ne consegue l'onere di presentare, sempre e
comunque, una tempestiva impugnazione anche nel caso in cui
non sia ancora nota l'esistenza di eventuali vizi della
procedura.
Già la Corte di giustizia, con la sentenza pronunciata
l'08/05/2014 nella causa C-161/13, si è espressa nel senso
che il principio della certezza del diritto e il favor per
la celerità delle procedure di gara impone che le
informazioni ottenute a seguito di accesso agli atti di gara
non possono servire a proporre un ricorso dopo la scadenza
del termine previsto a tale scopo dalla normativa nazionale,
ed è stato, inoltre, evidenziato che si deve ritenere
possibile la riapertura di detto termine quando alla
decisione lesiva abbia fatto seguito, successivamente, una
nuova decisione che abbia modificato quella precedente e
sempre che sia possibile affermare che il ricorrente non era
già prima in condizione di apprezzare (sulla base anche
della ordinaria diligenza) l'esistenza di eventuali
violazioni della normativa relativa alle procedure di gara.
Pertanto il termine per l'impugnazione del ricorso decorre
dal momento in cui l'interessato abbia, o debba avere, piena
conoscenza della pretesa violazione della normativa in
materia di gara d'appalto. I giudici amministrativi
piemontesi hanno, altresì, affermato che ai fini della
decorrenza del termine per proporre ricorso avverso una
decisione di aggiudicazione si rende necessaria la
conoscenza (non solo delle ragioni della decisione ma anche)
dei vizi che affliggerebbero la gara, ma d'altro canto che è
anche onere dell'interessato di attivarsi al fine di
acquisire tale conoscenza.
Secondo i giudici torinesi il legislatore ha inteso porre,
sui partecipanti alle gare, l'onere di esercitare l'accesso
agli atti di gara non appena ricevuta, dalla stazione
appaltante, la relativa comunicazione completa delle
indicazioni di cui al ricordato art. 79, comma 5-quater, del
dl 163/2006
(articolo ItaliaOggi Sette del 25.05.2015).
----------------
MASSIMA
10.3.1. E’ noto che, a dispetto di quanto già la Corte di
Giustizia aveva precisato nel caso C-406/2008 Uniplex, si è
consolidato in giurisprudenza l’orientamento secondo il
quale la mera conoscenza dell’esito
negativo di una gara è sufficiente a far decorrere il
termine per la proposizione del ricorso avverso gli atti di
gara, rilevando la conoscenza successiva dei motivi e dei
singoli vizi di legittimità degli stessi solo al fine della
proposizione di motivi aggiunti
(ex multis: C.d.S. sez. V n. 2609/2012; C.d.S. sez.
III n. 2407/2012; C.d.S., sez. IV, n. 3583/2011):
tale orientamento, dal quale consegue l’onere di
presentare sempre e comunque una tempestiva impugnazione
anche laddove non sia ancora nota l’esistenza di eventuali
vizi della procedura, è stato tuttavia (nuovamente) messo in
discussione con ordinanza del TAR Puglia-Bari,
sez. I, n. 427/2013, che ha chiesto alla
Corte di Giustizia della Unione Europea di valutare la
conformità alla direttiva 1993/13/CEE di una norma o di una
prassi nazionale che, ai fini della proposizione di un
ricorso diretto a far valere la violazione della normativa
in materia di aggiudicazione di appalti pubblici, faccia
decorrere il termine per la presentazione del ricorso dal
momento in cui il soggetto ha avuto, o avrebbe dovuto avere
contezza della violazione stessa, precludendo altresì di
dare rilevanza, ai medesimi fini, alla conoscenza dei vizi
di cui l’interessato abbia avuto conoscenza tardiva a causa
del comportamento della stazione appaltante.
10.3.2. Ebbene, la Corte di Giustizia, con sentenza
pronunciata l’08/05/2014 nella causa C-161/13, caso
Idronamica, dopo aver ricordato che nel caso Uniplex la
Corte si era già espressa nel senso che il principio della
certezza del diritto ed il favor per la celerità
delle procedure di gara impone che le informazioni ottenute
a seguito di accesso agli atti di gara non possono servire a
proporre un ricorso dopo la scadenza del termine previsto a
tale scopo dalla normativa nazionale, ha ulteriormente
precisato che si deve ritenere possibile la
riapertura di detto termine quando alla decisione lesiva
abbia fatto seguito, successivamente, una nuova decisione
che abbia modificato quella precedente e sempre che sia
possa affermare che il ricorrente non era già prima in
condizione di apprezzare -sulla base delle informazioni
ottenute a tempo debito o di quelle che avrebbe potuto
tempestivamente ottenere con l’ordinaria diligenza-
l’esistenza di eventuali violazioni della normativa relativa
alle procedure di gara.
Per chiarezza espositiva va precisato che nel caso
sottoposto alla attenzione della Corte si era verificato che
successivamente alla aggiudicazione definitiva ed alla
scadenza del termine di 30 giorni, di cui all’art. 120 comma
5 c.p.a., per l’impugnativa della medesima, la stazione
appaltante aveva consentito il recesso di una delle imprese
facenti parte del raggruppamento aggiudicatario, provvedendo
poi alla stipula del contratto con quel raggruppamento che
però, nella sopravvenuta nuova formazione, non coincideva
con quello aggiudicatario.
La Corte, pur enunciando il principio di cui sopra, non ha
mancato di rilevare che nella specie l’interessato aveva in
realtà censurato irregolarità commesse prima della
originaria aggiudicazione dell’appalto, ed ha quindi
ribadito che in linea generale, e fatto salvo il caso di
intervenuta modifica della determina di aggiudicazione
definitiva, la possibilità di spiegare ricorso deve
intendersi garantita solo entro il termine di impugnazione
riconosciuto in generale dalla normativa nazionale, fatte
salve diverse disposizioni riconosciute espressamente dal
diritto nazionale.
10.3.3. Il Collegio ritiene che dalla dianzi ricordata
sentenza della Corte di Giustizia U.E. si possa trarre un
insegnamento particolarmente interessante per il caso di
specie, segnatamente per il fatto che essa, fatta salva
l’ipotesi –non ricorrente nel caso di specie– in cui
l’aggiudicazione (o l’atto da impugnare) venga in seguito
modificata, ha confermato il principio -già espresso nel
caso Uniplex- secondo il quale il termine
per l’impugnazione del ricorso decorre dal momento in cui
l’interessato abbia, o debba avere, piena conoscenza della
pretesa violazione della normativa in materia di gara
d’appalto.
Da entrambe le pronunce si evince, più in dettaglio, che
ai fini della decorrenza del termine per proporre
ricorso avverso una decisione di aggiudicazione necessita la
conoscenza (non solo delle ragioni della decisione ma anche)
dei vizi che affliggerebbero la gara, ma d’altro canto che è
anche onere dell’interessato di attivarsi al fine di
acquisire tale conoscenza:
la Corte, infatti, parla specificamente (al punto 37 della
sentenza Idronamica) di “data in cui il ricorrente ha
conosciuto o avrebbe dovuto essere a conoscenza della
pretesa violazione di dette disposizioni”, così
evidenziando che alla conoscenza effettiva può essere
equiparata, secondo una fictio juris, anche una
conoscenza “legale”, cioè una conoscenza che, seppure
in concreto non sussistente, il soggetto avrebbe potuto
acquisire ove posto in condizione di esercitare l’accesso
alle informazioni.
10.3.4. Ciò premesso va ricordato che con la disposizione di
cui all’art. 79, comma 5-quater, del D.L.vo 163/2006,
introdotta con D.L.vo 53/2010, il legislatore ha stabilito
che “Fermi i divieti dell’accesso previsti all’art. 13,
l’accesso agli atti del procedimento in cui sono adottati
gli atti oggetto di comunicazione ai sensi del presente
articolo è consentito entro dieci giorni dall’invio della
comunicazione dei provvedimenti medesimi mediante visione ed
estrazione di copia. Non occorre istanza scritta di accesso
e provvedimento di ammissione, salvi i provvedimenti di
differimento o di esclusione dall’accesso adottati ai sensi
dell’art. 13. Le comunicazioni di cui al comma 5 indicano se
ci sono atti per i quali l’accesso é vietato o differito ed
indicano l’ufficio presso cui l’accesso può essere
esercitato, e i relativi orari, garantendo che l’accesso sia
consentito durante tutto l’orario in cui l’ufficio è aperto
al pubblico o il personale presta servizio”.
Tale disposizione, ad avviso del Collegio, denota che
il legislatore non ha semplicemente inteso
facilitare l’accesso agli atti delle gare pubbliche:
infatti, prescrivendo che nelle varie comunicazioni le
stazioni appaltanti rappresentino ai partecipanti
l’immediata possibilità di esercitare l’accesso evidenziando
comunque la natura degli atti per i quali l’accesso è
differito o non consentito; stabilendo la accessibilità a
priori di ogni documento, salvo quelli, da indicarsi
partitamente, per i quali sussistano le condizioni per
differire o non consentire l’accesso; imponendo inoltre che
detto accesso sia consentito in ogni momento durante gli
orari di servizio del personale, e dunque anche fuori dagli
orari di apertura al pubblico degli uffici;
con tutto ciò, insomma, è evidente che il
legislatore ha agito con la finalità di evitare che i
partecipanti alle gare possano posticipare l’impugnativa
delle varie decisioni accampando pretesti o scuse per
giustificare la mancata piena conoscenza delle motivazioni
di esse e dei possibili vizi della gara, il che è quanto
dire che il legislatore ha precisamente inteso porre, sui
partecipanti alle gare, l’onere di esercitare l’accesso agli
atti di gara non appena ricevuta, dalla stazione appaltante,
la relativa comunicazione completa delle indicazioni di cui
al ricordato art. 79, comma 5-quater.
L’introduzione di un tale onere, a carico del partecipante
ad una gara d’appalto, non trova, ad avviso del Collegio,
ostacolo nelle modalità di accesso garantite dalla norma da
ultimo citata: anzi il Collegio ritiene che siffatto accesso
non sia ontologicamente diverso da quello che sarebbe
garantito ove esercitato previa presentazione di apposita
istanza.
E’ quindi opinione del Collegio che non ha
senso distinguere l’accesso garantito dall’art. 79, comma
5-quater, definendolo come “semplificato” o “informale”,
dal momento che esso costituisce (per le ragioni già
precisate) un onere (di guisa che un eventuale accesso “formale”
successivo diventa irrilevante) e perché esso è comunque
idoneo a consentire all’interessato di determinarsi
compiutamente in ordine alla decisione di proporre il
ricorso.
10.3.5. Il Collegio ritiene che la norma dianzi esaminata
non si ponga in contrasto con la normativa europea in
materia di appalti, stante che nei casi Uniplex e Idronamica
la Corte di Giustizia, sia pure con specifico riferimento
alla impugnativa della aggiudicazione definitiva in un
settore specifico degli appalti, ha già avuto modo di
affermare l’equipollenza tra la conoscenza effettiva e
quella che l’interessato avrebbe potuto o dovuto conseguire
esercitando l’accesso agli atti.
Il Collegio ritiene pertanto condivisibile quella opzione
ermeneutica, già fatta propria anche da altre pronunce (come
quella del TAR Umbria, sez. I n. 448/2014, nonché del
C.d.S., sez. III, n. 4432/2014), che ha ritenuto che
il termine per impugnare l’aggiudicazione definitiva
e gli altri atti che, a norma dell’art. 79 C.C.P., debbano
essere ritualmente comunicati ai partecipanti, decorre dalla
ricezione di essi laddove tale informativa consenta di
apprezzare compiutamente sia le ragioni del provvedimento
sia la presenza di eventuali vizi della procedura; in caso
contrario il termine per l’impugnazione degli atti di gara
deve farsi comunque decorrere dal giorno in cui
l’interessato ha esercitato l’accesso agli atti, accesso che
la stazione appaltante deve, ai sensi dell’art. 79, comma
5-quater, C.C.P., garantire entro i dieci giorni successivi
a ciascuna comunicazione.
Più precisamente, laddove non sia provato
che l’interessato ha in concreto esercitato l’accesso prima
del decorso del menzionato termine di dieci giorni, il
termine decorrerà dalla scadenza di esso dovendosi a tale
momento ritenere acquisita una conoscenza “legale”
degli atti della procedura; di converso, solo dimostrando
che la stazione appaltante non ha adempiuto agli obblighi
nascenti dall’art. 79, comma 5-quater, C.C.P. l’interessato
potrà ottenere di far decorrere il termine per l’impugnativa
da un momento successivo, sempre che i provvedimenti da
impugnare non contengano già sufficienti elementi per
consentire la proposizione di un ricorso. |
APPALTI: Il
combinato disposto degli artt. 86, comma 3-bis, del d.lgs. n. 163/2006 e 26, comma 6, del d.lgs. n. 81/2008 non impone alle imprese partecipanti a procedure di affidamento di contratti pubblici di lavori l’obbligo, a pena di esclusione dalla gara, di indicare gli oneri per la sicurezza aziendale.
Tuttavia, le stazioni appaltanti sono tenute a verificare gli oneri per la
sicurezza ai fini del giudizio di anomalia dell’offerta e, in stretta
conseguenza di ciò, che le imprese sono tenute ad indicare nella loro
offerta detta voce di costo. Le medesime norme (art.
86 da coordinarsi con il successivo art. 87), invero, operano una distinzione tra appalti di lavori da una parte e appalti di servizi e forniture dall’altra. Il citato art. 87, comma 4, infatti, specifica il più generale e onnicomprensivo comma 3-bis dell’art. 86, imponendo alle imprese -partecipanti a procedure di affidamento della seconda tipologia di contratti- di indicare nell’offerta “i costi relativi alla sicurezza”. Per la prima tipologia di giustificazioni, invece, il precetto è significativamente diverso, giacché esso vieta giustificazioni (e dunque ribassi) rispetto agli “oneri relativi alla sicurezza” già stimati dalla stazione appaltante nel piano di sicurezza e coordinamento dalla stessa predisposto ai sensi del richiamato art. 131. Per contro, in nessuna parte delle richiamate disposizioni è previsto che per gli appalti di lavori pubblici si debbano indicare nell’offerta i costi per la sicurezza aziendale. E soprattutto, in nessuna parte è prevista la comminatoria di esclusione per l’omessa indicazione degli stessi: certamente non per gli appalti di lavori, per i quali vi è una rigorosa analisi dei costi in questione da parte della stazione appaltante nella fase della progettazione, in virtù di puntuali disposizioni del regolamento di attuazione di cui al d.p.r. n. 207/2010. Una diversa conclusione rispetto a quanto finora esposto non può essere ricavata nemmeno dall’art. 26, comma 6, del d.lgs. n. 81/2008. Quest’ultima disposizione è così formulata: “Nella predisposizione delle gare di appalto e nella valutazione dell’anomalia delle offerte nelle procedure di affidamento di appalti di lavori pubblici, di servizi e di forniture, gli enti aggiudicatori sono tenuti a valutare che il valore economico sia adeguato e sufficiente rispetto al costo del lavoro e al costo relativo alla sicurezza, il quale deve essere specificamente indicato e risultare congruo rispetto all’entità e alle caratteristiche dei lavori, dei servizi o delle forniture”. Vi è certamente un’unificazione di disciplina per tutti gli appalti pubblici, ma il precetto in essa contenuto è rivolto ancora una volta agli “enti aggiudicatori”, ed è altresì indubbio che questa norma vada coordinata con gli artt. 86 e 87 del d.lgs. n. 163/2006, i quali contengono disposizioni di maggiore dettaglio.
---------------
In tema di valutazione dell’anomalia dell’offerta e del relativo
procedimento di verifica la giurisprudenza ha affermato che si tratta di un
procedimento che non ha carattere sanzionatorio e non ha per oggetto la
ricerca di specifiche e singole inesattezze dell’offerta economica, mirando
piuttosto ad accertare se in concreto l’offerta, nel suo complesso, sia
attendibile e affidabile in relazione alla corretta esecuzione dell’appalto.
Il procedimento di verifica dell’anomalia, in altri termini, è volto a garantire e tutelare l’interesse pubblico concretamente perseguito dall’amministrazione attraverso la procedura di gara per la effettiva scelta del miglior contraente possibile ai fini dell’esecuzione dell’appalto; ne consegue che l’esclusione dalla gara dell’offerente per l’anomalia della sua offerta è l’effetto della valutazione (operata dall’amministrazione appaltante) di complessiva inadeguatezza della stessa rispetto al fine da raggiungere.
--------------- 2. Il ricorso è infondato; al riguardo il Collegio osserva quanto segue. 2.1. Con il
primo motivo la ricorrente deduce che il Comune avrebbe dovuto escludere l’ATI costituita dalle odierne controinteressate per l’omesso adempimento dell’obbligo di indicazione dei costi per la sicurezza da rischio specifico o aziendale. 2.1.1. Sul punto, in aggiunta a quanto già rilevato nella fase cautelare, osserva il Collegio che, come ha chiarito la giurisprudenza (C.d.S., Sez. V, n. 3056/2014; id., n. 4964/2013), il combinato disposto degli artt. 86, comma 3-bis, del d.lgs. n. 163/2006 e 26, comma 6, del d.lgs. n. 81/2008 non impone alle imprese partecipanti a procedure di affidamento di contratti pubblici di lavori l’obbligo, a pena di esclusione dalla gara, di indicare gli oneri per la sicurezza aziendale. 2.1.2. L'assunto della ricorrente si fonda su una non condivisibile esegesi della disposizione del codice dei contratti pubblici sopra citata, la quale recita testualmente: “Nella predisposizione delle gare di appalto e nella valutazione dell’anomalia delle offerte nelle procedure di affidamento di appalti di lavori pubblici, di servizi e di forniture, gli enti aggiudicatori sono tenuti a valutare che il valore economico sia adeguato e sufficiente rispetto al costo del lavoro e al costo relativo alla sicurezza, il quale deve essere specificamente indicato e risultare congruo rispetto all’entità e alle caratteristiche dei lavori, dei servizi o delle forniture”. 2.1.3. La norma si rivolge evidentemente, in primo luogo, agli enti aggiudicatori, imponendo loro, “nella predisposizione delle gare di appalto e nella valutazione dell’anomalia delle offerte”, di effettuare uno specifico apprezzamento della congruità dei costi del lavoro e della sicurezza indicati dalle concorrenti nelle loro offerte. Ciò si evince anche dalla rubrica della disposizione: “criteri di individuazione delle offerte anormalmente basse”. La medesima norma prevede che il costo in questione “deve essere specificamente indicato”, ma va precisato che tale indicazione è funzionale alla predetta verifica di congruità e dunque all’attuazione del precetto cui soggiacciono le stazioni appaltanti. 2.1.4. L’art. 86 va poi coordinato con il successivo art. 87 (“criteri di verifica delle offerte anormalmente basse”), il quale prevede, al comma 4, che “Nella valutazione dell’anomalia la stazione appaltante tiene conto dei costi relativi alla sicurezza, che devono essere specificamente indicati nell’offerta e risultare congrui rispetto all’entità e alle caratteristiche dei servizi o delle forniture”. Il medesimo comma 4 dispone, inoltre, che “Non sono ammesse giustificazioni in relazione agli oneri di sicurezza in conformità all’articolo 131, nonché al piano di sicurezza e coordinamento di cui all’articolo 12, decreto legislativo 14.08.1996, n. 494 e alla relativa stima dei costi conforme all’articolo 7, d.P.R.
03.07.2003, n. 222”. 2.1.5. Dal complesso delle disposizioni in esame si ricava che le stazioni appaltanti sono tenute a verificare gli oneri per la sicurezza ai fini del giudizio di anomalia dell’offerta e, in stretta conseguenza di ciò, che le imprese sono tenute ad indicare nella loro offerta detta voce di costo. 2.1.6. Le medesime norme, tuttavia, operano una distinzione tra appalti di lavori da una parte e appalti di servizi e forniture dall’altra. Il citato art. 87, comma 4, infatti, specifica il più generale e onnicomprensivo comma 3-bis dell’art. 86, imponendo alle imprese -partecipanti a procedure di affidamento della seconda tipologia di contratti- di indicare nell’offerta “i costi relativi alla sicurezza”. Per la prima tipologia di giustificazioni, invece, il precetto è significativamente diverso, giacché esso vieta giustificazioni (e dunque ribassi) rispetto agli “oneri relativi alla sicurezza” già stimati dalla stazione appaltante nel piano di sicurezza e coordinamento dalla stessa predisposto ai sensi del richiamato art. 131. Per contro, in nessuna parte delle richiamate disposizioni è previsto che per gli appalti di lavori pubblici si debbano indicare nell’offerta i costi per la sicurezza aziendale. E soprattutto, in nessuna parte è prevista la comminatoria di esclusione per l’omessa indicazione degli stessi: certamente non per gli appalti di lavori, per i quali vi è una rigorosa analisi dei costi in questione da parte della stazione appaltante nella fase della progettazione, in virtù di puntuali disposizioni del regolamento di attuazione di cui al d.p.r. n. 207/2010. 2.1.7. Una diversa conclusione rispetto a quanto finora esposto non può essere ricavata nemmeno dall’art. 26, comma 6, del d.lgs. n. 81/2008. Quest’ultima disposizione è così formulata: “Nella predisposizione delle gare di appalto e nella valutazione dell’anomalia delle offerte nelle procedure di affidamento di appalti di lavori pubblici, di servizi e di forniture, gli enti aggiudicatori sono tenuti a valutare che il valore economico sia adeguato e sufficiente rispetto al costo del lavoro e al costo relativo alla sicurezza, il quale deve essere specificamente indicato e risultare congruo rispetto all’entità e alle caratteristiche dei lavori, dei servizi o delle forniture”. Vi è certamente un’unificazione di disciplina per tutti gli appalti pubblici, ma il precetto in essa contenuto è rivolto ancora una volta agli “enti aggiudicatori”, ed è altresì indubbio che questa norma vada coordinata con gli artt. 86 e 87 del d.lgs. n. 163/2006, i quali contengono disposizioni di maggiore dettaglio. 2.1.8. Il motivo in questione, quindi, va respinto.
...
2.2.2. É privo di pregio anche l’ulteriore profilo dedotto nell’ambito del
secondo motivo (relativo ad asseriti vizi e omissioni attinenti alle giustificazioni presentate dalla Se. S.r.l., dalle quali l’Amministrazione avrebbe dovuto desumere l’anomalia dell’offerta). 2.2.2.1. Orbene, in tema di valutazione dell’anomalia dell’offerta e del relativo procedimento di verifica (che costituisce l’oggetto della censura in esame) la giurisprudenza ha affermato che si tratta di un procedimento che non ha carattere sanzionatorio e non ha per oggetto la ricerca di specifiche e singole inesattezze dell’offerta economica, mirando piuttosto ad accertare se in concreto l’offerta, nel suo complesso, sia attendibile e affidabile in relazione alla corretta esecuzione dell’appalto; il procedimento di verifica dell’anomalia, in altri termini, è volto a garantire e tutelare l’interesse pubblico concretamente perseguito dall’amministrazione attraverso la procedura di gara per la effettiva scelta del miglior contraente possibile ai fini dell’esecuzione dell’appalto (ex multis, C.d.S., Sez. III, n. 6442/2012; Sez. IV, n. 2956/2013; Sez. V, n. 973/2013, n. 2063/2013 e n. 4516/2014); ne consegue che l’esclusione dalla gara dell’offerente per l’anomalia della sua offerta è l’effetto della valutazione (operata dall’amministrazione appaltante) di complessiva inadeguatezza della stessa rispetto al fine da raggiungere (TAR Lombardia-Milano, Sez. I,
sentenza 11.02.2015 n. 443 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
LAVORI PUBBLICI - SICUREZZA LAVORO:
P. Stoja,
Individuazione di obblighi e responsabilità penale
in tema di sicurezza sul lavoro nell’ambito degli
appalti pubblici: aspetti problematici (03.02.2015
- tratto da www.giustizia.lazio.it). |
gennaio 2015 |
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APPALTI - ATTI AMMINISTRATIVI:
Diritto di accesso ad atti contenenti dati reddituali.
Necessità di notifica ai controinteressati.
1) I concorrenti ad una procedura
concernente l'affidamento di un servizio civico hanno il
diritto di accedere agli atti della graduatoria contenente
anche informazioni sul reddito dei partecipanti.
2) In conformità all'orientamento giurisprudenziale
formatosi con riferimento a procedure concorsuali/selettive,
sembra potersi ritenere che i concorrenti collocati nella
graduatoria non debbano essere qualificati quali
controinteressati nei cui confronti compiere la notifica
prescritta dalla legge.
Il Comune riferisce di avere ricevuto istanza per l'accesso
agli atti di una graduatoria, contenente anche informazioni
sul reddito dei partecipanti, predisposta dall'Ente a
seguito di un procedimento concernente l'affidamento di un
servizio civico. [1]
Tale richiesta è stata avanzata da un concorrente allo
stesso procedimento. L'Ente chiede se su tali dati possa
essere garantito il diritto di accesso e se sia necessario
informare di un tanto tutti i partecipanti alla procedura.
In termini generali, si osserva che l'articolo 22, comma 1,
della legge 07.08.1990, n. 241, precisa, alla lettera a),
che per 'diritto di accesso' si intende il «diritto
degli interessati di prendere visione e di estrarre copia di
documenti amministrativi» e, alla lettera b), che per 'interessati'
debbano intendersi «tutti i soggetti privati, compresi
quelli portatori di interessi pubblici o diffusi, che
abbiano un interesse diretto, concreto e attuale,
corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata e
collegata al documento al quale è chiesto l'accesso».
Al fine del riconoscimento dell'interesse giuridicamente
rilevante, il soggetto deve dimostrare, all'atto della
richiesta, la correlazione esistente tra la propria
situazione giuridica soggettiva e l'interesse alla
conoscenza del bene o della vicenda oggetto dell'atto o del
documento amministrativo di cui chiede visione o copia.
[2]
Si precisa, inoltre, che la giurisprudenza, nel delineare
l'interesse legittimante il diritto di accesso, ha chiarito,
da un lato, che lo stesso deve essere accertato caso per
caso e deve essere personale e concreto, serio, non
emulativo, non riconducibile a mera curiosità
[3] e
ricollegabile al soggetto stesso da uno specifico nesso e,
dall'altro, che la documentazione richiesta deve essere
direttamente riferibile a tale interesse.
[4] Inoltre si è
affermato che la situazione giuridicamente rilevante si
configura come nozione diversa e più ampia rispetto
all'interesse all'impugnativa e non presuppone
necessariamente una posizione soggettiva qualificabile in
termini di diritto soggettivo o di interesse legittimo.
[5]
Nella fattispecie dell'accesso ai documenti relativi alle
procedure concorsuali, la giurisprudenza,
[6] secondo un
orientamento costante, ha precisato che il candidato che
partecipa alla medesima è titolare di un interesse
qualificato e differenziato alla regolarità della procedura
che, come tale, concretizza quell'interesse personale e
concreto per la tutela di situazioni giuridicamente
rilevanti, richiesto dall'articolo 22 della legge 241/1990,
quale presupposto necessario per il riconoscimento del
diritto di accesso.
Con riferimento all'accesso a procedure concorsuali, si è
affermato, in via di principio, che le domande ed i
documenti prodotti dai candidati costituiscono documenti
rispetto ai quali deve essere esclusa in radice l'esigenza
di riservatezza a tutela di terzi, posto che i concorrenti,
prendendo parte alla selezione, hanno evidentemente
acconsentito a misurarsi in una competizione di cui la
comparazione dei valori di ciascuno costituisce l'essenza
della valutazione. [7]
La Commissione per l'accesso ai documenti amministrativi ha,
al riguardo, evidenziato che: 'L'amministrazione non può
oscurare i dati personali [8]
delle domande di partecipazione degli altri concorrenti
utilmente graduati, non sussistendo alcuna esigenza di
tutela della riservatezza, dal momento che i concorrenti,
prendendo parte alla selezione pubblica, hanno
implicitamente accettato che i loro dati personali, esposti
nei documenti della procedura stessa, potessero essere resi
conoscibili da tutti gli altri concorrenti a ciò interessati'.
[9]
Ravvisata l'esistenza del diritto all'accesso da parte del
concorrente agli atti relativi alla procedura concorsuale di
che trattasi, il Comune deve valutare, sulla base delle
motivazioni addotte a sostegno della richiesta, se
consentire l'accesso ai documenti concernenti l'intera
graduatoria o solo quella parte relativa ai nominativi dei
candidati collocatisi prima del soggetto richiedente
l'accesso. [10]
Passando a trattare dello specifico aspetto della necessità
o meno, per la Pubblica Amministrazione, di previa notifica
ai controinteressati dell'avvenuta richiesta di accesso,
[11] si
osserva, innanzitutto, che per controinteressati si
intendono 'tutti i soggetti, individuati o facilmente
individuabili in base alla natura del documento richiesto,
che dall'esercizio dell'accesso vedrebbero compromesso il
loro diritto alla riservatezza' (articolo 22, comma 1,
lett. c), legge 241/1990). Tale comunicazione è funzionale
alla possibilità, per gli stessi, di presentare una motivata
opposizione alla richiesta di accesso. [12]
Si osserva come la Commissione per l'accesso ai documenti
amministrativi abbia affermato che: 'In linea generale,
la posizione di controinteressato in materia di accesso non
va ancorata al solo dato formale della menzione di tale
soggetto negli atti e nei documenti cui si riferisce
l'accesso oppure al dato estrinseco che gli atti e i
documenti medesimi riguardino tale soggetto, ma anche al
dato sostanziale della serietà e meritevolezza di tutela nel
merito della posizione del controinteressato all'accesso,
nel senso che occorre valutare la sussistenza della
fondatezza di un'eventuale opposizione da parte di
quest'ultimo soggetto. [...]'. [13]
Anche la giurisprudenza, [14]
nell'affermare che 'la posizione di controinteresse deve
essere rigorosamente intesa al fine di bilanciare le
esigenze di difesa del soggetto contemplato in un documento
di cui è stata chiesta l'esibizione, con quelle di
trasparenza e buona amministrazione cui è preordinato l'art.
25 l. n. 241 del 1990', prosegue affermando che: 'Pertanto,
non possono essere considerati controinteressati, in un
giudizio instaurato ai sensi della suddetta disposizione, i
soggetti, anche se contemplati negli atti e documenti
richiesti, i quali non siano portatori di un effettivo
diritto alla riservatezza e che quindi non possono essere
comunque danneggiati, sotto tale profilo, dall'ostensione
dei documenti suddetti; si può ritenere escluso il limite
della riservatezza in base alla considerazione che i
documenti per i quali si chiede l'accesso (pubblicazioni,
titoli, "curricula" e "lucidi" acquisiti in sede d'esame
della Commissione) sono, per loro natura, pubblici in quanto
relativi ad una attività di valutazione di tipo comparativo
nell'ambito di una procedura "lato sensu" "concorsuale".
Sebbene l'orientamento giurisprudenziale sopra citato si sia
formato con riferimento a procedure concorsuali diverse da
quella in esame, sembra potersi ritenere che i concorrenti
collocati nella graduatoria in oggetto non debbano essere
qualificati quali controinteressati nei cui confronti
compiere la notifica prescritta dalla legge, considerato che
gli stessi, decidendo di prendere parte alla selezione,
hanno acconsentito a misurarsi in una sorta di competizione
di cui la comparazione dei valori di ciascuno costituisce
l'essenza. Tali atti, una volta acquisiti alla procedura
sarebbero, pertanto, usciti dalla sfera personale dei
partecipanti per essere messi a disposizione del Comune ai
fini dell'effettuazione di quella necessaria valutazione
comparativa prodromica alla successiva individuazione dei
soggetti cui attribuire lo svolgimento della specifica
attività indicata nel bando.
---------------
[1] Si trattava, in particolare, di un bando per il
servizio civico di scodellamento pasti con il quale il
Comune ha promosso la valorizzazione delle potenzialità
delle persone escluse dai processi produttivi. In
particolare, il bando era volto a selezionare determinati
soggetti, in possesso di specifici requisiti di età,
reddituali e di idoneità psico-fisica.
[2] Cfr. Consiglio di Stato, Sezione IV, sentenza del
30.11.2009, n. 7486, secondo cui 'l'interesse giuridicamente
rilevante del soggetto che richiede l'accesso non solo non
deve necessariamente consistere in un interesse legittimo o
in un diritto soggettivo, dovendo solo essere giuridicamente
tutelato, purché non si tratti del generico ed indistinto
interesse di ogni cittadino al buon andamento dell'attività
amministrativa, ma deve anche sussistere un rapporto di
strumentalità tra tale interesse e la documentazione di cui
si chiede l'ostensione. Questo rapporto di strumentalità va
inteso in senso ampio, ossia in modo che la documentazione
richiesta sia mezzo utile per la difesa dell'interesse
giuridicamente rilevante e non strumento di prova diretta
della lesione di tale interesse. Pertanto, l'interesse
all'accesso ai documenti deve essere considerato in
astratto, escludendo che la legittimazione all'accesso possa
essere valutata facendo riferimento alla legittimazione
della pretesa sostanziale sottostante, avendo consistenza
autonoma, indifferente allo scopo ultimo per cui viene
esercitata'.
[3] Cfr. Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza del
12.10.2010, n. 7446.
[4] Cfr. TAR Lazio, Roma, sez. II, sentenza del 16.11.2005,
n. 1138.
[5] Cfr. TAR Lazio, Roma, sez. I ter, sentenza del
27.07.2009, n. 7550.
[6] TAR Calabria, Catanzaro, sez. II, sentenza del
05.08.2013, n. 861, TAR Campania, Salerno, sez. II, sentenza
del 24.06.2013, n. 1408, TAR Lazio, Roma, sez. II, sentenza
del 24.10.2012, n. 8772, TAR Lazio-Roma, sez. III, sentenza
dell'08.07.2008, n. 6450.
[7] Commissione per l'accesso ai documenti amministrativi,
decisione del 12.10.2010.
[8] Si segnala che le notizie relative al reddito della
persona fisica sono considerate dati personali ai sensi
dell'articolo 4, comma 1, lettera b), del D.Lgs. 30.06.2003,
n. 196 (Codice in materia di protezione dei dati personali),
ma non sono dati sensibili.
[9] Commissione per l'accesso ai documenti amministrativi,
parere espresso nella seduta del 20.07.2011.
[10] Afferma TAR Puglia, Lecce, sez. II, sentenza del
28.06.2011, n. 1194 che: 'È sicuramente ammissibile
l'accesso a documenti attinenti ad un concorso a pubblici
impieghi ove miri a verificare come sono stati valutati i
titoli dei candidati che precedono l'istante in graduatoria,
essendo ravvisabile un interesse diretto, concreto ed
attuale (corrispondente ad una situazione giuridicamente
tutelata) che non ha certo lo scopo di un controllo
generalizzato, bensì quello di verificare la legittimità
della graduatoria in relazione ai soggetti che precedono
l'istante'. Nello stesso senso si è espressa la Commissione
per l'accesso ai documenti amministrativi nella seduta del
12.10.2010 ove si afferma che: 'Deve essere consentito di
accedere ai documenti relativi ai titoli e ai punti
assegnati ai candidati che precedono in graduatoria
l'accedente. [...]'.
[11] In conformità al disposto di cui all'articolo 3, comma
1, del D.P.R. 12.04.2006, n. 184 il quale recita: 'Fermo
quanto previsto dall'articolo 5, la pubblica amministrazione
cui è indirizzata la richiesta di accesso, se individua
soggetti controinteressati, di cui all'articolo 22, comma 1,
lettera c), della legge, è tenuta a dare comunicazione agli
stessi, mediante invio di copia con raccomandata con avviso
di ricevimento, o per via telematica per coloro che abbiano
consentito tale forma di comunicazione. I soggetti
controinteressati sono individuati tenuto anche conto del
contenuto degli atti connessi, di cui all'articolo 7, comma
2'.
[12] Articolo 3, comma 2, del D.P.R. 184/2006 il quale
recita: 'Entro dieci giorni dalla ricezione della
comunicazione di cui al comma 1, i controinteressati possono
presentare una motivata opposizione, anche per via
telematica, alla richiesta di accesso. Decorso tale termine,
la pubblica amministrazione provvede sulla richiesta,
accertata la ricezione della comunicazione di cui al comma
1'.
[13] Commissione per l'accesso ai documenti amministrativi,
parere del 06.04.2011.
[14] TAR Puglia, Bari, sez. I, sentenza del 05.12.2002, n.
5428. Si veda, anche, TAR Puglia, Bari, sez. III, sentenza
dell'11.12.2014, n. 1532, TAR Lazio, Roma, sez. I-ter,
sentenza del 03.06.2011, n. 5010 e sez. III, sentenza
dell''08.07.2008, n. 6450, nelle quali vengono peraltro
fatte salve 'effettive esigenze di tutela del titolare della
sfera riservata vulnerabile, da valutarsi in concreto'. In
relazione al caso in esame, si ribadisce che i dati relativi
al reddito e alla situazione patrimoniale non hanno natura
sensibile, atteso che non rientrano nell'elencazione di cui
all'art. 4, comma 1, lett. d), del D.Lgs. 196/2003
(22.01.2015 -
link a
www.regione.fvg.it). |
APPALTI FORNITURE E SERVIZI:
L’elemento che differenzia il rinnovo del
contratto dalla proroga sta nella circostanza che mentre il
rinnovo presuppone una rinegoziazione delle condizioni, la
proroga si riduce soltanto ad un mero differimento
temporale.
Di fronte all’approvazione di una proroga di un contratto
ritenuta dal privato non corrispondente all’offerta
presentata, questi ha piena libertà di rifiutare la
prestazione e cessare il servizio, né l’Amministrazione
potrebbe avvalersi di strumenti coercitivi per imporgli la
prosecuzione, se non il condizionamento, di natura
esclusivamente economica, verso la sottoscrizione del nuovo
contratto, che, tuttavia, rientra nella dialettica
procedimentale tra stazione appaltante e prestatore di
servizi, e non si traduce in un vizio di legittimità
dell’azione amministrativa.
L’appello è infondato e deve pertanto essere respinto.
Le censure dedotte dalla società appellante non scalfiscono
la legittimità del provvedimento impugnato.
Infatti, i profili di censura dedotti sono riconducibili
all’affermazione dell’illegittimità di una proroga del
contratto parziale e non corrispondente a quanto era stato
offerto dalla società.
Il Collegio osserva che l’esistenza di una offerta
contrattuale difforme, non impediva alla ASL di disporre un
affidamento contrattuale (correttamente, il TAR ha rilevato
come l’elemento che differenzia il rinnovo del contratto
dalla proroga sta nella circostanza che mentre il rinnovo
presuppone una rinegoziazione delle condizioni, la proroga
si riduce soltanto ad un mero differimento temporale - cfr.
Cons. Stato, III, nn. 2682/2012 e 1687/2012). Semmai,
l’affidamento poteva incontrare profili di criticità in
relazione alle norme dell’evidenza pubblica (ed alla
sussistenza dei presupposti per l’affidamento senza gara),
ma tali profili non sono stati minimamente accennati dalla
ricorrente.
Di fronte all’approvazione di una “proroga” (ormai,
rectius: di un “affidamento”) di un contratto
ritenuta non corrispondente all’offerta presentata, la
società aveva invece piena libertà di rifiutare la
prestazione e cessare il servizio; e la ASL non avrebbe
avuto strumenti coercitivi per imporgli la prosecuzione (il
richiamo, nell’appello, all’ingiustificata utilizzazione del
principio di vincolatività dell’offerta, ex art. 11 del
d.lgs. 163/2006, è evidentemente un fuor d’opera).
I fatti dimostrano che vi è stata una rinegoziazione (sia
pure, con esito contestato), o quanto meno l’accettazione
del contratto, che è stato stipulato, anche se con riserva
degli esiti del contenzioso già instaurato: ma ciò
significava soltanto la non acquiescenza o non rinuncia alle
pretese azionate in giudizio; e che la prestazione è stata
eseguita (a quanto sembra, vi sono state poi ulteriori
proroghe del servizio, così ridotto nel contenuto; in ogni
caso, è della legittimità del provvedimento, e non della
successiva esecuzione contrattuale che si discute).
Allo stesso modo, non rileva se l’offerta della società,
disattesa, riguardasse esclusivamente la proroga dell’intero
servizio, ovvero comprendesse la possibilità di scinderne
alcune parti; la questione, sollevata dalla ASL (che ne ha
argomentato la corrispondenza tra offerta e provvedimento
impugnato), è stata oggetto di replica dell’appellante
(replica che sembra fondata, dato che la nota in data
21.12.2010 contenente l’offerta si riferisce alla “proroga
del contratto in essere in scadenza”, e solo dopo
dettaglia i costi in relazione ai distinti servizi), ma
appare irrilevante ai fini della legittimità del
provvedimento impugnato.
Il condizionamento (l’aut aut, come lamenta l’appellante)
verso la sottoscrizione del nuovo contratto, se c’era
(l’appellante, pur affermando che la limitazione delle
prestazioni ha fatto saltare l’equilibrio economico, non lo
dimostra con riferimenti oggettivi), era di natura
esclusivamente economica, ma ciò rientra nella dialettica
procedimentale tra stazione appaltante e prestatore di
servizi, e non si traduce in un vizio di legittimità
dell’azione amministrativa.
Non vi è comunque violazione della buona fede e correttezza
negoziale, perché non risulta che la ASL abbia mai suscitato
la nascita di un affidamento in ordine alla prosecuzione del
contratto a condizioni inalterate, e comunque sussistevano
oggettivi ragioni per disporre una continuazione limitata
nelle more della definizione di diverse e più razionali
modalità di gestione complessiva del servizio.
In sostanza, mentre dapprima il servizio comportava la
raccolta delle cartelle cliniche presso i presidi
ospedalieri ed il trasporto presso il magazzino/archivio
della società, in seguito avrebbe comportato soltanto la
conservazione delle cartelle esistenti in archivio e non
invece il prelievo di nuove cartelle dai presidi (in quanto
ormai destinate ad essere archiviate presso strutture
apprestate dalle ASL), né quello di descaffalazione delle
cartelle medesime per il trasferimento in una nuova sede
(presso le ASL) con fornitura delle scatole (la ASL
sottolinea che si riservava di esaminarlo successivamente,
una volta attivato il nuovo archivio).
La pretesa risarcitoria cade insieme alla domanda di
annullamento del provvedimento impugnato, non trovando nel
mero comportamento della ASL alcun autonomo alternativo
fondamento. Ciò, a prescindere dalla mancata dimostrazione
del danno subito (può peraltro dubitarsi che la
continuazione del solo servizio di custodia delle cartelle
archiviate presso il proprio magazzino, risulti per la
società non remunerativo) (massima tratta da
http://renatodisa.com
- Consiglio di
Stato, Sez. III,
sentenza 20.01.2015, n. 159 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Sulla vexata
quaestio circa l'indicazione, a pena di esclusione,
degli oneri relativi alla sicurezza in maniera analitica sin
dal momento della presentazione delle offerte.
Deve rimettersi all’Adunanza Plenaria la soluzione della
questione preliminare relativa all’estensione dell’articolo
87, comma 4, del codice dei contratti pubblici anche ai
contratti relativi a lavori pubblici.
Si chiede all’Adunanza Plenaria di
verificare
1) se, in ogni caso, la sanzione dell’esclusione debba
essere comminata anche laddove l’obbligo di specificazione
degli oneri non sia stato prescritto dalla normativa di
gara; e
2) se, ai fini della soluzione, possa avere rilievo la
peculiarità della fattispecie, data dalla circostanza che
viene in rilievo un appalto integrato, caratterizzato
dall’affidamento congiunto della progettazione esecutiva e
dell’esecuzione dei lavori sulla scorta di un progetto
definitivo predisposto dalla stazione appaltante.
4. Ritiene la Sezione che il presente giudizio imponga
l’esame di questioni di diritto che meritano, ai sensi
dell’art. 99 del codice del processo amministrativo, di
essere deferite all’esame dell’Adunanza Plenaria in ragione
dei contrasti interpretativi emersi e dell’importanza dei
principi di diritto in rilievo.
4.1. La fondamentale vexata quaestio attiene alla
corretta interpretazione del disposto dell’art. 87, comma 4,
del codice dei contratti pubblici, che il Primo Giudice
individua come norma da cui discende l’obbligo, per le
imprese partecipanti, di indicare, a pena di esclusione, gli
oneri relativi alla sicurezza in maniera analitica sin dal
momento della presentazione delle offerte.
4.2. E’ in via preliminare necessario specificare che
esistono due tipologie di costi relativi alla sicurezza,
vale a dire quelli da interferenze e quelli interni o
aziendali. La precisazione è fondamentale nella presente
fattispecie, dato che l’estromissione dalla gara
dell’appellante Cogienne è stata disposta proprio per la
mancata indicazione dei costi della seconda categoria.
Volendo tracciare le caratteristiche fondamentali di
ciascuna specie di costi, si osserva quanto ai primi,
contemplati dagli artt. 26, commi 3-3ter-5, del D.Lgs. n.
81/2008, 86, comma 3-ter, 87, commi 4 e 131 del Codice dei
Contratti, che essi:
- servono a eliminare i rischi da interferenza, intesa come
contatto rischioso tra il personale del committente e quello
dell’appaltatore, oppure tra il personale di imprese diverse
che operano nella stessa sede aziendale con contratti
differenti;
- sono quantificati a monte dalla stazione appaltante, nel
D.U.V.R.I (documento unico per la valutazione dei rischi da
interferenze, art. 26 D.Lgs. n. 81/2008); per gli appalti di
lavori nel PSC (piano di sicurezza e coordinamento, art. 100
D.Lgs. n. 81/2008);
- non sono soggetti a ribasso, perché ontologicamente
diversi dalle prestazioni stricto sensu oggetto di
affidamento
In relazione agli oneri di sicurezza interni o aziendali,
invece, si precisa che essi sono quelli propri di ciascuna
impresa connessi alla realizzazione dello specifico appalto,
sostanzialmente contemplati dal DVR, documento di
valutazione dei rischi. Ad essi fanno riferimento l’art. 26,
comma 3, quinto periodo, del D.Lgs. n. 81/2008 e gli artt.
86, comma 3-bis, e 87, comma 4, secondo periodo, del Codice
dei Contratti Pubblici.
Questi ultimi oneri sono soggetti a un duplice obbligo in
capo all’amministrazione e all’ impresa concorrente.
Per ciò che concerne la stazione appaltante, gli artt. 86,
comma 3-bis, e 87, comma 4, del codice dei contratti
pubblici si riferiscono necessariamente agli oneri di
sicurezza aziendali, visto che prendono in considerazione
eventuali anomalie delle offerte e giudizi di congruità
incompatibili con i costi di sicurezza da interferenze,
fissi e non soggetti a ribasso. Ne deriva che per tali oneri
la valutazione che si impone all’amministrazione non è la
relativa predeterminazione rigida ma il dovere di stimarne
l’incidenza, secondo criteri di ragionevolezza e di
attendibilità generale, nella determinazione di quantità e
valori su cui calcolare l’importo complessivo dell’appalto.
Quanto alle imprese che partecipano alle gare, invece, esse
devono specificamente indicare gli oneri di sicurezza
aziendali, dato che trattasi di valutazioni soggettive
rimesse alla loro esclusiva sfera valutativa. Tale tipologia
di oneri, infatti, varia da un’impresa all’altra ed è
influenzata dalla singola organizzazione produttiva e dal
tipo di offerta formulata da ciascuna impresa.
4.3. Tanto premesso, occorre verificare se l’articolo 87,
comma 4, riferito agli oneri di sicurezza aziendali, sia
prescrizione di respiro universale ovvero norma relativa ai
soli appalti di servizi e di forniture, cui si riferisce
espressamente l’inciso finale con il rinvio “all’entità e
alle caratteristiche dei servizi o delle forniture”. Le
criticità che hanno caratterizzato il percorso
giurisprudenziale si annidano nella contraddittorietà che,
in apparenza, connota la terminologia utilizzata dal
Legislatore nel quarto comma dell’art. 87 del Codice degli
Appalti. La norma, infatti, recita: “Non sono ammesse
giustificazioni in relazione agli oneri di sicurezza in
conformità all'articolo 131, nonché al piano di sicurezza e
coordinamento di cui all'articolo 12, decreto legislativo 14
agosto 1996, n. 494 e alla relativa stima dei costi conforme
all'articolo 7, decreto del Presidente della Repubblica 3
luglio 2003, n. 222. Nella valutazione dell'anomalia la
stazione appaltante tiene conto dei costi relativi alla
sicurezza, che devono essere specificamente indicati
nell'offerta e risultare congrui rispetto all'entità e alle
caratteristiche dei servizi o delle forniture”.
Orbene, dalla lettura della disposizione si ricava che
mentre il primo periodo ribadisce per tutti gli appalti che
gli oneri della sicurezza non sono soggetti a ribasso d’asta
e devono essere conformi al piano di sicurezza e
coordinamento, il secondo periodo precisa, facendo
riferimento esplicito questa volta solo ai settori dei
servizi e delle forniture, che l’indicazione relativa ai
costi della sicurezza deve essere sorretta da caratteri di
specificità e di congruità ai fini della valutazione
dell’anomalia dell’offerta.
4.4. A fronte dell’ambiguità della sopra riportata
disposizione sono maturate due differenti opzioni
interpretative.
4.4.1.Secondo una prima lettura, di matrice estensiva, la
ratio della norma, che impone ai concorrenti di indicare
già nell’offerta l’incidenza degli oneri di sicurezza
aziendali, risponde a finalità di di tutela della sicurezza
dei i lavoratori e, quindi, a valori sociali e di rilievo
costituzionale che assumono rilievo anche nel settore dei
lavori pubblici. Anzi, proprio in quest’ultimo settore il
ripetersi di infortuni gravi, dovuto all’utilizzo di
personale non sempre qualificato, porta a ritenere che
l’obbligo di indicare sin dall’offerta detti oneri debba
valere ed essere apprezzato con particolare rigore. Inoltre,
depone in tal senso anche la collocazione sistematica della
norma citata, che è appunto inserita nella parte del Codice
dedicata ai “Contratti pubblici relativi a lavori,
servizi e forniture” (Cons. Stato, sez. III, 05.10.2011,
n. 5421; sez. V, 19.07.2013, n. 3929).
Si è poi osservato (Cons. Stato, sez. III, 03.07.2013, n.
3565) che “tale indicazione costituisce sia nel comparto
dei lavori che in quelli dei servizi e delle forniture un
adempimento imposto dagli artt. 86, comma 3-bis, e 87, comma
4, d.lgs. 12.04.2006 n. 163 all'evidente scopo di consentire
alla stazione appaltante di adempiere al suo onere di
verificare il rispetto di norme inderogabili a tutela dei
fondamentali interessi dei lavoratori in relazione
all'entità ed alle caratteristiche del lavoro, servizio o
fornitura da affidare; stante la natura di obbligo legale
rivestita dall'indicazione, è irrilevante la circostanza che
la lex specialis di gara non abbia richiesto la medesima
indicazione, rendendosi altrimenti scusabile una ignorantia
legis; poiché la medesima indicazione riguarda l'offerta,
non può ritenersene consentita l'integrazione mediante
esercizio del potere/dovere di soccorso da parte della
stazione appaltante, ex art. 46 comma 1-bis, cit. d.lgs. n.
163 del 2006, pena la violazione della par condicio tra i
concorrenti”.
4.4.2. Tuttavia, recentemente, la giurisprudenza
amministrativa (in particolare Cons. Stato, sez. V,
07.05.2014, n. 2343; 09.10.2013, n. 4964) ha fornito una
lettura diversa della norma, ritenendo che l’obbligo di
indicare nell’offerta gli oneri di sicurezza aziendali
riguardi solo gli appalti di servizi o di forniture in
ragione della “speciale disciplina normativa riservata
agli appalti di lavori, che appunto si connota per l’analisi
preventiva dei costi della sicurezza aziendale, che sua vota
si spiega alla luce della maggiore rischiosità insita nella
predisposizione di cantieri”. Seguendo questa linea
interpretativa, si giunge ad affermare che “l’obbligo di
dichiarare, a pena di esclusione, i costi per la sicurezza
interna previsto dall’art. 87, comma 4, d.lgs. n. 163/2006
si applica alle sole procedure di affidamento di forniture e
di servizi. Per i lavori, al contrario, la quantificazione è
rimessa al piano di sicurezza e coordinamento ex art. 100
d.lgs. n. 81/2008, predisposto dalla stazione appaltante ai
sensi dell’art. 131 cod. contratti pubblici”.
Secondo questo approccio ermeneutico non può trascurarsi che
è comunque obbligatoria la valutazione, ai fini della
congruità dell’offerta, del costo del lavoro e della
sicurezza in forza del comma 3 bis dell’art. 86 del Codice
secondo cui: “…nella valutazione dell’anomalia delle
offerte nelle procedure di affidamento di appalti di lavori
pubblici, di servizi e di forniture, gli enti aggiudicatori
sono tenuti a valutare che il valore economico sia adeguato
e sufficiente rispetto al costo del lavoro e al costo
relativo alla sicurezza, il quale deve essere specificamente
indicato e risultare congruo rispetto all’entità e alle
caratteristiche dei lavori, dei servizi o delle forniture”.
In questa disposizione il Legislatore ha espressamente
indicato tutte le possibili tipologie di appalti pubblici,
compresi i lavori, per cui si deve opinare, a contrario,
che, non avendo utilizzato la medesima locuzione estensiva
nel comma 4 dell’art. 87, tale ultima norma va riferita ai
soli contratti pubblici presi espressamente in
considerazione, ossia quelli aventi ad oggetto servizi e
forniture.
4.5. Alla luce di tali contrasti deve
quindi rimettersi all’Adunanza Plenaria la soluzione della
questione preliminare relativa all’estensione dell’articolo
87, comma 4, del codice dei contratti pubblici anche ai
contratti relativi a lavori pubblici.
Si chiede all’Adunanza Plenaria di
verificare se, in ogni caso, la sanzione dell’esclusione
debba essere comminata anche laddove l’obbligo di
specificazione degli oneri non sia stato prescritto dalla
normativa di gara; e se, ai fini della soluzione, possa
avere rilievo la peculiarità della fattispecie, data dalla
circostanza che viene in rilievo un appalto integrato,
caratterizzato dall’affidamento congiunto della
progettazione esecutiva e dell’esecuzione dei lavori sulla
scorta di un progetto definitivo predisposto dalla stazione
appaltante
(Consiglio di Stato, Sez. V,
ordinanza 16.01.2015 n. 88 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Il principio di tassatività delle cause di
esclusione ex art. 46, c. 1-bis, del D.Lgs. n. 163/2006, si
applica anche alle concessioni di servizi.
Il solo parametro per valutare la legittimità delle
ammissioni/esclusioni dalle procedure selettive pubbliche è
dato dall' art. 46, c. 1-bis, del D.Lgs. n. 163/2006.
Il principio di tassatività delle cause di esclusione,
disposto dall'art. 46, c. 1-bis, del D.Lgs. n. 163/2006
(introdotto dall'art. 4, c. 2, lett. d), n. 2), D.L.
13.05.2011, n. 70, conv., con modif., dalla L. 12.07.2011,
n. 106), si applica anche alle concessioni di servizi di cui
all'art. 30 Codice Appalti, quale principio fondamentale
generale relativo ai contratti pubblici e costituisce
specificazione dei principi di massima partecipazione e di
proporzionalità, talché la sua estensione alla materia delle
concessioni trova esplicito fondamento nell'art. 30, c. 3,
del D.Lgs. n. 163/2006.
Diversamente opinando, si giungerebbe ad un'ingiustificata
divaricazione del regime da seguire nella gare per
l'affidamento di appalti ed in quelle per l'affidamento di
concessioni di servizi.
---------------
La giurisprudenza ha chiarito che l'art. 46, c. 1-bis,
D.Lgs. n. 163/2006 "ha previsto la tassatività delle
cause di esclusione, disponendo che la stazione appaltante
può escludere i candidati o i concorrenti solo in caso di
mancato adempimento alle prescrizioni previste dal codice e
dal regolamento e da altre disposizioni di legge vigenti,
nonché nei casi di incertezza assoluta sul contenuto o sulla
provenienza dell'offerta, per difetto di sottoscrizione o di
altri elementi essenziali ovvero in caso di non integrità
del plico contenente l'offerta o la domanda di
partecipazione o altre irregolarità relative alla chiusura
dei plichi, tali da far ritenere, secondo le circostanze
concrete, che sia stato violato il principio di segretezza
delle offerte; ma i bandi e le lettere di invito non possono
contenere ulteriori prescrizioni a pena di esclusione".
La stessa disposizione normativa, poi, stabilisce, altresì,
che (inciso finale) "Dette prescrizioni sono, comunque,
nulle". Inoltre, è principio giurisprudenziale altrettanto
pacifico che "le norme che disciplinano i requisiti
soggettivi di partecipazione alle gare pubbliche vanno
interpretate nel rispetto dei principi di tipicità e
tassatività delle ipotesi di esclusione. Questo orientamento
ha recentemente trovato una puntuale traduzione normativa
con il nuovo c. 1-bis dell'art. 46 d.lgs. 12.04.2006. n.
163, introdotto dall'art. 4 del d.l. 13.05.2011, n. 70".
Pertanto, il solo parametro per valutare la legittimità
delle ammissioni/esclusioni dalle procedure selettive
pubbliche è dato dal citato art. 46, c. 1-bis, risultando
l'esclusione legittima solo se ivi rinvenga copertura.
Conseguentemente, da un lato, in tanto l'esclusione è
legittima (e doverosa), in quanto trovi copertura nell'art.
46, c. 1-bis citato (e anche quando la legge di gara si
spinga, illegittimamente, a negare espressis verbis
la conseguenza espulsiva); dall'altro, tutte le volte in cui
non trovi fondamento nel menzionato paradigma normativo,
l'esclusione è illegittima anche quando (illegittimamente)
prevista nella lex specialis, affetta sul punto da
nullità testuale (art. 46, c. 1-bis, inciso finale) e
parziale (in applicazione analogica dell'art. 1419 c.2 del
codice civile) (TAR Puglia-Lecce, Sez. III,
sentenza 07.01.2015 n. 18 - link a
www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI:
Sull'inosservanza dell'obbligo dichiarativo di
assenza di pregiudizi penali in capo alla società cedente
art. 38 del d.lgs. n. 163/2006.
L'omessa dichiarazione di assenza di pregiudizi penali in
capo alla società cedente ex art. 38 del d.lvo n. 163/2006,
comporta automaticamente l'esclusione dalla gara solo se
espressamente prevista nel bando o se, in ogni caso, vi sia
la prova che gli amministratori (anche cessati nel triennio,
ora nell'anno antecedente la presentazione della
dichiarazione) per i quali sia stata omessa la dichiarazione
hanno in concreto riportato pregiudizi penali non dichiarati
nella presentazione dell'offerta.
Con il d.l. 24.06.2014, n. 90 (recante Misure urgenti per la
semplificazione e la trasparenza amministrativa e per
l'efficienza degli uffici giudiziari), conv. in l., con
modif., dall'art. 1, c. 1, della l. 11.08.2014, n. 114, il
legislatore sembra addirittura superare espressamente
l'interpretazione giurisprudenziale più rigorista che
riteneva legittima l'esclusione a fronte dell'omessa
allegazione della documentazione sul possesso dei requisiti
di idoneità morale; l'art. 39 del decreto sopra citato,
aggiungendo il c. 2-bis all'art. 38 del d.lgs. cit.,
infatti, prevede che, in caso di incompletezza delle
dichiarazioni, vi sia soltanto una penale in favore della
stazione appaltante, la quale assegna al concorrente un
termine, che non deve essere superiore ai dieci giorni,
affinché siano integrate le dichiarazioni necessarie.
Nel caso in cui, invece, le irregolarità non siano
essenziali, la stazione appaltante non ne deve richiedere
nemmeno la regolarizzazione. Pertanto, anche secondo le
scelte del legislatore più recente sembra confermato il
venir meno del principio dell'esclusione automatica dalla
gara.
Rimane, dunque, applicabile il principio ormai consolidato
in giurisprudenza secondo cui l'inosservanza dell'obbligo
dichiarativo di cui all'art. 38 del d.lgs. cit. sugli
amministratori dell'impresa dalla quale si è ottenuto la
disponibilità dell'azienda (in particolare nel caso in cui
si tratti di affitto d'azienda), può portare all'esclusione
del concorrente dalla gara solo se così prevede il bando
ovvero, in caso contrario, se risultino in concreto
pregiudizi penali a carico degli amministratori della
società locatrice (Consiglio di Stato, Sez. VI,
sentenza 05.01.2015 n. 18 - link a
www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI:
Convenzioni per la gestione in forma associata di
funzioni e attività relative all’acquisizione di lavori,
beni e servizi.
L'ufficio lavori pubblici urbanistica edilizia dell'ANCI ha
predisposto una "guida" ed uno
"schema di convenzione" (gennaio
2015 - tratto da www.segretaricomunalivighenzi.it). |
anno 2014 |
|
dicembre 2014 |
|
APPALTI - PUBBLICO IMPIEGO:
Non può essere riconosciuto alcun emolumento aggiuntivo ai
componenti della S.u.a. (Stazione unica appaltante).
Per i pubblici dipendenti vige il principio
dell'onnicomprensività della retribuzione ai sensi degli
artt. 2, 45 e 53, D.Lgs. 30.03.2001, n. 165 che può
essere derogato solo nei casi espressamente e tassativamente
previsti dalla legge o per particolari categorie di
lavoratori, in ragione della loro qualificazione
professionale, o per specifiche attività non rientranti tra
quelle ordinariamente spettanti o tra quelle connesse ai
fini istituzionali dell'Amministrazione di appartenenza.
Da
ciò consegue che ai funzionari designati quali componenti
della Stazione Unica Appaltante in rappresentanza dell'Ente
locale con la stessa convenzionato, non possa essere
riconosciuto alcun emolumento aggiuntivo rispetto a quello
ordinariamente loro spettante come salario accessorio, sia
perché la L. 13.08.2010, n. 136, istitutiva della
Stazione nulla dispone al riguardo, sia perché le attività
espletate dalla stessa e, dunque, dai membri che la
compongono, rientrano tra i fini istituzionali delle
Amministrazioni che vi aderiscono e di cui soddisfano gli
interessi.
---------------
Con la nota sopra indicata, il Presidente della Provincia
di Salerno faceva pervenire, a questa Sezione, richiesta di
parere del seguente tenore: “...Premesso che:
- ai sensi del decreto legislativo 12.04.2006, n. 163,
recante il «Codice dei contratti pubblici relativi a lavori,
servizi e forniture in attuazione delle direttive 2004/17/CE
e 2004/18/CE» (ed in particolare l'articolo 33 comma) le
P.A. hanno la possibilità di acquisire lavori, servizi e
forniture facendo ricorso a centrali di committenza con
facoltà di affidare le funzioni di stazione appaltante di
lavori pubblici ai Provveditorati interregionali per le
opere pubbliche, già servizi integrati infrastrutture e
trasporti (SIIT), o alle amministrazioni provinciali, nonché
a centrali di committenza;
- che l'art. 13 della legge 13.08.2010 n. 136, cui ha dato
attuazione il DPCM 30.06.2011, ha introdotto
l'obbligatorietà dell'istituzione, in ambito regionale, di
una o più stazioni uniche appaltanti (SUA), al fine di
assicurare la trasparenza, la regolarità e l'economicità
della gestione dei contratti pubblici e di prevenire il
rischio di infiltrazioni mafiose;
- che la Prefettura di Salerno ed il Ministero delle
Infrastrutture e dei Trasporti —Provveditorato
interregionale alle Opere Pubbliche per la Campania ed il
Molise— hanno istituito la Stazione Unica Appaltante in
Provincia di Salerno;
- che la Provincia di Salerno con deliberazione del
Consiglio Provinciale 05.04.2013 n. 51 ha aderito alla
Stazione Unica Appaltante, quale centrale di committenza,
costituita presso il Provveditorato Interregionale alle
Opere Pubbliche per la Campania ed il Molise, ratificando la
convenzione sottoscritta in data 13.03.2013 tra Prefettura
di Salerno, Provveditorato Interregionale OOPP. e Provincia
di Salerno;
- che ai sensi dell'art. 4, comma 9, della richiamata
convezione "le commissioni di gara comprenderanno sempre un
componente nominato dall'Ente associato".
Atteso che:
- la S.U.A. prevede l'attribuzione di un compenso ai
componenti delle commissioni di gara nominate per
l'aggiudicazione dei contratti pubblici di lavori, servizi e
forniture;
- per i dipendenti pubblici vige, nel nostro ordinamento
giuridico, il principio immanente di onnicomprensività del
trattamento economico per cui non è possibile remunerare il
dipendente con compensi extra-ordinem per compiti rientranti
nelle mansioni dell'Ufficio ricoperto;
Rilevato che:
- la Provincia di Salerno, ai sensi dell'art. 4, comma 9,
della convezione citata, nomina dipendenti quali propri
componenti delle commissioni presso la Stazione Unica
Appaltante;
- che a tali dipendenti -secondo l'astratta previsione del
regolamento S.U.A.— è attri-buito un compenso quali
componenti delle commissioni di gara presso la Stazione
Unica Appaltante;
- che tate compenso pare potersi corrispondere al dipendente
pubblico solo se la partecipazione alle commissioni di gara
presso la S.U.A. è qualificabile come compito non rientrante
nelle mansioni dell'Ufficio ricoperto;
- che effettivamente la partecipazione alla commissione di
gara presso la S.U.A, istituita presso altro Ente
(Provveditorato Interregionale Opere Pubbliche del Ministero
delle Infrastrutture e Trasporti) non pare potersi tout
court ricomprendere tra le mansioni del dipendente della
Provincia di Salerno;
Dato atto:
- che la premessa ha esclusivamente funzione esemplare e non
costituisce fattispecie gestionale né è in alcun modo
riferibile a provvedimenti o comportamenti amministrativi
già compiuti dei quali si chiede la soluzione o la
valutazione a posteriori;
- dell'assenza di dirette commistioni con le funzioni di
controllo e giurisdizionali esercitate dalla Corte dei
Conti;
- che non vi sono al riguardo, per quanto di conoscenza,
procedimenti giurisdizionali civili amministrativi o penali
in corso
Considerato:
- che la questione ha incidenza sul bilancio dell'ente e
sulla carretta gestione dello stesso e che comunque la
questione attiene ai principi e limiti imposti per
l'obiettivo del contenimento della spesa pubblica;
- che sussiste incertezza interpretativa nei sensi e nei
termini anzidetti
per quanto sopra esposto
si chiede
il parere circa la possibilità di corrispondere ai
dipendenti della Provincia di Salerno, nominati nelle
commissioni di gara per l'affidamento dei contratti pubblici
della Stazione Unica Appaltante istituita ai sensi dell'art.
art. 13 della legge 136/2010 presso il Provveditorato
interregionale 00.PP. del Ministero delle Infrastrutture e
dei Trasporti, il compenso previsto dal regolamento S.U.A.”.
...
Con il quesito in esame, l’Ente interpellante chiede il
parere di questa Sezione circa la possibilità di
corrispondere ai dipendenti della Provincia di Salerno,
nominati nelle commissioni di gara per l'affidamento dei
contratti pubblici della Stazione Unica Appaltante istituita
ai sensi dell'art. art. 13 della legge 136/2010 presso il
Provveditorato interregionale 00.PP. del Ministero delle
Infrastrutture e dei Trasporti, il compenso previsto dal
regolamento S.U.A..
Tale richiesta di parere è dichiaratamente formulata con
riferimento al principio di onnicomprensività del
trattamento economico dei dipendenti della P.A., il quale
trova la propria fonte normativa in varie disposizioni di
legge e contrattuali.
E, invero, per quanto attiene al personale in possesso di
qualifica dirigenziale, l’art. 24, comma 3, del Decreto
Legislativo 30.03.2001, n. 165, così recita: “Il
trattamento economico determinato ai sensi dei commi 1 e 2
remunera tutte le funzioni ed i compiti attribuiti ai
dirigenti in base a quanto previsto dal presente decreto,
nonché qualsiasi incarico ad essi conferito in ragione del
loro ufficio o comunque conferito dall'amministrazione
presso cui prestano servizio o su designazione della stessa;
i compensi dovuti dai terzi sono corrisposti direttamente
alla medesima amministrazione e confluiscono nelle risorse
destinate al trattamento economico accessorio della
dirigenza”.
Inoltre, l’art. 20, comma 1, del CCNL del 22.2.2010 prevede
che “Il trattamento economico dei
dirigenti, ai sensi dell’art. 24, comma 3, del D.lgs. n. 165
del 2001, ha carattere di onnicomprensività in quanto
remunera completamente ogni incarico conferito ai medesimi
in ragione del loro ufficio o comunque collegato alla
rappresentanza di interessi dell’Ente”.
Peraltro, il comma 2 dello stesso art. 20 precisa che “In
aggiunta alla retribuzione di posizione e di risultato
possono essere erogati, a titolo di retribuzione di
risultato, solo i compensi espressamente previsti da
specifiche disposizioni di legge, come espressamente
recepite nelle vigenti disposizioni della contrattazione
collettiva nazionale e secondo le modalità da queste
stabilite ...”.
Per quanto riguarda, poi, il personale non dirigente, dotato
di posizione organizzativa, viene in rilievo, in
particolare, la disposizione dell’art. 10 del CCNL
31/03/1999: “(Retri-buzione di posizione e retribuzione
di risultato)
“Il trattamento economico accessorio
del personale della categoria D titolare delle posizioni di
cui all’art. 8 è composto dalla retribuzione di posizione e
dalla retribuzione di risultato. Tale trattamento assorbe
tutte le competenze accessorie e le indennità previste dal
vigente contratto collettivo nazionale, compreso il compenso
per il lavoro straordinario, secondo la disciplina del CCNL
per il quadriennio 1998–2001”.
Per il restante personale, può farsi riferimento, in
particolare, al disposto dell’art. 2, comma 3, del
summenzionato d.lgs. n. 165/2001 (cfr.: sent. n. 269/2013/A
della Sezione I Giurisdizionale Centrale d’appello del 7
dicembre-03.04.2012; deliberazione n. FVG/30/2012/PAR della
Sezione di controllo della regione Friuli Venezia Giulia in
data 16-17.04.2012), il quale recita: “I
rapporti individuali di lavoro di cui al comma 2 sono
regolati contrattualmente. I contratti collettivi sono
stipulati secondo i criteri e le modalità previste nel
titolo III del presente decreto; i contratti individuali
devono conformarsi ai principi di cui all'articolo 45, comma
2. L'attribuzione di trattamenti economici può avvenire
esclusivamente mediante contratti collettivi e salvo i casi
previsti dal comma 3-ter e 3-quater dell'articolo 40 e le
ipotesi di tutela delle retribuzioni di cui all'articolo
47-bis, o, alle condizioni previste, mediante contratti
individuali ...”.
Per quanto più specificamente attiene agli Enti locali,
vengono anche in rilievo le disposi-zioni dei commi 4,5 e 6
del DL 31.08.1987, n. 359, conv. con modificazioni dalla L.
29.10.1987, n. 440, le quali recitano: “4.
Nessuna deroga di alcun genere è consentita agli enti locali
in sede di applicazione del contratto nazionale collettivo
di lavoro per quanto riguarda la normativa concernente lo
stato giuridico ed il trattamento economico del personale
dipendente contenuta nel decreto approvativo.
5. Sono del pari vietate, in violazione o in aggiunta a
quanto previsto dai decreti del Presidente della Repubblica
approvativi di accordi nazionali, concessioni economiche
comunque denominate o motivate.
6. I provvedimenti adottati in violazione di quanto disposto
dai commi 4 e 5 sono nulli”.
Va, infine, aggiunto che l’art. 53 del summenzionato Decreto
Legislativo 30.03.2001, n. 165 disciplina le ipotesi di “Incompatibilità,
cumulo di impieghi e incarichi”.
Si può, dunque, affermare che l’onnicomprensività del
trattamento economico dei dipendenti della P.A. costituisca
un principio valido per la generalità dei pubblici
dipendenti, salve le eccezioni specificamente previste dalla
legge e dai contratti collettivi.
Detto principio, “impedisce
di attribuire compensi aggiuntivi qualora gli stessi
rientrino nelle funzioni attribuite e nelle connesse
responsabilità, per lo svolgimento di attività lavorative
comunque riconducibili ai doveri istituzionali dei
dipendenti pubblici”
(Consiglio di Stato, Sez. V, 02.08.2010, n. 5099; Cons. St.,
Sez. V, 12.02.2008, n. 493)”,
e, in ogni caso, allorché ci si trovi in cospetto di
un’attività che rientri nei compiti istitu-zionali della
Pubblica Amministrazione cui appartiene il soggetto chiamato
a svolgerla (cfr. la summenzionata deliberazione n. FVG/30/2012/PAR
della Sezione di controllo della regione Friuli Venezia
Giulia in data 16-17.04.2012).
Peraltro, la Sezione della Autonomie, nel corpo della
deliberazione n. 7/SEZAUT/2014/QMIG del 4-15.04.2014, ha
precisato che il sistema retributivo dei pubblici dipendenti
“è basato sui due principi cardine di omnicomprensività
della retribu-zione, sancito dall’art. 24, comma 3, del
d.lgs. 30.03.2001, n. 165, nonché di definizione
contrattuale delle componenti economiche, fissato dal
successivo art. 45, comma 1. Principi alla luce dei quali
nulla è dovuto oltre il trattamento economico fondamentale
ed accessorio, stabilito dai contratti collettivi, al
dipendente che abbia svolto una prestazione rientrante nei
suoi doveri d’ufficio”.
Tanto premesso, per entrare nel merito del quesito
sottoposto a questa Sezione, si deve far menzione del
disposto dell’art. 13 della Legge 13.08.2010, n. 136 (“Piano
straordinario contro le mafie, nonché delega al Governo in
materia di normativa antimafia”), istitutivo della
S.U.A. (Stazione Unica Appaltante), il quale recita: “Con
decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, su
proposta dei Ministri dell'interno, dello sviluppo
economico, delle infrastrutture e dei trasporti, del lavoro
e delle politiche sociali, per i rapporti con le regioni e
per la pubblica amministrazione e l'innovazione, da adottare
entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della
presente legge, sono definite, previa intesa in sede di
Conferenza unificata di cui all'articolo 8 del decreto
legislativo 28.08.1997, n. 281, e successive modificazioni,
le modalità per promuovere l'istituzione, in ambito
regionale, di una o più stazioni uniche appaltanti (SUA), al
fine di assicurare la trasparenza, la regolarità e
l'economicità della gestione dei contratti pubblici e di
prevenire il rischio di infiltrazioni mafiose.
2. Con il decreto di cui al comma 1 sono determinati:
a) gli enti, gli organismi e le società che possono aderire
alla SUA;
b) le attività e i servizi svolti dalla SUA, ai sensi
dell'articolo 33 del codice dei contratti pubblici relativi
a lavori, servizi e forniture, di cui al decreto legislativo
12.04.2006, n. 163;
c) gli elementi essenziali delle convenzioni tra i soggetti
che aderiscono alla SUA;
d) le forme di monitoraggio e di controllo degli appalti,
ferme restando le disposizioni vigenti in materia”.
Come premette l’Ente quaerens, la Provincia di
Salerno con deliberazione del Consiglio Provinciale
05.04.2013 n. 51 ha aderito alla Stazione Unica Appaltante,
quale centrale di committenza, costituita presso il
Provveditorato Interregionale alle Opere Pubbliche per la
Campania ed il Molise, ratificando la convenzione
sottoscritta in data 13.03.2013 tra Prefettura di Salerno,
Provveditorato Interregionale OOPP. e Provincia di Salerno.
E’ opportuno ricordare che l’art. 33 del Decreto legislativo
12.04.2006, n. 163 (menzionato dalla normativa surriportata),
al secondo periodo del comma 3, stabilisce che “...le
amministrazioni aggiudicatrici possono affidare le funzioni
di stazione appal-tante di lavori pubblici ai servizi
integrati infrastrutture e trasporti (SIIT) o alle
amministrazioni provinciali, sulla base di apposito
disciplinare che prevede altresì il rim-borso dei costi
sostenuti dagli stessi per le attività espletate, nonché a
centrali di committenza”.
Il DPCM 30.06.2011, in applicazione dell’innanzi riportato
art. 13 della Legge 13.08.2010, n. 136, prevede, al comma 3
dell’art. 6, che “In relazione allo specifico contratto,
il Prefetto, senza nuovi o maggiori oneri, in conformità
alla normativa vigente, qualora lo ritenga opportuno per
rafforzare le misure di prevenzione delle infiltrazioni
della criminalità organizzata, può richiedere il supporto
tecnico del Provveditorato interregionale per le opere
pubbliche competente per territorio e dell'Unità di verifica
degli investimenti pubblici - Dipartimento dello sviluppo e
coesione economica del Ministero dello sviluppo economico”.
Inoltre, detto DPCM, all’art. 2, stabilisce che “L'individuazione
delle attività e dei servizi della SUA, unitamente
all'indicazione degli elementi essenziali delle convenzioni
tra i soggetti che vi aderiscono, mira ad agevolarne una
maggiore diffusione, in modo da perseguire l'obiettivo di
rendere più penetrante l'attività' di prevenzione e
contrasto ai tentativi di condizionamento della criminalità
mafiosa, favorendo al contempo la celerità delle procedure,
l'ottimizzazione delle risorse e il rispetto della normativa
in materia di sicurezza sul lavoro”.
Quanto alla convenzione sottoscritta in data 13.03.2013 tra
Prefettura di Salerno, Provveditorato Interregionale OOPP. e
Provincia di Salerno, regolativa del rapporto instaurato fra
detti Organi ed Ente -e ratificata dalla Provincia di
Salerno con deliberazione del Consiglio Provinciale
05.04.2013 n. 51, in forza della quale la medesima Provincia
ha aderito alla Stazione Unica Appaltante, quale centrale di
committenza, costituita presso il Provveditorato
Interregionale alle Opere Pubbliche per la Campania ed il
Molise– per lo svolgimento delle attività istituzionali
de quibus, va sottolineato che, all’art. 1 della
medesima, si legge “... E’ istituita una Stazione Unica
Appaltante, di seguito denominata S.U.A., con il compito di
curare tutte le procedure di aggiudicazione di contratti di
lavori pubblici, di prestazioni di servizio,di acquisto di
beni e forniture, dalla redazione e pubblicazione del bando
di gara fino all’aggiudicazione definitiva per il soggetto
sottoscrittore della presente convenzione”. Inoltre,
l’articolo 3 “(Ambito di operatività della stazione unica
appaltante)” di quest’ultima così recita: “1.
L’ambito di operatività della stazione unica appaltante è
relativa ai Lavori Pubblici di importo pari o superiore ad €
200.000, 00 ed a forniture di importo pari o superiore ad €
130.000,00 al netto d’IVA.
2. Previa diretta intesa tra la Stazione Unica Appaltante e
l’Ente associato sarà possibile ampliare l’ambito di
attività per lavori, servizi e forniture”.
In applicazione del complesso delle disposizioni normative e
contrattuali sopra riportate non può non rilevarsi come, con
riferimento al caso di specie, la S.U.A. svolga attività
rientrati nei fini istituzionali dell’Ente associato (nella
specie: Provincia di Salerno), e come le relative funzioni
vengano disimpegnate in favore di quest’ultimo e per la
realizzazione di interessi facenti capo direttamente a
quest’ultimo (cfr. il citato art. 2 del DPCM 30.06.2011, che
annovera, tra le finalità dell’istituzione della S.U.A., la
realizzazione della celerità delle procedure,
l'ottimizzazione delle risorse ...), nonché condivisi fra lo
Stato e l’Ente locale (quali quelli riferibili all’obiettivo
di rendere più penetrante l'attività di prevenzione e
contrasto ai tentativi di condizionamento della criminalità
mafiosa, enunciato dallo stesso art. 2 del DPCM 30.06.2011).
In tali condizioni, dunque, non potrebbe farsi luogo, da
parte dell’Ente interpellante, alla corresponsione, ai
dipendenti della Provincia di Salerno, nominati nelle
commissioni di gara per l'affidamento dei contratti pubblici
della Stazione Unica Appaltante istituita ai sensi dell'art.
13 della legge 136/2010 presso il Provveditorato
interregionale 00.PP. del Ministero delle Infrastrutture e
dei Trasporti, di compensi aggiuntivi per lo svolgimento, in
seno alla S.U.A., dei compiti rientranti nei fini
istituzionali della Provincia di Salerno.
Va, infine, fatta espressa avvertenza che tutto quanto sopra
osservato, riportato e motivato rimane nei limiti del
carattere esterno ed imparziale della funzione consultiva
svolta, ai sensi dell’art. 7, comma 8, della legge
05.06.2003, n. 131, da questa Corte, i cui pareri non si
inseriscono nell’attività amministrativa dell’Ente
quaerens, ma sono destinati esclusivamente a fornire
elementi di riflessione di carattere
tecnico-giuscontabilistico, non vincolanti per l’Ente
interpellante, il quale, pertanto, rimane il dominus
del proprio procedimento amministrativo-contabile, con tutte
le conseguenziali implicazioni in termini di competenza e di
responsabilità (Corte dei Conti, Sez. controllo Campania,
parere 11.12.2014 n. 247). |
APPALTI SERVIZI:
Elementi che differenziano un appalto da una concessione.
Quando un operatore privato si assume i
rischi della gestione del servizio, rifacendosi
sostanzialmente sull'utente mediante la riscossione di un
qualsiasi tipo di canone, tariffa o diritto, allora si ha
concessione, ragione per cui può affermarsi che è la
modalità di remunerazione il tratto distintivo della
concessione dall'appalto di servizi.
Pertanto, si avrà concessione quando l'operatore si assume
in concreto i rischi economici della gestione del servizio,
rifacendosi essenzialmente sull'utenza, mentre si avrà
appalto quando l'onere del servizio venga a gravare
sostanzialmente sull'amministrazione.
Il Comune si pone il dubbio se sia possibile applicare
l'istituto del 'project financing di servizi',
previsto dall'art. 278 del DPR 207/2010 (per le concessioni
di servizi) per l'affidamento del 'servizio di gestione
della parte elettrica degli immobili comunali'; infatti
il Comune precisa che, nel caso di specie, esso verserebbe
all'affidatario un 'canone annuo onnicomprensivo' e
ciò lo porterebbe a configurare il rapporto come appalto di
servizi.
Il riscontro verrà quindi dato sul tratto distintivo tra
concessioni ed appalti.
Sulla questione, una recente pronuncia del Giudice
amministrativo di seconda istanza [1],
che conferma un filone giurisprudenziale maggioritario
[2], si è
così espressa: 'Quando un operatore privato si assume i
rischi della gestione del servizio, rifacendosi
sostanzialmente sull'utente mediante la riscossione di un
qualsiasi tipo di canone, tariffa o diritto, allora si ha
concessione, ragione per cui può affermarsi che è la
modalità della remunerazione il tratto distintivo della
concessione dall'appalto di servizi. Pertanto, si avrà
concessione quando l'operatore si assume in concreto i
rischi economici della gestione del servizio, rifacendosi
essenzialmente sull'utenza, mentre si avrà appalto quando
l'onere del servizio venga a gravare sostanzialmente
sull'amministrazione. Nel caso di specie (ndr: affidamento
di servizi relativi alla nautica di diporto) la
remunerazione spettante alla società in conseguenza
dell'affidamento consisteva unicamente nel corrispettivo
stabilito in sede di lex specialis...a carico
dell'amministrazione comunale e non si accompagnava in alcun
modo con ulteriori forme di remunerazione direttamente o
indirettamente ricadenti sui fruitori finali dei servizi. Ne
consegue che l'affidamento operato dal Comune nei confronti
della società deve qualificarsi non come concessione di
servizi bensì come appalto di servizi ai sensi del comma 10
dell'art. 3 del d.lgs. 163/2006'.
Si ritiene altresì utile citare un pronunciamento
[3]
dell'Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di
lavori, servizi e forniture (ora Autorità nazionale anti
corruzione), la quale in relazione alla 'gestione della
rete degli impianti elettrici di tutti gli edifici comunali,
acquisto di energia elettrica, manutenzione ordinaria e
straordinaria, adeguamento tecnologico, riqualificazione e
risparmio energetico' ha così statuito: 'l'affidamento
è da configurare quale appalto di lavori o di servizi a
seconda della prevalenza dell'attività esercitata e non come
concessione'.
---------------
[1] C.St., sent. 21.05.2014, n. 2624.
[2] Ex multis: C. St., sent. 4.11.2012, n. 4682, 09.11.2011,
n. 5068.
[3] Deliberazione n. 12 del 26.01.2011 (09.12.2014
-
link a
www.regione.fvg.it). |
APPALTI: Richiesta
di rating ai garanti.
Domanda
Nei bandi di gara è possibile inserire la richiesta di
rating ai garanti?
Risposta
La richiesta, da parte delle stazioni appaltanti, di rating
pari o superiore a un determinato minimo attribuito dalle
società di certificazione internazionale è una previsione
che si pone in violazione dei principi di cui all'articolo 2
del Codice degli appalti. Infatti, una simile richiesta
introduce restrizioni non previste dal Codice che non
appaiono neppure correlate e proporzionate con gli obiettivi
che si intende perseguire.
I correttivi introdotti da talune amministrazioni
aggiudicatrici alleviano leggermente gli effetti delle
restrizioni poste, ma non appaiono sufficienti a garantire
condizioni di pari concorrenza tra le imprese sul mercato (Avcp
Determinazione n. 1 del 29/07/2014 - Problematiche in ordine
all'uso della cauzione provvisoria e definitiva - artt. 75 e
113 del Codice).
La richiesta di rating ai garanti, inserita nei bandi di
gara, determina disparità tra i soggetti che operano nel
mercato creditizio/finanziario e potrebbe limitare la
partecipazione alle gare delle imprese che segnalano
difficoltà a reperire le garanzie necessarie per accedere
alla gara d'appalto.
Nella Determinazione n. 2 del 13.03.2013 -Questioni concernenti l'affidamento dei servizi
assicurativi e di intermediazione assicurativa- l'Avcp ha
osservato che, piuttosto che valutare la qualità delle
imprese di assicurazione sulla base del rating, è
preferibile ricorrere ad altri indicatori quali l'indice di
solvibilità, congiuntamente alla raccolta premi specifica
(articolo ItaliaOggi Sette
dell'01.12.2014). |
novembre 2014 |
|
APPALTI: Sussiste
la disapplicazione dell’obbligo di
richiedere i diritti di segreteria, ai sensi dell’art. 40
della legge 08.06.1962, n. 604, nell’ipotesi di stipula di
contratti stipulati a seguito del ricorso a gare telematiche
di acquisto.
---------------
Il sindaco del comune di Travedona Monate (VA) ha formulato
alla Sezione una richiesta di parere in materia di diritti
di segreteria e strumenti informatici di acquisto (art. 13
d.l. 52 del 06.07.2012, convertito dalla legge 94 del
06.07.2012) del seguente tenore: ”Qualora si debba
procedere alla sottoscrizione con atto pubblico
amministrativo per l'affidamento di un servizio o di un
lavoro, la cui gara è stata espletata attraverso la
piattaforma elettronica Sintel e quindi mediante strumenti
informatici di acquisto, sono dovuti, da parte della Ditta
aggiudicatrice i diritti di segreteria? Il mancato introito
in percentuale dei diritti di segreteria comporta un danno
erariale per il comune?”.
...
L’applicazione della disciplina in tema di utilizzo degli
strumenti informatici e telematici per l’acquisito di beni e
servizi da parte delle pubbliche amministrazioni locali,
appare scevra di dubbio interpretativi. La norma disciplina
esattamente il caso prospettato dall’amministrazione
interpellante. La normativa in tema di revisione della spesa
è inderogabile e cogente per gli enti destinatari,
trattandosi di espressa applicazione del principio di
coordinamento della finanza pubblica locale.
Le disposizioni introdotte con il D.L. 07.05.2012, n. 52
(c.d. primo decreto in tema di revisione della spesa) hanno
semplificato il ricorso agli strumenti telematici per
l’acquisto di beni o servizi da parte delle amministrazioni
locali. A seguito dell’obbligo di utilizzo delle gare
gestite con strumenti informatici (ad es. Sistema Sintel
predisposto da ARCA in Lombardia; Me.Pa.).
L’art. 13 del citato primo decreto “spending
review” ha testualmente previsto la disapplicazione
dell’obbligo di richiedere i diritti di segreteria, ai sensi
dell’art. 40 della legge 08.06.1962 n. 604, nell’ipotesi di
stipula di contratti stipulati a seguito del ricorso a gare
telematiche di acquisto
(Corte dei Conti, Sez. controllo Lombardia,
parere 13.11.2014 n. 301). |
APPALTI: E’
principio consolidato quello secondo il quale ogni
valutazione espressione dell’esercizio del potere
tecnico-discrezionale dell’Amministrazione non sfugga
al sindacato di legittimità ove risulti potenzialmente
irragionevole, irrazionale, illogica, si fondi su un
possibile travisamento dei fatti o comunque su dati
non corrispondenti al vero o inattendibili ovvero non
appaia adeguatamente motivata.
---------------
a) premesso che “non può considerarsi viziato il procedimento di verifica per il fatto che l'amministrazione appaltante e per essa la commissione di gara si sia limitata a chiedere le giustificazioni per le sole voci sospette di anomalia e non per le altre. Ciò in quanto il concorrente, per illustrare la propria offerta e dimostrane la congruità, può fornire, ex art. 87, comma 1, d.lgs. n. 163 del 2006, spiegazioni e giustificazioni su qualsiasi elemento dell'offerta … in grado di dimostrare l'equilibrio complessivo”; b) “nelle procedure indette per l'aggiudicazione di appalti con la Pubblica Amministrazione il sub procedimento di giustificazione dell'offerta anomala non è volto a consentire aggiustamenti dell'offerta per così dire in itinere ma mira, al contrario, a verificare la serietà di una offerta consapevolmente già formulata ed immutabile (art. 86, comma 5, d.lgs. 163/2006 - Codice degli appalti).
Da ciò discende, in generale, l'inaccettabilità delle giustificazioni che, nel tentativo di far apparire seria un'offerta, che viceversa non è stata adeguatamente meditata, risultino tardivamente dirette ad un'allocazione dei costi diversa rispetto a quella originariamente enunciata” “ovvero rimodulano le voci di costo al solo scopo di far quadrare i conti, al fine, cioè, di assicurare che il prezzo complessivo offerto resti immutato, superando in tal modo le contestazioni mosse dalla stazione appaltante sulle medesime voci di costo”.
“Nella specie, una quota di costo indicata nell'offerta a titolo di spese generali non può essere invocata, nel corso del subprocedimento di giustificazione, per coprire costi diversi”; c) se, infatti, vero è che “mentre l'offerta è immodificabile, modificabili sono le giustificazioni e sono ammesse giustificazioni sopravvenute e compensazioni tra sottostime e sovrastime purché l'offerta risulti nel suo complesso affidabile al momento dell'aggiudicazione e a tale momento dia garanzia di una seria esecuzione del contratto”, tuttavia, “nel caso in cui l'impresa non si sia limitata a rimaneggiamenti di taluni elementi delle giustificazioni, oppure di singole compensazioni tra sottostime e sovrastime, ma abbia modificato le voci si ravvisa proprio quella complessiva inaffidabilità dell'offerta che avrebbe dovuto indurre la stazione appaltante ad escludere l'aggiudicataria per anomalia dell'offerta o per inammissibilità delle giustificazioni prodotte”.
In altri termini, “la portata espansiva riconosciuta all'apporto chiarificatore che il concorrente è chiamato a fornire in sede di presentazione dei giustificativi … non consente che gli elementi compositivi dell'offerta originariamente presentata vengano mutati o diversamente articolati, sì da pervenire all'emersione di un “aliud pro alio” rispetto alle indicazioni inizialmente fornite dalla ditta”.
--------------- V. Va preliminarmente disattesa l’eccezione d’inammissibilità sollevata dall’Amministrazione intimata sul presupposto della presunta insindacabilità del giudizio formulato in sede di verifica dell’anomalia dell’offerta. V.1. E’, invero, principio consolidato quello secondo il quale ogni valutazione espressione dell’esercizio del potere tecnico-discrezionale dell’Amministrazione non sfugga al sindacato di legittimità ove risulti potenzialmente irragionevole, irrazionale, illogica, si fondi su un possibile travisamento dei fatti o comunque su dati non corrispondenti al vero o inattendibili ovvero non appaia adeguatamente motivata (Cons. di St., sez. V, 17.01.2014, n. 162; Ad. plen., 29.11.2012, n. 36). VI. Tanto premesso in ordine all’ammissibilità dell’azione, il ricorso è, tuttavia, infondato. VI.1. Il provvedimento di esclusione della ricorrente è stato adottato in ragione del giudizio di incongruità espresso a seguito della verifica delle giustificazioni. Nel verbale della seduta riservata del 27.02.2014, in particolare, è riportato quanto segue. "Le voci di costo di cui alle lettere A-F-G (rectius: manodopera, spese generali, altri costi ed imprevisti, utile d'impresa) sono verificate alla luce di quanto espresso nelle relazioni a firma del dr. Ma. D'An.. Al riguardo la Commissione rileva che a fronte di un costo retributivo (comprensivo dei costi per la sicurezza) calcolato dal consulente dr. Ma. D'An. in €. 3.427.288,06 la ditta DU. ha esplicitato un costo retributivo della manodopera pari a € 3.214.576,57 di cui € 20.100,00 a titolo di oneri per la sicurezza e € 3.194.576,57 quale costo del personale per le prestazioni da rendere. La Commissione, pertanto, considerati i costi retributivi del personale così come determinati dal dr. Ma. D'An., ritiene complessivamente anomala l'offerta presentata dalla ditta DU. in quanto la stessa non garantisce la completa copertura dei costi riferiti all'appalto in argomento. Di conseguenza, propone l'esclusione dalla ditta in esame dalla procedura di gara". VI.2. Con il
primo motivo di ricorso, la ricorrente deduce l’irragionevolezza della verifica dell’anomalia, asserendo che la stessa sia fondata su un evidente travisamento dei fatti: la valutazione sarebbe stata, infatti, incentrata su una singola voce di costo, quella del personale, ricostruita in modo inesatto. VI.2.1. In particolare, nel verificare l’adeguatezza il costo del personale indicato, il Consulente nominato dalla Commissione avrebbe omesso di sommare alle voci “manodopera” (pari a € 3.194.476,56, annui) e “costi per la sicurezza” (pari €. 20.100,00 annui), ulteriori sottovoci che, pur ricomprese nella diversa macrovoce “Spese generali, altri costi ed imprevisti” sarebbero pur sempre attinenti al costo del lavoro.
All’interno di tale ultima voce (quantificata, in sede di offerta, per un totale di € 164.326,00), dovrebbero, infatti, intendersi ricomprese, come dettagliato, da ultimo, nelle giustificazioni del
05.12.2013, la "maggiorazione costo orario" (per €. 127.166,00 annui), il "sistema incentivante" (per €. 10.000,00 annui) e gli "imprevisti/festività" (per € 4.072,57 annui), il tutto per un totale di €. 3.355.770,14 annuo, sostanzialmente in linea con il costo minimo quantificato dal medesimo Consulente (€ 3.355.799,14, applicando le tabelle ministeriali del 2012). VI.2.2. Il motivo è infondato. VI.2.3. Il Collegio non ravvisa valide ragioni per scostarsi dall’orientamento giurisprudenziale consolidato secondo il quale l’operazione contabile proposta, come ritenuto dalla stazione appaltante, risulta inammissibile atteso che: a) premesso che “non può considerarsi viziato il procedimento di verifica per il fatto che l'amministrazione appaltante e per essa la commissione di gara si sia limitata a chiedere le giustificazioni per le sole voci sospette di anomalia e non per le altre. Ciò in quanto il concorrente, per illustrare la propria offerta e dimostrane la congruità, può fornire, ex art. 87, comma 1, d.lgs. n. 163 del 2006, spiegazioni e giustificazioni su qualsiasi elemento dell'offerta … in grado di dimostrare l'equilibrio complessivo” (Cons. di St., sez. V,
05.09.2014, n. 4516; TAR Puglia, Lecce, sez. I, 06.05.2014, n. 1140); b) “nelle procedure indette per l'aggiudicazione di appalti con la Pubblica Amministrazione il sub procedimento di giustificazione dell'offerta anomala non è volto a consentire aggiustamenti dell'offerta per così dire in itinere ma mira, al contrario, a verificare la serietà di una offerta consapevolmente già formulata ed immutabile (art. 86, comma 5, d.lgs. 163/2006 - Codice degli appalti).
Da ciò discende, in generale, l'inaccettabilità delle giustificazioni che, nel tentativo di far apparire seria un'offerta, che viceversa non è stata adeguatamente meditata, risultino tardivamente dirette ad un'allocazione dei costi diversa rispetto a quella originariamente enunciata” (TAR Emilia Romagna, Bologna, sez. II,
01.03.2013, n. 161) “ovvero rimodulano le voci di costo al solo scopo di far quadrare i conti, al fine, cioè, di assicurare che il prezzo complessivo offerto resti immutato, superando in tal modo le contestazioni mosse dalla stazione appaltante sulle medesime voci di costo” (TAR Sardegna, Cagliari, sez. I,
01.04.2014 n. 250; Cons. di St., sez. V, 30.11.2012 n. 6117).
“Nella specie, una quota di costo indicata nell'offerta a titolo di spese generali non può essere invocata, nel corso del subprocedimento di giustificazione, per coprire costi diversi” (Cons. di Stat., sez. V, 12.07.2010, n. 4483; TAR Puglia. Lecce, 13.11.2012, n. 1874); c) se, infatti, vero è che “mentre l'offerta è immodificabile, modificabili sono le giustificazioni e sono ammesse giustificazioni sopravvenute e compensazioni tra sottostime e sovrastime purché l'offerta risulti nel suo complesso affidabile al momento dell'aggiudicazione e a tale momento dia garanzia di una seria esecuzione del contratto” (TAR Lazio, Roma, sez. II,
05.03.2012 n. 2219; Cons. di St., sez. V, 20.02.2012 n. 875), tuttavia, “nel caso in cui l'impresa non si sia limitata a rimaneggiamenti di taluni elementi delle giustificazioni, oppure di singole compensazioni tra sottostime e sovrastime, ma abbia modificato le voci (come nel caso di specie) si ravvisa proprio quella complessiva inaffidabilità dell'offerta che avrebbe dovuto indurre la stazione appaltante ad escludere l'aggiudicataria per anomalia dell'offerta o per inammissibilità delle giustificazioni prodotte” (TAR Puglia, Bari, sez. II, 10 luglio 2014, n. 863).
In altri termini, “la portata espansiva riconosciuta all'apporto chiarificatore che il concorrente è chiamato a fornire in sede di presentazione dei giustificativi … non consente che gli elementi compositivi dell'offerta originariamente presentata vengano mutati o diversamente articolati, sì da pervenire all'emersione di un “aliud pro alio” rispetto alle indicazioni inizialmente fornite dalla ditta” (TAR Lazio, Roma, sez. II,
04.03.2013, n. 2282) (TAR Campania-Napoli, Sez. V,
sentenza 12.11.2014 n. 5807 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Per consolidata giurisprudenza: - “l'ausilio di un tecnico esterno di cui si è avvalsa la stazione appaltante al fine di verificare la sussistenza delle condizioni prescritte dal capitolato di gara non contrasta con le previsioni di norme primarie e secondarie, posto che è in facoltà della stazione appaltante servirsi di un esperto per effettuare valutazioni tecniche su cui basare le proprie discrezionali valutazioni, peraltro ampiamente specificate nel provvedimento impugnato”. - “va confermata la legittimità della nomina di un soggetto esterno all'Amministrazione appaltante, esperto in materia…, che si limiti a prestare attività di consulenza e di assistenza professionale all'organo collegiale”.
--------------- VI.4. Con il
terzo motivo di ricorso, la parte ricorrente si duole dell’incompetenza del consulente nominato, essendo il giudizio negativo sulla congruità demandato alla sola Commissione esaminatrice. VI.4.1. La censura è parimenti infondata. VI.4.2. Per consolidata giurisprudenza: - “l'ausilio di un tecnico esterno di cui si è avvalsa la stazione appaltante al fine di verificare la sussistenza delle condizioni prescritte dal capitolato di gara non contrasta con le previsioni di norme primarie e secondarie, posto che è in facoltà della stazione appaltante servirsi di un esperto per effettuare valutazioni tecniche su cui basare le proprie discrezionali valutazioni, peraltro ampiamente specificate nel provvedimento impugnato” (TAR Sicilia, Catania, sez. III, 29.11.2011, n. 2810; TAR Puglia, Bari, sez. I, 11.08.2011, n. 1209); - “va confermata la legittimità della nomina di un soggetto esterno all'Amministrazione appaltante, esperto in materia…, che si limiti a prestare attività di consulenza e di assistenza professionale all'organo collegiale” (Cons. di St., sez. V, 31.12.2008, n. 6765). VI.4.3.
Orbene, nel caso di specie, la Commissione ha
ritenuto opportuno avvalersi di un consulente
del lavoro limitatamente alla valutazione
della voce relativa al costo del personale,
formulando, poi, all’esito, il proprio
giudizio complessivo e concludendo
ragionevolmente e motivatamente nel senso che
l’offerta, unitariamente intesa (e avuto
particolare riguardo alla manodopera, alle
spese generali, agli altri costi ed imprevisti
nonché all’utile d’impresa), non garantisce la
copertura dei costi (TAR Campania-Napoli, Sez. V,
sentenza 12.11.2014 n. 5807 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA - EDILIZIA PRIVATA - LAVORI PUBBLICI -
PATRIMONIO:
G.U. 11.11.2014 n. 262, suppl. ord. n. 85/L, "Testo
del decreto-legge 12.09.2014, n. 133, coordinato con la
legge di conversione 11.11.2014, n. 164,
recante: «Misure urgenti per l’apertura dei cantieri, la
realizzazione delle opere pubbliche, la digitalizzazione del
Paese, la semplificazione burocratica, l’emergenza del
dissesto idrogeologico e per la ripresa delle attività
produttive»".
---------------
Di particolare interesse si leggano:
►
Art. 2 (Semplificazioni procedurali per le
infrastrutture strategiche affidate in concessione)
►
Art. 4 (Misure di semplificazione per le opere
incompiute segnalate dagli Enti locali e misure finanziarie
a favore degli Enti territoriali)
►
Art. 6 (Agevolazioni per la realizzazione di reti di
comunicazione elettronica a banda ultralarga e norme di
semplificazione per le procedure di scavo e di posa aerea
dei cavi, nonché per la realizzazione delle reti di
comunicazioni elettroniche)
►
Art. 6-ter (Disposizioni per l’infrastrutturazione
degli edifici con impianti di comunicazione elettronica)
►
Art. 7 (Norme in materia di gestione di risorse
idriche. Modifiche urgenti al decreto legislativo
03.04.2006, n. 152, per il superamento delle procedure di
infrazione 2014/2059, 2004/2034 e 2009/2034, sentenze
C-565-0 del 19.07.2012 e C-85-13 del 10.04.2014; norme di
accelerazione degli interventi per la mitigazione del
rischio idrogeologico e per l’adeguamento dei sistemi di
collettamento, fognatura e depurazione degli agglomerati
urbani; finanziamento di opere urgenti di sistemazione
idraulica dei corsi d’acqua nelle aree metropolitane
interessate da fenomeni di esondazione e alluvione)
►
Art. 8 (Disciplina semplificata del deposito
preliminare alla raccolta e della cessazione della qualifica
di rifiuto delle terre e rocce da scavo che non soddisfano i
requisiti per la qualifica di sottoprodotto. Disciplina
della gestione delle terre e rocce da scavo con presenza di
materiali di riporto e delle procedure di bonifica di aree
con presenza di materiali di riporto)
►
Art. 9 (Interventi di estrema urgenza in materia di
vincolo idrogeologico, di normativa antisismica e di messa
in sicurezza degli edifici scolastici e dell’Alta formazione
artistica, musicale e coreutica - AFAM)
►
Art. 13 (Misure a favore dei project bond)
►
Art. 14 (Disposizioni in materia di standard tecnici)
►
Art. 16-bis (Disciplina degli accessi su strade
affidate alla gestione della società ANAS Spa)
►
Art. 17 (Semplificazioni ed altre misure in materia
edilizia)
►
Art. 17-bis (Regolamento unico edilizio)
►
Art. 21 (Misure per l’incentivazione degli
investimenti in abitazioni in locazione)
►
Art. 22 (Conto termico)
►
Art. 22-bis (Interventi sulle tariffe incentivanti
dell’elettricità prodotta da impianti fotovoltaici)
►
Art. 24 (Misure di agevolazione della partecipazione
delle comunità locali in materia di tutela e valorizzazione
del territorio)
►
Art. 25 (Misure urgenti di semplificazione
amministrativa e di accelerazione delle procedure in materia
di patrimonio culturale)
►
Art. 26 (Misure urgenti per la valorizzazione degli
immobili demaniali inutilizzati)
►
Art. 31 (Misure per la riqualificazione degli
esercizi alberghieri)
►
Art. 34 (Modifiche al decreto legislativo 12.04.2006,
n. 163, per la semplificazione delle procedure in materia di
bonifica e messa in sicurezza di siti contaminati. Misure
urgenti per la realizzazione di opere lineari realizzate nel
corso di attività di messa in sicurezza e di bonifica)
►
Art. 35 (Misure urgenti per la realizzazione su scala
nazionale di un sistema adeguato e integrato di gestione dei
rifiuti urbani e per conseguire gli obiettivi di raccolta
differenziata e di riciclaggio. Misure urgenti per la
gestione e per la tracciabilità dei rifiuti nonché per il
recupero dei beni in polietilene)
►
Art. 38 (Misure per la valorizzazione delle risorse
energetiche nazionali)
---------------
Per una migliore
comprensione della ratio sottesa ai vari articoli si leggano
anche:
● Camera dei Deputati,
dossier 27.10.2014
● Senato della Repubblica,
dossier ottobre 2014
● Senato della Repubblica,
dossier novembre 2014 |
APPALTI SERVIZI: Prestazioni artistiche, promosso l'affido diretto under 40
mila. La Corte dei conti toglie le castagne dal fuoco a molte
amministrazioni locali.
Legittimi gli affidamenti diretti di prestazioni artistiche,
sotto la soglia dei 40 mila euro.
La Corte dei conti,
Sezione regionale di controllo della Liguria col
parere 10.11.2014 n. 64, toglie le castagne dal fuoco per tutti
i comuni che da sempre si arrovellano sulle modalità da
seguire per assicurarsi le prestazione di artisti di vario
genere, da mettere sotto contratto per assicurare la
realizzazione delle tante manifestazioni turistiche o di
intrattenimento da essi curate.
La Sezione Liguria ha risposto al quesito posto dal comune
di Loano in merito alla possibilità di affidare
direttamente, mediante procedura negoziata senza preventiva
pubblicazione di bando, l'attività artistica, nell'ipotesi
in cui un comune intenda organizzare un evento con un
«determinato artista curato in esclusiva da un'agenzia di
spettacoli non iscritta al Mepa».
Il parere della Sezione fa un excursus normativo, non
pienamente coerente, sulla possibilità che le prestazioni
contrattuali dei comuni siano ancora affidabili senza fare
ricorso al Mepa, se di valore inferiore alla soglia
comunitaria e, ulteriormente, se sotto la soglia dei 40 mila
euro che, ai sensi dell'articolo 125 del dlgs 163/2006
consente l'affidamento diretto per cottimo fiduciario. In
sostanza, la posizione della Sezione Liguria è favorevole.
Nello specifico si può osservare che se nel Mepa non sono
presenti prestazioni di servizi di una certa categoria,
ovviamente il servizio può essere affidato mediante gli
ordinari sistemi di gara.
Più specificamente, la Sezione ritiene comunque possibile
affidare direttamente, senza gara, le prestazioni artistiche
per due ordini di motivi.
In primo luogo, perché, secondo la Corte dei conti la
prestazione artistica non rientra «di per sé nella materia
dell'appalto di servizi, costituendo una prestazione di
opera professionale disciplinata dall'art. 2229 c.c. Non
sussistono pertanto, ab origine, le ragioni per
l'applicazione del codice dei contratti pubblici alla
fattispecie in esame».
Tale conclusione, tuttavia, appare fuorviante e non
corretta. Le prestazioni artistiche, infatti, nel codice dei
contratti, sono espressamente considerate come servizi. Lo
dispone il punto 26 dell'Allegato IIB «Servizi ricreativi,
culturali e sportivi» e il vocabolario comune degli appalti,
che contempla una serie molto ampia di «servizi artistici».
La Sezione Liguria si ostina a ritenere applicabile alla
fattispecie degli appalti la particolarità tutta italiana
della prestazione d'opera professionale, come fosse cosa
diversa dalle prestazioni di servizi, ignorando, come troppi
altri giudici, l'articolo 3, comma 19, del dlgs 163/2006,
norma di derivazione europea che travolge il diritto
commerciale italiano e considera operatore economico anche
la persona fisica, purché offra servizi sul mercato.
Infatti, la Sezione Liguria, in parziale contraddizione, in
secondo luogo non esclude, indirettamente, che la
prestazione artistica sia un appalto di servizi. Infatti, il
parere afferma: «Quand'anche si dovesse ritenere che la
medesima possa rientrare tra gli appalti di servizi, essa
deve essere ricompresa nell'ambito di applicazione dell'art.
57, comma 2, dlgs 163/2006 che consente la procedura
negoziata senza previa pubblicazione di un bando di gara
''qualora, per ragioni di natura tecnica o artistica... il
contratto possa essere affidato unicamente a un operatore
economico determinato''».
In effetti, come visto prima, le prestazioni artistiche sono
certamente appalti di servizi, sottratti, comunque, alla
piena applicazione del dlgs 163/2006, rientrando
nell'allegato IIB al Codice. Il che significa che in ogni
caso esse possono essere affidate con le procedure
semplificate previste dall'articolo 27 del codice.
Tuttavia, la Sezione Liguria evidenzia correttamente
«l'infungibilità della prestazione artistica»,
caratteristica tale da renderla inidonea a procedure
comparative, siano esse elettroniche o tradizionali.
Dunque, anche il confronto semplificato tra 5 offerenti,
previsto dall'articolo 27 del codice dei contratti, non
sarebbe utile, nel caso di specie, vista l'inconfrontabilità
concorrenziale della performance del singolo artista.
Occorre aggiungere che diverse conclusioni sarebbero da
trarre se il comune intendesse acquisire il servizio di
organizzazione della manifestazione. In questo caso, non si
può dubitare che si tratti di un appalto di servizi vero e
proprio
(articolo ItaliaOggi Sette del 05.01.2015). |
APPALTI SERVIZI: Legittimi gli affidamenti diretti agli artisti.
Legittimi gli affidamenti diretti di prestazioni artistiche,
sotto la soglia dei 40.000 euro.
La Corte dei conti, sezione
regionale di controllo della Liguria col
parere 10.11.2014 n.
64 toglie le castagne dal fuoco per tutti i comuni
che da sempre si arrovellano sulle modalità da seguire per
assicurarsi le prestazione di artisti di vario genere, da
mettere sotto contratto per assicurare la realizzazione
delle tante manifestazioni turistiche o di intrattenimento
da essi curate.
La sezione Liguria ha risposto al quesito
posto dal comune di Loano in merito alla possibilità di
affidare direttamente, mediante procedura negoziata senza
preventiva pubblicazione di bando, l'attività artistica,
nell'ipotesi in cui un comune intenda organizzare un evento
con un «determinato artista curato in esclusiva da
un'agenzia di spettacoli non iscritta al Mercato elettronico
della p.a. (Mepa)».
Il parere della sezione fa un excursus
normativo, non pienamente coerente, sulla possibilità che le
prestazioni contrattuali dei comuni siano ancora affidabili
senza fare ricorso al Mepa, se di valore inferiore alla
soglia comunitaria e, ulteriormente, se sotto la soglia dei
40.000 euro che, ai sensi dell'articolo 125 del dlgs
163/2006 consente l'affidamento diretto per cottimo
fiduciario. In sostanza, la posizione della sezione Liguria
è favorevole. Nello specifico si può osservare che se nel
Mepa non sono presenti prestazioni di servizi di una certa
categoria, ovviamente il servizio può essere affidato
mediante gli ordinari sistemi di gara. Più specificamente,
la sezione ritiene comunque possibile affidare direttamente,
senza gara, le prestazioni artistiche per due ordini di
motivi.
In primo luogo, perché, secondo la Corte dei conti la
prestazione artistica non rientra «di per sé nella materia
dell'appalto di servizi, costituendo una prestazione di
opera professionale disciplinata dall'art. 2229 c.c. Non
sussistono pertanto, ab origine, le ragioni per
l'applicazione del codice dei contratti pubblici alla
fattispecie in esame».
Tale conclusione, tuttavia, appare fuorviante e non
corretta. Le prestazioni artistiche, infatti, nel codice dei
contratti, sono espressamente considerate come servizi. Lo
dispone il punto 26 dell'Allegato IIB «Servizi ricreativi,
culturali e sportivi» e il vocabolario comune degli appalti,
che contempla una serie molto ampia di «servizi artistici».
La sezione Liguria si ostina a ritenere applicabile alla
fattispecie degli appalti la particolarità tutta italiana
della prestazione d'opera professionale, come fosse cosa
diversa dalle prestazioni di servizi, ignorando, come troppi
altri giudici, l'articolo 3, comma 19, del dlgs 163/2006,
norma di derivazione europea che travolge il diritto
commerciale italiano e considera operatore economico anche
la persona fisica, purché offra servizi sul mercato.
Infatti, la sezione Liguria, in parziale contraddizione, in
secondo luogo non esclude, indirettamente, che la
prestazione artistica sia un appalto di servizi. Infatti, il
parere afferma: «Quand'anche si dovesse ritenere che la
medesima possa rientrare tra gli appalti di servizi, essa
deve essere ricompresa nell'ambito di applicazione dell'art.
57, comma 2, dlgs 163/2006 che consente la procedura
negoziata senza previa pubblicazione di un bando di gara
qualora, per ragioni di natura tecnica o artistica il
contratto possa essere affidato unicamente ad un operatore
economico determinato».
In effetti, come visto prima, le
prestazioni artistiche sono certamente appalti di servizi,
sottratti, comunque, alla piena applicazione del dlgs
163/2006, rientrando nell'allegato IIB al Codice. Il che
significa che in ogni caso esse possono essere affidate con
le procedure semplificate previste dall'articolo 27 del
codice.
Tuttavia, la sezione Liguria evidenzia correttamente
«l'infungibilità della prestazione artistica»,
caratteristica tale da renderla inidonea a procedure
comparative, siano esse elettroniche o tradizionali. Dunque,
anche il confronto semplificato tra 5 offerenti, previsto
dall'articolo 27 del codice dei contratti, non sarebbe
utile, nel caso di specie, vista l'inconfrontabilità
concorrenziale della performance del singolo artista
(articolo
ItaliaOggi del 12.12.2014). |
APPALTI
FORNITURE E SERVIZI: Richiesta
di parere inerente all’impatto derivante dall’applicazione
degli artt. 9 d.l. 66/2014 – 23 d.l. 90/2014 sulle procedure
di affidamento di servizi e di acquisto di beni e forniture
- Ricorso alle centrali di committenza nelle ipotesi
previste dall’art. 12511 d.lgs. 163/2006 e nelle ipotesi di
cottimo fiduciario sotto i 40.000,00 euro – Ammissibilità -
Possibilità di acquistare beni e servizi al di fuori del MEPA - Ammissibilità condizionata dal limite imperativo ed
ablativo del rispetto dei limiti massimi dei prezzi presenti
sul mercato elettronico - Possibilità, in caso di evento con
artista curato da un’agenzia di spettacoli non iscritta al
MEPA, di procedere all’affidamento diretto previsto
dall’art. 57 d.lgs. 163/2006 – Ammissibilità - Possibilità
di collaborazione diretta con associazioni di promozione
culturale o sportiva, che non possono iscriversi al MEPA,
con il pagamento di una prestazione di servizi in occasione
di manifestazioni ed eventi inseriti nel calendario
istituzionale - Ammissibilità con limiti.
L’ordinamento privilegia gli strumenti
delle centrali di committenza e delle procedure selettive
nel presupposto, imposto anche dal diritto comunitario, che
la massima concorrenzialità consenta i migliori risparmi di
spesa, contemperando però tale esigenza con il principio di
efficienza dell’azione amministrativa in quanto –come è
facile arguire– il ricorso a tali procedure implica sicuri
costi temporali e procedimentali incompatibili con l’agere
quotidiano di un ufficio pubblico.
Questa è la ragione per cui gli acquisti sotto i 40mila euro
possono essere fatti direttamente dall’Ufficio economale
senza attivazione di procedure concorrenziali. Nulla osta,
pertanto, all’adozione delle procedure più garantistiche e
al ricorso alle centrali di committenza ove l’ente locale,
nel caso specifico, ritenga maggiormente opportuno
intraprendere questa seconda strada.
---------------
Si può ritenere che i Comuni siano legittimati ad acquistare
beni e servizi al di fuori del MEPA con il limite imperativo
ed ablativo dell’assoluto rispetto dei limiti massimi di
prezzo presenti sul mercato elettronico.
---------------
Il mero presupposto soggettivo, e cioè l’impossibilità di
aderire al mercato elettronico non può essere da solo
requisito sufficiente per derogare al medesimo, considerato
che la ragione della sua istituzione risponde ad esigenze di
carattere pubblicistico di trasparenza, imparzialità ed
economicità che sono prevalenti rispetto a quelle del
singolo soggetto associativo di collaborare con l’ente
pubblico, quand'anche tale volontà non sia supportata da
finalità lucrative ma dal perseguimento di scopi ideali, che
però assumono rilevanza economica, trattandosi di
prestazioni fornite a titolo oneroso.
Diverso è il caso in cui l’associazione sia in grado di
fornire un servizio non rinvenibile sul mercato elettronico
(ovvero, per quanto detto sopra, rinvenibile ad un
prezzo/qualità superiore): in questo caso non sembrano
esservi preclusioni a consentire tale collaborazione
diretta, purché appunto limitata a prestazioni non
altrimenti rinvenibili sui mercati elettronici.
---------------
Con istanza in data
30.09.2014, trasmessa dal Presidente del Consiglio delle
Autonomie Locali della Liguria con nota n. 89 del 10.10.2014
ed assunta al protocollo della Segreteria della Sezione
regionale di controllo della Corte dei conti per la Liguria
il 14 ottobre con il n. 0002842 – 14.10.2014 – SC _ LIG -
T85 – A, il Sindaco del Comune di Loano ha inviato al
Consiglio delle Autonomie Locali una richiesta di parere
inerente all’impatto derivante dall’applicazione degli artt.
9 d.l. n. 66/2014 – 23 d.l. n. 90/2014 sulle procedure di
affidamento di servizi e di acquisto di beni e forniture.
In particolare l’Ente chiede se:
a) sia da escludersi l’applicabilità del ricorso alle
centrali di committenza nelle ipotesi previste dall’art. 12511
d.lgs. 163/2006 e nelle ipotesi di cottimo fiduciario sotto
i 40.000,00 euro, in considerazione che in tali casi la
normativa consente di non intraprendere la procedura
concorsuale;
b) sia possibile acquistare beni e servizi al di fuori
del MEPA qualora il ricorso all’esterno persegua l’obiettivo
del contenimento della spesa pubblica;
c) sia possibile, qualora si debba organizzare un evento
con un determinato artista curato in esclusiva da un’agenzia
di spettacoli non iscritta al MEPA, procedere
all’affidamento diretto previsto dall’art. 57 d.lgs.
163/2006, senza ricorrere al mercato elettronico;
d) sia ammissibile una collaborazione diretta con
associazioni di promozione culturale o sportiva, che non
possono iscriversi al MEPA, con il pagamento di una
prestazione di servizi in occasione di manifestazioni ed
eventi inseriti nel calendario istituzionale.
...
L’art. 333-bis d.lgs. 12.04.2006 n. 163,
introdotto dall’art. 23-ter d.l. 24.06.2014, n. 90, conv. in
l. 11.08.2014 n. 114, prevede che <<i Comuni non
capoluoghi di provincia procedono all’acquisizione di
lavori, beni e servizi nell’ambito delle unioni dei comuni
di cui all’art. 32 del decreto legislativo 18.08.2000 n.
267, ove esistenti, ovvero costituendo un apposito accordo
consortile tra i comuni medesimi e avvalendosi dei
competenti uffici anche delle province, ovvero ricorrendo ad
un soggetto aggregatore o alle province, ai sensi della
legge 07.04.2014 n. 56. In alternativa, gli stessi Comuni
possono acquisire beni e servizi attraverso gli strumenti
elettronici di acquisto gestiti da Consip S.p.A. o da altro
soggetto aggregatore di riferimento>>.
L’art. 12511 d.lgs. 163/2006 specifica che <<Per
servizi o forniture inferiori a quarantamila euro è
consentito l’affidamento diretto da parte del responsabile
del procedimento>>.
L’art. 1449, 450 l. 27.12.2006 n. 296
indica che <<449. Nel rispetto del sistema delle
convenzioni di cui agli articoli 26 della legge 23.12.1999
n. 488 e successive modificazioni, e 58 della legge
23.12.2000 n. 388, tutte le amministrazioni statali centrali
e periferiche sono tenute ad approvvigionarsi utilizzando le
convenzioni quadro. Le restanti amministrazioni pubbliche di
cui all’articolo 1 del decreto legislativo 30.03.2001 n. 165
possono ricorrere alle convenzioni di cui al presente comma
e al comma 456 del presente articolo, ovvero ne utilizzano i
parametri di prezzo–qualità come limiti massimi per la
stipulazione dei contratti. Gli enti del Servizio sanitario
nazionale sono in ogni caso tenuti ad approvvigionarsi
utilizzando le convenzioni stipulate dalle centrali
regionali di riferimento ovvero, qualora non siano operative
convenzioni regionali, le convenzioni quadro stipulate da
Consip S.p.A.
450. Dal 01.07.2007, le amministrazioni statali centrali e
periferiche per gli acquisti di beni e servizi al di sotto
della soglia di rilievo comunitario sono tenute a fare
ricorso al mercato elettronico della pubblica
amministrazione di cui all’articolo 328, comma 1, del
regolamento di cui al decreto del Presidente della
Repubblica 05.10.2010 n. 207. Fermi restando gli obblighi e
le facoltà previsti dal comma 449 del presente articolo, le
altre amministrazioni pubbliche di cui all’articolo 1 del
decreto legislativo 30.03.2001 n. 165 per gli acquisti di
beni e servizi di importo inferiore alla soglia di rilievo
comunitario sono tenute a fare ricorso al mercato
elettronico della pubblica amministrazione ovvero ad altri
mercati elettronici istituiti ai sensi del medesimo articolo
328>>.
L’art. 572 d.lgs. 163/2006 consente la procedura
negoziata senza previa pubblicazione di un bando di gara <<qualora,
per ragioni di natura tecnica o artistica ovvero attinenti
alla tutela di diritti esclusivi, il contratto possa essere
affidato unicamente ad un operatore economico determinato>>.
Il secondo e il quarto quesito formulato dal
Comune di Loano sono già stati oggetto di approfondimento da
parte delle Sezioni Regionali di controllo.
C.d.C. Sez. contr. Marche 27.11.2012 n. 169 e 25.03.2013 n.
17, C.d.C. Sez. contr. Lombardia 26.03.2013 n. 112 e C.d.C.
Sez. contr. Piemonte 23.05.2013 n. 211 ritengono che
sussista un obbligo di ricorso ad un
mercato elettronico, sia esso quello della pubblica
amministrazione, ovvero quello realizzato direttamente dalla
stazione appaltante o dalle centrali di committenza, al fine
di garantire la tracciabilità dell’intera procedura di
acquisto ed una maggiore trasparenza della stessa, con
conseguente riduzione dei margini di discrezionalità
dell’affidamento e la possibilità, da parte di imprese
concorrenti che riescano ad offrire prezzi più convenienti,
di aderire ai medesimi mercati. La Sezione piemontese,
peraltro, ha specificato come tale obbligo venga meno
nell’ipotesi di indisponibilità o inidoneità dei beni
presenti su tali mercati a soddisfare le esigenze dell’ente
locale richiedente.
C.d.C. Sez. contr. Toscana 30.05.2013 n. 151 e C.d.C. Sez.
contr. Emilia Romagna 17.12.2013 n. 286 specificano che
i principi generali di economicità e di
efficienza dell’azione amministrativa, perseguiti dalle
disposizioni sopra richiamate, consentono di mitigare
l’obbligo di ricorrere ai mercati elettronici ogni qualvolta
il ricorso all’esterno persegua la ratio di
contenimento della spesa pubblica insita nelle varie norme.
3. La valutazione della Sezione sulle questioni
sottoposte
La richiesta di parere concerne distintamente cinque quesiti
relativi, lato sensu, ai limiti di derogabilità alle
procedure elettroniche, o comunque concorrenziali, per
l’acquisto di beni e servizi da parte degli enti locali.
Con il primo quesito, in particolare, si chiede se
l’art. 23-ter d.l. 24.06.2014, n. 90, conv. in l. 11.08.2014
n. 114, che ha introdotto l’art. 333-bis d.lgs.
163/2006, escluda <<l’applicabilità del ricorso alle
centrali di committenza nelle ipotesi di una procedura di
affidamento diretto in base all’art. 125 comma 11 del codice
dei contratti e nelle ipotesi di cottimo fiduciario sotto i
40.000,00 euro, atteso che in tali casi la normativa ammette
la non attivazione della procedura concorsuale>>.
In altre parole, il Comune intende sapere se sia possibile
anche in questi casi ricorrere alle centrali di committenza
–che in ipotesi dovrebbero assicurare risparmi di non minima
entità avendo la possibilità di fare ordini di rilevante
entità- anche nelle fattispecie in cui l’ordinamento
consente l’acquisizione mediante amministrazione diretta per
ragioni di semplificazione e di celerità, stante il ridotto
importo della medesima.
La risposta è positiva.
L’ordinamento privilegia gli strumenti
delle centrali di committenza e delle procedure selettive
nel presupposto, imposto anche dal diritto comunitario, che
la massima concorrenzialità consenta i migliori risparmi di
spesa, contemperando però tale esigenza con il principio di
efficienza dell’azione amministrativa in quanto –come è
facile arguire– il ricorso a tali procedure implica sicuri
costi temporali e procedimentali incompatibili con l’agere
quotidiano di un ufficio pubblico.
Questa è la ragione per cui gli acquisti sotto i 40mila euro
possono essere fatti direttamente dall’Ufficio economale
senza attivazione di procedure concorrenziali. Nulla osta,
pertanto, all’adozione delle procedure più garantistiche e
al ricorso alle centrali di committenza ove l’ente locale,
nel caso specifico, ritenga maggiormente opportuno
intraprendere questa seconda strada.
Con il secondo e il quarto quesito, che
possono essere affrontati congiuntamente, il Comune di Loano
chiede se sia possibile acquistare beni e servizi al di
fuori del MEPA (Mercato Elettronico delle Pubbliche
Amministrazioni), eventualmente anche solo limitatamente
alle spese economali.
La questione è più complessa della precedente.
L’art. 1450 l. 296/2006 dispone che <<fermi
restando gli obblighi e le facoltà previsti dal comma 449
del presente articolo, le altre amministrazioni pubbliche di
cui all’articolo 1 del decreto legislativo 30.03.2001 n. 165
[tra cui rientrano gli enti locali] per gli acquisti di beni
e servizi di importo inferiore alla soglia di rilievo
comunitario sono tenute a fare ricorso al mercato
elettronico della pubblica amministrazione ovvero ad altri
mercati elettronici istituiti ai sensi del medesimo articolo
328>>.
Il chiaro obbligo di ricorso ad un mercato elettronico
(altro significato semantico non può assumere la locuzione
<<sono tenuti>>), previsto dal comma 450, deve però
tenere conto dell’espressa clausola di riserva prevista
dalla disposizione che si pone in una evidente posizione di
sussidiarietà rispetto alle <<facoltà previst[e] dal
comma 449 del presente articolo>>, le quali
ricomprendono la possibilità per gli enti locali di
rivolgersi al libero mercato con il limite imperativo,
soggetto alla eterointegrazione prevista dall’art. 1339
c.c., dello stesso prezzo – qualità/quantità previsto dal
sistema delle convenzioni CONSIP e dei mercati elettronici.
Tale interpretazione congiunta, oltre a coordinarsi
sistematicamente con il principio generale di economicità
dell’attività amministrativa, codificato nell’art. 11
l. 7.08.1990 n. 241, trova ulteriore conferma letterale
nell’ultima parte dell’art. 1449 l. cit. che
espressamente stabilisce che i soli <<enti del Servizio
sanitario nazionale sono in ogni caso tenuti ad
approvvigionarsi utilizzando le convenzioni stipulate dalle
centrali regionali di riferimento ovvero, qualora non siano
operative convenzioni regionali, le convenzioni quadro
stipulate da Consip S.p.A.>>.
Pertanto si può ritenere che i Comuni siano
legittimati ad acquistare beni e servizi al di fuori del
MEPA con il limite imperativo ed ablativo dell’assoluto
rispetto dei limiti massimi di prezzo presenti sul mercato
elettronico.
Con il terzo quesito il Comune di Loano chiede se sia
possibile procedere all’affidamento diretto mediante
trattativa privata senza pubblicazione di bando qualora si
intenda organizzare un evento con un determinato artista
curato in esclusiva da un’agenzia di spettacoli non iscritta
al MEPA.
La risposta è ugualmente positiva.
In primo luogo si deve rilevare come la
prestazione artistica non possa rientrare di per sé nella
materia dell’appalto di servizi, costituendo una prestazione
di opera professionale disciplinata dall’art. 2229 c.c. Non
sussistono pertanto, ab origine, le ragioni per
l’applicazione del codice dei contratti pubblici alla
fattispecie in esame.
Quand’anche si dovesse ritenere che la
medesima possa rientrare tra gli appalti di servizi, essa
deve essere ricompresa nell’ambito di applicazione dell’art.
572 d.lgs. 163/2006 che consente la procedura
negoziata senza previa pubblicazione di un bando di gara <<qualora,
per ragioni di natura tecnica o artistica … il contratto
possa essere affidato unicamente ad un operatore economico
determinato>>. E’ di tutta evidenza che l’infungibilità
della prestazione artistica rende la medesima inidonea ad
essere oggetto di procedure comparative o elettroniche (le
quali, tra l’altro, possono essere utilizzate solo per
acquistare beni e servizi tra cui certamente non può
rientrare quella in questione).
Infine, con il quarto quesito l’Ente locale chiede
se, in presenza di manifestazioni ed eventi inseriti nel
calendario istituzionale, sia possibile la collaborazione
diretta con associazioni di promozione culturale e sportiva
che, in quanto tali, non possono iscriversi al MEPA, con il
pagamento di una prestazione di servizi.
Anche in quest’ultimo caso la risposta è positiva, seppure
con alcune precisazioni.
Il mero presupposto soggettivo, e cioè
l’impossibilità di aderire al mercato elettronico non può
essere da solo requisito sufficiente per derogare al
medesimo, considerato che la ragione della sua istituzione
risponde ad esigenze di carattere pubblicistico di
trasparenza, imparzialità ed economicità che sono prevalenti
rispetto a quelle del singolo soggetto associativo di
collaborare con l’ente pubblico, quand'anche tale volontà
non sia supportata da finalità lucrative ma dal
perseguimento di scopi ideali, che però assumono rilevanza
economica, trattandosi di prestazioni fornite a titolo
oneroso.
Diverso è il caso in cui l’associazione sia in grado di
fornire un servizio non rinvenibile sul mercato elettronico
(ovvero, per quanto detto sopra, rinvenibile ad un
prezzo/qualità superiore): in questo caso non sembrano
esservi preclusioni a consentire tale collaborazione
diretta, purché appunto limitata a prestazioni non
altrimenti rinvenibili sui mercati elettronici
(Corte dei Conti, Sez. controllo Liguria,
parere 10.11.2014 n. 64). |
APPALTI - PUBBLICO IMPIEGO: Una
volta impugnati il bando e/o l’esclusione dal concorso (o da una procedura
ad evidenza pubblica), occorre poi impugnare anche l’atto conclusivo del
procedimento nel frattempo intervenuto, pena l’improcedibilità del ricorso
avverso l’atto presupposto.
Tale conclusione trova conforto nel condiviso orientamento giurisprudenziale
secondo il quale la non necessità di impugnazione dell’atto finale, quando
sia stato già contestato quello preparatorio, opera unicamente quando tra i
due atti vi sia un rapporto di presupposizione-consequenzialità immediata,
diretta e necessaria, nel senso che l’atto successivo si pone quale
inevitabile conseguenza di quello precedente, perché non vi sono nuove ed
autonome valutazioni di interessi, né del destinatario dell’atto
presupposto, né di altri soggetti.
Diversamente, quando l’atto finale, pur partecipando della medesima sequenza
procedimentale in cui si colloca l’atto preparatorio, non ne costituisce
conseguenza inevitabile perché la sua adozione implica nuove ed ulteriori
valutazioni di interessi, l’immediata impugnazione dell’atto preparatorio
non fa venir meno la necessità di impugnare l’atto finale.
---------------
Sul punto di diritto controverso la Sezione non intende discostarsi dai
principi elaborati dalla giurisprudenza di questo Consiglio, secondo cui una
volta impugnati il bando e/o l’esclusione dal concorso (o da una procedura
ad evidenza pubblica), occorre poi impugnare anche l’atto conclusivo del
procedimento nel frattempo intervenuto, pena l’improcedibilità del ricorso
avverso l’atto presupposto (Consiglio di Stato, Sezione V, 11.08.2010, n.
5618, 17.09.2008, n. 4400, 10.05.2010 n. 2766, 26.08.2008, n. 4053).
Tale conclusione trova conforto nel condiviso orientamento
giurisprudenziale, secondo il quale la non necessità di impugnazione
dell’atto finale, quando sia stato già contestato quello preparatorio, opera
unicamente quando tra i due atti vi sia un rapporto di
presupposizione-consequenzialità immediata, diretta e necessaria, nel senso
che l’atto successivo si pone quale inevitabile conseguenza di quello
precedente, perché non vi sono nuove ed autonome valutazioni di interessi,
né del destinatario dell’atto presupposto, né di altri soggetti.
Diversamente, quando l’atto finale, pur partecipando della medesima sequenza
procedimentale in cui si colloca l’atto preparatorio, non ne costituisce
conseguenza inevitabile perché la sua adozione implica nuove ed ulteriori
valutazioni di interessi, l’immediata impugnazione dell’atto preparatorio
non fa venir meno la necessità di impugnare l’atto finale (Consiglio di
Stato, Sezione V, 11.08.2010; 22.01.2014, n. 329)
(Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 05.11.2014 n. 5463 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
ottobre 2014 |
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APPALTI: Comunicazioni
via Pec.
Domanda
In caso di aggiudicazione comunicata via Pec, quando inizia
a decorrere il termine per impugnare?
Risposta
L'art. 79 del dlgs 163/2006, comma 5-bis, prevede che le
comunicazioni del provvedimento di aggiudicazione «sono
fatte per iscritto, con lettera raccomandata con avviso di
ricevimento o mediante notificazione o mediante posta
elettronica certificata»
Sulla base di tali disposizioni normative il Tar Lombardia,
con sentenza 2677/2013, ha precisato che la posta
elettronica certificata costituisce uno strumento di
comunicazione di per sé idoneo a determinare la conoscenza
rilevante per la decorrenza del termine di impugnazione.
L'art. 6, comma terzo, del Dpr n. 68/2005 precisa che «la
ricevuta di avvenuta consegna fornisce al mittente prova che
il suo messaggio di posta elettronica certificata è
effettivamente pervenuto all'indirizzo elettronico
dichiarato dal destinatario e certifica il momento della
consegna tramite un testo, leggibile dal mittente,
contenente i dati di certificazione».
Pertanto, la comunicazione dell'aggiudicazione effettuata a
mezzo di posta elettronica certificata, si intende avvenuta
nella data indicata nella ricevuta di avvenuta consegna
fornita al mittente dal gestore di posta elettronica
certificata.
La ricevuta di avvenuta consegna è rilasciata
contestualmente alla consegna del messaggio di posta
elettronica certificata e il momento in cui il destinatario
legge il messaggio è irrilevante ai fini della conoscenza
legale del documento trasmesso
(articolo ItaliaOggi Sette del
27.10.2014). |
APPALTI
FORNITURE E LAVORI PUBBLICI: In
tema di qualificazione del contratto misto di lavori e
forniture e di conseguente conformità a legge della
selezione del contraente a mezzo di cottimo fiduciario con
procedura d’urgenza.
In caso di contratti pubblici misti la
disciplina da applicare è quella del contratto con causa
prevalente, a nulla rilevando la definizione –nel caso di
specie di lavoro o di fornitura– che ne sia stata data
dall’amministrazione.
L’individuazione della prevalenza
causale è compito del giudice e deve essere effettuata caso
per caso secondo un criterio funzionale, ritenuto anche
dalla giurisprudenza amministrativa preponderante rispetto a
quello meramente economico, basato sul valore monetario
della parte lavoro rispetto alla parte forniture.
In
particolare, quando l’appalto è funzionale alla
realizzazione o alla modificazione di un’opera di ingegneria
civile si applica la normativa dei lavori pubblici, quale
sia l’importo economico della fornitura e del lavoro.
---------------
1. Sui presupposti dell’affidamento in economia secondo le
forme del cottimo fiduciario:
1.1. Natura del contratto affidato.
Considerato che il contratto di affidamento approvato nelle
sue procedure dal decreto in esame è da qualificare
contratto misto, di lavori e forniture, il Collegio osserva
in via preliminare che il nomen iuris ad esso dato
dall’Amministrazione non è in alcun modo determinante della
sua effettiva natura. Al contrario, questa è rimessa alla
valutazione del giudice in concreto. In tal senso soccorre
anche la giurisprudenza amministrativa, costante
nell’affermare che “l’interpretazione degli atti
amministrativi soggiace alle stesse regole dettate dagli
artt. 1362 c.c. per l’interpretazione dei contratti, fra le
quali ha carattere preminente quella collegata all’elemento
letterale, centrale restando comunque l’obbligo del giudice
d’individuare l’intento perseguito dall’Amministrazione ed
il potere che ha inteso effettivamente esercitare in base al
contenuto complessivo dell’atto, e ciò privilegiando gli
aspetti sostantivi della vicenda, indipendentemente dal nomen iuris attribuito ad esso da parte dell’Amministrazione
procedente” (cfr., ex multis, Trga Trento, 09.02.2010, n. 50; Cons. St., sez. IV, 30.05.2001, n. 2953, e
sez. V, 15.10.2003, n. 6316).
Peraltro, “nei contratti
misti la fusione delle cause fa sì che gli elementi
distintivi di ciascun negozio vengono assunti quali elementi
di un negozio unico, a mezzo del quale le parti perseguono
un risultato economico unitario e complesso, il che comporta
che l’entità, le modalità e le conseguenze del collegamento
negoziale debbano essere considerate in relazione
all’interesse perseguito dal soggetto appaltante” (TAR
Lombardia, Milano, sez. I, 12.09.2011, n. 2204).
Osserva, inoltre, il Collegio, che la disciplina da
applicare alle fattispecie di contratti pubblici misti è
quella riferita al contratto con causa prevalente.
In particolare, sul punto la Corte di giustizia delle
Comunità europee si è pronunciata affermando che “nel caso
di contratto misto l’operazione di cui trattasi deve essere
esaminata nel suo insieme, in modo unitario, ai fini della
sua qualifica giuridica, e dev’essere valutata sulla base
delle regole che disciplinano la parte che costituisce
l’oggetto principale, o l’elemento preponderante del
contratto” (CG, sez. IV, 06.05.2010, n. 149. Nello stesso
senso, CG 05.12.1989, causa C-3/88, Commissione c.
Italia; 19.04.1994, causa C- 331/92, Gestion Hotelera
Internacional, 18.01.2007, causa C-220/05, Auroux e a.;
21.02.2008, causa C-412/2004 Commissione c. Italia).
Identico orientamento si registra in ambito nazionale ove il
criterio della prevalenza “secondo le caratteristiche
specifiche del contratto” e della valutazione
dell’”accessorietà” della prestazione è riconosciuto sia a
livello normativo, (art. 14, comma 1, lett. a) e comma 3,
del Codice dei contratti pubblici), che giurisprudenziale,
nel momento in cui si afferma che, nel caso di contratti
misti, la disciplina applicabile è quella del “tipo
contrattuale prevalente”, da individuare caso per caso, in
base all’analisi approfondita della documentazione di gara
(Cfr. TAR Puglia, Bari, sez. I, 10.03.2011, n. 418).
Detta prevalenza deve essere valutata sia dal punto di vista
economico che funzionale, assicurando maggiore rilievo a
quest’ultimo.
Al riguardo, viene in considerazione il disposto dell’art.
14 del Codice dei contratti. La norma, da un lato, fa
riferimento alla valutazione della “accessorietà”, e in tal
caso privilegia l’elemento funzionale del contratto, secondo
un approccio di valutazione sostanziale. Dall’altro lato,
richiama anche il criterio della valutazione della
percentuale di costo, che tuttavia, viene utilizzato, nel
contratto misto di lavori e forniture, per introdurre una
presunzione a favore del contratto di lavori ove questi
impegnino economicamente l’Amministrazione per oltre il 50%
del valore dell’appalto.
*****
Venendo al caso di specie, osserva il Collegio che, dal
computo metrico estimativo del progetto esecutivo si evince
che i due gruppi frigo sono iscritti per un valore
complessivo pari a € 149.177,90, su un totale dei lavori, a
lordo del ribasso (non muta l’incidenza percentuale), pari a
€ 188.535,62. L’incidenza della fornitura sui lavori è pari
al 79% (e, di converso, dei lavori sulla fornitura pari al
21%).
Poiché le percentuali sono inverse rispetto a quelle di cui
all’art. 14, comma 3, del Codice dei contratti, la
disposizione ivi contenuta potrebbe essere letta “a
contrario” e, cioè, per escludere la presunzione di
prevalenza dei lavori ivi sancita per i casi, opposti a
quello in esame, in cui siano i lavori ad essere
percentualmente prevalenti nel costo rispetto alla fornitura
dei beni.
Tuttavia, rivolgendosi all’applicazione del criterio
qualitativo-funzionale, il Collegio afferma la necessità di
verificare in concreto se la fornitura dei gruppi frigo,
così economicamente preponderante rispetto al lavoro di posa
in opera, sia o meno elemento accessorio rispetto
all’attività di installazione.
Al riguardo soccorre il principio invocato dal
Provveditorato in sede istruttoria e sancito dall’AVCP con
la delibera n. 81/2011, come riletto alla luce della
documentazione depositata e delle dichiarazioni rese dallo
stesso Provveditorato nel corso dell’Adunanza pubblica.
Nel caso richiamato, l’AVCP ribadisce la preferenza del
criterio funzionale rispetto a quello economico ai fini
della valutazione di prevalenza tra lavori e forniture nei
contratti misti.
In particolare, osserva l’Autorità, “quando l’appalto è
funzionale alla realizzazione o alla modificazione di
un’opera di ingegneria civile si applica la normativa dei
lavori pubblici, quale sia l’importo economico della
fornitura e del lavoro. Viceversa è configurabile un
contratto di fornitura con posa in opera nel caso in cui con
il contratto di fornitura si intenda conseguire una
prestazione avente per oggetto una merce, un prodotto, che
autonomamente soddisfano il bisogno per la loro stessa
natura. In tal caso gli eventuali lavori di posa e
istallazione del bene fornito sono di carattere accessorio e
strumentale rispetto all’uso dello stesso”.
Pertanto,
conclude per la natura di contratto di lavori della
procedura sottoposta al suo esame, motivando in base alla
sua qualità specifica, di realizzazione di opere e impianti
“inseriti in un organismo di ingegneria civile, commerciale,
industriale”. In casi simili a questo, osserva l’Autorità,
non è consentito dare rilievo alle forniture, anche se di
valore superiore al 50%. “Ciò in quanto in ogni appalto di
lavori vi è una componente, talora economicamente
prevalente, di forniture, ma detto appalto non muta natura
quando l’opera si realizza o si modifica per consentire
un’attività che costituisce finalità della iniziativa della
pubblica Amministrazione” (Deliberazione AVCP n. 81 del
06.10.2011).
Tale ricostruzione dei criteri da seguire
nell’individuazione della disciplina da applicare ai
contratti misti di lavori e forniture resa dall’AVCP appare
al Collegio conforme alla legge e all’interpretazione della
giurisprudenza nella materia “de qua” e, conseguentemente,
condivisibile.
Pertanto, ritiene il Collegio di dover tenere in
considerazione la natura specifica dell’oggetto della
fornitura, la cui denominazione di “gruppi frigo” indicata
nel provvedimento in esame potrebbe essere in sé sola
fuorviante.
Infatti, come chiarito dall’Amministrazione più puntualmente
in sede di adunanza pubblica, nel caso di specie non si
trattava semplicemente di fornire al Tribunale civile
condizionatori caldo/freddo, bensì si trattava di realizzare
il nuovo impianto di condizionamento/raffreddamento, al fine
di consentire il servizio pubblico di amministrazione della
giustizia in uno stabile che, per sua struttura (realizzato
interamente a vetrate non apribili), non avrebbe permesso lo
svolgimento della funzione in assenza di locali resi
agibili.
Alla luce di tali chiarimenti il Collegio ritiene
applicabile il principio di prevalenza nei termini espressi
dall’AVCP con la determinazione succitata, rilevando che,
nel caso di specie, sussiste una preponderanza solo
economica del materiale fornito rispetto ai costi dei lavori
di costruzione del sistema di condizionamento dell’intero
stabile, mentre questi ultimi risultano, invece, prevalenti
dal punto di vista funzionale.
Conclude perciò il Collegio per la conformità a legge della
procedura adottata secondo le forme del cottimo fiduciario,
stante il rispetto dei limiti di valore di cui all’art. 125,
comma 8, del Codice dei contratti applicabile nei casi di
contratti di lavori.
*****
Ritiene, invece, il Collegio di dover precisare che non
appare in alcun modo dirimente la considerazione addotta dal
Provveditorato in ordine ad una qualche portata
argomentativa della necessità di attestazione SOA per lo
svolgimento dei lavori in questione, quasi che la richiesta
di detta attestazione alla ditta affidataria sia elemento
idoneo a dimostrare la prevalenza della parte “lavori” su
quella “forniture”.
Infatti, proprio in punto di qualificazione e capacità
economica e tecnica, l’ordinamento positivo fa eccezione al
principio della prevalenza sin qui illustrato, e dispone che
“l’operatore economico che concorre alla procedura di
affidamento di un contratto misto, deve possedere i
requisiti di qualificazione e capacità prescritti dal
presente codice per ciascuna prestazione di lavori, servizi,
forniture prevista dal contratto” (art. 15 del Codice dei
contratti).
Ne discende che nel caso in esame, per quanto riguarda la
parte relativa ai lavori, rimane comunque ferma la necessità
delle attestazioni SOA, a prescindere dal fatto che questi
si presentino come prevalenti o meramente accessori alla
fornitura (cfr. Cons. St. sez. V, 28.02.2012, n. 1153).
Pertanto, il fatto di avere richiesto il possesso dello
specifico requisito non incide sull’interpretazione data
circa la natura del contratto all’esame
(Corte dei Conti, Sez. controllo Lazio,
deliberazione 20.10.2014 n. 174). |
LAVORI PUBBLICI: La procedura di somma urgenza non può configurarsi in caso
di inerzia dell’amministrazione, mentre essa può ricorrervi
quando dimostri di essersi tempestivamente attivata.
---------------
1.2. Il presupposto della somma urgenza.
Osserva il Collegio che il legislatore ha individuato tra i
presupposti che legittimano il ricorso ad affidamenti in
economia quello della situazione di urgenza o di somma
urgenza anche a prescindere dalla qualificazione del
contratto misto come contratto di forniture o di lavori.
In particolare, per le forniture, l’art. 125, comma 10, del
Codice dei contratti, afferma che il ricorso
all’acquisizione in economia “è… consentito nell’ipotesi
di…. d) urgenza, determinata da eventi oggettivamente
imprevedibili, al fine di scongiurare situazioni di pericolo
per persone, animali o cose, ovvero per l’igiene e la salute
pubblica…”. Per i lavori pubblici, lo stesso art. 125, al
comma 6, individua le ipotesi di affidamento in economia in
una serie di categorie generali di fattispecie che si
caratterizzano per l’imprevedibilità e la non
programmabilità degli interventi. Più specificamente, poi,
gli artt. 175 e 176 del d.P.R. n. 207/2010 prevedono i casi
dell’urgenza e della somma urgenza, indicando la procedura
da seguire.
Osserva, peraltro, il Collegio che la nozione di urgenza
trova radici ben più remote nel tempo, individuandosi una
simile categorizzazione anche ai sensi del precedente d.P.R.
n. 554/1999, secondo linee interpretative sin da allora
consolidate in giurisprudenza.
In particolare, il principio espresso dalla giurisprudenza
amministrativa, e che nella fattispecie rileva, appare al
Collegio adeguatamente riassunto dall’AVCP nella
determinazione resa il 05.04.2000, n. 18, ove si afferma
che “l’urgenza deve essere qualificata e non generica, deve
corrispondere ad esigenze eccezionali e contingenti e deve
essere tale da far ritenere che il rinvio dell’intervento
comprometterebbe irrimediabilmente il raggiungimento degli
obiettivi che la stazione appaltante si è posta mediante la
realizzazione dell’intervento stesso, non deve essere
imputabile all’inerzia della stazione appaltante stessa che
deve attuare una corretta pianificazione degli interventi da
eseguire”.
*****
Invero, sin dalla fase istruttoria, il maggiore dubbio in
ordine alla sussistenza, nel caso di specie, del presupposto
della procedura di affidamento in economia, dato
dall’urgenza di provvedere, ha riguardato il carattere
dell’imprevedibilità degli eventi e, insieme ad esso, della
non riconducibilità della situazione di urgenza all’inerzia
dell’Amministrazione.
Infatti, sulla base degli atti, in precedenza allegati il
venir meno della funzionalità dei gruppi frigo appariva
fatto ampiamente prevedibile dall’Amministrazione dato che
risultavano essere decorsi più di vent’anni dalla data delle
loro istallazione. Peraltro, la necessità della sostituzione
avrebbe ben potuto essere presa in considerazione anche a
prescindere dalla vetustà dell’impianto, dato che con
Regolamento (CE) 1005/2009 del Parlamento Europeo e del
Consiglio del 16.09.2009, il gas R22, utilizzato per
il funzionamento dei gruppi frigo in questione, era stato
riconosciuto tra le sostanze che riducono lo strato di ozono
e, pertanto, dichiarato utilizzabile solo fino a 2015.
Il Collegio ritiene che, grazie all’integrazione documentale
e alle dichiarazioni rese dall’Amministrazione in sede di
adunanza pubblica, i suddetti dubbi di legittimità possano
ritenersi superati.
Al riguardo, infatti, il Collegio ritiene che assuma
fondamentale rilevanza il documento di programmazione
intitolato “Adeguamento d.lgs. 81/2008 –prevenzione
antisismica- altro”, depositato nella sede della pubblica
adunanza dei 21.07.2014 dal Provveditorato
interregionale.
Detto documento, prodotto nella versione finale del 12.07.2010, dimostra che i lavori di sostituzione dei
gruppi frigo erano stati programmati a valere sul capitolo
di bilancio 7200 già per l’esercizio finanziario 2009, sin
da allora, peraltro, con i caratteri della somma urgenza.
L’Amministrazione ha, poi, dato conto dell’incapienza,
all’epoca, del capitolo di bilancio, con conseguente
impossibilità oggettiva di poter procedere ai lavori
richiesti.
Alla luce di tale nuova prospettazione dei fatti, il
Collegio ritiene che si debba considerare venuto meno il
rilievo della mancanza dei presupposti della somma urgenza
sub specie di inerzia dell’Amministrazione nel provvedere,
ravvisandosi piuttosto la doverosa attivazione della stessa
in tempi utili e l’ascrivibilità del ritardo nel provvedere
a ragioni di oggettiva impossibilità ad assumere le
decisioni del caso (Corte dei Conti, Sez. controllo Lazio,
deliberazione 20.10.2014 n. 174). |
APPALTI -
LAVORI PUBBLICI:
Responsabile unico del procedimento. Momento della nomina.
Sia la normativa statale che quella
regionale in materia di lavori pubblici collocano il momento
della nomina del responsabile unico del procedimento (RUP)
in un momento antecedente a quello dell'avvio della fase di
progettazione.
Il Comune chiede un parere con riferimento al momento in cui
deve avvenire la nomina del responsabile unico del
procedimento (RUP). In particolare chiede se sia più
corretto conferire l'incarico 'nella fase di approvazione
del progetto preliminare ovvero in quelle, successive, di
approvazione del progetto definitivo od ancora di quello
esecutivo, momento nel quale la volontà dell'amministrazione
di andare a realizzare l'opera pubblica diviene concreta e
attuale'.
Attesa la specifica competenza in materia del Servizio
lavori pubblici della Direzione centrale infrastrutture,
mobilità, pianificazione territoriale, lavori pubblici,
università, si esprimono in via collaborativa alcune
osservazioni di carattere generale, rimettendosi alle
eventuali ulteriori considerazioni che detto Servizio vorrà
esprimere.
Come noto, il responsabile unico del procedimento viene
nominato dalla stazione appaltante per ogni singolo appalto:
ad esso sono attribuiti specifici compiti e funzioni nelle
fasi della progettazione, dell'affidamento e dell'esecuzione
dell'appalto.
La figura del RUP è disciplinata dall'art. 10 del decreto
legislativo 12.04.2006, n. 163 (Codice dei contratti) e
dagli articoli 9 e 10 del relativo regolamento di esecuzione
e attuazione, il dPR 05.10.2010, n. 207. Per la Regione
Friuli Venezia Giulia occorre inoltre fare riferimento alla
legge regionale 31.05.2002, n. 14, art. 5, e al decreto del
Presidente della Regione 05.06.2003, n. 0165/Pres., articoli
3 e 4.
Il Codice dei contratti stabilisce che per ogni singolo
intervento da realizzarsi attraverso un contratto pubblico
le amministrazioni aggiudicatrici devono individuare un
responsabile unico del procedimento, e ne elenca i compiti e
le caratteristiche.
L'art. 9 del regolamento fornisce ulteriori indicazioni sul
responsabile del procedimento per la realizzazione di lavori
pubblici. In particolare, dispone, al comma 1, che la nomina
del RUP avvenga 'prima della fase di predisposizione
dello studio di fattibilità o del progetto preliminare da
inserire nell'elenco annuale di cui all'articolo 128, comma
1, del codice; per lavori non assoggettati a programmazione
ai sensi dell'articolo 128 del codice, il responsabile del
procedimento è nominato contestualmente alla decisione di
realizzare i lavori'.
L'art. 3, comma 1, del Regolamento di attuazione della legge
regionale 14/2002 dispone inoltre che 'L'Amministrazione
aggiudicatrice nomina il Responsabile unico del procedimento
di attuazione di ogni singolo intervento previsto dal
programma di cui all'articolo 7 della legge prima dell'avvio
della fase di progettazione'.
L'AVCP (ora ANAC) ha affermato che il responsabile unico del
procedimento riveste un ruolo propositivo-pianificatore, al
punto da arrivare addirittura a suggerire alla propria
amministrazione l'opera e studiarne la convenienza e la
fattibilità: 'il codice infatti e l'attuale regolamento
indicano che il RUP deve essere nominato ancor prima della
fase di predisposizione dello studio di fattibilità', o
comunque prima dell'avvio della progettazione
[1].
Pertanto, sia la normativa statale che quella regionale
collocano la nomina del RUP in un momento antecedente a
quello dell'avvio della fase di progettazione.
---------------
[1] Deliberazione n. 93, Adunanza del 07.11.2012 (20.10.2014
-
link a
www.regione.fvg.it). |
APPALTI FORNITURE E SERVIZI:
S. Calvetti,
È davvero ammissibile il rinnovo “espresso” dei contratti
pubblici? (Urbanistica e appalti n. 10/2014).
---------------
Il rinnovo “espresso” dei contratti pubblici rimane un
tema di grande attualità. La decisione in rassegna offre lo
spunto per una riflessione dalla portata più generale circa
l'effettiva sussistenza nel nostro ordinamento della
possibilità di rinnovo “espresso” dei contratti pubblici.
Possibilità che invero è stata posta in discussione dalla
stessa giurisprudenza.
Non mancano infatti decisioni del Consiglio di Stato che
addirittura considerano illegittime le clausole, dei bandi e
dei capitolati, che espressamente prevedono (rectius:
prevedevano) la possibilità del rinnovo. Fermo in ogni caso,
e pacifico, il divieto di rinnovo “tacito”. |
settembre 2014 |
|
APPALTI:
Cessione di ramo d'azienda relativo a servizi cimiteriali.
Atteso che il codice dei contratti ha
coordinato e chiarito il rapporto tra le fattispecie di
'cessione del contratto' e di 'cessione di ramo d'azienda',
riaffermando il divieto di cessione del contratto ex art.
118, comma 1 e facendo al contempo espressamente salva la
disciplina sulle modificazioni soggettive
dell'appaltatore-esecutore del contratto ex art. 116, la
cessione del ramo d'azienda non pare configurare una
violazione della clausola del capitolato speciale d'appalto,
relativa alla previsione del divieto di cessione e
subcessione del contratto.
Il Comune, che ha in essere un contratto per i servizi
cimiteriali con una società la quale ha di recente operato
una cessione di ramo d'azienda relativamente a tali servizi,
chiede di conoscere se detta cessione costituisca violazione
della clausola contrattuale del capitolato speciale
d'appalto che vieta espressamente la cessione e la
sub-cessione del contratto.
Esaminato il quadro normativo di riferimento, si formulano
le seguenti considerazioni.
La cessione di ramo di azienda, così come l'azienda è
definita dall'art. 2555 del codice civile, comporta il
trasferimento del 'complesso dei beni organizzati
dall'imprenditore per l'esercizio dell'impresa'. La
cessione del contratto, invece, riguarda il solo mutamento
del soggetto esecutore dello stesso.
Il divieto di cessione del contratto è previsto
dall'articolo 118, comma 1 del codice dei contratti, ai
sensi del quale: '1. I soggetti affidatari dei contratti
di cui al presente codice sono tenuti ad eseguire in proprio
le opere o i lavori, i servizi, le forniture compresi nel
contratto. Il contratto non può essere ceduto, a pena di
nullità, salvo quanto previsto nell'articolo 116.'.
[1]
La disciplina del mutamento dell'esecutore del contratto,
determinata dalla cessione del ramo di azienda da parte
dell'aggiudicatario, è contenuta, invece, nell'articolo 116
del d.lgs. 163/2006. In particolare, ai fini dell'odierno
quesito, rilevano i commi 1 e 2 e 3 del citato articolo 116,
i quali prevedono che '1. Le cessioni di azienda e gli
atti di trasformazione, fusione e scissione relativi ai
soggetti esecutori di contratti pubblici non hanno
singolarmente effetto nei confronti di ciascuna stazione
appaltante fino a che il cessionario, ovvero il soggetto
risultante dall'avvenuta trasformazione, fusione o
scissione, non abbia proceduto nei confronti di essa alle
comunicazioni previste dall'articolo 1 del decreto del
Presidente del Consiglio dei ministri 11.05.1991, n. 187, e
non abbia documentato il possesso dei requisiti di
qualificazione previsti dal presente codice.
2. Nei sessanta giorni successivi la stazione appaltante può
opporsi al subentro del nuovo soggetto nella titolarità del
contratto, con effetti risolutivi sulla situazione in
essere, laddove, in relazione alle comunicazioni di cui al
comma 1, non risultino sussistere i requisiti di cui
all'articolo 10-sexies della legge 31 maggio 1965, n. 575, e
successive modificazioni.
3. Ferme restando le ulteriori previsioni legislative
vigenti in tema di prevenzione della delinquenza di tipo
mafioso e di altre gravi forme di manifestazione di
pericolosità sociale, decorsi i sessanta giorni di cui al
comma 2 senza che sia intervenuta opposizione, gli atti di
cui al comma 1 producono, nei confronti delle stazioni
appaltanti, tutti gli effetti loro attribuiti dalla legge.'.
Come osservato dall'Autorità di Vigilanza sui contratti
pubblici [2],
'L'articolo 116 citato, quindi, non esclude mutamenti
soggettivi in fase di esecuzione del contratto, ma prevede
un'ipotesi di inefficacia relativa, perché subordina
l'efficacia della cessione nei confronti
dell'amministrazione all'adempimento di obblighi informativi
e all'assolvimento di oneri probatori per comprovare il
possesso dei requisiti. La possibilità di subentro nel
contratto da parte del cessionario di un ramo d'azienda è,
dunque, normativamente subordinata al positivo accertamento
del possesso dei requisiti di ordine generale e speciale, al
fine di garantire la stazione appaltante circa la
permanenza, in caso di modificazione soggettiva
dell'esecutore del contratto, dei requisiti accertati in
capo al soggetto affidatario del contratto.'.
Con le disposizioni di cui agli articoli 118, comma 1 e 116,
il codice dei contratti ha definitivamente operato un
coordinamento e chiarito il rapporto tra le due fattispecie
'cessione del contratto' e 'cessione di ramo
d'azienda' riaffermando per un verso il divieto di
cessione del contratto ex art. 118, comma 1 e facendo al
contempo espressamente salva la disciplina sulle
modificazioni soggettive dell'appaltatore-esecutore del
contratto ex art. 116 del codice stesso.
Per quanto in premessa, la cessione di ramo d'azienda in
commento non pare configurare una violazione della clausola
del capitolato speciale d'appalto, relativamente al divieto
di cessione e sub-cessione del contratto ivi previsto.
---------------
[1] Per un approfondimento si veda il parere AVCP
AG35-08, 06.11.2008, Oggetto: cessione di ramo di azienda ex
art. 116 D.Lgs. n. 163/2006 relativo al servizio di pulizia,
consultabile al sito internet: http://www.avcp.it .
[2] Così AVCP, parere 24.10.2012 (AG 20/12) (30.09.2014
-
link a
www.regione.fvg.it). |
APPALTI: Gara
telematica offerta illeggibile.
Domanda
Una stazione appaltante ha indetto una procedura di gara
telematica attraverso una piattaforma informatica. Può
essere escluso il concorrente nel caso in cui il file
dell'offerta risulti illeggibile?
Risposta
Il «caricamento» del file contenente l'offerta presenta fasi
di competenza del privato e fasi di competenza del gestore
del sistema. Il rischio connesso al malfunzionamento del
sistema deve essere attribuito alla parte che, rispetto alla
singola fase, è competente a gestire l'operazione di
caricamento.
In particolare il Consiglio di stato, sez. III,
sentenza 02/07/2014 n. 3329 ha precisato che: «Stante la netta
distinzione delle fasi di competenza del mittente e di Sintel, ognuno di tali soggetti assume su di sé il solo
rischio afferente al segmento di sua propria e precipua
spettanza, senza poterlo riversare sull'altro».
Questo criterio, in base alla motivazione riportata nella
sentenza del Consiglio di stato, sarebbe perfettamente
compatibile con il principio del favor partecipationis in
quanto «la gestione interamente informatizzata della
procedura di gara ben può implicare l'esclusione dalla gara
della domanda che risulti illeggibile per un guasto non dei
comandi di trasmissione, ma dell'originazione del relativo
file»
(articolo ItaliaOggi Sette del 22.09.2014). |
APPALTI FORNITURE:
Limitazioni di spesa per acquisto arredi.
Il testo vigente dell'art. 1, comma 141,
della l. 24.12.2012, n. 228, nel limitare la spesa per
l'acquisto di mobili e arredi da parte delle amministrazioni
pubbliche al 20 per cento della spesa sostenuta in media
negli anni 2010 e 2011, consente una deroga, qualora
l'acquisto sia funzionale alla riduzione delle spese
connesse alla conduzione degli immobili previa verifica che
i risparmi realizzabili con l'acquisto degli arredi siano
maggiori rispetto alla minor spesa che deriverebbe
dall'applicazione del citato limite.
Compete, quindi, a ciascuna amministrazione verificare,
nell'ambito della propria autonomia, la presenza delle
condizioni per l'applicazione della deroga descritta,
tenendo conto che la violazione della norma in commento è
valutabile ai fini della responsabilità amministrativa e
disciplinare.
Il Comune formula una serie di quesiti in ordine alla
possibilità di arredare i locali di un edificio in procinto
di essere ristrutturato, per essere utilizzato come centro
civico polifunzionale, atteso che nell'ambito della
progettazione non risulta contemplato l'arredamento delle
sale.
In particolare chiede di conoscere:
- se trovano applicazione le previsioni di cui all'articolo
1, comma 141 della l. 228/2012 e s.m.i., che, per gli anni
2013 e 2014, limitano la spesa per l'acquisto di mobili e
arredi ad un importo non superiore al 20% di quella media
sostenuta per il medesimo fine negli anni 2010 e 2011;
- se sia possibile 'impiegare, per l'acquisto degli
arredi in argomento, il probabile ribasso d'asta, da
applicare con una perizia di variante';
- se vi siano altre soluzioni praticabili;
- se, operando il divieto normativo per gli anni 2013 e
2014, nel corso dell'anno 2015 sia possibile procedere
liberamente ai necessari acquisti.
Si formulano al riguardo le seguenti considerazioni di
carattere generale.
La restrizione delle spese in argomento è stata introdotta
dall'art. 1, comma 141, della l. 24 dicembre 2012, n. 228,
successivamente modificato dall'art. 18, comma 8-sexies, del
d. l. 21.06.2013, n. 69, convertito con modificazioni dalla
l. 09.08.2013, n. 98. La norma, nella sua attuale versione,
prescrive: 'Ferme restando le misure di contenimento
della spesa già previste dalle vigenti disposizioni, negli
anni 2013 e 2014, le amministrazioni pubbliche inserite nel
conto economico consolidato della pubblica amministrazione,
come individuate dall'Istituto nazionale di statistica
(ISTAT) ai sensi dell'articolo 1, comma 3, della l.
31.12.2009, n. 196, e successive modificazioni, nonché le
autorità indipendenti e la Commissione nazionale per le
società e la borsa (CONSOB) non possono effettuare spese di
ammontare superiore al 20 per cento della spesa sostenuta in
media negli anni 2010 e 2011 per l'acquisto di mobili e
arredi, se non destinati all'uso scolastico e dei servizi
all'infanzia, salvo che l'acquisto sia funzionale alla
riduzione delle spese connesse alla conduzione degli
immobili. In tal caso il collegio dei revisori dei conti o
l'ufficio centrale di bilancio verifica preventivamente i
risparmi realizzabili, che devono essere superiori alla
minore spesa derivante dall'attuazione del presente comma.
La violazione della presente disposizione è valutabile ai
fini della responsabilità amministrativa e disciplinare dei
dirigenti'.
La norma in discorso consente di derogare al limite in
questione qualora 'l'acquisto sia funzionale alla
riduzione delle spese connesse alla conduzione degli
immobili', prevedendo, all'uopo, la verifica preventiva
che i risparmi realizzabili con l'acquisto degli arredi
siano effettivamente maggiori rispetto alla minor spesa che
deriverebbe dall'applicazione del divieto di acquisto
disposto in via generale dallo stesso comma 141.
Si osserva che la Corte dei conti, Sezione Regionale di
Controllo per la Toscana, con riferimento ad analoga
questione ha stabilito (Del. n. 277/2013/PAR) che: 'Resta
da chiarire il punto del quesito inerente la possibilità di
derogare al limite di cui al citato art. 1, comma 141, in
relazione all'acquisto di arredi che si configuri quale
intervento funzionale e indispensabile all'utilizzo di opere
pubbliche ultimate, ma non ancora arredate.
La norma in discorso consente di derogare al limite in
questione qualora 'l'acquisto sia funzionale alla riduzione
delle spese connesse alla conduzione degli immobili',
prevedendo, all'uopo, la verifica preventiva che i risparmi
realizzabili con l'acquisto degli arredi siano
effettivamente maggiori rispetto alla minor spesa
[1]
che deriverebbe dall'applicazione del divieto di acquisto
disposto in via generale dallo stesso comma 141.
Ritiene il collegio che spetti all'ente richiedente di
verificare, nell'ambito della propria autonomia, la presenza
delle condizioni per l'applicazione alla fattispecie della
deroga appena descritta, tenendo conto, a tal fine, che la
violazione della norma di cui si discute è valutabile ai
fini della responsabilità amministrativa e disciplinare.'.
Tali affermazioni sembrano portare a ritenere che il termine
'conduzione', utilizzato dalla norma in commento, si
riferisca alle diverse spese cui l'Ente andrebbe incontro
per l'effettivo utilizzo dell'immobile da arredare
[2]. In
questi termini, atteso che per l'effettivo utilizzo
dell'immobile sembra necessario dotare i relativi locali
(sala riunioni, la sala feste e le stanze destinate alle
associazioni locali, sale per corsi ecc.) di idoneo mobilio,
l'Ente potrà effettuare l'acquisto in deroga degli arredi in
commento solo previa valutazione e quantificazione dei
risparmi di spesa che potrebbero o meno derivare dalla
scelta di acquistare i beni mobili (seppur eccedendo il
limite del 20% indicato dalla norma) rispetto ad esempio a
quella alternativa di noleggiare i medesimi per il periodo
di vigenza del vincolo di finanza.
Si tenga tuttavia presente che, da quanto si evince dalla
parafrasi della norma operata dalla Corte dei conti, pare
potersi ritenere che l'effettivo risparmio derivante
dall'acquisto in deroga debba essere superiore a quello
derivante dall'applicazione della norma (quantificato
nell'80% della spesa media sostenuta negli anni 2010 e
2011).
A parere di chi scrive, inoltre, il periodo di riferimento
per la valutazione del risparmio dovrebbe essere quello
indicato dalla norma per ciascuno degli anni 2013 e 2014.
Infatti, scopo della norma è quello di conseguire i risparmi
di spesa indicati nell'arco temporale da essa considerato.
Sembra, pertanto, che nel caso in commento l'effettivo
risparmio da conseguirsi, in caso di acquisto in deroga,
debba essere superiore all'importo corrispondente all'80%
della spesa media sostenuta nel biennio 2010-2011.
[3]
Con riferimento alla possibilità di un eventuale ribasso
d'asta da effettuarsi con perizia di variante,
nell'osservare che le varianti progettuali sono consentite
soltanto nei casi previsti alle lettere a), b), c), d) ed e)
del comma 1 dell'articolo 132 del Codice dei contratti di
cui al d.lgs. 163/2006, cui il caso in questione non pare
poter essere ricondotto [4],
resta fermo che il comma 141 prevede espressamente le
deroghe alle limitazioni finanziarie ivi previste, nei
contenuti sopra rappresentati, non suscettibili di
interpretazione estensiva.
Infine, circa la possibilità a partire dall'anno 2015 di
effettuare o meno gli acquisti in commento senza
restrizioni, essa dipenderà, ovviamente, dall'intervento di
eventuali disposizioni legislative che stabiliscano anche
per tale annualità limitazioni di spesa per l'acquisto di
arredi.
---------------
[1] Dalla lettura del Dossier DV0028-I della Camera dei
Deputati sulla l. 228/2012, paragrafo rubricato 'ARTICOLO 1,
comma da 141 a 145 Acquisto di mobili, arredi ed
autovetture' si evince che il termine 'minor spesa' viene
utilizzato nel senso di 'risparmio' per ciascuno degli anni
2013 e 2014.
[2] Un tanto è confermato dall'Ufficio Studi CODAU
(www.codau.it/ufficio_studi/commenti.php) nel Commento
sintetico del decreto-legge 21.06.2013, n. 69 (decreto del
fare), in cui esaminando l'articolo 18 di tale decreto, con
riferimento all'art. 1, comma 141, della legge di stabilità
2013 afferma che: «Inoltre è possibile derogare al limite
imposto dalla disposizione alla presenza di acquisti
finalizzati alla valorizzazione del patrimonio a condizione
che gli immobili siano entrati nella disponibilità
dell'Ateneo prima dell'entrata in vigore della legge di
stabilità per l'anno 2013 e che a seguito della verifica
degli organi di controllo i risparmi siano superiori alla
minore spesa derivante dall'attuazione del comma 141. In
questo caso, infatti, può essere applicata l'eccezione
prevista con il termine 'conduzione' dove per conduzione si
intende non la conduzione nell'ambito della locazione degli
immobili ma come sinonimo di 'utilizzo'.»
[3] Per esemplificare: se la spesa media nel biennio 2010-11
è stata 1.000, il comma 141 prescrive un risparmio annuo di
800. Qualora si proceda ad un acquisto in deroga, funzionale
alla riduzione delle spese di utilizzo dell'immobile, il
risparmio (risultante dalla differenza tra le spese che si
sosterrebbero senza procedere all'acquisto e quelle che si
sosterrebbero procedendo all'acquisto) deve risultare
maggiore di 800 per ciascuno degli anni.
[4] Per un approfondimento, si veda l'articolo 'Codice dei
contratti: perizie di variante e ribassi d'asta' di Paolo
Oreto, consultabile sulla rivista on-line 'Lavori
Pubblici.it' (19.09.2014 -
link a
www.regione.fvg.it). |
APPALTI: Le
regole di invio della fattura elettronica.
Domanda
Quali sono le regole procedurali che devono essere osservate
per inviare la fattura elettronica? È proprio un obbligo
l'accordo preventivo tra l'emittente e il destinatario?
Risposta
La circolare 24.06.2014, n. 18/E, dell'Agenzia delle entrate
ha fornito opportuni chiarimenti.
L'emittente (o il suo delegato) mette a disposizione del
destinatario la fattura elettronica «tramite accesso a un
sito internet, server o altro supporto informatico, ove la
stessa è reperibile, nonché tramite messaggio (e-mail)
contenente un protocollo di comunicazione e un link di
collegamento che permetta, previo accordo delle parti di
effettuare in qualsiasi momento il download della fattura. È
possibile individuare ulteriori strumenti idonei alla
trasmissione».
La norma non richiede l'obbligatoria presenza di un «previo
accordo» con il destinatario per cui per avvalersi della
trasmissione elettronica «è sufficiente l'accettazione da
parte del destinatario del mezzo di trasmissione
utilizzato», cioè l'utilizzazione di procedure
informatizzate (ad esempio, sistema di trasmissione Edi,
posta elettronica, posta elettronica certificata, telefax o
via modem).
L'accordo preventivo tra le parti non è un requisito
indispensabile.
Se il cedente i beni (o il prestatore del servizio)
conferisce ad un soggetto terzo (outsourcer) l'incarico di
trasmissione della fattura elettronica, è necessaria la
presenza del preventivo accordo «in tale senso, che potrà
essere desunto, indirettamente, anche dal tipo di incarico
conferito da ciascuna di esse al terzo»
(articolo ItaliaOggi Sette del 15.09.2014). |
APPALTI: Il
lotto di fatture elettroniche.
Domanda
Vorrei sapere se è possibile effettuare l'invio di più
fatture elettroniche in un unico lotto o se, invece, è
necessario inviare distintamente ciascuna fattura.
Risposta
La circolare
24.06.2014, n. 18/E, ha precisato che è possibile eseguire
la trasmissione di più fatture elettroniche raccolte in un
unico lotto, avendo cura affinché i requisiti richiesti e le
procedure siano riferiti non ad ogni singola fattura ma al
lotto.
In altri termini, la norma permette «di inserire una sola
vota le informazioni comuni (come, ad esempio, le generalità
dell'emittente e del ricevente, la partita Iva, la residenza
o il domicilio, la data di emissione, l'annotazione che la
fattura è completata dal cliente o da un terzo per conto del
cedente), purché per ogni fattura sia possibile accedere
alla generalità delle informazioni»
(articolo ItaliaOggi Sette del 15.09.2014). |
APPALTI: Fattura
elettronica.
Domanda
Quali sono le regole procedurali che devono essere seguite
per procedere alla conservazione della fattura elettronica?
Risposta
Le fatture elettroniche devono essere conservate in modalità
elettronica attenendosi a quanto è indicato nel Dm 17.06.2014
(e, in precedenza, dal Dm 23.01.2004).
Le fatture create in formato elettronico e le fatture
cartacee possono essere conservate elettronicamente (art.
39, ultimo comma, del Dpr 26.10.1972, n. 633).
In pratica, l'operatore che emette una fattura elettronica
ha l'obbligo di garantire l'origine informatica e
l'integrità del contenuto del documento e deve procedere
alla sua conservazione elettronica.
La posizione del destinatario, invece, è differente poiché
egli può scegliere tra le seguenti alternative:
a) «non accettare» la procedura, procedendo alla
conservazione della fattura su supporto cartaceo, quindi
procedendo alla materializzazione del documento;
b) «accettare» la procedura mediante la stampa e la
conservazione analogica del documento ricevuto
elettronicamente; in pratica, il suo comportamento
concludente concretizza l'avvenuta accettazione della
fattura con il requisito di «fattura elettronica» (pur
effettuandone la registrazione e il pagamento).
Il destinatario che non accetta il documento elettronico,
non preclude all'emittente di integrare la procedura di
fatturazione elettronica con quella di conservazione
elettronica.
«Anche al fine di non creare vincoli alla diffusione della
fatturazione elettronica, si ritiene che tale processo non
debba mantenere un obbligo di simmetria tra emittente e
destinatario della fattura» (circolare 24.06.2014, n. 18/E).
Va osservato che l'emittente ha l'obbligo di conservare
elettronicamente le fatture emesse nei confronti della
Pubblica amministrazione. Questa regola deve essere
osservata anche dall'ufficio che riceve la fattura
elettronica (art. 1, comma 209, della L. 24.12.2007, n. 244)
(articolo ItaliaOggi Sette del 15.09.2014). |
LAVORI PUBBLICI - SICUREZZA LAVORO:
M. Trapè,
I compiti del responsabile unico del procedimento in
materia di sicurezza dei cantieri dopo l’entrata in
vigore del regolamento sui contratti pubblici
(01.09.2014 - link a www.studiocataldi.it). |
agosto 2014 |
|
APPALTI:
Artt. 56 e 57. D.Lgs. n. 163/2006. Procedura negoziata senza
previa pubblicazione di bando di gara.
L'art. 56, comma 1, lett. a), D.Lgs. n .
163/2006, disciplina la procedura negoziata previa
pubblicazione di un bando di gara alla quale è possibile
ricorrere quando, in esito all'esperimento di una procedura
aperta o ristretta o di un dialogo competitivo, tutte le
offerte presentate siano risultate irregolari ovvero
inammissibili, secondo quanto disposto dal D.Lgs. 163 in
relazione ai requisiti degli offerenti e delle offerte.
La disposizione in argomento consente, inoltre, che le
stazioni appaltanti possano omettere la pubblicazione del
bando di gara a condizione che alla procedura negoziata
siano invitati tutti i concorrenti in possesso dei requisiti
di qualificazione di cui agli articoli da 35 a 45 del D.Lgs.
n.163/2006, i quali, nella procedura precedente, hanno
presentato offerte rispondenti ai requisiti formali della
procedura medesima.
L'art. 57, comma 2, lett. a), D.Lgs. 163, prevede che possa
farsi ricorso a procedura negoziata senza previa
pubblicazione del bando qualora non sia stata presentata
'nessuna offerta appropriata', oltre che in caso di
presentazione di nessuna offerta.
Il Comune riferisce di aver indetto una procedura di gara
aperta per l'affidamento di un appalto, assistito da
finanziamento regionale da rendicontare entro il 31.12.2016,
conclusasi con una prima aggiudicazione provvisoria alla
ditta risultata prima in graduatoria e poi esclusa ai sensi
dell'art. 38, comma 2, D.Lgs. n. 163/2006, ed una seconda
aggiudicazione provvisoria alla ditta seconda classificata,
allo stesso modo successivamente esclusa ai sensi dell'art.
38, c. 2, richiamato [1].
L'Ente riferisce inoltre che le altre 6 ditte partecipanti
sono state escluse per non aver raggiunto il punteggio
minimo per accedere alle fasi di apertura dell'offerta
economica.
Nel quadro rappresentato il Comune prospetta tre ipotesi di
ricorso alla procedura negoziata [2]
senza pubblicazione del bando, in relazione alle quali
chiede un parere di percorribilità:
a) applicazione dell'art. 56, comma 1, lett. a), D.Lgs. n.
163/2006, con invito rivolto a tutte le 8 ditte già
partecipanti [3];
b) applicazione dell'art. 57, comma 2, lett. a), sempre
estendendo l'invito agli ex partecipanti;
c) applicazione dell'art. 57, comma 2, lett. c), per 'estrema
urgenza non imputabile alla stazione appaltante'.
L'art. 56 disciplina le ipotesi di procedura negoziata
previa pubblicazione di un bando di gara nei casi ivi
elencati; in particolare la fattispecie di cui al comma 1,
lett. a), si verifica quando in esito all'esperimento di una
procedura aperta o ristretta o di un dialogo competitivo,
tutte le offerte presentate siano risultate irregolari
ovvero inammissibili, secondo quanto disposto dal D.Lgs. n.
163/2006 in relazione ai requisiti degli offerenti e delle
offerte. La disposizione in argomento consente, inoltre, che
le stazioni appaltanti possano omettere la pubblicazione del
bando di gara a condizione che alla procedura negoziata
siano invitati tutti i concorrenti in possesso dei requisiti
di qualificazione di cui agli articoli da 35 a 45 del D.Lgs.
n. 163/2006, i quali, nella procedura precedente, hanno
presentato offerte rispondenti ai requisiti formali della
procedura medesima. In questa procedura negoziata non
possono essere modificate in modo sostanziale le condizioni
iniziali del contratto.
Posto che nel caso di specie l'Ente istante riferisce di
volere estendere l'invito a tutti i partecipanti alla gara
aperta, il ricorso alla procedura negoziata di cui all'art.
56 richiamato da un lato è subordinato alla circostanza che
le offerte presentate in sede di gara aperta siano tutte
irregolari o inammissibili, e dall'altro lato non consente
modifiche sostanziali delle condizioni iniziali del
contratto.
La norma non fornisce alcuna definizione di irregolarità ed
inammissibilità, per cui si può muovere in via
interpretativa, anche dal confronto con l'art. 57, co. 2,
lett. a), il quale prevede che possa farsi ricorso a
procedura negoziata senza previa pubblicazione del bando
qualora non sia stata presentata 'nessuna offerta
appropriata', oltre che in caso di presentazione di
nessuna offerta. Anche in questo caso non possono essere
modificate in modo sostanziale le condizioni iniziali del
contratto.
La giurisprudenza amministrativa ha precisato che l'offerta
è irregolare quando manchi o risulti incompleto od
irregolare uno dei documenti richiesti [4],
ed ha specificato l'inammissibilità delle offerte carenti
dei requisiti tecnici per la partecipazione alla gara o
inadeguate dal punto di vista tecnico [5].
L'Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di
lavori, servizi e forniture, ha affermato che presupposto
per l'applicabilità dell'art. 56, comma 1, lett. a) è che vi
siano state offerte presentate in gara ma che tutte siano
state irregolari o inammissibili, avuto riguardo,
rispettivamente, ai requisiti prescritti per le offerte
(requisiti di forma e di validità delle stesse, posti a
tutela della par condicio dei concorrenti) e per gli
offerenti; presupposto di applicabilità, invece, dell'art.
57, comma 2, lett. a) (procedura negoziata senza bando), è
che non sia stata presentata alcuna offerta o che tutte le
offerte presentate siano state giudicate inappropriate,
intendendosi per tali le offerte formalmente valide ma
irrilevanti sul piano economico, assimilate dal legislatore
alle offerte non presentate [6].
In questi stessi termini è tracciata la distinzione tra la
fattispecie di cui all'art. 56, comma 1, lett. a), e quella
di cui all'art. 57, comma 2, lett. a), dalla giurisprudenza
[7] e
dalla dottrina [8],
nel senso di ritenere che le offerte inappropriate sono
quelle che, sebbene formalmente valide, non sono state
considerate convenienti dalla stazione appaltante sotto il
profilo tecnico o economico, vale a dire che non sono state
valutate come idonee a soddisfare le esigenze per le quali
l'amministrazione si è determinata a bandire la gara
[9].
Nel caso di specie, le offerte delle ditte risultate prima e
seconda in graduatoria, dunque reputate adeguate sul piano
tecnico ed economico, sono state escluse per omessa
indicazione di una condanna penale che è d'obbligo
dichiarare ai sensi dell'art. 38, comma 2, D.Lgs. n.
163/2006, mentre le altre (sei) offerte presentate sono
state escluse per non aver raggiunto il punteggio minimo
previsto dal disciplinare di gara.
Si tratta di casi di esclusione che paiono riconducibili
alle ipotesi di offerte irregolari ed inammissibili, e che
sembrano dunque poter legittimare il ricorso alla procedura
negoziata senza previa pubblicazione del bando di gara, ai
sensi dell'art. 56, comma 1, lett. a), richiamato. Un tanto,
tenuto conto dell'intenzione manifestata dall'Ente di
invitare alla (eventuale) procedura negoziata tutte le ditte
che nella precedente gara hanno presentato offerte
rispondenti ai requisiti formali richiesti e fermo restando
il divieto di apportare modifiche sostanziali alle
condizione iniziali del contratto.
Mentre non sembrano ravvisarsi, nel caso di specie, le
condizioni legittimanti il ricorso alla procedura negoziata
senza previa pubblicazione del bando di gara ai sensi
dell'art. 57, comma 2, lett. a), che presuppone che la gara
sia andata deserta o che tutte le offerte siano non
appropriate, avuto riguardo all'interpretazione delle
offerte inappropriate, che sembra avere maggior seguito, nel
senso di offerte formalmente valide, ma inadeguate sul piano
tecnico ed economico.
Un tanto osservato, si sottolinea la previsione già
ricordata secondo cui nelle ipotesi di procedura negoziata
di cui agli artt. 56, comma 1, lett. a) e 57, comma 2, lett.
a), non possono essere modificate in modo sostanziale le
condizioni iniziali del contratto [10].
Ciò significa, osserva il Giudice amministrativo
[11], che
l'amministrazione non può stabilire una diversa base d'asta
né può modificare le altre condizioni del contratto che
influiscono sul sinallagma perché la norma mira ad evitare
una elusione delle disposizioni sulla concorrenza, volendo
impedire che un'amministrazione possa avvalersi della
procedura negoziata proponendo condizioni più favorevoli
rispetto alla procedura aperta non andata a buon fine.
Si tratta di una disposizione molto significativa a garanzia
della reale parità di condizioni tra i concorrenti,
finalizzata a garantire parità di trattamento tra gli
operatori economici ammessi alla nuova gara rispetto a
quelli che hanno partecipato alla prima procedura di gara
[12].
Al riguardo, anche la dottrina [13]
osserva che, a fronte di condizioni contrattuali
sostanzialmente diverse e più favorevoli, non è affatto da
escludere, da un lato, che altri imprenditori sarebbero
potuti essere interessati all'aggiudicazione dell'appalto,
dall'altro, che sarebbero state presentate offerte di tenore
diverso da quelle in presenza delle quali si sono verificati
i presupposti della procedura negoziata. Di talché, ove si
intenda modificare in modo sostanziale le condizioni
iniziali del contratto (ad esempio, per quanto attiene al
prezzo [14],
alla durata, alla prestazione da fornire), il presupposto
previsto dalla legge per poter legittimamente ricorrere alla
procedura negoziata non sussiste e la stazione appaltante è
tenuta ad espletare una ordinaria procedura aperta o
ristretta in modo da consentire ad ogni operatore economico
del settore di valutare, in presenza delle mutate
condizioni, la propria convenienza a partecipare alla gara,
nel rispetto dei principi di par condicio tra le imprese, di
libertà di concorrenza, di trasparenza e buon andamento
dell'azione amministrativa [15].
La lett. c) del comma 2 dell'art. 57 prevede la possibilità
di ricorrere alla procedura negoziata senza previa
pubblicazione di un bando, nella misura strettamente
necessaria, quando l'estrema urgenza, risultante da eventi
imprevedibili per le stazioni appaltanti, non è compatibile
con i termini imposti dalle procedure aperte, ristrette o
negoziate previa pubblicazione di un bando di gara,
sempreché le circostanze invocate a giustificazione della
estrema urgenza non siano imputabili alle stazioni
appaltanti.
La fattispecie giuridica appena descritta, in quanto
eccezione al principio generale della pubblicità e della
massima concorsualità, è subordinata all'accertamento con il
massimo rigore dei suoi presupposti, insuscettibili di
interpretazione estensiva e, in particolare, per quanto
riguarda l'urgenza di provvedere, essa non deve essere
addebitabile in alcun modo all'amministrazione per carenza
di adeguata organizzazione o programmazione ovvero per sua
inerzia o responsabilità [16].
Si tratta, inoltre, di un sistema di scelta del contraente
ammissibile solo in funzione meramente strumentale
all'espletamento di una gara pubblica e nella misura
temporale strettamente necessaria [17].
Dalla casistica giurisprudenziale emerge che l'urgenza deve
essere correlata all'oggetto del contratto di appalto. In
particolare, è stata ritenuta legittima l'applicazione della
norma in argomento per far fronte all'urgenza di assicurare
la continuità di servizi essenziali improrogabili, causata
da eventi imprevedibili e non addebitabili alla stazione
appaltante (gara deserta; contenzioso sviluppatosi sulla
gara) [18].
Nel caso in esame, se da un lato si può affermare che
l'esito infruttuoso della gara aperta non è addebitabile
alla stazione appaltante, compete all'Ente accertare
l'urgenza di esecuzione dei lavori oggetto dell'appalto,
tale da renderne indifferibile l'affidamento e, quindi, da
non consentire assolutamente di attendere i tempi necessari
allo svolgimento di una delle procedure ordinarie o anche di
una procedura negoziata previa pubblicazione di un bando
[19].
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[1] In entrambi i casi, il certificato del casellario
giudiziale ha fatto emergere a carico di un legale
rappresentante della ditta una sentenza di condanna, non
dichiarata in sede di gara, non rientrante tra le
fattispecie di reato depenalizzato ovvero di reato estinto
dopo la condanna ovvero di revoca della condanna medesima.
[2] Ai sensi dell'art. 3, comma 40, D.Lgs. n. 163/2006, le
'procedure negoziate' sono le procedure in cui le stazioni
appaltanti consultano gli operatori economici da loro scelti
e negoziano con uno o più di essi le condizioni
dell'appalto.
[3] Il Comune specifica che i reati non dichiarati
riguardavano casistiche minimali, per le quali la
commissione di gara non avrebbe assunto provvedimenti di
esclusione.
[4] Cfr. Consiglio di Stato, sez. V, 02.04.2002, n. 1798,
con riferimento ad un appalto di lavori ai sensi
dell'(abrogata) L. n. 109/1994. Per il Supremo Giudice
amministrativo, in una procedura improntata al rigore
formale il rispetto delle modalità di presentazione delle
domande e delle offerte è garanzia di affidabilità delle
stesse e la correttezza e completezza della documentazione
nonché la carenza di errori od omissioni costituisce un
elemento di confronto tra i partecipanti.
[5] TAR Roma, sez. II, 09.10.2002, n. 8442, che richiama
Consiglio di Stato, sez. VI, n. 1513/1998.
[6] AVCP, deliberazione n. 7 del 28.01.2009.
[7] Cfr. Consiglio di Stato sez. V, 29 maggio 2006, n. 3245,
con riferimento all'art. 7 del D.Lgs. n. 157/1995 (oggi
trasfuso negli artt. 56 e 57 del D.Lgs. n. 163/2006)
disciplinante -negli appalti di servizi- la procedura
negoziata previa (comma 1) e senza (comma 2) preliminare
pubblicazione di un bando di gara. Ebbene, per il Supremo
Giudice amministrativo la distinzione fra le due fattispecie
si basa sulla differenza sostanziale, che viene evidenziata,
nella procedura aperta che precede la procedura negoziata,
tra la presentazione di offerte irregolari e la
presentazione di offerte inappropriate.
Nel primo caso, infatti, la presentazione di offerte
irregolari lascia supporre che il prezzo massimo indicato
dall'amministrazione sia congruo rispetto ai prezzi di
mercato effettivamente esistenti, per cui è utile
sollecitare la presentazione di nuove offerte e che, quindi,
vi sia spazio per un nuovo confronto concorrenziale. Nel
secondo caso, invece, la mancanza di offerte appropriate
lascia supporre che il prezzo indicato dall'amministrazione
sia troppo basso rispetto alla realtà del mercato e che
quindi sarebbe inutile un ulteriore appello pubblico per la
presentazione di nuove offerte.
Per completezza espositiva, si segnalano, in senso
differente, due pronunce della giurisprudenza amministrativa
riferite all'art. 13, comma 1, lett. a), D.Lgs. n. 158/1995
(oggi abrogato dal D.Lgs. n. 163/2006), in materia di
appalti nei settori esclusi. Per il Consiglio di Stato, sez.
VI, n. 1513/1998, l'espressione 'offerta non appropriata' va
intesa in una accezione lata, comprensiva sia della offerta
irregolare, cioè quella viziata nella forma, sia quella
inammissibile, cioè quella in cui vi sia carenza dei
requisiti sostanziali per la partecipazione alla gara.
Si osserva, però, che il Consiglio di Stato specifica di
ricavare questa interpretazione da una ricostruzione
sistematica interna alla disciplina dei settori esclusi.
Nello stesso senso, sempre con riferimento ai settori
esclusi, il TAR Lazio, Roma, sez. II, 09.10.2002, n. 8442,
afferma che il requisito della mancanza di offerte
appropriate è da reputarsi integrato sia nella ipotesi di
mancanza assoluta di offerte (cioè di gara andata deserta)
sia in ipotesi di offerte irregolari, viziate cioè nella
forma, sia infine in caso di offerte inammissibili, ossia
carenti dei requisiti tecnici per la partecipazione alla
gara o inadeguate dal punto di vista tecnico.
[8] Cfr. Salvatore Alberto Romano, L'affidamento dei
contratti pubblici di lavori, servizi e forniture, Giuffrè,
Milano, 2011, pp. 100-101). L'autore rileva che la
differenza tra la procedura negoziata previa pubblicazione
di un bando, di cui all'art. 56, e quella senza previa
pubblicazione di un bando, di cui all'art. 57, consiste nel
fatto che nella prima (art. 56) sono state presentate
offerte, anche se irregolari o inammissibili, e quindi vi è
la possibilità, almeno potenziale, di un ampliamento della
competizione negoziale attraverso la previa pubblicazione di
un bando, ovvero direttamente invitando alla negoziazione
tutti gli operatori formalmente idonei. Mentre nel secondo
caso (art. 57), la gara si è conclusa senza che siano state
presentate offerte o candidature (cioè richieste di
partecipazione di sorta), ovvero quelle presentate sono
tutte inappropriate in quanto non convenienti o inidonee in
relazione all'oggetto del contratto.
[9] Stefano Baccarini, Codice dell'appalto pubblico, Giuffrè,
Milano, 2011, p. 693.
[10] Cfr. Autorità Nazionale Anticorruzione, determinazione
n. 8 del 14.12.2011.
[11] TAR Aosta, sez. I, 28.04.2009, n. 37.
[12] Consiglio di Stato, n. 1090/2011, cit..
[13] Cfr. Stefano Baccarini, op. cit., p. 688.
[14] Si osserva, peraltro, che con riferimento
all'(abrogato) art. 7 , D.Lgs. n. 157/1995 (appalti di
servizi), e specificamente in ordine alla procedura
negoziata senza previa pubblicazione di un bando di gara
(comma 2), il Consiglio di Stato ha affermato che in questa
ipotesi (che non sembra ricorrere nel caso in esame, ove
risultano essere state presentate due offerte congrue sul
piano tecnico), sarebbe illogico far rientrare il prezzo
massimo indicato nel bando di gara tra le condizioni
iniziali dell'appalto non modificabili, perché proprio la
mancanza di offerte appropriate dimostra come tale prezzo
sia inadeguato rispetto alla realtà effettiva del mercato.
(Cfr. Consiglio di Stato n. 3245/2006, cit.).
[15] La giurisprudenza (TAR Sardegna, sez. I, 23.12.2005, n.
2445) ha ritenuto legittima una modifica riguardante il
maggior peso attribuito, in termini di punteggio, al profilo
tecnico del progetto a scapito del peso originariamente
riconosciuto all'offerta economica, in quanto mera modifica
di dettaglio che non comporta un'alterazione dell'oggetto
dell'appalto e del suo contenuto ed è dunque insuscettibile
di incidere sulla ratio della disposizione, volta ad evitare
l'arbitrario ricorso alla trattativa privata rispetto alla
gara pubblica. (La pronuncia è riferita, invero,
all'(abrogato) art. 7, D.Lgs. n. 157/1995, ma si rivela
utile anche nel caso di specie, poiché postula, allo stesso
modo dei vigenti art. 56 e 57, il mantenimento delle
condizioni sostanziali iniziali del contratto).
[16] TAR Campania Napoli, sez. I, 29.05.2012, n. 2528;
Consiglio di Stato, sez. V, 10.11.2010, n. 8006.
[17] TAR Veneto, sez. I, 06.03.2013, n. 350; TAR Campania,
Napoli, sez. I, 29.05.2012, n. 2528; Consiglio di Stato,
sez. V, 10.11.2010, n. 8006.
[18] Cfr. TAR Campania Napoli, sez. I, 11.07.2007, n. 6654,
che ha riconosciuto l'urgenza di provvedere all'affidamento
del servizio improrogabile di trasporto scolastico per
alunni di scuola materna e dell'obbligo senza che
l'amministrazione ne avesse colpa, non potendosi prevedere
che la gara precedente sarebbe andata deserta; TAR Campania
Napoli, sez. I, 29.05.2012, n. 2528, che, in presenza di un
contenzioso sviluppatosi su una gara per l'affidamento del
servizio triennale di gestione e manutenzione ordinaria e
straordinaria delle apparecchiature elettromedicali di
un'azienda sanitaria, ha riconosciuto i presupposti
dell'urgenza di assicurare la continuità del servizio e
dell'imprevedibilità della complessa vicenda
giurisdizionale; TAR Catania, sez. III, 01.03.2011, n. 524,
che ha riconosciuto l'urgenza di affidare, a mezzo
trattativa privata, il servizio di raccolta dei rifiuti
nelle more dell'espletamento della gara pubblica.
[19] Cfr. TAR Veneto, sez. I, 06.03.2013, n. 350. In
dottrina, v. Stefano Baccarini, op. cit., pp. 695-696.
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L'Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di
lavori, servizi e forniture ha affermato che presupposto per
l'applicabilità dell'art. 56, comma 1, lett. a) è che vi
siano state offerte presentate in gara ma che tutte siano
state irregolari o inammissibili, avuto riguardo,
rispettivamente, ai requisiti prescritti per le offerte
(requisiti di forma e di validità delle stesse, posti a
tutela della par condicio dei concorrenti) e per gli
offerenti; presupposto di applicabilità, invece, dell'art.
57, comma 2, lett. a) (procedura negoziata senza bando), è
che non sia stata presentata alcuna offerta o che tutte le
offerte presentate siano state giudicate inappropriate,
intendendosi per tali le offerte formalmente valide ma
irrilevanti sul piano economico, assimilate dal legislatore
alle offerte non presentate.
In entrambe le ipotesi di procedura negoziata richiamate non
possono essere modificate in modo sostanziale le condizioni
iniziali del contratto (14.08.2014 -
link a
www.regione.fvg.it). |
APPALTI: Partecipazione
negli appalti.
Domanda
Quali sono i limiti dell'Amministrazione pubblica nel
determinare i requisiti di partecipazione a una gara
d'appalto?
Risposta
Il Consiglio di stato, con la sentenza 28.05.2014, n.
2775, ha precisato che, nei limiti della proporzionalità e
della ragionevolezza, c'è un potere discrezionale della
stazione appaltante nel fissare, nel capitolato speciale di
gara, i requisiti soggettivi specifici di partecipazione
alla gara.
I giudici amministrativi evidenziano che, ai sensi degli
artt. 41 e 42 del dlgs 163/2006, c.d. Codice dei contratti
pubblici, le stazioni appaltanti hanno il potere
discrezionale di fissare, nel disciplinare di gara, i
requisiti soggettivi specifici di partecipazione attraverso
l'esercizio di un potere discrezionale che conosce i limiti
della ragionevolezza e della proporzionalità.
Il Consiglio di stato ha affermato che la stazione
appaltante può introdurre nella gara d'appalto disposizioni
che limitano la platea dei concorrenti, al fine di
consentire la partecipazione di soggetti particolarmente
qualificati, specialmente per ciò che attiene al possesso di
requisiti di capacità tecnica e finanziaria, se tale scelta
non sia eccessivamente o irragionevolmente limitativa della
concorrenza.
Una simile scelta può essere sindacata dal giudice
amministrativo in sede di legittimità solo in quanto sia
manifestamente irragionevole, irrazionale, arbitraria,
sproporzionata, illogica o contraddittoria (articolo ItaliaOggi Sette dell'11.08.2014). |
luglio 2014 |
|
APPALTI:
Nelle aggiudicazioni, il principio generale è
sempre quello della gara e l’affidamento diretto è sempre
una deroga a tale principio, deroga consentita in casi di
stretta interpretazione.
A tale proposito, la società mista si giustifica quale forma
di partenariato pubblico-privato costituito per la gestione
di uno specifico servizio per un tempo determinato. In
questi casi non si ha una esenzione dal principio della
gara, ma muta l’oggetto della gara, che deve sempre essere
esperita ma non più per trovare il terzo gestore del
servizio, bensì il partner privato con cui gestire il
servizio.
È evidente quindi che le società miste cosiddette aperte,
costituite cioè per finalità specifiche ma indifferenziate,
non possono essere affidatarie dirette in quanto non
soddisfano le condizioni a cui è ancorata la deroga.
Pertanto, l’acquisizione di una partecipazione azionaria di
una società costituita in precedenza, ancorché avente ad
oggetto la gestione dei rifiuti, non è sufficiente a
legittimare l’affidamento diretto e ad escludere la
necessità della gara.
Il ricorso era, comunque, infondato anche
nel merito, atteso che, come affermato dal Consiglio di
Stato (sez. V, 15.10.2010, n. 7533), “Nelle
aggiudicazioni, il principio generale è sempre quello della
gara e l’affidamento diretto è sempre una deroga a tale
principio, deroga consentita in casi di stretta
interpretazione. A tale proposito, la società mista si
giustifica quale forma di partenariato pubblico-privato
costituito per la gestione di uno specifico servizio per un
tempo determinato. In questi casi non si ha una esenzione
dal principio della gara, ma muta l’oggetto della gara, che
deve sempre essere esperita ma non più per trovare il terzo
gestore del servizio, bensì il partner privato con cui
gestire il servizio. È evidente quindi che le società miste
cosiddette aperte, costituite cioè per finalità specifiche
ma indifferenziate, non possono essere affidatarie dirette
in quanto non soddisfano le condizioni a cui è ancorata la
deroga. Pertanto, l’acquisizione di una partecipazione
azionaria di una società costituita in precedenza, ancorché
avente ad oggetto la gestione dei rifiuti, non è sufficiente
a legittimare l’affidamento diretto e ad escludere la
necessità della gara”
(TAR Lombardia-Milano, Sez. IV,
sentenza 29.07.2014 n. 2120 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI SERVIZI: Oggetto del contratto pubblico.
Domanda
In una gara per affidamenti di servizi è possibile
prevedere, nell'oggetto dell'appalto, anche servizi a
richiesta dell'amministrazione e tariffati a costo orario?
Risposta
L'Avcp con deliberazione n. 1 del 29.01.2014 ha
precisato che il contratto, per affidamenti di servizi, non
può essere caratterizzato da un contenuto prettamente
«variabile» ossia determinabile in ragione delle necessità
manifestate di volta in volta dall'Amministrazione nel
periodo di efficacia del contratto stesso.
Infatti nei contratti pubblici l'oggetto, a differenza di
quello dei contratti privatistici (che può anche essere
«determinabile») deve essere sempre determinato.
L'esigenza di identificare in modo esatto e preciso
l'oggetto del contratto pubblico è divenuta più stringente a
seguito dell'entrata in vigore dpr 207/2010 il quale ha
regolamentato, anche per gli appalti di servizi, la fase
della progettazione nel presupposto che una carente
progettazione comporta l'imprecisa definizione dell'oggetto
del contratto.
L'Avcp, con determinazione n. 5/2013 ha evidenziato che
«...la predisposizione di un progetto preciso e di
dettaglio, atto a descrivere in modo puntuale le prestazioni
necessarie a soddisfare specifici fabbisogni della stazione
appaltante, appare come uno strumento indispensabile per
ovviare al fenomeno di porre in gara non specifici servizi
ma categorie di servizi».
Tale circostanza, peraltro, può rivelarsi limitativa della
concorrenza, disincentivando la partecipazione alle gare
d'appalto per le piccole e medie imprese che non sono in
grado di garantire l'ampia gamma dei servizi compresi nelle
categorie oggetto di gara (articolo ItaliaOggi Sette del
14.07.2014). |
APPALTI
FORNITURE E SERVIZI: Il
quesito posto dal comune volto a conoscere se, stante
l’obbligo previsto (all’atto della formulazione della
richiesta di parere) dall’articolo 33, comma 3-bis, del
Codice dei contratti pubblici, del ricorso ad una unica
centrale di committenza, la stessa centrale
(qualora costituita mediante accordo convenzionale, ai sensi
dell’articolo 30 del “d.p.r. 267/2000”)
potesse comunque far riferimento ad altri mercati
elettronici presenti nell’ambito della pubblica
amministrazione, senza costituirne uno proprio sembra, ad
oggi, avere trovato risposta attraverso la nuova
formulazione del comma 3-bis del sopra citato articolo 33,
come sostituito dall’articolo 9, comma 4, d.l. 66/2014,
convertito dalla l. n. 89 del 23.06.2014), il quale non
prevede più l’esclusivo affidamento ad una unica centrale di
committenza, da costituirsi obbligatoriamente tra i comuni
fino a cinquemila abitanti ricadenti nel territorio di
ciascuna provincia, potendo gli enti in oggetto, pur
continuando a procedere all’acquisizione nell’ambito delle
unioni di comuni di cui all’articolo 32 del TUEL, ove
esistenti, ovvero costituendo un apposito accordo consortile
tra i comuni medesimi e avvalendosi dei competenti uffici,
anche ricorrere ad altro soggetto aggregatore o alle
province stesse, ai sensi della l. 07.04.2014 n. 56, ferma
restando l’alternativa dell’acquisizione di beni e servizi
attraverso gli strumenti elettronici di acquisto gestiti da
altre centrali di committenza di riferimento (che, con
questa ultima formulazione della norma, sono individuati
negli “strumenti elettronici gestiti da Consip spa o da
altro soggetto aggregatore di riferimento”).
Ciò che, in definitiva, sembra emergere dalla novella
legislativa ad ancor più chiare lettere, è
la rafforzata esigenza di tutela delle pubbliche risorse,
che ogni ente deve poter perseguire, anche attraverso forme
di acquisizione di beni e servizi basate su gestioni che
rispettino il più possibile il miglior rapporto
prezzo-qualità, attuate attraverso l’ampia gamma di
possibilità poste a loro disposizione dalla legge per la
gestione dei propri contratti.
---------------
Il Sindaco del comune di Atena Lucana chiede a questa Corte
un parere in merito alle esatte modalità di applicazione
dell’articolo 33, comma 3-bis, del decreto legislativo
163/2006 (codice degli appalti), nei termini che
seguono.
Il Comune istante, considerando che l’articolo
sopracitato obbliga i comuni con popolazione inferiore ai
cinquemila abitanti, ai fini dell’acquisto di beni e
servizi, al ricorso a una centrale di committenza, chiede se
la stessa, costituita mediante accordo convenzionale “ai
sensi dell’articolo 30 del d.p.r. n. 267/2000”, laddove
non voglia realizzare ad hoc un proprio mercato
elettronico, possa far riferimento al mercato elettronico
MEPA (mercato elettronico della pubblica amministrazione),
gestito da Consip o ad altri mercati elettronici realizzati
da altre centrali di committenza, istituite da altri enti
pubblici territoriali o organismi di diritto pubblico,
possibilità prevista dalla norma quale alternativa alla
costituzione di una centrale di committenza specificamente
dedicata.
...
La richiesta di parere in esame (formulata dall’ente in data
12.03.2014) si pone a valle delle numerose modifiche, fino
ad allora apportate all’art. 33 del d.lgs. n. 163/2006 ad
opera di susseguenti interventi legislativi dei quali si
intende, di seguito, dare conto.
Il comma 3-bis è stato inserito nell’art. 33 del d.lgs.
163/2006 ai sensi dell’art. 23, comma 4 e 5, del d.l.
06.12.2011 n. 201, convertito con modificazioni nella legge
22.12.2011, n. 214, nell’ambito di un complessivo programma
(poi proseguito con le statuizioni previste dall’articolo 1,
comma 4, del d.l. 06.07.2012 n. 95, convertito dalla l.
07.08.2012 n. 135, e dall’articolo 1, comma 343, della l.
27.12.2013, n. 147), volto, tra l’altro, alla riduzione
della spesa e dei costi degli apparati pubblici.
La novella del 2011 introduce un regime
speciale per gli acquisti di lavori, servizi e forniture da
parte dei Comuni con popolazione non superiore a 5.000
abitanti (quale
quello di Atena Lucana), a norma del quale
i suddetti enti “... ricadenti nel territorio di ciascuna
Provincia affidano obbligatoriamente ad un’unica centrale di
committenza l’acquisizione di lavori, servizi e forniture
nell’ambito delle unioni dei comuni, di cui all’articolo 32
del testo unico di cui al decreto legislativo 18.08.2000, n.
267, ove esistenti, ovvero costituendo un apposito accordo
consortile tra i comuni medesimi e avvalendosi dei
competenti uffici”.
La ratio sottesa al disposto in
questione, come emerge dalla relativa relazione tecnica, è “limitare
l’elevata frammentazione del sistema degli appalti pubblici
e la concentrazione delle procedure di evidenza pubblica, al
fine di ridurre i costi di gestione delle procedure e di far
ottenere risparmi di spesa, quantificabili a consuntivo, per
le conseguenti economie di scala”.
Il comma 5 dell’art. 23 del D.L. 201/2011 aveva
originariamente previsto che il comma 3-bis della norma in
questione, si applicasse alle “gare bandite”
successivamente al 31.03.2012. Detto termine è stato da
ultimo posticipato al 30.06.2014 (cfr. d.l. 30.12.2013 n.
150, convertito con modificazioni dalla l. 27.02.2014, n.
15).
Nel 2012, il legislatore, con il d.l. 95/2012 (“spending
review”) ha ulteriormente inciso su tale disposto,
concedendo ai suddetti comuni la possibilità di adempiere
all’obbligo di acquisto centralizzato ricorrendo anche agli
“strumenti elettronici di acquisto gestiti da altre
centrali di committenza di riferimento, ivi comprese le
convenzioni di cui all'articolo 26 della legge 23.12.1999,
n. 488 e il mercato elettronico della pubblica
amministrazione di cui all'articolo 328 del decreto del
Presidente della Repubblica 05.10.2010, n. 207”.
Nel 2013, con la legge di stabilità 2014 (l. 27.12.2013 n.
147, art. 1, comma 343), anche in considerazione dei dubbi
sorti in merito alla latitudine applicativa del complesso di
norme in questione, ne sono stati chiariti i connotati
precettivi, stabilendo che il regime di
acquisto centralizzato prescritto ai sensi del comma 3-bis
non si applica nel caso di acquisti in economia, mediante
amministrazione diretta e nei casi di affidamento diretto di
cui ai commi 8, seconda parte e 11, seconda parte dell’art.
125 del d.lgs. 163/2006.
Appare utile ricordare in che modo la disciplina sopra
descritta si integri con le coesistenti norme, previste e
più volte variate da interventi legislativi, in materia di
acquisto di beni e servizi delle pubbliche amministrazioni,
norme tutte volte, a partire dalla citata l. 488/1999 (art.
26), alla centralizzazione degli acquisti in vista della
riduzione dei costi della pubblica amministrazione, ed in
particolare:
- il suddetto articolo 26 della l. 488/2009, nella prima
versione, nel prevedere l’adesione necessaria delle
amministrazioni statali alle convenzioni centralizzate,
lasciava nella disponibilità di quelle non statali, tra cui
quelle locali, la scelta di aderirvi o meno obbligandole,
però, a utilizzarne i parametri di qualità prezzo e, nella
seconda versione (riformulata con d. l. 168/2004), escludeva
i comuni con popolazione fino a mille abitanti e quelli
montani fino a 5000 abitanti;
- successivamente la materia veniva ridisciplinata dalla l.
27.12.2006 n. 296 (finanziaria 2007, art. 1, comma 449), sia
con riguardo agli appalti sopra soglia che quelli sotto
soglia stabilendo, per i primi, l’obbligo per le
amministrazioni statali di approvvigionarsi attraverso le
convenzioni-quadro Consip, limitatamente ad alcune categorie
di beni e servizi ben individuati, ribadendo la facoltà
delle restanti amministrazioni di ricorrere alle convenzioni
(quelle stipulate da Consip o da centrali di committenza
regionali – di cui al comma 456, dell’art. 1, stessa legge,
e il vincolo di utilizzarne alternativamente i parametri di
prezzo-qualità come limiti massimi negli acquisti) e, per i
secondi –comma 450- imponendo l’obbligo alle amministrazioni
dello Stato di ricorrere al mercato elettronico della
pubblica amministrazione, nulla disponendo riguardo alle
altre amministrazioni;
- i due commi (449 e 450) dell’articolo 1 della l. n. 296
del 2006 venivano poi modificati dall’articolo 7 del d. l.
07.05.2012 n. 52, convertito dalla l. 06.07.2012 n. 94, nel
senso (comma 449) di estendere l’obbligo di
approvvigionamento attraverso le convenzioni quadro Consip a
tutte le tipologie di beni e servizi acquistabili dalle
amministrazioni statali e innovando (comma 450) la
disciplina prevista per le amministrazioni diverse da quelle
statali, e quindi anche per le autonomie locali, cui è stato
imposto il ricorso al mercato della pubblica
amministrazione, analogamente alle amministrazioni dello
Stato, fatto salvo il rispetto del sistema delle convenzioni
previsto nel ridetto comma 449;
- si ricorda, da ultimo, il dpr 207/2010 - Regolamento di
esecuzione del codice dei contratti pubblici che,
all’articolo 328 prevede, fatti salvi i casi di ricorso
obbligatorio al mercato elettronico di cui alle norme in
vigore, che la stazione appaltante “può stabilire di
procedere all’acquisto di beni e servizi attraverso il
mercato elettronico della pubblica amministrazione
realizzato dal Ministero dell’economia e delle finanze sulle
proprie infrastrutture tecnologiche avvalendosi di Consip
s.p.a., ovvero attraverso il mercato elettronico realizzato
dalle centrali di committenza di riferimento di cui
all’articolo 33 del codice”.
Ebbene, il quesito posto dal comune istante,
come sopra rappresentato, volto a conoscere
se, stante l’obbligo previsto (all’atto della formulazione
della richiesta di parere) dall’articolo 33, comma 3-bis,
del Codice dei contratti pubblici, del ricorso ad una unica
centrale di committenza, la stessa centrale
(qualora costituita mediante accordo convenzionale, ai sensi
dell’articolo 30 del “d.p.r. 267/2000”)
potesse comunque far riferimento ad altri mercati
elettronici presenti nell’ambito della pubblica
amministrazione, senza costituirne uno proprio sembra, ad
oggi, avere trovato risposta attraverso la nuova
formulazione del comma 3-bis del sopra citato articolo 33,
come sostituito dall’articolo 9, comma 4, d.l. 66/2014,
convertito dalla l. n. 89 del 23.06.2014), il quale non
prevede più l’esclusivo affidamento ad una unica centrale di
committenza, da costituirsi obbligatoriamente tra i comuni
fino a cinquemila abitanti ricadenti nel territorio di
ciascuna provincia, potendo gli enti in oggetto, pur
continuando a procedere all’acquisizione nell’ambito delle
unioni di comuni di cui all’articolo 32 del TUEL, ove
esistenti, ovvero costituendo un apposito accordo consortile
tra i comuni medesimi e avvalendosi dei competenti uffici,
anche ricorrere ad altro soggetto aggregatore o alle
province stesse, ai sensi della l. 07.04.2014 n. 56, ferma
restando l’alternativa dell’acquisizione di beni e servizi
attraverso gli strumenti elettronici di acquisto gestiti da
altre centrali di committenza di riferimento (che, con
questa ultima formulazione della norma, sono individuati
negli “strumenti elettronici gestiti da Consip spa o da
altro soggetto aggregatore di riferimento”).
Ciò che, in definitiva, sembra emergere dalla novella
legislativa ad ancor più chiare lettere, è
la rafforzata esigenza di tutela delle pubbliche risorse,
che ogni ente deve poter perseguire, anche attraverso forme
di acquisizione di beni e servizi basate su gestioni che
rispettino il più possibile il miglior rapporto
prezzo-qualità, attuate attraverso l’ampia gamma di
possibilità poste a loro disposizione dalla legge per la
gestione dei propri contratti
(Corte dei Conti, Sez. controllo Campania,
parere 10.07.2014 n. 180). |
APPALTI: Centrale unica acquisti senza scappatoie.
Sulla centralizzazione degli acquisti, niente da fare per i
comuni non capoluogo di provincia. Infatti, in assenza di
deroghe legislative, la disposizione contenuta nel decreto
legge n. 66/2014 che impone il ricorso ad una centrale di
committenza escludendo l'affidamento diretto, deve
intendersi tassativa e di carattere speciale, quindi
prevalente alle disposizioni in materia contenute nel codice
dei contratti pubblici.
La querelle sull'obbligo di centralizzazione degli acquisti
prevista dall'articolo 9 del decreto Irpef, pertanto, si
completa con un nuovo tassello che giunge dal
parere 02.07.2014 n. 144
rilasciato pochi giorni fa dalla sezione regionale di
controllo della Corte dei conti Piemonte.
Come si ricorderà la norma sopra richiamata prevede che i
comuni non capoluogo di provincia procedono all'acquisizione
di lavori, beni e servizi nell'ambito delle unioni dei
comuni, ove esistenti, ovvero costituendo un apposito
accordo consortile tra i comuni medesimi e avvalendosi dei
competenti uffici anche delle province, residuando lo spazio
per negoziazioni dirette solo a mezzo degli strumenti
elettronici di acquisto gestiti dalla Consip o da altro
soggetto aggregatore di riferimento. Che il quadro sia
prossimo alla paralisi è anche dato dal fatto che la norma
in questione ha cancellato la deroga introdotta dalla legge
di stabilità 2014 per gli acquisti inferiori a 40 mila euro
spiazzando, di fatto, la maggior parte dei comuni, tenuto
conto che l'obbligo sino ad oggi ha riguardato i comuni con
meno di 5 mila abitanti.
È pur vero (si veda ItaliaOggi di ieri) che, per sbloccare
l'impasse dopo l'allarme lanciato dal presidente Anci, Piero
Fassino, il legislatore si sta muovendo con una soluzione.
Ovvero l'inserimento di un emendamento ad hoc, al testo di
conversione di un decreto legge attualmente in discussione
in parlamento (i boatos danno favorito il ddl di riforma
della p.a.), che rinvii l'operatività della norma del
decreto Irpef in due scadenze. La prima, al 1° gennaio del
prossimo anno, per quanto riguarda gli acquisti di beni e
servizi, la seconda al 30.06.2015 per l'acquisizione di
lavori.
A chiudere il cerchio, come detto, il parere della Corte dei
conti piemontese che, in risposta ad una richiesta del
comune di Torre Canavese (To), ha giustamente sottolineato
il carattere tassativo della disposizione richiamata, non
potendo ammettere deroghe a favore dell'affidamento diretto,
così come previsto dall'articolo 125 del codice dei
contratti pubblici.
Secondo la magistratura contabile piemontese, la ratio della
nuova disciplina è quella di soddisfare le esigenze di
semplificazione dei centri di acquisto, inserendosi nel
solco dell'indirizzo comunitario (il riferimento è alla
direttiva Appalti 2014/24), che ha registrato nei mercati
degli appalti pubblici della Ue, «una forte tendenza
all'aggregazione della domanda da parte dei committenti
pubblici, al fine di ottenere economie di scala». Quindi, ha
rilevato la Corte, dal tenore letterale della disposizione
si conferma l'aggregazione obbligatoria per i comuni non
capoluogo di provincia, per le procedure contrattuali
relative all'affidamento dei contratti di lavori, servizi e
forniture.
Non ci sono pertanto margini che possano aprire ad alcuna
deroga. I comuni interessati sono tenuti a costituire la
centrale di committenza nell'ambito delle unioni di comuni,
ove esistenti, oppure si siedono attorno ad un tavolo e
sottoscrivono un accordo consortile avvalendosi dei propri
uffici.
In conclusione, per rispondere al parere formulato dal primo
cittadino di Torre Canavese, la Corte ha rilevato che la
nuova disposizione di finanza pubblica ex articolo 9 del dl
n. 66/2014, assume nell'ordinamento carattere di specialità
e, quindi, di prevalenza rispetto alla norma generale ex
art. 125 del codice dei contratti pubblici che, allo stato
attuale, non è percorribile
(articolo ItaliaOggi del 09.07.2014). |
APPALTI: In
assenza di deroghe legislative, deve ritenersi che il Comune
(non capoluogo di provincia) non può procedere ad acquisire
autonomamente neppure lavori, servizi e forniture d’importo
inferiore ad euro 40.000 mediante affidamento diretto,
poiché la nuova disposizione di finanza pubblica, che ha
novellato il comma 3-bis dell'articolo 33 del Codice dei
contratti pubblici, assume nell’ordinamento carattere di
specialità, e quindi di prevalenza, rispetto alla norma
generale di cui all’art. 125, commi 8 e 11, dello stesso
Codice.
---------------
Le opzioni organizzative previste
dalla norma per costituire la centrale di committenza a cui
possono rivolgersi i Comuni sono:
(1) nell'ambito delle unioni dei comuni di cui all'articolo
32 del TUEL, ove esistenti, ovvero
(2) costituendo un apposito accordo consortile tra i comuni
medesimi e avvalendosi dei competenti uffici, oppure
(3) ricorrendo ad un soggetto aggregatore o alle province,
ai sensi della legge 07.04.2014, n. 56, residuando lo spazio
per negoziazioni autonome solo a mezzo gli strumenti
elettronici di acquisto gestiti da Consip S.p.A. o da altro
soggetto aggregatore di riferimento.
---------------
Con la nota richiamata in epigrafe il Sindaco del Comune
di Torre Canavese (TO) chiede alla Sezione un parere in
merito alla corretta interpretazione dell’art. 33, comma
3-bis, del d.lgs. 12.04.2006 n. 163, come riformulato
dal decreto-legge 24.04.2014, n. 66, convertito in legge
23.06.2014, n. 89.
In particolare, chiede se sia corretto ritenere che un
Comune non capoluogo di provincia, avente popolazione
inferiore a mille abitanti, non possa acquisire
autonomamente lavori, servizi e forniture d’importo
inferiore ad euro 40.000, mediante affidamento diretto, come
invece previsto dall’art. 125, commi 8 e 11, dello stesso
Codice dei contratti pubblici.
...
Il comma 3-bis dell'articolo 33 del decreto legislativo
12.04.2006, n. 163 (Codice dei contratti pubblici), aggiunto
all’originario articolato dall'art. 23, comma 4, D.L.
06.12.2011, n. 201, conv. in L. 22.12.2011, n. 214, ha
subìto una prima modifica da parte dell'art. 1, comma 4,
D.L. 06.07.2012, n. 95, conv. in L. 07.08.2012, n. 135 e,
successivamente, da parte dell'art. 1, comma 343, L.
27.12.2013, n. 147, a decorrere dal 01.01.2014.
Con l’art. 9, comma 4, del decreto-legge 24.04.2014, n. 66,
convertito in legge 23.06.2014, n. 89, il Legislatore è
nuovamente intervenuto sul testo normativo in discorso,
sostituendolo con il seguente: «3-bis. I Comuni non
capoluogo di provincia procedono all'acquisizione di lavori,
beni e servizi nell'ambito delle unioni dei comuni di cui
all'articolo 32 del decreto legislativo 18.08.2000, n. 267,
ove esistenti, ovvero costituendo un apposito accordo
consortile tra i comuni medesimi e avvalendosi dei
competenti uffici anche delle province, ovvero ricorrendo ad
un soggetto aggregatore o alle province, ai sensi della
legge 07.04.2014, n. 56. In alternativa, gli stessi Comuni
possono acquisire beni e servizi attraverso gli strumenti
elettronici di acquisto gestiti da Consip S.p.A. o da altro
soggetto aggregatore di riferimento. L’Autorità per la
vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e
forniture non rilascia il codice identificativo gara (CIG)
ai comuni non capoluogo di provincia che procedano
all’acquisizione di lavori, beni e servizi in violazione
degli adempimenti previsti dal presente comma.».
Il nuovo testo dell’articolo è volto a soddisfare le
esigenze di semplificazione dei centri d’acquisto e si
inserisce nella direzione auspicata, a livello comunitario,
nella recente Direttiva Appalti 2014/24/UE (59°
considerando) che ha registrato nei mercati degli appalti
pubblici dell’Unione una forte tendenza all’aggregazione
della domanda da parte dei committenti pubblici, al fine di
ottenere economie di scala, come prezzi e costi delle
transazioni più bassi, nonché un miglioramento e una maggior
professionalità nella gestione degli appalti.
Il comma in questione conferma, dunque, l’aggregazione
obbligatoria per i Comuni, con esclusione degli enti locali
capoluogo di provincia, per le procedure contrattuali per
l’affidamento dei contratti di lavori, servizi e forniture.
Peraltro, nel testo novellato non è stata riprodotta la
deroga alla disciplina in discorso, che era stata
recentemente introdotta dall’art. 1, comma 343, della Legge
27.12.2013, n. 147 (Legge di stabilità per il 2014) il quale
aveva aggiunto, alla fine del richiamato comma 3-bis, il
seguente periodo: «Le disposizioni di cui al presente
comma non si applicano alle acquisizioni di lavori, servizi
e forniture, effettuate in economia mediante amministrazione
diretta, nonché nei casi di cui al secondo periodo del comma
8 e al secondo periodo del comma 11 dell'articolo 125».
Le opzioni organizzative previste dalla
norma per costituire la centrale di committenza a cui
possono rivolgersi i Comuni sono, pertanto:
(1) nell'ambito delle unioni dei comuni di cui all'articolo
32 del TUEL, ove esistenti, ovvero
(2) costituendo un apposito accordo consortile tra i comuni
medesimi e avvalendosi dei competenti uffici, oppure
(3) ricorrendo ad un soggetto aggregatore o alle province,
ai sensi della legge 07.04.2014, n. 56, residuando lo spazio
per negoziazioni autonome solo a mezzo gli strumenti
elettronici di acquisto gestiti da Consip S.p.A. o da altro
soggetto aggregatore di riferimento.
Conclusivamente, in assenza di deroghe
legislative, deve ritenersi che il Comune richiedente il
parere non possa procedere ad acquisire autonomamente
neppure lavori, servizi e forniture d’importo inferiore ad
euro 40.000 mediante affidamento diretto, poiché la nuova
disposizione di finanza pubblica, che ha novellato il comma
3-bis dell'articolo 33 del Codice dei contratti pubblici,
assume nell’ordinamento carattere di specialità, e quindi di
prevalenza, rispetto alla norma generale di cui all’art.
125, commi 8 e 11, dello stesso Codice
(Corte dei Conti, Sez. controllo Piemonte,
parere 02.07.2014 n. 144). |
APPALTI SERVIZI:
Affidamento gestione rete di distribuzione energia a
servizio di immobili comunali.
La giurisprudenza afferma, in generale,
per tutti i contratti in cui sia parte una p.a. il
necessario rispetto dei principi dell'evidenza pubblica.
In particolare, l'affidamento a ditta privata dell'attività
di gestione della rete di distribuzione di energia elettrica
per immobili comunali, in ragione della sua natura di
servizio svolto a favore del Comune, che ne fruisce alla
stregua di un qualsiasi altro soggetto, e non alla
collettività, deve qualificarsi come appalto di servizi e
richiede il ricorso ad una procedura di gara di appalto.
Il Comune chiede un parere in ordine alle modalità di
affidamento della gestione di una rete di distribuzione di
energia elettrica, di sua proprietà, realizzata a servizio
di proprie strutture malghive.
In via preliminare, è importante far osservare che per tutti
i contratti in cui sia parte una p.a. la giurisprudenza ha
affermato il necessario rispetto dei principi dell'evidenza
pubblica. Osserva infatti il Supremo Giudice amministrativo
che il principio di concorrenza e quelli -che ne
rappresentano attuazione e corollario- di trasparenza, non
discriminazione e parità di trattamento, costituendo
principi fondamentali del diritto comunitario, si elevano a
principi generali di tutti i contratti pubblici e sono
direttamente applicabili a prescindere dalla ricorrenza di
specifiche norme comunitarie o interne e in modo prevalente
su eventuali disposizioni di segno contrario
[1].
Ciò premesso, la tipologia di procedura da utilizzare per
l'affidamento del servizio di gestione della rete elettrica
è condizionata dall'atteggiarsi del rapporto contrattuale
tra l'Ente e la ditta privata e dall'essere o meno
coinvolta, in detto rapporto, l'utenza.
Su tali fattori, invero, l'Autorità per la vigilanza sui
contratti pubblici di lavori, servizi e forniture (AVCP)
[2] ha
fondato le proprie considerazioni in ordine alla
qualificazione della natura del rapporto giuridico
intervenuto tra un comune e una ditta privata per le
attività di gestione del servizio elettrico su immobili
comunali.
L'AVCP ha innanzitutto delineato i tratti distintivi del
contratto di concessione di pubblico servizio rispetto a
quello di appalto di servizio, e dunque: assunzione del
rischio economico relativo alla gestione del servizio a
carico del concessionario, a differenza che nell'appalto,
ove l'esecutore è remunerato dalla stazione appaltante;
versamento di un canone all'amministrazione concedente,
diversamente da quanto avviene nell'appalto, ove è la
stazione appaltante a versare un corrispettivo alla ditta
esecutrice dei servizi/lavori; rapporto trilaterale che
coinvolge l'amministrazione, il gestore e gli utenti
destinatari del pubblico servizio, mentre nell'appalto il
rapporto è bilaterale, esaurendosi tra erogatore del
servizio e amministrazione [3].
Un tanto precisato, l'AVCP ha configurato quale appalto il
contratto con cui un comune ha affidato la gestione degli
impianti elettrici di immobili comunali ad una ditta
privata, argomentando dalla circostanza che, nella
fattispecie al suo esame, il rischio della gestione non
appare a carico del concessionario, che in realtà riceve un
canone annuale dall'amministrazione, e dal fatto che il
rapporto appare essere bilaterale, coinvolgendo solamente la
p.a. e la ditta, per cui le prestazioni del servizio sono
dirette unicamente al comune e non alla collettività, e
pertanto non rientrano nella nozione di servizio pubblico
locale [4].
Del pari, il Consiglio di Stato muove dalla natura del
servizio oggetto di affidamento per derivarne la relativa
modalità di affidamento. In particolare, il Supremo Giudice
amministrativo ha osservato che il servizio 'gestione
calore' per immobili comunali, comprensivo, per quanto
qui di interesse, anche dei lavori di manutenzione degli
impianti, non presenta i caratteri di servizio pubblico, in
quanto trattasi di un servizio che non viene svolto dal
comune a favore della collettività, ma viene erogato in
senso inverso cioè a favore del Comune. Pertanto,
l'affidamento a ditta privata di un siffatto servizio deve
avvenire previo il necessario espletamento di una procedura
concorsuale di appalto [5].
Allo stesso modo, il Tribunale regionale di giustizia
amministrativa, sezione Bolzano, ha affermato che il
'servizio energia' per edifici comunali, comprensivo, per
quanto qui di interesse, della gestione degli impianti, non
possa qualificarsi come 'servizio pubblico', poiché
le prestazioni sono dirette unicamente al comune, che ne
fruisce alla stregua di un qualsiasi altro soggetto, e non
alla collettività. Dunque, l'affidamento del 'servizio
energia' deve qualificarsi come appalto di servizi, non come
concessione di un pubblico servizio [6].
Venendo al caso di specie e alla luce delle considerazioni
espresse, si ritiene che l'affidamento dell'attività di
gestione della rete di distribuzione di energia elettrica
per immobili comunali, in ragione della sua natura di
servizio svolto a favore del Comune [7],
richieda il ricorso ad una procedura di gara di appalto
[8].
---------------
[1] TAR Emilia Romagna, Bologna, Sez. II, 21.05.2008, n.
1978, che richiama Consiglio di Stato, sez. VI, 30.01.2007,
n. 362; 30.12.2005, n. 7616; 25.01.2005, n. 168.
[2] AVCP, deliberazione n. 12 del 26.01.2011.
[3] Sulla distinzione tra concessione e appalto, cfr. anche
Consiglio di Stato, 16.04.2014, n . 1863.
[4] In tal senso, l'AVCP richiama il Parere dell'Autorità n.
201 del 17.07.2008 e il Consiglio di Stato, sez. V,
10.03.2003, n. 1289.
[5] Consiglio di Stato, sez. V, 10.03.2003, n. 1289.
[6] Tribunale regionale di giustizia amministrativa, sezione
Bolzano, 08.03.2007, n. 91. Sull'argomento di recente anche
la Corte di Cassazione (Cass. civ., S.U., ord. n.
12252/2009) ha osservato che 'la linea di demarcazione tra
appalti pubblici di servizi e concessioni di servizi [...] è
netta, poiché l'appalto pubblico di servizi, a differenza
della concessione, riguarda di regola i servizi resi alla
pubblica amministrazione e non al pubblico degli utenti'.
Conclusivamente, osserva l'AVCP, nella concessione di
servizi il destinatario del servizio pubblico è l'utenza, la
quale paga un ticket al concessionario (Cfr. AVCP,
deliberazione n. 47 del 04.05.2011, che richiama l'ordinanza
della Cassazione n. 12252/2009).
[7] Cfr. Cons. St., n. 1289/2003, cit..
[8] Si ritiene comunque di precisare, richiamando quanto
espresso in premessa sui contratti pubblici in generale, che
anche le concessioni di servizi devono garantire il più
ampio confronto concorrenziale; a tal fine è pertanto
auspicabile un regime pubblicitario degli affidamenti in
concessione che, in ragione della rilevanza dell'importo
dell'affidamento, si estenda anche a livello europeo in
linea con i principi di adeguata pubblicità e trasparenza,
applicabili anche alle concessioni di servizi in quanto
espressamente richiamati dall'art. 30 del D.Lgs. n. 163/2006
(Cfr. AVCP, deliberazione n. 47/2011, cit.)
(01.07.2014 -
link a
www.regione.fvg.it). |
giugno 2014 |
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APPALTI
FORNITURE E SERVIZI:
Decreto legge 24.04.2014, n. 66, articolo 8, commi 8 e 9.
Applicazione delle riduzioni di spesa ai nuovi contratti.
In sede di conversione del decreto legge
66/2014 ad opera della legge 23.06.2014, n. 89, sono state
soppresse le previsioni di cui all'art. 8, comma 8, lett. b)
e comma 9, che disponevano, rispettivamente, l'obbligo in
capo alle pubbliche amministrazioni di assicurare riduzioni
agli importi dei contratti futuri, ai fini del contenimento
della spesa pubblica, e la nullità dei contratti
sottoscritti in violazione di tale vincolo.
Il Comune, trovandosi nella necessità riappaltare, per
l'anno scolastico 2014/2015, i servizi di supporto alle
scuole locali (mensa e trasporti) ha chiesto chiarimenti in
ordine all'applicazione di quanto disposto dall'art. 8,
commi 8 e 9, del decreto legge 24.04.2014, n. 66 'Misure
urgenti per la competitività e la giustizia sociale'.
Preliminarmente si osserva che, nel frattempo, con la legge
23.06.2014, n. 89, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n.
143 della stessa data, è avvenuta la conversione, con
modifiche, del decreto in parola.
Prima della conversione, l'art. 8 del D.L. 66/2014 disponeva
al comma 8, lettere a) e b): '8. Le amministrazioni
pubbliche di cui al comma 1, per realizzare l'obiettivo loro
assegnato ai sensi dei commi da 4 a 7, sono:
a) autorizzate, a decorrere dalla data di entrata in vigore
del presente decreto, a ridurre gli importi dei contratti in
essere aventi ad oggetto acquisto o fornitura di beni e
servizi, nella misura del 5 per cento, per tutta la durata
residua dei contratti medesimi. Le parti hanno facoltà di
rinegoziare il contenuto dei contratti, in funzione della
suddetta riduzione. E' fatta salva la facoltà del prestatore
dei beni e dei servizi di recedere dal contratto entro 30
giorni dalla comunicazione della manifestazione di volontà
di operare la riduzione senza alcuna penalità da recesso
verso l'amministrazione. Il recesso è comunicato
all'Amministrazione e ha effetto decorsi trenta giorni dal
ricevimento della relativa comunicazione da parte di
quest'ultima. In caso di recesso, le Amministrazioni di cui
al comma 1, nelle more dell'espletamento delle procedure per
nuovi affidamenti, possono, al fine di assicurare comunque
la disponibilità di beni e servizi necessari alla loro
attività, stipulare nuovi contratti accedendo a
convenzioni-quadro di Consip S.p.A., a quelle di centrali di
committenza regionale o tramite affidamento diretto nel
rispetto della disciplina europea e nazionale sui contratti
pubblici;
b) tenute ad assicurare che gli importi e i prezzi dei
contratti aventi ad oggetto acquisto o fornitura di beni e
servizi stipulati successivamente alla data di entrata in
vigore del presente decreto non siano superiori a quelli
derivati, o derivabili, dalle riduzioni di cui alla lettera
a), e comunque non siano superiori ai prezzi di riferimento,
ove esistenti, o ai prezzi dei beni e servizi previsti nelle
convenzioni quadro stipulate da Consip S.p.A, ai sensi
dell'articolo 26 della legge 23.12.1999, n. 488.'
Al successivo comma 9 si stabiliva la nullità degli atti e
dei relativi contratti adottati in violazione delle
disposizioni di cui al comma 8, lettera b), e la rilevanza
di tale violazione ai fini della performance individuale e
della responsabilità dirigenziale del sottoscrittore.
Come anticipato, in sede di conversione il decreto ha subito
alcune importanti correzioni, anche all'articolo in esame.
Il Legislatore è infatti intervenuto modificando
parzialmente la lettera a) ed eliminando la lett. b)
dell'art. 8, comma 8, e, di conseguenza anche il comma 9.
Ne deriva che la disciplina attualmente in vigore è la
seguente: '8. Fermo restando quanto previsto dal comma 10
del presente articolo e dai commi 5 e 12 dell'articolo 47,
le pubbliche amministrazioni di cui all'articolo 11, comma
1, del decreto legislativo 14.03.2013, n. 33, per realizzare
l'obiettivo loro assegnato ai sensi dei commi da 4 a 7,
sono:
a) autorizzate, a decorrere dalla data di entrata in vigore
del presente decreto e nella salvaguardia di quanto previsto
dagli articoli 82, comma 3-bis, e 86, comma 3-bis, del
decreto legislativo 12.04.2006, n. 163, a ridurre gli
importi dei contratti in essere nonché di quelli relativi a
procedure di affidamento per cui sia già intervenuta
l'aggiudicazione, anche provvisoria, aventi ad oggetto
acquisto o fornitura di beni e servizi, nella misura del 5
per cento, per tutta la durata residua dei contratti
medesimi. Le parti hanno facoltà di rinegoziare il contenuto
dei contratti, in funzione della suddetta riduzione. E'
fatta salva la facoltà del prestatore dei beni e dei servizi
di recedere dal contratto entro 30 giorni dalla
comunicazione della manifestazione di volontà di operare la
riduzione senza alcuna penalità da recesso verso
l'amministrazione. Il recesso è comunicato
all'Amministrazione e ha effetto decorsi trenta giorni dal
ricevimento della relativa comunicazione da parte di
quest'ultima. In caso di recesso, le pubbliche
amministrazioni di cui all'articolo 11, comma 1, del decreto
legislativo 14.03.2013, n. 33, nelle more dell'espletamento
delle procedure per nuovi affidamenti, possono, al fine di
assicurare comunque la disponibilità di beni e servizi
necessari alla loro attività, stipulare nuovi contratti
accedendo a convenzioni-quadro di Consip S.p.A., a quelle di
centrali di committenza regionale o tramite affidamento
diretto nel rispetto della disciplina europea e nazionale
sui contratti pubblici;
b) (Soppressa).
9. (Soppresso).'
Pertanto, sono venuti meno l'obbligo di assicurare la
riduzione dell'importo a base di gara per i contratti futuri
e la conseguente nullità per i contratti adottati in
violazione di tale disposizione.
Permane invece la facoltà, in capo alle amministrazioni, di
procedere alla rinegoziazione dei contratti in essere, nei
termini risultanti dalle modifiche apportate dalla legge di
conversione all'art. 8, comma 8, lett. a), del DL 66/2014
(25.06.2014 -
link a
www.regione.fvg.it). |
LAVORI PUBBLICI:
Il progetto esecutivo deve essere conforme al
definitivo e redatto nel pieno rispetto di quest’ultimo: su
tale dato (art. 35, comma 1, del dPr n. 554/1999: “il progetto
esecutivo costituisce la ingegnerizzazione di tutte le
lavorazioni e, pertanto, definisce compiutamente ed in ogni
particolare architettonico, strutturale ed impiantistico
l'intervento da realizzare. Restano esclusi soltanto i piani
operativi di cantiere, i piani di approvvigionamenti, nonché
i calcoli e i grafici relativi alle opere provvisionali. Il
progetto è redatto nel pieno rispetto del progetto
definitivo nonché delle prescrizioni dettate in sede di
rilascio della concessione edilizia o di accertamento di
conformità urbanistica, o di conferenza di servizi o di
pronuncia di compatibilità ambientale ovvero il
provvedimento di esclusione delle procedure, ove previsti.”)
non è dato controvertere.
---------------
E' corretta la deduzione del primo giudice secondo la quale
non la legittimità, ma l’attuabilità del progetto esecutivo
è condizionata all’effettivo perfezionamento del c.d.
raccordo urbanistico, stante il chiaro tenore dell’art. 19
ult. co. (“si intende approvata”), che consente di non
ritenere attuale il risalente orientamento, discendente
dalla antevigente legislazione, secondo il quale è
illegittima l'approvazione del progetto esecutivo di una
ferrovia metropolitana con un tracciato conforme ad una
variante al piano regolatore solo adottata dal comune e non
ancora approvata dalla regione.
La vigente legislazione (art. 12 del TU) non ricollega, a
differenza della precedente, la nozione di atto comportante
la pubblica utilità alla approvazione del progetto
esecutivo, ma la ricollega al progetto definitivo (ex aliis
Cons. Stato Sez. IV, 04.06.2013, n. 3087: “a norma dell'art.
12, D.P.R. n. 327 del 2001 la dichiarazione di pubblica
utilità si intende disposta con l'approvazione o la
definizione, da parte dell'autorità procedente, di
determinati strumenti, ivi elencati. La dichiarazione di
pubblica utilità, pertanto, non richiede una particolare
dichiarazione, con la conseguenza che l'eventuale
dichiarazione della pubblica utilità delle opere al momento
dell'approvazione del progetto esecutivo è un di più, che
non può alterare il quadro legale di riferimento e non è
suscettibile di inficiare la regolarità e la legittimità
della procedura.”).
Ne consegue la non applicabilità del detto risalente
orientamento e la correttezza dell’approdo del primo giudice
che ha ritenuto che, nella fattispecie in esame, potesse, al
più, raffigurarsi una mera irregolarità non viziante e non
già il vizio di illegittimità prospettato.
1. L’appello è nel merito infondato e
va disatteso.
2. Le doglianze articolate dall’appellante verranno
separatamente esaminate.
2.1. La prima censura muove dal consolidato orientamento
della giurisprudenza che ancora di recente configura
l’ordinario fluire della procedura di adozione ed
approvazione dei progetti delle opere pubbliche attraverso
il succedersi di tre fasi della progettazione, scandite da
differenti peculiarità (progettazione preliminare, definita,
ed esecutiva) corrispondenti a differenti livelli di
approfondimento.
Si è detto infatti, ancora di recente che (TAR Marche
Ancona Sez. I, 24.01.2013, n. 70) “ai sensi dell'art. 93 D.Lgs. n. 163/2006 (Codice degli appalti) la progettazione
in materia di lavori pubblici si articola secondo tre
livelli di successivi approfondimenti tecnici, in
preliminare, definitiva ed esecutiva. Il progetto
preliminare definisce le caratteristiche qualitative e
funzionali dei lavori, il quadro delle esigenze da
soddisfare e delle specifiche prestazioni da fornire e
consiste in una relazione illustrativa delle ragioni della
scelta della soluzione prospettata in base alle valutazioni
delle soluzioni possibili. Il progetto definitivo individua
compiutamente i lavori da realizzare, nel rispetto delle
esigenze, dei criteri, dei vincoli, degli indirizzi e delle
indicazioni stabiliti nel progetto preliminare e contiene
tutti gli elementi necessari ai fini del rilascio delle
prescritte autorizzazioni e approvazioni. Il progetto
esecutivo, redatto in conformità al progetto definitivo,
determina in ogni dettaglio i lavori da realizzare e il
relativo costo previsto e deve essere sviluppato ad un
livello di definizione tale da consentire che ogni elemento
sia identificabile in forma, tipologia, qualità, dimensione
e prezzo.”.
Muovendo da tale punto di partenza, sostanzialmente
ricognitivo anche della legislazione previgente,
l’appellante perviene a conclusioni non condivisibili.
Il sillogismo da questi proposto è il seguente:
posto che il comune agiva in dichiarata applicazione
dell’art. 19 del TU Espropriazione –dPR n. 327/2001- esso
adottò il progetto definitivo, con deliberazione consiliare
08.02.2005 n. 4.
L’approvazione di tale deliberazione, giusta previsione di
cui appunto all’art. 19 del TU Espropriazione (“Quando
l'opera da realizzare non risulta conforme alle previsioni
urbanistiche, la variante al piano regolatore può essere
disposta con le forme di cui all'articolo 10, comma 1,
ovvero con le modalità di cui ai commi seguenti.
L'approvazione del progetto preliminare o definitivo da
parte del consiglio comunale costituisce adozione della
variante allo strumento urbanistico. Se l'opera non è di
competenza comunale, l'atto di approvazione del progetto
preliminare o definitivo da parte della autorità competente
è trasmesso al consiglio comunale, che può disporre
l'adozione della corrispondente variante allo strumento
urbanistico. Nei casi previsti dai commi 2 e 3, se la
Regione o l'ente da questa delegato all'approvazione del
piano urbanistico comunale non manifesta il proprio dissenso
entro il termine di novanta giorni, decorrente dalla
ricezione della delibera del consiglio comunale e della
relativa completa documentazione, si intende approvata la
determinazione del consiglio comunale, che in una successiva
seduta ne dispone l'efficacia”) era differita di novanta
giorni, e dipendeva dalla omessa manifestazione di dissenso
della Regione (dissenso che, come è incontroverso tra le
parti, nella fattispecie in esame non intervenne mai).
Ne consegue quindi che, alla data dell’08.02.2005 (in
cui intervenne la delibera n. 4 di adozione del progetto
definitivo) non poteva aversi un progetto definitivo
“conforme allo strumento urbanistico” e la variante suddetta
non era ancora né approvata, né efficace.
In tale quadro, quindi, ad avviso di parte appellante, posto
che il progetto esecutivo (conforme al definitivo adottato:
anche tale circostanza è incontestata) è stato parimenti
adottato alla data dell’08.02.2005, esso si sarebbe
conformato ad un definitivo non (ancora) conforme allo
strumento urbanistico: ciò concreterebbe irrimediabile
illegittimità.
2.2. La detta tesi assembla dati normativi diversi, ma muove
da un dato congetturale e non trova concorde il Collegio.
2.2.1. Il progetto esecutivo deve essere conforme al
definitivo e redatto nel pieno rispetto di quest’ultimo: su
tale dato (art. 35, comma 1, del dPr n. 554/1999: “il progetto
esecutivo costituisce la ingegnerizzazione di tutte le
lavorazioni e, pertanto, definisce compiutamente ed in ogni
particolare architettonico, strutturale ed impiantistico
l'intervento da realizzare. Restano esclusi soltanto i piani
operativi di cantiere, i piani di approvvigionamenti, nonché
i calcoli e i grafici relativi alle opere provvisionali. Il
progetto è redatto nel pieno rispetto del progetto
definitivo nonché delle prescrizioni dettate in sede di
rilascio della concessione edilizia o di accertamento di
conformità urbanistica, o di conferenza di servizi o di
pronuncia di compatibilità ambientale ovvero il
provvedimento di esclusione delle procedure, ove previsti.”)
non è dato controvertere.
Ma nel caso in esame non v’è dubbio che tale pieno rispetto
vi fosse.
Nessuna norma, invece, esprime la necessità che il progetto
esecutivo debba essere conforme ad un progetto definitivo
“approvato ed efficace”.
Sebbene non possa ignorare il Collegio che tale evenienza
debba costituire la normalità nella stragrande maggioranza
dei casi (discendendo dalla sequenzialità cronologica
imposta dalla legge), nulla vieta che, nel rispetto di detta
sequenza (nel caso di specie non obliata, posto che
l’adozione del progetto esecutivo seguì, seppur di poche
ore, l’adozione del definitivo), l’Amministrazione, per le
evenienze più disparate (nel caso di specie per la lodevole
esigenza di non perdere lo stanziamento dei contributi
decisi a proprio favore), si assuma il rischio di approvare,
coevamente all’adozione del progetto definitivo, il progetto
esecutivo al primo conforme.
E’ ovvio che di “rischio” si tratta, perché, nell’ipotesi in
cui ex art. 19 ult. co. la Regione o l'ente da questa delegato
all'approvazione del piano urbanistico comunale manifesti il
proprio dissenso entro il termine di novanta giorni,
decorrente dalla ricezione della delibera del consiglio
comunale e della relativa completa documentazione, la
delibera di adozione del progetto esecutivo “cade” in quanto
quest’ultima rimane senza oggetto, posto che “cade” anche
quella di adozione del progetto definitivo, non essendosi
concluso l’iter approvativo del medesimo.
Ma, nella ipotesi in cui tale evenienza non si verifichi (e,
lo si ripete, nel caso de quo ciò non avvenne certamente),
nessuna disposizione di legge sanziona con la illegittimità
tale “anticipata” (rispetto all’approvazione del definitivo)
approvazione del progetto esecutivo.
Ed è sintomatico rilevare, peraltro, che in concreto
l’appellante di nulla si duole se non dell’omesso rispetto
di tale “ordine”, non deducendo infatti che da tale
“anticipazione” sia discesa alcuna lesione sostanziale alla
propria sfera giuridica.
Ma se così è, in assenza di un dato formale univoco che
sanzioni detta “anticipazione” dell’approvazione del
progetto esecutivo e nell’assenza di alcun vulnus
sostanziale alla posizione di parte appellante, la censura
si risolve nella constatazione che al momento
dell’approvazione del progetto esecutivo il progetto
definitivo era soltanto adottato e quindi l’opera pubblica
non era “conforme allo strumento urbanistico”.
Ma la conformità sopravvenne con l’omesso dissenso della
Regione nei termini di legge, ed è corretta la deduzione del
primo giudice secondo la quale non la legittimità, ma
l’attuabilità del progetto esecutivo è condizionata
all’effettivo perfezionamento del c.d. raccordo urbanistico,
stante il chiaro tenore dell’art. 19 ult. co. (“si intende
approvata”), che consente di non ritenere attuale il
risalente orientamento, discendente dalla antevigente
legislazione, secondo il quale (TAR Lazio Sez. II,
27.06.1988, n. 907) è illegittima l'approvazione del
progetto esecutivo di una ferrovia metropolitana con un
tracciato conforme ad una variante al piano regolatore solo
adottata dal comune e non ancora approvata dalla regione.
La vigente legislazione (art. 12 del TU) non ricollega, a
differenza della precedente, la nozione di atto comportante
la pubblica utilità alla approvazione del progetto
esecutivo, ma la ricollega al progetto definitivo (ex aliis
Cons. Stato Sez. IV, 04.06.2013, n. 3087: “a norma dell'art.
12, D.P.R. n. 327 del 2001 la dichiarazione di pubblica
utilità si intende disposta con l'approvazione o la
definizione, da parte dell'autorità procedente, di
determinati strumenti, ivi elencati. La dichiarazione di
pubblica utilità, pertanto, non richiede una particolare
dichiarazione, con la conseguenza che l'eventuale
dichiarazione della pubblica utilità delle opere al momento
dell'approvazione del progetto esecutivo è un di più, che
non può alterare il quadro legale di riferimento e non è
suscettibile di inficiare la regolarità e la legittimità
della procedura.”); ne consegue la non applicabilità del
detto risalente orientamento e la correttezza dell’approdo
del primo giudice che ha ritenuto che, nella fattispecie in
esame, potesse, al più, raffigurarsi una mera irregolarità
non viziante e non già il vizio di illegittimità prospettato
(Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 19.06.2014 n. 3116 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Appalti, autorità spacchettata. Piano Cantone,
entro il 2014 competenze spartite tra Anac e Infrastrutture.
Non sarà una transizione né
facile né breve quella che porterà a un riordino del sistema
di vigilanza degli appalti targata Raffaele Cantone. Chi
pensava che in quattro e quattr'otto si sarebbe chiusa
l'attuale Autorità di vigilanza sui contratti pubblici (Avcp)
per trasferire con un colpo di bacchetta magica tutto nelle
mani del neo presidente dell'Autorità nazionale
anticorruzione (Anac) deve aver sottovalutato il groviglio
di competenze che è necessario districare per dare un
assetto razionale ai nuovi poteri.
Anche perché a giocare la partita sono in molti. A partire
dalla vecchia Avcp, che non si rassegna a passare la mano
completamente al ministero delle Infrastrutture, che da mesi
ha messo nel mirino soprattutto le competenze sulla
qualificazione. Senza dimenticare che anche la magistratura
ha messo sotto inchiesta il sistema Soa (società organismo
di attestazione) e in particolare le finte cessioni di ramo
d'azienda con un'inchiesta che a marzo ha portato la Guardia
di Finanza nelle sedi di tutte le 26 società attive in
Italia.
Ecco allora che le ultime versioni del decreto legge, quelle
in cui evidentemente è passata la mano esperta di Cantone,
sembrano assumere una maggiore dose di realismo e delineare
un percorso che può ridare razionalità al sistema. La
bacchetta magica è sostituita da un piano che Cantone, in
veste di commissario, dovrà mettere a punto entro il
31.12.2014 con l'ausilio di un vice-commissario.
Ad approvare il piano sarà il Consiglio dei ministri e solo
in quel momento l'Avcp sarà soppressa. Oggi Cantone, che va
in audizione alla commissione Lavori pubblici della Camera,
comincerà forse a dire come la pensa. Il testo del decreto,
che peraltro è ancora oggetto di messe a punto a Palazzo
Chigi, comincia già ad abbozzare la spartizione delle future
competenze, ma sarà necessario definire con precisione anche
le categorie stesse che il provvedimento usa.
In particolare alle Infrastrutture andranno le attività di «precontenzioso»
(cioè i pareri non vincolanti sulle gare in corso rilasciati
su richiesta di imprese e Pa, con l'obiettivo di ridurre il
ricorso ai giudici amministrativi) e di «attività
consultiva», che al momento si sostanzia negli atti di
segnalazione che Via Ripetta invia a Governo e Parlamento
sulla normativa (necessità di modifiche o difficoltà di
applicazione).
Un po' paradossale che sia il ministero a dare pareri a se
stesso. Secondo l'ultima versione del testo, all'Anac
andrebbero invece le «funzioni di vigilanza» sul
mercato, le banche dati sui contratti pubblici e i «poteri
sanzionatori». Sembrerebbe doversi desumere che sia il
controllo sulle Soa e sui requisiti delle imprese, sia l'Avcpass,
la banca dati dei requisiti delle imprese che partecipano
alla gara (ancora largamente lacunosa), rientrino nelle
competenze da trasferire all'Anac, anche se le categorie
prescelte non danno certezze in questo senso. Così come non
è chiaro a chi spettino altre attività, soprattutto di
regolazione del mercato, decisive per l'efficientamento
degli appalti: i costi standard, per esempio, o i bandi tipo
che imprese e amministrazioni invocano da anni o i nuovi
compiti in materia di trasparenza e controllo della spesa
pubblica che la legge Severino e l'ultimo decreto Irpef
assegnano proprio all'Authority in via di "soppressione".
Se per l'eredità dell'Avcp le ultime bozze fanno comunque
pensare a un passo avanti, con la cancellazione subordinata
a un piano di riordino, sembra tornare in alto mare il
capitolo sulla riforma delle norme sugli appalti. Clamorosa
sarebbe l'uscita dal testo dell'articolo forse più
significativo, quello che prevedeva la stretta sulle
varianti, con un obbligo di comunicazione proprio all'Anac.
Ma nel lavoro di revisione delle ultime ore, che
evidentemente tiene conto anche di eventuale obiezioni del
Quirinale sulla eterogeneità del provvedimento, rischiano di
saltare anche la cancellazione dell'incentivo del 2% per i
progetti interni alla Pa e l'ammorbidimento dei requisiti
per le gare di progettazione. Confermata la cancellazione
della responsabilità solidale negli appalti. Scende all'1%
la sanzione per le liti temerarie (articolo Il Sole 24 Ore del 18.06.2014
- tratto da www.centrostudicni.it). |
APPALTI: Controllo requisiti.
Domanda
Negli atti di gara (bando o lettera di invito) è
obbligatorio indicare l'attivazione della procedura dei
controlli di cui all'art. 48 del dlgs 163/2006?
Risposta
L'art. 48 del dlgs 163/2006 stabilisce che le stazioni
appaltanti, prima di procedere all'apertura delle buste
delle offerte presentate, richiedono a un numero di
offerenti non inferiore al 10% delle offerte presentate, di
comprovare, entro dieci giorni dalla data della richiesta
medesima, il possesso dei requisiti di capacità
economico-finanziaria e tecnico-organizzativa, eventualmente
richiesti nel bando di gara, presentando la documentazione
indicata in detto bando o nella lettera di invito.
L'Avcp con Determinazione n. 1 del 15.01.2014 avente a
oggetto: «Linee guida per l'applicazione dell'art. 48 del dlgs 12.04.2006, n. 163» ha precisato che il
procedimento di verifica di cui all'art. 48 del dlgs 163/2006
è obbligatorio, senza alcun margine di discrezionalità da
parte della stazione appaltante, per tutti i contratti
aventi a oggetto lavori, servizi e forniture, nei settori
ordinari, sia sopra che sotto soglia comunitaria,
aggiudicati con procedura aperta, ristretta, negoziata, con
o senza pubblicazione di un bando di gara, o con dialogo
competitivo.
Ne consegue che non occorre preventivamente indicare negli
atti di gara né l'attivazione della procedura di verifica né
il numero di soggetti sottoposti a verifica.
Le sole indicazioni, destinate a essere espresse nel bando o
nella lettera di invito, riguardano i mezzi di prova che gli
operatori economici sono tenuti a produrre per dimostrare la
veridicità di quanto dichiarato nonché i requisiti minimi di
partecipazione previsti nel bando di gara e i criteri per la
valutazione degli stessi (articolo ItaliaOggi Sette del
16.06.2014). |
LAVORI PUBBLICI: Sul
risarcimento del danno per le colpevoli sospensioni dei
lavori.
Deve rammentarsi che la disciplina generale sulle opere
pubbliche recata dal R.D. n. 350 del 1895 affida
all’ingegnere capo e al direttore dei lavori una
molteplicità di attribuzioni volte a far sì che l’opera sia
compiuta senza intralci, a perfetta regola d’arte e senza
oneri aggiuntivi per la stazione appaltante.
Di particolare importanza, a tal fine, sono gli adempimenti
che la legge affida ai tecnici dell’amministrazione nella
fase antecedente all’indizione delle gare o all’apertura
della trattativa privata (ove consentita), nonché al momento
della consegna dei lavori alla ditta che dovrà eseguirli.
In particolare, l’art. 5, comma 1, prevede che, prima di
bandire la gara per l’assegnazione dell’appalto o di aprire
la trattativa privata, l’ingegnere capo deve provvedere,
tramite il direttore dei lavori, alla «verificazione del
progetto, in relazione al terreno, al tracciamento, al
sottosuolo, alle cave, alle fornaci ed a quant’altro occorre
per l’esecuzione dell’opera, affinché sia accertato che,
all’atto della consegna, non si riscontreranno variazioni
nelle condizioni di fatto sulle quali il progetto è basato
o, riscontrandosene alcuna, si abbia tempo a prevenire
l’apertura delle aste pubbliche o delle licitazioni, ovvero,
quando trattasi di trattativa privata, la stipulazione del
contratto, in base al progetto inesatto o non più esatto».
La finalità di tale disposizione è ovvia, mirando ad evitare
che –salvo il caso di estrema urgenza ovvero quando «le
condizioni del terreno sono naturalmente mutabili» (comma 3
dell’art. 5)– la mancata verificazione del progetto rispetto
alla situazione oggettiva dei luoghi interessati non
determini rallentamenti o sospensioni dei lavori, ovvero
lievitazione dei costi per opere non previste.
Nello stesso senso milita l’art. 11, comma 1, del R.D. n.
350 del 1895, che obbliga l’ingegnere capo a sospendere la
consegna dei lavori (salvo le ipotesi indicate nel comma 2)
«qualora nonostante le disposizioni di cui al precedente
art. 5, si riscontrassero all’atto della consegna delle
differenze fra le condizioni locali ed il progetto …».
---------------
Gli obblighi imposti all’ingegnere capo e al direttore dei
lavori nella fase antecedente alla consegna dei lavori sono
precipuamente finalizzati ad evitare che si verifichino le
condizioni del ricorso alla sospensione dei lavori, che –è
bene rammentarlo– è disciplinata dall’art. 16 del R.D. n.
350 del 1895 quale evenienza che appartiene alla patologia
dell’esecuzione dell’opera, essendo autorizzabile «qualora
circostanze speciali impediscano temporaneamente che i
lavori procedano a regola d’arte».
Nella specie, se certamente sussistevano i presupposti per
la sospensione dei lavori, va però rilevato che le
«circostanze speciali» legittimanti la sospensione sono
state provocate anche dalle gravi omissioni dell’appellante
nell’esercizio delle funzioni di ingegnere capo e di
direttore dei lavori.
---------------
Le considerazioni fin qui svolte valgono, ovviamente, anche
per la questione delle indagini geologiche, avendo queste
determinato la sospensione dei lavori per non essere state
effettuate –come dovuto– prima di dar corso all’appalto o,
quanto meno, prima della consegna dei lavori.
E, comunque, in considerazione di quanto sostenuto dalla
difesa, si deve precisare che all’appellante non si
addebitano le spese sostenute per le indagini, ma il danno
(pro quota) conseguente alle sospensioni dei lavori.
La Procura regionale per la Basilicata ha contestato all’ing. C.
la somma di euro 64.446,98, pari alla metà del danno
complessivo, ravvisando il pari contributo causale del
progettista non chiamato in giudizio in quanto deceduto. La
Sezione territoriale ha imputato al convenuto l’importo
ridotto di euro 25.000,00 comprensivi della rivalutazione
monetaria, ritenendo di dover equamente valorizzare -a
scomputo della condanna– altri concorsi causali oltre che
le oggettive difficoltà dell’appalto.
La sentenza merita condivisione, per le motivazioni di
seguito indicate, sia per quanto concerne il nesso di
causalità sia per l’affermata sussistenza della colpa grave.
Circa il nesso di causalità, si osserva che le sospensioni
dei lavori –la prima delle quali prese inizio (12.10.1993)
quando erano intercorsi appena due-tre mesi dalla consegna
dei lavori (16.07.1993) e dal concreto inizio degli stessi
(05.08.1993)– si resero necessarie per la sottovalutazione,
in sede progettuale, delle problematiche derivanti dalla
esistenza di alcuni manufatti del Consorzio di bonifica
della Val d’Agri, che interferivano con una parte del
tracciato originario della strada. Si tratta, con ogni
evidenza, come del resto dedotto dallo stesso appellante, di
problematiche che dovevano essere prese in considerazione
dal progettista, il quale -nella elaborazione del progetto
esecutivo- avrebbe dovuto prevedere nel dettaglio, affinché
fossero immediatamente eseguibili, le lavorazioni che si
rendevano necessarie proprio in ragione della interferenza
tra l’opera da realizzare e i manufatti esistenti.
Sennonché, dalla documentazione in atti (vedi deliberazione
del Consiglio comunale n. 6 del 20.03.1991 e allegata
relazione tecnica) risulta che il progettista aveva indicato
tra le somme a disposizione gli importi previsti per
«indagini geologiche» e «spostamento condotte irrigue»,
senza che a ciò corrispondesse la previsione delle opere da
realizzare per tale spostamento e, soprattutto, rinviando
alcune indagini geologiche alla fase dell’esecuzione dei
lavori.
Da quanto fin qui evidenziato non discende, peraltro, che le
sospensioni (e il conseguente risarcimento del danno
riconosciuto all’impresa appaltatrice dal Collegio
arbitrale) siano imputabili esclusivamente al progettista,
dovendo invece affermarsi che l’appellante –prima, quale
responsabile dell’Ufficio tecnico e ingegnere capo e, poi,
quale direttore dei lavori- aveva l’obbligo giuridico e la
concreta possibilità di evitare che l’appalto incorresse in
quelle sospensioni.
Deve, in primo luogo, rammentarsi che la disciplina generale
sulle opere pubbliche recata dal R.D. n. 350 del 1895 affida
all’ingegnere capo e al direttore dei lavori una
molteplicità di attribuzioni volte a far sì che l’opera sia
compiuta senza intralci, a perfetta regola d’arte e senza
oneri aggiuntivi per la stazione appaltante. Di particolare
importanza, a tal fine, sono gli adempimenti che la legge
affida ai tecnici dell’amministrazione nella fase
antecedente all’indizione delle gare o all’apertura della
trattativa privata (ove consentita), nonché al momento della
consegna dei lavori alla ditta che dovrà eseguirli.
In particolare, l’art. 5, comma 1, prevede che, prima di
bandire la gara per l’assegnazione dell’appalto o di aprire
la trattativa privata, l’ingegnere capo deve provvedere,
tramite il direttore dei lavori, alla «verificazione del
progetto, in relazione al terreno, al tracciamento, al
sottosuolo, alle cave, alle fornaci ed a quant’altro occorre
per l’esecuzione dell’opera, affinché sia accertato che,
all’atto della consegna, non si riscontreranno variazioni
nelle condizioni di fatto sulle quali il progetto è basato
o, riscontrandosene alcuna, si abbia tempo a prevenire
l’apertura delle aste pubbliche o delle licitazioni, ovvero,
quando trattasi di trattativa privata, la stipulazione del
contratto, in base al progetto inesatto o non più esatto».
La finalità di tale disposizione è ovvia, mirando ad evitare
che –salvo il caso di estrema urgenza ovvero quando «le
condizioni del terreno sono naturalmente mutabili» (comma 3
dell’art. 5)– la mancata verificazione del progetto
rispetto alla situazione oggettiva dei luoghi interessati
non determini rallentamenti o sospensioni dei lavori, ovvero
lievitazione dei costi per opere non previste.
Nello stesso senso milita l’art. 11, comma 1, del R.D. n.
350 del 1895, che obbliga l’ingegnere capo a sospendere la
consegna dei lavori (salvo le ipotesi indicate nel comma 2)
«qualora nonostante le disposizioni di cui al precedente
art. 5, si riscontrassero all’atto della consegna delle
differenze fra le condizioni locali ed il progetto …».
Sennonché, emerge dagli atti che l’appellante non ha operato
nel rispetto delle fondamentali disposizioni sopra
richiamate.
Va, al riguardo, rilevato che, se è vero –come questi
sostiene– che il progetto venne approvato con deliberazione
del Consiglio comunale dell’08.03.1989 senza il parere
dell’Ufficio tecnico, è però altrettanto vero che quella
deliberazione venne adottata al fine di sottoporre il
progetto alla valutazione della Regione. A tale
deliberazione seguì quella del 20.03.1991, con la quale il
Consiglio comunale pervenne ad una nuova approvazione che si
era resa necessaria –come risulta dal preambolo della
deliberazione n. 6 del 1991- dalla circostanza che il
progetto era stato rielaborato per tener conto dell’aumento
dell’importo finanziato.
Orbene, risulta pacificamente dagli atti che il progetto
rielaborato è stato approvato dal Consiglio comunale di
Marsicovetere con deliberazione n. 6 del 1991 adottata
previo parere favorevole, espresso in data 15.11.1990,
dall’Ufficio tecnico nella persona del responsabile
dell’Ufficio, ing. C.. Peraltro, l’ing. C. –nell’esaminare il progetto e i relativi allegati– espresse
parere favorevole senza evidenziare, come avrebbe dovuto
quale responsabile dell’Ufficio tecnico e, quindi, svolgendo
le funzioni di ingegnere capo, che il progetto si presentava
carente per l’omessa indicazione delle opere da eseguire in
ragione della interferenza con i manufatti del Consorzio di
bonifica e in quanto rinviava alla fase dell’esecuzione dei
lavori le indagini geologiche connesse con tali (non
specificate) opere.
Quindi, su quello stesso progetto approvato nel 1991 venne
indetta la licitazione privata nel luglio del 1993, senza
che si provvedesse alla previa verificazione imposta
dall’art. 5, comma 1, del R.D. n. 350 del 1895; inoltre, la
consegna dei lavori venne effettuata il 16.07.1993,
senza che –neppure in quell’occasione– si prendesse atto
«delle differenze fra le condizioni locali ed il progetto»
ai fini di quanto prescritto dall’art. 11 dello stesso R.D.
n. 350 del 1895.
Le circostanze sopra evidenziate –oltre ad indicare la
sussistenza del nesso di causalità tra la condotta
dell’appellante e il danno subito dall’ente locale– valgono
anche a connotare la condotta in termini di gravità,
emergendo dagli atti di causa una significativa divergenza
tra la condotta esigibile al professionista rispetto a
quella in concreta tenuta.
Innanzitutto, non può dirsi –come ventilato dall’appellante- che l’interferenza tra la nuova opera e i manufatti del
sistema irriguo fosse percepibile solo dal progettista, che
aveva redatto anche il progetto per le opere del
“Peschiera”.
Al riguardo, è sufficiente richiamare quanto evidenziato
dallo stesso ing. C. nella nota diretta al Sindaco
in data 16.11.1993 (prot. n. 2263), laddove è detto:
«nel quadro economico relativo al progetto “esecutivo”
approvato con delibera Consiglio Comunale n. 6 del
20/03/1991 … è prevista la somma di L. 30.000.000
genericamente riferita allo spostamento di condotte irrigue
e ciò tra le somme a disposizione dell’Amministrazione. Tale
lavoro non trova riscontro in nessun elaborato di progetto e
pertanto va inteso a forfait senza alcun riferimento
specifico al tipo di intervento da eseguire. Dai rilievi di
consegna dell’impresa esecutrice, in contraddittorio con la
Direzione dei Lavori, si è evidenziata l’esistenza di un
insieme di tubazioni irrigue, in esercizio, di vario
diametro … appartenenti al sistema irriguo “Peschiera”, che
interessano parallelamente il tracciato della costruenda
strada e in particolare le opere di fondazione del viadotto
da realizzarsi. Per lo spostamento di tali condotte (vedi
elaborati approvati dal Consorzio di Bonifica Alta Val
D’Agri) nonché per gli interventi complementari e necessari,
occorre una spesa presunta a preventivo di L. 202.995.238
…».
In sostanza, l’ing. C. ha rilevato solo dopo aver
effettuato la consegna dei lavori quello che era
doverosamente e agevolmente rilevabile prima che il progetto
venisse approvato e avviato all’esecuzione e, cioè, che: il
progetto non poteva qualificarsi come “esecutivo” in quanto
lo spostamento delle condotte irrigue non trovava riscontro
in nessun elaborato (tanto che i costi erano stati indicati
a forfait solo tra le somme a disposizione); l’esistenza di
condotte irrigue risultava dallo stesso progetto, ove si
prevedeva (sia pur genericamente) lo «spostamento» delle
stesse.
In ogni caso, anche ammesso che il percorso delle condotte
non fosse agevolmente rilevabile nella sua interezza,
l’esistenza di «un insieme di tubazioni irrigue» è stata
riscontrata -come risulta dalla già menzionata nota del
16.11.1993 e dalla precedente informativa del 12.10.1993–
durante le operazioni propedeutiche alla consegna dei lavori
e in contraddittorio tra l’impresa e il direttore dei
lavori. Sennonché, l’ing. C. (che ha cumulato le
funzioni di ingegnere capo e di direttore dei lavori) non ha
provveduto –come imposto dall’art. 11, comma 1, del R.D. n.
350 del 1895– a sospendere la consegna dei lavori, ma ha
dato corso alla consegna senza considerare le conseguenze
che ne sarebbero attendibilmente derivate. E, infatti, la
consegna dei lavori -disposta nonostante le riscontrate
«differenze fra le condizioni locali ed il progetto»- ha
determinato la pressoché immediata necessità di sospendere i
lavori per effettuare le indagini geognostiche omesse in
sede progettuale e per elaborare varianti al progetto.
Tanto quanto fin qui chiarito, non si vede come possa
disconoscersi la sussistenza di una colpevolezza grave,
dovendosi rilevare che gli obblighi imposti all’ingegnere
capo e al direttore dei lavori nella fase antecedente alla
consegna dei lavori sono precipuamente finalizzati ad
evitare che si verifichino le condizioni del ricorso alla
sospensione dei lavori, che –è bene rammentarlo– è
disciplinata dall’art. 16 del R.D. n. 350 del 1895 quale
evenienza che appartiene alla patologia dell’esecuzione
dell’opera, essendo autorizzabile «qualora circostanze
speciali impediscano temporaneamente che i lavori procedano
a regola d’arte». Nella specie, se certamente sussistevano i
presupposti per la sospensione dei lavori, va però rilevato
che le «circostanze speciali» legittimanti la sospensione
sono state provocate anche dalle gravi omissioni
dell’appellante nell’esercizio delle funzioni di ingegnere
capo e di direttore dei lavori.
Le considerazioni fin qui svolte valgono, ovviamente, anche
per la questione delle indagini geologiche, avendo queste
determinato la sospensione dei lavori per non essere state
effettuate –come dovuto– prima di dar corso all’appalto o,
quanto meno, prima della consegna dei lavori. E, comunque,
in considerazione di quanto sostenuto dalla difesa, si deve
precisare che all’appellante non si addebitano le spese
sostenute per le indagini, ma il danno (pro quota)
conseguente alle sospensioni; in ogni caso, deve
evidenziarsi che i primi giudici –nel mitigare congruamente
l’addebito (da euro 64.446,98 oltre rivalutazione monetaria
ad euro 25.000,00 comprensivi di rivalutazione)– hanno
tenuto conto del fatto che i ritardi sono in parte dipesi
dalle «carenze tecniche professionali riscontrate a carico
della ditta» incaricata delle indagini geologiche.
3. In definitiva, per tutte le ragioni sopra evidenziate,
l’appello va respinto, con conseguente integrale conferma
della sentenza impugnata (Corte dei Conti, Sez. II giurisdiz.
centrale d'appello,
sentenza
10.06.2014 n. 397). |
maggio 2014 |
|
APPALTI -
EDILIZIA PRIVATA:
G.U. 19.05.2014 n. 114 "Testo
del decreto-legge 20.03.2014, n. 34, coordinato con la legge
di conversione 16.05.2014, n. 78, recante:
“Disposizioni urgenti per favorire il rilancio
dell’occupazione e per la semplificazione degli adempimenti
a carico delle imprese”.".
---------------
Di interesse si legga:
►
Art. 4. - Semplificazioni in
materia di documento unico di regolarità contributiva |
APPALTI -
EDILIZIA PRIVATA:
Niente stop agli incentivi se il Durc è negativo.
Il Durc dice addio alla carta. Il dl n. 34/2014, infatti, ha
trasformato in versione telematica il documento unico di
regolarità contributiva. Perciò, ferma restando la validità
di quattro mesi, il documento unico di regolarità
contributiva si potrà scaricare da internet tagliando in
questo modo circa cinque milioni di certificazioni su carta.
Altra novità interessante è il diritto, per le imprese prive
di regolarità contributiva, di ricevere comunque le
agevolazioni. Tuttavia, prima di finire nelle casse
aziendali, gli incentivi salderanno le scoperture
contributive.
Per regolarità contributiva s'intende la correttezza nei
pagamenti e adempimenti previdenziali, assistenziali e
assicurativi (Inps e Inail, nonché casse edili nel caso di
imprese di tale settore) con riferimento ai tutti gli
obblighi ricadenti sull'intera situazione aziendale. Il Durc
è un certificato che attesta tale regolarità per un'impresa.
La regolarità contributiva (ossia il possesso del Durc da
parte dell'azienda) è richiesta in diversi casi: appalti,
lavori edili ecc. La Finanziaria 2007 (art. 1, comma 1175,
della legge n. 296/2007) ha esteso tale vincolo anche ai
benefici normativi e contributivi previsti dalla normativa
in materia di lavoro e legislazione sociale, fermo restando
il rispetto degli accordi e contratti collettivi nazionali
nonché di quelli regionali, territoriali o aziendali.
La legge n. 98/2013 (conversione del dl n. 69/2013) ha
previsto che alle erogazioni di sovvenzioni, contributi,
sussidi, ausili finanziari e vantaggi economici, di
qualunque genere, compresi quelli di cui all'art. 1, comma
553, della legge n. 266/2005 (cioè i benefici e le
sovvenzioni comunitarie per la realizzazione
d'investimenti), da parte di pubbliche amministrazioni, per
le quali e «prevista» l'acquisizione del Durc, si applicano
«in quanto compatibili» le previsione del comma 3 dell'art.
31 della stessa legge.
Quest'ultima norma disciplina il c.d.
«intervento sostitutivo», vale a dire l'obbligo per le
pubbliche amministrazioni di trattenere dal pagamento da
fare a un'impresa non in regolarità contributiva, l'importo
corrispondente alle inadempienze evidenziate dal Durc. In
pratica è previsto che in presenza di un Durc negativo con
irregolarità nei versamenti dovuti a Inail, Inps o casse
edili, le stazioni appaltanti si sostituiscano all'impresa
debitrice (appaltatrice o subappaltatrice avente) e
procedano a pagare, in tutto o in parte, il debito
contributivo (a Inps, Inail o casse edili) trattenendo il
relativo importo dal corrispettivo dovuto in forza
dell'appalto.
La legge n. 98/2013, dunque, ha esteso l'utilizzo di questa
disciplina (l'intervento sostitutivo) prevedendone
l'applicazione «in quanto compatibile» anche alle
amministrazioni pubbliche che erogano contributi,
sovvenzioni, sussidi, ausili finanziari e vantaggi economici
di qualunque genere per i quali sia «prevista»
l'acquisizione d'ufficio del Durc.
Il dl n. 34/2014 interviene proprio su questa norma della
legge n. 98/2013. Due le novità. La prima rende obbligatorio
il Durc a tutte le erogazioni di sovvenzioni, contributi,
sussidi, ausili finanziarie e vantaggi economici di
qualunque genere, compresi benefici e sovvenzioni Ue per la
realizzazione d'investimenti. La seconda rende obbligatoria
negli stessi casi l'intervento sostitutivo. La conseguenza
più interessante sembra quella a favore delle aziende. Fino
al 21 marzo, infatti, era previsto che in caso di Durc
negativo l'azienda non avesse diritto a incentivi per un
mese ovvero, in caso di Durc positivo, ne avesse diritto per
quattro mesi.
In altri casi, l'assenza di regolarità contributiva negava
addirittura l'accesso a un bando di assegnazione di
agevolazioni: è il caso, per esempio, dei finanziamenti
Inail (Isi). In questi due esempi, allora, le modifiche del
dl n. 34/2014 comportano che l'azienda è comunque e sempre
ammessa agli incentivi, cioè anche se in possesso di Durc
negativo. Però, con l'obbligatorietà dell'intervento
sostitutivo, Inps o Inail prima di erogare materialmente gli
incentivi, copriranno le scoperture contributive
(articolo ItaliaOggi Sette del
19.05.2014). |
APPALTI -
EDILIZIA PRIVATA: SPECIALE JOBS ACT
-
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Cresce il plafond degli incentivi destinati ai contratti di
solidarietà.
Tra le varie misure
contenute nel decreto legge 34/2014 a vantaggio delle
imprese, appaiono particolarmente interessanti i
provvedimenti con cui si interviene sulla disciplina del
documento unico di regolarità contributiva (Durc) e
sull'impianto a sostegno degli incentivi connessi ai
contratti di solidarietà (Cds).
Le due norme sono orientate da logiche ben chiare:
semplificazione e trasformazione per il Durc, destinato a
smaterializzarsi; rivisitazione della normativa riferita
alle agevolazioni per i contratti di solidarietà,
stanziamento di maggiori risorse per i relativi incentivi e
uniformazione della misura.
La rivisitazione del Durc è disciplinata dall'articolo 4 del
decreto, con cui il governo si prefigge di far rivivere un
progetto non nuovo: convertire il documento unico di
regolarità contributiva in una semplice interrogazione
online che ognuno, compresa l'impresa interessata, potrà
eseguire dal proprio computer.
La sua realizzazione passa, in pratica, attraverso
l'apertura delle banche dati in cui sono memorizzate le
informazioni che servono a controllare se un determinato
soggetto è in regola con i vari versamenti. Sarà possibile
verificare, in tempo reale, la posizione dei contribuenti
nei riguardi di Inps e Inail nonché, per le imprese
interessate, anche della Cassa edile. Al momento, in realtà,
si tratta soltanto di una previsione: sarà, infatti, un
decreto interministeriale (Lavoro-Economia) –la cui
emanazione è prevista entro 60 giorni dall'entrata in vigore
del Dl 34, avvenuta il 21.03.2014– a dettare le regole.
Una volta che l'impianto sarà funzionante, l'interessato
potrà controllare online la regolarità. L'esito varrà 120
giorni e le sue risultanze sostituiranno a ogni effetto il
Durc, in tutti i casi in cui lo stesso è previsto, ad
eccezione delle ipotesi di esclusione individuate dal
decreto. Saranno, altresì, eseguibili le verifiche disposte
in materia dal codice dei contratti pubblici. In tale ambito
è determinante acquisire informazioni relative ai soggetti
coinvolti che, se hanno commesso violazioni gravi
definitivamente accertate alle norme in materia di
contributi previdenziali e assistenziali, potranno essere
esclusi dalle gare di affidamento delle concessioni, degli
appalti e dei subappalti.
La norma, inoltre, aggiunge che dalla data di entrata in
vigore del decreto interministeriale di regolamentazione,
ogni disposizione di legge incompatibile con le previsioni
del decreto lavoro sarà abrogata.
Attualmente le stazioni appaltanti possono verificare online
il possesso dei requisiti di capacità generale e
tecnico-economica delle imprese. Il controllo si esegue
accedendo alla Banca dati nazionale dei contratti pubblici (Bdncp)
operativa presso l'Autorità per la vigilanza sui contratti
pubblici (Avcp). Per rendere possibile lo scambio di
informazioni telematiche tra le stazioni appaltanti e le
imprese che vogliono partecipare a pubbliche gare d'appalto
di lavori, forniture e servizi, è stata realizzata una
piattaforma telematica denominata Avcpass. Previa
registrazione, il sistema permette alle stazioni
appaltanti/enti aggiudicatori l'acquisizione della
documentazione comprovante il possesso dei requisiti di
carattere generale, tecnico-organizzativo ed
economico-finanziario per l'affidamento dei contratti
pubblici; consente, inoltre, agli operatori economici di
inserire a sistema i documenti richiesti dalle procedure di
affidamento.
Nella delibera 111/2012, l'Autorità ha, tra l'altro,
affermato che nella documentazione comprovante il possesso
dei requisiti generali (articoli 38 e 39 del codice) figura
anche il Durc fornito dall'Inail. Stante, dunque, quanto
previsto dal Dl 34/2014, quando sarà pronto il decreto di
regolamentazione del Durc smaterializzato, il passaggio all'Avcpass
non dovrebbe più essere obbligatorio in quanto sarà
sufficiente l'interrogazione online.
Il decreto lavoro si interessa anche dei contratti di
solidarietà accompagnati da Cigs. La crisi economica che ha
coinvolto il nostro Paese in questi ultimi anni ha visto
crescere in maniera esponenziale il ricorso all'istituto del
contratto di solidarietà come possibile strumento per la
salvaguardia occupazionale.
Preso atto di questa realtà, con le nuove disposizioni si
prevede un piccolo ma interessante maquillage delle regole
inerenti l'accesso alle agevolazioni contributive a supporto
dei Cds, si aumenta (triplicandolo) il plafond per
finanziare gli incentivi e, parallelamente, si prevede
un'agevolazione con misura uniformata che non tiene più
conto delle diverse percentuali di riduzione dell'orario
contrattuale, né della collocazione territoriale delle
imprese (articolo Il Sole 24 Ore del 17.05.2014). |
APPALTI:
Nei comuni acquisti centralizzati.
Causa mafia.
Scioglimento dei comuni per mafia, si cambia: per quelli
«riabilitati» scatterà l'obbligo di realizzare centrali
uniche per acquisti e appalti. E un salto di qualità lo
faranno i segretari comunali, la cui figura (di controllo)
avrà «un senso» nell'assicurare la correttezza delle
procedure.
È Filippo Bubbico, viceministro all'interno, ad
anticipare i contenuti di un provvedimento in tempi stretti
all'esame del Cdm, nel corso di una visita effettuata ieri,
a Reggio Calabria.
Non manca molto alla messa in opera del restyling sullo scioglimento delle giunte in cui le
organizzazioni criminali hanno allungato i tentacoli,
condizionandone l'andamento e i servizi, giacché, riferisce,
«siamo nella fase conclusiva della concertazione», laddove
il Viminale da un lato ed il dicastero della giustizia
dall'altro «hanno già condiviso un testo. Ora aspettiamo il
passaggio conclusivo del Mef per gli aspetti relativi alla
copertura delle spese conseguenti, anche in relazione alle
innovazioni introdotte», quali, appunto, il vincolo di
canali unici per il controllo delle forniture, degli
incarichi e l'assegnazione delle concessioni per effettuare
i lavori pubblici.
Nuova vita, dunque, per gli enti su cui
le mafie hanno avuto influenza (il cui numero aumenta,
sottolinea nel capoluogo calabrese), mediante un iter di
«riabilitazione democratica», esteso anche ad «organismi
istituzionali e ai momenti decisionali propri delle
amministrazioni locali, a partire dalla gestione degli
appalti e dell'affidamento di commesse all'esterno».
Necessarie, secondo l'esponente governativo, «procedure di
qualità, di verifica costante sulla correttezza dei
procedimenti amministrativi, e occorre dare anche un senso
al ruolo ed alla funzione dei segretari comunali e
restituire anche momenti di controllo non sul merito delle
decisioni, ma sulla legittimità degli atti e anche il
controllo di natura contabile e di natura finanziaria».
E,
all'orizzonte, c'è anche la Carta dei diritti dei testimoni
di giustizia che, prosegue Bubbico, sarà stilata da una
commissione composta da sociologi, avvocati, magistrati e
funzionari del servizio centrale di Protezione, che nei
prossimi sei mesi rivaluterà strumenti per garantire loro
sicurezza e «risarcirli» per i disagi tollerati
(articolo ItaliaOggi del 17.05.2014). |
APPALTI: Fattura elettronica, il Senato chiede i codici solo dal 2015.
Dl Irpef. Emendamenti bipartisan.
Lavori in corso per
evitare che la partenza della fatturazione elettronica si
trasformi in un boomerang per i fornitori della Pa. Una
serie di emendamenti trasversali al decreto Irpef presentati
al Senato punta a prorogare e correggere le norme che
rischiano di bloccare i pagamenti nel caso in cui le nuove
fatture telematiche non contengano il Codice identificativo
di gara (Cig) e il Codice unico di progetto (Cup).
Come noto, il 6 giugno prossimo scatta l'obbligo
dell'utilizzo della fattura nei rapporti con ministeri,
agenzie fiscali ed enti di previdenza. Il Dl anticipa
inoltre al 31.03.2015 (dal 06.06.2015) l'obbligo per
forniture verso tutte le altre Pa. Ma un'altra delle novità
introdotte dal decreto, cioè l'obbligo per i fornitori di
inserire nelle fatture il Cig e il Cup, ha fatto scattare
nelle ultime settimane l'allarme delle imprese, dai più
piccoli ai più grandi fornitori della Pa.
Il problema è finito al centro di alcuni emendamenti che
mirano in prima battuta a rinviare l'obbligo di riportare i
codici dal 06.06.2014 al 31.03.2015 (in subordine, le
imprese propongono di spostarlo fino a 180 giorni dalla data
di entrata in vigore della legge di conversione). E,
inoltre, secondo emendamenti analoghi presentati da Pd, Ncd,
Forza Italia e gruppo Per l'Italia, in assenza di codici la
Pa sono legittimate a non pagare solo se in precedenza
avevano comunicato queste informazioni ai fornitori.
Su questi aspetti ci sono stati diversi incontri a livello
tecnico, anche con Ragioneria dello Stato, Agenzia delle
entrate, Agenzia per l'Italia digitale e con gli altri
attori che partecipano al Forum italiano sulla fatturazione
elettronica. Il decreto introduce l'obbligo di prevedere nei
documenti digitali Cig e Cup con l'obiettivo, sollecitato
dalla Ragioneria, di avere in automatico un continuo
monitoraggio dell'avanzamento della spesa per singoli
progetti e unità organizzative. Un fine condivisibile,
secondo le stesse imprese, perché consentirebbe di avere
finalmente un quadro certo dei pagamenti arretrati e di
mettere fine al fenomeno dei debiti fuori bilancio.
Il
problema è rappresentato dai tempi, estremamente stretti per
chi ha già effettuato investimenti per adeguare i sistemi
informatici, e soprattutto dalla previsione del divieto di
pagamento da parte delle Pa in caso di mancato inserimento
dei codici. I fornitori potrebbero in realtà non disporne,
dal momento che la normativa di riferimento (relativa alla
tracciabilità finanziaria) ne prevede solo l'inserimento
nelle operazioni di pagamento da parte delle Pa ma non
dispone un esplicito obbligo di comunicarli ai fornitori.
Insomma: in assenza di modifiche, da giugno le imprese
potrebbero avere l'obbligo di mettere in fattura dati che
non hanno mai ricevuto e che per altro sono in già possesso
dei committenti (articolo Il Sole 24 Ore del 16.05.2014). |
APPALTI: Codice degli appalti da abolire.
Sufficiente applicare le direttive europee disponibili.
Da Pinto (presidente Asmel) idea shock contro la corruzione
e per rilanciare l'economia.
L'idea è stata lanciata dal presidente Asmel, Francesco
Pinto, durante l'assemblea dell'associazione che raggruppa
1861 enti locali in tutt'Italia svoltasi presso la sede del
Tar Campania e che ha visto la presenza attiva di oltre 400
comuni.
Nel corso della tavola rotonda su «Appalti e
Legalità», cui hanno partecipato, tra gli altri, il
presidente dell'Avcp Santoro e quello del Tar Campania
Mastrocola, è stata proposta l'integrale e immediata
abolizione del Codice degli appalti.
Una ragnatela di norme (vedi riquadro) che rendono la vita
difficile, se non impossibile, alle stazioni appaltanti e
che, anziché contrastare corruttela e malaffare di fatto li
«coprono».
D'altra parte, l'integrale abolizione di questa giungla di
disposizioni, non creerebbe un vuoto normativo. Le stazioni
appaltanti sarebbero chiamate ad applicare le direttive
sugli appalti appena entrate in vigore a livello europeo, di
fatto già autoapplicative (cosiddette self-executive) senza
attendere il loro recepimento nella legislazione italiana,
previsto entro due anni. Si tratta di testi scritti in un
italiano fluente e già tradotti in inglese con gran
soddisfazione di operatori e investitori esteri che, come
noto, si tengono alla larga dal mercato italiano,
principalmente, a causa della farraginosità della nostra
normativa. Una miriade di precetti bizantini e prescrittivi
capaci di produrre solo deresponsabilizzazione e smarrimento
negli uffici acquisti.
La loro abolizione, assieme
all'introduzione delle nuove norme sulla centralizzazione
delle committenze, porterebbe gli uffici comunali, composti
per la stragrande maggioranza da persone perbene e motivate,
a impegnarsi solo sui risultati. In questo senso con Asmel
la possibilità di costituire centrali di committenza tra
comuni mediante «accordi consortili avvalendosi dei
competenti uffici» viene declinata lasciando ampia autonomia
agli stessi nei compiti da delegare alla centrale, che
possono essere limitati a «pezzi» dell'attività o prevedere
la delega completa. Esattamente come previsto dalle nuove
direttive europee che lasciano libere le stazioni appaltanti
di affidarsi alle centrali di committenza anche
limitatamente a funzioni «ausiliarie».
Una simile proposta è in grado di ridurre drasticamente il
contenzioso. Le statistiche dimostrano che esso è alimentato
per la gran parte proprio dalle intricatissime norme che
regolano le cosiddette «buste amministrative», e di dare una
forte accelerazione agli investimenti pubblici e privati.
Tenuto conto che il volume annuo degli appalti pubblici in
Italia ammonta a circa 100 miliardi di euro, pari a circa
l'8% del Pil, è sufficiente un'accelerazione della spesa nel
settore pari al 15 per cento annuo per raddoppiare il tasso
di crescita della nostra economia attualmente stimato per il
2015 nell'1,2%.
Di certo, una simile proposta andrà corredata dal
rafforzamento del ruolo di vigilanza sull'attività delle
Stazioni appaltanti già oggi svolto dall'Avcp in maniera
incisiva, ma che, liberata dai vari orpelli, avrà maggiori
poteri per perseguire i comportamenti dolosi. Nei comuni
andrà rafforzato, invece, il ruolo dei segretari comunali,
per affiancare gli uffici acquisti orfani della normativa di
riferimento.
---------------
Una ragnatela di norme.
Il Codice degli appalti è un testo di legge composto da 273
articoli, 1.560 commi e corredato da rinvii ad altre 148
norme di legge. Dal 2006, data di entrata in vigore, i suoi
articoli hanno subito modifiche per 563 volte senza contare
quelle entrate in vigore per un periodo limitato nei decreti
legge che poi non hanno trovato conversione.
Per la sua corretta applicazione occorre far riferimento
alle 6.155 pronunce dell'Autorità di vigilanza sui contratti
pubblici e dei tribunali amministrativi, che fanno
giurisprudenza e dunque obbligano di fatto le stazioni
appalti ad uniformarsi. Per non parlare delle migliaia di
pronunce emanate in «sede consultiva» dalle sezioni
regionali della Corte dei conti, che, come tutti sanno,
hanno un potere molto incisivo sull'azione dei pubblici
funzionari. Non basta, al Codice va aggiunto il Regolamento attuativo, con i suoi 358 articoli e 1392 commi, e i
Regolamenti regionali, anch'essi con valore di legge.
Infine, le stazioni appaltanti sono chiamate anche a
uniformarsi alle intricate norme sulla privacy, sui
«protocolli di integrità», «patti di legalità», e sul
programma triennale anticorruzione, oltre a tutta la
normativa sui procedimenti amministrativi
(articolo ItaliaOggi del 16.05.2014
- tratto da www.centrostudicni.it). |
COMPETENZE GESTIONALI - LAVORI PUBBLICI:
L'approvazione di progetti di opere pubbliche e
di atti inerenti alla correlata procedura espropriativa
rientra nella competenza gestoria dirigenziale, come
disegnata dall'art. 107, comma 2, del d.lgs. 18.08.2000, n.
267 in relazione a "...tutti i compiti, compresa l'adozione
degli atti e provvedimenti amministrativi che impegnano
l'amministrazione verso l'esterno, non ricompresi
espressamente dalla legge o dallo statuto tra le funzioni di
indirizzo e controllo politico-amministrativo degli organi
di governo dell'ente o non rientranti tra le funzioni del
segretario o del direttore generale...", in quanto non
riconducibile alle competenze consiliari o delle giunte
municipali, di cui, rispettivamente, ai precedenti art. 42,
comma 2, e 48, commi 2 e 3, e anche tenendo in disparte il
rilievo che l'ampliamento era previsto nel programma
triennale delle opere pubbliche e inserito nel bilancio di
previsione, e quindi in atti fondamentali di Giunta e
Consiglio Comunale, con conseguente ulteriore radicamento
della competenza dirigenziale ai sensi del comma 3 dell'art.
107, concernente appunto "... tutti i compiti di attuazione
degli obiettivi e dei programmi definiti con gli atti di
indirizzo adottati dai medesimi organi" (di governo).
Non hanno maggior pregio
le censure dedotte con il secondo motivo d'appello, perché
l'approvazione di progetti di opere pubbliche e di atti
inerenti alla correlata procedura espropriativa rientra
nella competenza gestoria dirigenziale, come disegnata
dall'art. 107, comma 2, del d.lgs. 18.08.2000, n. 267 in
relazione a "...tutti i compiti, compresa l'adozione degli
atti e provvedimenti amministrativi che impegnano
l'amministrazione verso l'esterno, non ricompresi
espressamente dalla legge o dallo statuto tra le funzioni di
indirizzo e controllo politico-amministrativo degli organi
di governo dell'ente o non rientranti tra le funzioni del
segretario o del direttore generale...", in quanto non
riconducibile alle competenze consiliari o delle giunte
municipali, di cui, rispettivamente, ai precedenti art. 42,
comma 2, e 48, commi 2 e 3 (in tal senso vedi, Cons. Stato,
Sez. IV, 16.03.2010, n. 1532), e anche tenendo in
disparte il rilievo che l'ampliamento era previsto nel
programma triennale delle opere pubbliche e inserito nel
bilancio di previsione, e quindi in atti fondamentali di
Giunta e Consiglio Comunale, con conseguente ulteriore
radicamento della competenza dirigenziale ai sensi del comma
3 dell'art. 107, concernente appunto "... tutti i compiti di
attuazione degli obiettivi e dei programmi definiti con gli
atti di indirizzo adottati dai medesimi organi" (di
governo) (Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 12.05.2014 n. 2405 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Sul c.d. "potere di soccorso" della stazione
appaltante, ex art. 46, c. 1, del d.lgs. 163/2006
(fattispecie inerente una procedura di gara per
l'individuazione dell'affidatario della sede farmaceutica di
nuova istituzione).
L'art. 46, c. 1, del d.lgs. 163/2006 (codice dei contratti),
disciplina il c.d. "potere di soccorso" della
stazione appaltante consentendo, nei limiti previsti dagli
artt. da 38 a 45, se necessario, che i concorrenti siano
invitati a completare o fornire chiarimenti in ordine al
contenuto dei certificati, documenti e dichiarazioni
presentati, riguardanti i requisiti generali per
l'ammissione a gara. Essa rappresenta un'espressione, nel
settore delle gare pubbliche, del più generale principio di
cui all'art. 6, c. 1, lett. b), l. n. 241 del 1990, secondo
cui il responsabile del procedimento adotta ogni misura per
l'adeguato e sollecito svolgimento dell'istruttoria e può
chiedere "il rilascio di dichiarazioni e la rettifica di
dichiarazioni o istanze erronee o incomplete...". Il
principio soddisfa la primaria esigenza di consentire la
massima partecipazione alla selezione, consentendo di
correggere l'eccessivo rigore delle forme insito nella
logica "della caccia all'errore" e di eliminare
quelle situazioni di esclusioni dalle gare anche per
violazioni puramente formali.
Nelle procedure di gara il "potere di soccorso",
sostanziandosi unicamente nel dovere della stazione
appaltante di regolarizzare certificati, documenti o
dichiarazioni già esistenti, ovvero di completarli ma solo
in relazione ai requisiti soggettivi di partecipazione,
chiedere chiarimenti, rettificare errori materiali o refusi,
fornire interpretazioni di clausole ambigue nel rispetto
della par condicio dei concorrenti, non consente la
produzione tardiva del documento o della dichiarazione
mancante o la sanatoria della forma omessa, ove tali
adempimenti siano previsti a pena di esclusione dal codice
dei contratti pubblici, dal regolamento di esecuzione e
dalle leggi statali.
L'omessa dichiarazione della sussistenza o meno della causa
di impedimento di cui all'art. 13 della l. n. 475 del 1968,
che concerne l'incompatibilità con il pubblico impiego
dell'attività di propagandista di medicinali, nonché della
causa interdittiva di cui all'art. 12 della stessa legge,
per aver ceduto la titolarità di altra farmacia da almeno
dieci anni, sono cause di esclusione essendo insito nelle
citate previsioni di legge il carattere cogente dei divieti
discendenti dalle norme. Tuttavia, l'omessa dichiarazione
non è sanzionata, nel caso di specie, dalla clausola del
bando con l'espressa comminatoria di esclusione; ne consegue
che, secondo principi consolidati in giurisprudenza sulle
conseguenze della non offensività delle omesse dichiarazioni
in tema di requisiti generali di partecipazione alle gare,
la stazione appaltante era tenuta ad esercitare il potere di
soccorso nei confronti dei concorrenti, ammettendoli a
fornire la dichiarazione mancante, in quanto gli stessi
potevano essere esclusi solo in difetto del requisito
sostanziale, ovvero se non avessero reso, nel termine
indicato dalla stazione appaltante, l'integrazione della
dichiarazione mancante. La stazione appaltante, dunque, ha
correttamente accertato in concreto la posizione degli
interessati, richiedendo il completamento della
documentazione e ne ha disposto la riammissione in gara
(Consiglio di Stato, Sez. III,
sentenza 09.05.2014 n. 2376 - link a
www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI: Contratti pubblici.
Al setaccio le gare bandite prima del 12 maggio.
Entro il mese di agosto le stazioni appaltanti dovranno
verificare i dati delle gare bandite prima del 12.05.2014 e comunicare le informazioni alla banca dati delle
amministrazioni pubbliche che il Mineconomia avvierà a
ottobre; previste sanzioni disciplinari per i responsabili
del procedimento.
È quanto prevede l'Autorità per la
vigilanza sui contratti pubblici con il
comunicato del Presidente 08.05.2014, Sergio Santoro, che detta
nuove modalità operative di invio dei dati a carico delle
stazioni appaltanti.
Si tratta dei dati che devono
alimentare la Banca dati delle amministrazioni pubbliche (Bdap)
istituita in seno al ministero dell'economia con la legge n.
196/2009. L'Autorità precisa che dal 12.05.2014 le
amministrazioni dovranno obbligatoriamente indicare sul
sistema Simog (Sistema informativo monitoraggio gare), in
sede di creazione del Cig (codice identificativo gara), il
Cup (codice unico progetto) identificativo del progetto
nell'ambito del quale si colloca lo specifico appalto.
Inoltre si specifica che per tutti i contratti per i quali
alla data del 12.05.2014 risultino già trasmesse le
relative schede di aggiudicazione, il responsabile unico del
procedimento dovrà verificare che per le fattispecie per le
quali è necessaria l'acquisizione del Cup, quest'ultimo
risulti associato al Cig cui si riferisce, nell'ambito del
sistema Simog
(articolo ItaliaOggi del 14.05.2014). |
LAVORI
PUBBLICI: Sulla
questione dei lavori di somma urgenza: chi li può ordinare
e come si regolarizzano dal punto di vista
contabile.
I. Con il primo quesito,
premesso che l’inciso del comma 3
dell’art. 191 TUEL (“qualora i fondi specificamente
previsti in bilancio si dimostrino insufficienti”)
determina l’applicazione della procedura di
riconoscimento dei debiti fuori bilancio nel caso di
assenza o insufficienza di fondi, ma nulla dispone
nel caso in cui in bilancio vi siano risorse
sufficienti, il Sindaco chiede quando la Giunta
possa ritenere sussistenti i predetti fondi. In
particolare solo nel caso in cui esista in bilancio
una voce di spesa avente ad oggetto specificamente
somme urgenze oppure anche in presenza di un
capitolo di spesa avente un oggetto conforme alla
natura dei lavori eseguiti in somma urgenza.
La valutazione della sufficienza o
meno dei fondi per l’esecuzione di lavori di somma
urgenza dipende dalla strutturazione del singolo
bilancio, come approvato dal Consiglio comunale e
specificato, con il piano esecutivo di gestione,
dalla Giunta.
Pertanto il responsabile del procedimento,
competente all’ordinazione dei lavori (ex art. 176
DPR n. 207/2010), deve valutare (assieme al
responsabile del servizio economico e finanziario,
ex art. 153, comma 5, TUEL) la presenza di risorse
sufficienti negli interventi a lui assegnati o, se
necessario, promuovere la variazione del piano
esecutivo di gestione da parte della Giunta (ex art.
169 TUEL).
Nel caso in cui invece non vi siano nei capitoli o
interventi assegnati sufficienti risorse, per
reperirne di ulteriori, il responsabile del
servizio, ai sensi dell’art. 191, comma 3, del TUEL
deve proporre alla Giunta di investire della
competenza il Consiglio in aderenza ai principi
generali
(specificati, per il caso di specie dei lavori di
somma urgenza, dal novellato art. 191, comma 3).
II. Con il secondo quesito il Comune
chiede quale procedura debba seguire, considerato
che la regolarizzazione dell’ordinazione fatta senza
impegno era prevista dal testo previgente dell’art.
191, comma 3, riformulato nel 2012.
La Sezione ritiene che il dubbio
afferisca alla sola ipotesi in cui il bilancio
presenti disponibilità sufficienti.
In presenza in bilancio di fondi
sufficienti (come definiti nel precedente
paragrafo), il RUP (o altro tecnico competente, ai
sensi dell’art. 176 del DPR n. 207/2010)
contestualmente all’ordinazione dei lavori, deve
procedere all’assunzione di impegno ed alla
richiesta di attestazione della relativa copertura
al responsabile del servizio economico e finanziario
(ex art. 153, comma 5, TUEL), comunicando i relativi
estremi al terzo appaltatore (tendendo conto che,
come prevede l’art. 191, comma 1, TUEL, fino alla
ricezione di tale comunicazione quest’ultimo può
rifiutarsi di eseguire la prestazione).
III. Con il terzo quesito il Comune
chiede, ove sussista somma urgenza e vi sia un fondo
specificamente disponibile, se spetti al RUP
procedere tempestivamente ad assumere il relativo
impegno (con propria determinazione) oppure possa
farlo solo dopo l’atto deliberativo della Giunta (di
autorizzazione). In alternativa, il Sindaco chiede
se debba essere la Giunta stessa ad assumere
l’impegno.
E' possibile precisare che, ove le
risorse presenti sul pertinente intervento di
bilancio assegnato al responsabile del servizio
siano capienti, spetta a quest’ultimo assumere
l’impegno di spesa (in aderenza alla previsione
generale posta dall’art. 183, comma 9, del TUEL),
cui accede, ai fini della regolarizzazione
necessaria per la corretta ordinazione della spesa,
l’attestazione della copertura da parte del
responsabile del servizio economico e finanziario.
L’assunzione dell’impegno da parte del RUP prescinde
in tale ipotesi, come esposto, dall’intervento di
una delibera di Giunta (o di Consiglio), essendo già
presenti e disponibili a bilancio i relativi fondi.
IV. Con il quarto quesito il Comune
chiede se la Giunta, nel caso in cui non ritenga
sussistente la somma urgenza dichiarata dal RUP o,
ancora, in caso di inerzia o ritardo del RUP per un
intervento da quest’ultimo non qualificato come di
somma urgenza, possa, avendo adeguato stanziamento,
regolarizzare l’ordinazione fatta a terzi. E, in
questo caso, quale procedura debba essere seguita.
La Giunta può compiere tutti gli
atti rientranti, ai sensi dell'articolo 107, commi 1
e 2, del TUEL nelle funzioni degli organi di
governo. Quest’ultima disposizione rimette a statuti
e regolamenti i criteri per la direzione degli
uffici e dei servizi
(atti di normazione secondaria che devono
uniformarsi al principio per cui i poteri di
indirizzo e di controllo politico-amministrativo
spettano agli organi di governo, mentre la gestione
amministrativa, finanziaria e tecnica è attribuita
ai dirigenti), specificando che
comunque spetta ai dirigenti l'adozione degli atti e
dei provvedimenti che impegnano l'amministrazione
verso l'esterno, non ricompresi espressamente dalla
legge o dallo statuto tra le funzioni di indirizzo e
controllo politico-amministrativo degli organi di
governo dell'ente.
Di conseguenza solo nel caso in cui
lo statuto dell’ente abbia rimesso alla Giunta,
nell’esercizio della funzione di controllo
amministrativo, la possibilità di ordinare lavori di
somma urgenza in caso di inerzia o ritardo da parte
del competente responsabile del procedimento,
quest’ultima può esercitare (in via sostitutiva)
tale potere, seguendo per il resto la procedura
prevista dagli artt. 191 e 194 del TUEL (che, come
visto, va distinta secondo vi sia o meno capienza
nelle disponibilità di bilancio).
Naturalmente, in caso di ingiustificata inerzia o
ritardo da parte del RUP, potranno essere avviate
nei suoi confronti le ordinarie procedure di
responsabilità (penale, amministrativa,
disciplinare, dirigenziale).
V. Con il quinto quesito il Sindaco
chiede se, nel caso in cui sia superato il termine
di venti giorni, dato alla Giunta dall’art. 191,
comma 3, TUEL, si debba sempre procedere ad
applicare la procedura del riconoscimento dei debiti
fuori bilancio ex art. 194, comma 1, lett. e), TUEL.
La novella legislativa pone un preciso obbligo di
attivazione da parte della Giunta nel caso in cui, a
fronte dell’ordinazione dei lavori a terzi
effettuata dal RUP per rimuovere lo stato di
pregiudizio alla pubblica incolumità, i fondi
specificamente previsti in bilancio si dimostrino
insufficienti.
In questo caso, entro venti giorni dalla predetta
ordinazione, deve sottoporre al Consiglio il
provvedimento di riconoscimento della spesa con le
modalità previste dall'articolo 194, comma 1,
lettera e), TUEL, prevedendo la relativa copertura
finanziaria.
Nel caso in cui la Giunta non vi
provveda, l’art. 176, comma 5, del DPR n. 207/2010
impone, come già esposto, per il caso in cui
un'opera o un lavoro intrapreso per motivi di somma
urgenza non riporti l'approvazione del competente
organo della stazione appaltante, la liquidazione
delle spese relative alla sola parte dell'opera o
dei lavori realizzati.
In questo caso,
inoltre, sulla scorta della regola di carattere
generale posta dall’art. 194, comma 1, lett. e), il
Consiglio, ove investito della
procedura, deve mantenere responsabile della spesa
(ex art. 191, comma 4, TUEL) il solo funzionario
ordinatore ove ritenga assenti i presupposti per
l’ordinario riconoscimento di debito (utilità della
quota parte dei lavori effettuati e conseguente
arricchimento per l’ente locale).
VI. Con l’ultimo quesito il Sindaco
chiede se, nel caso di esercizio provvisorio,
concesso ai sensi dell’art. 163, comma 3, del TUEL,
sussistano limiti all’applicazione degli artt. 191,
comma 3, e 194 del TUEL.
Il dettato legislativo non pone
limiti all’applicazione degli artt. 191, comma 3, e
194 del TUEL in caso di esercizio provvisorio, se
non quelli esplicitati dal medesimo articolo 163,
comma 3, alcuni dei quali fissati in maniera
puntuale (misura non superiore mensilmente ad un
dodicesimo delle somme previste nel bilancio, salvo
le spese tassativamente regolate dalla legge), altri
suscettibili di margini di autonoma valutazione da
pare dei competenti organi dell’ente locale (le
spese non suscettibili di pagamento frazionato in
dodicesimi, fra le quali possono rientrare, valutate
le circostanze del caso concreto, quelle ordinate
per far fronte a lavori di somma urgenza).
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Il Sindaco del Comune di Arcola ha formulato una
richiesta di parere avente ad oggetto la corretta
interpretazione del nuovo testo dell’art. 191, comma
3, del TUEL, come sostituito dall’art. 3, comma 1,
lett. i), del d.l. n. 174/2012, convertito con legge
n. 213/2012.
Nello specifico evidenzia come l’inciso “qualora
i fondi specificamente previsti in bilancio si
dimostrino insufficienti”, contenuto nella
predetta norma, determina l’applicazione della
procedura del riconoscimento dei debiti fuori
bilancio nel caso specifico di assenza o
insufficienza di fondi, ma nulla dispone nel caso in
cui in bilancio vi siano i fondi previsti e con
sufficiente disponibilità. Sulla base di tale
premessa, il Sindaco pone vari quesiti, distinti
sostanzialmente in tre gruppi.
A) Il primo
si compone di due quesiti, con i quali chiede:
1) quando la Giunta possa ritenere sussistenti i predetti fondi,
se nel caso in cui esista in bilancio una voce di
spesa avente ad oggetto specificamente lavori di
somma urgenza oppure anche solo un capitolo di spesa
avente oggetto conforme alla natura dei lavori
eseguiti in somma urgenza;
2) quale procedura debba essere seguita, considerato che la
regolarizzazione dell’ordinazione fatta senza
impegno era prevista dal testo previgente dell’art.
191, comma 3, del TUEL, ora sostituito.
B) Il secondo gruppo
di quesiti attiene al coordinamento fra gli artt.
191-194 TUEL e l’art. 176 del DPR n. 207/2010
(Regolamento di esecuzione ed attuazione del d.lgs.
n. 163/2006, recante Codice dei contratti pubblici
relativi a lavori, servizi e forniture) che prevede
l’obbligo di trasmissione alla stazione appaltante,
da parte del responsabile del procedimento o del
tecnico, della relazione di somma urgenza, insieme
ad una perizia giustificativa, entro dieci giorni
dall’ordine di eseguire i lavori. In particolare
tale gruppo si suddivide in tre quesiti:
3) ove sussista somma urgenza e vi sia un fondo specificamente
disponibile con sufficiente capienza, se spetti al
RUP procedere ad assumere il relativo impegno con
propria determinazione oppure possa farlo solo dopo
l’atto deliberativo della Giunta che lo autorizzi in
tal senso. In alternativa, se debba essere la Giunta
stessa ad assumere l’impegno;
4) se la Giunta, nel caso in cui non ritenga sussistente la
somma urgenza dichiarata dal RUP o, anche, in caso
di inerzia o ritardo per un intervento non
qualificato dal RUP medesimo come di somma urgenza,
possa, avendo adeguato stanziamento, regolarizzare
l’ordinazione fatta a terzi, e quale sia la
procedura da seguire;
5) se, nel caso in cui sia superato il termine di venti giorni
dato alla Giunta dall’art. 191, comma 3, del TUEL,
si debba sempre procedere ad applicare la procedura
del riconoscimento dei debiti fuori bilancio ai
sensi del successivo art. 194, comma 1, lett. e).
C) Il terzo gruppo
si sostanzia, infine, in un solo quesito, con il
quale il Sindaco chiede:
6) se, nel caso di esercizio provvisorio, concesso ai sensi
dell’art. 163, comma 3, del TUEL, sussistano limiti
all’applicazione degli artt. 191, comma 3, e 194 del
TUEL.
...
Al fine di analizzare i quesiti avanzati dal Comune,
appare opportuna una breve premessa di carattere
generale.
Occorre ricordare, infatti, come l’art. 191, comma
1, del TUEL, “Regole per l'assunzione di impegni
e per l'effettuazione di spese”, dispone che gli
enti locali possono effettuare spese solo se
sussiste l'impegno contabile registrato sul
competente intervento o capitolo del bilancio di
previsione e l'attestazione della copertura
finanziaria da parte del responsabile del servizio
economico e finanziario (art. 153, comma 5, TUEL).
Il medesimo comma dispone, altresì, che il
responsabile del servizio, conseguita l'esecutività
del provvedimento di spesa, comunichi al terzo
interessato l'impegno e la copertura finanziaria,
contestualmente all'ordinazione della prestazione,
con l'avvertenza che la successiva fattura deve
essere completata con gli estremi della suddetta
comunicazione. Il terzo interessato, in mancanza
della comunicazione, ha facoltà di non eseguire la
prestazione sino a quando i dati non gli vengano
comunicati.
Il successivo comma 4 dell’art. 191 TUEL introduce
poi specifica sanzione per il caso in cui vi sia
stata l'acquisizione di beni e servizi in violazione
degli obblighi indicati nel comma 1 (oltre che nei
commi 2 e 3, di seguito esaminati) disponendo che il
rapporto obbligatorio intercorra, ai fini della
controprestazione (per la parte non riconoscibile ai
sensi del successivo articolo 194, comma 1, lettera
e), tra il privato fornitore e l'amministratore,
funzionario o dipendente che hanno consentito la
fornitura (per le esecuzioni reiterate o
continuative detto effetto si estende a coloro che
hanno reso possibili le singole prestazioni).
Lo scopo della norma è quello di proteggere il
bilancio degli enti locali dall’ordinazione di spese
in assenza della regolare assunzione di impegni e
della relativa copertura finanziaria. Tale tutela
opera non solo sul piano amministrativo, ma
soprattutto su quello civilistico, prevedendo la
norma che, in caso di sua violazione, gli effetti
del rapporto obbligatorio fra il funzionario
dell’ente e l’impresa privata rimangano a carico del
primo, senza riverberarsi sul patrimonio dell’ente.
Tutto ciò fatto salvo il caso in cui il Consiglio
(organo sovrano in materia di bilancio) riconosca
l’utilità delle prestazioni fornite e, nei limiti di
queste ultime, ritenga legittimo il debito assunto
riportandolo all’interno del bilancio dell’ente
(art. 194, comma 1, lett. e).
Il comma 3 dell’art. 191 del TUEL reca poi una
disciplina specifica per l’assunzione di impegni e
l’ordinazione di spese relativamente ai lavori di
somma urgenza.
Il testo del predetto comma, previgente alla
novella apportata dalla legge n. 213/2012,
disponeva che, per i lavori pubblici di somma
urgenza, cagionati dal verificarsi di un evento
eccezionale o imprevedibile, l'ordinazione fatta a
terzi fosse regolarizzata, a pena di decadenza,
entro trenta giorni (e comunque entro il 31 dicembre
dell'anno in corso se a tale data non era scaduto il
predetto termine). Il medesimo testo prevedeva che
la comunicazione al terzo interessato fosse data
contestualmente alla regolarizzazione.
In sostanza, alla luce della particolare tipologia
di spesa (lavoro di somma urgenza), la norma
prevedeva la possibilità di regolarizzare
l’ordinazione effettuata dal RUP (o da altro tecnico
legittimato dalle norme in materia di lavori
pubblici), ossia di assumere l’impegno sul
pertinente capitolo di bilancio e acquisire
l’attestazione della copertura finanziaria da parte
del servizio economico e finanziario, entro 30
giorni. Disponeva, inoltre, che la comunicazione al
terzo fornitore (che, ai sensi del primo comma,
nelle altre fattispecie di spesa viene effettuata
contestualmente all’ordinazione) venisse invece
effettuata contestualmente alla regolarizzazione
(una volta assunto l’atto di impegno e
l’attestazione della copertura finanziaria).
Tale discrasia temporale fra l’ordinazione dei
lavori (che abilita il terzo appaltatore
all’esecuzione) e la comunicazione della
regolarizzazione (che consolida il rapporto
obbligatorio fra l’ente e il terzo appaltatore)
risultava del resto conforme alla disciplina
generale dettata in tema di esecuzione di lavori di
somma urgenza. L’art. 176, comma 5, del DPR n.
207/2010 (Regolamento di esecuzione del codice dei
contratti pubblici, d.lgs. n. 163/2006) dispone,
infatti, che qualora un'opera o un lavoro intrapreso
per motivi di somma urgenza non riporti
l'approvazione del competente organo della stazione
appaltante (per quanto concerne gli enti locali
concretantesi nella regolarizzazione prevista
dall’art. 191, comma 3, del TUEL), si procede alla
liquidazione delle sole spese relative alla parte
dell'opera o dei lavori realizzati (nel caso di
specie, l’effetto sul bilancio dell’ente locale
discende da apposita previsione normativa).
Il nuovo testo dell’art. 191, comma 3, del d.lgs.
n. 267/2000, come sostituito dall’art. 3, comma 1,
lett. i), del d.l. n. 174/2012, convertito con legge
n. 213/2012, specifica l’ambito applicativo
della disposizione rispetto alla previgente
formulazione, prevedendo che, per i lavori pubblici
di somma urgenza, la Giunta, qualora i fondi
specificamente previsti in bilancio si dimostrino
insufficienti, entro venti giorni dall'ordinazione
fatta a terzi, su proposta del responsabile del
procedimento, sottoponga al Consiglio il
provvedimento di riconoscimento della spesa con le
modalità previste dall'articolo 194, comma 1,
lettera e), prevedendo la relativa copertura
finanziaria nei limiti delle accertate necessità per
la rimozione dello stato di pregiudizio alla
pubblica incolumità.
Il comma prosegue precisando che il provvedimento di
riconoscimento sia adottato dal Consiglio entro 30
giorni dalla data di deliberazione della proposta da
parte della Giunta (e comunque entro il 31/12
dell'anno in corso se a tale data non sia scaduto il
predetto termine).
Infine, circa la comunicazione al terzo interessato,
la norma dispone che sia data contestualmente
all'adozione della deliberazione consiliare.
La novella legislativa ha disciplinato in maniera
specifica l’ipotesi (abbastanza ricorrente) in cui,
a fronte della necessità di ordinare lavori di somma
urgenza per prevenire il rischio di pericoli o
riparare il danno per l‘incolumità pubblica, i fondi
specificamente previsti in bilancio si dimostrino
insufficienti.
Mentre la formulazione originaria del comma non
distingueva le due ipotesi, lasciando nell’ombra la
disciplina da adottare nel caso in cui i fondi di
bilancio fossero incapienti, la nuova norma si
occupa proprio di tale ipotesi. Per quanto concerne,
invece, la fattispecie dell’ordinazione di lavori di
somma urgenza in presenza di adeguati fondi nel
bilancio, in assenza di specifica previsione
normativa, si deve ritenere che la fattispecie sia
regolata dalla disciplina generale in tema di
impegni e ordinazione di spesa (artt. 191, commi 1 e
4, e 194 TUEL) in combinato disposto con quella,
richiamata anche dal Comune istante, prevista nel
Regolamento attuativo del codice dei contratti
pubblici (art. 176 DPR n. 207/2010).
Il procedimento prefigurato dal legislatore nel
novellato art. 191, comma 3, del TUEL si sviluppa
secondo un iter che vede il RUP (o altro tecnico
abilitato), alla ricorrenza dei presupposti previsti
dalla legge (cfr. art. 176 DPR n. 207/2010),
ordinare al privato appaltatore l’esecuzione di
lavori di somma urgenza.
In questo caso, solo ove i fondi di bilancio si
rivelino insufficienti a coprire le relative spese
(come da accertamento condotto, ex art. 153 e 191
TUEL, dal responsabile del procedimento e dal
responsabile del servizio economico e finanziario),
la Giunta, entro 20 giorni dall’ordinazione dei
lavori, deve sottoporre al Consiglio una proposta di
riconoscimento della spesa ai sensi dell’art. 194,
comma 1, lett. e (norma che, come noto, disciplina
il riconoscimento dell’acquisizione di beni e
servizi, in violazione degli obblighi posti dai
commi 1, 2 e 3 dell'articolo 191, in presenza di
dimostrata utilità ed arricchimento per l'ente)
prevedendo la relativa copertura finanziaria nei
limiti delle accertate necessità per la rimozione
dello stato di pregiudizio alla pubblica incolumità.
La norma, in sostanza, in assenza di adeguati
stanziamenti a bilancio, rimette al Consiglio,
organo sovrano in materia, la responsabilità di
verificare la necessità della spesa ordinata per la
rimozione dello stato di pregiudizio alla pubblica
incolumità e di approvare la relativa copertura
finanziaria proposta dalla Giunta (utilizzando le
risorse previste dall’art. 193, comma 3, e 194,
comma 3, del TUEL).
Nel caso in cui il Consiglio, invece, non provveda
al predetto riconoscimento, troverà applicazione il
citato art. 176, comma 5, del DPR n. 207/2010
(liquidazione al terzo appaltatore delle spese
relative alla parte dell'opera o dei lavori
realizzati). Queste ultime, inoltre, potrebbero
rimanere a carico del solo funzionario ordinatore in
assenza del riconoscimento, da parte del Consiglio
(ai sensi dell’ordinaria regola posta dall’art. 194,
comma 1, lett. e, del TUEL) dell’utilità di tale
quota parte di lavori e del conseguente
arricchimento per l’ente locale.
Effettuato tale sommaria illustrazione della
disciplina legislativa, è possibile procedere
all’esame specifico dei quesiti posti dal Comune.
I. Con il primo quesito, premesso che
l’inciso del comma 3 dell’art. 191 TUEL (“qualora
i fondi specificamente previsti in bilancio si
dimostrino insufficienti”) determina
l’applicazione della procedura di riconoscimento dei
debiti fuori bilancio nel caso di assenza o
insufficienza di fondi, ma nulla dispone nel caso in
cui in bilancio vi siano risorse sufficienti, il
Sindaco chiede quando la Giunta possa ritenere
sussistenti i predetti fondi. In particolare solo
nel caso in cui esista in bilancio una voce di spesa
avente ad oggetto specificamente somme urgenze
oppure anche in presenza di un capitolo di spesa
avente un oggetto conforme alla natura dei lavori
eseguiti in somma urgenza.
Sotto tale profilo va richiamata la normativa in
materia di struttura del bilancio e di competenza
alla relativa approvazione. L’art. 165 TUEL prevede,
al comma 5, che la spesa del bilancio degli enti
locali sia ordinata gradualmente in titoli,
funzioni, servizi ed interventi (in relazione,
rispettivamente, ai principali aggregati economici,
alle funzioni degli enti, ai singoli uffici che
gestiscono un complesso di attività ed alla natura
economica dei fattori produttivi nell'ambito di
ciascun servizio).
L’art. 165, comma 8, del TUEL dispone poi che a
ciascun servizio sia correlato un reparto
organizzativo, composto da persone e mezzi, cui è
preposto un responsabile e, a tale servizio, ai
sensi del successivo comma 9, è affidato, col
bilancio di previsione, un complesso di mezzi
finanziari (specificati negli interventi assegnati)
del quale risponde il responsabile del servizio (nel
caso di specie del servizio tecnico o di altro
competente all’ordinazione di lavori di somma
urgenza).
L’art. 169 TUEL dispone inoltre che, sulla base
dell’annuale bilancio di previsione, deliberato dal
Consiglio, l'organo esecutivo (Giunta) definisca il
piano esecutivo di gestione, determinando gli
obiettivi ed affidando gli stessi, unitamente alle
dotazioni necessarie, ai responsabili dei servizi.
Il piano esecutivo di gestione contiene inoltre
un’ulteriore graduazione, per quanto concerne la
spesa, degli interventi in capitoli.
Il bilancio, approvato sino al livello degli “interventi”
dal Consiglio comunale, è variabile dal medesimo
organo (e, in tal senso, dispone l’art. 175, comma
2, del TUEL), mentre le variazioni al piano
esecutivo di gestione sono di competenza della
Giunta (sempre simmetricamente alla competenza
all’approvazione, cfr. art. 169 TUEL).
La medesima strutturazione del bilancio è fatta
propria nel DPR n. 194/1996 (e allegati schemi di
bilancio).
Alla luce di quanto esposto, la
valutazione della sufficienza o meno dei fondi per
l’esecuzione di lavori di somma urgenza dipende
dalla strutturazione del singolo bilancio, come
approvato dal Consiglio comunale e specificato, con
il piano esecutivo di gestione, dalla Giunta.
Pertanto il responsabile del procedimento,
competente all’ordinazione dei lavori (ex art. 176
DPR n. 207/2010), deve valutare (assieme al
responsabile del servizio economico e finanziario,
ex art. 153, comma 5, TUEL) la presenza di risorse
sufficienti negli interventi a lui assegnati o, se
necessario, promuovere la variazione del piano
esecutivo di gestione da parte della Giunta (ex art.
169 TUEL).
Nel caso in cui invece non vi siano nei capitoli o
interventi assegnati sufficienti risorse, per
reperirne di ulteriori, il responsabile del
servizio, ai sensi dell’art. 191, comma 3, del TUEL
deve proporre alla Giunta di investire della
competenza il Consiglio in aderenza ai principi
generali
(specificati, per il caso di specie dei lavori di
somma urgenza, dal novellato art. 191, comma 3).
II. Con il secondo quesito il Comune chiede
quale procedura debba seguire, considerato che la
regolarizzazione dell’ordinazione fatta senza
impegno era prevista dal testo previgente dell’art.
191, comma 3, riformulato nel 2012.
Pur rilevando la mancata chiarezza del quesito
proposto, la Sezione ritiene che il
dubbio afferisca alla sola ipotesi in cui il
bilancio presenti disponibilità sufficienti.
Si tratta di una delle due fattispecie, non
esplicitate, presenti nell’originaria formulazione
del comma 3 dell’art. 191 TUEL (che, come visto, per
l’ordinazione di lavori di somma urgenza imponeva la
regolarizzazione entro trenta giorni, con
comunicazione contestuale al terzo interessato degli
estremi di impegno e attestazione di copertura
finanziaria).
Il dubbio posto dal Comune può essere risolto
applicando i principi di carattere generale, quali
esplicitati dal comma 1 dell’art. 191 TUEL (di cui
il comma 3 non è altro che una specificazione).
In presenza in bilancio di fondi sufficienti
(come definiti nel precedente paragrafo), il RUP (o
altro tecnico competente, ai sensi dell’art. 176 del
DPR n. 207/2010) contestualmente all’ordinazione dei
lavori, deve procedere all’assunzione di impegno ed
alla richiesta di attestazione della relativa
copertura al responsabile del servizio economico e
finanziario (ex art. 153, comma 5, TUEL),
comunicando i relativi estremi al terzo appaltatore
(tendendo conto che, come prevede l’art. 191 comma
1, TUEL, fino alla ricezione di tale comunicazione
quest’ultimo può rifiutarsi di eseguire la
prestazione).
III. Come accennato, il secondo gruppo di quesiti attiene al
coordinamento fra gli artt. 191 e 194 TUEL e l’art.
176 del DPR n. 207/2010, che prevede l’obbligo di
trasmissione alla stazione appaltante, da parte del
responsabile del procedimento o di altro tecnico
competente, della relazione di somma urgenza,
insieme alla perizia giustificativa, entro dieci
giorni dall’ordine di eseguire i lavori.
In particolare, con il terzo quesito
il Comune chiede, ove sussista somma urgenza
e vi sia un fondo specificamente disponibile, se
spetti al RUP procedere tempestivamente ad assumere
il relativo impegno (con propria determinazione)
oppure possa farlo solo dopo l’atto deliberativo
della Giunta (di autorizzazione). In alternativa, il
Sindaco chiede se debba essere la Giunta stessa ad
assumere l’impegno.
Sulla scorta di quanto sinora esposto, è possibile
precisare che, ove le risorse
presenti sul pertinente intervento di bilancio
assegnato al responsabile del servizio siano
capienti, spetta a quest’ultimo assumere l’impegno
di spesa (in aderenza alla previsione generale posta
dall’art. 183, comma 9, del TUEL), cui accede, ai
fini della regolarizzazione necessaria per la
corretta ordinazione della spesa, l’attestazione
della copertura da parte del responsabile del
servizio economico e finanziario.
L’assunzione dell’impegno da parte del RUP prescinde
in tale ipotesi, come esposto, dall’intervento di
una delibera di Giunta (o di Consiglio), essendo già
presenti e disponibili a bilancio i relativi fondi.
IV. Con il quarto quesito il Comune chiede
se la Giunta, nel caso in cui non ritenga
sussistente la somma urgenza dichiarata dal RUP o,
ancora, in caso di inerzia o ritardo del RUP per un
intervento da quest’ultimo non qualificato come di
somma urgenza, possa, avendo adeguato stanziamento,
regolarizzare l’ordinazione fatta a terzi. E, in
questo caso, quale procedura debba essere seguita.
In proposito vanno richiamate le regole procedurali
previste dall’art. 176 del DPR n. 207/2010 che
rimettono al “soggetto fra il
responsabile del procedimento e il tecnico che si
reca prima sul luogo” il potere di disporre
(contemporaneamente alla redazione del verbale di
cui al precedente art. 175) l’immediata esecuzione
dei lavori entro il limite di 200.000 euro o
comunque di quanto indispensabile per rimuovere lo
stato di pregiudizio alla pubblica incolumità.
Allo stesso modo l’art. 191, comma
3, del TUEL
(sia nella formulazione attuale che in quella
precedente) rimette l’iniziativa
dell’ordinazione dei lavori e dell’avvio
dell’eventuale procedura di regolarizzazione al
responsabile del procedimento, alla luce della
natura prettamente tecnica della relativa
valutazione (si ricorda, per inciso, che ai sensi
dell’art. 9 del DPR n. 207/2010, il responsabile del
procedimento nelle procedure di realizzazione di
lavori pubblici deve essere un tecnico, di regola
abilitato all’esercizio della professione).
La ripartizione appare in linea con l’attribuzione
delle competenze spettanti agli organi politici
rispetto a quelle dei dirigenti (o dei funzionari
negli enti in cui non è prevista la dirigenza),
delineata in linea generale dal d.lgs. n. 165/2011
e, nello specifico, dagli artt. 107 e 183 (definenti
le attribuzioni, amministrative e contabili, dei
dirigenti e dei responsabili dei servizi) e 48 del
TUEL (definente le competenze della Giunta).
Sotto tale ultimo profilo può ricordarsi
come la Giunta possa compiere tutti gli atti
rientranti, ai sensi dell'articolo 107, commi 1 e 2,
del TUEL nelle funzioni degli organi di governo.
Quest’ultima disposizione rimette a statuti e
regolamenti i criteri per la direzione degli uffici
e dei servizi
(atti di normazione secondaria che devono
uniformarsi al principio per cui i poteri di
indirizzo e di controllo politico-amministrativo
spettano agli organi di governo, mentre la gestione
amministrativa, finanziaria e tecnica è attribuita
ai dirigenti), specificando che
comunque spetta ai dirigenti l'adozione degli atti e
dei provvedimenti che impegnano l'amministrazione
verso l'esterno, non ricompresi espressamente dalla
legge o dallo statuto tra le funzioni di indirizzo e
controllo politico-amministrativo degli organi di
governo dell'ente
(sulla ripartizione di competenze fra dirigenti e
organi di governo dell’ente locale si rinvia a TAR
Puglia, Bari, n. 1131/2008; TAR Lazio, Roma, n.
1236/2012; TAR Campania, Napoli, n. 2610/2012).
Di conseguenza solo nel caso in cui
lo statuto dell’ente abbia rimesso alla Giunta,
nell’esercizio della funzione di controllo
amministrativo, la possibilità di ordinare lavori di
somma urgenza in caso di inerzia o ritardo da parte
del competente responsabile del procedimento,
quest’ultima può esercitare (in via sostitutiva)
tale potere, seguendo per il resto la procedura
prevista dagli artt. 191 e 194 del TUEL (che, come
visto, va distinta secondo vi sia o meno capienza
nelle disponibilità di bilancio).
Naturalmente, in caso di ingiustificata inerzia o
ritardo da parte del RUP, potranno essere avviate
nei suoi confronti le ordinarie procedure di
responsabilità (penale, amministrativa,
disciplinare, dirigenziale).
V. Con il quinto quesito il Sindaco chiede
se, nel caso in cui sia superato il termine di venti
giorni, dato alla Giunta dall’art. 191, comma 3,
TUEL, si debba sempre procedere ad applicare la
procedura del riconoscimento dei debiti fuori
bilancio ex art. 194, comma 1, lett. e), TUEL.
La novella legislativa pone un preciso obbligo di
attivazione da parte della Giunta nel caso in cui, a
fronte dell’ordinazione dei lavori a terzi
effettuata dal RUP per rimuovere lo stato di
pregiudizio alla pubblica incolumità, i fondi
specificamente previsti in bilancio si dimostrino
insufficienti. In questo caso, entro venti giorni
dalla predetta ordinazione, deve sottoporre al
Consiglio il provvedimento di riconoscimento della
spesa con le modalità previste dall'articolo 194,
comma 1, lettera e), TUEL, prevedendo la relativa
copertura finanziaria.
Nel caso in cui la Giunta non vi
provveda, l’art. 176, comma 5, del DPR n. 207/2010
impone, come già esposto, per il caso in cui
un'opera o un lavoro intrapreso per motivi di somma
urgenza non riporti l'approvazione del competente
organo della stazione appaltante, la liquidazione
delle spese relative alla sola parte dell'opera o
dei lavori realizzati.
In questo caso,
inoltre, sulla scorta della regola di carattere
generale posta dall’art. 194, comma 1, lett. e), il
Consiglio, ove investito della
procedura, deve mantenere responsabile della spesa
(ex art. 191, comma 4, TUEL) il solo funzionario
ordinatore ove ritenga assenti i presupposti per
l’ordinario riconoscimento di debito (utilità della
quota parte dei lavori effettuati e conseguente
arricchimento per l’ente locale).
VI. Con l’ultimo quesito il Sindaco chiede
se, nel caso di esercizio provvisorio, concesso ai
sensi dell’art. 163, comma 3, del TUEL, sussistano
limiti all’applicazione degli artt. 191, comma 3, e
194 del TUEL.
Il richiamato art. 163, comma 3, del TUEL dispone
che, ove la scadenza del termine per la
deliberazione del bilancio di previsione sia stata
fissata da norme statali in un periodo successivo
all'inizio dell'esercizio finanziario di riferimento
(come usualmente ormai da tempo avviene; da ultimo
il DM Interno del 29/04/2014 ha prorogato la
scadenza per la presentazione del bilancio di
previsione per il 2014 al 31/07/2014), l'esercizio
provvisorio si intende automaticamente autorizzato
sino a tale termine. In questo caso si applicano le
modalità di gestione previste dal comma 1 della
medesima norma, intendendosi come riferimento
l'ultimo bilancio definitivamente approvato.
Il predetto comma 1 dispone che, in caso di
esercizio provvisorio, gli enti locali possano
effettuare, per ciascun intervento, spese in misura
non superiore mensilmente ad un dodicesimo delle
somme previste nel bilancio, con esclusione di
quelle tassativamente regolate dalla legge o non
suscettibili di pagamento frazionato in dodicesimi.
Il dettato legislativo non pone
limiti all’applicazione degli artt. 191, comma 3, e
194 del TUEL in caso di esercizio provvisorio, se
non quelli esplicitati dal medesimo articolo 163,
comma 3, alcuni dei quali fissati in maniera
puntuale (misura non superiore mensilmente ad un
dodicesimo delle somme previste nel bilancio, salvo
le spese tassativamente regolate dalla legge), altri
suscettibili di margini di autonoma valutazione da
pare dei competenti organi dell’ente locale (le
spese non suscettibili di pagamento frazionato in
dodicesimi, fra le quali possono rientrare, valutate
le circostanze del caso concreto, quelle ordinate
per far fronte a lavori di somma urgenza)
(Corte dei Conti, Sez. controllo Liguria,
parere 09.05.2014 n. 31). |
APPALTI:
Sull'esercizio del potere sanzionatorio da parte
dell'Autorità per la Vigilanza sui Contratti Pubblici di
Lavori, Servizi e Forniture (Avcp) .
L'esercizio del potere sanzionatorio da parte dell' Autorità
per la Vigilanza sui Contratti Pubblici di Lavori, Servizi e
Forniture (Avcp) deve riguardare per essere giustificato sul
piano della razionalità e della ragionevolezza, un
comportamento più grave ed ulteriore rispetto al mancato
possesso dei requisiti o alla falsa attestazione degli
stessi, che espone già l'operatore economico partecipante
alla gara all'esclusione dalla stessa e all'escussione della
cauzione provvisoria.
In effetti, l'ordinamento attribuisce all'Autorità di
Vigilanza il potere sanzionatorio, in particolare quello di
irrogare la sanzione pecuniaria, nel caso in cui vengano
rese informazioni non veritiere o forniti documenti non
veritieri, qualora a detta falsità corrisponda una "lacuna
sostanziale", ossia l'effettiva mancanza del requisito
falsamente dichiarato esistente.
Proprio la diversità dei presupposti del potere
sanzionatorio della stazione appaltante ex art. 48 del
d.lgs. n. 163 del 2006 e dell'Avcp ex art. 6, comma 11, del
medesimo testo legislativo comporta che l'archiviazione del
procedimento dinnanzi alla'Autorità di vigilanza non
comporta l'illegittimità delle sanzioni irrogate dalla
stazione appaltante (TAR Abruzzo-L'Aquila,
sentenza 02.05.2014 n. 404 - link a
www.dirittodeiservizipubblici.it). |
aprile 2014 |
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LAVORI PUBBLICI: Cds e requisiti.
Gare, ok avvalimento parziale.
Legittimo l'avvalimento parziale dei requisiti anche nelle
gare di lavori pubblici.
In attesa dell'adeguamento
normativo previsto nella legge europea 2013-bis, per il
Consiglio di Stato non c'è più dubbio alcuno che possa
essere ammesso l'avvalimento parziale dei requisiti nelle
gare di lavori pubblici e in tal senso è perentorio il
contenuto della
sentenza 28.04.2014 n. 2200 della V Sez..
In primo grado il Tar Calabria (sent.
868/2013) aveva invece riconosciuto la carenza, in capo
all'aggiudicataria, della qualificazione nella categoria
OG11, classifica III, e non aveva ammesso ai sensi dell'art.
61, dpr 207/2010, l'aumento del quinto in favore
dell'impresa ausiliaria (in possesso del requisito di
categoria OG 11, classifica II), ostandovi il divieto di
frazionamento dei requisiti di qualificazione tra l'impresa
ausiliaria e quella ausiliata.
Per il Cds, invece, dopo la
sentenza della Corte di giustizia Ue, 10/10/2013, n.
C-94/12, «deve ritenersi definitivamente superata la tesi
che vieta l'uso dell'avvalimento per conseguire il
cosiddetto “cumulo parziale dei requisiti”; la Corte di
Giustizia, infatti, ha considerato del tutto legittimo che
le capacità di terzi soggetti ausiliari (uno o più d'uno),
si aggiungano alle capacità del concorrente, al fine di
soddisfare –attraverso il cumulo di referenze singolarmente
insufficienti– il livello minimo di qualificazione
prescritto dalla stazione appaltante nella legge di gara».
Va considerato che nel frattempo lo stesso Cds (cfr. sez. V,
09.12.2013, n. 5874) aveva già accolto le indicazioni
europee. Appare quindi ormai consolidato e certo
l'orientamento del Consiglio di Stato teso a recepire i
contenuti della sentenza europea e quindi ad affermare il
riconoscimento del diritto al cumulo dei requisiti
all'interno della medesima categoria con il corollario
dell'aumento del quinto.
Va peraltro considerato che anche il legislatore si sta
adeguando: con un emendamento al disegno di legge europea
2013-bis è stata prevista la sostituzione del comma 6
dell'articolo 49 del Codice dei contratti pubblici al fine
di eliminare il divieto di ricorrere a più di una impresa
ausiliaria per lavori compresi nella stessa categoria di
qualificazione
(articolo ItaliaOggi del 16.05.2014
- tratto da www.centrostudicni.it). |
APPALTI:
L'art. 84, c. 4, D.Lgs. 12.04.2006 n. 163,
esprime una regula iuris di portata generale volta a dare
concreta attuazione ai principi di imparzialità e di buona
amministrazione contenuti dall'art. 97 della Costituzione
---------------
La previsione di legge di cui all'art. 84, c. 4 previene il
pericolo concreto di possibili effetti distorsivi prodotti
dalla partecipazione alle commissioni giudicatrici di
soggetti che siano intervenuti a diverso titolo nella
procedura concorsuale.
L'art. 84, c. 4, D.Lgs. 12.04.2006 n. 163, prevede che nella
gare da aggiudicare con il criterio dell'offerta
economicamente più vantaggiosa, "i commissari diversi dal
Presidente non devono aver svolto né possono svolgere
alcun'altra funzione o incarico tecnico o amministrativo
relativamente al contratto del cui affidamento si tratta".
Alla stregua di un consolidato insegnamento
giurisprudenziale, il dettato di cui al 4° c. dell'art. 84
D.Lgs. 12.04.2006 n. 163 esprime una regula iuris di
portata generale volta a dare concreta attuazione ai
principi di imparzialità e di buona amministrazione
contenuti dall'art. 97 della Costituzione.
La norma esprime la necessità di conciliare i principi di
economicità, di semplificazione e di snellimento dell'azione
amministrativa con quelli di trasparenza, efficacia ed
adeguatezza, regolando la scelta dei componenti delle
commissioni di cui è demandata l'individuazione dell'offerta
economicamente più vantaggiosa in guisa da depotenziare
profili di incidenza negativa sulla trasparenza e sull'
imparzialità della commissione giudicatrice.
---------------
L'Adunanza Plenaria con decisione 07.05.2013, n. 13 ha
ritenuto che l'art. 84, c. 4, d.lgs. 12.04.2006, n. 163,
risponde all'esigenza di rigida separazione della fase di
preparazione della documentazione di gara con quella di
valutazione delle offerte in essa presentate, a garanzia
della neutralità del giudizio ed in coerenza con la ratio
generalmente sottesa alle cause di incompatibilità dei
componenti degli organi amministrativi; è pertanto
incompatibile il componente della commissione giudicatrice
che era stato precedentemente incaricato della redazione del
bando e del disciplinare di gara.
La previsione di legge di cui all'art. 84, c. IV, è, in
definitiva, destinata a prevenire il pericolo concreto di
possibili effetti distorsivi prodotti dalla partecipazione
alle commissioni giudicatrici di soggetti (progettisti,
dirigenti che abbiano emanato atti del procedimento di gara
e così via) che siano intervenuti a diverso titolo nella
procedura concorsuale definendo i contenuti e le regole
della procedura. In base alla consolidata giurisprudenza
amministrativa, una volta accertata l'illegittimità
dell'azione della P.A., è a quest'ultima che spetta, al fine
di vincere una presunzione insita nell'illegittimità
dell'azione amministrativa, provare l'assenza di colpa
attraverso la deduzione di circostanze integranti gli
estremi del c.d. errore scusabile, ovvero l'inesigibilità di
una condotta alternativa lecita.
Nel caso di specie, nella valutazione del comportamento
dell'amministrazione rilevano, quali indici sintomatici di
una condotta colposa non vinti dalla deduzione di un errore
scusabile, il mancato rispetto dei principi in tema di
composizione della commissione e la violazione di una chiara
normativa di gara (Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 28.04.2014 n. 2191 - link a
www.dirittodeiservizipubblici.it). |
LAVORI PUBBLICI: Società
consortile e appalto.
Domanda
Gradirei qualche
delucidazione in merito all'interpello recente, presentato
dall'Ance al ministero del lavoro e delle politiche sociali,
concernente l'impresa affidataria dei lavori edili e una
società consortile.
La lettura della risposta ministeriale è abbastanza
complessa ed è opportuno che se ne chiariscano i contorni
per non cadere in errore. L'ho interpretata in un certo
verso ma gradirei la conferma da parte del vostro esperto.
Risposta
Nell'ordine,
rileggendo l'interpello (Ministero del lavoro delle
Politiche Sociali 27/03/2014), già nell'oggetto troviamo un
primo richiamo legislativo (art. 12, dlgs n. 81/2008). È la
premessa che autorizza anche l'organizzazione dei datori di
lavoro, soggetto comparativamente fra i più rappresentativi
sul piano nazionale (in questo caso l'Ance), a inoltrare
interpelli alla Commissione per gli interpelli Poi, nel
decreto si precisa che «impresa affidataria [è l']impresa
titolare del contratto di appalto con il committente che,
nell'esecuzione dell'opera appaltata, può avvalersi di
imprese subappaltatrici o di lavoratori autonomi...».
Il quesito specifico concerne l'individuazione dell'impresa
affidataria, nel caso di costituzione (dopo l'aggiudicazione
dell'appalto pubblico o privato) di una società consortile,
subentrante ma né «subappaltata» né cessionaria del
contratto, nell'esecuzione per l'attuazione unitaria dei
lavori; operazione consentita dall'art. 93 del dpr n.
207/2010 (Regolamento appalti). Alla società consortile
devono aderire «tutti i concorrenti riuniti, nella
medesima percentuale di partecipazione al raggruppamento».
La risposta dell'adita Commissione per gli interpelli
precisa che:
- la società consortile esecutrice dei lavori ha il potere
di subappaltarli, assumendo l'onere dei rapporti con i
terzi, mentre le singole imprese costituenti l'Ati sono
escluse dall'esecuzione diretta dei lavori;
- il contratto resta in capo all'Ati ma la gestione dei
lavori compete alla società consortile (articolo ItaliaOggi
Sette del
28.04.2014). |
EDILIZIA PRIVATA: In gara nonostante il concordato.
Avcp: in assenza del decreto di ammissione.
Le imprese di costruzioni che hanno fatto domanda di
concordato preventivo con continuità aziendale, ma ancora
non hanno ricevuto il decreto di ammissione, possono
partecipare alle gare, autorizzate dal tribunale, eseguire i
contratti e conseguire attestati Soa.
È quanto precisa l'Autorità per la vigilanza sui contratti
pubblici con la
determinazione
23.04.2014 n. 3 che segue il
comunicato n. 68 del 29.11.2011.
In particolare l'Autorità precisa che al di fuori dei
confini indicati dal citato articolo 186-bis, le imprese
sottoposte a concordato preventivo «ordinario» rientrano
nell'operatività della causa ostativa prevista dall'art. 38,
comma 1, lett. a), del Codice, con conseguente incapacità di
conseguire l'attestazione in forza del rinvio contenuto
nell'art. 78 del dpr n. 207/2010 ai requisiti di carattere
generale previsti per la partecipazione alle gare.
Invece per le imprese già qualificate, sottoposte a
concordato preventivo «ordinario», l'Autorità chiarisce che
sono soggette ai procedimenti di decadenza dell'attestazione
per sopravvenuta perdita del requisito di ammissione alla
gara di ordine generale. Inoltre la causa ostativa in caso
di concordato preventivo «ordinario» si precisa che decorre
dalla domanda di ammissione al concordato, e cessa con il
decreto di omologazione del concordato preventivo ai sensi
dell'articolo 180 della legge fallimentare.
La determina afferma inoltre che la presentazione della
domanda di ammissione al concordato preventivo con le
caratteristiche proprie del concordato «con continuità
aziendale», non comporta la decadenza dell'attestazione di
qualificazione, perché impedisce la risoluzione dei
contratti in corso e consente, previa autorizzazione del
Tribunale, la partecipazione alle procedure di affidamento
di contratti pubblici. Inoltre la domanda di ammissione non
impedisce la verifica triennale o il rinnovo (per le imprese
attestate) o il conseguimento dell'attestazione di
qualificazione (per le imprese non attestate).
Occorre però che la Soa proceda a monitorare lo svolgimento
della procedura concorsuale in atto e a verificare il
mantenimento del requisito con l'intervenuta ammissione al
concordato preventivo con continuità aziendale. Dopo
l'emissione del decreto di ammissione alla procedura di
concordato preventivo con continuità aziendale, le imprese,
dice la determina, possono dimostrare il possesso del
requisito di ordine generale precisando chele prescrizioni
di cui all'art. 186-bis, comma 5 l.f. sono espressamente
riferite alla sola fase di gara
(articolo ItaliaOggi del 20.05.2014
- tratto da www.centrostudicni.it).
---------------
Criteri interpretativi in ordine alle disposizioni
contenute nell’art. 38, comma 1, lett. a), del D. Lgs. n.
163/2006 afferenti alle procedure di concordato preventivo a
seguito dell’entrata in vigore dell’articolo 186-bis della
legge fallimentare (concordato con continuità aziendale).
L’art. 186-bis della legge
fallimentare, che disciplina il concordato preventivo con
continuità aziendale, prevede, tra l’altro, al ricorrere di
determinate condizioni, la prosecuzione dei contratti
stipulati con pubbliche amministrazioni. L’introduzione di
tale fattispecie ha comportato la modifica dell’articolo 38,
comma 1, lettera a), del D.Lgs. n. 163/2006, confermando tra
le cause di esclusione dalla partecipazione alle procedure
di affidamento l’assoggettamento dell’impresa ad una
procedura di concordato preventivo, ma facendo salvo il caso
del concordato preventivo con continuità aziendale.
Al di fuori dei confini indicati dall’articolo 186-bis,
della legge fallimentare, le imprese sottoposte a concordato
preventivo “ordinario” rientrano nell’operatività della
causa ostativa prevista dall’art. 38, comma 1, lett. a), del
D.Lgs. n. 163/2006, e non possono partecipare alle gare né
conseguire l’attestazione di qualificazione e, ove già
qualificate, sono soggette ai procedimenti ex art. 40, comma
9-ter del D.Lgs. n. 163/2006, di decadenza dell’attestazione
per sopravvenuta perdita del requisito di cui all’art. 38,
comma 1, lett. a), del medesimo D.Lgs. La causa ostativa
decorre dalla domanda di ammissione al concordato preventivo
“ordinario”, e cessa con il decreto di omologazione del
concordato preventivo ai sensi dell’articolo 180 della legge
fallimentare.
Il cd. “concordato in bianco”, riconosce al debitore la
facoltà di depositare, presso la cancelleria del Tribunale
competente, un ricorso per l'ammissione alla procedura di
concordato preventivo, riservandosi di produrre
successivamente, nel termine fissato con decreto dal
giudice, la proposta e il piano concordatario e i documenti
previsti dall'articolo 161, della legge fallimentare.
Detta fattispecie non risulta idonea a permettere la
prosecuzione dell’attività e costituisce causa ostativa per
la qualificazione nonché presupposto per la soggezione
dell’impresa al procedimento ex art. 40, comma 9-ter del
D.Lgs. n. 163/2006, per perdita del corrispondente
requisito. La presentazione della domanda di ammissione al
concordato preventivo con continuità aziendale, consente,
previa autorizzazione del Tribunale, la partecipazione alle
procedure di affidamento di contratti pubblici e non
comporta la decadenza dell’attestazione di qualificazione.
In tale ipotesi, la domanda di ammissione non costituisce
elemento ostativo ai fini della verifica triennale o del
rinnovo (per le imprese attestate) o del conseguimento
dell’attestazione di qualificazione (per le imprese non
attestate), fermo restando l’obbligo della SOA di monitorare
lo svolgimento della procedura concorsuale in atto e di
verificare il mantenimento del requisito con l’intervenuta
ammissione al concordato preventivo con continuità
aziendale. Successivamente al decreto di ammissione alla
procedura di concordato preventivo con continuità aziendale,
le imprese possono dimostrare il possesso del requisito di
cui all’art. 38, c. 1, lett. a), in sede di rilascio
dell’attestazione di qualificazione, con la precisazione che
le prescrizioni di cui all’art. 186-bis, comma 5, della L.F.
sono espressamente riferite alla sola fase di gara. |
APPALTI
FORNITURE E SERVIZI: Mini-enti, solo acquisti online.
Mercato elettronico anche se operano con strutture proprie.
La Corte conti Basilicata pone i paletti per
l'approvvigionamento di beni e servizi.
I comuni con meno di 5.000 abitanti sono tenuti a utilizzare
sistemi elettronici per gli acquisti sotto soglia
comunitaria, anche nel caso di amministrazione diretta.
L'obbligo generalizzato di cui all'art. 1, comma 450, legge
296/2006, è infatti ulteriore e autonomo rispetto a quanto
previsto dal novellato art. 33, co. 3-bis, dlgs 163/2006 in
materia di acquisizione centralizzata di beni e servizi.
È
questo il principale chiarimento fornito dalla Corte dei
conti, sezione regionale di controllo per la Basilicata,
nella
deliberazione 09.04.2014 n. 67, diffusa nei giorni
scorsi, che affronta nuovamente il tema dell'acquisto di
beni e servizi dopo le disposizioni introdotte nell'ambito
del dl 95/2012 spending review sul ricorso obbligato a
sistemi elettronici (es.
Mepa).
Per i comuni sotto i 5.000 abitanti, l'obbligo di mercato
elettronico si affianca a quello previsto dall'art. 33, co.
3-bis, del dlgs 163/2006, che prevede (con decorrenza
rinviata al 01.07.2014 per effetto del dl 150/2013 art.
3 comma 1-bis) l'acquisizione di lavori, beni e servizi
tramite unica centrale di committenza nell'ambito delle
Unioni o mediante apposito accordo consortile. In
alternativa, gli stessi enti possono effettuare i propri
acquisti attraverso gli strumenti elettronici gestiti da
altre centrali di committenza di riferimento o attraverso il Mepa.
Il mercato elettronico si configura, in tale contesto,
come modalità di acquisto accentrato alternativa e
obbligatoria, se e nella misura in cui lo sarà il ricorso
alle centrali di committenza. Tuttavia, l'art. 1, co. 343,
della legge n. 147/2013, ha escluso dalla sua applicazione
gli acquisti in economia mediante amministrazione diretta e
le ipotesi di affidamento diretto, per importi inferiori ai
40.000 euro. Da qui la richiesta di parere se la novella
abbia fatto venire meno l'obbligo, per detti comuni, di
acquistare servizi e forniture in economia, mediante
amministrazione diretta, sui mercati elettronici della p.a.
o altri strumenti elettronici di acquisto gestiti da altre
centrali di committenza di riferimento.
In realtà, la modifica normativa codifica un principio già
espresso dalla Corte dei conti: le forme di acquisizione che
non presuppongono l'espletamento di gare non rientrano
comunque nell'alveo dell'art. 33 co. 3-bis. In particolare,
l'amministrazione diretta esula dal Codice dei contratti, in
quanto ipotesi di «autoproduzione» o «in house»,
limitatamente ai casi in cui le acquisizioni avvengono
attraverso personale e mezzi propri dell'amministrazione.
Rientrano invece nell'ambito del Codice i casi in cui, per
l'esecuzione, si ricorre comunque all'esterno, avvalendosi
di mezzi appositamente acquisiti o noleggiati.
Con
riferimento quindi all'obbligo di ricorrere a centrali di
committenza e/o agli strumenti o mercati elettronici di
approvvigionamento di cui all'art. 33, co. 3-bis, se non sarà
possibile procedere ad affidamenti diretti ex art. 125, co. 8
e 11, si dovrà (una volta entrato in vigore l'obbligo)
procedere all'acquisto centralizzato; diversamente, si potrà
operare autonomamente. In ogni caso, però, per il disposto
dell'art. 1, co. 450, legge n. 296/2006, si dovrà
obbligatoriamente fare ricorso ai mercati elettronici e/o
agli strumenti telematici.
Per tutte le amministrazioni locali il ricorso al mercato
elettronico potrà essere escluso nelle sole residuali
ipotesi di non reperibilità ovvero inidoneità dei beni o
servizi rispetto alle necessità dell'ente o, privilegiando
un'interpretazione sistematica della disposizione, nel caso
in cui quel determinato bene o materiale sia reperibile
all'esterno a condizioni economiche migliorative, sempre
previa prudente istruttoria e valutazione e adeguata
motivazione della stessa nell'ambito della determinazione a
contrarre. In tutti gli altri casi, il mancato ricorso alle
modalità di acquisto prescritte comporta le conseguenze di
cui all'art. 1, co. 1, legge 135/2012, cioè la nullità del
contratto e le responsabilità a questo correlate.
Gli obblighi per i comuni in tema di acquisti non sono
comunque circoscritti agli enti con popolazione inferiore a
5.000 abitanti. Oltre alle disposizioni generali e ai
vincoli del dl 95/2012 art. 1 non possono passare
inosservate le norme del dl 101/2013 che all'art. 3-bis
impone di rivedere i contratti di servizio, con riduzione di
oneri, anche con le proprie aziende partecipate
(articolo ItaliaOggi del
18.04.2014).
---------------
Si ritiene che nel caso di acquisti in
economia, mediante amministrazione diretta, i Comuni con
popolazione inferiore a 5.000 abitanti non siano tenuti a
ricorrere agli strumenti e/o mercati elettronici di acquisto
previsti dal comma 3-bis dell’art. 33 del Dlgs 163/2006, e
ciò indipendentemente dalla novella di cui al comma 343
dell’art. 1 della legge 147/2013, in quanto tale fattispecie
è per sua stessa natura, ontologicamente estranea al portato
precettivo della norma in questione.
Diverso discorso deve essere fatto se tale sistema di
autoproduzione viene effettuato con il ricorso a mezzi e/o
materiali acquistati o noleggiati all’esterno.
In tale caso, trattandosi di veri e propri appalti, seppure
strumentali all’esecuzione dell’amministrazione diretta,
dovranno essere rispettati i precetti propri del settore,
ivi incluso l’obbligo di acquisto accentrato di cui al comma
3-bis dell’art 33 del Dlgs 163/2006 e, quindi, il ricorso
agli strumenti elettronici di approvvigionamento ivi
previsti, in alternativa al ricorso alle centrali uniche di
committenza.
Fermo quanto sopra, qualora sussistano i presupposti per
acquisire detti beni mediante affidamento diretto, ai sensi
del comma 11, seconda parte dell’art. 125 del Dlgs 163/2006,
il ricorso ai sopra citati strumenti telematici e/o mercati
elettronici di approvvigionamento:
a) non sarà più dovuto ai sensi del comma 3-bis dell’art. 33
del Dlgs 163/2006, in quanto fattispecie espressamente
derogata dalla novella del 2013;
b) ma sarà dovuto ai sensi del comma 450 della legge
296/2006, in quanto acquisti sotto soglia comunitaria e, per
tale motivo, attratti dal precetto in argomento.
Per l’effetto, detti enti (al pari di tutte le restanti
amministrazioni di cui all’art. 1 del Dlgs 165/2001),
dovranno acquistare i suddetti beni strumentali, mediante
ricorso al mercato elettronico della pubblica
amministrazione ovvero ad altri mercati elettronici
istituiti ai sensi del medesimo articolo 328 ovvero al
sistema telematico messo a disposizione dalla centrale
regionale di riferimento per lo svolgimento delle relative
procedure.
E ciò senza deroghe di sorta.
Uniche eccezioni, sono rappresentate dalle ipotesi residuali
di non reperibilità ovvero inidoneità dei beni o servizi
rispetto alle necessità dell’ente locale procedente, e ciò
previa prudente istruttoria e valutazione di tale evenienza
ed adeguata motivazione della stessa nell’ambito della
determinazione a contrarre (cfr. Corte Conti, sez. Marche,
n. 169/2012/PAR, ripresa ex plurimis da Sez. Lombardia n.
92/2013/PAR, Sez. Piemonte n. 211/2013/PAR), nonché,
privilegiando un’interpretazione sistematica dell’articolato
in questione, anche l’ipotesi in cui per quel determinato
bene o materiale siano reperibili, all’esterno del sistema
elettronico e/o telematico, condizioni economiche
migliorative.
Anche in tale caso, la circostanza dovrà essere
prudentemente valutata e motivata, e ciò anche alla luce dei
principi e delle prescrizioni in tema di sana gestione
finanziaria e buon andamento della pubblica amministrazione,
in termini di efficienza, efficacia ed economicità.
In tutti gli altri casi, il mancato ricorso alle modalità di
acquisto prescritte, comporta le conseguenze di cui al comma
1 dell’art. 1 della legge 135/2012, e cioè la nullità del
contratto stipulato in violazione del suddetto obbligo e le
responsabilità a questo conseguenti (cfr. Sez. Lombardia, n.
92/2013/PAR). |
APPALTI SERVIZI: C.
Volpe,
L’affidamento in house di servizi pubblici locali e
strumentali: origine ed evoluzione più recente dell’istituto
alla luce della normativa e della giurisprudenza europea e
nazionale
(07.04.2014 - tratto da www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI: Gare
telematiche.
Domanda
In qualità di Amministrazione aggiudicatrice, vorremmo
sapere se, nelle gare gestite in via telematica, le
dichiarazioni e le offerte sottoscritte con la firma
digitale devono essere accompagnate da una copia del
documento di identità.
Risposta
Il Consiglio di Stato con sentenza n. 4676/2013 ha precisato
che l'apposizione della firma digitale, nelle gare gestite
in forma telematica, «è di per sé idonea a soddisfare i
requisiti dichiarativi di cui al comma 3 dell'articolo 38
del dpr 445 del 2000, anche in assenza dell'allegazione in
atti di copia del documento di identità del dichiarante».
In linea di principio le dichiarazioni rese, ai sensi degli
articoli 38 e 47 del dpr 445 del 2000, attraverso
l'apposizione di una firma digitale, non esonerano il
dichiarante dall'onere di allegare copia di un proprio
documento di identità.
Tuttavia la gara in questione è stata interamente gestita in
forma telematica e l'articolo 77, comma 6, lettera b, del dlgs
163/2006 stabilisce che «le offerte presentate per via
elettronica possono essere effettuate solo utilizzando la
firma elettronica digitale come definita e disciplinata dal
decreto legislativo 07.03.2005, n. 82».
Il comma 1 dell'articolo 65 del dlgs 82 del 2005 precisa che
le istanze e le dichiarazioni, presentate alle pubbliche
amministrazioni per via telematica, sono valide se
sottoscritte mediante la firma digitale il cui certificato è
rilasciato da un certificatore accreditato. La norma di
riferimento non subordina in alcun modo il riconoscimento di
tale validità alla condizione che l'apposizione della firma
digitale sia accompagnata dalla copia del documento di
identità
(articolo ItaliaOggi Sette del 07.04.2014). |
marzo 2014 |
|
APPALTI:
In caso di procedure ristrette o negoziate le
imprese ammesse singolarmente possono partecipare alla gara
sotto forma di riunioni temporanee.
L'art. 37, c. 12, d.lgs. 163/2006, prevede che: "In caso
di procedure ristrette o negoziate, ovvero di dialogo
competitivo, l'operatore economico invitato individualmente,
o il candidato ammesso individualmente nella procedura di
dialogo competitivo, ha la facoltà di presentare offerta o
di trattare per sé o quale mandatario di operatori riuniti".
La norma in questione, ha una ratio profondamente
proconcorrenziale, consentendo un più ampio accesso al
mercato dei contratti pubblici anche a soggetti che
singolarmente non avrebbe i requisiti necessari per
risultare aggiudicatari. Ne consegue che, nel caso di
procedure ristrette o negoziate, le imprese ammesse
singolarmente, possono partecipare alla gara sotto forma di
riunioni temporanee.
---------------
In tema di appalti pubblici, ai sensi dell'art. 13, c.
5-bis, L. 11.02.1994 n. 109, il cui contenuto è stato
trasfuso nell'art. 37 D.L.vo 12.04.2006 n. 163, il divieto
di modificazione della compagine delle Associazioni
temporanee di imprese nella fase procedurale corrente tra la
presentazione delle offerte e la definizione della procedura
di aggiudicazione è finalizzato a impedire l'aggiunta o la
sostituzione di Imprese partecipanti all'a.t.i. e non anche
a precludere il recesso di una o più di esse, a condizione
che quelle che restano a farne parte risultino titolari, da
sole, dei requisiti di partecipazione e di qualificazione e
che ciò avvenga per esigenze organizzative proprie dell'a.t.i.
o Consorzio, e non invece per eludere la legge di gara (in
particolare, per evitare una sanzione di esclusione dalla
gara per difetto dei requisiti in capo al componente dell'a.t.i.
venuto meno per effetto dell'operazione riduttiva).
Pertanto, in assenza di un esplicito divieto contenuto nella
lex specialis, stante la riconosciuta possibilità per
gli operatori economici invitati di costituire associazioni
temporanee di imprese, sarebbe irragionevole ritenere
possibile una modificazione soggettiva delle a.t.i.
costituende o costituite e non consentire che gli operatori
economici invitati possano utilizzare lo stesso strumento
(Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 31.03.2014 n. 1548 - link a
www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI:
L'art. 83, c. 5, del d.lgs. n. 163/2006 demanda
alla stazione appaltante l'individuazione del giusto
equilibrio fra merito tecnico e convenienza economica delle
offerte.
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Sul criterio dell'offerta economicamente più vantaggiosa.
L'art. 83, c. 5, del d.lgs. 12.04.2006, n. 163, stabilisce
che: "per attuare la ponderazione o comunque attribuire
il punteggio a ciascun elemento dell'offerta le stazioni
appaltanti utilizzano metodologie tali da consentire di
individuare con un unico parametro finale l'offerta più
vantaggiosa". La norma quindi espressamente prevede che
il bando di gara indichi i criteri di valutazione e precisi
la ponderazione attribuita a ciascuno di essi, ed
altrettanto espressamente dispone che i partecipanti alla
gara devono essere messi nella condizione di conoscere prima
della formulazione dell'offerta tutti gli elementi che
possono incidere sulla determinazione della stessa.
La norma è finalizzata a garantire l'esclusione di offerte
che, pur convenienti sotto il profilo economico, non siano
tecnicamente adeguate e, quindi, idonee ad assicurare uno
standard qualitativo minimo. La norma demanda quindi alla
stazione appaltante l'individuazione del giusto equilibrio
fra merito tecnico e convenienza economica delle offerte, e
quindi l'articolazione dei punteggi attribuibili in
relazione alle diverse voci.
In altri termini, il legislatore rimette alla stazione
appaltante la facoltà di determinare i criteri di
valutazione delle offerte, precisando che questi vanno
prefissati nella lex specialis e ciò al fine di
consentire a tutti i partecipanti alla procedura di aver sin
dall'inizio contezza di tutti gli elementi che incidono
sulla partecipazione, sulla valutazione delle offerte e,
quindi, in ultima analisi sull'aggiudicazione.
Ne consegue che, rientra nella discrezionalità della
stazione appaltante predeterminare l'incidenza del prezzo,
in rapporto alla qualità della proposta, nella valutazione
dell'offerta.
---------------
Il criterio dell'offerta economicamente più vantaggiosa
consiste nell'individuare un ponderato bilanciamento tra le
varie componenti dell'offerta ed essa discende dalla
valutazione comparativa di più fattori previamente e
discrezionalmente individuati dalla stazione appaltante e
consiste altresì nel definire i pesi ponderali da assegnare
a ciascun criterio e sub-criterio di valutazione, cioè il
livello di utilità per la stazione appaltante connessa a
ciascun profilo in cui si scompone l'offerta (Consiglio di
Stato, Sez. V,
sentenza 31.03.2014 n. 1537 - link a
www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI: Offerta più vantaggiosa.
Domanda
Vorrei sapere se, negli appalti di servizi,
l'amministrazione ha piena discrezionalità nella scelta del
punteggio da attribuire ai criteri di valutazione
dell'offerta economicamente più vantaggiosa.
Risposta
Secondo la giurisprudenza, la stazione appaltante ha piena
discrezionalità nel peso da attribuire a ciascun criterio di
valutazione. L'unico limite è rappresentato dalla «manifesta
irrazionalità» della distribuzione dei punteggi rispetto
allo scopo dell'intervento.
Tale ipotesi si verifica quando il valore attribuito a un
criterio sia tale da precostituire, nei confronti dei
concorrenti, illegittime posizioni di vantaggio o quando
venga assegnato, a uno dei criteri di valutazione, un peso
talmente elevato da rendere praticamente superflui tutti gli
altri
La scelta del peso da attribuire a ciascun criterio di
valutazione dell'offerta è rimessa all'amministrazione in
relazione alle peculiarità dell'appalto e all'importanza
che, nella specifica ipotesi, hanno il fattore prezzo e i
contenuti qualitativi.
Unico vincolo posto dal legislatore, comunitario e
nazionale, è che tanto il prezzo quanto gli aspetti di
carattere qualitativo dell'offerta siano oggetto di
valutazione.
Come specificato dall'Autorità di vigilanza sui contratti
pubblici, con determinazione n. 7 del 24.11.2011
«l'impostazione corretta tra il peso dei criteri qualitativi
e quello dei criteri quantitativi, in particolare del
prezzo, deve essere, nei riguardi del peso complessivo, in
rapporto di prevalenza a favore dei criteri qualitativi
rispetto ai criteri quantitativi».
L'aggiudicazione, con il sistema dell'offerta economicamente
più vantaggiosa, è ritenuta quella che tende a garantire il
miglior rapporto tra qualità e prezzo (articolo ItaliaOggi
Sette del
31.03.2014). |
APPALTI: Incompletezza dell'offerta.
Domanda
In qualità di Amministrazione aggiudicatrice, vorremmo
sapere se le stazioni appaltanti devono escludere dalla gara
le imprese che non hanno indicato gli oneri della sicurezza
nell'offerta economica. Si precisa che è stato allegato al
bando un modello di offerta economica che non prevedeva gli
oneri della sicurezza.
Risposta
Non sono da escludere le offerte delle imprese partecipanti
prive dell'indicazione degli oneri della sicurezza, a causa
di circostanze di fatto riconducibili alla erroneità dei
facsimili predisposti dalla Stazione appaltante (Parere di
precontenzioso n. 169 23/10/2013 dell'Avcp)
Le partecipanti a una gara devono includere nella loro
offerta, a pena di esclusione per incompletezza, sia gli
oneri di sicurezza per interferenze, sia quelli relativi al
rischio specifico (o aziendale). Tuttavia è rilevante la
circostanza della mancanza della relativa voce nel modello
predisposto dalla Stazione Appaltante e reso obbligatorio ai
fini della predisposizione dell'offerta.
In particolare l'Amministrazione ha allegato al bando un
modello di offerta economica che non prevedeva l'indicazione
degli oneri della sicurezza non soggetti a ribasso, mentre
prevedeva l'indicazione del prezzo totale offerto per
l'esecuzione dell'intero contratto.
In questi casi il Consiglio di Stato ha affermato che
«l'esigenza di apprestare tutela all'affidamento preclude
alla stazione appaltante di escludere dalla gara un'impresa
che abbia compilato l'offerta in conformità al facsimile
all'uopo da essa predisposto» (Cons. Stato, Sez. V, 05.07.2011, n. 4029);
Inoltre la circostanza che un concorrente abbia puntualmente
seguito le indicazioni fornite dalla Stazione Appaltante non
può risultare a danno del medesimo, anche se la modulistica
non risulti esattamente conforme alle prescrizioni di legge
(articolo ItaliaOggi
Sette del
31.03.2014). |
APPALTI:
Sulla distinzione tra consorzi stabili e ordinari
e sul danno da mancato utile.
La distinzione tra consorzi stabili e ordinari, ai fini
dell'ammissione alle procedure ad evidenza pubblica,
risiede, al di là degli aspetti nominalisti e formali, nella
circostanza che, a differenza di quello ordinario, il
consorzio stabile ha una durata e una composizione
consortile minima prefissata e, soprattutto, è
caratterizzato dalla presenza di una comune impresa
effettivamente costituita.
Da ciò deriva che i consorzi stabili sono destinati per loro
natura allo svolgimento di una serie di attività permanenti
nel tempo e non legate al singolo appalto; al contrario i
consorzi ordinari sono di regola costituiti al fine di
partecipare ad una singola gara o alla realizzazione di un
singolo appalto.
---------------
La giurisprudenza consolidata e meritevole di condivisione
rileva che il mancato utile nella misura integrale, nel caso
di annullamento dell'aggiudicazione e di certezza
dell'aggiudicazione in favore del ricorrente, spetta solo se
quest'ultimo dimostri di non aver potuto altrimenti
utilizzare maestranze e mezzi, mentre, in difetto di tale
dimostrazione, è da ritenere che l'impresa possa aver
ragionevolmente riutilizzato mezzi e manodopera per altri
lavori e servizi; pertanto, in tale ipotesi deve operarsi
una decurtazione del risarcimento di una misura per l'aliunde
perceptum vel percipiendum.
Si tratta, in particolare, di fare applicazione del
principio emergente dall'art. 1227 c.c., in forza del quale
il danneggiato ha un puntuale dovere di non concorrere ad
aggravare il danno, principio ripreso ed ampliato nella sua
concreta portata applicativa dall'art. 30 c.p.a., ove si
stabilisce che il giudice nella determinazione del
risarcimento valuta tutte le circostanze di fatto ed il
comportamento complessivo delle parti e, comunque, esclude
il risarcimento dei danni che si sarebbero potuti evitare
usando l'ordinaria diligenza, anche attraverso l'esperimento
degli strumenti di tutela previsti (TAR Lombardia-Milano,
Sez. III,
sentenza 27.03.2014 n. 823 - link a
www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI:
Sull'art. 38 del D.Lgs. n. 163 del 2006.
L'art. 38 del D.Lgs. n. 163 del 2006 non contiene nessuna
previsione preclusiva della partecipazione di soggetti
societari che hanno soci di maggioranza che, nello
svolgimento della loro attività tramite altre forme
giuridiche e in differenti contesti, siano risultati
inaffidabili.
L'art. 38, commi 1, lett. c), e 2, del D.Lgs. n. 163 del
2006 non consente di ritenere estinto un reato in assenza di
un provvedimento giurisdizionale, facendo discendere un tale
effetto dal semplice trascorrere del tempo (TAR
Lombardia-Milano, Sez. III,
sentenza 26.03.2014 n. 795 - link a
www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI SERVIZI:
G. P. Belloni,
Alcune questioni operative afferenti il ciclo dei rifiuti:
ambiti territoriali ottimali, affidamenti della gestione,
obbligo di associazione per i piccoli comuni (25.03.2014
- link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI:
Sull'indicazione degli oneri per la sicurezza.
Secondo un orientamento giurisprudenziale le imprese
partecipanti ad un appalto devono necessariamente includere
nella loro offerta, a pena di illegittimità, oltreché gli
oneri di sicurezza per le interferenze, anche i detti oneri
di sicurezza da rischio specifico, o aziendali (tale
conseguenza viene fatta derivare dal combinato disposto
degli artt. 86, c. 3-bis, e 87, c. 4, del D.Lgs. n.
163/2006), tuttavia, come affermato dalla più recente
giurisprudenza l'applicazione della regola enunciata non si
presta a conclusioni assolutiste, ma risente della tipologia
di appalto in considerazione.
In particolare, con specifico riguardo alle modalità di
verifica dell'adeguatezza di detti oneri -operazione che
ovviamente va effettuata per tutti i contratti pubblici ai
sensi dell'art. 86, c. 3-bis- occorre distinguere i lavori
da una parte ed i servizi e forniture dall'altra. Solo per
questi ultimi l'art. 87, c. 4, impone infatti uno specifico
obbligo dichiarativo alle imprese concorrenti, laddove per i
lavori si deve invece fare riferimento alla quantificazione
effettuata dalla stazione appaltante.
Più precisamente, il secondo periodo della disposizione in
esame prescrive di indicare nell'offerta l'ammontare dei
costi per la sicurezza interna onde consentire
all'amministrazione di apprezzarne la congruità "rispetto
all'entità e alle caratteristiche dei servizi o delle
forniture".
Per i lavori, al conperiore al cinquanta per cento, salvo
che, secondo le caratteristiche specifiche dell'appalto, i
lavori abbiano carattere meramente accessorio rispetto ai
servizi o alle forniture, che costituiscano l'oggetto
principale del contratto (TAR Sicilia-Palermo, Sez. III,
sentenza 24.03.2014 n. 852 - link a
www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI:
Sui criteri per istituire il canone previsto dal
Codice della Strada (ex art. 27 del Dlgs. 30.04.1992 n. 285,
per l'uso o l'occupazione delle strade comunali in
particolare per la posa delle reti per servizi pubblici.
L'imposizione di prestazioni patrimoniali sui servizi a rete
non deve trasformarsi in un dazio che ostacola e rende più
onerosa la circolazione delle merci (v. art. 120 Cost.).
L'eventuale previsione di un canone per l'uso o
l'occupazione delle strade comunali strutturato come tributo
ambientale violerebbe inoltre i principi comunitari.
Per evitare la qualificazione come tributo ambientale, il
canone deve essere riferito a un uso particolare di uno
specifico bene pubblico. Occorre inoltre che tale uso non
sia già remunerato mediante altre prestazioni patrimoniali,
perché se il canone costituisse mera duplicazione di queste
ultime non potrebbe che essere considerato, per residualità,
come tributo ambientale.
Se l'atto di concessione del servizio prevede il pagamento
di un canone, come nel caso della distribuzione del gas, il
canone per l'uso o l'occupazione delle strade comunali può
essere considerato assorbito solo se sia stato preso in
considerazione come voce a sé dell'offerta (sotto forma di
somma in aumento nella parte economica dell'offerta, o come
equivalente monetario di prestazioni accessorie di
manutenzione della rete stradale descritte nell'offerta
tecnica).
Diversamente, vi sono ancora margini per esigere un
corrispettivo per l'uso particolare delle strade comunali;
occorre però differenziare il canone dalla TOSAP/COSAP, che
ha come presupposto l'occupazione di spazi pubblici. Non è
sufficiente il fatto che la TOSAP/COSAP sia parametrata sul
numero di utenze (v. art. 63, c. 2-f, del Dlgs. 15.12.1997
n. 446), né la mera sottrazione della TOSAP/COSAP al canone,
ma è necessario individuare per quest'ultimo un'autonoma "base
imponibile".
I criteri per questa operazione sono contenuti nell'art. 27
c. 8 del codice della strada, la cui attuazione, mancando le
direttive nazionali ex 67, c. 5, del DPR 495/1992, è rimessa
all'iniziativa dei singoli enti proprietari delle strade. I
criteri sono le soggezioni che derivano alla strada, il
valore economico risultante dal provvedimento che autorizza
l'occupazione, e il vantaggio che l'utente ne ricava.
In sostanza sembra necessario individuare una quota del
costo di manutenzione delle strade che possa essere riferita
all'esclusivo vantaggio dei gestori dei servizi a rete e una
quota dell'utile di questi ultimi (per l'attività di
distribuzione svolta sul territorio comunale) che possa
essere destinata a remunerare l'uso particolare delle
strade, tenendo conto del risparmio conseguito rispetto alla
collocazione delle reti al di fuori del tracciato stradale
(TAR Lombardia-Brescia, Sez. I,
ordinanza 21.03.2014 n. 156 - link a
www.dirittodeiservizipubblici.it). |
LAVORI PUBBLICI:
Sull'istituto del project financing.
In materia di finanza di progetto, la procedura di scelta
del promotore presenta caratteri peculiari, in quanto è
volta alla ricerca non solo di un 'contraente' ma di
una 'proposta', che integri l'individuazione e la
specificazione dell'interesse pubblico. Il legislatore, nel
disciplinare l'istituto del project financing, ha
invero distinto le fasi in cui si articola il complesso
procedimento volto alla realizzazione di opere pubbliche
senza oneri finanziari da parte della amministrazione. La
legge prevede in particolare che, in seguito alla
presentazione di una proposta da parte dei soggetti cui è
riconosciuta detta facoltà, l'amministrazione deve operare
una valutazione della medesima a sua volta propedeuetica
all'indizione delle procedure di gara per l'aggiudicazione
della concessione.
La fase di valutazione della proposta era nel caso di specie
ratione temporis disciplinata dall'art. 37-ter della
l. n. 109/1994, che, nella formulazione allora vigente,
prevedeva che "entro il 31 ottobre di ogni anno la
amministrazioni aggiudicatrici valutano la fattibilità delle
proposte presentate ... verificano la assenza di elementi
ostativi alla loro realizzazione e, esaminate le proposte
stesse anche comparativamente, sentiti i promotori che ne
facciano richiesta, provvedono ad individuare quelle che
ritengono di pubblico interesse". Quindi, alla verifica
della fattibilità del progetto e dell'assenza di elementi
ostativi alla realizzazione dell'opera, doveva
necessariamente seguire la individuazione della proposta di
pubblico interesse e solo a seguito di tale individuazione
le amministrazioni avrebbero potuto procedere alla indizione
della gara di cui all'art. 37-quater, co. 1, lett. a), della
l.n. 109/1994 ed alla successiva aggiudicazione della
concessione mediante una procedura negoziata, da svolgersi
tra il soggetto che avesse presentato la proposta
progettuale iniziale (cd promotore) e i soggetti
presentatori delle due migliori offerte della gara in
precedenza indetta.
In materia di "project financing", anche nella
vigenza della precedente disciplina di cui agli art. 37-bis,
ter e quater della cit. l. n. 109/1994, l'amministrazione
-una volta individuato il promotore e ritenuto di pubblico
interesse il progetto dallo stesso presentato (dichiarazione
nella fattispecie non intervenuta ), non era tenuta a dare
corso alla procedura di gara, essendo libera di scegliere
-attraverso valutazioni attinenti al merito amministrativo e
non sindacabili in sede giurisdizionale- se, per la tutela
dell'interesse pubblico, fosse più opportuno affidare il
progetto per la sua esecuzione ovvero rinviare la sua
realizzazione ovvero non procedere affatto.
L'amministrazione è titolare del potere, riconosciuto
dall'art. 21-quinquies della legge n. 241 del 1990, di
revocare, per sopravvenuti motivi di pubblico interesse
ovvero nel caso di mutamento della situazione di fatto o di
una nuova valutazione dell'interesse pubblico originario, un
proprio precedente provvedimento amministrativo quando ciò
avvenga prima del consolidarsi delle posizioni delle parti
(Consiglio di Stato, Sez. III,
sentenza 20.03.2014 n. 1365 - link a
www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI:
In caso di ati costituenda la garanzia
provvisoria deve essere intestata alla capogruppo e a tutte
le partecipanti all'associazione.
In caso di a.t.i. costituenda la garanzia dev'essere
intestata a tutte le associande, atteso che il soggetto da
garantire non è l'a.t.i. nel suo complesso, non ancora
costituita, né la sola capogruppo, ma tutte le imprese
associande che durante la gara operano individualmente e
responsabilmente negli impegni connessi alla partecipazione
alla gara stessa, ivi compreso, in caso di aggiudicazione,
quello di conferire mandato collettivo alla capogruppo che
stipulerà il contratto con l'Amministrazione.
Principio, questo, per il quale non occorre espressa
previsione nella lex specialis di gara e la cui
inosservanza non abbisogna di essere sanzionata con
esplicita clausola di esclusione, discendendo da regole
generalissime desumibili dall'art. 75 del D.Lgs. n. 163/2006
(codice dei contratti), nonché dall'intero contesto della
normativa in materia di procedure ad evidenza pubblica
(Consiglio di Stato, Sez. III,
sentenza 20.03.2014 n. 1364 - link a
www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI: Sì alla «gara» per l'impresa ammessa al concordato.
Appalti. Partecipazione subordinata al via libera del
tribunale.
Nuovi spazi negli appalti
pubblici per le imprese in concordato preventivo.
È la
conseguenza dell'articolo 11-bis del decreto legge 145/2013
(legge 9/2014), che risolve una serie di casi, l'ultimo dei
quali deciso dalla
sentenza 18.03.2014
n. 463 del TAR Piemonte, Sez. I.
L'ipotesi tipica è quella che vede partecipare a una
gara pubblica un'impresa che successivamente presenti al
Tribunale un'istanza di ammissione a concordato preventivo
con continuità aziendale (articolo 186-bis legge
fallimentare).
L'innovazione varata con il Dl 145/2013 prevede che –dopo
il deposito del ricorso con il quale si chiede l'ammissione
al concordato con continuità aziendale– l'impresa possa
partecipare a procedure di affidamento di contratti (per
appalti, servizi e forniture), se autorizzata dal Tribunale.
È necessario il parere del commissario giudiziale, se già
nominato, e in mancanza provvede il Tribunale. In questo
modo dovrebbe diminuire il contenzioso che contrappone le
imprese in concordato preventivo ad altri concorrenti,
contenzioso che derivava da uno sbarramento di generica
idoneità posto dall'articolo 38 Dlgs 163/2006 (Codice
appalti).
Il Tar Piemonte, con sentenza 463/2014 aveva ad esempio
impedito a un'impresa di proseguire in una gara perché, dopo
la domanda di partecipazione all'appalto, l'impresa stessa
aveva presentato istanza di ammissione al concordato
preventivo con continuità aziendale. Secondo il Tar, per
restare in gara occorreva che intervenisse una formale
autorizzazione alla continuità aziendale, a mezzo di
provvedimento giurisdizionale del Tribunale fallimentare;
senza tale autorizzazione, la presentazione della domanda di
ammissione a concordato preventivo determinava un'incapacità
a partecipare alla gara.
Oggi, superando questo orientamento, il deposito del ricorso
per concordato (con la clausola di continuità) consente la
partecipazione alla gara, purché vi sia l'autorizzazione
espressa del giudice fallimentare. L'autorizzazione è poi
collegata a un piano (articolo 161, comma 2, lettera e,
legge fallimentare), che prevede la continuazione
dell'impresa, la cessione della stessa o il conferimento
dell'azienda in esercizio in una o più società. A questo
piano, per la presenza in gara, vanno aggiunte le garanzie
previste dall'articolo 186-bis comma 5, cioè un'accertata
«capacità di adempimento del contratto» e la dichiarazione
di impegno al subentro di altra impresa idonea.
Spetta quindi al giudice valutare l'utilità dell'eventuale
aggiudicazione, per l'impresa, ad esempio considerando le
disponibilità di materiali a magazzino necessari per
l'esecuzione del contratto, la possibilità del pagamento
della manodopera, la regolarità previdenziale e fiscale, la
conoscenza dei luoghi e precedenti esperienze. Se l'articolo
11-bis del Dl 145/2013 consente la partecipazione con
autorizzazione alle gare, restano valide sia l'istanza di
partecipazione sia l'eventuale successiva aggiudicazione
della gara stessa a favore di chi abbia presentato istanza
di concordato preventivo.
Nell'idoneità a offrire sono
infatti comprese sia la partecipazione alla gara, sia
l'aggiudicazione. Non sarebbe infatti logico far partecipare
un'impresa se non si consentisse anche la successiva
gestione dell'opera, del servizio o fornitura aggiudicata.
Anzi, proprio perché la partecipazione alla gara è stata
meditata, autorizzata dal Tribunale e assistita da una
relazione di un qualificato professionista o di un soggetto
ausiliario, il concordato con continuità restituisce una
completa idoneità all'impresa (articolo
Il Sole 24 Ore del
26.03.2014). |
APPALTI:
Sull'applicazione dell'art. 38, c. 1, lett. c),
d.lgs. n. 163/2006, in caso di cessione di ramo d'azienda.
---------------
L'integrazione dei requisiti minimi di capacità imposti
dall'amministrazione aggiudicatrice può essere dimostrata,
sia utilizzando l'avvalimento frazionato che l'avvalimento
plurimo.
La dichiarazione circa l'insussistenza di sentenze di
condanna passate in giudicato (o di decreti penali di
condanna irrevocabili, o di sentenze di applicazione della
pena su richiesta) per determinati reati nei confronti di
amministratori e direttori tecnici, prevista dall'art. 38
del d.lgs. 12.04.2006, n. 163 (codice degli appalti
pubblici), va resa, a pena di esclusione, in caso di
cessione d'azienda in favore del concorrente nel triennio
anteriore al bando (un anno, a seguito delle modifiche
introdotte dalla legge 12.07.2011, n. 106), anche con
riferimento agli amministratori ed ai direttori tecnici che
hanno operato presso la impresa cedente nell'ultimo triennio
(nell'ultimo anno, a seguito delle suddette modifiche)".
Se la cessione del ramo d'azienda non determina di per sé
una discontinuità nella gestione tale da sottrarre gli
amministratori e direttori tecnici dell'impresa ceduta agli
obblighi dichiarativi di cui all'art. 38, c. 1, lett. c),
d.lgs. n. 163/2006, qualora ciò avvenga per il tramite di
una procedura di concordato preventivo, e salvo che non sia
desumibile da ulteriori elementi un intento elusivo della
prescrizione ivi contenuta, non può ritenersi che l'impresa
cessionaria concorrente nella procedura di gara sia tenuta a
rendere le dichiarazioni in questione.
La cessione dell'azienda o del ramo d'azienda a seguito del
concordato preventivo determina, infatti, una cesura nella
gestione dei beni dell'impresa, tale da escludere
un'influenza dei comportamenti degli amministratori e dei
direttori tecnici della cedente, senza che risulti rilevante
che quest'ultimi ex art. 2487-bis, terzo comma c.c.,
avvenuta l'iscrizione nel registro delle imprese dei
liquidatori, a differenza di quanto accade per gli
amministratori, non cessino dalla carica.
...
L'integrazione dei requisiti minimi di capacità imposti
dall'amministrazione aggiudicatrice può essere dimostrata,
sia utilizzando l'avvalimento frazionato che l'avvalimento
plurimo, poiché ciò che rileva è la dimostrazione da parte
del candidato o dell'offerente, che si avvale delle capacità
di uno o di svariati altri soggetti, di poter disporre
effettivamente dei mezzi di questi ultimi che sono necessari
all'esecuzione dell'appalto.
...
Nelle gare d'appalto, l'art. 38 D.L.vo 12.04.2006, n. 163,
nella parte in cui elenca i soggetti tenuti ad effettuare le
dichiarazioni di sussistenza dei requisiti morali e
professionali ha come destinatari dell'obbligo non soltanto
coloro che rivestono formalmente le cariche di
amministratori, ma anche coloro che, in qualità di
procuratore ad negotia, abbiano poteri di
rappresentanza dell'impresa e possono compiere atti
decisionali (c.d. amministratori di fatto), con l'avvertenza
che qualora la lex specialis non contenga al riguardo
una specifica comminatoria di esclusione, quest'ultima può
essere disposta non già per la mera omessa dichiarazione, ma
solo quando sia effettivamente riscontrabile l'assenza del
requisito in questione (Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 17.03.2014 n. 1327 - link a
www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI FORNITURE SERVIZI:
La Pa può recedere se il servizio è «caro».
Spending review. La gestione dei contratti alla luce del Dl
95/2012.
Prime
applicazioni della spending review nei contratti della
pubblica amministrazione (articolo 1, comma 13, Dl 95/2012).
Un servizio prestato al ministero per i Beni culturali, con
oneri economici superiori a quelli previsti dalla Consip
(centrale acquisti) è giunto nelle aule del Consiglio di
Stato, che nella
sentenza 17.03.2014 n. 1312 fornisce una serie
di indicazioni. Da gennaio 2013, infatti, forniture e
servizi vedono la Pa autorizzata sostituire in corsa
l'impresa aggiudicataria, anche se il contratto è già stato
stipulato e l'erogazione è in corso: basta che vi siano
condizioni economiche più vantaggiose per l'ente pubblico.
I
parametri di convenienza sono offerti dalle convenzioni Consip: se nel corso dell'esecuzione della fornitura o del
servizio il corrispettivo supera i parametri della Centrale
acquisti, l'ente pubblico si deve attivare per cambiare il
contratto. Spetta poi all'aggiudicataria valutare se
accettare le nuove condizioni economiche o subire il
recesso. L'impresa ha 15 giorni di tempo per decidere,
potendo scegliere se accettare il recesso (con indennizzo
pari a un decimo dell'utile sulle prestazioni non ancora
eseguite) oppure abbassare il prezzo del servizio o della
fornitura ai parametri Consip.
Il meccanismo previsto
dall'articolo 1, comma 13, del Dl 95/2012, secondo la
sentenza del Consiglio di Stato, colloca sullo stesso piano
le pubbliche amministrazioni e i privati, in un rapporto di
tipo civilistico in cui l'amministrazione non si svincola
affermando esigenze di interesse pubblico, ma esercita quel
diritto di recesso che ogni privato può utilizzare quando lo
ritenga opportuno, a norma dell'articolo 1671 del Codice
civile.
La norma del Codice civile impone che l'esecutore sia tenuto
indenne dalle spese sostenute, dai lavori eseguiti e del
mancato guadagno; in precedenti regimi, il contenzioso
amministrativo rendeva possibili (Consiglio di Stato
662/2012) richieste di maggior calibro, come il 2% del
valore dell'appalto o il danno curriculare (perdita di
qualificazione). Se oggi l'amministrazione si può comportare
come un privato, il giudice competente non è più quello
amministrativo, bensì quello dei privati, e cioè il
tribunale ordinario.
Ciò genera un notevole snellimento
delle liti perché dinanzi al giudice amministrativo si
discuteva ad ampio spettro, ad esempio verificando motivi di
interesse pubblico che potevano fondare la scelta
dell'importo da pagare: ad esempio, dietro un particolare
costo economico della fornitura, vi poteva essere un
vantaggio all'indotto, o una particolare qualità del
servizio, oppure un'esigenza di incentivo.
Tutto ciò poteva essere fatto valere sotto forma di difetto
di motivazione del recesso, innescando un contenzioso in cui
l'importo economico regrediva ad elemento secondario, per di
più cristallizzato con riferimento all'epoca della gara. Ora
che Consip redige parametri di costo per categorie omogenee,
basta uno scostamento da tali parametri per obbligare la Pa
(se si tratta di acquisto di beni, per i servizi è invece
una facoltà) a recedere dal contratto, se il fornitore non
accetta i parametri Consip.
Nel caso specifico esaminato dalla
sentenza 17.03.2014 n. 1312 del Consiglio di Stato,
Sez. VI, si discuteva di un servizio di gestione della
sicurezza sui luoghi di lavoro, prestazioni che Consip
offriva, attivando economie di scala, con un contenimento di
spesa di 5 milioni in tre anni. Oggi basta questo risparmio
per innescare il meccanismo di recesso, offrendo al
contraente l'alternativa tra adeguarsi ai costi Consip o
abbandonare il servizio (o la fornitura) ottenendo il
pagamento di un decimo degli utili futuri. Non conta più
aver vinto una gara contro altri agguerriti concorrenti:
basta il sopravvenire di più vantaggiosi parametri Consip
per consentire a un soggetto pubblico di sostituire il
prestatore di servizi (articolo Il Sole 24 Ore del
23.03.2014). |
APPALTI
FORNITURE E SERVIZI:
Sulla ratio dell'art. 1, c. 13, del d.l. n.
95/2012, che consente alle stazioni appaltanti il recesso
unilaterale dai contratti di fornitura o di servizi per
ragioni di riduzione della spesa.
L'art. 1, c. 13, del d.l. 06.07.2012, n. 95, conv. dalla l.
07.08.2012, n. 135, attribuisce alle amministrazioni
pubbliche, "che abbiano validamente stipulato un autonomo
contratto di fornitura o di servizi […] il diritto di
recedere in qualsiasi tempo dal contratto, previa formale
comunicazione all'appaltatore, con preavviso non inferiore a
quindici giorni e previo pagamento delle prestazioni già
eseguite, oltre al decimo delle prestazioni non ancora
eseguite"; quanto sopra, quando "i parametri delle
convenzioni stipulate da Consip s.p.a., ai sensi dell'art.
26, c. 1, della l. 23.12.1999, n. 488, successivamente alla
stipula del predetto contratto, siano migliorativi rispetto
a quelli del contratto stipulato e l'appaltatore non
acconsenta ad una modifica delle condizioni economiche, tale
da rispettare il limite, di cui all'art. 26, c. 3, della l.
23.12.1999, n. 488".
Nella medesima disposizione è anche precisato che il diritto
di recesso di cui trattasi "si inserisce automaticamente
nei contratti in corso, ai sensi dell'art. 1339 del Cod. civ.".
L'art. 1, c. 13, del d.l. n. 95/2012 cit. non attribuisce
una potestà, che consenta all'Amministrazione -già parte di
un rapporto contrattuale a regolazione civilistica- di
intervenire ab extra sul rapporto stesso in forma e
modalità autoritativa, in modo tale da svincolarsi dagli
obblighi contrattuali assunti per affermate esigenze di
interesse pubblico.
Non confermano tale indirizzo, infatti, né il testo, né la
ratio della norma in esame: il primo, in quanto
assegna in modo esplicito all'Amministrazione un "diritto"
di recesso e la seconda (coincidente con la possibilità di
ottenere prestazioni "migliorative", in base ai
parametri delle convenzioni stipulate da Consip), poiché
detta finalità viene perseguita con una fattispecie di
recesso unilaterale del contratto, che costituisce mera
specificazione di quanto comunque consentito al committente,
nell'ambito dei contratti di appalto, a norma dell'art. 1671
Cod. civ..
---------------
Dalla norma ricognitiva del diritto in questione (lex
specialis rispetto al citato art. 1671 Cod. civ.), sono
assicurate le finalità di interesse pubblico al
perseguimento di economie di scala ed alla omogeneità dei
costi delle forniture e dei servizi, commissionati da
pubbliche amministrazioni tramite un centro specializzato
per i loro approvvigionamenti con inerente contrattazione
centralizzata, in capo a una figura, organizzativa (oggi la
Consip s.p.a.) istituita per un tale scopo.
Una volta formalizzate le convenzioni, che dovrebbero
assicurare detti parametri di maggiore convenienza, ogni
altra forma di contrattazione è dichiarata nulla (art. 1, c.
1, d.l. n. 95 del 2012) e solo in via transitoria -per i
contratti stipulati prima della data di entrata in vigore
del ricordato d.l. n. 95 del 2012 (conv. dalla l.
07.08.2012, n. 135)- si attribuisce appunto al contraente
pubblico il diritto di recesso in questione, con successiva
adesione alla convenzione Consip, ove l'appaltatore non
acconsenta a modificare in senso conforme le condizioni
contrattuali (con pagamento comunque, in caso di non
adesione di detto appaltatore, delle prestazioni già
eseguite e di un decimo di quelle da eseguire: art. 1 cit.,
comma 13).
Costituisce, pertanto, esercizio di un potere a carattere
contrattuale dell'Amministrazione -in forza di una clausola
contrattuale inserita ex lege, a norma dell'art. 1339
Cod. civ.- e non espressione di una potestà pubblica, che
sarebbe in sé estrinseca al sinallagma contrattuale,
l'esercizio del diritto di recesso, che la legge riconosce
nella situazione anzidetta.
Ne consegue che, nel caso di specie, l'appello deve essere
dichiarato inammissibile per difetto di giurisdizione, ai
sensi e per gli effetti dell'art. 11 del Codice del processo
amministrativo, con declaratoria della cognizione del
giudice ordinario sulla questione (Consiglio di Stato, Sez.
VI,
sentenza 17.03.2014 n. 1312 - link a
www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI:
Sulle varianti progettuali migliorative
nell'appalto integrato.
Con specifico riferimento all'appalto integrato le "varianti
progettuali migliorative", qualora ammesse dalla legge
di gara, pur incidendo normalmente su aspetti in grado di
incidere in maniera rilevante e consistente sulla qualità
dell'opera (sul piano strutturale, prestazionale e
funzionale), non devono tuttavia alterare l'essenza
strutturale e prestazionale, così come fissate dal progetto
definitivo, onde non ledere lo stesso interesse della
stazione appaltante al conseguimento delle funzionalità
perseguite (TAR Sardegna, Sez. I,
sentenza 15.03.2014 n. 218 - link a
www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI:
Sull'applicabilità anche alle concessioni di
servizi della disciplina ex art. 84, c. 10, dlgs. 163/2006.
L'art. 84, c. 10, del d.lgs. n. 163 del 2006 dispone che "la
nomina dei commissari e la costituzione della commissione
devono avvenire dopo la scadenza del termine fissato per la
presentazione delle offerte".
L'Adunanza plenaria del Consiglio di Stato, con decisione n.
13 del 2013, ha affermato che, in sede di affidamento di una
concessione di servizi con il criterio dell'offerta
economicamente più vantaggiosa, sono applicabili, tra
l'altro, le disposizioni di cui al citato art. 84, c. 10, in
quanto espressive dei principi di trasparenza e di parità di
trattamento, richiamati dall'art. 30, c. 3, del medesimo
decreto legislativo.
Nel caso di specie, riguardante una procedura di gara, con
il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, per
l’affidamento del servizio di somministrazione di alimenti e
bevande tramite distributori automatici, l'atto di appello
non contesta, in punto di fatto, il momento temporale di
nomina della commissione ma si è limitato ad affermare che
il citato art. 84, c. 10, non può trovare applicazione.
Pertanto, una volta ritenuto, alla luce dell'orientamento
interpretativo espresso dall'Adunanza plenaria, che tale
norma trova, invece, applicazione, ne discende
l'infondatezza dell'appello (Consiglio di Stato, Sez. VI,
sentenza 14.03.2014 n. 1296 - link a
www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI: Sulle Centrali di committenza un rinvio che fa chiarezza.
In principio fu il Piemonte, con il
parere 06.07.2012 n. 271 con il quale la Corte dei conti della regione
definì l'ambito di operatività delle Centrali di committenza
cui sono obbligati i piccoli comuni. Per la Corte, anche se
in presenza di importi irrisori, resta obbligatorio il
ricorso alla Centrale se si tratta di una procedura
comparativa tra più soggetti.
Posizione non pienamente accolta dalla Corte dei conti della
Lombardia,
col
parere 23.04.2013 n. 165, che ha ritenuto di dover escludere
dall'obbligatorietà anche il cottimo fiduciario, oltre gli
affidamenti diretti. La novella del comma 3-bis dell'art. 33
(art. 1, comma 343, legge n. 147 del 2013) ha chiarito che
«le disposizioni di cui al presente comma non si applicano
alle acquisizioni di lavori, servizi e forniture, effettuate
in economia mediante amministrazione diretta, nonché nei
casi di cui al secondo periodo del comma 8 e al secondo
periodo del comma 11 dell'articolo 125»: prevale quindi la
Corte dei conti del Piemonte: restano esclusi i soli
affidamenti diretti.
Altra questione chiarita dalle Corti dei conti è stata la
natura dell'accordo consortile. Unanime in questo caso
l'orientamento: la dicitura «accordo consortile» non
indica un atto istitutivo di un nuovo Consorzio (Umbria,
parere 04.06.2013 n. 112). Infatti la gestione consortile della
centrale di committenza non può essere confusa né con l'idea
di costituire un consorzio di funzioni tra enti (vietato
dalla legge); né con le funzioni associate fondamentali
(Lazio
parere 26.06.2013 n. 138
e
parere 26.06.2013 n. 139).
Il legislatore ha
ribadito di non voler sovrapporre l'obbligo delle funzioni
associate con l'obbligo di centralizzazione della
committenza, rigettando la proposta di emendamento che
voleva equiparare l'obbligatorietà della Centrale unica di
committenza (Cuc) al completamento (teorico) della gestione
associata delle funzioni (31/12/2014). L'accorpamento delle
funzioni fondamentali è del resto ben diverso dalla
razionalizzazione delle spese attraverso il ricorso alle
centrali di committenza.
In definitiva, quindi, il Milleproroghe ha tenuto separati i due processi fissando
l'obbligatorietà della Cuc al 30/06/2014. Ultima questione
da segnalare è quella della mancata sovrapponibilità delle
attività della Centrale di committenza con quelle introdotte
dalla legge n. 136/2010 istitutiva delle Stazioni uniche
appaltanti (Sua). Come ha ben chiarito la Corte dei conti
della Basilicata,
deliberazione 01.07.2013 n. 98,
«entrambe le figure organizzative hanno la natura di
centrali di committenza (art. 3, n. 34, «Codice»).
Tuttavia, l'una non è perfettamente sovrapponibile in quanto
«alla Sua non è consentito rendersi, essa stessa,
acquirente di lavori, servizi e forniture destinate ad altre
amministrazioni aggiudicatrici, come è consentito alle
centrali di committenza previste dall'art. 33 del Codice».
Su questa linea è molto chiara la nuova direttiva appalti
dell'Unione europea che disciplina in maniera puntuale
l'ambito di operatività e i vantaggi competitivi che possono
essere raggiunti attraverso un ricorso diffuso alle centrali
di committenza (articolo ItaliaOggi del 14.03.2014). |
APPALTI: L’art.
118, co. 2, del D.Lgs. n. 163/2006 sottopone
l’affidamento in subappalto alla condizione,
fra le altre, che i concorrenti all’atto
dell’offerta abbiano indicato i lavori o le
parti di opere ovvero i servizi e le
forniture o parti di servizi e forniture che
intendono subappaltare o concedere in
cottimo.
La disposizione –che non richiede
espressamente l’indicazione preventiva del
nominativo del subappaltatore– va peraltro
interpretata nel senso che la dichiarazione
in questione deve contenere anche
l’indicazione del subappaltatore unitamente
alla dimostrazione del possesso, in capo a
costui, dei requisiti di qualificazione,
ogniqualvolta il ricorso al subappalto si
renda necessario a cagione del mancato
autonomo possesso, da parte del concorrente,
dei necessari requisiti di qualificazione,
potendo essere limitata alla mera
indicazione della volontà di concludere un
subappalto nelle sole ipotesi in cui il
concorrente disponga autonomamente delle
qualificazioni necessarie per l’esecuzione
delle lavorazioni oggetto dell’appalto,
ossia nelle sole ipotesi in cui il ricorso
al subappalto rappresenti per lui una
facoltà, non la via necessitata per
partecipare alla gara.
L’affermazione appare pienamente coerente
con lo speculare e consolidato indirizzo
giurisprudenziale che circoscrive i casi di
legittima esclusione del concorrente autore
di una incompleta o erronea dichiarazione di
subappalto alle sole ipotesi in cui il
concorrente stesso risulti sfornito in
proprio della qualificazione per le
lavorazioni che ha dichiarato di voler
subappaltare, mentre negli altri casi gli
unici effetti negativi si avrebbero in fase
esecutiva, sotto il profilo
dell’impossibilità di ricorrere al
subappalto come dichiarato.
La ratio di tale orientamento risiede
nell’esigenza, ricavabile in via
sistematica, che la stazione appaltante sia
posta in condizione di valutare sin
dall’inizio l’idoneità di un’impresa, la
quale dimostri di possedere in proprio, o
attraverso l’apporto altrui, le
qualificazioni necessarie per
l’aggiudicazione del contratto, mentre non
può ammettersi che l’aggiudicazione venga
disposta “al buio” in favore di un soggetto
pacificamente sprovvisto dei necessari
requisiti di qualificazione, al quale
dovrebbe accordarsi la possibilità non
soltanto di dimostrare, ma addirittura di
acquisire i requisiti medesimi a gara
conclusa, in violazione del principio della
par condicio e con il rischio per
l’amministrazione procedente che
l’appaltatore così designato non onori
l’impegno assunto, rendendo necessaria la
ripetizione della gara.
---------------
Senza negare le differenze
strutturali che intercorrono tra l’avvalimento,
istituto elaborato dalla giurisprudenza
comunitaria, recepito dall’art. 47 della
direttiva 2004/18/CE e trasfuso nell’art. 49
del decreto legislativo n. 163 del 2006,
volto a consentire ad un imprenditore il
possesso mediato ed indiretto dei requisiti
di partecipazione ad una gara, ed il
subappalto, contratto secondario o derivato, posto “a
valle” del contratto di appalto ed attinente
alla sua esecuzione, devono rilevarsi
numerosi profili della disciplina di cui
agli artt. 37, comma 11 e 118 del codice sui
contratti pubblici che, sotto il profilo
funzionale, possono essere considerati
indici di un sostanziale inserimento del
subappalto tra gli strumenti idonei a
garantire la maggiore concorrenza tra gli
operatori economici e l’allargamento del
mercato, nella prospettiva propria dell’art.
47 della direttiva 2004/18, al pari dell’avvalimento.
Tra questi meritano rilievo:
- l’inserimento del subappalto tra gli
strumenti che consentono la realizzazione di
lavori ad elevato contenuto tecnologico da
parte di soggetti affidatari non in grado di
eseguirli nell’art. 37, disciplinante i
raggruppamenti temporanei;
- l’obbligo a carico dei concorrenti,
all’atto dell’offerta, di indicare i lavori
o le parti di opere che intendono
subappaltare, con la conseguenza, in caso di
mancata indicazione, che l’autorizzazione al
subappalto non potrà essere accordata;
- l’obbligo di deposito presso la stazione
appaltante del contratto di appalto e della
certificazione attestante il possesso da
parte del subappaltatore dei requisiti di
qualificazione prescritti in relazione alla
prestazione subappaltata oltre alla
dichiarazione relativa al possesso dei
requisiti di ordine generale;
- l’insussistenza nei confronti del
subappaltatore dei divieti previsti
dall’art. 10 della legge n. 575/1965 e
successive modificazioni;
- l’autorizzazione al subappalto da parte
della stazione appaltante, previa verifica
dei requisiti in capo al subappaltatore; la
possibilità che la stazione appaltante
stabilisca nel bando di gara di
corrispondere direttamente al subappaltatore
l’importo dovuto per le sue prestazioni;
- l’obbligo per il subappaltatore di
praticare per le prestazioni affidate in
subappalto gli stessi prezzi unitari
risultanti dall’aggiudicazione;
- la responsabilità solidale
dell’appaltatore degli adempimenti da parte
del subappaltatore relativi agli obblighi di
sicurezza.
Si tratta di disposizioni e condizioni che,
nell’intento di ridurre i margini di
autonomia del rapporto
appaltatore–subappaltatore, attraendolo
sotto il controllo diretto della stazione
appaltante ed imponendo il rispetto di
regole di trasparenza volte a scongiurare i
rischi di aggiramento della disciplina
dell’evidenza pubblica tramite il
subingresso di un soggetto diverso da quello
scelto tramite la gara, tendono a stabilire
una relazione diretta tra committente e
subappaltatore.
Nel contempo esse soddisfano la finalità
dell’art. 47, p.2, della direttiva
2004/18/CE («Un operatore economico può, se
del caso e per un determinato appalto, fare
affidamento sulle capacità di altri
soggetti, a prescindere dalla natura
giuridica dei suoi legami con questi ultimi.
In tal caso deve dimostrare alla
amministrazione aggiudicatrice che disporrà
dei mezzi necessari, ad esempio mediante
presentazione dell’impegno a tal fine di
questi soggetti»), già sottolineata dalla
giurisprudenza comunitaria, di consentire
all’autorità aggiudicatrice la verifica
delle capacità dei terzi ai quali un
prestatore, che non soddisfi da solo i
requisiti minimi prescritti per partecipare
alla procedura di aggiudicazione di un
appalto, intenda ricorrere, con lo scopo di
fornire garanzia che l’offerente avrà
effettivamente a disposizione i mezzi di cui
si avvarrà durante il periodo di durata
dell’appalto “a prescindere dalla natura
giuridica dei suoi legami” con l’ausiliario
e, quindi, anche in virtù di un contratto di
subappalto.
Correttamente, quindi, va considerato il
subappalto come strumento negoziale che,
pur differenziandosi dall’avvalimento
sotto il profilo strutturale, ha tuttavia in
comune la funzione di allargare la
possibilità di partecipazione alle gare da
parte di soggetti sforniti dei requisiti di
partecipazione.
Reputa, tuttavia il Collegio, in
accoglimento delle tesi esposte
dall’appellante, che l’art. 118, co. 2, del
D.Lgs. n. 163/2006 sottopone l’affidamento
in subappalto alla condizione, fra le altre,
che i concorrenti all’atto dell’offerta
abbiano indicato i lavori o le parti di
opere ovvero i servizi e le forniture o
parti di servizi e forniture che intendono
subappaltare o concedere in cottimo.
Secondo la giurisprudenza prevalente, la
disposizione –che non richiede espressamente
l’indicazione preventiva del nominativo del
subappaltatore– va peraltro interpretata nel
senso che la dichiarazione in questione deve
contenere anche l’indicazione del
subappaltatore unitamente alla dimostrazione
del possesso, in capo a costui, dei
requisiti di qualificazione, ogniqualvolta
il ricorso al subappalto si renda necessario
a cagione del mancato autonomo possesso, da
parte del concorrente, dei necessari
requisiti di qualificazione, potendo essere
limitata alla mera indicazione della volontà
di concludere un subappalto nelle sole
ipotesi in cui il concorrente disponga
autonomamente delle qualificazioni
necessarie per l’esecuzione delle
lavorazioni oggetto dell’appalto, ossia
nelle sole ipotesi in cui il ricorso al
subappalto rappresenti per lui una facoltà,
non la via necessitata per partecipare alla
gara (cfr. Cons. St., sez. V, 21.11.2012, n.
5900; id., sez VI, 02.05.2012, n. 2508; id.,
sez. V, 20.06.2011, n. 3698).
L’affermazione appare pienamente coerente
con lo speculare e consolidato indirizzo
giurisprudenziale che circoscrive i casi di
legittima esclusione del concorrente autore
di una incompleta o erronea dichiarazione di
subappalto alle sole ipotesi in cui il
concorrente stesso risulti sfornito in
proprio della qualificazione per le
lavorazioni che ha dichiarato di voler
subappaltare, mentre negli altri casi gli
unici effetti negativi si avrebbero in fase
esecutiva, sotto il profilo
dell’impossibilità di ricorrere al
subappalto come dichiarato (cfr., per tutte,
Cons. St., sez. V, 26.03.2012, n. 1726; id.,
sez. IV, 30.10.2009, n. 6708; id., sez. IV,
12.06.2009, n. 3696).
La ratio di tale orientamento –che il
Collegio ritiene di dover condividere, non
ravvisando valide argomentazioni per
discostarsene– risiede nell’esigenza,
ricavabile in via sistematica, che la
stazione appaltante sia posta in condizione
di valutare sin dall’inizio l’idoneità di
un’impresa, la quale dimostri di possedere
in proprio, o attraverso l’apporto altrui,
le qualificazioni necessarie per
l’aggiudicazione del contratto, mentre non
può ammettersi che l’aggiudicazione venga
disposta “al buio” in favore di un
soggetto pacificamente sprovvisto dei
necessari requisiti di qualificazione, al
quale dovrebbe accordarsi la possibilità non
soltanto di dimostrare, ma addirittura di
acquisire i requisiti medesimi a gara
conclusa, in violazione del principio della
par condicio e con il rischio per
l’amministrazione procedente che
l’appaltatore così designato non onori
l’impegno assunto, rendendo necessaria la
ripetizione della gara (cfr., in
particolare, Cons. St., n. 5900/2012 e
2508/2012, citt.).
Non convince, di contro, l’opposto
orientamento, abbracciato dal giudice di
prime cure ed invocato dalla difesa degli
appellati, pure emerso in giurisprudenza,
che, sulla scorta del dato testuale, non
rinviene nell’art. 118 D.Lgs. n. 163/2006
alcun obbligo di indicare –tanto meno a pena
di esclusione– il nominativo dell’impresa
subappaltatrice, ancorché si tratti di
lavorazioni per le quali la concorrente sia
priva di qualificazione; e rifiuta, di
conseguenza, la possibilità che la stessa
legge di gara debba ritenersi di volta in
volta eterointegrata dalla previsione di un
siffatto, inesistente, obbligo (così Cons.
St., sez. V, 16.01.2012, n. 139).
La lettera dell’art. 118 è, infatti,
compatibile, come già osservato, con la sola
ipotesi “fisiologica” in cui il
partecipante alla gara, essendo
autonomamente in possesso dei requisiti di
aggiudicazione, può riservarsi per la fase
esecutiva del contratto la facoltà di
subappaltare una parte delle lavorazioni;
nel caso in cui il subappalto rappresenti,
invece, lo strumento per acquisire requisiti
obbligatori mancanti, la riserva sul nome
del subappaltatore finisce per collidere con
la ragion d’essere e con il funzionamento
del sistema di qualificazione delineato dal
legislatore, tale apparente contraddizione
dovendo allora essere superata facendo
ricorso a criteri sistematici e teleologici
che valorizzino, piuttosto, la funzione e i
limiti connaturati all’istituto del
subappalto, attraverso il quale non possono
eludersi le norme tassative sul possesso dei
requisiti di partecipazione alla gara.
Non può dirsi d’altro canto, come, invece,
erroneamente ritenuto dai primi giudici,
che, aderendo all’opzione ermeneutica che
distingue il subappalto “facoltativo”
da quello “necessario”, ne risulti
violato il principio di tassatività delle
cause di esclusione sancito dall’art. 46,
co. 1-bis, del D.Lgs. n. 163/2006.
Nell’accezione sostanzialista fatta propria
dall’Adunanza Plenaria con la sentenza
07.06.2012, n. 21, il principio di
tassatività va inteso nel senso che
l’esclusione dalle gare possa essere
disposta non nei soli casi in cui
disposizioni del codice o del regolamento la
prevedano espressamente, ma anche nei casi
in cui dette disposizioni impongano
adempimenti doverosi ai concorrenti o
candidati, pur senza prevedere una espressa
sanzione di esclusione: e fra tali ipotesi
rientra senz’altro quella del possesso dei
titoli di qualificazione indispensabili per
l’esecuzione dei lavori oggetto
dell’appalto.
Merita, tuttavia, una espressa confutazione
l’obiezione con cui si lamenta che la tesi,
sin qui seguita dal Collegio, erroneamente
finirebbe per equiparare il subappalto
all’avvalimento sotto il profilo
della qualificazione.
A riguardo, va richiamata quella consolidata
giurisprudenza (Cons. St. Sez. IV,
30.10.2009, n. 6708; 12.06.2009, n. 3696;
22.09.2008, n. 4572) che, nel circoscrivere
i casi di esclusione dell’impresa offerente
che abbia dichiarato di volersi avvalere di
un subappaltatore alle sole fattispecie in
cui essa non disponga della qualificazione
in relazione ai lavori interessati dal
subappalto, implicitamente ammette che,
legittimamente, l’offerente possa ricorrere
al subappalto proprio allo scopo di
integrare requisiti di qualificazione di cui
non sia in possesso.
Peraltro, senza negare le differenze
strutturali che intercorrono tra l’avvalimento,
istituto elaborato dalla giurisprudenza
comunitaria, recepito dall’art. 47 della
direttiva 2004/18/CE e trasfuso nell’art. 49
del decreto legislativo n. 163 del 2006,
volto a consentire ad un imprenditore il
possesso mediato ed indiretto dei requisiti
di partecipazione ad una gara, ed il
subappalto, contratto secondario o
derivato, posto “a valle” del
contratto di appalto ed attinente alla sua
esecuzione, devono rilevarsi numerosi
profili della disciplina di cui agli artt.
37, comma 11 e 118 del codice sui contratti
pubblici che, sotto il profilo funzionale,
possono essere considerati indici di un
sostanziale inserimento del subappalto tra
gli strumenti idonei a garantire la maggiore
concorrenza tra gli operatori economici e
l’allargamento del mercato, nella
prospettiva propria dell’art. 47 della
direttiva 2004/18, al pari dell’avvalimento.
Tra questi meritano rilievo:
- l’inserimento del subappalto tra gli
strumenti che consentono la realizzazione di
lavori ad elevato contenuto tecnologico da
parte di soggetti affidatari non in grado di
eseguirli nell’art. 37, disciplinante i
raggruppamenti temporanei;
- l’obbligo a carico dei concorrenti, all’atto
dell’offerta, di indicare i lavori o le
parti di opere che intendono subappaltare,
con la conseguenza, in caso di mancata
indicazione, che l’autorizzazione al
subappalto non potrà essere accordata;
- l’obbligo di deposito presso la stazione
appaltante del contratto di appalto e della
certificazione attestante il possesso da
parte del subappaltatore dei requisiti di
qualificazione prescritti in relazione alla
prestazione subappaltata oltre alla
dichiarazione relativa al possesso dei
requisiti di ordine generale;
- l’insussistenza nei confronti del
subappaltatore dei divieti previsti
dall’art. 10 della legge n. 575/1965 e
successive modificazioni;
- l’autorizzazione al subappalto da parte della
stazione appaltante, previa verifica dei
requisiti in capo al subappaltatore; la
possibilità che la stazione appaltante
stabilisca nel bando di gara di
corrispondere direttamente al subappaltatore
l’importo dovuto per le sue prestazioni;
- l’obbligo per il subappaltatore di praticare
per le prestazioni affidate in subappalto
gli stessi prezzi unitari risultanti
dall’aggiudicazione;
- la responsabilità solidale dell’appaltatore
degli adempimenti da parte del
subappaltatore relativi agli obblighi di
sicurezza.
Si tratta di disposizioni e condizioni che,
nell’intento di ridurre i margini di
autonomia del rapporto
appaltatore–subappaltatore, attraendolo
sotto il controllo diretto della stazione
appaltante ed imponendo il rispetto di
regole di trasparenza volte a scongiurare i
rischi di aggiramento della disciplina
dell’evidenza pubblica tramite il
subingresso di un soggetto diverso da quello
scelto tramite la gara, tendono a stabilire
una relazione diretta tra committente e
subappaltatore.
Nel contempo esse soddisfano la finalità
dell’art. 47, p.2, della direttiva
2004/18/CE («Un operatore economico può,
se del caso e per un determinato appalto,
fare affidamento sulle capacità di altri
soggetti, a prescindere dalla natura
giuridica dei suoi legami con questi ultimi.
In tal caso deve dimostrare alla
amministrazione aggiudicatrice che disporrà
dei mezzi necessari, ad esempio mediante
presentazione dell’impegno a tal fine di
questi soggetti»), già sottolineata
dalla giurisprudenza comunitaria (Corte di
Giustizia C.E. 02.12.1999, n. 176), di
consentire all’autorità aggiudicatrice la
verifica delle capacità dei terzi ai quali
un prestatore, che non soddisfi da solo i
requisiti minimi prescritti per partecipare
alla procedura di aggiudicazione di un
appalto, intenda ricorrere, con lo scopo di
fornire garanzia che l’offerente avrà
effettivamente a disposizione i mezzi di cui
si avvarrà durante il periodo di durata
dell’appalto “a prescindere dalla natura
giuridica dei suoi legami” con
l’ausiliario e, quindi, anche in virtù di un
contratto di subappalto.
Correttamente, quindi, va considerato il
subappalto come strumento negoziale che,
pur differenziandosi dall’avvalimento
sotto il profilo strutturale, ha tuttavia in
comune la funzione di allargare la
possibilità di partecipazione alle gare da
parte di soggetti sforniti dei requisiti di
partecipazione (Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 13.03.2014 n. 1224 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI: Il
Collegio, pur dando conto del contrasto esistente in
giurisprudenza circa le conseguenze dell’omissione
dell’indicazione degli oneri per i rischi propri all’interno
dell’offerta economica, non ravvisa ragione di discostarsi
dai propri precedenti, in cui si è aderito all’orientamento
che consente l’applicazione del potere di soccorso, a tutela
della buona fede dei concorrenti, quando l’omessa
indicazione degli oneri per i rischi propri sia imputabile
alla stazione appaltante come conseguenza dell’imperfetta
redazione della lex specialis, così facendo proprio il
principio espresso nella sentenza del Cons. Stato, n.
3706/2013).
Più precisamente, si è affermato che la quantificazione a
posteriori degli oneri per i rischi è ammissibile a
condizione che i relativi costi siano desumibili in modo
oggettivo da documenti predisposti anteriormente alla
procedura. In tal caso, la commissione di gara, verificato
che tali costi non siano stati sottostimati, deve procedere
alla loro aggiunta, fittiziamente, all’offerta economica,
così da rideterminare di conseguenza il punteggio.
Ritenuto, dunque, di non abbandonare tale orientamento,
anche nel caso in esame si è constatato, in sede cautelare,
che il bando di gara richiedeva la formulazione dell’offerta
economica al netto dei costi per la sicurezza, nonostante
ciò non fosse corretto, essendo gli oneri per i rischi
propri una componente necessaria dell’offerta, da scorporare
solo per valutarne la congruità. Si è dunque ritenuto che la
lex specialis avesse indirizzato erroneamente i concorrenti
e che, in ragione di ciò, la commissione di gara fosse
tenuta a riesaminare l’offerta della ricorrente, previa
convocazione della stessa.
Ritenendo illegittima l’esclusione e gli atti
conseguenti, la ricorrente ha dedotto:
1. con riferimento all’esclusione, la violazione della lex
specialis, che non solo non conteneva indicazioni
sull’obbligo di esporre gli oneri per la sicurezza, ma, al
punto 8 del bando, prevedeva che l’offerta economica fosse
formulata con il massimo ribasso sull’importo a base di gara
“al netto degli oneri per l’attuazione dei piani della
sicurezza”;
2. l’illegittimità dell’invito a partecipare rivolto alla
controinteressata, in quanto quest’ultima, essendo il
gestore uscente, avrebbe dovuto essere pretermessa per il
principio di rotazione ex art. 57, comma 6, del Dlgs.
163/2006.
Rispetto al primo profilo, il Collegio, pur dando conto del
contrasto esistente in giurisprudenza circa le conseguenze
dell’omissione dell’indicazione degli oneri per i rischi
propri all’interno dell’offerta economica (cfr. Tar Milano
Sez. IV 09.01.2014 n. 36), non ravvisa ragione di
discostarsi dai propri precedenti, in cui si è aderito
all’orientamento che consente l’applicazione del potere di
soccorso, a tutela della buona fede dei concorrenti, quando
l’omessa indicazione degli oneri per i rischi propri sia
imputabile alla stazione appaltante come conseguenza
dell’imperfetta redazione della lex specialis, così facendo
proprio il principio espresso nella sentenza del Cons.
Stato, Sez. III, 10.07.2013 n. 3706).
Più precisamente, con le sentenze TAR Brescia Sez II 08.05.2013 n. 442 e TAR Brescia Sez. II 13.01.2014 n.
18, si è affermato che la quantificazione a posteriori degli
oneri per i rischi è ammissibile a condizione che i relativi
costi siano desumibili in modo oggettivo da documenti
predisposti anteriormente alla procedura. In tal caso, la
commissione di gara, verificato che tali costi non siano
stati sottostimati, deve procedere alla loro aggiunta, fittiziamente, all’offerta economica, così da rideterminare
di conseguenza il punteggio.
Ritenuto, dunque, di non abbandonare tale orientamento,
anche nel caso in esame si è constatato, in sede cautelare
(ordinanza n. 45/2014), che il bando di gara richiedeva la
formulazione dell’offerta economica al netto dei costi per
la sicurezza, nonostante ciò non fosse corretto, essendo gli
oneri per i rischi propri una componente necessaria
dell’offerta, da scorporare solo per valutarne la congruità.
Si è dunque ritenuto che la lex specialis avesse
indirizzato erroneamente i concorrenti e che, in ragione di
ciò, la commissione di gara fosse tenuta a riesaminare
l’offerta della ricorrente, previa convocazione della
stessa, determinando a posteriori gli oneri per i rischi
propri e valutandone la congruenza, come sopra precisato
(TAR Lombardia-Brescia, Sez. II,
sentenza 12.03.2014 n. 250 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI: Centrale
di committenza.
Domanda
Buongiorno, scrivo dall'Abruzzo e volevo chiedere se è
corretto che due Comuni che insieme non arrivano a 2.500
abitanti possono firmare una convenzione ad hoc creando tra
loro una centrale di committenza. Se non ho male
interpretato la legge del codice degli appalti, all'art. 33,
comma 3-bis, parla di minimo 5.000 abitanti.
Faccio presente che i due comuni condividono lo stesso
segretario comunale.
Risposta
L'art. 33, comma 3-bis, del dlgs n. 163/2006 stabilisce che:
«I Comuni con popolazione non superiore a 5.000 abitanti
ricadenti nel territorio di ciascuna Provincia affidano
obbligatoriamente ad un'unica centrale di committenza
l'acquisizione di lavori, servizi e forniture_».
Tale previsione normativa si applica ai Comuni con
popolazione fino a 5.000 abitanti indipendentemente dalla
distinzione tra Comuni «piccolissimi» (sino a 1.000
abitanti) e «piccoli» (da 1.001 a 5.000 abitanti).
Sotto il profilo territoriale è necessario che si tratti di
enti della medesima Provincia essendo esclusa la gestione
associata tra amministrazioni limitrofe site in due diversi
territori provinciali.
Il legislatore ha introdotto una forma di accentramento
della gestione delle gare al fine di eliminare i costi
inutili connessi alla frammentazione della fase di
acquisizione di lavori, servizi e forniture.
La normativa prevede che i piccoli Comuni debbano effettuare
i propri acquisti attraverso una Centrale di Committenza
associandosi nell'ambito di una Unione di Comuni o
consorziandosi con un apposito accordo consortile. Se le
Amministrazioni decidono di stipulare una convenzione ex
art. 30 Tuel, per la gestione associata delle funzioni
fondamentali, graverà su di esse l'obbligo di stipulare un
accordo consortile.
È in capo al Consorzio istituito l'obbligo di dare vita a un
proprio ufficio di committenza accentrata o comunque di
attribuire tale funzione ad uno dei Comuni consorziati quale
«capo-fila». In alternativa è possibile far ricorso a
strumenti elettronici, gestiti da altre centrali di
committenza, tra i quali la normativa stessa include le
convenzioni Consip e il Mercato elettronico della p.a.
Anche le acquisizioni in economia mediante procedura di
cottimo fiduciario, che quindi prevedono l'indizione di una
gara informale, devono essere effettuate attraverso le
centrali di committenza. Possano escludersi, dalla gestione
obbligatoria delle Centrali uniche di committenza, le
acquisizioni in economia mediante amministrazione diretta e
l'affidamento diretto per importi inferiori ai 40 mila euro
così come previsto dall'art. 125, commi 8 e 11, del dlgs n.
163/2006
(articolo ItaliaOggi Sette del
10.03.2014). |
APPALTI:
L'istituto dell'avvalimento deve essere pur
sempre contemperato con la esigenza di assicurare idonee
garanzie alla stazione appaltante per la corretta esecuzione
degli appalti.
Pur essendo pacifico in giurisprudenza il carattere
generalizzato dell'istituto dell'avvalimento, finalizzato a
favorire la massima partecipazione nelle gare di appalto e
la effettività della concorrenza secondo i principi di
rilievo comunitario, tale istituto deve essere pur sempre
contemperato con la esigenza di assicurare idonee garanzie
alla stazione appaltante per la corretta esecuzione degli
appalti.
Pertanto, nel caso di specie, è illegittima l'ammissione in
una gara di appalto di progettazione e di esecuzione lavori
di una ati, facente capo alla società che ha fatto ricorso
all'istituto dell'avvalimento (art. 49, del d lgs. n.
163/2006), in quanto:
a ) il criterio letterale posto dall'art. 49, per il quale
solo "il concorrente" singolo, consorziato o
raggruppato può ricorrere all'avvalimento trattandosi di un
istituto di soccorso al concorrente in sede di gara per cui
va escluso chi si avvale di soggetto ausiliario a sua volta
privo del requisito richiesto dal bando;
b) se il progettista indicato non è legato da un vincolo
negoziale con la stazione appaltante, a maggior ragione non
è legato il suo ausiliario che è soggetto terzo che non può
offrire alcuna garanzia alla amministrazione.
Solo il concorrente assume infatti obblighi contrattuali con
la p.a. appaltante tanto che l'ausiliario, a mente dell'art.
49, co. 2, lett. d), si obbliga verso il concorrente e la
stazione appaltante a mettere a disposizione le risorse
necessarie di cui è carente il concorrente mediante apposita
dichiarazione; inoltre l'ausiliario diventa ex lege
responsabile in solido con il concorrente in relazione alle
prestazioni oggetto del contratto (art. 49, co. 4). La
responsabilità solidale, che è garanzia di buona esecuzione
dell'appalto, può sussistere solo in quanto la impresa
ausiliaria sia collegata contrattualmente al concorrente
tant'è che l'art. 49 prescrive l'allegazione, già in
occasione della domanda di partecipazione, del contratto di
avvalimento mentre tale vincolo contrattuale diretto con il
concorrente e con la stazione appaltante non sussiste nel
caso in cui sia lo stesso ausiliario che ricorre ai
requisiti posseduti da terzi.
D'altro canto la estensione della categoria di "concorrente"
sino a comprendere l'ausiliario e/o il soggetto indicato dal
concorrente per la progettazione, comportando potenzialmente
una catena di avvalimenti di "ausiliari dell'ausiliario"
non consente un controllo agevole da parte della stazione
appaltante in sede di gara sul possesso dei requisiti dei
partecipanti (Consiglio di Stato, Sez. III,
sentenza 07.03.2014 n. 1072 - link a
www.dirittodeiservizipubblici.it). |
LAVORI PUBBLICI: Non
appare illegittimo l’operato dell’amministrazione che
approvi in un’unica soluzione il progetto definitivo ed
esecutivo dell’opera pubblica.
---------------
L'approvazione del progetto preliminare è adempimento
previsto, ai sensi dell’art. 128 del D.Lgs n. 163/2006, per
le sole opere pubbliche di importo superiore a euro
1.000.000,00.
Quanto al primo ricorso per motivi aggiunti, in relazione
alle tre censure ivi dedotte, è sufficiente richiamare
quanto rilevato nel provvedimento cautelare e quindi: che in
relazione alle opere da realizzare (cfr. per tutte TAR
Puglia Bari, sez. 2^ n. 594/2005 e 2919/2005) non appare
illegittimo l’operato dell’amministrazione che approvi in
un’unica soluzione il progetto definitivo ed esecutivo
dell’opera pubblica; che non risulta smentito che il
progetto preliminare sia stato approvato con delibera C.C.
del 31.03.2006, pur trattandosi di adempimento previsto, ai
sensi dell’art. 128 del D.Lgs n. 163/2006, per le sole opere
pubbliche di importo superiore a euro 1.000.000,00 (laddove
l’opera in questione è di importo ampiamente inferiore a
detto limite).
E, infine, quanto allo studio di fattibilità va richiamato
il disposto dell’art. 128 del d.Lgs. 163/2006, il quale
prevede che “Il programma triennale costituisce momento
attuativo di studi di fattibilità e di identificazione e
quantificazione dei propri bisogni che le amministrazioni
aggiudicatrici predispongono nell'esercizio delle loro
autonome competenze e, quando esplicitamente previsto, di
concerto con altri soggetti, in conformità agli obiettivi
assunti come prioritari”.
La norma non si riferisce quindi al singolo progetto ma allo
stesso programma triennale, che non è oggetto di impugnativa
e quindi la censura appare non solo generica ma inconferente,
ove indirizzata nei confronti del progetto approvato
(TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 06.03.2014 n. 602 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
La stazione appaltante che opera nei settori
speciali, seppur non vincolata all'applicazione delle norme
non espressamente indicate dall'art. 206 del D.Lgs. n.
163/2006, deve conformare la disciplina di gara ai principi
fondamentali in materia di appalti.
La stazione appaltante che opera nei settori speciali,
seppur non vincolata all'applicazione delle norme non
espressamente indicate dall'art. 206 del D.Lgs. n. 163 del
2006, deve tuttavia conformare la disciplina di gara,
nell'esercizio della facoltà discrezionale alla stessa
riconosciuta, coerentemente con i principi di
proporzionalità e di ragionevolezza, in modo da dettare una
disciplina congrua con l'oggetto della gara e con le
relative caratteristiche, non potendo la mera
riconducibilità dell'oggetto ai settori esclusi giustificare
l'applicazione della disciplina derogatoria a discapito
degli ulteriori principi, immanenti in materia di appalti,
del favor partecipationis, di non discriminazione,
della concorrenza e della economicità, quest'ultimo
costituente articolazione del principio generalissimo di
buon andamento, non essendo la scelta del contraente
finalizzata all'esclusivo interesse dell'Amministrazione, ma
volta anche alla tutela degli interessi degli operatori a
poter concorrere per il mercato e a potervi accedere.
L'art. 27 del D.Lgs. n. 163 del 2006 delinea, infatti,
attraverso l'indicazione dei principi fondamentali, la
disciplina generale degli appalti pubblici, che costituisce
parametro di legittimità delle relative procedure, anche con
riferimento ai settori speciali, in relazione ai quali
occorre comunque verificare se ricorra lo scopo di tutela
sotteso alla disciplina speciale e se la riconosciuta non
applicabilità di determinate disposizioni del Codice sia
coerente e compatibile con l'interesse sotteso alla gara.
---------------
L'art. 206 del D.Lgs. n. 163 del 2006 presenta, in tema di
cauzioni, un 'vuoto normativo' nell'escludere dalle
disposizioni applicabili ai settori speciali l'art. 75 del
D.Lgs. n. 163 del 2006, conseguentemente potendo le gare in
tali settori anche prescindere del tutto dalla necessità
della cauzione a garanzia dell'offerta.
Ne discende che essendo rimessa alla lex specialis di
ogni singolo appalto la predisposizione della normativa al
riguardo, tale facoltà deve essere esercitata nel rispetto
del nesso di necessarietà della deroga rispetto all'oggetto
dell'appalto e del principio di proporzionalità, da
coniugarsi con il perseguimento della tutela della
concorrenza e del principio di massima partecipazione,
dovendo la stazione appaltante stabilire le modalità di
prestazione della cauzione ed il relativo ammontare in modo
coerente con la natura e l'oggetto dell'appalto, dovendo
garantire ai partecipanti analoghe -rispetto a quelle dei
settori classici- condizioni di accesso alla gara laddove la
stessa non abbia quel carattere di specificità che ne
giustifica la deroga alla disciplina generale.
Se, quindi, l'art. 75 cit. non trova applicazione nei
settori esclusi e la stazione appaltante è libera di
determinarsi in merito, potendo addirittura escludere del
tutto legittimamente che venga prestata una cauzione, la
stessa stazione appaltante, nella determinazione della
lex specialis, deve orientare l'esercizio del proprio
potere discrezionale in senso coerente con i principi che
presiedono alle gare, la cui razionalità intrinseca è
soggetta al sindacato di legittimità (TAR Lazio-Roma, Sez.
II,
sentenza 05.03.2014 n. 2550 - link a
www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI:
Committente pubblico con solidarietà limitata.
Appalti. Nessuna corresponsabilità sugli adempimenti
previdenziali.
Il Dl 76/03,
come ha ricordato una recente
sentenza 05.03.2014 n. 1033 della Corte d'appello
di Milano (si legga anche il Sole 24 Ore di ieri), ha
previsto che le norme della legge Biagi non si applicano ai
contratti d'appalto stipulati dalle pubbliche
amministrazioni.
Tale esclusione comporta significative differenze con
riferimento al regime di responsabilità solidale applicabile
se il committente è privato o pubblico.
Per i contratti di appalto stipulati da un committente
privato, la legge prevede la responsabilità solidale del
committente per i crediti di lavoro dei dipendenti impiegati
nell'appalto, maturati dall'impresa appaltatrice (e dalle
eventuali subappaltatrici) in relazione al periodo di
esecuzione del contratto di appalto, entro il limite di due
anni dalla cessazione di quest'ultimo; tale solidarietà
comprende i trattamenti retributivi (comprese le quote di
Tfr), nonché i contributi previdenziali e i premi
assicurativi.
Il regime solidaristico è derogabile ad opera della
contrattazione collettiva, ma soltanto per i trattamenti
retributivi; la deroga è, infatti, esclusa con riferimento
ai contributi previdenziali e assicurativi.
Il quadro della responsabilità solidale è completato dalla
previsione di cui all'articolo 35, comma 28, della legge
248/2006 che disciplina l'ambito fiscale, coobbligando in
solido l'appaltatore e il subappaltatore, nel limite del
corrispettivo dovuto, per le ritenute sui redditi da lavoro
dipendente dovute da quest'ultimo.
Il committente non è responsabile in solido ma soggiace a
sanzioni amministrative per una sorta di culpa in vigilando;
dal regime solidaristico è escluso il versamento dell'Iva a
carico del subappaltatore e dell'appaltatore.
Il quadro normativo muta qualora il committente dell'appalto
sia una Pubblica amministrazione; in questo caso, infatti,
con l'introduzione del del Dl 76/2013 l'unica forma di
solidarietà sussistente tra committente e appaltatore è
quella contenuta nell'articolo 1676 del codice civile, la
quale soffre di significative limitazioni rispetto a quella
contenuta nella legge Biagi, in quanto non solo l'oggetto è
circoscritto esclusivamente al trattamento economico dovuto
dall'appaltatore ai propri dipendenti, con conseguente
esclusione degli adempimenti previdenziali, ma la
quantificazione del debito solidale si riferisce solo alla
somma ancora dovuta dal committente all'appaltatore al
momento della domanda dei lavoratori.
Con riferimento, invece, al regime di solidarietà
applicabile all'appaltatore e al subappaltatore di un
appalto pubblico, l'articolo 118 del Dl 163/2006 sancisce la
responsabilità solidale dell'affidatario in merito
all'osservanza del trattamento economico e normativo
stabilito dai contratti collettivi da parte dei
subappaltatori nei confronti dei loro dipendenti per le
prestazioni rese nell'ambito del subappalto (articolo Il Sole 24 Ore del
20.03.2014 - tratto da www.centrostudicni.it). |
APPALTI: Per il pubblico solidarietà nelle gare fino a luglio 2013.
L'obbligo è venuto meno solo con l'arrivo del Dl 76/2013.
Appalti. La Corte d'appello di Milano sulla responsabilità
per i crediti dei lavoratori.
Il regime
della responsabilità solidale negli appalti previsto dalla
legge Biagi (articolo 29, comma 2, decreto legislativo
276/03) si applica anche nelle ipotesi in cui il committente
dell'appalto di servizi sia un ente pubblico, quanto meno
per i periodi antecedenti l'approvazione del Dl 76/2013.
Lo ha stabilito la Corte d'appello di Milano, con
sentenza 05.03.2014 n. 1033,
con la quale ha respinto l'appello dell'Inpdap (oggi Inps),
committente nell'ambito di un appalto di servizi, condannata
in primo grado al pagamento delle differenze retributive e
del Tfr dei dipendenti dell'appaltatore, in solido con
quest'ultimo.
L'Istituto appellante lamentava l'erroneità della decisione
del Tribunale di Milano per non avere quest'ultimo
interpretato correttamente l'articolo 1 del Dlgs 276/2003, che
esclude l'applicabilità del decreto legislativo alle
pubbliche amministrazioni e al suo personale.
La Corte d'appello di Milano ha respinto questo argomento,
sostenendo che l'articolo 29, comma 2, del Dlgs 276/03,
disciplina un regime unitario di responsabilità solidale tra
appaltatore e committente, senza operare alcuna distinzione
tra committente pubblico e committente privato, né tra
contratto pubblico di appalto di servizi e contratto di
appalto di diritto comune.
Secondo la Corte, la norma invocata dall'ente pubblico
(articolo 1, comma 2, Dlgs 276/2003) si limita ad escludere l'appplicabilità
della riforma Biagi ai rapporti di lavoro dei dipendenti
delle Pa; il legislatore delegato, quindi, con tale norma si
è limitato ad escludere l'applicazione della riforma al
personale delle Pa.
La norma, aggiunge la sentenza, esclude dal campo di
applicazione del Dlgs 276/2003 le pubbliche amministrazioni
solo quando operano come datori di lavoro; nessuna
esclusione, invece, viene sancita per l'attività
contrattuale degli operatori, che sono considerati come
tutti gli altri agenti contrattuali.
In virtù di tali considerazioni, la Corte conclude per la
sussistenza della responsabilità solidale anche per l'ente
pubblico che ha stipulato un appalto di servizi.
La Corte esclude, inoltre, la possibilità di applicare al
caso sottoposto al suo esame la riforma legislativa
contenuta nell'articolo 9 del Dl 76/1913. Questa norma, dopo
avere esteso il regime di solidarietà di cui all'articolo 29
anche ai trattamenti retributivi dei lavoratori autonomi,
esclude l'applicabilità di tale regime ai contratti di
appalto stipulati dalle Pa.
Per la Corte di Milano, tuttavia, tale chiarimento non ha
natura interpretativa, posto che la stessa non si esprime in
termini di chiarificazione di una precedente statuizione
legislativa, e quindi è destinato a valere solo per i
rapporti contrattuali instaurati o comunque proseguiti dopo
la sua entrata in vigore, mentre non ha alcun impatto per i
rapporti iniziati e conclusi prima (articolo Il Sole 24 Ore del
19.03.2014). |
APPALTI:
L'omessa indicazione in sede di offerta economica
del separato costo da sostenere per gli oneri di sicurezza
non comporta di per sé l'esclusione dalla gara.
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Sugli obblighi di dichiarazione dei requisiti di moralità ex
art. 38, del d.lgs. n. 163 del 2006, nelle fattispecie
relative alla cessione di azienda o di ramo di azienda.
Nel caso di appalti non aventi ad oggetto l'esecuzione di
lavori pubblici -nei cui confronti si applica la norma
dettata ad hoc dall'art. 131 d.lgs. n 163 del 2006-
ed il cui bando di gara non contenga una comminatoria
espressa, l'omessa indicazione nell'offerta dello scorporo
matematico degli oneri di sicurezza per rischio specifico
non comporta di per sé l'esclusione dalla gara, ma rileva ai
soli fini dell'anomalia del prezzo offerto, nel senso che,
per scelta della stazione appaltante, il momento di
valutazione dei suddetti oneri non è eliso, ma è posticipato
al sub-procedimento di verifica della congruità dell'offerta
nel suo complesso.
---------------
Nelle fattispecie relative alla cessione di azienda o di
ramo di azienda, stante la non univocità della norma circa
l'onere dichiarativo dell'impresa (cui va aggiunta
l'incertezza degli indirizzi giurisprudenziali), in assenza
nella disciplina di gara di una specifica comminatoria di
esclusione, quest'ultima potrà essere disposta non già per
la mera omessa dichiarazione dei requisiti di moralità ex
art. 38 del d.lgs. n. 163 del 2006, prescritti per
l'ammissione alle procedure di affidamento di concessioni e
di appalti pubblici, ma soltanto là dove sia effettivamente
riscontrabile l'assenza del requisito in questione
(Consiglio di Stato, Sez. III,
sentenza 04.03.2014 n. 1030 - link a
www.dirittodeiservizipubblici.it). |
LAVORI PUBBLICI:
Sulla partecipazione alle gare anche alle imprese
prive della qualificazione nelle categorie scorporabili, se
in possesso della qualificazione nella categoria prevalente.
I concorrenti, a prescindere dalla forma che rivestano
(impresa singola, R.T.I. orizzontale o R.T.I. verticale), ai
fini della dimostrazione del possesso dei requisiti di
partecipazione alla gara, e per colmare eventuali carenze
sul piano delle qualificazioni prescritte dalla lex
specialis per le categorie scorporabili, possono
limitarsi a dichiarare di voler ricorrere al subappalto
[come prescritto dall'art. 118, c. 2, n. 1 del D.Lgs. n.
163/2006), che impone una generica dichiarazione in tal
senso], ove non si tratti di categorie scorporabili a
qualificazione obbligatoria (o categorie di opere speciali)
e ove venga dimostrato il possesso (da parte dell'impresa
singola o dell'impresa mandataria) della qualificazione
nella categoria prevalente con classifica idonea a
ricomprendere anche l'importo dei lavori delle categorie
scorporabili.
La conclusione trova riscontro nell'indirizzo recentemente
affermato dal Consiglio di Stato, che, muovendo dalla
premessa che "l'identificazione del subappaltatore e (la)
verifica del possesso da parte di questi di tutti i
requisiti richiesti dalla legge e dal bando (…)attiene solo
al momento dell'esecuzione" rileva (richiamando a
sostegno anche la determinazione dell'AVCP n. 4 del
10.10.2012) che "come voluto dall'art. 92 del d.p.r. n. 207
del 2010, "i requisiti relativi alle categorie
scorporabili non posseduti dall'impresa devono da questa
essere posseduti con riferimento alla categoria prevalente".
La stessa determinazione precisa che la normativa "non
comporta l'obbligo di indicare i nominativi dei
subappaltatori in sede di offerta, ma solamente di indicare
le quote che il concorrente intende subappaltare, qualora
non in possesso della qualificazione per le categorie
scorporabili".
Non può, quindi, nel caso che trovare applicazione la regola
generale dettata dall'art. 118 del d.lgs. n. 163 del 2006 e
dall'art. 109 del d.p.r. n. 207 del 2010, che non impongono
di indicare già in sede di qualificazione l'appaltatore,
rimandano anche il controllo dei requisiti al momento in cui
verrà depositato il contratto di subappalto.
Il principio generale ricavabile dall'art. 92, commi 1, 3 e
7, del D.P.R. n. 207/2010, consente -quindi- la
partecipazione anche alle imprese prive della qualificazione
nelle categorie scorporabili, se in possesso della
qualificazione nella categoria prevalente con classifica
adeguata a ricomprendere anche le lavorazioni appartenenti a
categorie scorporabili; e, dunque, consente in tal modo di
supplire, in sede di partecipazione, agli eventuali
requisiti mancanti per le categorie scorporabili (salva la
possibilità di subappaltare in fase di esecuzione dei
lavori) (TAR Sardegna, Sez. I,
sentenza 03.03.2014 n. 1969 - link a
www.dirittodeiservizipubblici.it). |
febbraio 2014 |
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APPALTI:
Non ha carattere direttamente interdittivo
l'informativa antimafia c.d. "atipica".
L'informativa antimafia c.d. "atipica", a differenza
di quella c.d. "tipica", non ha carattere
direttamente interdittivo, consentendo al più alla stazione
appaltante di valutare discrezionalmente se avviare o
proseguire i rapporti contrattuali, alla luce dell'idoneità
morale dell'imprenditore d'assumere la posizione di
contraente con la P.A. Sicché tal efficacia interdittiva può
se del caso scaturire dall'autonoma valutazione
discrezionale della P.A. (o, il che è lo stesso, nel caso di
specie dell'ente appaltante, qual è l'ANAS s.p.a,)
destinataria della predetta informativa prefettizia atipica.
È dunque assodato che quest'ultima, ancorché non priva di
effetti nei confronti della P.A., non ne comprime
interamente l'autonoma capacità di apprezzamento del dato
fornito, onde il mantenimento o la risoluzione del rapporto
contrattuale dev'esser comunque il frutto di una scelta
motivata della stazione appaltante.
È ben noto in giurisprudenza, il principio per cui non
serve, anche a fronte di un'informativa "atipica" una
motivazione molto ampia, se non quando la stazione
appaltante decidesse d'instaurare o di proseguire il
rapporto con l'impresa, pur a seguito dell'informativa che
la riguardi. La ragione di ciò risiede nella natura
dell'accertamento antimafia (prescindendo dagli effetti
automatici che la legge, a seconda dei casi, gli accorda, o
no), nonché nella correlata esigenza di tutelare in via
preferenziale, quand'anche con meccanismi di tipo
indiziario, la trasparenza e l'immunità del settore dei
pubblici appalti da fenomeni invasivi, anche interposti, da
parte della criminalità organizzata (Consiglio di Stato,
Sez. III,
sentenza 28.02.2014 n. 944 - link a
www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI: In
mancanza di una specifica previsione della lex specialis va
rilevato che non può identificarsi un obbligo di inclusione
nell'intestazione della cauzione provvisoria, riferito alle
imprese ausiliarie discendente dall'art. 49, d.lgs. n. 163
del 2006, posto che ivi, dopo aver contemplato un regime di
responsabilità solidale tra l'impresa avvalente e quella
ausiliaria, si dispone che il contratto di appalto è
comunque eseguito dall'impresa avvalente, a nome della quale
è rilasciato il certificato di esecuzione dei lavori.
Dunque, se lo stesso legislatore individua dunque
nell'impresa avvalente l'unico soggetto titolare del
contratto di appalto, risulta allora del tutto illogico
affermare che l'onere cauzionale deve gravare su di un
soggetto ulteriore e diverso, in ordine al quale rileva solo
il rapporto interno con l'avvalente medesimo, ferma restando
la predetta responsabilità solidale ex lege dell'ausiliario
nei confronti dell'amministrazione aggiudicatrice.
Con il secondo motivo di ricorso si
contesta la regolarità della polizza fideiussoria,
presentata a titolo di cauzione provvisoria, in quanto non
estesa anche all'impresa ausiliaria.
Il motivo è infondato.
In mancanza di una specifica previsione della lex specialis
va rilevato che non può identificarsi un obbligo di
inclusione nell'intestazione della cauzione provvisoria,
riferito alle imprese ausiliarie discendente dall'art. 49,
d.lgs. n. 163 del 2006, posto che ivi, dopo aver contemplato
un regime di responsabilità solidale tra l'impresa avvalente
e quella ausiliaria, si dispone che il contratto di appalto
è comunque eseguito dall'impresa avvalente, a nome della
quale è rilasciato il certificato di esecuzione dei lavori.
Dunque, se lo stesso legislatore individua dunque
nell'impresa avvalente l'unico soggetto titolare del
contratto di appalto, risulta allora del tutto illogico
affermare che l'onere cauzionale deve gravare su di un
soggetto ulteriore e diverso, in ordine al quale rileva solo
il rapporto interno con l'avvalente medesimo, ferma restando
la predetta responsabilità solidale ex lege
dell'ausiliario nei confronti dell'amministrazione
aggiudicatrice (cfr. in termini Tar Salerno 2517/2013, Tar
Catanzaro 868/2013, Tar L’Aquila 817/2013, Tar Catania
27/2013)
(TAR Puglia-Lecce, Sez. III,
sentenza 26.02.2014 n. 659 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI: Appalti, nessuno sconto.
In 10 giorni il vincitore deve provare i requisiti.
Il Consiglio di stato sulla natura dei termini in capo
all'aggiudicatario.
Anche il vincitore di un appalto ha l'obbligo di provare i
requisiti dichiarati, senza possibilità di deroga. Il
termine dei dici giorni è perentorio.
Lo afferma l'adunanza
plenaria del Consiglio di Stato nella
sentenza 25.02.2014 n. 10, risolvendo una questione dibattuta da tempo.
In particolare, l'art. 48, primo comma, del Codice dei
contratti pubblici, prevede che entro dieci giorni gli
offerenti sorteggiati (per la verifica a campione) debbano
produrre i documenti a comprova dei requisiti dichiarati,
pena l'esclusione dalla gara, la segnalazione all'Autorità
per la vigilanza sui contratti pubblici e l'escussione della
cauzione provvisoria. Nel secondo comma si stabilisce che la
richiesta dei documenti «è, altresì, inoltrata, entro dieci
giorni dalla conclusione delle operazioni di gara, anche
all'aggiudicatario e al concorrente che segue in
graduatoria, qualora gli stessi non siano compresi fra i
concorrenti sorteggiati».
La giurisprudenza del Consiglio di
stato è stata fino ad oggi costante nel ritenere che il
termine previsto dal primo comma dell'art. 48 del Codice, in
relazione alla verifica a campione, abbia natura perentoria
(tranne il caso di un oggettivo impedimento alla produzione
della documentazione non in disponibilità), mentre si è
divisa sulla natura del termine che viene assegnato
dall'amministrazione all'aggiudicatario nella procedura
prefigurata dal secondo comma dello stesso art. 48.
Secondo
un orientamento il secondo comma dell'art. 48, a differenza
del primo comma, non contempla un termine legale entro il
quale la documentazione richiesta dall'amministrazione deve
essere prodotta e quindi il termine non è perentorio. Il
termine di cui al secondo comma dovrebbe essere considerato,
mancando esigenze acceleratorie, meramente sollecitatorio, e
in tal senso si era espressa anche l'Autorità per la
vigilanza sui contratti pubblici con la determinazione n. 5
del 21.05.2009. Secondo un altro orientamento, invece, il
termine, anche del secondo comma, ha natura perentoria.
La pronuncia dell'adunanza plenaria sposa questa seconda
tesi affermando che in tal senso depone, a detta dei
giudici, il fatto che l'esigenza di celerità del
procedimento è propria anche della fase specifica in cui si
inserisce l'adempimento di cui all'art. 48, comma 2, che è
quella conclusiva della procedura che inizia con
l'aggiudicazione provvisoria e si conclude con la stipula
del contratto. Ad avviso dei giudici, inoltre, l'esigenza di
celerità e certezza deriva anche dalla «previsione del
condizionamento sequenziale degli adempimenti e dalla
preordinazione di termini per la verifica e approvazione
dell'aggiudicazione provvisoria, per l'inoltro della
richiesta di verifica dei requisiti da parte
dell'amministrazione e per la stipulazione, approvazione e
controlli del contratto».
Infine, il Consiglio di stato afferma che assumono comunque
particolare rilevanza i «principi generali di
tempestività ed efficacia delle procedure di affidamento, di
cui all'art. 2 del Codice, nel momento della conclusione
utile della lunga e complessa attività svolta in precedenza
per la scelta del contraente». Quindi il vincitore deve
entro dieci giorni provare i requisiti pena l'esclusione
dalla gara (articolo ItaliaOggi
dell'01.03.2014 - tratto da www.centrostudicni.it). |
APPALTI: Limiti al pagamento dei subappaltatori.
Crisi d'impresa. Crediti non prededucibili.
Nelle procedure
concorsuali non sono sempre prededucibili i crediti dei
subappaltatori.
Lo ha affermato il TRIBUNALE di Bolzano che,
con la
sentenza 25.02.2014, prendendo le
distanze dalla Cassazione, ha negato la prededucibilità del
credito di un subappaltatore per lavori affidati in base a
un contratto di appalto con un ente pubblico.
Il tribunale ricorda che il Codice degli appalti impone
all'ente pubblico appaltante di sospendere i pagamenti verso
l'appaltatore che non trasmetta le fatture quietanzate del
subappaltatore, dimostrando così di aver regolarmente
adempiuto ai propri obblighi nei confronti di quest'ultimo.
In forza di tale previsione, la Cassazione con la sentenza
3402/2012 ha riconosciuto il carattere prededucibile –e
quindi "preferenziale" rispetto agli altri crediti verso la
società fallita– del credito vantato dal subappaltatore.
Secondo la Cassazione, infatti, il pagamento in favore del
subappaltatore sarebbe «funzionale» al buon esito della
procedura (come richiesto dalla legge fallimentare),
costituendo la condizione di esigibilità del credito vantato
dalla società fallita nei confronti dell'ente pubblico
appaltante. In altre parole: se non sono soddisfatti i
subfornitori, l'ente pubblico non può a propria volta pagare
la società fallita; pertanto, il pagamento preferenziale dei
primi è un vantaggio per tutti i creditori sociali, che
beneficiano dell'incasso da parte della fallita.
Il tribunale di Bolzano contesta alle fondamenta il percorso
logico seguito dalla Cassazione.
Secondo il tribunale, in presenza di un fallimento
prevalgono rispetto al Codice dei contratti i principi
cardine che regolano lo svolgimento della procedura
concorsuale e che sanciscono la parità di trattamento tra i
diversi creditori sociali, fatte salve le cause legittime di
prelazione. Di conseguenza, la prededuzione potrà essere
riconosciuta (se sussistono i presupposti di legge) solo per
crediti sorti nel corso della procedura, mentre quelli sorti
in precedenza dovranno essere assoggettati alle regole del
concorso con tutti gli altri crediti.
Unica eccezione a questo criterio si può avere, per il
tribunale, quando permane il contratto tra ente pubblico
appaltante e società affidataria. In particolare, si tratta
del caso in cui la società sia assoggettata a una procedura
di concordato con continuità aziendale. In questo caso
infatti i contratti in corso di esecuzione non si sciolgono
ed è tutelato l'interesse della pubblica amministrazione
alla realizzazione dell'opera pubblica nei termini e alle
condizioni previste nell'appalto.
Infine, il tribunale sottolinea che non è scontato che le
somme dovute dall'ente appaltante siano sufficienti a
coprire le prestazioni dei subappaltatori. In questo caso,
riesce difficile immaginare un vantaggio per la procedura
fallimentare che giustifichi un trattamento preferenziale di
alcuni creditori (i subappaltatori) rispetto agli altri (articolo
Il Sole 24 Ore del
31.03.2014). |
APPALTI FORNITURE - CONSIGLIERI COMUNALI - ENTI
LOCALI: Va
accertata la non conformità a legge delle spese di
rappresentanza relative all’acquisto di panettoni e pandori
da donare ad anziani over 75 anni.
La nozione di spesa di rappresentanza si
configura quale voce di costo essenzialmente finalizzata ad
accrescere il prestigio e la reputazione della singola
pubblica amministrazione verso l’esterno. Le relative spese
devono assolvere il preciso scopo di consentire all’ente
locale di intrattenere rapporti istituzionali e di
manifestarsi all’esterno in modo confacente ai propri fini
pubblici.
Dette spese devono dunque rivestire il carattere
dell’inerenza, nel senso che devono essere strettamente
connesse con il fine di mantenere o accrescere il ruolo, il
decoro e il prestigio dell’ente medesimo, nonché possedere
il crisma dell’ufficialità, nel senso che esse finanziano
manifestazioni della pubblica amministrazione idonee ad
attrarre l’attenzione di ambienti qualificati o dei
cittadini amministrati al fine di ricavare i vantaggi
correlati alla conoscenza dell’attività amministrativa.
L’attività di rappresentanza ricorre in ogni manifestazione
ufficiale attraverso gli organi muniti, per legge o per
statuto, del potere di spendita del nome della pubblica
amministrazione di riferimento.
La violazione dei criteri finalistici testé indicati conduce
all’illegittimità della spesa sostenuta dall’ente per
finalità che fuoriescono dalla rappresentanza.
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La Sezione ha individuato i seguenti principi di carattere
procedimentale e sostanziale:
1) ciascun ente locale deve inserire, nell'ambito della
programmazione di bilancio, apposito capitolo in cui vengono
individuate le risorse destinate all'attività di
rappresentanza, anche nel rispetto dei vincoli di finanza
pubblica fissati dal legislatore; capitolo di bilancio che
deve essere reso autonomo rispetto ad altri al fine di
evitare commistioni contabili;
2) esulano dall’attività di rappresentanza quelle spese che
non siano strettamente finalizzate a mantenere o accrescere
il prestigio dell'ente verso l’esterno nel rispetto della
diretta inerenza ai propri fini istituzionali;
3) non rivestono finalità rappresentative verso l'esterno le
spese destinate a beneficio dei dipendenti o amministratori
appartenenti all'Ente che le dispongono;
4) le spese di rappresentanza devono essere congrue sia ai
valori economici di mercato sia rispetto alle finalità per
le quali la spesa è erogata;
5) l’attività di rappresentanza non deve porsi in contrasto
con i principi di imparzialità e di buon andamento, di cui
all'art. 97 della Costituzione.
---------------
Le spese di rappresentanza non possono
risolversi in regalie ricorrenti per le festività, né essere
a beneficio di soggetti interni all’ente.
Sono prive della qualificazione di spese di rappresentanza
quelle erogate in occasione e nell’ambito di normali
rapporti istituzionali a favore di soggetti che non sono
rappresentativi degli organi di appartenenza, ancorché
estranei all’Ente, e in generale quelle prive di funzioni
rappresentative verso l’esterno, quali quelle destinate a
beneficio dei dipendenti o amministratori appartenenti
all’Ente che le dispone.
Devono inoltre essere rigorosamente
giustificate con l’esposizione dell’interesse istituzionale
perseguito, della dimostrazione del rapporto tra l’attività
dell’ente e la spesa erogata, della qualificazione del
soggetto destinatario e dell’occasione della spesa.
Resta ferma la necessità di una congruità
della spesa sostenuta che va misurata senz’altro in
riferimento ai valori economici di mercato
(“non è comunque congruo mostrare
prodigalità attraverso celebrazioni e rinfreschi, e semmai è
richiesto il contrario, ossia l’evidenza di una gestione
accorta che rifugga gli sprechi e si concentri sull’adeguato
espletamento delle funzioni sue proprie”).
---------------
L'amministrazione comunale deve dunque
essere ristorata degli esborsi sostenuti per l’effettuazione
di tale tipologia di spese (e cioè l’acquisto di 105
panettoni e 105 pandori in occasione delle festività
natalizie 2012 per gli anziani over 75 del comune).
---------------
In via preliminare la Sezione osserva che nell’attuale
contesto congiunturale di coordinamento della finanza
pubblica e di crisi economica, le spese di rappresentanza,
in quanto non necessarie, sono da considerarsi come
recessive rispetto ad altre voci di spesa pubblica.
L’art. 6 comma 8 del D.L. 31.05.2010, n.78, convertito con
modificazioni nella legge 30.07.2010, n.122 ha disposto che
“A decorrere dall'anno 2011 le amministrazioni pubbliche
inserite nel conto economico consolidato della pubblica
amministrazione, come individuate dall'Istituto nazionale di
statistica (ISTAT) ai sensi del comma 3 dell'articolo 1
della legge 31.12.2009, n. 196, incluse le autorità
indipendenti, non possono effettuare spese per relazioni
pubbliche, convegni, mostre, pubblicità e di rappresentanza,
per un ammontare superiore al 20 per cento della spesa
sostenuta nell'anno 2009 per le medesime finalità”.
La legislazione finanziaria ha infatti previsto un taglio
lineare a regime di oltre l’80% rispetto alla spesa
sostenuta nell’anno 2009 per le seguenti tipologie:
relazioni pubbliche, convegni, mostre, pubblicità e
rappresentanza.
La normativa non ha definito le singole categorie di spesa,
per la concettualizzazione delle quali si deve far
riferimento al linguaggio comune e ai criteri elaborati
dalla giurisprudenza contabile ed amministrativa.
Dal punto di vista definitorio, si osserva che
la nozione di spesa di rappresentanza si configura
quale voce di costo essenzialmente finalizzata ad accrescere
il prestigio e la reputazione della singola pubblica
amministrazione verso l’esterno. Le relative spese devono
assolvere il preciso scopo di consentire all’ente locale di
intrattenere rapporti istituzionali e di manifestarsi
all’esterno in modo confacente ai propri fini pubblici.
Dette spese devono dunque rivestire il carattere
dell’inerenza, nel senso che devono essere strettamente
connesse con il fine di mantenere o accrescere il ruolo, il
decoro e il prestigio dell’ente medesimo, nonché possedere
il crisma dell’ufficialità, nel senso che esse finanziano
manifestazioni della pubblica amministrazione idonee ad
attrarre l’attenzione di ambienti qualificati o dei
cittadini amministrati al fine di ricavare i vantaggi
correlati alla conoscenza dell’attività amministrativa.
L’attività di rappresentanza ricorre in ogni manifestazione
ufficiale attraverso gli organi muniti, per legge o per
statuto, del potere di spendita del nome della pubblica
amministrazione di riferimento.
La violazione dei criteri finalistici testé
indicati conduce all’illegittimità della spesa sostenuta
dall’ente per finalità che fuoriescono dalla rappresentanza.
Sotto il profilo gestionale, l’economicità e l’efficienza
dell’azione della pubblica amministrazione impongono il
carattere della sobrietà e della congruità della spesa di
rappresentanza sia rispetto al singolo evento finanziato,
sia rispetto alle dimensioni e ai vincoli di bilancio
dell’ente locale che le sostiene.
La violazione dei criteri che presiedono alla sana gestione
finanziaria comporta il venir meno dei requisiti di
razionalità ed economicità cui l’attività amministrativa
deve sempre tendere ai sensi dell’art. 97 Cost.
Sotto il profilo contabile, l’art. 6, comma 8, del D.L.
citato impone una riduzione lineare dei singoli capitoli di
bilancio rispetto alla spesa sostenuta nell’anno 2009 per i
medesimi fini. La violazione del vincolo si traduce in una
grave irregolarità contabile per violazione diretta di
principi di ordine pubblico economico volti a salvaguardare
la tenuta dei conti pubblici della Repubblica Italiana.
Infine, sotto il profilo regolamentare, ogni pubblica
amministrazione dovrebbe dotarsi di regole che disciplinano
i casi e i modi in cui è sostenibile la spesa di
rappresentanza.
In maggior dettaglio, nell’autodeterminare le linee guida
per la propria attività, la Sezione ha
individuato i seguenti principi di carattere procedimentale
e sostanziale:
1) ciascun ente locale deve inserire, nell'ambito della
programmazione di bilancio, apposito capitolo in cui vengono
individuate le risorse destinate all'attività di
rappresentanza, anche nel rispetto dei vincoli di finanza
pubblica fissati dal legislatore; capitolo di bilancio che
deve essere reso autonomo rispetto ad altri al fine di
evitare commistioni contabili.
2) esulano dall’attività di rappresentanza quelle spese che
non siano strettamente finalizzate a mantenere o accrescere
il prestigio dell'ente verso l’esterno nel rispetto della
diretta inerenza ai propri fini istituzionali.
3) non rivestono finalità rappresentative verso l'esterno le
spese destinate a beneficio dei dipendenti o amministratori
appartenenti all'Ente che le dispongono.
4) le spese di rappresentanza devono essere congrue sia ai
valori economici di mercato sia rispetto alle finalità per
le quali la spesa è erogata.
5) l’attività di rappresentanza non deve porsi in contrasto
con i principi di imparzialità e di buon andamento, di cui
all'art. 97 della Costituzione.
...
Dal prospetto redatto secondo lo schema tipo individuato da
D.M. 23.01.2012, sulla scorta della documentazione acquisita
nel corso dell’istruttoria, risultano non conformi a legge e
ai criteri individuati dalla Sezione, le voci di spesa che
seguono: Acquisto panettoni per anziani oltre 75 anni,
euro 987,00.
Nel merito del caso in esame, la Sezione osserva che
la spesa per l’acquisto di dolciumi natalizi si
configura come mero atto di liberalità nei confronti di
soggetti che l’amministrazione comunale indica come persone
ultra settantacinquenni in condizioni di difficoltà. L’atto
di donazione da parte della P.A. ai privati è sempre
possibile qualora si ravvisino ragioni di particolare
interesse pubblico, posto che alla prestazione resa con
denaro pubblico non corrisponde un sacrificio del
beneficiario. Tuttavia, la mera liberalità in occasione di
festività natalizie non rientra nel novero delle spese di
rappresentanza, nei termini sopra indicati e deve trovare
altra allocazione nel bilancio dell’ente.
La predetta spesa si riferisce all’acquisto di 105 panettoni
e 105 pandori in occasione delle festività natalizie 2012
per gli anziani over 75 del comune di Idro. Ad ogni buon
conto si osserva che i residenti con età uguale o superiore
a 75 anni risultano essere (nel 2012) 167 al 31.12.2012
(Fonte Istat).
Al riguardo, la Sezione ribadisce che le
spese di rappresentanza non possono risolversi in regalie
ricorrenti per le festività, né essere a beneficio di
soggetti interni all’ente.
Sono prive della qualificazione di spese di rappresentanza
quelle erogate in occasione e nell’ambito di normali
rapporti istituzionali a favore di soggetti che non sono
rappresentativi degli organi di appartenenza, ancorché
estranei all’Ente, e in generale quelle prive di funzioni
rappresentative verso l’esterno, quali quelle destinate a
beneficio dei dipendenti o amministratori appartenenti
all’Ente che le dispone
(Corte dei Conti - Sez. Giurisdizionale Regione Veneto,
22.11.1996 n. 456 e Sez. Giurisdizionale Emilia Romagna,
05.06.1997 n. 326).
Devono inoltre essere rigorosamente
giustificate con l’esposizione dell’interesse istituzionale
perseguito, della dimostrazione del rapporto tra l’attività
dell’ente e la spesa erogata, della qualificazione del
soggetto destinatario e dell’occasione della spesa.
Resta ferma la necessità di una congruità
della spesa sostenuta che va misurata senz’altro in
riferimento ai valori economici di mercato
(“non è comunque congruo mostrare
prodigalità attraverso celebrazioni e rinfreschi, e semmai è
richiesto il contrario, ossia l’evidenza di una gestione
accorta che rifugga gli sprechi e si concentri sull’adeguato
espletamento delle funzioni sue proprie”
– Sez. Giurisdizionale Abruzzo n. 394/2008).
La Sezione osserva che l’amministrazione
comunale deve dunque essere ristorata degli esborsi
sostenuti per l’effettuazione di tale tipologia di spese
(Corte dei Conti, Sez. controllo Lombardia,
deliberazione 24.02.2014 n. 93). |
APPALTI: Subappalti, pagamenti diretti.
Se l'appaltatore è in crisi, può provvedere l'appaltante.
DESTINAZIONE ITALIA/Le novità relative al settore
infrastrutture e opere pubbliche
Possibile il pagamento diretto dei subappaltatori da parte
della stazione appaltante se l'appaltatore è in crisi
finanziaria e ritarda i pagamenti oppure se si è in pendenza
di una procedura di concordato preventivo con continuità
aziendale; previsti indennizzi per le imprese che subiscono
danni nei cantieri delle opere infrastrutturali (con due
milioni per il 2014 e 5 per il 2015); al via l'anagrafe
delle risorse Cipe revocate.
Sono queste alcune delle previsioni contenute nell'articolo
13 del decreto-legge 145/2013 «Destinazione Italia»,
convertito nella legge n. 9/2014 (pubblicata sulla Gazzetta
Ufficiale n. 43 del 21/02/2014) relative al settore delle
infrastrutture e delle opere pubbliche.
Una delle norme di maggiore rilievo è quella che prevede
indennizzi in caso di danneggiamenti nei cantieri in cui si
realizzano opere infrastrutturali ricomprese nel programma
delle infrastrutture strategiche (Pis) della ex legge
Obiettivo.
Si tratta di una disposizione che ha subito modifiche nei
diversi passaggi parlamentari; in particolare, alla Camera è
stato previsto che l'indennizzo si possa disporre non in
automatico, ma attraverso un decreto ad hoc del ministero
delle infrastrutture. Si introduce quindi la possibilità di
assegnare un indennizzo alle imprese che subiscono danni ai
materiali, alle attrezzature e ai beni strumentali «come
conseguenza di delitti non colposi commessi al fine di
ostacolare o rallentare l'ordinaria esecuzione delle
attività di cantiere».
Dal momento che questi fatti finiscono per pregiudicare il
corretto adempimento delle obbligazioni assunte per la
realizzazione dell'opera, il legislatore dispone la
possibilità di indennizzo, ma ne subordina l'effettiva
operatività all'emanazione di un apposito decreto del
ministro delle infrastrutture e dei trasporti, di concerto
con il ministro dell'economia e delle finanze, con il quale
si disporrà l'indennizzo. Come vincolo si precisa che
l'indennizzo potrà essere concesso per una quota della parte
eccedente le somme liquidabili dall'assicurazione stipulata
dall'impresa o, se l'impresa non fosse assicurata, per una
quota del danno subito. Per la concreta applicazione della
norma si stanziano due milioni per il 2014 e cinque per il
2015.
Un'altra disposizione di particolare rilievo è prevista,
sempre all'articolo 13, per la disciplina del subappalto
(contenuta nell'articolo 118 del Codice dei contratti). In
particolare si consente alla stazione appaltante, in
particolari condizioni, anche in deroga alle previsioni del
bando di gara, di provvedere al pagamento diretto delle
prestazioni effettuate dal subappaltatore, dal cottimista
nonché dalle società, anche consortili, eventualmente
costituite per l'esecuzione unitaria dei lavori. Si tratta
in particolare dei casi in cui l'impresa titolare del
contratto principale versi in situazione di crisi di
liquidità finanziaria, comprovata da reiterati ritardi nei
pagamenti dei subappaltatori, o dei cottimisti e accertata
dalla stazione appaltante.
L'articolo 13 stabilisce inoltre,
nella pendenza di una procedura di concordato preventivo con
continuità aziendale, la possibilità per la stazione
appaltante, anche per i contratti di appalto in corso, di
provvedere ai pagamenti dovuti per le prestazioni eseguite
dagli eventuali diversi soggetti che costituiscano
l'affidatario,quali le mandanti, e dalle società, anche
consortili, eventualmente costituite per l'esecuzione
unitaria dei lavori dai subappaltatori e dai cottimisti,
secondo le determinazioni del Tribunale competente per
l'ammissione alla procedura di concordato.
Viene poi estesa l'applicazione delle norme sullo svincolo
automatico delle garanzie di buona esecuzione relative alle
opere in esercizi a tutti i contratti aventi ad oggetto
opere pubbliche, anche se stipulati anteriormente
all'entrata in vigore del Codice dei contratti pubblici. In
particolare la disposizione, che tende ad assicurare
uniformità di disciplina per tutte le opere pubbliche,
comprende nell'ambito di applicazione della disciplina sullo
svincolo delle cauzioni, anche i cosiddetti «settori
esclusi», o sarebbe meglio dire «speciali», cioè quelli
dell'acqua, dell'energia e dei trasporti che non applicano
integralmente le disposizioni del codice dei contratti
pubblici e del regolamento attuativo.
Infine si introduce l'anagrafe pubblica delle revoche dei
fondi Cipe, che dovranno essere pubblicate su un sito
internet del Cipe stesso con riferimento ai singoli
provvedimenti normativi con i quali, a partire dal
01.01.2010, sono state revocate le assegnazioni (articolo ItaliaOggi Sette
del 24.02.2014 - tratto da www.centrostudicni.it). |
APPALTI: Milleproroghe.
Centrale unica a rischio.
L'entrata in vigore dell'obbligatorietà della costituzione
della Centrale unica di committenza per i comuni con
popolazione inferiore a 5 mila abitanti è stata nuovamente
prorogata al 30.06.2014 da un emendamento approvato in
senato al decreto milleproroghe.
È bene ricordare che l'art.
33, comma 3-bis, del Codice unico degli appalti il stabilisce
l'obbligo per i comuni con popolazione non superiore a 5
mila abitanti (ricadenti nel territorio di ciascuna
provincia) di costituire un'unica centrale di committenza
per l'acquisizione di lavori, servizi e forniture
nell'ambito delle unioni dei comuni, di cui all'articolo 32
del dlgs n. 267/2000 ovvero costituire un apposito accordo
consortile tra i comuni stessi.
La ratio della disposizione
risiede nella volontà del Legislatore di favorire la
gestione delle attività, delle funzioni e dei compiti in
forma associata, favorendo -nel contempo- un processo di
razionalizzazione della spesa, un più efficiente impiego
delle risorse umane e strumentali a disposizione ed una
maggiore efficacia dell'azione amministrativa.
Tuttavia,
tale proroga (introdotta anche su richiesta dell'Anci)
potrebbe non entrare in vigore definitivamente; infatti la
caduta del governo Letta a seguito delle dimissioni del
presidente del consiglio e la conseguente procedura di
nomina di un nuovo esecutivo e l'ottenimento della fiducia
da parte del parlamento possono mettere a repentaglio il
percorso del decreto Milleproroghe attualmente alla camere
il quale dovrà essere convertito definitivamente in legge
entro il prossimo 28 febbraio. In caso di mancata
conversione, gli enti locali dovranno provvedere
immediatamente alla costituzione della Centrale unica al
fine di ottemperare agli obblighi di legge.
Per quanto riguarda i bandi pubblicati dal 1° gennaio ad
oggi, si ritiene che, anche in caso di mancata conversione
del decreto, agli stessi possano essere applicate le norme
precedenti in quanto l'annullamento delle procedure per il
venir meno della proroga potrebbe comportare una lesione
dell'interesse pubblico generale sotteso all'azione
amministrativa (articolo ItaliaOggi del
21.02.2014). |
AMBIENTE-ECOLOGIA - APPALTI - EDILIZIA PRIVATA - LAVORI
PUBBLICI: G.U.
21.02.2014 n. 43 "Testo
del decreto-legge 23.12.2013, n. 145, coordinato con la
legge di conversione 21.02.2014, n. 9, recante:
«Interventi urgenti di avvio del piano “Destinazione
Italia”, per il contenimento delle tariffe elettriche e del
gas, per l’internazionalizzazione, lo sviluppo e la
digitalizzazione delle imprese, nonché misure per la
realizzazione di opere pubbliche ed EXPO 2015»". |
APPALTI:
Esclusa dalla gara l’impresa che omette la
sigillatura del plico contenente l'offerta.
Oggetto del contendere, in questa pronuncia della quinta
sezione del Consiglio di Stato, è la legittimità
dell'esclusione dalla gara dell'impresa che abbia omesso la
sigillatura del plico contenente l'offerta.
Su questo argomento, i giudici di Palazzo Spada ricordano
che l'art. 46. c.1-bis, del D.L.vo 163 del 2006, dispone che
"la stazione appaltante esclude i candidati o i
concorrenti in … in caso di non integrità del plico
contenente l'offerta o la domanda di partecipazione o altre
irregolarità relative alla chiusura dei plichi, tali da far
ritenere, secondo le circostanze concrete, che sia stato
violato il principio di segretezza delle offerte".
Nel caso in commento, senza timbratura e controfirma,
quindi, non può sussistere certezza che la sigillatura su
quel lembo sia stata opposta all'origine dal mittente che
dispone del timbro e della firma; né può sussistere la
certezza che, dopo la spedizione, un lembo del plico non sia
stato aperto e solo successivamente sigillato con il nastro
adesivo.
Gli adempimenti prescritti assicurano, infatti, secondo i
giudici d’appello, l'autenticità della chiusura originaria
proveniente dal mittente e, evitando la manomissione del
contenuto del plico, garantiscono la segretezza
dell'offerta, con la conseguente legittimità dell'esclusione
dalla gara dell'impresa che abbia omesso la sigillatura del
plico contenente l'offerta medesima; e che rientra nel
potere dell'Amministrazione fissare le regole di svolgimento
della gara pubblica, comprese quelle che attengono alle
modalità di presentazione delle offerte; tale potere sfugge
al sindacato giurisdizionale salva la sua manifesta
irragionevolezza, irrazionalità ed illogicità, che non
sussistono nel caso in cui sia per essa richiesta una doppia
formalità, e cioè la sigillatura del plico e la controfirma
sui lembi di chiusura, in quanto ragionevolmente finalizzata
non solo ad evitare il rischio della manomissione del plico
e dell'alterazione del suo contenuto, garanzia alla quale è
preposta la sigillatura, ma anche a garantire la effettiva
provenienza del plico e dell'offerta, garanzia cui è
preposta la controfirma sui lembi di chiusura (commento
tratto da www.documentazione.ancitel.it -
Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 20.02.2014 n. 828 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI FORNITURE - CONSIGLIERI COMUNALI - ENTI
LOCALI:
Le spese di rappresentanza non possono essere
destinate a beneficio personale dei dipendenti e/o
amministratori dell’ente che le dispone.
Infatti, non è configurabile il presupposto della
“rappresentatività” quando le spese sono effettuate in
favore dei dipendenti o degli amministratori operanti per
l’ente medesimo.
Le spese devono essere caratterizzate da un legame con il
fine istituzionale dell’ente, oltre alla necessità effettiva
per il medesimo di ottenere una proiezione esterna
dell’amministrazione o di intrattenere relazioni pubbliche
con soggetti estranei nell’ambito dei normali rapporti
istituzionali.
---------------
Quanto alle spese prese in considerazione dall’istruttoria e
dalla presente deliberazione, sul punto è consolidato
l’orientamento della Magistratura contabile secondo cui
le spese in questione non possono essere destinate a
beneficio personale dei dipendenti e/o amministratori
dell’ente che le dispone. Infatti, non è configurabile il
presupposto della “rappresentatività” quando le spese
sono effettuate in favore dei dipendenti o degli
amministratori operanti per l’ente medesimo. Le spese di
rappresentanza devono essere caratterizzate da un legame con
il fine istituzionale dell’ente, oltre alla necessità
effettiva per il medesimo di ottenere una proiezione esterna
dell’amministrazione o di intrattenere relazioni pubbliche
con soggetti estranei nell’ambito dei normali rapporti
istituzionali.
Tali spese sono pertanto finalizzate ad apportare vantaggi
che l’ente trae dall’essere conosciuto, quindi, non possono
risolversi in mera liberalità né essere a beneficio di
soggetti interni all’ente.
Sono prive della qualificazione di spese di
rappresentanza quelle erogate in occasione e nell’ambito di
normali rapporti istituzionali a favore di soggetti che non
sono rappresentativi degli organi di appartenenza, ancorché
estranei all’Ente, e in generale quelle prive di funzioni
rappresentative verso l’esterno, quali quelle destinate a
beneficio dei dipendenti o amministratori appartenenti
all’Ente che le dispone
(Corte dei Conti - Sez. Giurisdizionale Regione Veneto,
22.11.1996 n. 456 e Sez. Giurisdizionale Emilia Romagna,
05.06.1997 n. 326).
Devono inoltre essere rigorosamente
giustificate con l’esposizione dell’interesse istituzionale
perseguito, della dimostrazione del rapporto tra l’attività
dell’ente e la spesa erogata, della qualificazione del
soggetto destinatario e dell’occasione della spesa.
Resta ferma la necessità di una congruità della spesa
sostenuta che va misurata senz’altro in riferimento ai
valori economici di mercato
(“non è comunque congruo mostrare
prodigalità attraverso celebrazioni e rinfreschi, e semmai è
richiesto il contrario, ossia l’evidenza di una gestione
accorta che rifugga gli sprechi e si concentri sull’adeguato
espletamento delle funzioni sue proprie”
– Sez. Giurisdizionale Abruzzo n. 394/2008) (Corte dei
Conti, Sez. controllo Lombardia,
deliberazione 20.02.2014 n. 88). |
APPALTI: S.
Metrangolo,
Processo amministrativo: sull’ammissibilità di un’azione
risarcitoria e sulla responsabilità della Pubblica
Amministrazione in punto di procedure di aggiudicazione dei
contratti pubblici
(20.02.2014 - link a www.filodiritto.com). |
ENTI
LOCALI: Fatturazione elettronica obbligata da giugno 2015.
Agenda digitale. Comuni, province e regioni hanno 16 mesi
per adeguarsi.
L'obbligo
della fatturazione elettronica per le amministrazioni locali
decorre dal 06.06.2015. Comuni, province e regioni
avranno dunque oltre 16 mesi per adeguarsi e cominciare a
far viaggiare le fatture sulle piattaforme informatiche
messe a punto da Entrate e Sogei per tutti i loro fornitori.
A fissare nero su bianco la data da cui decorrerà l'obbligo
previsto dalla Finanziaria 2008 sia per le amministrazioni
centrali sia per quelle locali, è ora un decreto attuativo
messo a punto dal ministro dell'Economia e da quello per la
Pubblica amministrazione e la Semplificazione e domani al
parere definitivo della conferenza unificata.
Poche righe ma che completano il quadro normativo per far
decollare una volta per tutte la "terza gamba" dell'Agenda
digitale italiana: quella della fatturazione elettronica
(Identità digitale e anagrafe nazionale della popolazione
residente sono le altre due). E su cui a scommetterci non è
solo la macchina amministrativa ma anche i privati. Tra
questi il Consorzio Cbi cui aderiscono 600 istituti
finanziari che offrono servizi a oltre 920mila imprese. In
un contesto in cui la priorità per recuperare risorse passa
per il taglio dei costi nella Pa, come ricorda il direttore
generale del Consorzio, Liliana Fratini Passi «con
l'introduzione della fatturazione elettronica verso la Pa si
possono ottenere risparmi diretti per oltre un miliardo di
euro l'anno (se si considerano solo gli impatti interni alle
Pa) e di circa 1,6 miliardi se si vogliono considerare anche
i potenziali effetti sui fornitori della Pa stessa».
C'è poi un risvolto difficile da quantificare ma che
potrebbe dare comunque risultati eclatanti: la trasparenza e
la tracciabilità dei pagamenti con la fatturazione
elettronica sono un'arma in più per il contrasto
all'evasione fiscale e al sommerso. Ma come sempre accade i
buoni propositi e le best practices in Italia non sempre
trovano riscontri immediati. Il Direttore generale del
Consorzio precisa che gli «enti che si sono dichiarati
disponibili alla ricezione di fatture elettroniche
attualmente sono al di sotto delle aspettative. Da una
verifica al 12 febbraio scorso le ammministrazioni
registrate ai servizi di fattura elettronica sono soltanto
50 e di queste solo 14 Pa centrali».
Eppure la macchina e gli istituti finanziari che aderiscono
al Consorzio sono pronti. Già dal 6 dicembre scorso,
conclude il Dg di Cbi, è disponibile la funzione «Fattura PA»
che consente a un consorziato di interfacciarsi con il
sistema di interscambio dell'agenzia delle Entrate gestito
da Sogei per l'invio delle fatture elettroniche per conto
dei propri clienti aziende creditrici, così come la
ricezione di fatture elettroniche per conto delle proprie
clienti pubbliche amministrazioni debitrici.
Tutto pronto dunque, ora tocca alla macchina statale e
locale mettersi in gioco (articolo Il Sole 24 Ore del 19.02.2014). |
APPALTI:
Sulla scelta del criterio più idoneo per
l'aggiudicazione di un appalto.
La scelta del criterio più idoneo per l'aggiudicazione di un
appalto costituisce espressione tipica della discrezionalità
amministrativa e, in quanto tale, è sottratta al sindacato
del giudice amministrativo, tranne che, in relazione alla
natura ed all'oggetto del contratto, non sia manifestamente
illogica o basata su travisamento di fatti.
Le stazioni appaltanti, in sostanza, scelgono tra i due
criteri (criterio del prezzo più basso o il criterio
dell'offerta economicamente più vantaggiosa) quello più
adeguato in relazione alle caratteristiche dell'oggetto del
contratto in quanto la specificazione del tipo di
prestazione richiesta e delle sue caratteristiche peculiari
consente di determinare correttamente ed efficacemente il
criterio più idoneo all'individuazione della migliore
offerta.
Va da sé che il criterio del prezzo più basso, in cui assume
rilievo la sola componente prezzo, può presentarsi adeguato
esclusivamente quando l'oggetto del contratto abbia
connotati di ordinarietà e sia caratterizzato da elevata
standardizzazione in relazione alla diffusa presenza sul
mercato di operatori in grado di offrire in condizioni
analoghe il prodotto richiesto, mentre nelle altre
fattispecie è arduo ipotizzare che un sia pur minimo rilievo
agli aspetti qualitativi della prestazione offerta sia
indifferente per la scelta del contraente (TAR Lazio-Roma,
Sez. II-ter,
sentenza 17.02.2014 n. 1871 - link a
www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI:
Sull'inesistenza dell'obbligo di dichiarare, ai
sensi dell'art. 38 del d.lgs. n. 163/2006, le pronunce di
condanna per cui è intervenuta la riabilitazione o
l'estinzione del reato.
Ai sensi dell'art. 38, c. 1, lett. c), del d.lgs. n.
163/2006, non sussiste l'obbligo di dichiarare le pronunce
di condanna per cui è intervenuta la riabilitazione o
l'estinzione del reato. Pertanto, nel caso di specie, deve
essere esclusa la legittimità della previsione della "lex
specialis" di dichiarare anche le sentenze di condanna
per le quali sia intervenuta la riabilitazione, in quanto
ingiustificatamente gravatoria (Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 17.02.2014 n. 736 - link a
www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI:
L'onere di immediata impugnazione del bando di
concorso è circoscritto al caso della contestazione di
clausole escludenti, riguardanti requisiti di partecipazione
che siano ex se ostative all'ammissione dell'interessato
ovvero, al più, impositive, ai fini della partecipazione, di
oneri manifestamente incomprensibili o del tutto
sproporzionati per eccesso, rispetto ai contenuti della
procedura concorsuale o che comportino l'impossibilità, per
l'interessato, di accedere alla procedura e il conseguente
arresto procedimentale.
Infatti, i bandi di gara, di concorso e le lettere di invito
vanno di regola impugnati unitamente agli atti che di essi
fanno applicazione, dal momento che sono questi ultimi ad
identificare in concreto il soggetto leso dal provvedimento
e a rendere attuale e concreta la lesione della situazione
soggettiva dell'interessato. Ogni diversa questione
riguardante l'illegittimità della procedura di gara può e
deve essere proposta unitamente agli atti che facciano
diretta applicazione delle clausole dimostratesi lesive
(provvedimento di esclusione o dell'aggiudicazione del
contratto o di altro provvedimento che segni comunque, per
l'interessato, un arresto procedimentale), rendendo attuale
e concreta la lesione della situazione soggettiva
dell'interessato.
L’eccezione non merita accoglimento.
La giurisprudenza amministrativa ha da tempo chiarito (Cfr.
Cons. stato, Ad. Plen., 29.01.2003, n. 1) che l'onere
di immediata impugnazione del bando di concorso è
circoscritto al caso della contestazione di clausole
escludenti, riguardanti requisiti di partecipazione che
siano ex se ostative all'ammissione dell'interessato ovvero,
al più, impositive, ai fini della partecipazione, di oneri
manifestamente incomprensibili o del tutto sproporzionati
per eccesso, rispetto ai contenuti della procedura
concorsuale o che comportino l'impossibilità, per
l'interessato, di accedere alla procedura e il conseguente
arresto procedimentale (ex plurimis, Cons. Stato, Sez. V, 21.11.2011, n. 6135).
Infatti, i bandi di gara, di concorso e le lettere di invito
vanno di regola impugnati unitamente agli atti che di essi
fanno applicazione, dal momento che sono questi ultimi ad
identificare in concreto il soggetto leso dal provvedimento
e a rendere attuale e concreta la lesione della situazione
soggettiva dell'interessato. Ogni diversa questione
riguardante l'illegittimità della procedura di gara può e
deve essere proposta unitamente agli atti che facciano
diretta applicazione delle clausole dimostratesi lesive
(provvedimento di esclusione o dell'aggiudicazione del
contratto o di altro provvedimento che segni comunque, per
l'interessato, un arresto procedimentale), rendendo attuale
e concreta la lesione della situazione soggettiva
dell'interessato (cfr. TAR Molise, 05.02.2013, n. 36).
Nel caso di specie, la clausola di cui all’art. I.10, comma
3.b dell’avviso non rientrava tra quelle dettate in materia
di requisiti di partecipazione, né imponeva obblighi
sproporzionati o incomprensibili, limitandosi a dettare una
regola di natura meramente operativa relativa alle modalità
concrete di presentazione della domanda di ammissione.
Tale clausola ha assunto efficacia lesiva dell’interesse
della ricorrente solo allorquando è stata concretamente
applicata all’offerta della ricorrente, determinandone
l’esclusione per violazione dell’adempimento contestato.
Ne deriva che la clausola doveva essere impugnata unitamente
al provvedimento attuativo, come puntualmente ed
espressamente fatto dalla ricorrente
(TAR Molise,
sentenza 17.02.2014 n. 119 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
A. Giardetti,
Principali interventi normativi in materia di centrali di
committenza (17.02.2014 - link a www.diritto.it). |
APPALTI: Operativa la procedura per il rilascio.
Crediti p.a., parte il Durc.
Via libera alle richieste del Durc da parte delle imprese
creditrici nei confronti delle pa. Sul sito del ministero
dell'economia, dov'è operativa la piattaforma per la
certificazione dei crediti (cd sistema Pcc), è stata
attivata la nuova funzionalità che consente di produrre e
ottenere il codice attraverso il quale Inail, Inps ed
eventualmente casse edili (per le imprese di questo settore)
possono rilasciare il documento di regolarità contributiva.
Lo rende noto l'Inail nella
nota 13.02.2014 n. 1123 di prot. che
porta in allegato una guida predisposta dallo stesso
ministero dell'economia.
In pratica, le imprese interessate dovranno registrarsi sul
sistema Pcc ed effettuare la «Richiesta di rilascio del Durc»
nella piattaforma. Fatto ciò dovranno salvare la richiesta,
identificata da un numero di protocollo, su un dispositivo
elettronico, oppure stamparlo. All'interno della richiesta è
riportato il «codice di verifica» senza il quale Inps, Inail
e casse edili non possono effettuare la verifica della
sussistenza e dell'importo dei crediti certificati per
attestare la regolarità ai fini del rilascio del Durc.
A
questo punto, l'impresa può effettuare la richiesta del Durc
nella maniera tradizionale, cioè sul sito
www.sportellounicoprevidenziale.it e trasmettere a Inps,
Inail e cassa edile la «richiesta di emissione Durc»
effettuata nel sistema Pcc. Gli istituti avviano i
controlli; l'Inail, in particolare, esamina la situazione
dell'impresa richiedente e in presenza di titoli insoluti
quantifica l'ammontare dei debiti e comunica via Pec a Inps
e cassa edile l'importo dell'irregolarità. Lo stesso faranno
Inps e cassa edile. Una volta che è stato quantificato
l'ammontare complessivo dei debiti dell'impresa nei
confronti di Inail, Inps e cassa edile, scatterà la
«verifica capienza per l'emissione del Durc».
Se l'importo
dei crediti certificati è almeno pari all'importo
dell'irregolarità contributiva, la procedura terminerà con
l'emissione del Durc, altrimenti ci sarà l'emissione di un
Durc negativo. La stessa procedura, precisa infine l'Inail,
vale anche nel caso in cui il Durc venga richiesto da una
stazione appaltante o da un'amministrazione procedente
(acquisizioni d'ufficio) (articolo ItaliaOggi del
15.02.2014). |
APPALTI SERVIZI:
Contratti di appalto di servizi - Violazione
degli obblighi assunti - Inadempimento di un contratto con
la Pubblica Amministrazione - Frode nelle pubbliche
forniture - Elementi per la configurabilità - Natura -
Giurisprudenza.
Ai fini della configurabilità del delitto di frode nelle
pubbliche forniture non è sufficiente il semplice
inadempimento del contratto, richiedendo la norma
incriminatrice un "quid pluris" che va individuato
nella malafede contrattuale, ossia nella presenza di un
espediente malizioso o di un inganno, tali da far apparire
l'esecuzione del contratto conforme agli obblighi assunti
(Cass. Sez. 6, Sentenza n. 36567 del 09/05/2001; Sez. 6,
Sentenza n. 11144 del 25/02/2010; Sez. 6, Sentenza n. 5317
del 10/01/2011).
Quanto all'elemento soggettivo, esso è costituito dalla
consapevolezza di effettuare una prestazione diversa per
quantità e qualità da quella dovuta, a meno che vengano
scoperti ed allegati ulteriori elementi che attribuiscano
all'oggettivo inadempimento una valenza colposa (Cass. Sez.
6, Sentenza n. 34952 del 23/05/2003). La giurisprudenza non
è, invece, univoca nella affermare se si tratti di reato di
evento, ritenendo tale anche il mero pericolo, (Cass.
Sentenza n. 16428 del 05/12/2007) ovvero di pura condotta:
in tale secondo caso, non è ipotizzabile in relazione ad
esso una responsabilità da causalità omissiva (Cass. Sez. 6,
Sentenza n. 771 del 31/10/2006).
Inadempimento di un contratto e frode
nelle pubbliche forniture - Natura civile e penale
dell'inadempimento - Elementi per la configurabilità.
Nella accezione civilistica del termine per inadempimento
contrattuale si intende la mancata esecuzione della
prestazione da cui dipende la realizzazione del diritto del
creditore. La prestazione potrà dirsi esattamente eseguita
in quanto realizzata in conformità del contenuto
dell'obbligazione descritta nel contratto ed il diritto del
creditore sia integralmente e tempestivamente soddisfatto.
In generale, l'inadempimento può essere anche parziale,
allorquando la prestazione venga resa in modo difforme da
come dovuto e con realizzazione di una frazione più o meno
limitata dell'interesse del creditore. In tal caso occorrerà
valutare l'importanza dell'inadempimento in relazione
all'incidenza che abbia avuto sul piano della realizzazione
dello jus credendi ed andrà quindi esclusa la
rilevanza penale di quelle condotte che, quantunque
integrative di una inesatta prestazione contrattuale,
abbiano però consentito al committente una pur imperfetta,
ma sostanziale soddisfazione del bisogno cui è finalizzato
l'obbligo di fare del contratto di fornitura.
Di sicuro, poi, l'inadempimento rilevante è solo quello
privo di giustificazioni. Lo stesso deve, invece, escludersi
quando la prestazione del privato sia divenuta impossibile
per caso fortuito o forza maggiore, ovvero per altra causa
non imputabile al debitore, secondo la formula dell'ad 1256
cc. (Cass. Sentenza n. 1174 del 17/11/1998). D'altra parte,
la fattispecie penalistica, attraverso il richiamo che
l'art. 356 cp. fa al precedente articolo 355, descrive
l'inadempimento penalmente rilevante nella condotta in
conseguenza della quel vengano a mancare cose o opere che
siano necessarie ad uno stabilimento pubblico o ad un
pubblico servizio.
Il requisito della necessità delle cose od opere deve essere
inteso in senso assoluto: le cose od opere sono quelle che
in via immediata soddisfano le necessità del pubblico
servizio (Cass. Sentenza n. 9525 del 19/06/1998). Ciò fa sì
che rientri nell'alveo della fattispecie incriminatrice non
qualsiasi difficoltà operativa ma ciò che rende
inattingibile lo scopo cui Il servizio era demandato. Non
ogni inesatto adempimento o ritardo vale a concretare un
fatto lesivo, dovendosi invece determinare un rapporto di
congruità offensiva tra inadempimento ed il venir meno delle
opere necessarie per la PA.
Da un punto di vista squisitamente penalistico, v'è da
aggiungere che la giurisprudenza sul 356 cp. indica un
criterio rigoroso di valutazione dell'inadempimento: si
richiede una speciale intensità lesiva dell'interesse del
creditore.
Occorre, quindi, una valutazione sulla intensità lesiva
dell'inadempimento. Dev'esservi una intollerabilità
verificando che l'inadempimento deve tener conto anche della
natura del contratto in questione.
Clausole generali di buona fede -
Prestazione divenuta inesigibile - Artt. 1175, 1256, 1218 e
1375 c.c..
Non può dirsi sussistente un'ipotesi di inadempimento,
neppure colposo, a ragione dell'impossibilità sopravvenuta
della prestazione (artt. 1256 e 1218 c.c.) o -quanto meno-
della sua inesigibilità da parte del presunto creditore
committente alla stregua delle clausole generali di buona
fede e di doverosa collaborazione del creditore artt. 1175 e
1375 c.c.).
Infatti, gli artt., 1175 e 1375 cc. spiegano con chiarezza,
che è contraria alla correttezza la pretesa del creditore di
voler ottenere l'inadempimento anche quando la prestazione è
divenuta inesigibile (Cass. 2007 n 26958; n 21994/20121;
Cost. 19/1994).
Contratto di appalto e quello di
trasporto - Differenze.
Il discrimen tra il contratto di appalto e quello di
trasporto prevede che il primo ha per oggetto il risultato
di un facere, il quale può concretarsi nel compimento
di un'opera o di un servizio che l'appaltatore assume verso
il committente dietro corrispettivo; esso, inoltre, è
contrassegnato dall'esistenza di un'organizzazione d'impresa
presso l'appaltatore e dal carico esclusivo del rischio
economico nella persona del medesimo; invece, si ha
contratto di trasporto, quando un soggetto si obbliga nei
confronti di un altro soggetto a trasferire persone e cose
da un luogo ad un altro mediante una propria organizzazione
di mezzi e di attività personali e con l'assunzione a suo
carico del rischio esclusivo del trasporto e della direzione
tecnica dello stesso (Cassazione 17.10.1992 n. 11430; Cass.:
16.10.1979 n. 539) (TRIBUNALE di Napoli, Sez. V,
sentenza 10.02.2014 n. 16316 - link a
www.ambientediritto.it). |
APPALTI:
Il termine di decadenza
per l’impugnazione della lex specialis di gara decorre dalla
pubblicazione della stessa solo nel caso in cui contenga
clausole immediatamente escludenti, ma mai nell’ipotesi in
cui, per la sua formulazione, dall’applicazione della stessa
non possa discendere l’immediata ed automatica esclusione
della domanda formulata dal partecipante alla procedura.
---------------
Sussiste l'onere dell'interessato all'immediata impugnazione
delle clausole del bando o della lettera di invito sia che
prescrivano il possesso di requisiti di ammissione o di
partecipazione alla gara la cui carenza determina
immediatamente l'effetto escludente, configurandosi il
successivo atto di esclusione come meramente dichiarativo e
ricognitivo di una lesione già prodotta, sia che impongano
oneri manifestamente incomprensibili o del tutto
sproporzionati rispetto ai contenuti della procedura
concorsuale, assimilabili al possesso dei requisiti
soggettivi al cui difetto consegue automaticamente
l'esclusione dalla gara.
Per contro il carattere dubbio, equivoco o ambiguo della
clausola, nel senso cioè di non rendere immediatamente
percepibile l'effetto preclusivo della partecipazione per
chi sia privo di un determinato requisito soggettivo
richiesto dal bando, ne esclude l'immediata lesività e ne
consente l'impugnazione unitamente all'atto di esclusione,
applicativo della clausola stessa suscettibile di diverse
interpretazioni.
Deve, in proposito, richiamarsi il costante
orientamento elaborato dalla giurisprudenza amministrativa
in tema di procedure concorsuali pubbliche, in base al quale
il termine di decadenza per l’impugnazione della lex
specialis di gara decorre dalla pubblicazione della stessa
solo nel caso in cui contenga clausole immediatamente
escludenti, ma mai nell’ipotesi in cui, per la sua
formulazione, dall’applicazione della stessa non possa
discendere l’immediata ed automatica esclusione della
domanda formulata dal partecipante alla procedura.
E’ stato, invero, affermato che “Sussiste l'onere
dell'interessato all'immediata impugnazione delle clausole
del bando o della lettera di invito sia che prescrivano il
possesso di requisiti di ammissione o di partecipazione alla
gara la cui carenza determina immediatamente l'effetto
escludente, configurandosi il successivo atto di esclusione
come meramente dichiarativo e ricognitivo di una lesione già
prodotta, sia che impongano oneri manifestamente
incomprensibili o del tutto sproporzionati rispetto ai
contenuti della procedura concorsuale, assimilabili al
possesso dei requisiti soggettivi al cui difetto consegue
automaticamente l'esclusione dalla gara; per contro il
carattere dubbio, equivoco o ambiguo della clausola, nel
senso cioè di non rendere immediatamente percepibile
l'effetto preclusivo della partecipazione per chi sia privo
di un determinato requisito soggettivo richiesto dal bando,
ne esclude l'immediata lesività e ne consente l'impugnazione
unitamente all'atto di esclusione, applicativo della
clausola stessa suscettibile di diverse interpretazioni”
(Cons. Stato, sez. V, 14.07.2011, n. 4274)
(TAR Lombardia-Milano, Sez. IV,
sentenza 07.02.2014 n. 423 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Via libera al Durc per i creditori della p.a..
L'Inps ha spiegato le modalità per il rilascio del
documento.
Con la
circolare 30.01.2014 n. 164, sono state previste le
modalità per il rilascio del documento unico di regolarità
contributiva (c.d. Durc), che può essere consegnato al
richiedente in presenza di certificazione dei crediti certi,
liquidi ed esigibili, vantati nei confronti delle pubbliche
amministrazioni ed emessa tramite la «Piattaforma per la
certificazione dei crediti».
Come è noto, il problema della riscossione dei crediti che i
soggetti privati vantano nei confronti della pubblica
amministrazione, ha trovato la modalità di attuazione
dell'art. 13-bis, comma 5, del dl 07/05/2012, n. 52
convertito, con modificazioni, dalla legge 6/7/2012, n. 94.
Successivamente sono stati emanati alcuni decreti
ministeriali di attuazione per consentire l'ottenimento
della certificazione.
Il suddetto comma 5 prevede che il ... (articolo
ItaliaOggi del 07.02.2014 - tratto da
www.cenctrostudicni.it). |
APPALTI:
Se è vero che il potere di soccorso istruttorio
non può ledere la par condicio, così da consentire la
presentazione, anche oltre il termine previsto dal bando, di
documenti o dichiarazioni che avrebbero dovuto essere
presentati entro detto termine a pena di esclusione, non può
essere inibito alla stazione appaltante di richiedere o alla
concorrente di provare, anche con integrazioni documentali,
che la propria domanda fosse, sin dal principio e nella
realtà effettuale, conforme a quanto richiesto dalla lex
specialis; ciò nella prospettiva di non sacrificare
l'esigenza della più ampia partecipazione per carenze
meramente formali.
Si richiama, al riguardo, il
costante principio giurisprudenziale secondo cui, se è vero
che il potere di soccorso istruttorio non può ledere la par
condicio, così da consentire la presentazione, anche oltre
il termine previsto dal bando, di documenti o dichiarazioni
che avrebbero dovuto essere presentati entro detto termine a
pena di esclusione, non può essere inibito alla stazione
appaltante di richiedere o alla concorrente di provare,
anche con integrazioni documentali, che la propria domanda
fosse, sin dal principio e nella realtà effettuale, conforme
a quanto richiesto dalla lex specialis (cfr., ex multis,
Cons. St., Sez. III, 28.11.2013, n. 5694); ciò nella
prospettiva di non sacrificare l'esigenza della più ampia
partecipazione per carenze meramente formali
(TAR Campania-Napoli, Sez. II,
sentenza 06.02.2014 n. 780 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Sull'applicabilità della teoria c.d. falso
innocuo alle procedure d'evidenza pubblica.
La teoria del c.d. "falso innocuo" nelle gare ad
evidenza pubblica presuppone che la lex specialis non
preveda una sanzione espulsiva espressa per la mancata
osservanza di puntuali prescrizioni sulle modalità e
sull'oggetto delle dichiarazioni da fornire.
L'art. 45, § 2, lett. g), della dir. n. 2004/18/CE, che fa
conseguire l'esclusione dalla gara alle sole ipotesi di
grave colpevolezza e di false dichiarazioni (e non anche
incomplete) nel fornire informazioni s'appalesa d'immediata
applicazione nell'ordinamento nazionale e, quindi, nelle
procedure di gara solo qualora l'esclusione da esse non sia
sancita, in base all'art. 38, c. 1, del Dlgs 163/2006, in
modo espresso nella legge di gara. Infatti, per un verso,
non si può predicare l'applicabilità mera del c.d. "falso
innocuo" alle procedure d'evidenza pubblica, perché la
completezza delle dichiarazioni consente, anche in ossequio
al principio di buon andamento dell'azione amministrazione e
di proporzionalità, la celere decisione sull'ammissione
dell'operatore economico alla gara. Per altro verso, la
dimostrazione dell'assenza di elementi ostativi alla
partecipazione ad una gara di appalto in capo ad uno degli
amministratori della società (nella specie, il
vicepresidente del CDA), costituisce elemento essenziale
dell'offerta (o comunque è dovuta ai sensi dell'art. 38, c.
2, del Dlgs 163/2006), sì che la sua mancanza produce
l'esclusione automatica ai sensi del successivo art. 46, c.
1-bis, quand'anche in assenza di espressa comminatoria da
parte della legge di gara (Consiglio di Stato, Sez. III,
sentenza 06.02.2014 n. 583 - link a
www.dirittodeiservizipubblici.it). |
APPALTI:
In sede di dichiarazione
dei requisiti, la referenza economica è stata dichiarata in
forma sintetica, contestualmente sono però stati elencati
tutti i servizi svolti. In tal modo la stazione appaltante
avrebbe dovuto già in sede di verifica delle offerte,
rilevare l’assenza del requisito relativo alla capacità
economica, alla luce di quanto dichiarato a riprova della
capacità professionale: per tale ragione la stazione
appaltante avrebbe dovuto estromettere la società fin
dall’inizio, senza giungere alla fase di verifica di cui
all’art 48 D.lgs. 163/2006.
La censura non può trovare accoglimento, poiché nessuna
disposizione impone alla stazione appaltante di verificare
la sussistenza dei requisiti di partecipazione, ovvero la
veridicità delle dichiarazioni.
Al contrario il sistema normativo, al fine di garantire la
celerità delle operazioni di gara, prevede che la capacità
economicO-finanziaria sia dimostrata attraverso la
autodichiarazione, demandando poi alla verifica a campione
l’effettiva sussistenza dei requisiti e la corrispondenza
alle autodichiarazioni.
---------------
L’art. 48 del D.lgs. 136/2006 configura l'incameramento
della cauzione provvisoria come una conseguenza del tutto
automatica, di carattere sanzionatorio non suscettibile di
alcuna valutazione discrezionale, con riguardo ai fatti che
determinano la loro applicazione.
Ugualmente anche la segnalazione all’Autorità è un atto che
la stazione appaltante ha l’obbligo di adottare, in quanto
conseguenza tassativamente prevista per l'ipotesi della
mancanza dei requisiti di capacità economico-finanziaria e
tecnico-organizzativa previsti dall'art. 48, d.lgs. n. 163
del 2006, con la precisazione, rispetto a detto atto, che la
giurisprudenza ha avuto modo, anche recentemente, di
precisare come l’atto effettivamente lesivo non sia l’atto
di trasmissione, qualificato come atto prodromico, ma solo
l’eventuale provvedimento dell’Autorità.
1) Il presente ricorso è stato proposto avverso
gli atti con cui la stazione appaltante ha escluso la
società ricorrente, per assenza del requisito di capacità
economico-finanziaria, ha disposto l’escussione della
cauzione provvisoria e ha segnalato il fatto all’Autorità di
vigilanza sui contratti.
Il ricorso è infondato e deve essere respinto.
Il primo motivo attiene al provvedimento di esclusione:
sostiene la difesa di Omnia che, in sede di dichiarazione
dei requisiti, la referenza economica è stata dichiarata in
forma sintetica, contestualmente sono però stati elencati
tutti i servizi svolti. In tal modo la stazione appaltante
avrebbe dovuto già in sede di verifica delle offerte,
rilevare l’assenza del requisito relativo alla capacità
economica, alla luce di quanto dichiarato a riprova della
capacità professionale: per tale ragione la stazione
appaltante avrebbe dovuto estromettere la società fin
dall’inizio, senza giungere alla fase di verifica di cui
all’art 48 D.lgs. 163/2006.
La censura non può trovare accoglimento, poiché nessuna
disposizione impone alla stazione appaltante di verificare
la sussistenza dei requisiti di partecipazione, ovvero la
veridicità delle dichiarazioni.
Al contrario il sistema normativo, al fine di garantire la
celerità delle operazioni di gara, prevede che la capacità
economicO-finanziaria sia dimostrata attraverso la
autodichiarazione, demandando poi alla verifica a campione
l’effettiva sussistenza dei requisiti e la corrispondenza
alle autodichiarazioni.
Tra l’altro, come ha osservato la difesa della società
Sogemi, i requisiti di capacità economica da provare con il
fatturato, erano differenti rispetto ai requisiti di
capacità professionale, da provare con l’indicazione dei
servizi svolti, per cui anche il controllo “incrociato” non
permetteva di verificare l’assenza del requisito di capacità
economico finanziaria.
2) Nel secondo motivo parte ricorrente lamenta la violazione
dei principi che regolano il procedimento amministrativo, la
violazione del secondo considerando introduttivo alla
Direttiva CEE 2004/18/CE, nonché degli artt. 2, 20, 27, 41,
42 e 48 D. L.gs. 163/2006, perché è stata applicata una
sanzione sproporzionata, proprio considerando che la società
Omnia ha reso dichiarazioni veritiere.
Anche questo motivo non è fondato.
Secondo l’interpretazione prevalente, cui anche questa
Sezione ritiene di aderire, l’art. 48 del D.lgs. 136/2006
configura l'incameramento della cauzione provvisoria come
una conseguenza del tutto automatica, di carattere
sanzionatorio non suscettibile di alcuna valutazione
discrezionale, con riguardo ai fatti che determinano la loro
applicazione.
Ugualmente anche la segnalazione all’Autorità è un atto che
la stazione appaltante ha l’obbligo di adottare, in quanto
conseguenza tassativamente prevista per l'ipotesi della
mancanza dei requisiti di capacità economico-finanziaria e
tecnico-organizzativa previsti dall'art. 48, d.lgs. n. 163
del 2006, con la precisazione, rispetto a detto atto, che la
giurisprudenza ha avuto modo, anche recentemente, di
precisare come l’atto effettivamente lesivo non sia l’atto
di trasmissione, qualificato come atto prodromico, ma solo
l’eventuale provvedimento dell’Autorità (ex multis TAR
Torino sez. I, 01/06/2012 n. 642).
3) L’orientamento sopra citato, circa la natura dell’art 48
è sufficiente a respingere anche il terzo motivo, in cui
parte ricorrente sostiene la tesi della non automaticità
dell’applicazione delle sanzioni.
Le stesse argomentazioni valgono per ritenere infondato il
motivo successivo, ripetitivo del precedente, in cui parte
ricorrente invoca i principi di buona fede e di correttezza,
partendo però sempre dall’errata convinzione che la stazione
appaltante possa effettuare una valutazione autonoma dei
fatti, che invece la norma esclude a priori, configurando le
sanzioni come automatiche conseguenze
(TAR Lombardia-Milano, Sez. III,
sentenza 06.02.2014 n. 382 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI: -
l'interdittiva prefettizia antimafia cd. interdittiva
antimafia "tipica", prevista dall’art. 4 del d.lgs. n. 490
del 1994 e dall’art. 10 del D.P.R. 03.06.1998, n. 252 (ed
oggi dagli articoli 91 e segg. del d.lgs. 06.09.2011, n.
159, recante il Codice delle leggi antimafia e delle misure
di prevenzione), costituisce una misura preventiva volta a
colpire l'azione della criminalità organizzata impedendole
di avere rapporti contrattuali con la pubblica
amministrazione;
- l’interdittiva, trattandosi di una misura a carattere
preventivo, prescinde dall'accertamento di singole
responsabilità penali nei confronti dei soggetti che,
nell’esercizio di attività imprenditoriali, hanno rapporti
con la pubblica amministrazione e si fonda sugli
accertamenti compiuti dai diversi organi di polizia
valutati, per la loro rilevanza, dal Prefetto
territorialmente competente;
- tale valutazione costituisce espressione di ampia
discrezionalità che può essere assoggettata al sindacato del
giudice amministrativo solo sotto il profilo della sua
logicità in relazione alla rilevanza dei fatti accertati;
- la misura interdittiva, essendo il potere esercitato
espressione della logica di anticipazione della soglia di
difesa sociale, finalizzata ad assicurare una tutela
avanzata nel campo del contrasto alle attività della
criminalità organizzata, non deve necessariamente collegarsi
ad accertamenti in sede penale di carattere definitivo e
certi sull'esistenza della contiguità dell’impresa con
organizzazione malavitose, e quindi del condizionamento in
atto dell'attività di impresa, ma può essere sorretta da
elementi sintomatici e indiziari da cui emergano sufficienti
elementi del pericolo che possa verificarsi il tentativo di
ingerenza nell’attività imprenditoriale della criminalità
organizzata;
- anche se occorre che siano individuati (ed indicati)
idonei e specifici elementi di fatto, obiettivamente
sintomatici e rivelatori di concrete connessioni o possibili
collegamenti con le organizzazioni malavitose, che
sconsigliano l’instaurazione di un rapporto dell’impresa con
la pubblica amministrazione, non è necessario un grado di
dimostrazione probatoria analogo a quello richiesto per
dimostrare l’appartenenza di un soggetto ad associazioni di
tipo camorristico o mafioso, potendo l’interdittiva fondarsi
su fatti e vicende aventi un valore sintomatico e indiziario
e con l’ausilio di indagini che possono risalire anche ad
eventi verificatisi a distanza di tempo;
- il mero rapporto di parentela con soggetti risultati
appartenenti alla criminalità organizzata di per sé non
basta a dare conto del tentativo di infiltrazione (non
potendosi presumere in modo automatico il condizionamento
dell’impresa), ma occorre che l’informativa antimafia
indichi (oltre al rapporto di parentela) anche ulteriori
elementi dai quali si possano ragionevolmente dedurre
possibili collegamenti tra i soggetti sul cui conto
l’autorità prefettizia ha individuato i pregiudizi e
l’impresa esercitata da loro congiunti;
- gli elementi raccolti non vanno considerati separatamente
dovendosi piuttosto stabilire se sia configurabile un quadro
indiziario complessivo, dal quale possa ritenersi
attendibile l’esistenza di un condizionamento da parte della
criminalità organizzata.
Al riguardo, si deve ricordare che, secondo la consolidata
giurisprudenza di questa Sezione (fra le tante n. 4663 del
03.09.2012, n. 1068 del 23.02.2012):
- l'interdittiva prefettizia antimafia cd. interdittiva
antimafia "tipica", prevista dall’art. 4 del d.lgs.
n. 490 del 1994 e dall’art. 10 del D.P.R. 03.06.1998, n. 252
(ed oggi dagli articoli 91 e segg. del d.lgs. 06.09.2011, n.
159, recante il Codice delle leggi antimafia e delle misure
di prevenzione), costituisce una misura preventiva volta a
colpire l'azione della criminalità organizzata impedendole
di avere rapporti contrattuali con la pubblica
amministrazione;
- l’interdittiva, trattandosi di una misura a carattere
preventivo, prescinde dall'accertamento di singole
responsabilità penali nei confronti dei soggetti che,
nell’esercizio di attività imprenditoriali, hanno rapporti
con la pubblica amministrazione e si fonda sugli
accertamenti compiuti dai diversi organi di polizia
valutati, per la loro rilevanza, dal Prefetto
territorialmente competente;
- tale valutazione costituisce espressione di ampia
discrezionalità che può essere assoggettata al sindacato del
giudice amministrativo solo sotto il profilo della sua
logicità in relazione alla rilevanza dei fatti accertati;
- la misura interdittiva, essendo il potere esercitato
espressione della logica di anticipazione della soglia di
difesa sociale, finalizzata ad assicurare una tutela
avanzata nel campo del contrasto alle attività della
criminalità organizzata, non deve necessariamente collegarsi
ad accertamenti in sede penale di carattere definitivo e
certi sull'esistenza della contiguità dell’impresa con
organizzazione malavitose, e quindi del condizionamento in
atto dell'attività di impresa, ma può essere sorretta da
elementi sintomatici e indiziari da cui emergano sufficienti
elementi del pericolo che possa verificarsi il tentativo di
ingerenza nell’attività imprenditoriale della criminalità
organizzata;
- anche se occorre che siano individuati (ed indicati)
idonei e specifici elementi di fatto, obiettivamente
sintomatici e rivelatori di concrete connessioni o possibili
collegamenti con le organizzazioni malavitose, che
sconsigliano l’instaurazione di un rapporto dell’impresa con
la pubblica amministrazione, non è necessario un grado di
dimostrazione probatoria analogo a quello richiesto per
dimostrare l’appartenenza di un soggetto ad associazioni di
tipo camorristico o mafioso, potendo l’interdittiva fondarsi
su fatti e vicende aventi un valore sintomatico e indiziario
e con l’ausilio di indagini che possono risalire anche ad
eventi verificatisi a distanza di tempo;
- il mero rapporto di parentela con soggetti risultati
appartenenti alla criminalità organizzata di per sé non
basta a dare conto del tentativo di infiltrazione (non
potendosi presumere in modo automatico il condizionamento
dell’impresa), ma occorre che l’informativa antimafia
indichi (oltre al rapporto di parentela) anche ulteriori
elementi dai quali si possano ragionevolmente dedurre
possibili collegamenti tra i soggetti sul cui conto
l’autorità prefettizia ha individuato i pregiudizi e
l’impresa esercitata da loro congiunti;
- gli elementi raccolti non vanno considerati separatamente
dovendosi piuttosto stabilire se sia configurabile un quadro
indiziario complessivo, dal quale possa ritenersi
attendibile l’esistenza di un condizionamento da parte della
criminalità organizzata.
A ciò si deve aggiungere che gli accertamenti preventivi
sulla non permeabilità dell’impresa alla malavita
organizzata devono essere effettuati in modo particolarmente
rigoroso nei casi in cui, come nella fattispecie, è
richiesta l’erogazione di contributi pubblici
(Consiglio di Stato, Sez. III,
sentenza 05.02.2014 n. 570 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
D. Benedet,
Da Palazzo Spada ancora incertezza sulla legittimità della
partecipazione alle gare pubbliche in attesa di concordato
preventivo con continuità aziendale (05.02.2014
- link a www.diritto.it). |
APPALTI:
Sulla scusabilità dell'errore riconducibile a
formulazioni degli atti di gara che possono indurre dubbi
interpretativi.
In materia di
cause di esclusione dalle gare per reati incidenti sulla
moralità professionale, la verifica dell'incidenza dei reati
commessi dal legale rappresentante dell'impresa sulla
moralità professionale della stessa attiene all'esercizio
del potere discrezionale della P.A. e deve essere valutata
attraverso la disamina in concreto delle caratteristiche
dell'appalto, del tipo di condanna, della natura e delle
concrete modalità di commissione del reato, non potendo la
stessa concorrente valutare da sé quali reati siano
rilevanti ai fini della dichiarazione da rendere, ciò
implicando un giudizio inevitabilmente soggettivo,
inconciliabile con la finalità della norma.
Tuttavia, allorché la dichiarazione sia resa sulla scorta di
modelli predisposti dalla stazione appaltante ed il
concorrente incorre in errore indotto dalla formulazione
ambigua o equivoca del modello, non può determinarsi
l'esclusione dalla gara per l'incompletezza della
dichiarazione resa. Il rigore formalistico, dunque, cede in
presenza di una scusabilità dell'errore riconducibile a
formulazioni degli atti di gara che possono indurre dubbi
interpretativi, tanto più che vige oggi la regola della
tassatività delle cause di esclusione, di cui all'art. 46,
c. 1-bis, Codice dei contratti, che s'ispira ad un criterio
sostanzialistico e riafferma il favor partecipationis
(Consiglio di Stato, Sez. III,
sentenza 04.02.2014 n. 507 - link a
www.dirittodeiservizipubblici.it). |
LAVORI PUBBLICI: Il
difetto di inserimento dell'opera nel programma triennale
non rende illegittima la sua realizzazione nel caso in cui
sia finanziata attraverso fondi differenti rispetto a quelli
contemplati in ambito di redazione del programma stesso, in
quanto in base all'art. 14 n. 9, L. n. 109 dell'11.02.1994,
sost. dall'art. 4, L. n. 413 del 1998, le opere pubbliche,
non inserite nel programma triennale, possono essere
realizzate sulla base di un autonomo piano di finanziamento
che non utilizzi risorse già previste tra i mezzi finanziari
dell'amministrazione al momento della formazione
dell'elenco.
---------------
La progettazione
in materia di lavori pubblici si articola secondo tre
livelli di successivi approfondimenti tecnici, in
preliminare, definitiva ed esecutiva.
Il progetto preliminare definisce
le caratteristiche qualitative e funzionali dei lavori, il
quadro delle esigenze da soddisfare e delle specifiche
prestazioni da fornire e consiste in una relazione
illustrativa delle ragioni della scelta della soluzione
prospettata in base alle valutazioni delle soluzioni
possibili.
Il progetto definitivo individua compiutamente i
lavori da realizzare, nel rispetto delle esigenze, dei
criteri, dei vincoli, degli indirizzi e delle indicazioni
stabiliti nel progetto preliminare e contiene tutti gli
elementi necessari ai fini del rilascio delle prescritte
autorizzazioni e approvazioni.
Il progetto esecutivo,
redatto in conformità al progetto definitivo, determina in
ogni dettaglio i lavori da realizzare e il relativo costo
previsto e deve essere sviluppato ad un livello di
definizione tale da consentire che ogni elemento sia
identificabile in forma, tipologia, qualità, dimensione e
prezzo (ex aliis Cons. Stato Sez. VI, 11.11.2013, n. 5365,
ma si veda anche Cons. Stato Sez. IV, 21.10.2013, n. 5094
per l’affermazione secondo cui solo nel caso di approvazione
di un progetto definitivo o esecutivo è connessa la
dichiarazione di pubblica utilità dell'opera).
Quanto (terza
censura) alla affermata carenza di copertura finanziaria la
circostanza che l’opera in questione non risultasse inserita
nel programma triennale dei lavori pubblici 2009/2011
(d.lgs. n. 163/2006 e d.P.R. n. 554/1999) non è dirimente.
E’ rimasto infatti incontestato che all’atto
dell’approvazione del progetto preliminare non era ancora
intervenuta la dichiarazione di pubblica utilità dell’opera.
Per altro verso, l’appellante non pare avere inteso
l’ulteriore sviluppo motivo del Tar allorché si duole che il
primo giudice non avesse verificato la sussistenza o meno
del piano finanziario autonomo.
E’ insegnamento consolidato della ante vigente
giurisprudenza –di inalterata validità- quello per cui “il
difetto di inserimento dell'opera nel programma triennale
non rende illegittima la sua realizzazione nel caso in cui
sia finanziata attraverso fondi differenti rispetto a quelli
contemplati in ambito di redazione del programma stesso, in
quanto in base all'art. 14 n. 9, L. n. 109 dell'11.02.1994, sost. dall'art. 4, L. n. 413 del 1998, le opere
pubbliche, non inserite nel programma triennale, possono
essere realizzate sulla base di un autonomo piano di
finanziamento che non utilizzi risorse già previste tra i
mezzi finanziari dell'amministrazione al momento della
formazione dell'elenco” (TAR Toscana Firenze Sez. III,
16.04.2004, n. 1162 ).
Ciò implica che l’opera, ovviamente ed a fortiori, sia
progettabile ma soprattutto che affermazione della
doverosità della “ricerca“ del piano finanziario autonomo
antecedentemente alla emissione dichiarazione di pubblica
utilità costituisca affermazione frutto di un evidente
errore: la sentenza è in parte qua immune da censure.
---------------
Il quarto
motivo va disatteso (esso sarebbe certamente inammissibile
perché in nulla critica la sentenza reiterando la stessa
obiezione motivatamente disattesa in primo grado) alla
stregua del principio per cui il progetto preliminare "deve
consentire l'avvio della procedura espropriativa", ma non
prescrive il presupposto dell'attuale conformità urbanistica, mentre tale presupposto deve necessariamente sussistere
soltanto al momento dell'approvazione del progetto
definitivo, poiché solo tale livello di progettazione
costituisce dichiarazione di pubblica utilità dell'opera
pubblica o di pubblica utilità.
Detto corollario è armonico
alla previsione di cui all’art. 93 D.Lgs. n. 163/2006
(Codice degli appalti) secondo il quale la progettazione in
materia di lavori pubblici si articola secondo tre livelli
di successivi approfondimenti tecnici, in preliminare,
definitiva ed esecutiva.
Il progetto preliminare definisce
le caratteristiche qualitative e funzionali dei lavori, il
quadro delle esigenze da soddisfare e delle specifiche
prestazioni da fornire e consiste in una relazione
illustrativa delle ragioni della scelta della soluzione
prospettata in base alle valutazioni delle soluzioni
possibili. Il progetto definitivo individua compiutamente i
lavori da realizzare, nel rispetto delle esigenze, dei
criteri, dei vincoli, degli indirizzi e delle indicazioni
stabiliti nel progetto preliminare e contiene tutti gli
elementi necessari ai fini del rilascio delle prescritte
autorizzazioni e approvazioni. Il progetto esecutivo,
redatto in conformità al progetto definitivo, determina in
ogni dettaglio i lavori da realizzare e il relativo costo
previsto e deve essere sviluppato ad un livello di
definizione tale da consentire che ogni elemento sia
identificabile in forma, tipologia, qualità, dimensione e
prezzo (ex aliis Cons. Stato Sez. VI, 11.11.2013, n. 5365,
ma si veda anche Cons. Stato Sez. IV, 21.10.2013, n. 5094
per l’affermazione secondo cui solo nel caso di approvazione
di un progetto definitivo o esecutivo è connessa la
dichiarazione di pubblica utilità dell'opera) (Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 04.02.2014 n. 493 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI FORNITURE:
L’art. 1, comma 141, della l. 24.12.2012, n. 228, nel
disporre limiti puntuali alle spese per l’acquisto di mobili
e arredi, obbliga gli Enti locali al rispetto del tetto
complessivo di spesa risultante dall’applicazione
dell’insieme dei coefficienti di riduzione della spesa per
consumi intermedi previsti da norme in materia di
coordinamento della finanza pubblica, consentendo che lo
stanziamento in bilancio tra le diverse tipologie di spese
soggette a limitazione avvenga in base alle necessità
derivanti dalle attività istituzionali dell’Ente.
---------------
Con la nota indicata in epigrafe il Sindaco del Comune di
Cuneo, richiamate le disposizioni contenute nell’art. 5,
comma 2, del D.L. n. 95/2012, convertito nella L. n.
135/2012 (limite di spesa per autovetture), nell’art. 6,
commi 7, 8, 12, 13, del D.L. n. 78/2010, convertito nella L.
n. 122/2010 (limite di spesa per studi e consulenze; per
relazioni pubbliche, convegni, mostre, pubblicità e
rappresentanza; per missioni; per attività di formazione),
nell’art. 1, comma 141, della L. n. 228/2012 (limite di
spesa per mobili ed arredi), e richiamata la sentenza della
Corte costituzionale n. 139/2012 in base alla quale le
disposizioni di cui all’art. 6 del D.L. n. 78/2010,
convertito nella L. n. 122/2010 “prevedono puntuali misure
di riduzione parziale o totale di singole voci di spesa, ma
ciò non esclude che da esse possa desumersi un limite
complessivo, nell’ambito del quale le Regioni (e gli Enti
locali) restano libere di allocare le risorse tra i diversi
ambiti e obiettivi di spesa”, ha formulato i seguenti
quesiti:
“1) E’ possibile esercitare l’autonomia finanziaria del
Comune distribuendo i “tagli”, nell’ambito delle tipologie
di spesa individuate dai citati provvedimenti legislativi,
in modo diverso rispetto a quanto puntualmente disposto dal
legislatore, a condizione che venga rispettato il limite
complessivo?
2) E’ possibile intendere che dal concetto di “mobili ed
arredi”, oggetto di limitazione di spesa all’art. 1, comma
141, della L. n. 228/2012, possano escludersi quelle
suppellettili (banchi e cattedre), qualificabili come
attrezzature indispensabili per la fruizione delle strutture
scolastiche?”
Con delibera n. 393/2013 questa Sezione, dopo aver ritenuto
ammissibile la richiesta di parere, ha espresso il proprio
avviso in ordine al quesito n. 2).
Con riferimento al quesito n. 1) questa Sezione ha sospeso
la pronuncia, avendo già la Sezione regionale di controllo
per la Lombardia, con delibera n. 296/2013, a seguito di
quesito posto dalla Provincia di Sondrio su analoga
fattispecie, sospeso la pronuncia e rimesso gli atti al
Presidente della Corte dei conti per le valutazioni di
competenza ai sensi dell’art. 6, comma 4, del D.L. n.
174/2012, convertito nella L. n. 213/2012.
Con deliberazione n. 26/2013 la Sezione delle Autonomie si è
pronunciata sulla questione posta dalla Sezione regionale di
controllo per la Lombardia.
...
La questione posta dalla Sezione regionale di controllo per
la Lombardia all’esame della Sezione Autonomie ha riguardato
la corretta interpretazione dell’art. 1, comma 141, della
Legge 24.12.2012, n. 228 (legge di stabilità per il
2013), il quale, nel prevedere la riduzione puntuale della
spesa per mobili ed arredi, così dispone: “Ferme restando le
misure di contenimento della spesa già previste dalle
vigenti disposizioni, negli anni 2013 e 2014 le
amministrazioni pubbliche inserite nel conto economico
consolidato della pubblica amministrazione, come individuate
dall'Istituto nazionale di statistica (ISTAT) ai sensi
dell'articolo 1, comma 3, della legge 31.12.2009, n.
196, e successive modificazioni, nonché le autorità
indipendenti e la Commissione nazionale per le società e la
borsa (CONSOB) non possono effettuare spese di ammontare
superiore al 20 per cento della spesa sostenuta in media
negli anni 2010 e 2011 per l'acquisto di mobili e arredi,
salvo che l'acquisto sia funzionale alla riduzione delle
spese connesse alla conduzione degli immobili. In tal caso
il collegio dei revisori dei conti o l'ufficio centrale di
bilancio verifica preventivamente i risparmi realizzabili,
che devono essere superiori alla minore spesa derivante
dall'attuazione del presente comma. La violazione della
presente disposizione è valutabile ai fini della
responsabilità amministrativa e disciplinare dei dirigenti.”
La Sezione regionale di controllo per la Lombardia ha
altresì richiamato il disposto dell’art. 6, commi 7, 8, 12,
13, 14, del D.L. n. 78/2010, convertito nella L. n.
122/2010, nonché dell’art. 5, comma 2, del D.L. n. 95/2012,
convertito nella L. n. 135/2012, per prospettare la
possibilità di conseguire l’obiettivo di riduzione delle
spese per mobili e arredi mediante la gestione unitaria e
consolidata dei budget inerenti le varie tipologie di spese
di funzionamento oggetto di limitazione da parte di distinte
previsioni di legge.
Con deliberazione n. 26/2013 la Sezione delle Autonomie,
risolvendo la questione di massima che le è stata
sottoposta, ha enunciato il seguente principio di diritto:
“L’art. 1, comma 141, della l. 24.12.2012, n. 228, nel
disporre limiti puntuali alle spese per l’acquisto di mobili
e arredi, obbliga gli Enti locali al rispetto del tetto
complessivo di spesa risultante dall’applicazione
dell’insieme dei coefficienti di riduzione della spesa per
consumi intermedi previsti da norme in materia di
coordinamento della finanza pubblica, consentendo che lo
stanziamento in bilancio tra le diverse tipologie di spese
soggette a limitazione avvenga in base alle necessità
derivanti dalle attività istituzionali dell’Ente”.
L’art. 6, comma 4, del D.L. n. 174/2012, convertito nella L.
n. 213/2012 dispone che “In presenza di interpretazioni
discordanti delle norme rilevanti per l’attività di
controllo o consultiva o per la risoluzione di questioni di
massima di particolare rilevanza, la Sezione delle autonomie
emana delibera di orientamento alla quale le Sezioni
regionali di controllo si conformano. Resta salva
l'applicazione dell'articolo 17, comma 31, del decreto-legge
01.07.2009, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla
legge 03.08.2009, n. 102, nei casi riconosciuti dal
Presidente della Corte dei conti di eccezionale rilevanza ai
fini del coordinamento della finanza pubblica ovvero qualora
si tratti di applicazione di norme che coinvolgono
l’attività delle Sezioni centrali di controllo”.
Conseguentemente questa Sezione rende il parere richiesto
dal Comune di Cuneo con la nota indicata in epigrafe
richiamando e conformandosi al suddetto principio di diritto
enunciato dalla Sezione Autonomie
(Corte dei Conti, Sez. controllo Piemonte,
parere 03.02.2014 n. 26). |
APPALTI:
Circa le formalità da rispettare per la redazione
dei verbali di gara, l’Adunanza Plenaria ha rilevato
l’assenza di disposizioni normative di dettaglio ed ha
condiviso l’orientamento già seguito da Cons. St., sez. V,
22.02.2011 n. 1094; Cons. St., sez. V, 25.07.2006 n. 4657;
Id., sez. IV, 05.10.2005 n. 5360; Id., sez. V, 10.05.2005 n.
2342; Id. sez. V, 20.09.2001 n. 4973.
Invero, la
mancata dettagliata indicazione nei verbali di gara delle
specifiche modalità di custodia dei plichi e degli strumenti
utilizzati per garantire la segretezza delle offerte non
costituisce di per sé motivo di illegittimità delle
operazioni di gara, dovendo invece aversi riguardo al fatto
che, in concreto, non si sia verificata l’alterazione della
documentazione.
Sul punto controverso la Sezione remittente
innesta la seconda questione che è posta all’esame
dell’Adunanza Plenaria ed investe le modalità di custodia in
corso di gara dei plichi contenenti gli atti del
procedimento allo scopo di preservarli da indebita
manomissione, nonché alle modalità di verbalizzazione.
Con attento e compiuto esame l’ordinanza di remissione pone
in rilievo che la giurisprudenza si presenta in prevalenza
rigorosa in ordine alle misure da adottare per garantire la
conservazione e l’integrità dei plichi contenenti le
offerte, in modo che ne sia assicurata la segretezza, e
richiede che le cautele adottate siano menzionate ed
indicate nel verbale. di gara (Cons. St., sez. VI, 27.07.2011 n. 4487; Cons. St., sez. V, 21.05.2010, n. 3203;
id.,12.12.2009 n. 7804). L'integrità dei plichi
contenti le offerte costituisce garanzia della segretezza
delle stesse e della par condicio di tutti i concorrenti,
assicurando il rispetto dei principi di buon andamento e di
imparzialità cui deve conformarsi l'azione amministrativa
(Cons. St., sez. V, 21.05.2010 n. 3203; Id., 20.03.2008 n. 1219).
Il su riferito orientamento comporta in particolare:
- l’individuazione di un soggetto responsabile della
custodia dei plichi o di un consegnatario degli stessi;
- l’insufficienza di verbalizzazioni con generico
riferimento ai locali di custodia dei plichi, senza
precisare se gli stessi (e in particolare le buste con
l’offerta tecnica) siano stati nuovamente risigillati o
comunque richiusi in modo adeguato così da evitare
qualsivoglia ipotesi di manomissione (Cons. St., sez. V, 21.05.2010 n. 3203);
- l’obbligo della commissione di adottare le cautele idonee
a garantire la segretezza degli atti di gara ed a prevenire
rischi di manomissioni, indicando nel verbale tali cautele e
dando atto a verbale della integrità dei plichi;
- nel verbale deve risultare il nominativo di colui cui
siano materialmente consegnati i plichi, che ne assume le
conseguenti responsabilità, ovvero –con chiarezza e
univocità– deve essere indicato l’ufficio cui sono
consegnati e all’interno del quale essi vanno conservati
(con individuazione immediata del suo responsabile); in
qualsiasi momento, ogni autorità giurisdizionale o
amministrativa (a seconda dei casi e delle relative
funzioni, anche di vigilanza) dalla lettura dei verbali di
consegna deve poter agevolmente accertare quali siano stati
i passaggi dei plichi, ove essi siano stati collocati nel
corso del tempo, chi abbia posto mano su di essi e ogni
altra circostanza attinente alla loro integrità e
conservazione.
Le cautele osservate possono reputarsi idonee allo scopo
solo se assicurano la conservazione dei plichi in luogo
chiuso, non accessibile al pubblico, e con individuazione di
un soggetto o ufficio responsabile dell’inaccessibilità del
luogo a terzi. Anche se non occorrono formule sacramentali
la verbalizzazione è legittima se, oltre ad elencare le
cautele adottate, indica, sotto la responsabilità dei
verbalizzanti, che le cautele sono state efficaci in quanto
i plichi sono integri (Cons. St., sez. VI, 23.06.2011 n.
3803; Cons. St., sez. VI, 30.06.2011 n. 3902; Cons. St.,
sez. VI, 27.07.2011 n. 4487).
Secondo l’orientamento giurisprudenziale in esame le
garanzie a cautela della integrità dei plichi integrerebbero
una fattispecie di pericolo, non una fattispecie di danno.
Sarebbe sufficiente che dalle risultanze processuali emerga
che, per inosservanza di norme precauzionali, la
documentazione di gara sia rimasta esposta al rischio di
manomissione per ritenere invalide le operazioni di gara,
senza che a carico dell’interessato possa configurarsi un
onere di provare un concreto evento di danno (Cons. St.,
sez. V, 21.05.2010 n. 3203). E’sufficiente, quindi, la
sola esposizione al rischio di manomissione della
documentazione per ritenere invalide le operazioni di gara
(Cons. St., sez. V, 16.03.2011 n. 1617).
Un secondo orientamento reputa che la mancata emersione
dagli atti di gara dell’osservanza delle su elencate cautele
assume solo un ruolo indiziario rispetto alla dimostrazione
di elementi che facciano dubitare della c.d. genuinità dei
plichi, occorrendo comunque provare che vi sia stata una
violazione dell’integrità e segretezza dei plichi.
Si è affermato che la mancata dettagliata indicazione nei
verbali di gara delle specifiche modalità di custodia dei
plichi e degli strumenti utilizzati per garantire la
segretezza delle offerte non costituisce di per sé motivo di
illegittimità delle operazioni di gara, dovendo invece
aversi riguardo al fatto che, in concreto, non si sia
verificata l’alterazione della documentazione (Cons. St.,
sez. V, 22.02.2011 n. 1094; Cons. St., sez. V, 25.07.2006 n. 4657; Id., sez. IV,
05.10.2005 n. 5360;
Id., sez. V, 10.05.2005 n. 2342; Id. sez. V, 20.09.2001 n. 4973).
Siffatto contesto giurisprudenziale ripudia il più rigoroso
orientamento perché espressione di un indirizzo formale, con
la conseguenza che la mancata dettagliata indicazione nei
verbali di gara delle specifiche modalità di custodia dei
plichi e degli strumenti utilizzati per garantire la
segretezza delle offerte non costituisce di per sé motivo di
illegittimità del verbale e della complessiva attività posta
in essere dalla commissione di gara, laddove il concreto
andamento della medesima ovvero ulteriori elementi non
inducano a dubitare della corretta conservazione.
2.3. La questione sottoposta all’esame dell’Adunanza
concerne gli adempimenti della commissione preposta
all’esame delle offerte che devono accompagnare le
determinazioni di valutazione delle offerte, ove queste non
si esauriscano in un’unica seduta. Detti adempimenti
investono le modalità di conservazione e di custodia dei
plichi a prevenzione di manomissioni da cui possa derivare
l’alterazioni di atti del procedimento quali inizialmente
introdotti dai partecipati alla gara.
Si tratta di operazioni materiali che non coinvolgono la
volontà negoziale dell’Amministrazione, ma sono finalizzate,
come prima accennato, a garantire la genuinità dell’oggetto
su cui la commissione è chiamata ad esprimersi.
Sia il codice dei contratti pubblici, approvato con d.lgs.
n. 163 del 2006, che il regolamento di attuazione di cui al
d.P.R. n. 207 del 2010, non recano prescrizioni di dettaglio
in ordine all’espletamento di dette operazioni. Il
regolamento contiene un limitato rifermento alle sedute di
gara (art. 117) per le quali è, in particolare, prevista la
possibilità di sospensione e di aggiornamento a data
successiva, con esclusione della fase di apertura delle
buste contenenti l’offerta economica.
In assenza, quindi, di specifiche regole procedimentali a
livello di disciplina generale –salvo i casi di una più
puntuale regolamentazione da parte di atti generali delle
singole amministrazioni aggiudicatrici, cui la commissione
esaminatrice deve rigorosamente attenersi– non può essere
elevato di per sé a vizio del procedimento (nel profilo
della violazione di legge) l’omessa indicazione in verbale
di operazioni singolarmente prese in considerazioni quali, a
titolo di esemplificazione, l’identificazione del soggetto
responsabile della custodia dei plichi, ovvero il luogo di
custodia dei plichi stessi, nel tempo che separa ogni seduta
dalla successiva.
L’attenzione si sposta, quindi, sugli adempimenti
complessivamente osservati dalla commissione a salvaguardia
della segretezza delle offerte, dell’integrità degli atti di
gara e del pericolo di manomissione.
Il veicolo per l’espressione di un giudizio di sufficienza
in ordine a dette operazioni -che investe cioè l’assenza di
elementi e circostanze che possano viziare, sul piano
sintomatico, per eccesso di potere la condotta del collegio
giudicante in quanto contraria ai principi trasparenza, buon
andamento e parità di trattamento dei concorrenti- è il
verbale che deve accompagnare le operazioni di gara.
Il verbale è redatto in via ordinaria per ogni adunanza
dell’organo collegiale ed ha funzione ricognitiva e
documentale delle operazioni compiute e delle deliberazioni
assunte.
L’art. 78 del codice degli appalti elenca, al comma 1,
elementi informativi essenziali e minimali da cui deve
essere assistito il verbale da redigersi per “ogni
contratto”. Essi non prendono, tuttavia, in considerazione
le modalità di custodia dei plichi nella fase che intercorre
fra una seduta e l’altra. Ancora una volta non si rinviene
un puntuale dato normativo cui raccordare il giudizio di
sufficienza della verbalizzazione, cui l’ordinanza di
remissione raccorda l’effetto invalidane del concorso.
Deve quindi pervenirsi alla conclusione che -fermi di
massima sul piano funzionale i principi di sufficienza ed
esaustività del verbale- la mancata e pedissequa
indicazione in ciascun verbale delle operazioni finalizzate
alla custodia dei plichi non può tradursi, con carattere di
automatismo, in effetto viziante della procedura
concorsuale, in tal modo collegandosi per implicito
all’insufficienza della verbalizzazione il pregiudizio alla
segretezza ed all’integrità delle offerte. Ciò in anche in
ossequio al principio di conservazione dei valori giuridici,
il quale porta ad escludere che l’atto deliberativo possa
essere viziato per incompletezza dell’atto descrittivo delle
operazioni materiali, tecniche ed intellettive ad esso
preordinate, salvo i casi in cui puntuali regole dettate
dall’amministrazione aggiudicatrice indichino il contenuto
essenziale del verbale.
Ogni contestazione del concorrente volta ad ipotizzare una
possibile manomissione, o esposizione a manomissione dei
plichi, idonea ad introdurre vulnus alla regolarità del
procedimento di selezione del contraente non può, quindi,
trovare sostegno nel solo dato formale delle indicazioni che
si rinvengono nel verbale redatto per ogni adunanza della
commissione preposta all’esame delle offerte, ma deve essere
suffragata da circostanze ed elementi che, su un piano di
effettività e di efficienza causale, abbiano inciso sulla
c.d. genuinità dell’offerta, che va preservata in corso di
gara. Peraltro per quanto le modalità di conservazione siano
state accurate e rigorose (ad es. chiusura in cassaforte o
altro) non si potrà mai escludere che vi sia stata una
dolosa manipolazione (ad es. ad opera di chi conosceva la
combinazione per aprire la cassaforte) e che chi sia
interessato a farlo possa darne la prova. Viceversa, il
fatto che le modalità di conservazione siano state meno
rigorose non autorizza a presumere che la manipolazione vi
sia stata, a meno che non vengano prodotte in tal senso
prove o quanto meno indizi.
Si ha, quindi, un vizio invalidante qualora sia
positivamente provato, o quanto meno vi siano seri indizi,
che le carte siano state manipolate negli intervalli fra
un’operazione e l’altra. In siffatto contesto l’annotazione
a verbale delle modalità di conservazione ha semplicemente
l’effetto di precostituire una prova dotata di fede
privilegiata (artt. 2699 e 2700 cod. civ.), e quindi di
prevenire o rendere più difficili future contestazioni; ma
così come tali annotazioni, per quanto accurate, non
impediranno mai a chi vi abbia interesse a dare la prova
dell’avvenuta manipolazione (passando anche attraverso il
procedimento di querela di falso, ove necessario), allo
stesso modo la mancanza o l’incompletezza delle stesse
annotazioni, ovvero la scarsa (in ipotesi) efficacia delle
modalità di custodia, avranno solo l’effetto di rendere meno
arduo il compito di chi voglia raggiungere quella prova, o
rappresentare quegli indizi.
Applicando i su riferiti principi alla fattispecie di cui si
controverte, dalle risultanze delle operazioni compiute
dalla commissione giudicatrice non emergono inadempimenti
idonei a mettere in gioco la genuinità delle offerte, ove si
consideri che tutti i verbali dal numero 1 al 7 recano
attestazioni sull’integrità dei plichi e sull’adozione di
presidi a salvaguardia del loro deposito e custodia in
condizioni di sicurezza. La circostanza che la formula di
rito impiegata nei precedenti verbali non sia stata
pedissequamente ripetuta nel verbale n. 8 non assurge ad
elemento viziante la procedura, la cui regolarità va desunta
con approccio complessivo alle operazioni compiute dalla
commissione e tenuto conto che il verbale da ultimo
menzionato reca la formale attestazione che, in sede di
apertura del plico relativo alle offerte tempi (plico C) ed
economiche (plico B), “tutte le buste ivi contenute, di
ciascuno dei concorrenti, risultano integre e recano la
dicitura prescritta dal disciplinare di gara”.
Né possono
essere elevati a sintomo di interventi manomissivi
dell’integrità dei plichi, con incisione sulla genuinità
delle offerte, fatti successivi alla conclusione della gara
(nella specie non leggibilità del timbro dell’impresa e
della data sui modelli dell’offerta tempi ed economica
dell’impresa aggiudicataria in esito ad un primo accesso
documentale rispetto alle risultanze di una rinnovata
esibizione dei medesimi documenti) che per di più non
mettono in discussione gli elementi contenutistici
dell’offerta ed, in conseguenza, l’oggetto su cui si è
attestato il giudizio valutativo della commissione di gara.
Il motivo va, quindi, respinto
(Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria,
sentenza 03.02.2014 n. 8
- link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI - PUBBLICO IMPIEGO:
B.U.R. Lombardia, serie ordinaria n. 6 del 03.02.2014, "Patto
di integrità in materia di contratti pubblici regionali"
(deliberazione
30.01.2014 n. 1299). |
gennaio 2014 |
|
APPALTI:
A. Mancini,
Riepilogo delle soglie di rilevanza comunitaria degli
appalti pubblici nei settori ordinari e speciali (Bollettino
di Legislazione Tecnica n. 1/2014). |
APPALTI: La
responsabilità precontrattuale prescinde dall’eventuale
illegittimità del provvedimento amministrativo di autotutela
che formalizza la volontà dell’Amministrazione di annullare
o revocare gli atti di gara. La responsabilità
precontrattuale non discende infatti dalla violazione delle
norme di diritto pubblico che disciplinano l’agire
autoritativo della pubblica amministrazione e dalla cui
violazione discende l’illegittimità dell’atto.
Essa, al contrario, deriva dalla violazione delle regole
comuni (in particolare del principio generale di buona fede
in senso oggettivo dell’art. 1337 Cod. civ..) che trattano
del “comportamento” precontrattuale, ponendo in capo alla
pubblica amministrazione doveri di correttezza e di buona
fede analoghi a quelli che gravano su un comune soggetto nel
corso delle trattative precontrattuali.
Invero, nello svolgimento della sua attività di ricerca del
contraente l’Amministrazione è tenuta non soltanto a
rispettare le norme dettate nell’interesse pubblico (la cui
violazione implica l’annullamento del provvedimento ed una
eventuale responsabilità da attività provvedimentale
illegittima), ma anche le norme generali sulla correttezza
di cui all’art. 1337 Cod. civ. prescritte dal diritto comune
(la violazione delle quali fa nascere appunto la
responsabilità precontrattuale).
Il Collegio condivide, a tale riguardo, il
principio giurisprudenziale secondo il quale “la
responsabilità precontrattuale prescinde dall’eventuale
illegittimità del provvedimento amministrativo di autotutela
che formalizza la volontà dell’Amministrazione di annullare
o revocare gli atti di gara. La responsabilità
precontrattuale non discende infatti dalla violazione delle
norme di diritto pubblico che disciplinano l’agire autoritativo della pubblica amministrazione e dalla cui
violazione discende l’illegittimità dell’atto. Essa, al
contrario, deriva dalla violazione delle regole comuni (in
particolare del principio generale di buona fede in senso
oggettivo dell’art. 1337 Cod. civ..) che trattano del
“comportamento” precontrattuale, ponendo in capo alla
pubblica amministrazione doveri di correttezza e di buona
fede analoghi a quelli che gravano su un comune soggetto nel
corso delle trattative precontrattuali. Invero, nello
svolgimento della sua attività di ricerca del contraente
l’Amministrazione è tenuta non soltanto a rispettare le
norme dettate nell’interesse pubblico (la cui violazione
implica l’annullamento del provvedimento ed una eventuale
responsabilità da attività provvedimentale illegittima), ma
anche le norme generali sulla correttezza di cui all’art.
1337 Cod. civ. prescritte dal diritto comune (la violazione
delle quali fa nascere appunto la responsabilità
precontrattuale)” (cfr., in questi termini, Consiglio di
Stato, Sez. VI, sentenza 01.02.2013, n. 633, e Cons. Stato,
Ad. Plen., 05.09.2005, n. 6)
(TAR Lombardia-Milano, Sez. I,
sentenza 31.01.2014 n. 361 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA - LAVORI PUBBLICI:
Il partenariato pubblico–privato, secondo i
principi sottostanti le risoluzioni del Parlamento europeo
di maggiore interesse in parte qua, recepite dal codice dei
contratti, si realizza anche attraverso la formula
organizzatoria della concessione di servizi che dà vita ad
un partenariato non istituzionale (ovvero senza la creazione
di enti ad hoc preposti alla gestione della collaborazione e
del servizio).
A sua volta, l’art. 3, co. 12, del codice dei contratti
pubblici, definisce la concessione di servizi come «un
contratto che presenta le stesse caratteristiche di un
appalto pubblico di servizi, ad eccezione del fatto che il
corrispettivo della fornitura di servizi consiste unicamente
nel diritto di gestire i servizi o in tale diritto
accompagnato da un prezzo».
---------------
L’housing sociale si è sviluppato alla metà del secolo
scorso, nei paesi dell’Europa settentrionale, in conseguenza
dell’evoluzione della scienza urbanistica, come tentativo di
ampliare, qualificandola, l’offerta degli alloggi in affitto
(e in misura minore anche in vendita), mettendo a
disposizione nuove unità abitative a favore di quelle
persone che, escluse per ragioni di reddito dall’accesso
all’edilizia residenziale pubblica, non sono tuttavia in
grado di sostenere i costi del libero mercato.
Tale istituto nasce, pertanto, dalla necessità di ripensare
gli insediamenti di edilizia sociale sul territorio non solo
sotto un profilo quantitativo ma anche sul versante
economico-qualitativo: l’housing sociale si presenta,
quindi, come una modalità d’intervento nella quale gli
aspetti immobiliari vengono studiati in funzione dei
contenuti sociali, offrendo una molteplicità di risposte per
le diverse tipologie di bisogni, dove il contenuto sociale è
prevalentemente rappresentato dall’accesso a una casa
dignitosa per coloro che non riescono a sostenere i prezzi
di mercato, ma anche da una specifica attenzione alla
qualità dell’abitare.
La finalità dell’housing sociale è di migliorare la
condizione di queste persone, favorendo la formazione di un
contesto abitativo e sociale dignitoso all’interno del quale
sia possibile, non solo accedere ad un alloggio adeguato, ma
anche a relazioni umane ricche e significative. Data la
sostanziale assenza di sovvenzioni pubbliche, l'housing
sociale si focalizza su quella fascia di cittadini che sono
disagiati in quanto impossibilitati a sostenere un affitto
di mercato, ma che non lo sono al punto tale da poter
accedere all’edilizia residenziale pubblica, finendo con il
rappresentare, nel contempo, una politica volta
all'incremento del patrimonio in affitto a prezzi calmierati
o controllati.
L’housing sociale si sostanzia in un programma attraverso il
quale si progetta di realizzare un insieme di alloggi e
servizi, di eseguire azioni e strumenti, tutti rivolti a
coloro che non riescono a soddisfare sul mercato il proprio
bisogno abitativo, per ragioni economiche o per l’assenza di
un’offerta adeguata. Tra le molteplicità di risposte offerte
dall’housing sociale vi sono l’affitto calmierato,
l’acquisto della casa mediante l’auto-costruzione e le
agevolazioni finanziarie, nonché soluzioni integrate per le
diverse tipologie di bisogni.
In Italia, il progressivo ritiro della mano pubblica dagli
investimenti immobiliari a fini sociali e la bolla
speculativa del mercato immobiliare, che ha toccato insieme
vendita e locazioni, hanno contribuito non poco ad allargare
l’area del disagio, sbarrando o rendendo impervio l’accesso
alla casa a vaste categorie di persone (giovani coppie,
pensionati, famiglie monoparentali, ecc.).
In questo contesto socio economico si è inserito il
legislatore attraverso alcune disposizioni normative che
hanno individuato, fra l’altro, i destinatari di tali
progetti, ovvero le categorie alle quali possono essere
destinati gli alloggi realizzati mediante tale programma:
l'art. 11, co. 2, del d.l. 25.06.2008 n. 112 convertito con
la legge 06.08.2008 n. 133 –recante la disciplina generale
per la realizzazione del c.d. Piano casa al fine di
garantire su tutto il territorio nazionale i livelli minimi
essenziali di fabbisogno abitativo per il pieno sviluppo
della persona umana- ha segnalato le seguenti categorie di
destinatari:
a) nuclei familiari a basso reddito, anche monoparentali o
monoreddito;
b) giovani coppie a basso reddito;
c) anziani in condizioni sociali o economiche svantaggiate;
d) studenti fuori sede;
e) soggetti sottoposti a procedure esecutive di rilascio;
f) altri soggetti in possesso dei requisiti di cui all’art.
1 della legge 08.02.2007 n. 9 (particolari categorie
sociali, soggette a procedure esecutive di rilascio per
finita locazione degli immobili adibiti ad uso di abitazioni
e residenti nei comuni capoluoghi di provincia, nei comuni
con essi confinanti con popolazione superiore a 10.000
abitanti e nei comuni ad alta tensione abitativa);
g) immigrati regolari a basso reddito, residenti da almeno
dieci anni nel territorio nazionale ovvero da almeno cinque
anni nella medesima regione.
6. LA NATURA GIURIDICA DELLA PROCEDURA DI
GARA DI HOUSING SOCIALE.
6.1. Anticipando le conclusioni tratte dagli argomenti che
saranno esposti nel presente § 6, l’Adunanza plenaria
ritiene che dall’esame del contenuto degli elementi
essenziali del programma di housing sociale intrapreso da
Roma Capitale (retro §§ 1.1.–1.3.), emerge che è stata
posta in essere una iniziativa di partenariato pubblico–privato per la gestione di un servizio pubblico locale di
rilievo economico e a domanda individuale, mediante lo
strumento della concessione di servizio pubblico.
Il partenariato pubblico–privato, secondo i principi
sottostanti le risoluzioni del Parlamento europeo di
maggiore interesse in parte qua (14.01.2004 concernente
il libro verde sui servizi di interesse generale, 26.10.2006 concernente i partenariati pubblico–privati e il
diritto comunitario degli appalti pubblici e delle
concessioni), recepite dal codice dei contratti (art. 3, co.
15-ter, introdotto dal d.lgs. 11.09.2008, n. 152,
c.d. terzo correttivo, e dunque applicabile ratione temporis
alla procedura in oggetto), si realizza anche attraverso la
formula organizzatoria della concessione di servizi che dà
vita ad un partenariato non istituzionale (ovvero senza la
creazione di enti ad hoc preposti alla gestione della
collaborazione e del servizio).
A sua volta, l’art. 3, co. 12, del codice dei contratti
pubblici, definisce la concessione di servizi come «un
contratto che presenta le stesse caratteristiche di un
appalto pubblico di servizi, ad eccezione del fatto che il
corrispettivo della fornitura di servizi consiste unicamente
nel diritto di gestire i servizi o in tale diritto
accompagnato da un prezzo».
6.1.1. L’housing sociale si è sviluppato alla metà del
secolo scorso, nei paesi dell’Europa settentrionale, in
conseguenza dell’evoluzione della scienza urbanistica, come
tentativo di ampliare, qualificandola, l’offerta degli
alloggi in affitto (e in misura minore anche in vendita),
mettendo a disposizione nuove unità abitative a favore di
quelle persone che, escluse per ragioni di reddito
dall’accesso all’edilizia residenziale pubblica, non sono
tuttavia in grado di sostenere i costi del libero mercato.
Tale istituto nasce, pertanto, dalla necessità di ripensare
gli insediamenti di edilizia sociale sul territorio non solo
sotto un profilo quantitativo ma anche sul versante
economico-qualitativo: l’housing sociale si presenta,
quindi, come una modalità d’intervento nella quale gli
aspetti immobiliari vengono studiati in funzione dei
contenuti sociali, offrendo una molteplicità di risposte per
le diverse tipologie di bisogni, dove il contenuto sociale è
prevalentemente rappresentato dall’accesso a una casa
dignitosa per coloro che non riescono a sostenere i prezzi
di mercato, ma anche da una specifica attenzione alla
qualità dell’abitare.
La finalità dell’housing sociale è di migliorare la
condizione di queste persone, favorendo la formazione di un
contesto abitativo e sociale dignitoso all’interno del quale
sia possibile, non solo accedere ad un alloggio adeguato, ma
anche a relazioni umane ricche e significative. Data la
sostanziale assenza di sovvenzioni pubbliche, l'housing
sociale si focalizza su quella fascia di cittadini che sono
disagiati in quanto impossibilitati a sostenere un affitto
di mercato, ma che non lo sono al punto tale da poter
accedere all’edilizia residenziale pubblica, finendo con il
rappresentare, nel contempo, una politica volta
all'incremento del patrimonio in affitto a prezzi calmierati
o controllati.
L’housing sociale si sostanzia in un programma attraverso il
quale si progetta di realizzare un insieme di alloggi e
servizi, di eseguire azioni e strumenti, tutti rivolti a
coloro che non riescono a soddisfare sul mercato il proprio
bisogno abitativo, per ragioni economiche o per l’assenza di
un’offerta adeguata. Tra le molteplicità di risposte offerte
dall’housing sociale vi sono l’affitto calmierato,
l’acquisto della casa mediante l’auto-costruzione e le
agevolazioni finanziarie, nonché soluzioni integrate per le
diverse tipologie di bisogni.
In Italia, il progressivo ritiro della mano pubblica dagli
investimenti immobiliari a fini sociali e la bolla
speculativa del mercato immobiliare, che ha toccato insieme
vendita e locazioni, hanno contribuito non poco ad allargare
l’area del disagio, sbarrando o rendendo impervio l’accesso
alla casa a vaste categorie di persone (giovani coppie,
pensionati, famiglie monoparentali, ecc.).
In questo contesto socio economico si è inserito il
legislatore attraverso alcune disposizioni normative che
hanno individuato, fra l’altro, i destinatari di tali
progetti, ovvero le categorie alle quali possono essere
destinati gli alloggi realizzati mediante tale programma:
l'art. 11, co. 2, del d.l. 25.06.2008 n. 112 convertito
con la legge 06.08.2008 n. 133 –recante la disciplina
generale per la realizzazione del c.d. Piano casa al fine di
garantire su tutto il territorio nazionale i livelli minimi
essenziali di fabbisogno abitativo per il pieno sviluppo
della persona umana- ha segnalato le seguenti categorie di
destinatari:
a) nuclei familiari a basso reddito, anche monoparentali o
monoreddito;
b) giovani coppie a basso reddito;
c) anziani in condizioni sociali o economiche svantaggiate;
d) studenti fuori sede;
e) soggetti sottoposti a procedure esecutive di rilascio;
f) altri soggetti in possesso dei requisiti di cui all’art.
1 della legge 08.02.2007 n. 9 (particolari categorie
sociali, soggette a procedure esecutive di rilascio per
finita locazione degli immobili adibiti ad uso di abitazioni
e residenti nei comuni capoluoghi di provincia, nei comuni
con essi confinanti con popolazione superiore a 10.000
abitanti e nei comuni ad alta tensione abitativa);
g) immigrati regolari a basso reddito, residenti da almeno
dieci anni nel territorio nazionale ovvero da almeno cinque
anni nella medesima regione.
In attuazione della normativa primaria, il d.P.C.M. 16.07.2009
-recante l’approvazione del Piano nazionale di
edilizia abitativa c.d. Piano casa– ha previsto
espressamente, quale prima linea di intervento, la
costituzione di un sistema integrato nazionale e locale di
fondi immobiliari per l’acquisizione e la realizzazione di
immobili per l’edilizia residenziale ovvero la promozione di
strumenti finanziari immobiliari innovativi, con la
partecipazione di soggetti pubblici e privati per la
valorizzazione e l’incremento dell’offerta abitativa in
locazione (art. 1) (Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria,
sentenza 30.01.2014 n. 7 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
La norma sancita dall’art. 37, co. 13, codice dei
contratti pubblici (d.lgs. 12.04.2006, n. 163), che impone
ai concorrenti riuniti, già in sede di predisposizione
dell’offerta, l’indicazione della corrispondenza fra quota
di partecipazione al raggruppamento e quota di esecuzione
delle prestazioni (per i contratti di appalto di lavori,
servizi e forniture fino al 14.08.2012 e per i soli
contratti di appalto di lavori a decorrere dal 15.08.2012)
-pur integrando un precetto imperativo capace di imporsi
anche nel silenzio della legge di gara come requisito di
ammissione dell’offerta a pena di esclusione- non esprime un
principio generale desumibile dal Trattato sul funzionamento
dell’Unione europea ovvero dalla disciplina dei contratti
pubblici di appalto e come tale, a mente dell’art. 30, co.
3, del medesimo codice, non può trovare applicazione ad una
selezione per la scelta del concessionario di un pubblico
servizio.
7. LA NATURA
GIURIDICA E LA PORTATA APPLICATIVA DELLA NORMA SANCITA
DALL’ART. 37, CO. 13, CODICE DEI CONTRATTI PUBBLICI.
7.1. L’art. 37, co. 13, cit., nel testo vigente alla data
del bando, era il seguente: <<13. I concorrenti riuniti in
raggruppamento temporaneo devono eseguire le prestazioni
nella percentuale corrispondente alla quota di
partecipazione al raggruppamento >>.
Successivamente tale disposizione è stata novellata dalla
lettera a), del comma 2-bis dell’art. 1 del decreto legge 06.07.2012, n. 95, introdotto dalla legge di conversione
07.08.2012, n. 135 (con decorrenza dal 15.08.2012 data
di entrata in vigore della legge di conversione): <<13. Nel
caso di lavori, i concorrenti riuniti in raggruppamento
temporaneo devono eseguire le prestazioni nella percentuale
corrispondente alla quota di partecipazione al
raggruppamento.>>.
7.2. Prima della novella del 2012, la giurisprudenza
amministrativa (cfr. da ultimo Cons. St., sez. V, 29.09.2013, n. 4753; sez. VI, 20.09.2013, n.
4676), per alcuni aspetti corroborata da recenti pronunce
dell’Adunanza plenaria (cfr. 13.06.2012, n. 22 e 05.07.2012, n. 26 in tema di appalti di servizi), si era
consolidata -sulla scorta di una lettura unitaria della
norma sancita dal comma 13 cit. con quella di cui al comma 4
del medesimo articolo 37, secondo cui: <<4. Nel caso di
forniture o servizi nell’offerta devono essere specificate
le parti del servizio o della fornitura che saranno eseguite
dai singoli operatori economici riuniti o consorziati>>-
nell’affermazione dei seguenti principi, da cui questa
Adunanza non intende decampare:
a) corrispondenza sostanziale, già nella fase dell'offerta,
tra le quote di partecipazione all’a.t.i. e le quote di
esecuzione delle prestazioni, costituendo la relativa
dichiarazione requisito di ammissione alla gara, e non
contenuto di obbligazione da far valere solo in sede di
esecuzione del contratto;
b) funzione dell’obbligo di corrispondenza fra quote di
partecipazione ed esecuzione ravvisata nelle seguenti
esigenze: I) conoscenza preventiva, da parte della stazione
appaltante, del soggetto incaricato di eseguire le
prestazioni e della misura percentuale, al fine di rendere
più spedita l’esecuzione del rapporto individuando ciascun
responsabile; II) agevolare la verifica della competenza
dell’esecutore in relazione alla documentazione di gara; III)
prevenire la partecipazione alla gara di imprese non
qualificate;
c) trattandosi di un precetto imperativo che introduce un
requisito di ammissione, quand'anche non esplicitato dalla
lex specialis, la eterointegra ai sensi dell’art. 1339 c.c.
sicché la sua inosservanza determina l'esclusione dalla gara
(sulla non necessità, ai sensi dell’art. 46, co. 1-bis,
codice dei contratti pubblici, che la sanzione della
esclusione sia espressamente prevista dalla norma di legge
allorquando sia certo il carattere imperativo del precetto
che impone un determinato adempimento ai partecipanti ad una
gara, cfr. Adunanza plenaria 16.10.2013, n. 23; 07.06.2012, n. 21);
d) tale obbligo di dichiarazione in sede di offerta si
impone per tutte le tipologie di a.t.i. (costituite,
costituende, verticali, orizzontali), per tutte le tipologie
di prestazioni (scorporabili o unitarie, principali o
secondarie), e per tutti i tipi di appalti (lavori, servizi
e forniture), indipendentemente dall’assoggettamento della
gara alla disciplina comunitaria;
e) poiché l’obbligo di simmetria tra quota di esecuzione e
quota di effettiva partecipazione all’a.t.i. scaturisce e si
impone ex lege, è necessaria e sufficiente, in sede di
formulazione dell’offerta, la dichiarazione delle quote di
partecipazione a cui la legge attribuisce un valore
predeterminato che è quello della assunzione dell’impegno da
parte delle imprese di eseguire le prestazioni in misura
corrispondente.
7.3. All’interno del su riferito indirizzo giurisprudenziale
si è sviluppato un filone esegetico che ha divisato un
ulteriore necessario parallelismo, in modo congiunto, anche
fra quote di partecipazione, requisiti di qualificazione e
quote di esecuzione.
Tale impostazione deve essere respinta perché:
a) in contrasto con il tenore testuale delle disposizioni
del codice dei contratti pubblici (e segnatamente, i commi 4
e 13 dell’articolo 37), che non consentono di avallare una
siffatta opzione interpretativa;
b) in contrasto con la sistematica del codice (e del
regolamento attuativo), che disciplina in maniera completa e
nella sede propria il regime della qualificazione delle
imprese anche riunite in a.t.i., per i lavori, mentre affida
alla legge di gara ogni determinazione in materia per gli
appalti di servizi e forniture, salvi i limiti sanciti dagli
artt. 41–45;
c) si rileva, inoltre, che una siffatta opzione (volta a
superare e, di fatto, integrare l’espressa previsione di
legge –comma 13 dell’articolo 37– la quale si limita ad
imporre il parallelismo fra le quote di partecipazione e
quelle esecuzione), determinerebbe in molti casi l’effetto
di escludere dalle pubbliche gare raggruppamenti ai cui
partecipanti sarebbe ascritto null’altro se non una sorta di
eccesso di qualificazione; l'approccio in questione si
porrebbe in contrasto con i principi del favor partecipationis e della libertà giuridica di impresa,
negando in radice la possibilità per taluni operatori
economici (in particolare quelli maggiormente qualificati),
di individuare in modo autonomo la configurazione
organizzativa ottimale per partecipare alle pubbliche gare.
7.4. Il quadro unitario così faticosamente ricostruito dalla
giurisprudenza, ha subito, successivamente alla novella
introdotta dal d.l. n. 95 del 2012, una frattura che conduce
ad una lettura atomistica delle norme sancite dai più volte
richiamati commi 4 e 13 dell’art. 37 codice dei contratti
pubblici.
Deve ritenersi, invero, che:
a) giusta il tenore letterale della nuova disposizione e la
sua finalità di semplificare gli oneri di dichiarazione
incombenti sulle imprese raggruppate che operano nel mercato
dei contratti pubblici, l’obbligo di corrispondenza fra
quote di partecipazione e quote di esecuzione sancito dal
più volte menzionato comma 13, sia rimasto circoscritto ai
soli appalti di lavori;
b) per gli appalti di servizi e forniture continua a trovare
applicazione unicamente la norma sancita dal comma 4
dell’art. 37, che impone alle imprese raggruppate il più
modesto obbligo di indicare le parti del servizio o della
fornitura facenti capo a ciascuna di esse, senza pretendere
anche l’obbligo della corrispondenza fra quote di
partecipazione e quote di esecuzione, fermo restando, però,
che ciascuna impresa deve essere qualificata per la parte di
prestazioni che si impegna ad eseguire, nel rispetto delle
speciali prescrizioni e modalità contenute nella legge di
gara;
c) rimane inteso, in entrambi i casi, che le norme in
questione continuano ad esprimere un precetto imperativo da
rispettarsi a pena di esclusione e sono dunque capaci di
eterointegrare i bandi silenti.
7.5. Una volta ricostruito il compendio delle norme (anche
nella loro evoluzione diacronica), e dei principi
costitutivi del micro ordinamento di settore, è agevole
riscontrare che il dovere di corrispondenza fra quote di
partecipazione e quote di esecuzione in capo alle imprese
raggruppate, sancito dall’art. 37, co. 13, cit., non esprime
un principio generale del Trattato e della disciplina dei
contratti, segnatamente a tutela del valore della
trasparenza, poiché l’esigenza che soddisfa, pur meritevole
di apprezzamento per scelta della legge, si esaurisce
completamente all’interno della sfera di interessi della
stazione appaltante, in funzione di esigenze di semplice
correntezza dell’azione amministrativa, rendendo più agevoli
i compiti di accertamento e controllo da parte del seggio di
gara.
Pertanto, all’esito dello scrutinio rigoroso di indagine
basato sull’accertamento della natura dell’interesse
presidiato dal precetto e della sua ampiezza applicativa
(retro § 6.5.), non si può affermare che la ratio essendi di
tale norma sia incentrata, in via immediata e diretta, nella
tutela di valori immanenti al sistema dei contratti
pubblici.
Anche la novella introdotta dal d.l. n. 95 del 2012, pur non
applicabile ratione temporis alla fattispecie per cui è
causa, avvalora e rafforza le su esposte conclusioni
esegetiche perché dimostra che il legislatore, nel
circoscrivere la portata applicativa dell’obbligo di
corrispondenza fra quote di partecipazione e quote di
esecuzione ai soli appalti di lavori, ha mostrato di
ritenerlo una precetto vincolante non per l’intero settore
dei contratti (comprensivo di forniture e servizi), ma solo
per il più ristretto ambito dei lavori pubblici col che
facendo venir meno anche il profilo soggettivo (inteso quale
comunanza della regola a tutti gli appalti), del principio
generale, residuando un precetto che se pure è imperativo
rimane confinato ai soli appalti di lavori.
7.6. In conclusione, avuto riguardo alla seconda questione
sottoposta all’Adunanza plenaria, deve enunciarsi il
seguente principio di diritto: <<la norma sancita dall’art.
37, co. 13, codice dei contratti pubblici (d.lgs. 12.04.2006, n. 163), che impone ai concorrenti riuniti, già in
sede di predisposizione dell’offerta, l’indicazione della
corrispondenza fra quota di partecipazione al raggruppamento
e quota di esecuzione delle prestazioni (per i contratti di
appalto di lavori, servizi e forniture fino al 14.08.2012 e per i soli contratti di appalto di lavori a decorrere
dal 15.08.2012) -pur integrando un precetto imperativo
capace di imporsi anche nel silenzio della legge di gara
come requisito di ammissione dell’offerta a pena di
esclusione- non esprime un principio generale desumibile
dal Trattato sul funzionamento dell’Unione europea ovvero
dalla disciplina dei contratti pubblici di appalto e come
tale, a mente dell’art. 30, co. 3, del medesimo codice, non
può trovare applicazione ad una selezione per la scelta del
concessionario di un pubblico servizio>>
(Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria,
sentenza 30.01.2014 n. 7 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI: A.
Giardetti,
Discrezionalità delle stazioni appaltanti sulla sussistenza
di cause di esclusione dalla gara pubblica
(29.01.2014 - link a www.diritto.it). |
APPALTI:
Non basta l'antimafia per sciogliere l'associazione
d'impresa. Ati con boss in
terra di gomorra, sentenza del Tar Campania.
Associazione temporanea sì, cointeressenza economica (forse)
no. Non basta l'interdittiva antimafia atipica del prefetto
a far scattare la rescissione del contratto di affidamento
dei lavori all'impresa che, in terra di Gomorra, è stata in
Ati con una società in odore di camorra e con una persona
poi arrestata per associazione mafiosa: la nota dell'ufficio
territoriale del governo costituisce soltanto un punto di
partenza e non uno sviluppo investigativo. E l'esclusione
dall'appalto non si può basare sulla base di soli sospetti,
per quanto legittimi in una molto zona difficile per
l'edilizia come quella fra Napoli e Caserta.
È quanto emerge
dalla
sentenza
23.01.2014 n. 487 del TAR
Campania-Napoli, Sez. I.
Elementi insufficienti. Accolto il ricorso della società
difesa dall'avvocato Renato Labriola. Non bastano gli
elementi raccolti dalla prefettura, che pure nell'interdittiva
antimafia atipica ha potere di svolgere autonome indagini.
La mera partecipazione alle gare pubbliche in formazioni
soggettivamente complesse come l'Ati -osservano i giudici-
non costituisce di per sé indice di permeabilità mafiosa: la
circostanza deve essere corroborata da altri elementi che
indicano un legame sospetto fra l'impresa pulita e quella
già nota alle forze dell'ordine.
Insomma: bisogna dimostrare
la cointeressenza economica fra le varie società nominate
nel provvedimento interdittivo. È peraltro lo stesso
articolo 37 del codice dei contratti pubblici a stabilire
che in caso di inibitoria emanata nei confronti dell'azienda
mandante, la società mandataria può ben continuare a
eseguire l'appalto, previa estromissione dall'altra. L'interdittiva
atipica, poi, risulta liberamente valutabile dalla stazione
appaltante, che nella pratica però difficilmente evita di
prendere provvedimenti contro l'impresa segnalata.
Le notizie segnalate dalla prefettura sulle due
compartecipazioni contestate, però, non sono sufficienti a
stabilire che è in corso un'infiltrazione mafiosa perché non
provano che vi sia un clan in grado di dirigere le scelte
dell'azienda: costituiscono solo un «elemento isolato»
che avrebbe richiesto «più robuste emergenze di indagine».
Spese compensate, contributo unificato a carico dell'ente
appaltante (articolo ItaliaOggi
del 25.02.2014). |
LAVORI PUBBLICI - PATRIMONIO: G.U.
23.01.2014 n. 18, suppl. ord. n. 8, "Criteri ambientali
minimi per l’acquisto di lampade a scarica ad alta intensità
e moduli led per illuminazione pubblica, per l’acquisto di
apparecchi di illuminazione per illuminazione pubblica e per
l’affidamento del servizio di progettazione di impianti di
illuminazione pubblica - aggiornamento 2013" (Ministero
dell'Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare,
decreto 23.12.2013). |
APPALTI: Responsabili. Requisiti morali.
In un appalto pubblico di servizi il responsabile tecnico
dell'impresa deve dichiarare a pena di esclusione il
possesso dei requisiti generali, anche di moralità
professionale, laddove la disciplina di settore associ a
tale figura particolari responsabilità e funzioni.
Lo
afferma il TAR Lazio-Roma con
sentenza 22.01.2014 n. 828 della Sez. III-quater
che ha preso in esame una fattispecie relativa a un appalto
di servizi, settore in cui, generalmente, non è previsto
l'obbligo di un «direttore tecnico» tenuto a
dichiarare il possesso dei requisiti cosiddetti di ordine
generale per l'ammissione alla gara.
La norma del codice (art. 38) prevede l'obbligo per gli
amministratori muniti di poteri di rappresentanza e per il
direttore tecnico (figura prevista nel settore dei lavori
per le imprese di costruzioni e nel settore dei servizi di
ingegneria e architettura per le società di ingegneria).
In base al tenore letterale della norma, quindi, il
Responsabile tecnico di una impresa operante nel settore dei
servizi non sarebbe tenuto a rilasciare le dichiarazioni dal
momento che verrebbe ritenuto -dall'art. 38- un soggetto
privo di qualunque significativo ruolo decisionale e
gestionale. Il Tar del Lazio, però offre una lettura
estensiva della norma partendo dalla considerazione che la
figura del responsabile tecnico, soprattutto in strutture
che operano in un settore di attività in cui la relativa
normativa attribuisce una funzione centrale ai compiti
tecnico-organizzativi affidati a tale figura, deve nella
sostanza essere equiparato alla figura del direttore tecnico
di una impresa di costruzioni o di una società di
ingegneria.
La sentenza richiama anche un caso normativamente previsto
come è quello della disciplina in tema di smaltimento dei
rifiuti in cui viene prevista come obbligatoria la figura
del responsabile tecnico (o del legale rappresentante) nella
persona di un soggetto in possesso di precisi requisiti
professionali e tecnici che la stessa disciplina dettaglia
in concreto.
Pertanto in questi casi (cioè quando al responsabile tecnico
la normativa settoriale assegna responsabilità e funzioni
particolari) è necessario che in sede di gare anche il
responsabile tecnico dichiari il possesso dei requisiti di
ordine generale (assenza di condanne, moralità professionale
ecc.) (articolo ItaliaOggi del
20.02.2014). |
APPALTI:
La valutazione operata dall’amministrazione
appaltante circa la congruità delle offerte costituisce
espressione tipica della discrezionalità tecnica che, come
tale, sfugge al sindacato giurisdizionale, salvo che non sia
macroscopicamente inficiata da arbitrarietà,
irragionevolezza, irrazionalità ovvero travisamento dei
fatti.
Sempre in tema di verifica delle offerte sospette di
anomalia, è stato affermato che tale verifica è finalizzata
non sono in astratto all’apprezzamento della serietà e
dell’affidabilità dell’offerta, ma anche a garantire in
concreto, secondo un giudizio di ragionevolezza fondato
sull’id quod plerumque accidit”, l’effettiva, corretta ed
utile esecuzione dei lavori o fornitura di beni e servizi,
facendo in modo che gli appalto siano affidati ad un prezzo
che consenta un adeguato margine di guadagno per l’impresa
aggiudicataria, “…nella convinzione che le acquisizioni in
perdita portino gli affidatari ad una negligente esecuzione,
oltre ad un probabile contenzioso; infatti, il consentire la
presentazione di offerte senza adeguato utile finirebbe con
l’alterare il sistema di libera concorrenza del mercato,
permettendo la sopravvivenza alle sole imprese fornite di
maggiori risorse economiche, che possono consentirsi
contratti in perdita".
E’ noto che la valutazione operata
dall’amministrazione appaltante circa la congruità delle
offerte costituisce espressione tipica della discrezionalità
tecnica che, come tale, sfugge al sindacato giurisdizionale,
salvo che non sia macroscopicamente inficiata da
arbitrarietà, irragionevolezza, irrazionalità ovvero
travisamento dei fatti (ex plurimis, Cons. Stato, sez. V, 26.09.2013, n. 4761; 18.02.2013, n. 974; 19.11.2012, n. 5846; 23.07.2012, n. 4206; 26.06.2012, n. 3737).
Sempre in tema di verifica delle offerte sospette di
anomalia, è stato affermato che tale verifica è finalizzata
non sono in astratto all’apprezzamento della serietà e
dell’affidabilità dell’offerta, ma anche a garantire in
concreto, secondo un giudizio di ragionevolezza fondato
sull’id quod plerumque accidit”, l’effettiva,
corretta ed utile esecuzione dei lavori o fornitura di beni
e servizi, facendo in modo che gli appalto siano affidati ad
un prezzo che consenta un adeguato margine di guadagno per
l’impresa aggiudicataria, “…nella convinzione che le
acquisizioni in perdita portino gli affidatari ad una
negligente esecuzione, oltre ad un probabile contenzioso;
infatti, il consentire la presentazione di offerte senza
adeguato utile finirebbe con l’alterare il sistema di libera
concorrenza del mercato, permettendo la sopravvivenza alle
sole imprese fornite di maggiori risorse economiche, che
possono consentirsi contratti in perdita (cfr. fra le tante,
Cons. Stato, sez. V, 18.02.2003, n. 863)” (Cons. Stato,
sez. V, 15.04.2013, n. 2063) (Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 17.01.2014 n. 210 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Poiché il
legale rappresentante non ha sottoscritto
l’offerta, la sua esclusione si appalesa
legittima.
L’art. 46 del d.lgs. 12.04.2006, n. 163,
al comma 1-bis recita: “la stazione
appaltante esclude i candidati o i
concorrenti in caso di mancato adempimento
alle prescrizioni previste dal presente
codice e dal regolamento e da altre
disposizioni di legge vigenti, nonché nei
casi di incertezza assoluta sul contenuto o
sulla provenienza dell’offerta, per difetto
di sottoscrizione o di altri elementi
essenziali ovvero in caso di non integrità
del plico contenente l'offerta o la domanda
di partecipazione o altre irregolarità
relative alla chiusura dei plichi, tali da
far ritenere, secondo le circostanze
concrete, che sia stato violato il principio
di segretezza delle offerte; i bandi e le
lettere di invito non possono contenere
ulteriori prescrizioni a pena di esclusione.
Dette prescrizioni sono comunque nulle”.
La norma, quindi, espressamente include la
sottoscrizione fra gli elementi essenziali
dell’offerta, ed altrettanto espressamente
dispone che la sua mancanza determina
l’esclusione del concorrente dalla gara.
L’univoco enunciato della norma impone di
ritenere che il legislatore, nel risolvere
il bilanciamento tra “favor partecipationis”
ed esigenza di chiarezza nell’espressione
della volontà delle parti, abbia dato la
prevalenza a tale ultima esigenza,
disponendo –appunto– l’esclusione delle
offerte prive di sottoscrizione.
Il legislatore, in altri termini, ha
ritenuto la sottoscrizione elemento
necessario dell’offerta, la cui mancanza
rende dubbia la sua riferibilità al
partecipante alla gara; di conseguenza ha
sancito la nullità dell’offerta che, in
quanto non sottoscritta, pone un elemento di
incertezza circa la possibilità di
concludere il contratto.
E’ noto, infatti, che secondo la costante
giurisprudenza del giudice amministrativo,
la sottoscrizione dell’offerta si configura
come lo strumento mediante il quale l’autore
fa propria la dichiarazione contenuta nel
documento, serve a renderne nota la
paternità ed a vincolare l’autore alla
manifestazione di volontà in esso contenuta.
Essa assolve la funzione di assicurare
provenienza, serietà, affidabilità e
insostituibilità dell’offerta e costituisce
elemento essenziale per la sua
ammissibilità, sia sotto il profilo formale
che sotto quello sostanziale, potendosi solo
ad essa riconnettere gli effetti
dell’offerta come dichiarazione di volontà
volta alla costituzione di un rapporto
giuridico.
L’espressa comminatoria di nullità impedisce
poi di seguire il ragionamento
dell’appellante, volto a dimostrare che
l’offerta non sottoscritta risultava ad essa
riferibile in base ad altri elementi.
L’appello è infondato; il Collegio prescinde
quindi dall’esame delle questioni di
ammissibilità proposte dalle parti
resistenti.
L’appellante è stata esclusa dalla gara di
cui al paragrafo 1 che precede non avendo
sottoscritto la propria offerta.
Contesta il relativo provvedimento, nonché
la sentenza con la quale il primo giudice ha
respinto l’impugnazione, affermando che la
sua volontà di formulare la proposta
contrattuale consacrata nell’offerta risulta
con chiarezza dalla sottoscrizione e dalle
sigle apposte in diversi documenti,
predisposti per la partecipazione alla gara,
e che la normativa di gara, che impone
appunto la sottoscrizione dell’offerta, deve
essere dichiarata nulla per violazione
dell’art. 46 del d.lgs. 12.04.2006, n. 163.
La tesi non può essere condivisa.
L’invocato art. 46 del d.lgs. 12.04.2006, n.
163, al comma 1-bis recita: “la stazione
appaltante esclude i candidati o i
concorrenti in caso di mancato adempimento
alle prescrizioni previste dal presente
codice e dal regolamento e da altre
disposizioni di legge vigenti, nonché nei
casi di incertezza assoluta sul contenuto o
sulla provenienza dell’offerta, per difetto
di sottoscrizione o di altri elementi
essenziali ovvero in caso di non integrità
del plico contenente l'offerta o la domanda
di partecipazione o altre irregolarità
relative alla chiusura dei plichi, tali da
far ritenere, secondo le circostanze
concrete, che sia stato violato il principio
di segretezza delle offerte; i bandi e le
lettere di invito non possono contenere
ulteriori prescrizioni a pena di esclusione.
Dette prescrizioni sono comunque nulle”.
La norma quindi espressamente include la
sottoscrizione fra gli elementi essenziali
dell’offerta, ed altrettanto espressamente
dispone che la sua mancanza determina
l’esclusione del concorrente dalla gara.
L’univoco enunciato della norma impone di
ritenere che il legislatore, nel risolvere
il bilanciamento tra “favor
partecipationis” ed esigenza di
chiarezza nell’espressione della volontà
delle parti, abbia dato la prevalenza a tale
ultima esigenza, disponendo –appunto–
l’esclusione delle offerte prive di
sottoscrizione.
Il legislatore, in altri termini, ha
ritenuto la sottoscrizione elemento
necessario dell’offerta, la cui mancanza
rende dubbia la sua riferibilità al
partecipante alla gara; di conseguenza ha
sancito la nullità dell’offerta che, in
quanto non sottoscritta, pone un elemento di
incertezza circa la possibilità di
concludere il contratto.
E’ noto, infatti, che secondo la costante
giurisprudenza del giudice amministrativo,
la sottoscrizione dell’offerta si configura
come lo strumento mediante il quale l’autore
fa propria la dichiarazione contenuta nel
documento, serve a renderne nota la
paternità ed a vincolare l’autore alla
manifestazione di volontà in esso contenuta.
Essa assolve la funzione di assicurare
provenienza, serietà, affidabilità e
insostituibilità dell’offerta e costituisce
elemento essenziale per la sua
ammissibilità, sia sotto il profilo formale
che sotto quello sostanziale, potendosi solo
ad essa riconnettere gli effetti
dell’offerta come dichiarazione di volontà
volta alla costituzione di un rapporto
giuridico.
L’espressa comminatoria di nullità impedisce
poi di seguire il ragionamento
dell’appellante, volto a dimostrare che
l’offerta non sottoscritta risultava ad essa
riferibile in base ad altri elementi.
Atteso che nel caso di specie è pacifico, in
punto di fatto, che il legale rappresentante
dell’appellante non ha sottoscritto
l’offerta, la sua esclusione si appalesa
legittima.
In conclusione, l’appello principale deve
essere respinto, mentre deve essere
dichiarato improcedibile l’appello
incidentale (Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 17.01.2014 n. 174 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
L’art. 48 del Codice dei contratti pubblici
prevede che, quando le dichiarazioni contenute nella domanda
di partecipazione o nell’offerta circa il possesso dei
requisiti di capacità non siano state comprovate dalla
documentazione all’uopo presentata, e per ciò stesso, “le
stazioni appaltanti procedono all’esclusione del concorrente
dalla gara, alla escussione della relativa cauzione
provvisoria e alla segnalazione del fatto all’Autorità”.
Con il che si rende evidente che le predette misure
discendenti dall’esclusione si rivelano strettamente
vincolate e consequenziali alla verifica dell’omissione di
cui si tratta, e prive di qualsivoglia contenuto
discrezionale. La giurisprudenza prevalente è difatti
attestata nel senso che l’incameramento della cauzione
provvisoria sia una conseguenza sanzionatoria automatica del
provvedimento di esclusione, come tale non suscettibile di
alcuna valutazione discrezionale con riguardo ai singoli
casi concreti.
L’Adunanza Plenaria di questo Consiglio, inoltre, ha
riconosciuto che la possibilità di incamerare la cauzione
provvisoria può trarre fondamento anche dall'art. 75, comma
6, d.lgs. n. 163 del 2006, che riguarda tutte le ipotesi di
mancata sottoscrizione del contratto per fatto
dell'affidatario, intendendosi per “fatto dell'affidatario”
qualunque ostacolo alla stipulazione a lui riconducibile, e
dunque non solo il rifiuto di stipulare o il difetto di
requisiti speciali, ma anche il difetto di requisiti
generali di cui all'art. 38 dello stesso Codice.
Quanto
all’escussione della cauzione, la Sezione osserva che le
deduzioni di parte, notevolmente scarne sul punto
(agitandosi le sole critiche sopra esposte al paragr. 1 e di
seguito già confutate), non sono idonee ex se a far
escludere l’avvenuta integrazione dei presupposti per
l’incameramento della cauzione provvisoria.
D’altra parte, non è inutile ricordare che l’art. 48 del
Codice dei contratti pubblici prevede che, quando le
dichiarazioni contenute nella domanda di partecipazione o
nell’offerta circa il possesso dei requisiti di capacità non
siano state comprovate dalla documentazione all’uopo
presentata, e per ciò stesso, “le stazioni appaltanti
procedono all’esclusione del concorrente dalla gara, alla
escussione della relativa cauzione provvisoria e alla
segnalazione del fatto all’Autorità”. Con il che si rende
evidente che le predette misure discendenti dall’esclusione
si rivelano strettamente vincolate e consequenziali alla
verifica dell’omissione di cui si tratta, e prive di
qualsivoglia contenuto discrezionale. La giurisprudenza
prevalente è difatti attestata nel senso che l’incameramento
della cauzione provvisoria sia una conseguenza sanzionatoria
automatica del provvedimento di esclusione, come tale non
suscettibile di alcuna valutazione discrezionale con
riguardo ai singoli casi concreti (v. C.d.S., V, 01.10.2010, n. 7263, 18.04.2012, n. 2232, e 10.09.2012,
n. 4778; nello stesso senso v. anche, tra le altre, IV, 16.02.2012, n. 810; 24.05.2013, n. 2832; VI, 27.12.2006, n. 7948; III, 16.03.2012, n. 1471).
L’Adunanza Plenaria di questo Consiglio (04.05.2012, n. 8),
inoltre, ha riconosciuto che la possibilità di incamerare la
cauzione provvisoria può trarre fondamento anche dall'art.
75, comma 6, d.lgs. n. 163 del 2006, che riguarda tutte le
ipotesi di mancata sottoscrizione del contratto per fatto
dell'affidatario, intendendosi per “fatto
dell'affidatario” qualunque ostacolo alla stipulazione a
lui riconducibile, e dunque non solo il rifiuto di stipulare
o il difetto di requisiti speciali, ma anche il difetto di
requisiti generali di cui all'art. 38 dello stesso Codice
(Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 17.01.2014 n. 169 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Verifica dell'offerta anomala, intervento del giudice solo
in casi ''straordinari''.
L'esame delle giustificazioni presentate
dal soggetto che e' tenuto a dimostrare la non anomalia
dell'offerta è vicenda che rientra nella discrezionalità
tecnica dell'Amministrazione.
Soltanto in caso di macroscopiche illogicità, vale a dire di
errori di valutazione evidenti e gravi, oppure di
valutazioni abnormi o affette da errori di fatto, il giudice
può intervenire, restando per il resto la capacità di
giudizio confinata entro i limiti dell'apprezzamento tecnico
proprio di tale tipo di discrezionalità.
Il Consiglio di Stato ha respinto il ricorso di una società
che contestava l’aggiudicazione dell’appalto ad una
cooperativa che , secondo il suo parere, aveva presentato
una offerta anomala; i giudici amministrativi del Consiglio
di Stato, tuttavia, condividono la conclusione a cui è
pervenuto il TAR il quale ha sostenuto che se il
procedimento di verifica dell’anomalia, condotto
dall’Amministrazione appaltante con il dovuto scrupolo
istruttorio, è sfociato in un giudizio non manifestamente
illogico né irragionevole sull’attendibilità dell’offerta
nel suo complesso, l’aggiudicazione è da intendersi
pienamente legittima.
Il caso
Una stazione appaltante aveva indetto una procedura aperta
per l’affidamento, secondo il criterio dell’offerta
economicamente più vantaggiosa, del servizio di
preparazione, confezionamento ed eventuale trasporto dei
pasti per gli utenti dei servizi socio-assistenziali da essa
gestiti, per la durata di tre anni e con possibilità di
proroga per un ulteriore anno alle medesime condizioni.
Alla gara partecipavano diverse ditte; alcune di queste
venivano escluse e rimanevano in gara una SPA ed una
cooperativa specializzata nel settore.
La stazione appaltante procedeva all’aggiudicazione
definitiva nei confronti della cooperativa; a fronte della
determinazione di aggiudicazione la SPA, seconda
classificata, procedeva al ricorso sostenendo principalmente
che l’offerta della ditta aggiudicataria doveva essere
esclusa dalla gara, perché ritenuta anomala. Il TAR,
tuttavia, dopo l’esame del ricorso lo rigettava nel merito;
la società ricorreva al Consiglio di Stato.
L’analisi dei giudici amministrativi di
secondo grado
Il Consiglio di Stato osserva come il giudice di prime cure
abbia opportunamente anteposto, alla disamina degli
specifici rilievi della società ricorrente, un richiamo ai
principi di elaborazione giurisprudenziale in tema di
sindacato sulla verifica di anomalia delle offerte.
Per i giudici di Palazzo Spada da una parte si assiste al
fatto che la verifica della congruità di un'offerta ha
natura globale e sintetica, riguardando l’attendibilità
della medesima nel suo insieme, e quindi sulla sua idoneità
a fondare un serio affidamento sulla corretta esecuzione
dell'appalto, onde il relativo giudizio non ha per oggetto
la ricerca di singole inesattezze dell'offerta economica;
dall’altro, quello che il Giudice amministrativo può
sindacare le valutazioni della Stazione appaltante in sede
di verifica dell'anomalia delle offerte sotto il profilo
della loro logicità e ragionevolezza e della congruità della
relativa istruttoria, ma non può operare autonomamente la
stessa verifica senza con ciò stesso invadere la sfera
propria della discrezionalità della Pubblica
Amministrazione.
La giurisprudenza amministrativa del Consiglio di Stato ha
precisato che il giudizio di verifica della congruità di
un'offerta potenzialmente anomala ha natura globale e
sintetica, vertendo sulla serietà, o meno, dell'offerta nel
suo insieme.
L'attendibilità dell’offerta deve , cioè, essere valutata
nel suo complesso, e non con riferimento alle singole voci
di prezzo ritenute incongrue, avulse dall’incidenza che
potrebbero avere sull'offerta economica nel suo insieme:
questo, ferma restando la possibile rilevanza del giudizio
di inattendibilità che dovesse investire voci che, per la
loro importanza ed incidenza complessiva, renderebbero
l'intera operazione economica implausibile e, per l'effetto,
insuscettibile di accettazione da parte
dell’Amministrazione, in quanto insidiata da indici
strutturali di carente affidabilità.
Quali le anomalie dell’offerta contestate
dalla società ricorrente
Nel ricorso la società evidenzia, in merito all’ipotizzata
anomalia dell’offerta della ditta aggiudicataria, che tale
l’offerta economica avrebbe dovuto essere giudicata anomala
per il fatto che era stato omesso di indicare e
quantificare, nelle giustificazioni presentate in seno al
procedimento di verifica della stessa offerta, la voce
relativa alle “spese generali”.
I giudici di prime cure, tuttavia, hanno ritenuto che la
mancata indicazione delle spese generali non costituisse,
nel caso concreto, un elemento idoneo ad inficiare la
valutazione della Commissione di complessiva attendibilità
dell’offerta dell’aggiudicataria, facendo principalmente
notare che:
- la società aveva dettagliatamente indicato in sede di
giustificazione tutti gli elementi di costo dell’offerta
praticata, con riferimento sia al costo del personale , sia
al costo di gestione;
- le limitate dimensioni dell’aggiudicataria facevano
ragionevolmente presumere un’incidenza modesta delle spese
generali.
Per i giudici di Palazzo Spada le “osservazioni” del
TAR sono pienamente coerenti con gli orientamenti
giurisprudenziali del Consiglio di Stato.
La seconda contestazione relativa all’anomalia dell’offerta,
riguarda il numero di addetti che l’aggiudicataria prevede
di utilizzare, per il servizio.
In riferimento alle contestazioni della società ricorrente
il Consiglio di Stato evidenzia che la legge di gara non
fissava un numero minimo di addetti, limitandosi a
prescrivere che il servizio fosse gestito dall’appaltatore
con “personale in numero sufficiente”; ed ha aggiunto
che il relativo dato rilevava, ai sensi dell’art. 12 del
disciplinare di gara, ai fini dell’attribuzione del
punteggio relativo al momento della “composizione del
team proposto per lo svolgimento del servizio”, aspetto
in relazione al quale, l’aggiudicataria aveva indicato 4
addetti e conseguito complessivamente 12,5 punti, sul
massimo di 15 previsti.
Il TAR ha poi osservato che i dubbi sollevati dalla
Commissione circa la sufficienza di soli quattro addetti a
gestire il servizio erano stati superati dai chiarimenti
forniti dall’interessata in sede di verifica di anomalia, “alla
luce della caratteristiche tecniche del centro cottura
(tecnologicamente avanzato), delle competenze professionali
del team proposto e della natura del servizio appaltato
(relativamente semplice, contemplando solo la preparazione
dei pasti, non anche la consegna ed il trasporto degli
stessi) e all’organizzazione dello stesso (incentrato su un
unico centro di cottura, più agevole da gestire anche con
poco personale in luogo di più centri di cottura sparsi sul
territorio).”.
Un'altra contestazione, nel ricorso al Consiglio di Stato,
riguardava il fatto che la ditta aggiudicataria avesse
previsto nella propria offerta tecnica che talune
prestazioni proprie del servizio affidato, incluse quelle
relative alla preparazione dei pasti e alla sanificazione
del centro cottura, sarebbero state svolte anche da
volontari non retribuiti, con ciò violando sia l’art. 25 del
capitolato d’appalto (concernente l’obbligo di gestire il
servizio con “proprio personale, professionalmente
qualificato e costantemente aggiornato e addestrato”),
sia la L. 266/1991, sulle attività di volontariato.
Su tale aspetto, tuttavia, il giudice di prime cure ha
rilevato che era stato proprio il disciplinare di gara ad
ammettere il possibile impiego di volontari, in aggiunta al
lavoro degli operatori professionali, vedendo in ciò un
possibile “arricchimento del progetto” e, inoltre, che
l’aggiudicataria aveva previsto, sì, la possibilità di
avvalersi di personale volontario ad integrazione del
personale retribuito stabilmente assunto, ma in sede di
valutazione per tale voce dell’offerta aveva conseguito zero
punti.
Il TAR ha ritenuto che, poiché la presenza di volontari nel
progetto dell’aggiudicataria non aveva avuto influenza sulla
valutazione della sua offerta, e quindi sull’esito della
gara, la critica non poteva che risultare recessiva.
Le conclusioni del Consiglio di Stato
Il Consiglio di Stato condivide la conclusione a cui è
arrivata la sentenza del TAR e, cioè, che il procedimento di
verifica dell’anomalia, condotto dall’Amministrazione
appaltante con il dovuto scrupolo istruttorio, è sfociato in
un giudizio non manifestamente illogico né irragionevole
sull’attendibilità dell’offerta nel suo complesso.
Il ricorso è, pertanto, respinto; per la complessità della
materia , tuttavia , vi sono validi motivi per giustificare
la compensazioni tra le parti delle spese processuali
(commento tratto da www.ipsoa.it - Consiglio di Stato, Sez.
V,
sentenza 17.01.2014 n. 162 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Il primo Giudice ha
richiamato i principi
di elaborazione giurisprudenziale in tema di sindacato sulla
verifica di anomalia delle offerte. Da un lato, quello per
cui la verifica della congruità di un'offerta ha natura
globale e sintetica, vertendo sull’attendibilità della
medesima nel suo insieme, e quindi sulla sua idoneità a
fondare un serio affidamento sulla corretta esecuzione
dell'appalto, onde il relativo giudizio non ha per oggetto
la ricerca di singole inesattezze dell'offerta economica; dall’altro, quello che il Giudice amministrativo può
sindacare le valutazioni della Stazione appaltante in sede
di verifica dell'anomalia delle offerte sotto il profilo
della loro logicità e ragionevolezza e della congruità della
relativa istruttoria, ma non può operare autonomamente la
stessa verifica senza con ciò stesso invadere la sfera
propria della discrezionalità della Pubblica
Amministrazione.
In maniera più articolata, le principali acquisizioni
giurisprudenziali che connotano il sindacato giudiziale
attivabile in questa materia possono essere così
sintetizzate.
►
Nelle procedure per l'aggiudicazione di appalti pubblici,
l'esame delle giustificazioni presentate dal soggetto che è
tenuto a dimostrare la non anomalia dell'offerta è vicenda
che rientra nella discrezionalità tecnica
dell'Amministrazione, per cui soltanto in caso di
macroscopiche illogicità, vale a dire di errori di
valutazione evidenti e gravi, oppure di valutazioni abnormi
o affette da errori di fatto, il giudice della legittimità
può intervenire, restando per il resto la capacità di
giudizio confinata entro i limiti dell'apprezzamento tecnico
proprio di tale tipo di discrezionalità.
► La giurisprudenza è altresì saldamente orientata nel senso
che, nel caso di ricorso proposto avverso il giudizio di
anomalia dell'offerta presentata in una pubblica gara, il
Giudice amministrativo possa sindacare le valutazioni
compiute dall’Amministrazione sotto il profilo della loro
logicità e ragionevolezza e della congruità
dell'istruttoria, mentre non possa invece operare
autonomamente la verifica della congruità dell'offerta
presentata e delle sue singole voci, sovrapponendo così la
sua idea tecnica al giudizio -non erroneo né illogico-
formulato dall'organo amministrativo cui la legge
attribuisce la tutela dell'interesse pubblico
nell'apprezzamento del caso concreto, poiché, così facendo,
il Giudice invaderebbe una sfera propria della P.A..
► E’ ormai acquisito anche l’ulteriore punto per cui il
giudizio di anomalia postula una motivazione rigorosa ed
analitica ove si concluda in senso sfavorevole
all’offerente, mentre non si richiede, di contro, una
motivazione analitica nell’ipotesi di esito positivo della
verifica di anomalia, nel qual caso è sufficiente motivare
per relationem con riferimento alle giustificazioni
presentate dal concorrente (sempre che a loro volta
adeguate).
Di conseguenza, in questa seconda evenienza incombe su chi
contesti l'aggiudicazione l'onere di individuare gli
specifici elementi da cui il Giudice amministrativo possa
evincere che la valutazione tecnico-discrezionale
dell'Amministrazione sia stata manifestamente irragionevole,
ovvero basata su fatti erronei o travisati.
►
Viene precisato, infine, che il giudizio di verifica della
congruità di un'offerta potenzialmente anomala ha natura
globale e sintetica, vertendo sulla serietà o meno
dell'offerta nel suo insieme. L'attendibilità della offerta
va, cioè, valutata nel suo complesso, e non con riferimento
alle singole voci di prezzo ritenute incongrue, avulse
dall’incidenza che potrebbero avere sull'offerta economica
nel suo insieme:
questo ferma restando la possibile rilevanza del giudizio di
inattendibilità che dovesse investire voci che, per la loro
importanza ed incidenza complessiva, renderebbero l'intera
operazione economica implausibile e, per l'effetto,
insuscettibile di accettazione da parte
dell’Amministrazione, in quanto insidiata da indici
strutturali di carente affidabilità.
L’appello è infondato.
Il primo Giudice ha opportunamente anteposto alla disamina
degli specifici rilievi della SODEXO un richiamo ai principi
di elaborazione giurisprudenziale in tema di sindacato sulla
verifica di anomalia delle offerte. Da un lato, quello per
cui la verifica della congruità di un'offerta ha natura
globale e sintetica, vertendo sull’attendibilità della
medesima nel suo insieme, e quindi sulla sua idoneità a
fondare un serio affidamento sulla corretta esecuzione
dell'appalto, onde il relativo giudizio non ha per oggetto
la ricerca di singole inesattezze dell'offerta economica; dall’altro, quello che il Giudice amministrativo può
sindacare le valutazioni della Stazione appaltante in sede
di verifica dell'anomalia delle offerte sotto il profilo
della loro logicità e ragionevolezza e della congruità della
relativa istruttoria, ma non può operare autonomamente la
stessa verifica senza con ciò stesso invadere la sfera
propria della discrezionalità della Pubblica
Amministrazione.
In maniera più articolata, le principali acquisizioni
giurisprudenziali che connotano il sindacato giudiziale
attivabile in questa materia possono essere così
sintetizzate.
Nelle procedure per l'aggiudicazione di appalti pubblici,
l'esame delle giustificazioni presentate dal soggetto che è
tenuto a dimostrare la non anomalia dell'offerta è vicenda
che rientra nella discrezionalità tecnica
dell'Amministrazione, per cui soltanto in caso di
macroscopiche illogicità, vale a dire di errori di
valutazione evidenti e gravi, oppure di valutazioni abnormi
o affette da errori di fatto, il giudice della legittimità
può intervenire, restando per il resto la capacità di
giudizio confinata entro i limiti dell'apprezzamento tecnico
proprio di tale tipo di discrezionalità (C.d.S., Ad. Pl., 29.11.2012, n. 36; V, 26.09.2013, n. 4761; 18.08.2010, n. 5848; 23.11.2010, n. 8148; 22.02.2011, n. 1090).
La giurisprudenza è altresì saldamente orientata nel senso
che, nel caso di ricorso proposto avverso il giudizio di
anomalia dell'offerta presentata in una pubblica gara, il
Giudice amministrativo possa sindacare le valutazioni
compiute dall’Amministrazione sotto il profilo della loro
logicità e ragionevolezza e della congruità
dell'istruttoria, mentre non possa invece operare
autonomamente la verifica della congruità dell'offerta
presentata e delle sue singole voci, sovrapponendo così la
sua idea tecnica al giudizio -non erroneo né illogico-
formulato dall'organo amministrativo cui la legge
attribuisce la tutela dell'interesse pubblico
nell'apprezzamento del caso concreto, poiché, così facendo,
il Giudice invaderebbe una sfera propria della P.A. (C.d.S., IV, 27.06.2011, n. 3862; V, 28.10.2010, n. 7631).
E’ ormai acquisito anche l’ulteriore punto per cui il
giudizio di anomalia postula una motivazione rigorosa ed
analitica ove si concluda in senso sfavorevole
all’offerente, mentre non si richiede, di contro, una
motivazione analitica nell’ipotesi di esito positivo della
verifica di anomalia, nel qual caso è sufficiente motivare
per relationem con riferimento alle giustificazioni
presentate dal concorrente (sempre che a loro volta
adeguate). Di conseguenza, in questa seconda evenienza
incombe su chi contesti l'aggiudicazione l'onere di
individuare gli specifici elementi da cui il Giudice
amministrativo possa evincere che la valutazione
tecnico-discrezionale dell'Amministrazione sia stata
manifestamente irragionevole, ovvero basata su fatti erronei
o travisati (VI, 03.11.2010, n. 7759; V, 22.02.2011, n. 1090; 23.11.2010, n. 8148).
Viene precisato, infine, che il giudizio di verifica della
congruità di un'offerta potenzialmente anomala ha natura
globale e sintetica, vertendo sulla serietà o meno
dell'offerta nel suo insieme. L'attendibilità della offerta
va, cioè, valutata nel suo complesso, e non con riferimento
alle singole voci di prezzo ritenute incongrue, avulse
dall’incidenza che potrebbero avere sull'offerta economica
nel suo insieme (Ad.Pl. n. 36/2012 cit.; V, 14.06.2013,
n. 3314; 01.10.2010, n. 7262; 11.03.2010 n. 1414; IV,
22.03.2013, n. 1633; III, 14.02.2012, n. 710):
questo ferma restando la possibile rilevanza del giudizio di
inattendibilità che dovesse investire voci che, per la loro
importanza ed incidenza complessiva, renderebbero l'intera
operazione economica implausibile e, per l'effetto,
insuscettibile di accettazione da parte
dell’Amministrazione, in quanto insidiata da indici
strutturali di carente affidabilità (V, 15.11.2012, n.
5703; 28.10.2010, n. 7631).
I principi appena ricordati conducono linearmente alla
reiezione delle doglianze di parte ricorrente (Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 17.01.2014 n. 162 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI SERVIZI
- INCARICHI PROFESSIONALI: Se
le spese relative alla predisposizione degli atti di gara e
alla successiva gestione della gara stessa per l’affidamento
del servizio di distribuzione del gas naturale siano
riconducibili nei limiti stabiliti dal decreto legge n.
101/2013 (convertito, con modificazioni, dalla legge n.
125/2013) per studi e incarichi di consulenza.
Per quanto concerne il presupposto che
giustifica il conferimento, da parte del Comune, di
incarichi di studio e consulenza, occorre rilevare che il
ricorso, da parte del Comune, quale stazione appaltante,
all’affidamento di incarichi di studio e consulenza
necessari alla predisposizione degli atti di gara e alla
gestione di questa dovrà in ogni caso avvenire nel rispetto
della disciplina (art. 7, comma 6, d.lgs. n. 165/2001) che
prevede il ricorso a tali istituti nei soli casi in cui
l’amministrazione non disponga, al suo interno, di soggetti
dotati delle necessarie professionalità e competenze per
l’espletamento degli incarichi.
Nel caso in esame, quindi, perché il
Comune di possa conferire a un soggetto esterno l’attività
necessaria alla predisposizione degli atti di gara
(comprensiva della valutazione preliminare degli impianti) e
alla successiva gestione della gara stessa, occorre che il
Comune non disponga di uffici o strutture deputati, tra
l’altro, alle attività di valutazione preliminare degli
impianti e alla gestione della gara.
-------------
La copertura degli oneri di gara è a carico del gestore
aggiudicatario, che è tenuto, al pagamento del corrispettivo
una tantum ai sensi dell’art. 8, comma 1, d.m. 12.11.2011,
n. 226, e a una serie di altri oneri, compresi quelli
connessi agli interventi di efficienza energetica
(art. 8, commi 2-6, d.m. 12.11.2011, n. 226).
Pertanto, tali spese non rientrano nei limiti di cui al
decreto legge n. 101/2013 nella misura in cui siano
strettamente e imprescindibilmente connesse alla definizione
e gestione della gara che il legislatore impone per
l’attività di distribuzione del gas naturale (art. 14,
comma 1, d.lgs. n. 164/2000) e, in ogni caso, è necessario
che oggetto del conferimento dell’incarico da parte del
Comune siano attività che non gravino già sul gestore
uscente, il quale è tenuto ad adempiere una serie di
obblighi nei confronti dell’ente locale
(ad esempio, art. 4, “Obblighi informativi dei gestori”,
d.m. 12.11.2011, n. 226).
Naturalmente, tali spese sono
soggette al rispetto dei generali criteri della
ragionevolezza e della proporzionalità.
---------------
Quanto alla rappresentazione
contabile delle somme anticipate dal Comune quale stazione
appaltante e, successivamente, corrisposte al Comune dal
gestore aggiudicatario a copertura degli oneri della gara,
la Sezione concorda sulla necessità che tali somme vengano
registrate in un capitolo di spesa ad hoc –diverso dal
capitolo “servizi per conto terzi”– e con un’opportuna
specificazione relativamente alle modalità e ai tempi del
loro “rimborso” al Comune da parte del gestore
aggiudicatario.
---------------
Il sindaco del Comune di Brescia, mediante nota n.
126111 del 28.11.2013, chiede se le spese relative alla
predisposizione degli atti di gara e alla successiva
gestione della gara stessa per l’affidamento del servizio di
distribuzione del gas naturale siano riconducibili nei
limiti stabiliti dal decreto legge n. 101/2013
(convertito, con modificazioni, dalla legge n. 125/2013)
per studi e incarichi di consulenza.
...
L’art. 1, comma 5, decreto legge
31.08.2013, n. 103, convertito, con modificazioni, dalla
legge 30.10.2013, n. 125, dispone limiti alle spese,
relativamente agli anni 2014 e 2015, per studi e incarichi
di consulenza, incluse quelle relative a studi e incarichi
di consulenza conferiti a pubblici dipendenti, sostenute
dalle amministrazioni pubbliche inserite nel conto economico
consolidato della pubblica amministrazione e dalle autorità
indipendenti.
La ratio della norma, così come di altre simili,
previste in precedenti provvedimenti (ad esempio, l’art. 6,
comma 7, decreto legge 31.05.2010, n. 78, convertito dalla
legge 30.07.2010, n. 122), è quella di operare un
consistente contenimento di dette spese, la cui entità ha
raggiunto, nel corso degli anni, dimensioni che il
legislatore ha valutato esorbitanti rispetto alle effettive
esigenze delle amministrazioni.
L’estensione dell’ambito applicativo della norma alle
amministrazioni pubbliche inserite nel conto economico
consolidato della pubblica amministrazione rende evidente
che anche le autonomie locali sono chiamate a partecipare,
nel rispetto degli articoli 117, comma 3, e 119, comma 2,
della Costituzione, al raggiungimento degli obiettivi di
sana gestione finanziaria pubblica che la Repubblica si è
impegnata a realizzare.
L’art. 1, comma 5, decreto legge n.
101/2013 fa espresso riferimento alla spesa annua sostenuta,
dalle amministrazioni pubbliche di cui s’è detto, per studi
e incarichi di consulenza, conferiti sia a soggetti esterni
alla pubblica amministrazione, sia a pubblici dipendenti.
Gli incarichi di studio e consulenza cui la norma si
riferisce sono quelli conferiti per approfondire tematiche
di interesse dell’amministrazione; si tratta, inoltre, di
prestazioni di cui l’amministrazione, nell’esercizio della
sua discrezionalità, decide di avvalersi per il
conseguimento delle proprie finalità.
Al fine di valutare se le spese relative alla
predisposizione degli atti di gara e alla successiva
gestione della gara stessa per l’affidamento del servizio di
distribuzione del gas naturale, sostenute dal Comune di
Brescia quale stazione appaltante, rientrino o meno nei
limiti di cui all’art. 1, comma 5, decreto legge n.
101/2013, occorre esaminare il contenuto delle prestazioni
professionali oggetto dell’incarico e se i relativi oneri
siano determinati da servizi o adempimenti cui l’ente è
tenuto per legge (cfr. Corte conti, SS.RR. in sede di
controllo, delibera n. 6/CONTR/05).
Nel caso in esame, fra le spese che il comune di Brescia,
quale stazione appaltante dell’Atem Brescia 3 Città e
impianto di Brescia per la gara unica avente ad oggetto
l’affidamento del servizio di distribuzione del gas
naturale, si propone di sostenere rientrano quelle di
valutazione preliminare degli impianti (di cui, però, la
richiesta di parere non specifica in che cosa consistano),
oltre alle spese connesse alla gestione della gara (anche in
tal caso, su tali spese non sono forniti ulteriori
elementi).
Si tratterebbe, nella prospettazione del Comune di Brescia,
di spese funzionalmente connesse alla procedura di gara, sia
nella fase preliminare al suo svolgimento, sia in quella
successiva della gestione della gara.
Per quanto concerne il presupposto che giustifica il
conferimento, da parte del Comune di Brescia, di incarichi
di studio e consulenza, occorre rilevare che
il ricorso, da parte del Comune, quale stazione
appaltante, all’affidamento di incarichi di studio e
consulenza necessari alla predisposizione degli atti di gara
e alla gestione di questa dovrà in ogni caso avvenire nel
rispetto della disciplina (art. 7, comma 6, d.lgs. n.
165/2001) che prevede il ricorso a tali istituti nei soli
casi in cui l’amministrazione non disponga, al suo interno,
di soggetti dotati delle necessarie professionalità e
competenze per l’espletamento degli incarichi.
Nel caso in esame, quindi, perché il Comune
di Brescia possa conferire a un soggetto esterno l’attività
necessaria alla predisposizione degli atti di gara
(comprensiva della valutazione preliminare degli impianti) e
alla successiva gestione della gara stessa, occorre che il
Comune non disponga di uffici o strutture deputati, tra
l’altro, alle attività di valutazione preliminare degli
impianti e alla gestione della gara.
Quanto alla riconducibilità o meno di tali spese nei limiti
di cui al decreto legge n. 101/2013, si rileva che le spese
vengono anticipate dal Comune, stazione appaltante, per
essere poi a questo rimborsate dall’aggiudicatario-gestore
mediante un corrispettivo che quest’ultimo dovrà versare al
Comune.
L’art. 8, comma 1, del decreto del Ministero dello sviluppo
economico 12.11.2011, n. 226 chiarisce, infatti, che “il
gestore aggiudicatario della gara corrisponde alla stazione
appaltante un corrispettivo una tantum per la copertura
degli oneri di gara, ivi inclusi gli oneri di funzionamento
della commissione di gara”. Il riferimento alla “copertura
degli oneri di gara” appare essere comprensivo di tutte
le spese necessarie alla predisposizione e gestione della
gara (il legislatore ha, inoltre, specificato che vi
rientrano anche gli oneri per il funzionamento della
commissione di gara). La copertura degli
oneri di gara è a carico, quindi, del gestore
aggiudicatario, che è tenuto, al pagamento del corrispettivo
una tantum ai sensi dell’art. 8, comma 1, d.m.
12.11.2011, n. 226, e a una serie di altri oneri, compresi
quelli connessi agli interventi di efficienza energetica
(art. 8, commi 2-6, d.m. 12.11.2011, n. 226).
Pertanto, tali spese non rientrano nei
limiti di cui al decreto legge n. 101/2013 nella misura in
cui siano strettamente e imprescindibilmente connesse alla
definizione e gestione della gara che il legislatore impone
per l’attività di distribuzione del gas naturale
(art. 14, comma 1, d.lgs. n. 164/2000) e,
in ogni caso, è necessario che oggetto del conferimento
dell’incarico da parte del Comune siano attività che non
gravino già sul gestore uscente, il quale è tenuto ad
adempiere una serie di obblighi nei confronti dell’ente
locale (ad
esempio, art. 4, “Obblighi informativi dei gestori”,
d.m. 12.11.2011, n. 226).
Naturalmente, tali spese sono soggette al
rispetto dei generali criteri della ragionevolezza e della
proporzionalità.
Inoltre, nella quantificazione del corrispettivo che il
gestore dovrà versare alla stazione appaltante, lo stesso
art. 8, comma 1, d.m. 12.11.2011, n. 226 dispone che i
criteri per la definizione del corrispettivo siano definiti
dall’Autorità per l’energia elettrica e il gas (l’Autorità
vi ha provveduto con delibera 11.10.2012, n. 407/2012/R/gas,
“Criteri per la definizione del corrispettivo una tantum
per la copertura degli oneri di gara per l’affidamento del
servizio di distribuzione del gas naturale”); nello
stabilire il quantum del corrispettivo, la stazione
appaltante dovrà, quindi, rispettare tali criteri.
Del resto, la verifica di ragionevolezza e proporzionalità
delle spese che il Comune si propone di sostenere per la
definizione e gestione della gara per l’affidamento
dell’attività di distribuzione del gas naturale è funzionale
ad evitare che vengano caricati sul gestore oneri ulteriori
ed eccedenti a quelli strettamente necessari. In caso
contrario, potrebbe verificarsi una traslazione (almeno di
parte) degli oneri sostenuti dal gestore sui consumatori,
quali utenti tenuti al pagamento del prezzo per il servizio.
Quanto alla rappresentazione contabile
delle somme anticipate dal Comune quale stazione appaltante
e, successivamente, corrisposte al Comune dal gestore
aggiudicatario a copertura degli oneri della gara, la
Sezione concorda sulla necessità che tali somme vengano
registrate in un capitolo di spesa ad hoc –diverso
dal capitolo “servizi per conto terzi”– e con
un’opportuna specificazione relativamente alle modalità e ai
tempi del loro “rimborso” al Comune da parte del
gestore aggiudicatario
(Corte dei Conti, Sez. controllo Lombardia,
parere 17.01.2014 n. 23). |
APPALTI SERVIZI: G.U.
17.01.2014 n. 13 "Criteri ambientali minimi per
l’affidamento del servizio di gestione del verde pubblico,
per acquisto di Ammendanti - aggiornamento 2013, acquisto di
piante ornamentali e impianti di irrigazione (Allegato 1) e
forniture di attrezzature elettriche ed elettroniche
d’ufficio - aggiornamento 2013 (Allegato 2)" (Ministero
dell'Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare,
decreto 13.12.2013). |
APPALTI:
Mercoledì 15.01.2014 il Parlamento europeo, in seduta
plenaria ha approvato tre nuove direttive e precisamente
quelle relative ad appalti pubblici e servizi in
sostituzione delle due direttive 2004/18/CE e 2004/17/CE e
la nuovissima direttiva concessioni.
Alleghiamo alla presente notizia le tre direttive nel testo
approvato dal Parlamento europeo, precisando che si tratta:
●
della
direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio sugli
appalti pubblici (COM (2011) 896 def.) che
sostituirà la Direttiva 2004/18/CE;
●
della
direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio sulle
procedure d'appalto degli enti erogatori nei settori
dell'acqua, dell'energia, dei trasporti e dei servizi
postali (COM (2011) 895 def.) che sostituirà la
direttiva 2004/17/CE;
●
della
direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio
sull'aggiudicazione dei contratti di concessione (COM (2011)
897 def.).
I prossimi passaggi saranno quelli dell’approvazione da
parte del Consiglio dei Ministri Ue, che rappresenta gli
stati membri, e la successiva pubblicazione sulla Gazzetta
Ufficiale dell’Unione europea. E’ presumibile, quindi, che
tutto si concluda entro il prossimo mese di febbraio e che
gli Stati membri saranno, quindi, obbligati, nei successivi
24 mesi a recepire le nuove disposizioni nella legislazione
nazionale.
Si profila, quindi, un nuovo e pesante intervento sul Codice
dei Contratti e sul Regolamento.
Sul sito del parlamento Europeo viene precisato che le nuove
direttive in materia di appalti pubblici e concessioni
garantiranno una qualità e un rapporto qualità-prezzo
migliori. Sarà inoltre più facile per le piccole e medie
imprese presentare offerte mentre le nuove regole contengono
disposizioni più severe in materia di subappalto.
Le nuove direttive modificano le norme attuali sugli appalti
pubblici comunitari e per la prima volta, sono stabilite
norme comuni UE in materia di contratti di concessione
(commento tratto da www.lavoripubblici.it). |
APPALTI: La
giurisprudenza consolidata ha delineato tre differenti tipi di informative
prefettizie:
- quelle “ricognitive” di cause di per sé interdittive di cui all'art. 4, comma 4, del d.lgs.
08.08.1994, n. 490 (art. 10, comma 7, lett. a) e b) del d.P.R. n.
252/1998);
- quelle relative ad eventuali tentativi di
infiltrazione mafiosa e la cui efficacia interdittiva
discende da una valutazione del prefetto (art. 10, comma 7,
lett. c) d.P.R. n. 252/1998);
- quelle “supplementari” (o
atipiche), la cui efficacia interdittiva scaturisce da una
valutazione autonoma e discrezionale dell’amministrazione
destinataria dell’informativa prevista dall’art. 1-septies,
del decreto legge 06.09.1982, n. 629, convertito dalla
legge 12.10.1982, n. 726, ed aggiunto dall’art. 2 della
legge 15.11.1988, n. 486.
In linea generale, si rileva che il legislatore, attraverso
la normativa cosiddetta “antimafia”, ha inteso garantire un
ruolo di massima anticipazione all’azione di prevenzione in
ordine ai pericoli di inquinamento mafioso, con la
conseguenza che l’emissione di una comunicazione prefettizia
ostativa prescinde dal concreto accertamento di
responsabilità penali, essendo sufficiente che vi siano
degli elementi indiziari in grado di generare un ragionevole
convincimento sulla sussistenza di un “condizionamento
mafioso”.
A tali principi consegue che il Prefetto, all’atto della
valutazione in ordine alla sussistenza dell’infiltrazione
mafiosa e della conseguente adozione della informativa
ostativa, non è tenuto al raggiungimento della piena prova
della intervenuta infiltrazione, essendo questo un quid pluris non richiesto, ma deve solo sufficientemente
dimostrare la sussistenza di elementi sintomatici ed
indiziari dai quali è deducibile il tentativo di ingerenza.
Relativamente a detta valutazione, l’Autorità Prefettizia
gode di ampia ed autonoma discrezionalità, come tale
sindacabile in sede giurisdizionale solo in caso di
manifesta illogicità e/o irrazionalità. Tale valutazione
deve, peraltro, essere sufficientemente motivata in ordine
alla sussistenza degli elementi dai quali possa
ragionevolmente desumersi il tentativo di infiltrazione
mafiosa.
In definitiva, l’informativa prefettizia costituisce uno
strumento, con funzione spiccatamente cautelare e
preventiva, teso a contrastare la criminalità organizzata,
che deve pur sempre fondarsi su elementi di fatto che
inducano a ritenere esistente il pericolo di infiltrazioni
mafiose, pur prescindendo dall’accertamento di
responsabilità penali.
---------------
Se in caso di informativa prefettizia c.d. “atipica”
l’efficacia interdittiva può conseguire a seguito di una
valutazione autonoma e discrezionale dell’Amministrazione
destinataria, nel caso di informativa c.d. “tipica”,
diversamente, l’efficacia interdittiva discende direttamente
dalla valutazione del Prefetto, con la conseguenza che alla
Amministrazione destinataria non residua alcun potere di
decisione, derivando l’effetto preclusivo direttamente
dall’atto del Prefetto, con conseguente autonoma capacità
lesiva.
Come noto, alla luce della normativa
applicabile, ratione temporis, alla fattispecie in esame
(oggi abrogata –ma sostanzialmente riprodotta- dal D.Lgs. 06.09.2011, n. 159, recante Codice delle leggi antimafia
e delle misure di prevenzione, nonché nuove disposizioni in
materia di documentazione antimafia a norma degli articoli 1
e 2 della legge 13.08.2010, n. 136), la giurisprudenza
consolidata ha delineato tre differenti tipi di informative
prefettizie:
- quelle “ricognitive” di cause di per sé interdittive di cui all'art. 4, comma 4, del d.lgs.
08.08.1994, n. 490 (art. 10, comma 7, lett. a) e b) del d.P.R. n.
252/1998);
- quelle relative ad eventuali tentativi di
infiltrazione mafiosa e la cui efficacia interdittiva
discende da una valutazione del prefetto (art. 10, comma 7,
lett. c) d.P.R. n. 252/1998);
- quelle “supplementari” (o
atipiche), la cui efficacia interdittiva scaturisce da una
valutazione autonoma e discrezionale dell’amministrazione
destinataria dell’informativa prevista dall’art. 1-septies,
del decreto legge 06.09.1982, n. 629, convertito dalla
legge 12.10.1982, n. 726, ed aggiunto dall’art. 2 della
legge 15.11.1988, n. 486.
In linea generale, si rileva che il legislatore, attraverso
la normativa cosiddetta “antimafia”, ha inteso garantire un
ruolo di massima anticipazione all’azione di prevenzione in
ordine ai pericoli di inquinamento mafioso, con la
conseguenza che l’emissione di una comunicazione prefettizia
ostativa prescinde dal concreto accertamento di
responsabilità penali, essendo sufficiente che vi siano
degli elementi indiziari in grado di generare un ragionevole
convincimento sulla sussistenza di un “condizionamento
mafioso” (a titolo esemplificativo, in ordine a tali
consolidati principi, si segnala Consiglio di Stato, sez. III, 19.01.2012, n. 245, id, sez. VI, 15.06.2011,
n. 3647; id, 08.06.2009, n. 3491; id, 19.06.2009, n.
4132; id 14.04.2009, n. 2276; id 27.01.2009, n.
510; id, sez. V, 26.11.2008, n., 5846; id, sez. VI, 19.08.2008, n. 3958; id, sez. V, 27.05.2008, n. 2512; id, sez. IV, 16.03.2004, n. 2783.).
A tali principi consegue che il Prefetto, all’atto della
valutazione in ordine alla sussistenza dell’infiltrazione
mafiosa e della conseguente adozione della informativa
ostativa, non è tenuto al raggiungimento della piena prova
della intervenuta infiltrazione, essendo questo un quid pluris non richiesto, ma deve solo sufficientemente
dimostrare la sussistenza di elementi sintomatici ed
indiziari dai quali è deducibile il tentativo di ingerenza
(cit. sez. VI, 08.06.2009, n. 3491). Relativamente a
detta valutazione, l’Autorità Prefettizia gode di ampia ed
autonoma discrezionalità, come tale sindacabile in sede
giurisdizionale solo in caso di manifesta illogicità e/o
irrazionalità. Tale valutazione deve, peraltro, essere
sufficientemente motivata in ordine alla sussistenza degli
elementi dai quali possa ragionevolmente desumersi il
tentativo di infiltrazione mafiosa (Consiglio di Stato, sez. IV,
02.10.2006, n. 5753).
In definitiva, l’informativa prefettizia costituisce uno
strumento, con funzione spiccatamente cautelare e
preventiva, teso a contrastare la criminalità organizzata,
che deve pur sempre fondarsi su elementi di fatto che
inducano a ritenere esistente il pericolo di infiltrazioni
mafiose, pur prescindendo dall’accertamento di
responsabilità penali.
---------------
Come sopra già
precisato, se in caso di informativa prefettizia c.d.
“atipica” l’efficacia interdittiva può conseguire a seguito
di una valutazione autonoma e discrezionale
dell’Amministrazione destinataria, nel caso di informativa
c.d. “tipica”, diversamente, l’efficacia interdittiva
discende direttamente dalla valutazione del Prefetto, con la
conseguenza che alla Amministrazione destinataria non
residua alcun potere di decisione, derivando l’effetto
preclusivo direttamente dall’atto del Prefetto, con
conseguente autonoma capacità lesiva (questo Tribunale, sez.
I, 25.03.2013, n. 323; Consiglio di Stato, sez. VI, 19.08.2008, n. 3958).
Alla autonoma capacità lesiva,
consegue, come è evidente, l’immediata impugnabilità
(TAR Calabria-Catanzaro, Sez. II,
sentenza 16.01.2014 n. 85 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
ENTI
LOCALI - LAVORI PUBBLICI - PUBBLICO IMPIEGO: G.U.
13.01.2014 n. 9, suppl. ord. n. 4, "Ripubblicazione
del testo della legge 27.12.2013, n. 147, recante:
«Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e
pluriennale dello Stato (Legge di stabilità 2014).»,
corredato delle relative note (Legge pubblicata nel
Supplemento ordinario n. 87 alla Gazzetta Ufficiale n. 302
del 27.12.2013)". |
LAVORI PUBBLICI:
E' ormai consolidato in
giurisprudenza il principio per cui la realizzazione di
un’opera pubblica su fondo illegittimamente occupato, ovvero
legittimamente occupato ma non espropriato nei termini di
legge, non è di per sé in grado di determinare il
trasferimento della proprietà del bene a favore della
Amministrazione.
Deve infatti ritenersi ormai superato l’orientamento che
riconnetteva alla costruzione dell’opera pubblica ed alla
irreversibile trasformazione del fondo che ad essa consegue
effetti preclusivi o limitativi della tutela in forma
specifica del privato, dovendo invece affermarsi che la
suddetta trasformazione su fondo illegittimamente occupato
integra un mero fatto non in grado di assurgere a titolo
d’acquisto..
Il diritto di proprietà, d’altro canto, non può essere fatto
oggetto di atti abdicativi, e quindi anche la richiesta di
risarcimento formulata dal privato, finalizzata ad ottenere
il mero controvalore del fondo compromesso dalla
realizzazione dell’opera pubblica, ancorché interpretata
quale manifestazione della volontà di rinunciare alla
proprietà del fondo, non può valere a determinare in capo al
privato la perdita di proprietà del fondo illegittimamente
occupato dall’opera pubblica.
Discende da quanto sopra che in tali casi solo un formale
atto di acquisizione del fondo riconducibile ad un negozio
giuridico, o ad un decreto espropriativo adottato all’esito
di un rinnovato procedimento di pubblica utilità, ovvero, se
del caso, ad un provvedimento ex art. 42-bis D.P.R.
327/2001, può precludere la restituzione del bene: di guisa
che, in assenza di un tale atto, è obbligo primario della
Amministrazione quello di restituire il fondo
illegittimamente appreso.
Correlativamente, mantenendo il privato la proprietà di
quest’ultimo, egli non ha alcun titolo per chiedere un
risarcimento commisurato alla perdita della proprietà o
della disponibilità fondo, potendo invece agire per la
restituzione di esso e per il risarcimento del danno
conseguente al mancato godimento del bene durante il periodo
di occupazione illegittima.
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La persistente occupazione dei terreni di proprietà del
ricorrente in assenza di un valido titolo idoneo a
trasferirne la proprietà alla P.A. (decreto di esproprio,
cessione volontaria, atto di acquisizione ex art. 42-bis)
configura un illecito permanente che obbliga la P.A. alla
restituito in integrum, oltre che al risarcimento del danno
per il mancato godimento dei beni durante il periodo di
occupazione illegittima.
La restituito in integrum non può essere paralizzata dalla
presenza dell’opera pubblica, la quale non dà titolo per
opporre l’eccessiva onerosità della rimozione delle opere
nel frattempo realizzate né per invocare il principio di cui
al comma 2 dell’art. 2933 cod. civ.: infatti l’eccessiva
onerosità di cui all’art. 2058 cod. civ. non è opponibile
nelle azioni intese a far valere un diritto reale, il cui
carattere assoluto non lascia margini a modalità di
reintegrazione diverse da quella in forma specifica, salva
diversa volontà del titolare.
La Pubblica Amministrazione è tenuta a far cessare tale
occupazione illecita in una delle forme attualmente previste
dall’ordinamento (restituzione e risarcimento del danno;
accordo col privato proprietario; decreto di acquisizione ex
art. 42-bis D.P.R. n. 327/2001), anche perché la persistente
occupazione abusiva non fa che aggravare l’entità del
risarcimento del danno che l’Amministrazione sarà
necessariamente chiamata a pagare al privato proprietario, e
quindi, correlativamente, anche la consistenza del danno
erariale causato da tale comportamento illecito.
Questa Sezione ha già avuto modo di
rilevare che è ormai consolidato in giurisprudenza il
principio per cui la realizzazione di un’opera pubblica su
fondo illegittimamente occupato, ovvero legittimamente
occupato ma non espropriato nei termini di legge, non è di
per sé in grado di determinare il trasferimento della
proprietà del bene a favore della Amministrazione.
Deve infatti ritenersi ormai superato l’orientamento
che riconnetteva alla costruzione dell’opera pubblica ed
alla irreversibile trasformazione del fondo che ad essa
consegue effetti preclusivi o limitativi della tutela in
forma specifica del privato, dovendo invece affermarsi che
la suddetta trasformazione su fondo illegittimamente
occupato integra un mero fatto non in grado di assurgere a
titolo d’acquisto (TAR Piemonte, sez. I, 10.05.2013, n.
607; TAR Piemonte, sez. I, 30.08.2012 n. 985).
Il diritto di proprietà, d’altro canto, non può essere
fatto oggetto di atti abdicativi, e quindi anche la
richiesta di risarcimento formulata dal privato, finalizzata
ad ottenere il mero controvalore del fondo compromesso dalla
realizzazione dell’opera pubblica, ancorché interpretata
quale manifestazione della volontà di rinunciare alla
proprietà del fondo, non può valere a determinare in capo al
privato la perdita di proprietà del fondo illegittimamente
occupato dall’opera pubblica (TAR Piemonte, sez. I, sentenze
citate).
Discende da quanto sopra che in tali casi solo un
formale atto di acquisizione del fondo riconducibile ad un
negozio giuridico, o ad un decreto espropriativo adottato
all’esito di un rinnovato procedimento di pubblica utilità,
ovvero, se del caso, ad un provvedimento ex art. 42-bis
D.P.R. 327/2001, può precludere la restituzione del bene: di
guisa che, in assenza di un tale atto, è obbligo primario
della Amministrazione quello di restituire il fondo
illegittimamente appreso.
Correlativamente, mantenendo il privato la proprietà di
quest’ultimo, egli non ha alcun titolo per chiedere un
risarcimento commisurato alla perdita della proprietà o
della disponibilità fondo, potendo invece agire per la
restituzione di esso e per il risarcimento del danno
conseguente al mancato godimento del bene durante il periodo
di occupazione illegittima.
Ciò posto, va rilevato che nel caso sottoposto
all’attenzione del collegio non risulta che gli enti
resistenti e la parte ricorrente siano addivenuti alla
sottoscrizione di un accordo per la cessione volontaria
della proprietà dei terreni in questione, né risulta che la
procedura espropriativa sia stata rinnovata e conclusa con
un decreto di esproprio, né infine consta che gli enti
procedenti abbiano acquisito la proprietà dei fondi con
decreto ex art. 43 D.P.R. 327/2001 (ora non più applicabile
per effetto della declaratoria di incostituzionalità della
norma pronunciata con sentenza della Corte Costituzionale n.
293/2010) ovvero ex art. 42-bis D.P.R. 327/2001, introdotto
con D.L. 98/2011.
Di conseguenza, fatta applicazione dei principi esposti
al precedente paragrafo, il collegio ritiene infondata e
respinge la domanda risarcitoria da “occupazione appropriativa” formulata con il ricorso introduttivo,
perdurando il diritto di proprietà che la ricorrente vanta
sui fondi occupati per la realizzazione dell’opera pubblica.
Peraltro, l’occupazione del terreno della ricorrente da
parte della Pubblica Amministrazione perdura attualmente per
effetto della realizzazione dell’infrastruttura stradale, e
costituisce un fatto illecito permanente, a fronte del quale
l’interessata è tuttora in condizione e nei termini per
proporre le opportune azioni di restituzione e di
risarcimento del danno per il periodo di occupazione
illegittima (decorrente, quest’ultimo, dalla data di
scadenza del periodo di occupazione legittima stabilito nel
decreto di occupazione d’urgenza).
Tali azioni non possono essere esaminate nel presente
giudizio:
- in primo luogo perché non sono state proposte dalla
ricorrente, sicché ogni eventuale decisione del giudice su
tali domande dovrebbe necessariamente fondarsi su un
inammissibile stravolgimento del thema decidendum, così come
definito dal petitum e dalla causa petendi della domanda
effettivamente proposta in giudizio dalla ricorrente;
- in secondo luogo perché, quanto ai profili restitutori,
non è affatto certo che un’eventuale domanda in tal senso
potrebbe oggi essere accolta nei confronti degli odierni
convenuti, nessuno dei quali sembra attualmente nel possesso
o nella detenzione del bene di cui si controverte (secondo
le non contestate deduzioni della difesa comunale, la
gestione delle strade realizzate sul terreno di proprietà
della ricorrente sembrerebbe essere passata prima alla
Regione Piemonte, e attualmente alle Provincie di Novara e
del VCO).
Nel contempo, peraltro, va anche considerato che la
persistente occupazione dei terreni di proprietà del
ricorrente in assenza di un valido titolo idoneo a
trasferirne la proprietà alla P.A. (decreto di esproprio,
cessione volontaria, atto di acquisizione ex art. 42-bis)
configura un illecito permanente che obbliga la P.A. alla restituito in integrum, oltre che al risarcimento del danno
per il mancato godimento dei beni durante il periodo di
occupazione illegittima.
La restituito in integrum non può essere paralizzata
dalla presenza dell’opera pubblica, la quale non dà titolo
per opporre l’eccessiva onerosità della rimozione delle
opere nel frattempo realizzate né per invocare il principio
di cui al comma 2 dell’art. 2933 cod. civ.: infatti
l’eccessiva onerosità di cui all’art. 2058 cod. civ. non è
opponibile nelle azioni intese a far valere un diritto
reale, il cui carattere assoluto non lascia margini a
modalità di reintegrazione diverse da quella in forma
specifica, salva diversa volontà del titolare (TAR Piemonte,
sez. I. 30.08.2012, n. 985; Cass. Civ. sez. II n.
2359/2012).
La Pubblica Amministrazione è tenuta a far cessare tale
occupazione illecita in una delle forme attualmente previste
dall’ordinamento (restituzione e risarcimento del danno;
accordo col privato proprietario; decreto di acquisizione ex
art. 42-bis D.P.R. n. 327/2001), anche perché la persistente
occupazione abusiva non fa che aggravare l’entità del
risarcimento del danno che l’Amministrazione sarà
necessariamente chiamata a pagare al privato proprietario, e
quindi, correlativamente, anche la consistenza del danno
erariale causato da tale comportamento illecito.
Allo stato non è chiaro chi detenga attualmente il
terreno: da quanto è emerso in giudizio, sembrerebbe di
comprendere le Province di Novara e del VCO.
Pertanto, la presente sentenza sarà comunicata dalla
Segreteria di questo TAR anche alle Province di Novara e del
VCO affinché provvedano, nel caso in cui detengano il
terreno di proprietà della ricorrente in qualità di gestori
(di distinte porzioni) della strada realizzata sullo stesso,
ad adottare le opportune iniziative volte a far cessare
l’illecita occupazione del terreno medesimo.
In relazione ai profili di danno erariale allo stato
già insiti nella vicenda esaminata, copia della presente
sentenza sarà trasmessa anche alla Procura regionale della
Corte dei Conti, per quanto di competenza.
Conclusivamente, sulla scorta di tali considerazioni e con
le predette puntualizzazioni, il ricorso va respinto, salva
la facoltà della ricorrente di introdurre autonomo giudizio
nei confronti degli aventi titolo per la restituzione del
bene e per il risarcimento del danno per il periodo di
occupazione illegittima
(TAR Piemonte, Sez. I,
sentenza 10.01.2014 n. 43 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
LAVORI PUBBLICI:
Oggetto: Ripristinati gli articoli del regolamento sui
contratti pubblici (DPR 207/2010) riguardanti i subappalti
delle categorie super specializzate ed i criteri di
affidamento delle categorie a qualificazione obbligatoria
(ANCE Bergamo,
circolare 10.01.2014 n. 14). |
LAVORI PUBBLICI:
B.U.R. Lombardia, serie ordinaria n. 2 del 10.01.2014, "Procedure
e modalità di accesso al finanziamento regionale delle opere
di pronto intervento attivate dai comuni e loro forme
associative, in applicazione della d.g.r. 1033/2013"
(decreto
D.U.O. 24.12.2013 n. 12775). |
APPALTI:
Il giudizio di verifica
della congruità di un’offerta anomala ha natura globale e
sintetica sulla serietà o meno dell’offerta nel suo insieme
e costituisce espressione di un potere tecnico-discrezionale
dell’amministrazione di per sé insindacabile in sede di
legittimità, salva l’ipotesi in cui le valutazioni siano
manifestamente illogiche o fondate su insufficiente
motivazione o affette da errori di fatto.
Al contempo occorre rilevare che la verifica di anomalia non
ha per oggetto la ricerca di specifiche e singole
inesattezze dell’offerta economica, mirando, invece, ad
accertare se l’offerta, nel suo complesso, sia attendibile o
inattendibile, e dunque se dia o meno serio affidamento
circa la corretta esecuzione dell’appalto.
Il terzo motivo di ricorso con il
quale è contestata la valutazione di anomalia dell’offerta è
infondato.
In merito occorre rammentare che il complesso delle
contestazioni economiche delle ricorrenti, oltre ad essere
generalmente prive di prova, raggiungono a malapena il
complesso degli utili dichiarati dall’aggiudicataria. E’
sufficiente quindi che una sola di esse sia infondata per
ritenere infondato l’intero motivo di ricorso.
In merito la giurisprudenza prevalente ha infatti
ripetutamente osservato che il giudizio di verifica della
congruità di un’offerta anomala ha natura globale e
sintetica sulla serietà o meno dell’offerta nel suo insieme
(Consiglio di Stato, sez. V – 08/09/2010 n. 6495) e
costituisce espressione di un potere tecnico-discrezionale
dell’amministrazione di per sé insindacabile in sede di
legittimità, salva l’ipotesi in cui le valutazioni siano
manifestamente illogiche o fondate su insufficiente
motivazione o affette da errori di fatto (TAR Lazio Roma,
sez. I-ter – 14/10/2011 n. 7957; Consiglio di Stato, sez. V
– 11/03/2010 n. 1414; sez. IV – 20/05/2008 n. 2348).
Al
contempo occorre rilevare che la verifica di anomalia non ha
per oggetto la ricerca di specifiche e singole inesattezze
dell’offerta economica, mirando, invece, ad accertare se
l’offerta, nel suo complesso, sia attendibile o
inattendibile, e dunque se dia o meno serio affidamento
circa la corretta esecuzione dell’appalto (Consiglio di
Stato, sez. VI – 21/05/2009 n. 3146; stessa Sezione
08/02/2012 n. 195; TAR Lombardia-Brescia, Sez. II, sentenza
10.08.2012 n. 1445).
Nel merito è infondato il primo profilo del motivo nella
parte in cui contesta che in un appalto siffatto sarebbe
impossibile offrire alcune figure professionali non
remunerative a fronte di altre in largo attivo. In merito
occorre rilevare che non è contestato che l’aggiudicataria
abbia correttamente imputato tutti i costi del personale
secondo le tabelle ministeriali e che l’offerta richiesta
dalla stazione appaltante avesse carattere globale.
In
questo quadro è legittimo che l’offerente distribuisca i
costi del personale tra le varie figure in modo da offrire
il mix più conveniente per la stazione appaltante. Né coglie
nel segno la contestazione relativa alla creazione di
scenari di utilizzo del personale irragionevoli in quanto si
tratta di valutazioni del tutto apodittiche e prive di
riscontri concreti.
In applicazione del principio di globalità della verifica di
anomalia dell’offerta il motivo di ricorso dev’essere quindi
respinto (TAR Lombardia-Milano, Sez. III,
sentenza 08.01.2014 n. 21 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI:
Oggetto: AVCPASS (Authority Virtual Company Passport) -
Le innovazioni nelle procedure di gara per l’affidamento di
lavori, servizi e forniture, dettate dalla Deliberazione
dell’AVCP n. 111/2013, in vigore da Gennaio 2014
(Consiglio Nazionale degli Architetti Pianificatori,
Paesaggisti e Conservatori,
circolare 08.01.2014 n. 3). |
EDILIZIA PRIVATA - LAVORI PUBBLICI:
Corte dei Conti: Il Direttore Lavori è sempre
responsabile dei difetti dell’opera.
Con
sentenza 03.01.2014 n. 3, la Corte dei Conti
(Sez. III centrale di appello), ha stabilito un punto fermo
circa la responsabilità del direttore dei lavori per
l’impossibilità di fruizione di un’opera nella quale sono
stati riscontrati dei vizi.
Il caso in esame riguarda la mancata fruizione di un campo
sportivo per la quale il direttore dei lavori ne additava la
responsabilità all’impresa appaltatrice ed al Responsabile
del Procedimento. Contraddicendone la tesi, invece, la Corte
dei Conti ha ritenuto responsabile il direttore dei lavori
in quanto direttamente designato per la vigilanza nella
corretta esecuzione dei lavori: se così non fosse, infatti,
quale sarebbe il suo ruolo specifico in ordine a
responsabilità?
A carico del direttore dei lavori pesa la responsabilità
connessa al controllo nell’esecuzione dei lavori. I giudici
asseriscono che “rientrava pienamente nei compiti in capo
alla direzione lavori la vigilanza sulla corretta esecuzione
dei lavori e sulla conformità qualitativa e quantitativa dei
materiali utilizzati, ed i fatti dimostrano chiaramente che
ciò non è avvenuto e che, di conseguenza, si è verificato
l'evento lesivo. Competeva al direttore dei lavori
verificare l'idoneità dei materiali, la rispondenza alle
regole dell'arte delle modalità esecutive degli interventi e
la verifica dell'adeguatezza del piano di posa”
(commento tratto da www.lavoripubblici.it). |
APPALTI:
C. Volpe,
La Corte di Giustizia dà il via libera all’avvalimento
plurimo e frazionato (link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
dossier APPALTI
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---> per il dossier APPALTI anni dal
2016 al 2019
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---> per il dossier APPALTI anno 2011
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---> per il dossier APPALTI sino al 2010
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