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67-L.R. 31/2014
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69-LICENZA EDILIZIA (necessità)
70-LOTTO EDIFICABILE - ASSERVIMENTO AREA - CESSIONE CUBATURA
71-LOTTO INTERCLUSO
72-MAPPE e/o SCHEDE CATASTALI (valore probatorio o meno)
73-MOBBING
74-MURO DI CINTA/RECINZIONE, DI CONTENIMENTO/SOSTEGNO, ECC.
75-OPERE PRECARIE
76-PARERE DI REGOLARITA' TECNICA, CONTABILE E DI LEGITTIMITA'
77-PATRIMONIO
78-PERGOLATO e/o GAZEBO e/o BERCEAU e/o DEHORS e/o POMPEIANA e/o PERGOTENDA e/o TETTOIA
79-PERMESSO DI COSTRUIRE (annullamento e/o impugnazione)
80-PERMESSO DI COSTRUIRE (decadenza)
81-PERMESSO DI COSTRUIRE (deroga)
82-PERMESSO DI COSTRUIRE (legittimazione richiesta titolo)
83-PERMESSO DI COSTRUIRE (parere commissione edilizia)
84-PERMESSO DI COSTRUIRE (prescrizioni)
85-PERMESSO DI COSTRUIRE (proroga)
86-PERMESSO DI COSTRUIRE (verifica in istruttoria dei limiti privatistici al rilascio)
87
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PERMESSO DI COSTRUIRE (volturazione)
88-
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89-PIANI PIANIFICATORI ED ATTUATIVI
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92-PISCINE
93-PUBBLICO IMPIEGO
94-PUBBLICO IMPIEGO (quota annuale iscrizione ordine professionale)
95-RIFIUTI E BONIFICHE
96-
RINNOVO/PROROGA CONTRATTI
97-RUDERI
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per approfondimenti vedi anche:
A.N.AC. (già Autorità Vigilanza Contratti Pubblici) <---> Partenariato Pubblico Privato - MEF/RGS
* * *
A.N.AC. (massimario dell'Autorità) - A.N.AC. (massimario di giurisprudenza)

anno 2015
dicembre 2015
APPALTI SERVIZI: G. Gambardella, I servizi pubblici locali con particolare riferimento al servizio di gestione dei rifiuti solidi urbani ((Rassegna Avvocatura dello Stato n. 4/2015).
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SOMMARIO: 1. I servizi pubblici locali: profili generali - 2. Servizi pubblici locali a rilevanza economica e servizi privi di tale rilevanza - 3. Recenti interventi legislativi sulle modalità di affidamento dei servizi pubblici locali: dall’art. 23-bis del d.l. 25.06.2008 n. 112 all’art. 4 del d.l. n. 13.08.2011 n. 138 ed al decreto Milleproroghe ”modifiche alla disciplina dei servizi pubblici locali - 3.1 L’iniziativa referendaria e la sentenza della Corte Costituzione del 26.01.2011, n. 24. L’esito del referendum e la disciplina applicabile - 3.2 La disciplina introdotta dall’art. 4 del d.l. n. 13.08.2011 n. 138 - 4. Brevi considerazioni sui rifiuti urbani e il loro impatto sull’ambiente - 5. Nozioni introduttive dei rifiuti solidi urbani. Disciplina comunitaria nazionale e regionale - 6. Competenze statali, regionali, provinciali e comunali, delle Camere di Commercio e delle ASL in materia ambientale con particolare riferimento alla gestione dei rifiuti solidi urbani - 7. Distinzione tra rifiuti urbani e rifiuti speciali - 8. La gestione dei rifiuti: profili storici fino all’entrata in vigore del testo unico - 8.1 La gestione dei rifiuti prima del D.P.R. 10.09.1982 n. 915 - 8.2 La legge 20.03.1941 n. 366 sullo smaltimento dei rifiuti solidi urbani - 9. I Principi della gestione dei rifiuti - 10. La riforma della gestione dei rifiuti solidi urbani - 11. Conclusioni.

APPALTI: Gare d'appalto, il Consiglio di Stato chiarisce sull'indicazione degli oneri di sicurezza aziendale. Vanno indicati anche quando il bando non lo prevede.
a) in tutte le gare di appalti di lavori, servizi e forniture, le imprese devono indicare in sede di offerta economica gli oneri di sicurezza aziendali (c.d. costi di sicurezza interni); tale obbligo integra un precetto imperativo che etero integra la legge di gara, ove questa sia silente sul punto o comunque compatibile con esso, nel rispetto del ‘principio di tassatività attenuata’ delle cause di esclusione, sancito dall’art. 46 del codice dei contratti pubblici;
b) nel caso di mancata indicazione degli oneri di sicurezza aziendali, non sono legittimamente esercitabili i poteri attinenti al soccorso istruttorio, anche per le procedure nelle quali la fase della presentazione delle offerte si è conclusa (come nel caso di specie) prima della pubblicazione della decisione dell’Adunanza Plenaria n. 3 del 2015.

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7. L’appello è infondato e deve essere respinto alla stregua delle seguenti considerazioni in fatto e diritto (e in particolare dei principi elaborati dalle sentenze dell’Adunanza plenaria nn. 9 del 2015, 3 del 2015, 16 del 2014 e 9 del 2014, cui si rinvia ai sensi dell’art. 120, co. 10, c.p.a.):
a) in tutte le gare di appalti di lavori, servizi e forniture, le imprese devono indicare in sede di offerta economica gli oneri di sicurezza aziendali (c.d. costi di sicurezza interni); tale obbligo integra un precetto imperativo che etero integra la legge di gara, ove questa sia silente sul punto o comunque compatibile con esso, nel rispetto del ‘principio di tassatività attenuata’ delle cause di esclusione, sancito dall’art. 46 del codice dei contratti pubblici;
b) nel caso di mancata indicazione degli oneri di sicurezza aziendali, non sono legittimamente esercitabili i poteri attinenti al soccorso istruttorio, anche per le procedure nelle quali la fase della presentazione delle offerte si è conclusa (come nel caso di specie) prima della pubblicazione della decisione dell’Adunanza Plenaria n. 3 del 2015;
c) nella vicenda in esame:
   I) il bando di gara (e in particolare il Modello D) non ha imposto di non esplicitare, da parte dell’impresa concorrente, i costi di sicurezza aziendali (anzi il Modello D ha specificato, nelle avvertenze sub lett. a), che la dichiarazione relativa all’offerta economica doveva essere compilata adeguandola alla fattispecie);
   II) in ogni caso, quand’anche si dovesse ritenere che il bando di gara abbia escluso l’obbligo delle imprese di indicare i costi di sicurezza aziendale in sede di offerta, in parte qua esso è stato espressamente impugnato dalla ditta Servizi (sicché per tale ipotesi non si può che disporre l’annullamento in parte qua del bando, nel senso del suo adeguamento alle disposizioni di legge, quale fonte del dovere dell’Amministrazione di disporre l’esclusione dell’appellante)
(Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 30.12.2015 n. 5873 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI SERVIZI: Speciali «trattabili». Cds su appalti nel settore del gas.
A un appalto sotto soglia Ue, bandito da un soggetto operante in un settore «speciale», sono applicabili soltanto i principi del Trattato e non tutto il codice dei contratti pubblici.

È quanto ha affermato il Consiglio di Stato, Sez. V, con la sentenza 23.12.2015 n. 5824 relativa a una gara di appalto per l'affidamento di tre lotti di lavori nel settore del gas (considerato dalle norme nazionali e europee come «settore speciale»).
In particolare, il problema affrontato dai giudici riguardava l'applicabilità alla gara del secondo comma dell'articolo 48 del codice dei contratti pubblici che impone di chiedere all'aggiudicatario e al secondo classificato la comprova dei requisiti dichiarati in sede di gara. Era successo che gli aggiudicatari dei tre lotti non avevano trasmesso entro il termine di dieci giorni la documentazione integrativa richiesta dalla stazione appaltante.
I giudici negano che sia applicabile l'articolo 48 partendo dalla presa d'atto che la gara, riguardante un contratto pubblico in uno dei settori speciali di importo inferiore alla soglia comunitaria era soggetto all'articolo 238 del codice dei contratti pubblici per il quale (comma 1) si applicano alle sole amministrazioni aggiudicatrici (e non ai soggetti operanti nei «settori speciali» dell'acqua, energia e trasporti come dettagliate dagli articoli dal 208 a 213 del codice) le disposizioni della parte III del codice che riguardano gli appalti di lavori, forniture e servizi di rilevanza nazionale.
Il secondo comma della stessa norma stabilisce invece che ai soggetti operanti nei settori «speciali» (prima detti «esclusi»), siano esse le imprese pubbliche o soggetti titolari di diritti speciali e esclusivi, si devono applicare soltanto i principi dettati dal Trattato Ce a tutela della concorrenza.
La verifica va quindi fatta rispetto alle regole interne che la stazione appaltante si è data, cioè rispetto ai suoi regolamenti che non hanno la rigidità prevista dalla normativa generale sulle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici.
Nel caso specifico, la sentenza ha affermato che non assurge al rango di «principio» la disciplina della scansione temporale delle operazioni di verifica dei requisiti dei partecipanti alla gara e quindi l'invio tardivo della documentazione non può inficiare l'aggiudicazione (articolo ItaliaOggi dell'08.01.2016).

COMPETENZE GESTIONALI - LAVORI PUBBLICILa programmazione delle opere pubbliche è modificabile, dall’ente locale, sulla base di nuove considerazioni attinenti alla migliore gestione dell’interesse pubblico, nell’esercizio del potere di autotutela.
Ne deriva che il Comune interessato è legittimato a porre in essere quanto necessario per mutare gli atti della propria programmazione.
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3. La controversia concerne gli atti con i quali il Comune appellato ha interrotto il procedimento di cui in narrativa, riguardante la procedura aperta per l’affidamento della progettazione esecutiva e dell’esecuzione dei lavori di realizzazione del nuovo polo scolastico di Via Gavazzi – Viale Italia, che impegnava l’importo a base d’asta di €. 9.038.000,00 (di cui €. 105.000,00 per oneri della sicurezza non soggetti a ribasso), revocando l’aggiudicazione provvisoria già disposta in favore dell’odierna appellante e procedendo a nuova programmazione delle opere pubbliche.
L’appello è infondato.
3.1. Non è fondata la censura di incompetenza della Giunta Comunale a disporre l’impugnata revoca.
E’ vero che la programmazione delle opere pubbliche rientra nella competenza del Consiglio Comunale, ma l’operato del Comune appellato non ha violato tale riparto di competenze.
Deve essere rilevato che l’atto di revoca è stato uno dei primi provvedimenti della Giunta da poco insediatasi dopo il rinnovo del Consiglio Comunale.
La Giunta ha preso atto del fatto che una somma di notevolissimo rilievo era impegnata per l’intervento di cui ora si discute; deve essere osservato che in quel momento non era stato stipulato il contratto di appalto e anzi non si era nemmeno concluso il procedimento di aggiudicazione.
La Giunta ha ritenuto l’impegno di spesa manifestamente eccessivo e ha avviato gli atti necessari per una nuova programmazione.
In tale situazione di fatto, è evidente che la conclusione del procedimento di aggiudicazione avrebbe reso impossibile, o quanto meno ben più complicata, la modifica della programmazione del Comune.
Nella descritta situazione di fatto, ragionevolmente la Giunta ha proceduto alla revoca della procedura in corso, attuando quindi una sorta di “misura di salvaguardia” necessaria per non pregiudicare l’esercizio della potestà programmatoria del Comune e consentire l’esercizio dell’amplissima discrezionalità, propria di tali scelte.
Potrebbe essere sostenuto che le misure di salvaguardia sono provvedimenti cautelari, che giustificano la sospensione, non l’arresto definitivo del procedimento.
Peraltro, tale argomentazione non è stata proposta dall’appellante e appare di dubbia applicabilità in relazione alle procedure di affidamento degli appalti pubblici, nelle quali le offerte hanno un termine massimo di validità.
In ogni modo, tale argomentazione non è in concreto rilevante nel caso in esame, in quanto il problema è stato superato dalla successiva modifica della programmazione delle opere pubbliche.
Nello stesso ordine di idee, deve essere respinta la doglianza relativa alla violazione dell’art. 11, primo comma, del d.lgs. 12.04.2006, n. 163, dedotta rilevando che gli atti di revoca della gara sono in contrasto con la programmazione delle opere pubbliche allora vigente.
E’ evidente, infatti, che tale programmazione è modificabile, dall’ente locale, sulla base di nuove considerazioni attinenti alla migliore gestione dell’interesse pubblico, nell’esercizio del potere di autotutela; di conseguenza, il Comune è legittimato a porre in essere quanto necessario per mutare gli atti della propria programmazione.
Con gli atti concernenti la revoca della precedente gara, il Comune non ha modificato il programma delle opere pubbliche, ma ha invece posto in essere atti preordinati a tale modifica, di fatto poi disposta, a tale scopo impedendo il formarsi di preclusione al dispiegamento delle sue potestà discrezionali.
L’argomentazione deve quindi essere disattesa (massima tratta da http://renatodisa.com - Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 23.12.2015 n. 5823 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Fattura elettronica: emissione e pagamento.
DOMANDA:
Il consorzio per la gestione dei rifiuti emette fattura di servizio smaltimento al comune datata 09.12.2014. La fattura per un disguido non viene inviata al comune solo dopo verifica il consorzio invia il documento in forma cartacea in data 14.09.2015.
Il comune può pagare tale fattura in formato cartaceo o deve necessariamente chiedere la trasformazione in fattura elettronica?
RISPOSTA:
Va innanzitutto detto che le fatture cartacee emesse antecedentemente al 31.03.2015, benché il comma 210 dell’art. 1 della L. 244/2007 sembri escluderlo, sono comunque pagabili anche dopo il 30.06.2015 senza le necessità di riemettere i medesimi documenti in formato elettronico. Queste sono le istruzioni rese dal MEF, Dipartimento delle Finanze, con la circolare 1/DF del 31.03.2015.
Si riporta il passaggio che qui interessa: “…l'emissione di una seconda fattura in formato elettronico a fronte di una fattura correttamente e legittimamente emessa in formato cartaceo non e' consentito dalla normativa IVA. Non sarebbe, infatti, possibile emettere note di credito a storno delle fatture cartacee già emesse perché queste ultime non presenterebbero alcuno dei vizi che ne permettono una rettifica ai fini IVA. Conseguentemente, ove allo scadere del termine di cui al comma 210 una pubblica amministrazione stesse ancora processando una fattura emessa in forma cartacea prima dello scadere del termine di cui al comma 209, l'amministrazione dovrà senz'altro portare a compimento il relativo procedimento e, ove sussistano tutte le altre condizioni, procedere al pagamento”.
Detto ciò, poiché nel quesito si fa riferimento ad una fattura non inviata, è necessario puntualizzare che per la legge IVA una fattura si ha per emessa quando all'atto della sua consegna, spedizione, trasmissione o messa a disposizione del cessionario o committente. Il che significa che se il Consorzio nel 2014 non ha consegnato, spedito o trasmesso la fattura al Comune, ma soltanto redatto il documento, l’emissione è inesistente e pertanto il medesimo dovrà procedere all’emissione della fattura elettronica ai fini del pagamento (link a www.ancirisponde.ancitel.it).

LAVORI PUBBLICI: Il premio di accelerazione.
DOMANDA:
Nel momento in cui si configura l’ipotesi di provvedere a riconoscere un premio di accelerazione di cui all'art. 145 del DPR 207/2010, per un appalto di lavori pubblici, correttamente previsto sia nel Capitolato Speciale d’appalto che nella lex specialis di gara, e nel contratto d’appalto, si chiede se l’importo determinato da corrispondere debba essere assoggettato a IVA o meno.
RISPOSTA:
Mentre le penali per ritardata consegna dei lavori, o per altra violazione contrattuale, sono escluse dal campo di applicazione dell’IVA per espressa previsione dell’art. 15 del DPR 633/1972, il premio accelerazione ex art. 145 del DPR 207/2010 non può che essere assoggettato ad IVA secondo i principi generali IVA fissati dal 1° comma dell’art. 13 del medesimo decreto, con la stessa aliquota prevista per l’esecuzione ordinaria dell’opera.
Si tratta, infatti di somma che concorre alla formazione dell’ammontare complessivo dei corrispettivi dovuti al cedente o prestatore secondo le condizioni contrattuali (link a www.ancirisponde.ancitel.it).

APPALTI: I requisiti per la gara.
DOMANDA:
Questa Stazione appaltante ha pubblicato il bando pubblico prot. n. del 09.10.2015 per l’affidamento in concessione, ai sensi dell’art. 30 del D.Lgs. n. 163/2006 e s.m.i. e con il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, del servizio di ripristino delle condizioni di sicurezza e viabilità stradale post incidente.
Tra i requisiti di partecipazione ha chiesto anche il possesso all’iscrizione all’Albo Nazionale dei Gestori Ambientali per la categoria “bonifica dei siti contaminati” nonché il possesso della certificazione di conformità delle attività della Sala operativa secondo le norme UNI EN 15838/2010 e UNI 11200/2010.
Con determinazione Reg. Gen. 866 del 26.10.2015, a seguito osservazioni presentate da due operatori economici in merito all’iscrizione all’Albo Nazionale dei Gestori Ambientali per la categoria “bonifica dei siti contaminati”, nonché il possesso della certificazione di conformità delle attività della Sala operativa, requisiti ritenuti troppo restrittivi e quindi lesivi della concorrenza e del favor partecipazionis, si è stabilito di sospendere i termini di presentazione dell’offerta fissati per il giorno 06.11.2015 per approfondire l’argomento.
Con determinazione Reg. Gen. n del 04.11.2015 sono stati riaperti i termini di presentazione dell’offerta, fissati per il 27.11.2015, mantenendo integrale il bando prot. n. del 09.10.2015 per i seguenti motivi: 1. che i requisiti oggetto di osservazione sono stati richiesti da altri Comuni in procedure di gara analoghe; 2. che il territorio comunale è attraversato dalla S.R. F, strada a traffico sostenuto soprattutto nei fine settimana e strada alternativa in caso di chiusura temporanea della A4 tra il casello M. e quello di F., con passaggio anche di mezzi pesanti che trasportano materiali inquinanti.
Con la riapertura dei termini sono pervenute altre osservazioni da parte di operatori economici del settore sempre in merito ai requisiti suddetti.
Questa Stazione appaltante con determinazione Reg. Gen. n. del 20.11.2015 ha stabilito di ritirare in autotutela amministrativa, ai sensi della legge n. 241/1990 e s.m.i., il bando pubblico prot. n. allo scopo di approfondire ulteriormente la materia e favorire la massima partecipazione degli operatori economici del settore ed evitare possibili ricorsi innanzi al Tribunale Amministrativo con conseguenti spese di giudizio a carico dell’Ente e tempi lunghi per la definizioni delle controversie.
Alla luce di quanto sopra esposto si chiede un parere in merito a quali siano i requisiti minimi da chiedere agli operatori economici per partecipare alla procedura in argomento il cui valore economico è stato quantificato in complessivi € 10.000,00 per una durata della concessione di anni due.
RISPOSTA:
Su fattispecie analoga a quella sottoposta a questo ufficio di consulenza si è espressa l'Autorità Nazionale Anticorruzione (Anac), con Parere n. 128 del 06/06/2014 al cui contenuto integrale si rinvia.
Per quanto di maggior attinenza al caso di specie, l'Anac ha ricordato che, con specifico riguardo all’appalto di pulizia delle strade a seguito di incidenti, la giurisprudenza ha censurato l’irragionevolezza della lex specialis di gara che richieda l’iscrizione all’Albo Nazionale Gestori Ambientali per l’attività di bonifica ambientale dei siti inquinati, sul rilievo che la bonifica esula dalla competenza dell’ente proprietario della strada ed incombe, di regola, sul soggetto che ha causato l’inquinamento; viceversa, per l’esecuzione degli ordinari interventi di pulizia delle strade e ripristino della viabilità, non sarebbero necessari così stringenti requisiti di qualificazione tecnica, tali da equiparare impropriamente il servizio di pulizia e ripristino alla bonifica di un sito inquinato (cfr. TAR Sicilia, Palermo, sez. III, 04.02.2011 n. 227; CGA Sicilia, sez. giurisdiz., 15.12.2011 n. 998).
Da parte sua, l’Autorità ha affermato l’illegittimità di un’analoga clausola, precisando tuttavia che la congruità e la ragionevolezza della qualificazione prescritta dal bando di gara devono sempre essere vagliate in concreto, ponendo attenzione alla natura delle prestazioni effettivamente rimesse all’appaltatore secondo la disciplina contrattuale predisposta dall’amministrazione, con riguardo all’oggetto dell’appalto ed alle sue specifiche peculiarità (cfr. A.V.C.P., parere 21.03.2012 n. 42).
A tal fine andrebbero verificate le operazioni di ripristino delle condizioni di sicurezza stradale previste, in concreto, nel capitolato di gara.
Nel parere, l'Autorità suggerisce di inserire nel disciplinare di gara una clausola più flessibile, come ad esempio "l'iscrizione Albo Nazionale Gestori Ambientali alla categoria 1 ed almeno classe F, oppure categoria 1 limitata per attività di spazzamento meccanizzato Classe F”.
E' pur vero, però, nell'ottica richiamata, che se il disciplinare di gara dovesse prevedere che l’affidatario del servizio effettui anche “interventi straordinari”, quali il trattamento di sversamenti di materiale pericoloso, inquinante o tossico in quantità tale da richiedere la bonifica del territorio, oppure il recupero di materiali trasportati dispersi a seguito di incidente e non facilmente allontanabili dalla carreggiata, il requisito di iscrizione contestato (iscrizione all’Albo Nazionale dei Gestori Ambientali per la categoria “bonifica dei siti contaminati”) non sarebbe né illogico, né incongruente.
Si rimette pertanto all'amministrazione una valutazione in merito alla congruità e alla ragionevolezza dei requisiti prescritti in rapporto alla natura delle prestazioni richieste in concreto all’appaltatore (link a www.ancirisponde.ancitel.it).

APPALTI: Il codice identificativo di gara.
DOMANDA:
In riferimento all'art. 3 della legge 136/2010 e alla Determinazione ex AVCP 4/2011 (utilizzo di c/c dedicato - attribuzione di codice CIG), si chiede parere in ordine all'obbligo di attribuzione del codice identificativo gara e al rispetto degli obblighi in materia di tracciabilità per le seguenti fattispecie di spesa:
1) spedizione di atti giudiziari tramite Poste Italiane Spa, pagamento mensile (€ 5.000,00 circa) a presentazione di fattura elettronica;
2) spese di custodia veicoli rimossi ai sensi del CdS giacenti presso le depositerie autorizzate, importo del corrispettivo disposto dalla Prefettura (legge di stabilità 2014 che ha previsto procedura straordinaria per l'alienazione dei veicoli giacenti presso le depositerie autorizzate ai sensi del DPR 571/1982), da pagare alla depositeria a presentazione di fattura elettronica;
3) rimborso spese ad Associazioni di volontariato che collaborano con la Polizia Municipale in servizi di tutela ZTL, supporto in occasione di manifestazioni, presidio davanti alle scuole negli orari di entrata uscita alunni.
RISPOSTA:
1) L’art. 4 del d.lgs. 261/1999, nel testo risultante a seguito delle modifiche apportate dall’art. 1 del d.lgs. 58/2011, prevede che i servizi inerenti le notificazioni di atti a mezzo posta connesse con la notificazione di atti giudiziari di cui alla legge 20.11.1982, n. 890 nonché i servizi inerenti le notificazioni a mezzo posta di cui all’art. 201 del decreto legislativo 30.04.1992, n. 285 (violazioni in materia di codice della strada) sono affidati in regime di esclusiva al fornitore designato del servizio universale, Poste Italiane, per finalità di ordine pubblico.
Ciò significa che -a differenza di altri servizi postali- quello di invio di atti giudiziari non deve essere affidato tramite procedura ad evidenza pubblica, che richiederebbe l'adempimento degli obblighi in materia di tracciabilità (cfr. Linee guida per l’affidamento degli appalti pubblici di servizi postali emanate dall'Anac con Deliberazione n. 3 del 09.12.2014).
2) Il Ministero delle Finanze - Dipartimento del Territorio, con circolare n. 73620 del 30.06.1998, ha elencato i requisiti soggettivi ed oggettivi che debbono essere posseduti dai depositari custodi di beni demaniali e dalle relative depositerie, ai fini dell‘individuazione delle stesse da parte del Prefetto ai sensi dell'art. 8 del DPR. 29.07.1982 n. 571, che prevede una ricognizione annuale dei soggetti, pubblici e privati, abilitati a svolgere il servizio in parola.
Anche successivamente all'introduzione dell'art. 214-bis del Codice della Strada, i Prefetti devono continuare a predisporre annualmente, ai sensi dell‘art. 8 del DPR. 571/1982, l'elenco delle depositerie autorizzate alla custodia dei veicoli sequestrati (cfr. circolare n. 50/06 Ministero dell'Interno - Dipartimento per gli Affari Interni e Territoriali del 13.12.2006).
Il contratto per l'affidamento del servizio di recupero, custodia e acquisto di veicoli oggetto dei provvedimenti di sequestro amministrativo, fermo o confisca ai sensi dell'art. 214-bis del d.lgs. 30/04/1992 n. 285, è stipulato col soggetto risultato affidatario nell'ambito di una procedura di gara ad evidenza pubblica, nell'ambito della quale è richiesto l'adempimento degli obblighi in materia di tracciabilità (utilizzo di c/c dedicato - attribuzione di codice CIG).
3) Le convenzioni stipulate con associazioni di volontariato rientrano nella disciplina di cui alla legge n. 136/2010 (obbligo di tracciabilità per consentire la trasparenza delle operazioni finanziarie relative all’utilizzo del corrispettivo dei contratti pubblici di appalto), nel caso in cui rivestano carattere oneroso per l’amministrazione procedente.
Le suddette convenzioni non rientrano nella disciplina di cui alla legge n. 136/2010, nel caso in cui rivestano carattere non oneroso per l’amministrazione procedente e prevedano solo il riconoscimento di un rimborso spese non forfettario (cfr. FAQ sulla Tracciabilità dei flussi finanziari pubblicate dall'ANAC in data 21.05.2014) (link a www.ancirisponde.ancitel.it).

APPALTI:  Nei contratti sottoscritti con la pubblica amministrazione è richiesta la forma scritta, fatta eccezione per quelli conclusi in ambito commerciale. Tra queste figure negoziali non rientra però l'appalto di opere pubbliche, né l'«appalto in variante».
I contratti conclusi dalla P.A., richiedendo la forma scritta ad substantiam (quindi con esclusione di qualsivoglia manifestazione di volontà implicita o desumibile da comportamenti meramente attuativi), devono essere consacrati in un unico documento -nel quale siano indicate le clausole disciplinanti il rapporto e la volontà della Amministrazione sia manifestata dall'organo rappresentativo dell'ente- salvo che la legge non autorizzi espressamente la conclusione a distanza, a mezzo di corrispondenza, come nell'ipotesi eccezionale, prevista dall'art. 17 del r.d. n. 2240 del 1923, di contratti conclusi con ditte commerciali.
Tra tali contratti non rientra quello di appalto di opere pubbliche, per il quale, attesa anche la necessità di accordi specifici e complessi, deve escludersi che il consenso possa formarsi sulla base di scritti successivi atteggiantisi come proposta e accettazione fra assenti
.
Tale principio non è in contrasto con quanto affermato da questa stessa Corte (Sez. 1) nella Sentenza n.  10069 del 2008 atteso che,
nel caso richiamato, si è trattato di un appalto in variante, ossia di quella limitatissima ipotesi di modificazione della base contrattuale, laddove è stato ritenuto sufficiente il rispetto delle condizioni previste dall'art. 342 della legge 20.03.1865, n. 2248, all. F., ossia la presenza dell'ordine del direttore dei lavori e l'intervenuta successiva approvazione dell'ente pubblico.
Infatti,
il contratto di appalto di 00.PP. non può formarsi attraverso gli atti prenegoziali proprio del diritto comune e ciò non per ragioni di natura formale ma di tipo sostanziale, essendo necessario che opere corrispettivi di un certo rilievo, con spesa a carico delle casse pubbliche, devono avere certezza della esatta consistenza ed articolazione dei lavori nonché delle risorse stanziate per il loro pagamento, con forme e tempi precisamente stabiliti.
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1. Con il primo mezzo di ricorso principale (violazione e falsa applicazione dell'art. 17 RD n. 2240 del 1923, degli artt. 1362, 1367 e 1371 c.c., 1988 c.c. e 2033 c.c.), la società sportiva pone il seguente quesito di diritto: «Statuisca l'Ecc.ma Corte adita se, in presenza di uno scambio di dichiarazioni negoziali provenienti dal Sindaco di un Comune e dal legale rappresentante di una società di capitali, operanti un rinvio per relationem alle previgenti condizioni contenute in alcune delibere della GM, debba ritenersi avvenuta e regolarizzata l'instaurazione del rapporto obbligatorio ai sensi dell'art. 17 del RD n. 2420 del 1923, tenuto conto del collegamento esistente tra il rapporto negoziale e l'attività di produzione di servizi in precedenza esercitata dalla società stessa e della conformità del rapporto negoziale alla prassi commerciale invalsa nel settore».
1.1. Con esso si lamenta, anzitutto, una violazione di legge, quella della norma di cui all'art. 17 RD n. 2240 del 1923, applicabile anche ai Comuni, essendovi stato l'incontro dei consensi delle due parti in ordine alla conferma «del previgente rapporto» e non ostandovi la materia oggetto della negoziazione.
...
11. Il primo motivo del ricorso principale non è fondato in quanto esso contrasta con i principi di diritto già affermati da questa Corte e che
escludono l'applicabilità della disposizione invocata come violata dal giudice distrettuale ai pubblici appalti.
11.1. Questa Corte ha affermato il principio di diritto, a cui occorre dare continuità in questa sede, per essere esso ancora valido e pienamente fondato, secondo cui
i contratti conclusi dalla P.A., richiedendo la forma scritta ad substantiam (quindi con esclusione di qualsivoglia manifestazione di volontà implicita o desumibile da comportamenti meramente attuativi), devono essere consacrati in un unico documento -nel quale siano indicate le clausole disciplinanti il rapporto e la volontà della Amministrazione sia manifestata dall'organo rappresentativo dell'ente- salvo che la legge non autorizzi espressamente la conclusione a distanza, a mezzo di corrispondenza, come nell'ipotesi eccezionale, prevista dall'art. 17 del r.d. n. 2240 del 1923, di contratti conclusi con ditte commerciali; tra tali contratti non rientra quello di appalto di opere pubbliche, per il quale, attesa anche la necessità di accordi specifici e complessi, deve escludersi che il consenso possa formarsi sulla base di scritti successivi atteggiantisi come proposta e accettazione fra assenti (Cass. Sez. 1, sentt. nn. 59 del 2001e 7297 del 2009).
11.2. Né tale principio è in contrasto con quanto affermato da questa stessa Corte (Sez. 1) nella Sentenza n.  10069 del 2008 atteso che,
nel caso richiamato, si è trattato di un appalto in variante, ossia di quella limitatissima ipotesi di modificazione della base contrattuale, laddove è stato ritenuto sufficiente il rispetto delle condizioni previste dall'art. 342 della legge 20.03.1865, n. 2248, all. F., ossia la presenza dell'ordine del direttore dei lavori e l'intervenuta successiva approvazione dell'ente pubblico.
11.3. Infatti,
il contratto di appalto di 00.PP. non può formarsi attraverso gli atti prenegoziali proprio del diritto comune e ciò non per ragioni di natura formale ma di tipo sostanziale, essendo necessario che opere corrispettivi di un certo rilievo, con spesa a carico delle casse pubbliche, devono avere certezza della esatta consistenza ed articolazione dei lavori nonché delle risorse stanziate per il loro pagamento, con forme e tempi precisamente stabiliti (Corte di Cassazione, Sez. I civile, sentenza 22.12.2015 n. 25798).

APPALTIDall’art. 125, commi 10 e 11, del codice dei contratti pubblici si ricava che:
1) il cottimo fiduciario è una procedura negoziata in cui le acquisizioni avvengono mediante affidamento a terzi (art. 125, comma 4);
2) l'acquisizione in economia di beni e servizi è ammessa in relazione all'oggetto e ai limiti di importo delle singole voci di spesa, preventivamente individuate con provvedimento di ciascuna stazione appaltante, con riguardo alle proprie specifiche esigenze. Il ricorso all'acquisizione in economia è altresì consentito nelle seguenti ipotesi:
   a) risoluzione di un precedente rapporto contrattuale, o in danno del contraente inadempiente, quando ciò sia ritenuto necessario o conveniente per conseguire la prestazione nel termine previsto dal contratto;
   b) necessità di completare le prestazioni di un contratto in corso, ivi non previste, se non sia possibile imporne l'esecuzione nell'ambito del contratto medesimo;
   c) prestazioni periodiche di servizi, forniture, a seguito della scadenza dei relativi contratti, nelle more dello svolgimento delle ordinarie procedure di scelta del contraente, nella misura strettamente necessaria;
   d) urgenza, determinata da eventi oggettivamente imprevedibili, al fine di scongiurare situazioni di pericolo per persone, animali o cose, ovvero per l'igiene e salute pubblica, ovvero per il patrimonio storico, artistico, culturale (art. 125, comma 10);
3) Per servizi o forniture di importo pari o superiore a quarantamila euro e fino alle soglie di cui al comma 9, l'affidamento mediante cottimo fiduciario avviene nel rispetto dei principi di trasparenza, rotazione, parità di trattamento, previa consultazione di almeno cinque operatori economici, se sussistono in tale numero soggetti idonei, individuati sulla base di indagini di mercato ovvero tramite elenchi di operatori economici predisposti dalla stazione appaltante. Per servizi o forniture inferiori a quarantamila euro, è consentito l'affidamento diretto da parte del responsabile del procedimento. (art. 125, comma 11).
Dal quadro normativo sopra tracciato sono, dunque, sostanzialmente enucleabili due ipotesi che legittimano il ricorso al cottimo: una che contempla la previa regolamentazione da parte della stazione appaltante, e l’altra che discende da alcune situazioni contingenti o urgenti direttamente e tassativamente individuate dal legislatore.

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L’appello è infondato.
L’unico motivo di censura proposto, è incentrato –in diritto- sulla pretesa esperibilità della procedura di cottimo fiduciario quando, come nel caso di specie, l’appalto di servizi sia sotto soglia, giusto quanto asseritamente previsto dall’art. 125, comma 11, del codice dei contratti pubblici. Il giudice di prime cure avrebbe dunque errato nell’applicare, in luogo del comma 11 cit., la norma “limitativa” di cui al comma 10, che invece prevede specifici e stringenti presupposti.
L’argomentazione non può essere condivisa.
E’ sufficiente, in proposito, una rapida rassegna delle norme citate. Dalle stesse si ricava che:
1) il cottimo fiduciario è una procedura negoziata in cui le acquisizioni avvengono mediante affidamento a terzi (art. 125, comma 4);
2) l'acquisizione in economia di beni e servizi è ammessa in relazione all'oggetto e ai limiti di importo delle singole voci di spesa, preventivamente individuate con provvedimento di ciascuna stazione appaltante, con riguardo alle proprie specifiche esigenze. Il ricorso all'acquisizione in economia è altresì consentito nelle seguenti ipotesi:
   a) risoluzione di un precedente rapporto contrattuale, o in danno del contraente inadempiente, quando ciò sia ritenuto necessario o conveniente per conseguire la prestazione nel termine previsto dal contratto;
   b) necessità di completare le prestazioni di un contratto in corso, ivi non previste, se non sia possibile imporne l'esecuzione nell'ambito del contratto medesimo;
   c) prestazioni periodiche di servizi, forniture, a seguito della scadenza dei relativi contratti, nelle more dello svolgimento delle ordinarie procedure di scelta del contraente, nella misura strettamente necessaria;
   d) urgenza, determinata da eventi oggettivamente imprevedibili, al fine di scongiurare situazioni di pericolo per persone, animali o cose, ovvero per l'igiene e salute pubblica, ovvero per il patrimonio storico, artistico, culturale (art. 125, comma 10);
3) Per servizi o forniture di importo pari o superiore a quarantamila euro e fino alle soglie di cui al comma 9, l'affidamento mediante cottimo fiduciario avviene nel rispetto dei principi di trasparenza, rotazione, parità di trattamento, previa consultazione di almeno cinque operatori economici, se sussistono in tale numero soggetti idonei, individuati sulla base di indagini di mercato ovvero tramite elenchi di operatori economici predisposti dalla stazione appaltante. Per servizi o forniture inferiori a quarantamila euro, è consentito l'affidamento diretto da parte del responsabile del procedimento. (art. 125, comma 11).
Dal quadro normativo sopra tracciato sono, dunque, sostanzialmente enucleabili due ipotesi che legittimano il ricorso al cottimo: una che contempla la previa regolamentazione da parte della stazione appaltante, e l’altra che discende da alcune situazioni contingenti o urgenti direttamente e tassativamente individuate dal legislatore.
Nessuna delle ipotesi citate, però, ricorre nel caso di specie, e la circostanza non è contestata. Ciò che invece è contestata in sede di gravame è unicamente la mancata applicazione del comma 11.
Ma il comma 11 non individua una diversa e peculiare procedura sganciata dai presupposti legittimanti, limitandosi piuttosto a dettare regole di evidenza minimali –maggiormente elastiche rispetto al sopra soglia ed al sotto soglia ordinario di cui all’art. 124– dedicate proprio a disciplinare il cottimo fiduciario ove esso costituisca opzione consentita dal comma 10.
Ne consegue che in mancanza di adeguata motivazione circa il ricorrere dei presupposti, più volte citati, la scelta della procedura di cottimo è illegittima, come esattamente già affermato dal giudice di prime cure.
L’appello è pertanto respinto (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 21.12.2015 n. 5808 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Ai fini della partecipazione alle gare di appalto la fattispecie dell’affitto di azienda rientra tra quelle che soggiacciono all’obbligo di rendere dichiarazioni di cui all’art. 38, comma 1, lettera c), del dlgs n. 163/2006 riguardante anche gli amministratori e direttori tecnici dell’impresa cedente nel caso in cui sia intervenuta un’operazione di cessione di azienda in favore del concorrente nell’anno anteriore alla pubblicazione del bando.
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A fronte della obbligatorietà ex lege della dichiarazione relativa alla posizione della impresa cedente, l’inosservanza di un tale onere documentale comporta la esclusione dalla gara del soggetto concorrente, ancorché la misura espulsiva non sia stata espressamente contemplata dalla lex specialis di gara.
Neppure appare configurabile l’esperimento del c.d. soccorso istruttorio di cui all’art. 46 dlgs n. 163/2006 ai fini di ottenere una sorta di sanatoria della inadempienza documentale di che trattasi.
Invero, come chiarito di recente dall’Adunanza Plenaria, in presenza di un obbligo dichiarativo ex lege non può trovare spazio la regolarizzazione disposta dalla stazione appaltante, non essendo consentita la produzione tardiva della dichiarazione mancante o la sanatoria della forma omessa.
Insomma questo Consesso ha avuto modo più volte di sconfessare la c.d. teoria del falso innocuo o sostanzialistica ponendo l’accento sulla necessità degli obblighi dichiarativi e sul valore della completezza delle dichiarazioni in sede di offerta, corollario di principi di matrice comunitaria come quelli della trasparenza, par condicio tra i partecipanti e proporzionalità.
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Dal comportamento contra legem tenuto dalla stazione appaltante deriva un danno alla posizione dalla concorrente, appunto per mancata aggiudicazione, che può trovare ristoro in forma specifica, con la riasssegnazione dell’aggiudicazione in favore dell’appellante Società e subentro nel contratto illegittimamente stipulato.
In ipotesi poi di sostanziale non praticabilità del subentro nel rapporto contrattuale, stante il tempo trascorso e lo stato di avanzamento dei lavori nel frattempo eseguiti, dovrà essere riconosciuto alla Società appellante il risarcimento per equivalente.
In particolare venendo alla quantificazione del risarcimento, trattandosi di danno da mancata aggiudicazione dell’appalto esso va commisurato alle utilità economiche che la Società ha perduto a causa della mancata esecuzione del contratto.
Spetta quindi alla suindicata Società:
- l’utile effettivo che la stessa avrebbe conseguito se fosse risultata aggiudicataria quale risultante dall’offerta economica presentata in sede di gara;
- il danno c.d. curriculare dovuto alla perdita della possibilità di arricchire il proprio curriculum professionale, da liquidarsi in via equitativa in una somma pari al 5% sull’importo del’appalto.
Spettano, ancora all’appellante, gli interessi legali sulle predette somme progressivamente e via via rivalutate, dalla data di stipula sino alla liquidazione del danno, in funzione compensativa della mancata disponibilità del denaro a titolo di risarcimento danno.

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L’appello è fondato e va, pertanto, accolto.
Il Tar con il decisum qui in contestazione avalla la legittimità dell’operato della stazione appaltante e aderisce in particolare ad una impostazione sostanzialistica della problematica relativa all’art. 38 codice del dei contratti, nel senso di ritenere che l’inosservanza dell’obbligo dichiarativo può portare alla esclusione dalla gara solo se è prevista dal bando.
Nella specie, soggiunge sempre il primo giudice, il bando di gara non prevedeva in modo specifico che la dichiarazione fosse riferita anche all’amministratore di un’azienda acquisita né correlava l’incompletezza della dichiarazione alla sanzione espulsiva, sicché, secondo il TAR, non doveva essere disposta l’esclusione della Sa..
Le argomentazioni e conclusioni del Tribunale amministrativo piemontese non sono condivisibili.
E’ pacifico in punto di fatto che Sa. nel partecipare alla gara non ha inserito nella propria offerta le dichiarazioni ex art. 38 citato relative anche all’amministratore unico della Ne.Sy. e al Direttore tecnico della stessa, pur avendo dalla stessa Società preso il fitto d’azienda, intervenuto, in particolare, tre mesi prima della pubblicazione del bando di gara.
In relazione a tale indiscussa circostanza l’indagine giuridica da condursi da parte del Collegio non può non interessare i seguenti punti e cioè:
- se con riferimento alle prescrizioni normative (art. 38 dlgs n. 163/2006) e di quelle recate dalla lex specialis di gara la Sa. avrebbe dovuto o meno rendere la dichiarazione ex art. 38 più volte citato relativamente alla società dalla quale aveva affittato l’azienda;
- se la manchevolezza in cui è incorsa Sa.,una volta accertato l’obbligo a rendere la dichiarazione nei sensi di cui sopra, costituiva causa giustificativa di esclusione dalla gara oppure siffatta “irregolarità” era sanabile con l’attivazione, come poi di fatto avvenuto, del c.d. soccorso istruttorio.
Ora, avuto riguardo alla questione sub a) questa Sezione non può non richiamare il principio giurisprudenziale costantemente affermato (Cons. Stato Sez. 05/11/2014 n. 5470) e di recente ribadito da questa Sezione proprio in occasione della definizione del parallelo giudizio instaurato per controversia all’esame (sentenza n. 4100 del 01/09/2015) secondo il quale: “ai fini della partecipazione alle gare di appalto la fattispecie dell’affitto di azienda rientra tra quelle che soggiacciono all’obbligo di rendere dichiarazioni di cui all’art. 38, comma 1, lettera c), del dlgs n. 163/2006 riguardante anche gli amministratori e direttori tecnici dell’impresa cedente nel caso in cui sia intervenuta un’operazione di cessione di azienda in favore del concorrente nell’anno anteriore alla pubblicazione del bando”.
Sul punto poi è utile altresì rammentare quanto sancito dall’Adunanza Plenaria con le pronunce n. 10 e 21 del 2012, secondo cui l’obbligo dichiarativo ex art. 38 scaturisce direttamente dalla legge.
Da tale assunto “maggiore” deriva anche la soluzione della questione sub b), nel senso che, a fronte della obbligatorietà ex lege della dichiarazione relativa alla posizione della impresa cedente, l’inosservanza di un tale onere documentale comporta la esclusione dalla gara del soggetto concorrente, ancorché la misura espulsiva non sia stata espressamente contemplata dalla lex specialis di gara.
Neppure appare configurabile l’esperimento del c.d. soccorso istruttorio di cui all’art. 46 dlgs n. 163/2006 ai fini di ottenere una sorta di sanatoria della inadempienza documentale di che trattasi.
Invero, come chiarito di recente dall’Adunanza Plenaria con sentenza n. 9 del 24/02/2014, in presenza di un obbligo dichiarativo ex lege non può trovare spazio la regolarizzazione disposta dalla stazione appaltante, non essendo consentita la produzione tardiva della dichiarazione mancante o la sanatoria della forma omessa.
Insomma questo Consesso ha avuto modo più volte di sconfessare la c.d. teoria del falso innocuo o sostanzialistica ponendo l’accento sulla necessità degli obblighi dichiarativi e sul valore della completezza delle dichiarazioni in sede di offerta, corollario di principi di matrice comunitaria come quelli della trasparenza, par condicio tra i partecipanti e proporzionalità (cfr Cons. Stato n. 21/2012 già citata; idem Sez. III 06/02/2014 n. 583).
Conclusivamente la carenza di dichiarazione fatta registrare dalla controinteressata Società Sa. costituisce violazione di un obbligo prescritto dalla legislazione che regge a monte la gara di che trattasi; e l’inverarsi di tale omissiva circostanza, come fondatamente eccepito dalla parte appellante, avrebbe dovuto produrre l’adozione della misura sanzionatoria di esclusione dalla procedura concorsuale a carico dell’attuale appellata.
L’Amministrazione appaltante a seguito di una non consentita integrazione documentale ha confermato l’aggiudicazione della gara con la determina n. 1 del 19.01.2015 dell’appalto de quo in favore di Sa. e non v’è dubbio che un tale provvedimento, per quanto sopra esposto, si appalesa illegittimo e va perciò annullato.
Per completezza della trattazione della causa va esaminata l’eccezione di inammissibilità dell’appello sollevata ex adverso dalla difesa della Sa..
Secondo l’attuale appellata, El.Go. si è limitata ad impugnare il provvedimento di conferma dell’aggiudicazione senza gravare gli atti della procedura ed in particolare il verbale della seduta del 01/07/2014 in cui la Sa. è stata ammessa alla procedura di gara.
L’eccezione è infondata.
In primo luogo deve rilevarsi come l’attuale appellante ha conseguito favorevolmente la definizione dell’originaria impugnazione della determina n. 13/2014 di aggiudicazione della gara e tale decisum (sentenza n. 190/2015 ) è stata confermata in appello dal Consiglio di Stato con sentenza 4100/2015 con conseguente formazione del giudicato.
In ogni caso alcun onere di specifica impugnazione del verbale di ammissione alla gara di Sa. può ravvisarsi in capo ad El.Go., trattandosi di atto endoprocedimentale e nemmeno lesivo delle proprie posizioni, avuto riguardo al fatto che allo stato l’esito della gara era ancora del tutto incerto, sicché anche sotto un profilo pratico non v’era da impugnare (all’epoca) alcunché.
L’appello va accolto anche in relazione alla domanda risarcitoria.
Invero dal comportamento contra legem tenuto dalla stazione appaltante deriva un danno alla posizione dalla concorrente, appunto per mancata aggiudicazione, che può trovare ristoro in forma specifica, con la riasssegnazione dell’aggiudicazione in favore dell’appellante Società e subentro nel contratto illegittimamente stipulato.
In ipotesi poi di sostanziale non praticabilità del subentro nel rapporto contrattuale, stante il tempo trascorso e lo stato di avanzamento dei lavori nel frattempo eseguiti, dovrà essere riconosciuto alla Società appellante il risarcimento per equivalente.
In particolare venendo alla quantificazione del risarcimento, trattandosi di danno da mancata aggiudicazione dell’appalto esso va commisurato alle utilità economiche che El.Go. ha perduto a causa della mancata esecuzione del contratto (Cons. Stato Sez. VI 05/05/2015 n. 4283).
Spetta quindi alla suindicata Società:
- l’utile effettivo che El.Go. avrebbe conseguito se fosse risultata aggiudicataria quale risultante dall’offerta economica presentata in sede di gara (Cons. Stato n. 4283/2015 citata);
- il danno c.d. curriculare dovuto alla perdita della possibilità di arricchire il proprio curriculum professionale (Cons. Stato Sez. VI 09/06/2008 n. 1751), da liquidarsi in via equitativa in una somma pari al 5% sull’importo del’appalto.
Spettano, ancora all’appellante, gli interessi legali sulle predette somme progressivamente e via via rivalutate, dalla data di stipula sino alla liquidazione del danno, in funzione compensativa della mancata disponibilità del denaro a titolo di risarcimento danno.
Per le suesposte considerazioni l’appello, in quanto fondato va accolto in relazione sia agli aspetti impugnatori che risarcitori, con integrale riforma dell’impugnata sentenza (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 21.12.2015 n. 5803 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Dalla lettura dell’art. 38, lett. c), codice dei contratti emerge come, ai fini dell’esclusione dalla partecipazione dalle procedure, in caso di sentenza ex art. 444 c.p.p. la condanna riportata dai soggetti non deve essere passata in giudicato o divenuta irrevocabile.
Infatti, mentre nelle altre due ipotesi previste, sentenza di condanna o decreto penale, è lo stesso legislatore che prescrive la necessità che questi siano passati in giudicato o divenuti irrevocabili, nel caso di patteggiamento nulla in questo senso è previsto.
Tale scelta del legislatore –che probabilmente deriva dal fatto che nel patteggiamento vi è un’ammissione di responsabilità con non contestazione dei fatti addebitati– risulta all’evidenza laddove lo stesso legislatore, parla esclusivamente di “sentenza di applicazione della pena su richiesta, ai sensi dell'articolo 444 del codice di procedura penale”, senza prevedere la necessità che questa sia divenuta irrevocabile.
Tuttavia, in base a quanto sopra detto, è da ritenere che anche la sentenza di patteggiamento non divenuta irrevocabile deve essere dichiarata in base al disposto dell’art. 38, con la conseguenza che la dichiarazione, resa in sede di partecipazione, di assenza di condanne definitive nei confronti del legale rappresentante, in presenza, all’opposto, di una sentenza di patteggiamento, anche se ancora non divenuta irrevocabile, è, una dichiarazione mendace, per ciò solo costituente legittima causa di esclusione dalla gara.
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Il ricorso è fondato.
La lettera di invito dell’appalto in questione richiede, ai fini dell’ammissione alla gara, che i partecipanti presentino la dichiarazione ex art. 38 codice dei contratti.
Per l’art. 38, lett. c), codice dei contratti “Sono esclusi dalla partecipazione alle procedure di affidamento delle concessioni e degli appalti di lavori, forniture e servizi, né possono essere affidatari di subappalti, e non possono stipulare i relativi contratti i soggetti: c) nei cui confronti è stata pronunciata sentenza di condanna passata in giudicato, o emesso decreto penale di condanna divenuto irrevocabile, oppure sentenza di applicazione della pena su richiesta, ai sensi dell'articolo 444 del codice di procedura penale, per reati gravi in danno dello Stato o della Comunità che incidono sulla moralità professionale; è comunque causa di esclusione la condanna, con sentenza passata in giudicato, per uno o più reati di partecipazione a un'organizzazione criminale, corruzione, frode, riciclaggio, quali definiti dagli atti comunitari citati all'articolo 45, paragrafo 1, direttiva Ce 2004/18; l'esclusione e il divieto operano se la sentenza o il decreto sono stati emessi nei confronti: del titolare o del direttore tecnico se si tratta di impresa individuale; dei soci o del direttore tecnico, se si tratta di società in nome collettivo; dei soci accomandatari o del direttore tecnico se si tratta di società in accomandita semplice; degli amministratori muniti di potere di rappresentanza o del direttore tecnico o del socio unico persona fisica, ovvero del socio di maggioranza in caso di società con meno di quattro soci, se si tratta di altro tipo di società o consorzio.
In ogni caso l'esclusione e il divieto operano anche nei confronti dei soggetti cessati dalla carica nell'anno antecedente la data di pubblicazione del bando di gara, qualora l'impresa non dimostri che vi sia stata completa ed effettiva dissociazione della condotta penalmente sanzionata; l'esclusione e il divieto in ogni caso non operano quando il reato e' stato depenalizzato ovvero quando e' intervenuta la riabilitazione ovvero quando il reato e' stato dichiarato estinto dopo la condanna ovvero in caso di revoca della condanna medesima
”.
Dalla lettura della norma in esame emerge come, ai fini dell’esclusione dalla partecipazione dalle procedure, in caso di sentenza ex art. 444 c.p.p. la condanna riportata dai soggetti non deve essere passata in giudicato o divenuta irrevocabile.
Infatti, mentre nelle altre due ipotesi previste, sentenza di condanna o decreto penale, è lo stesso legislatore che prescrive la necessità che questi siano passati in giudicato o divenuti irrevocabili, nel caso di patteggiamento nulla in questo senso è previsto.
Tale scelta del legislatore –che probabilmente deriva dal fatto che nel patteggiamento vi è un’ammissione di responsabilità con non contestazione dei fatti addebitati– risulta all’evidenza laddove lo stesso legislatore, parla esclusivamente di “sentenza di applicazione della pena su richiesta, ai sensi dell'articolo 444 del codice di procedura penale”, senza prevedere la necessità che questa sia divenuta irrevocabile.
Nel caso in esame, la società aggiudicataria ha dichiarato che nei confronti del sig. -OMISSIS-, già amministratore e direttore tecnico e attuale socio di maggioranza della società, non era stata pronunciata alcuna condanna ex art. 38 codice dei contratti.
Tuttavia, in base a quanto sopra detto, è da ritenere che anche la sentenza di patteggiamento non divenuta irrevocabile deve essere dichiarata in base al disposto dell’art. 38, con la conseguenza che la dichiarazione, resa in sede di partecipazione, di assenza di condanne definitive nei confronti del legale rappresentante, in presenza, all’opposto, di una sentenza di patteggiamento, anche se ancora non divenuta irrevocabile, è, una dichiarazione mendace, per ciò solo costituente legittima causa di esclusione dalla gara.
In conclusione, il ricorso deve essere accolto
(TAR Puglia-Lecce, Sez. II, sentenza 21.12.2015 n. 3662 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

LAVORI PUBBLICI: Il Direttore dei Lavori può ordinare varianti in corso d'opera ancorché in carenza della preventiva approvazione del comune.
In tema di appalto di opera pubblica, qualora i lavori appaltati dal Comune siano variati per ordine scritto del direttore dei lavori, che si palesi carente dell'indicazione della preventiva approvazione dell'amministrazione committente, ma che successivamente siano autorizzati con una perizia di variante e suppletiva, ai sensi dell'art. 342 della legge 20.03.1865 n. 2248 all. F e dall'art. 13 del capitolato generale di appalto approvato con il d.P.R. 16.07.1962 n. 1063 (applicabili ratione temporis), e con la conseguente delibera del consiglio comunale, l'originaria irregolarità dell'ordine privo di quell'indicazione deve ritenersi sanata in virtù dell'intervenuta ratifica dell'ordine medesimo.
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4.1. L'esercizio dello ius varlandi dell'Amministrazione, nell'ambito del rapporto contrattuale di appalto pubblico, incontra i limiti dettati (ratione temporis) dall'art. 342 e ss. della L. n. 2248 del 1865 (All. F) e dagli artt. 13 e 14 del d.P.R. n. 1063 del 1962 (Capitolato Generale 00.PP.).
4.2. Alla luce di tali previsioni,
le variazioni al progetto dell'opera pubblica possono legittimamente intervenire in tre casi, specificamente nominati:
a) a seguito dell'ordine scritto del Direttore dei lavori, con la «superiore approvazione» dell'Amministrazione appaltante;
b) in caso di assoluta urgenza, su richiesta del D.L. (il quale dovrà darne avviso all'Amministrazione appaltante),
c) quando sia reputato utile o necessario introdurre variazioni o aggiunge non previste dal contratto e che comportino variazioni di prezzo, mediante l'approvazione da parte della D.L. di una perizia suppletiva.

4.3. Nel caso di specie, l'impresa ricorrente invoca, al contempo, l'esistenza di un ordine scritto del D.L., ma anche l'esistenza di una perizia di variante approvata dall'Amministrazione comunale oltre che l'urgente necessità dell'intervento.

4.4. Ma se l'urgente necessità è stata espressamente esclusa dalla Corte territoriale, con sintetica ma chiara motivazione (alle pp. 10-11 della sentenza), così che è da escludere la fondatezza della doglianza proposta al riguardo con il secondo mezzo di cassazione, nessuna idonea considerazione è stata espressa dal giudice distrettuale a proposito della legittimità (o meno) delle altre due ipotesi di esercizio del ius variandi, pure avanzate e riscontrate nella stessa premessa motivazionale della decisione.
4.5. In particolare,
non appare corretta l'esclusione della legittimità della prima di tali ipotesi di esercizio del ius variandi dell'Amministrazione (quello della variazione determinatasi a seguito dell'ordine scritto da parte del Direttore dei lavori, con la «superiore approvazione» dell'Amministrazione appaltante, di cui all'art. 342, 1° co., disp. cit.) in quanto l'omessa indicazione dei profili formali della approvazione da parte dell'Autorità amministrativa nell'ordine impartito dalla Direzione Lavori, pur avendo un preciso rilievo (avendo il significato di esplicitare la rispondenza di esso ai voleri dell'amministrazione appaltante), non appare decisivo ai fini della legittimità dell'ordine non dovendo esso necessariamente sussistere al momento in cui il DL abbia impartito l'ordine scritto.
4.5.2. Come già questa stessa Corte ha affermato, un tale requisito può intervenire anche in un momento successivo, a sanatoria dell'ordine (in ipotesi annullabile) ma formalmente dato.
4.5.3. Infatti, non solo alla luce degli artt. 21-octies e 21-nonies della L. n. 241 del 1990, non applicabili ratione temporis, ma sulla base dei principi che sono ad essi sottesi, invocabili anche con riferimento al caso esaminato, in quanto immanenti nel sistema,
questa Corte ha in passato già affermato, finanche in caso di ordine non scritto, il principio di sanatoria, quando (Sez. l, Sentenza n. 5172 del 1994) ha stabilito che «In caso di variazioni ai lavori appaltati da un comune non disposte con ordine scritto da parte del direttore del lavori (come prescritto dall'art. 342 della legge 20.03.1865 n. 2248 all. F e dall'art. 13 del capitolato generale di appalto approvato con il d.P.R. 16.07.1962 n. 1063), ma riassunte in una perizia di variante, l'approvazione della perizia da parte della giunta comunale che agisca in via di urgenza con i poteri del consiglio comunale (nella specie, sciolto ed in attesa di rinnovo) sana l'irregolarità derivante dalla mancanza dell'ordine scritto e comporta il riconoscimento del diritto dell'appaltatore a ricevere il compenso per le opere eseguite, anche se il nuovo consiglio comunale non ratifichi la delibera della giunta, atteso che, ai sensi dell'art. 140 del T.U. sulla legge comunale e provinciale, di cui al R.D. 04.02.1915 n. 148, la mancata ratifica, da parte del consiglio comunale, della delibera assunta della giunta comunale in via d'urgenza non può elidere gli effetti prodotti "medio tempore" dal provvedimento della giunta.
4.6. Ne deriva la fondatezza della censura di violazione di legge ove la stessa sia intesa a far rilevare l'errore, così come commesso da parte della Corte territoriale, costituito dal mancato rispetto del principio del richiamo formale dell'approvazione dell'organo superiore quand'anche tale approvazione sia intervenuta in un momento successivo, vuoi attraverso la redazione ed approvazione della perizia di variante, vuoi con la deliberazione di approvazione di questa con riferimento alle opere che non hanno formato oggetto del contratto originario.
4.7. La Corte territoriale, infatti, ha considerato decisiva la mancanza dell'approvazione al momento della formulazione dell'ordine, da parte della D.L. all'impresa, senza considerare che l'approvazione è, tuttavia, intervenuta, sia pure in un momento di poco posteriore.
4.8. Del resto, tale approvazione (indipendentemente dalle successive vicende del provvedimento dapprima dato, poi revocato ed infine confermato: da considerarsi irrilevanti, dovendo riferirsi al solo momento approvativo, successivo all'ordine del DL) è consistita anche nell'approvazione di una perizia di variante e suppletiva, secondo quella terza ipotesi di esercizio legittimo del ius variandi da parte dell'Amministrazione. Ciò che non ha formato oggetto di specifica considerazione da parte del giudice distrettuale, con violazione della norma di legge e dell'obbligo motivazionale.
4.9. Infine, a completamento del ragionamento giudiziale, resta del tutto esterna la questione dei limiti quantitativi della variazione apportata rispetto al credito dell'appaltatore (potendo questo subire anche legittime decurtazioni ove tali limiti siano stati superati) e rispetto al finanziamento che l'Amministrazione abbia richiesto (profilo che non attiene al rapporto contrattuale ma alla provvista dei mezzi, che è problema tutto esterno al contratto e interno all'attività della stazione appaltante).
4.10. Ne segue la cassazione con rinvio della sentenza affinché, in diversa composizione la Corte territoriale riesamini le risultanze processuali alla luce del seguente principio di diritto: "
In tema di appalto di opera pubblica, qualora i lavori appaltati dal Comune siano variati per ordine scritto del direttore dei lavori, che si palesi carente dell'indicazione della preventiva approvazione dell'amministrazione committente, ma che successivamente siano autorizzati con una perizia di variante e suppletiva, ai sensi dell'art. 342 della legge 20.03.1865 n. 2248 all. F e dall'art. 13 del capitolato generale di appalto approvato con il d.P.R. 16.07.1962 n. 1063 (applicabili ratione temporis), e con la conseguente delibera del consiglio comunale, l'originaria irregolarità dell'ordine privo di quell'indicazione deve ritenersi sanata in virtù dell'intervenuta ratifica dell'ordine medesimo" (Corte di Cassazione, Sez. I civile, sentenza 18.12.2015 n. 25524).

APPALTI FORNITURE E SERVIZI Sull'accertamento del diritto alla revisione del prezzo di appalto.
La decisione di effettuare la revisione prezzi e la determinazione dei parametri da osservarsi a tal fine sono espressione di una sfera di valutazione discrezionale, che sfocia in un provvedimento autoritativo, il quale deve essere impugnato innanzi al giudice amministrativo nel termine decadenziale di legge, atteso che la posizione dell'appaltatore assume carattere di diritto soggettivo solo dopo che l'Amministrazione abbia riconosciuto la sua pretesa e si verta in materia del quantum del compenso revisionale.
Nel caso di specie, concernente l'accertamento del diritto alla revisione dei prezzi per la realizzazione di interventi finalizzati al risparmio energetico di un'Azienda ospedaliera, il rapporto negoziale fra le parti -quanto al riconoscimento di compensi revisionali- recava una clausola di chiaro contenuto negativo, così che la pretesa azionata in alcun modo poteva ricondursi a un diritto soggettivo perfetto tutelabile con azione di accertamento, ove il contratto rechi un'apposita clausola che preveda il puntuale obbligo dell'Amministrazione di dar luogo alla revisione dei prezzi (Consiglio di Stato, Sez. III, sentenza 18.12.2015 n. 5779 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI: Gara nulla se l’ente non è capace di aprire i files. Tar Bari. Appalti.
L’impresa che ha correttamente usato gli atti digitali per formulare offerte in procedure sul mercato elettronico non può essere esclusa dalla Pa se questa non ha competenze informatiche per leggere i documenti non cartacei.
Il TAR Puglia-Bari -Sez. I, sentenza 18.12.2015 n. 1646– ha dichiarato illegittima un’aggiudicazione, su piattaforma del mercato elettronico della Pa (Mepa), escludendo una ditta concorrente che, come richiesto dal bando, aveva inviato offerta telematica. L’ente, non riuscendo ad aprire i file inviati con firma digitale, li ha ritenuti danneggiati.
E ha considerato quelli senza firma elettronica richiesti a gara scaduta per un ulteriore controllo non corrispondenti ai primi, per la loro diversa denominazione. Ma sarebbe bastato un programma idoneo alla lettura dei documenti sui dettagli tecnici ed economici per l’appalto e per gli altri occorreva sapere che la diversità di denominazione dipendeva dal tipo di estensione e formato.
Accogliendo la tesi della ricorrente, i giudici spiegano che, se l’offerta è stata redatta e inviata come da bando, «la mancata lettura della documentazione» a corredo «risulta imputabile esclusivamente a responsabilità della Pa». Che avrebbe facilmente ovviato con un supplemento istruttorio, anche con personale più qualificato, anche perché in una perizia di parte i file sono risultati leggibili.
La sentenza ha poi stabilito che anche la ditta esclusa, data l’inutilità dell’annullamento degli atti, vanta un interesse (meritevole di tutela) ad accertare la illegittimità dell’azione amministrativa per chiedere in separata sede il risarcimento del danno «rapportato alla possibile chance di vittoria»
(articolo Il Sole 24 Ore dell'08.01.2016).
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MASSIMA
3. Tanto premesso in fatto, in diritto il ricorso è fondato e merita accoglimento, sebbene ai sensi dell’art. 34, comma 3, c.p.a. l’interesse della ricorrente vada limitato alla pronuncia di accertamento dell’illegittimità degli atti di gara, non avendo la stessa più interesse alla loro caducazione, non potendo trarne alcuna utilità, per essere stata completamente eseguita la fornitura dall’aggiudicataria, odierna controinteressata.
Infatti, tenuto conto, del fatto che non è più possibile allo stato attuale la rinnovazione di una gara ormai completamente esaurita nei suoi effetti, la ricorrente vanta sicuramente un interesse, ai sensi dell’art. 34, comma 3 cod. proc. amm., meritevole di tutela, all’accertamento della illegittimità dell’azione amministrativa al fine di richiedere in separata sede il risarcimento del danno evidentemente rapportato alla possibile chance di vittoria (cfr. Tar Bari, Sez. I, 10.12.2014, n. 1525).
3.1 Dalla perizia di parte, redatta dall’ing. P.Ca., le cui convincenti argomentazioni e conclusioni il Collegio ritiene di condividere, è emerso che
i “file” forniti dall’odierna ricorrente, risultano perfettamente leggibili e privi di qualsivoglia errore informatico che possa comprometterne la lettura e che eventuali problemi nella loro apertura e lettura sono da addebitarsi alla mancanza di conoscenze (di base) o strumentazioni informatiche (software di base) di chi era addetto alla ricezione di tali documenti; che la sottoscrizione digitale degli stessi è stata effettuata nei termini di gara, in particolare tutti tra il 20 ed il 21 ottobre, e non era dunque modificabile in data successiva a quella riportata; che anche i file non firmati digitalmente, inviati a titolo di cortesia, risultano essere perfettamente leggibili.
3.2 Alla luce delle predette incontestate risultanze, dunque,
è emerso che l’offerta della ricorrente è stata correttamente redatta e trasmessa e che la mancata lettura della documentazione presentata a suo corredo risulta imputabile esclusivamente a responsabilità della P.A., che avrebbe facilmente potuto ovviare all’inconveniente registrato disponendo un supplemento istruttorio, anche con l’ausilio di personale all’uopo maggiormente qualificato, in grado di procedere all’utilizzo dei programmi informatici necessari (e, per quanto emerso, scaricabili liberamente da internet nella loro versione gratuita), onde poter agevolmente procedere all’apertura dei file trasmessi dalla La. e pervenuti alla S.A. tramite piattaforma Mepa.
3.3 Nei termini innanzi precisati, dunque, il ricorso va accolto.
In conclusione, dalle argomentazioni espresse in precedenza discende la declaratoria di improcedibilità della domanda impugnatoria di cui al ricorso introduttivo, così come integrato da motivi aggiunti, per sopravvenuto difetto di interesse; nonché l’accertamento, ai sensi dell’art. 34, comma 3 cod. proc. amm., dell’illegittimità del provvedimento di esclusione della ricorrente e, per derivationem, degli atti di aggiudicazione provvisoria e definitiva, atteso che, nella specie, la ricorrente è stata illegittimamente esclusa dalla procedura de qua, così vedendosi preclusa la chance di essere selezionata quale migliore offerente, essendo mancata la valutazione della sua offerta tecnica ed economica, nell’ambito di una procedura caratterizzata da due sole offerte in competizione.

APPALTI: Sulla questione interpretativa di stabilire cosa debba intendersi per “irregolarità essenziale”, ai sensi dell’art. 38, comma 2-bis, del d.lgs. n. 163 del 2006.
L'art. 39 del D.L. n. 90 del 2014, per le sole procedure bandite dopo la sua entrata in vigore, ha inserito il comma 2-bis all'art. 38 e il comma 1-ter all’art. 46 del d.lgs. 12.04.2006, n. 163, introducendo una sanzione pecuniaria per la mancanza, l'incompletezza e ogni altra irregolarità essenziale delle dichiarazioni sostitutive, obbligando la stazione appaltante ad assegnare al concorrente un termine non superiore a dieci giorni per la produzione o l'integrazione delle dichiarazioni carenti e imponendo l'esclusione nel solo caso di inosservanza di tale ultimo adempimento. In tal modo si è profondamente inciso il regime normativo delle dichiarazioni richieste ai fini dell'ammissione in gara. Il nuovo quadro normativo, infatti, è chiaramente orientato alla dequalificazione delle irregolarità dichiarative da fattori escludenti a carenze regolarizzabili o sanzionabili in via pecuniaria, soluzione questa che punta ad appurare il più possibile l'effettiva titolarità dei requisiti richiesti, senza vanificare o stravolgere l'esito della gara in ragione di mere carenze formali.
Le modifiche introdotte risultano, peraltro, finalizzate a superare le incertezze interpretative e applicative del combinato disposto degli artt. 38 e 46 del d.lgs. n. 163 del 2006, mediante la procedimentalizzazione del potere di soccorso istruttorio (che diventa doveroso per ogni ipotesi di mancanza o di irregolarità delle dichiarazioni sostitutive) e la configurazione dell'esclusione dalla procedura come sanzione unicamente legittimata dall'omessa produzione, integrazione o regolarizzazione delle dichiarazioni carenti entro il termine assegnato dalla stazione appaltante (e non più da carenze originarie).
Come chiarito in giurisprudenza, la nuova disposizione “offre, quale indice ermeneutico, l'argomento della chiara volontà del legislatore di evitare (nella fase del controllo delle dichiarazioni e, quindi, dell'ammissione alla gara delle offerte presentate) esclusioni dalla procedura per mere carenze documentali (ivi compresa anche la mancanza assoluta delle dichiarazioni), di imporre un'istruttoria veloce, ma preordinata ad acquisire la completezza delle dichiarazioni (prima della valutazione dell'ammissibilità della domanda), e di autorizzare la sanzione espulsiva quale conseguenza della sola inosservanza, da parte dell'impresa concorrente, all'obbligo di integrazione documentale (entro il termine perentorio accordato, a tal fine, dalla stazione appaltante)”.
Come chiarito anche dall’Anac, “La nuova previsione, dunque, esclusivamente per i casi della mancanza, incompletezza e ogni altra irregolarità essenziale degli elementi e delle dichiarazioni sostitutive di cui al comma 2, prevede l’obbligo del concorrente di pagare, in favore della stazione appaltante, la sanzione pecuniaria stabilita dal bando di gara, il cui versamento è garantito dalla cauzione provvisoria, e ciò, è da ritenere, solamente al fine di poter integrare e regolarizzare le relative omissioni e/o carenze. L’esclusione del concorrente dalla gara, invece, sarà disposta dalla stazione appaltante esclusivamente a seguito dell’inutile decorso del termine assegnato ai fini della regolarizzazione (cioè senza che il concorrente integri o regolarizzi le dichiarazioni carenti o irregolari).
La finalità della disposizione è sicuramente quella di evitare l’esclusione dalla gara per mere carenze documentali -ivi compresa anche la mancanza assoluta delle dichiarazioni- imponendo a tal fine un’istruttoria veloce ma preordinata ad acquisire la completezza delle dichiarazioni, prima della valutazione dell’ammissibilità dell’offerta o della domanda, e di autorizzare la sanzione espulsiva quale conseguenza della sola inosservanza, da parte dell’impresa concorrente, all’obbligo di integrazione documentale entro il termine perentorio accordato, a tal fine, dalla stazione appaltante.
Sulla base di tale disposizione, pertanto, ai fini della partecipazione alla gara, assume rilievo l’effettiva sussistenza dei requisiti di ordine generale in capo ai concorrenti e non le formalità né la completezza del contenuto della dichiarazione resa a dimostrazione del possesso dei predetti requisiti. Si conferma in tal modo l’orientamento giurisprudenziale a tenore del quale occorre dare prevalenza al dato sostanziale (la sussistenza dei requisiti) rispetto a quello formale (completezza delle autodichiarazioni rese dai concorrenti) e, dunque, l’esclusione dalla gara potrà essere disposta non più in presenza di dichiarazione incompleta, o addirittura omessa, ma esclusivamente nel caso in cui il concorrente non ottemperi alla richiesta della stazione appaltante ovvero non possieda, effettivamente, il requisito.
Sotto tale profilo, la novella in esame sembra finalizzata, altresì, alla deflazione del contenzioso derivante da provvedimenti di esclusione dalle gare d’appalto, per vizi formali –cui non corrisponda l’interesse sostanziale alla reale affidabilità del concorrente– sulle dichiarazioni rese dai partecipanti, con conseguente possibile riduzione dei casi di annullamento e di sospensione dei provvedimenti di aggiudicazione, ciò che, peraltro, si desume dalla collocazione dello stesso art. 39, nel Titolo IV del d.l. 90/2014 conv. in l. 114/2014, dedicato alle «misure per lo snellimento del processo amministrativo e l’attuazione del processo civile telematico», come sopra già accennato”.
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Tanto premesso in termini generali, osserva il Collegio che l’art. 38, comma 2-bis, del d.lgs. n. 163 del 2015 non specifica alcunché in ordine al concetto di essenzialità delle irregolarità, lasciando alle singole Stazioni appaltanti il compito di individuare i casi nei quali è consentita la produzione, l’integrazione e la regolarizzazione degli elementi e delle dichiarazioni di cui all’art. 38, commi 1 e 2, ovvero degli altri requisiti di partecipazione ai sensi dell’estensione operata dal comma 1-ter dell’art. 46, secondo cui “le disposizioni di cui all'articolo 38, comma 2-bis, si applicano a ogni ipotesi di mancanza, incompletezza o irregolarità degli elementi e delle dichiarazioni, anche di soggetti terzi, che devono essere prodotte dai concorrenti in base alla legge, al bando o al disciplinare di gara”.
Come chiarito dall’Anac, “è ragionevole ritenere che, con la nozione di irregolarità essenziale, il legislatore abbia voluto riferirsi ad ogni irregolarità nella redazione della dichiarazione, oltre all’omissione e all’incompletezza, che non consenta alla stazione appaltante di individuare con chiarezza il soggetto ed il contenuto della dichiarazione stessa, ai fini dell’individuazione dei singoli requisiti di ordine generale che devono essere posseduti dal concorrente e, in alcuni casi, per esso dai soggetti specificamente indicati dallo stesso art. 38, comma 1, del Codice.
Tale interpretazione si desume, oltre che dalla ratio sottesa alla norma –che, peraltro, nel prevedere una specifica sanzione pecuniaria, intende realizzare l’obiettivo di evitare che a fronte della generale sanabilità delle carenze e delle omissioni, gli operatori siano indotti a produrre dichiarazioni da cui non si evinca il reale possesso dei singoli requisiti generali e l’esatta individuazione dei soggetti che devono possederli anche da un dato testuale della medesima, che assume maggior pregnanza da una lettura sistematica dei primi due periodi del citato comma 2-bis.
Infatti, nel secondo periodo della norma appena richiamata è espressamente stabilito che nei casi di irregolarità essenziale «la stazione appaltante assegna al concorrente un termine, non superiore a dieci giorni, perché siano rese, integrate o regolarizzate le dichiarazioni necessarie, indicandone il contenuto e i soggetti che le devono rendere». L’espresso riferimento al contenuto delle dichiarazioni ed ai soggetti che le devono prestare, rende palese l’intento del legislatore di estendere l’applicazione della norma a tutte le carenze –in termini di omissioni, incompletezze e irregolarità– riferite agli elementi ed alle dichiarazioni di cui all’art. 38 nonché agli aspetti relativi all’identificazione dei centri di imputabilità delle dichiarazioni stesse”.
In conclusione, ad avviso dell’Anac, “le carenze essenziali riguardano l’impossibilità di stabilire se il singolo requisito contemplato dal comma 1 dell’art. 38 sia posseduto o meno e da quali soggetti (indicati dallo stesso articolo). Ciò che si verifica nei casi in cui:
a. non sussiste dichiarazione in merito ad una specifica lettera del comma 1 dell’art. 38 del Codice;
b. la dichiarazione sussiste ma non da parte di uno dei soggetti o con riferimento ad uno dei soggetti che la norma individua come titolare del requisito;
c. la dichiarazione sussiste ma dalla medesima non si evince se il requisito sia posseduto o meno”.
Con specifico riferimento all’art. 46, comma 1-ter, del d.lgs. n. 163 del 2006, poi, la determinazione n. 1 del 2015 sottolinea come “la novella normativa introdotta dall’art. 39 del d.l. 90/2014 conv. in l. 114/2014, con riferimento alle previsioni di cui all’art. 46 del Codice, determini un superamento dei principi [giurisprudenziali], comportando un’inversione radicale di principio; inversione in base alla quale è generalmente sanabile qualsiasi carenza, omissione o irregolarità, con il solo limite intrinseco dell’inalterabilità del contenuto dell’offerta, della certezza in ordine alla provenienza della stessa, del principio di segretezza che presiede alla presentazione della medesima e di inalterabilità delle condizioni in cui versano i concorrenti al momento della scadenza del termine per la partecipazione alla gara”.
Poiché il comma 1-ter citato stabilisce che le disposizioni dell’art. 38, comma 2-bis, si applicano ad ogni ipotesi di mancanza, di incompletezza o di irregolarità degli elementi e delle dichiarazioni, anche di soggetti terzi, che devono essere prodotte dai concorrenti in base alla legge, al bando o al disciplinare di gara, può ben ritenersi che “sia consentito in sede di gara procedere alla sanatoria di ogni omissione o incompletezza documentale, superando l’illustrato limite della sola integrazione e regolarizzazione di quanto già dichiarato e prodotto in gara. Inoltre, il riferimento ivi contenuto anche agli elementi e non solo alle dichiarazioni, consente un’estensione dell’istituto del soccorso istruttorio a tutti i documenti da produrre in gara, in relazione ai requisiti di partecipazione ma non anche per supplire a carenze dell’offerta”.
Ad avviso dell’Anac, “la novella in esame [ha] sì confermato le fattispecie ascrivibili alla categoria delle cause tassative di esclusione (l’art. 39 del d.l. 90/2014 non interviene, infatti, sui commi 1 e 1-bis dell’art. 46) ma, operando “a valle” di tale individuazione, consent[e], ora, che siano resi, integrati o regolarizzati (nella fase iniziale della gara) anche gli elementi e le dichiarazioni (anche di terzi) prescritti dalla legge, dal bando o dal disciplinare di gara, la cui assenza o irregolarità sotto la previgente disciplina determinavano l’esclusione dalla gara (si tratta di ipotesi, evidentemente, ulteriori rispetto alle dichiarazioni di cui all’art. 38, comma 1, del Codice). Pertanto, ove vi sia un’omissione, incompletezza, irregolarità di una dichiarazione con carattere dell’essenzialità –da individuarsi come tale in applicazione della disciplina sulla cause tassative di esclusione– la stazione appaltante non potrà più procedere direttamente all’esclusione del concorrente ma dovrà avviare il procedimento contemplato nell’art. 38, comma 2-bis del Codice, volto alla irrogazione della sanzione pecuniaria ivi prevista ed alla sanatoria delle irregolarità rilevate”.
Insomma, “le irregolarità essenziali, ai fini di quanto previsto dall’art. 38, comma 2-bis, coincidono con le irregolarità che attengono a dichiarazioni ed elementi inerenti le cause tassative di esclusione (come individuate nella determinazione n. 4/2012), previste nel bando, nella legge o nel disciplinare di gara, in ordine alle quali non è più consentito procedere ad esclusione del concorrente prima della richiesta di regolarizzazione da parte della stazione appaltante –fatta eccezione per quelli che afferiscono all’offerta nei termini sopra indicati- come specificato nei successivi paragrafi”.
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Ritiene il Collegio che questa interpretazione sia condivisibile, sotto un duplice profilo.
In primo luogo, contrariamente a quanto dedotto dalla Stazione appaltante, anche ai fini dell’art. 46, comma 1-ter, citato assume rilievo la nozione di “irregolarità essenziale”: la norma in esame, infatti, si limita ad estendere le disposizioni di cui art. 38, comma 2-bis, del d.lgs. n. 162 del 2006 ad ogni ipotesi di mancanza, incompletezza o irregolarità degli elementi e delle dichiarazioni, anche di soggetti terzi, che devono essere prodotte dai concorrenti in base alla legge, al bando o al disciplinare di gara.
L’intera disposizione di cui all’art. 38, comma 2-bis –e quindi anche la distinzione tra irregolarità essenziali, che impongono il soccorso istruttorio e l’applicazione della sanzione pecuniaria, e irregolarità non essenziali, a fronte delle quali invece nessuna integrazione o regolarizzazione documentale può essere chiesta dalla Stazione appaltante né alcuna sanzione può essere irrogata– trova pertanto applicazione alle carenze ed omissioni relative ai requisiti di partecipazione diversi da quelli di ordine generale.
Non può certo ritenersi, infatti, che per essi sia previsto un regime diverso e più rigoroso, che imponga alla Stazione appaltante di procedere al soccorso istruttorio e di irrogare la sanzione pecuniaria per qualsiasi tipo di irregolarità, ovvero anche per quelle non essenziali. Ciò comporterebbe non solo una palese violazione della lettera e della ratio della disposizione normativa, ma altresì una lesione del principio di ragionevolezza ed uguaglianza.
In secondo luogo, ritiene il Tribunale di condividere la lettura interpretativa fornita dall’Anac, secondo cui l’art. 46, comma 1-ter, citato consente di regolarizzare gli elementi e le dichiarazioni prescritti dalla legge, dal bando o dal disciplinare di gara, la cui assenza o irregolarità sotto la previgente disciplina avrebbe determinato l’esclusione dalla gara.
Il carattere dell’essenzialità dell’irregolarità, quindi, è da individuarsi “in applicazione della disciplina sulla cause tassative di esclusione”, nel senso che esso ricorre quando le irregolarità attengono a dichiarazioni ed elementi che, precedentemente all’introduzione della nuova disciplina, avrebbero giustificato l’esclusione dalla procedura di gara.
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2. Il ricorso è fondato e, pertanto, va accolto per le seguenti ragioni.
2.1. Oggetto di gravame sono: il provvedimento n. 5669 del 2015, con cui la Asl di Teramo ha applicato alla società ricorrente la sanzione pecuniaria di cui all’art. 38, comma 2-bis, e all’art. 46, comma 1-ter, del d.lgs. n. 163 del 2006, a causa della mancata dimostrazione, da parte della concorrente, del possesso della certificazione del sistema di qualità UNI CEI ISO 9000 che, ai sensi dell’art. 75, comma 7, del d.lgs. n. 163 del 2006, le avrebbe consentito di avvalersi del beneficio della riduzione del 50% della cauzione provvisoria, considerando detta irregolarità essenziale, il provvedimento n. 582371 del 2015 che ha confermato l’applicazione della sanzione pecuniaria di cui si è detto, il provvedimento n. 58251 del 2015 con cui la Stazione appaltante ha conseguentemente escusso la polizza Carige ed infine il provvedimento n. 58582 del 2015 con cui, a seguito del deposito da parte della concorrente dei documenti e delle dichiarazioni mancanti, è stata riammessa in gara.
Con un gruppo di censure, parte ricorrente ha denunciato violazione di legge ed eccesso di potere, in quanto l’irregolarità riscontrata dalla Stazione appaltante non sarebbe essenziale e, quindi, non avrebbe dovuto portare all’irrogazione della sanzione di cui all’art. 38, comma 2-bis, e all’art. 46, comma 1-ter, del d.lgs. n. 163 del 2006.
Ed invero, la Stazione appaltante ha riscontrato, con la nota n. 5669 del 2015, tra l’altro, una violazione dell’art. 10, lett. B), punto 5, del disciplinare di gara e, precisamente, una non regolare costituzione della cauzione provvisoria a garanzia di offerta, secondo quanto disposto dall’art. 75 del d.lgs. n. 163 del 2006. L’importo della polizza fideiussoria presentata, infatti, era inferiore del 50% rispetto a quanto previsto dalla legge di gara e non risultava documentato il possesso della certificazione del sistema di qualità UNI CEI ISO 9000 che, ai sensi dell’art. 75, comma 7, del d.lgs. n. 163 del 2006, avrebbe consentito di avvalersi del beneficio della riduzione del 50% della cauzione provvisoria.
Ad avviso della Stazione appaltante, questa irregolare costituzione della cauzione provvisoria giustificava l’attivazione del soccorso istruttorio e l’irrogazione della sanzione di cui agli artt. 38, comma 2 bis, e 46, comma 1-ter, del d.lgs. n. 163 del 2006.
La sollevata censura pone il problema interpretativo di stabilire cosa debba intendersi per “irregolarità essenziale”, ai sensi dell’art. 38, comma 2-bis, del d.lgs. n. 163 del 2006.
2.2. Ai sensi dell’art. 38, comma 2-bis, del d.lgs. n. 163 del 2006, come modificato inserito dall'art. 39, comma 1, D.L. 24.06.2014, n. 90, convertito, con modificazioni, dalla L. 11.08.2014, n. 114, “La mancanza, l'incompletezza e ogni altra irregolarità essenziale degli elementi e delle dichiarazioni sostitutive di cui al comma 2 obbliga il concorrente che vi ha dato causa al pagamento, in favore della stazione appaltante, della sanzione pecuniaria stabilita dal bando di gara, in misura non inferiore all'uno per mille e non superiore all'uno per cento del valore della gara e comunque non superiore a 50.000 euro, il cui versamento è garantito dalla cauzione provvisoria. In tal caso, la stazione appaltante assegna al concorrente un termine, non superiore a dieci giorni, perché siano rese, integrate o regolarizzate le dichiarazioni necessarie, indicandone il contenuto e i soggetti che le devono rendere. Nei casi di irregolarità non essenziali, ovvero di mancanza o incompletezza di dichiarazioni non indispensabili, la stazione appaltante non ne richiede la regolarizzazione, né applica alcuna sanzione. In caso di inutile decorso del termine di cui al secondo periodo il concorrente è escluso dalla gara (…)”.
L’art. 46, comma 1-ter, del medesimo testo normativo, anch’esso aggiunto dall'art. 39, comma 2, D.L. 24.06.2014, n. 90, convertito, con modificazioni, dalla L. 11.08.2014, n. 114, stabilisce che “Le disposizioni di cui articolo 38, comma 2-bis, si applicano a ogni ipotesi di mancanza, incompletezza o irregolarità degli elementi e delle dichiarazioni, anche di soggetti terzi, che devono essere prodotte dai concorrenti in base alla legge, al bando o al disciplinare di gara”.
L'art. 39 del D.L. n. 90 del 2014, insomma, per le sole procedure bandite dopo la sua entrata in vigore, ha inserito il comma 2-bis all'art. 38 e il comma 1-ter all’art. 46 del d.lgs. 12.04.2006, n. 163, introducendo –come si è visto– una sanzione pecuniaria per la mancanza, l'incompletezza e ogni altra irregolarità essenziale delle dichiarazioni sostitutive, obbligando la stazione appaltante ad assegnare al concorrente un termine non superiore a dieci giorni per la produzione o l'integrazione delle dichiarazioni carenti e imponendo l'esclusione nel solo caso di inosservanza di tale ultimo adempimento. In tal modo si è profondamente inciso il regime normativo delle dichiarazioni richieste ai fini dell'ammissione in gara. Il nuovo quadro normativo, infatti, è chiaramente orientato alla dequalificazione delle irregolarità dichiarative da fattori escludenti a carenze regolarizzabili o sanzionabili in via pecuniaria, soluzione questa che punta ad appurare il più possibile l'effettiva titolarità dei requisiti richiesti, senza vanificare o stravolgere l'esito della gara in ragione di mere carenze formali (Tar Valle d’Aosta, n. 25 del 2015).
Le modifiche introdotte risultano, peraltro, finalizzate a superare le incertezze interpretative e applicative del combinato disposto degli artt. 38 e 46 del d.lgs. n. 163 del 2006, mediante la procedimentalizzazione del potere di soccorso istruttorio (che diventa doveroso per ogni ipotesi di mancanza o di irregolarità delle dichiarazioni sostitutive) e la configurazione dell'esclusione dalla procedura come sanzione unicamente legittimata dall'omessa produzione, integrazione o regolarizzazione delle dichiarazioni carenti entro il termine assegnato dalla stazione appaltante (e non più da carenze originarie) (C.d.S. n. 5890 del 2014).
Come chiarito in giurisprudenza, la nuova disposizione “offre, quale indice ermeneutico, l'argomento della chiara volontà del legislatore di evitare (nella fase del controllo delle dichiarazioni e, quindi, dell'ammissione alla gara delle offerte presentate) esclusioni dalla procedura per mere carenze documentali (ivi compresa anche la mancanza assoluta delle dichiarazioni), di imporre un'istruttoria veloce, ma preordinata ad acquisire la completezza delle dichiarazioni (prima della valutazione dell'ammissibilità della domanda), e di autorizzare la sanzione espulsiva quale conseguenza della sola inosservanza, da parte dell'impresa concorrente, all'obbligo di integrazione documentale (entro il termine perentorio accordato, a tal fine, dalla stazione appaltante)” (C.d.S. n. 5890 del 2014).
Come chiarito anche dall’Anac, nella determinazione n. 1 del 2015, “La nuova previsione, dunque, esclusivamente per i casi della mancanza, incompletezza e ogni altra irregolarità essenziale degli elementi e delle dichiarazioni sostitutive di cui al comma 2, prevede l’obbligo del concorrente di pagare, in favore della stazione appaltante, la sanzione pecuniaria stabilita dal bando di gara, il cui versamento è garantito dalla cauzione provvisoria, e ciò, è da ritenere, solamente al fine di poter integrare e regolarizzare le relative omissioni e/o carenze. L’esclusione del concorrente dalla gara, invece, sarà disposta dalla stazione appaltante esclusivamente a seguito dell’inutile decorso del termine assegnato ai fini della regolarizzazione (cioè senza che il concorrente integri o regolarizzi le dichiarazioni carenti o irregolari).
La finalità della disposizione è sicuramente quella di evitare l’esclusione dalla gara per mere carenze documentali -ivi compresa anche la mancanza assoluta delle dichiarazioni- imponendo a tal fine un’istruttoria veloce ma preordinata ad acquisire la completezza delle dichiarazioni, prima della valutazione dell’ammissibilità dell’offerta o della domanda, e di autorizzare la sanzione espulsiva quale conseguenza della sola inosservanza, da parte dell’impresa concorrente, all’obbligo di integrazione documentale entro il termine perentorio accordato, a tal fine, dalla stazione appaltante (in tal senso, Ad. Pl. Cons. St. n. 16/2014 cit.).
Sulla base di tale disposizione, pertanto, ai fini della partecipazione alla gara, assume rilievo l’effettiva sussistenza dei requisiti di ordine generale in capo ai concorrenti e non le formalità né la completezza del contenuto della dichiarazione resa a dimostrazione del possesso dei predetti requisiti. Si conferma in tal modo l’orientamento giurisprudenziale a tenore del quale occorre dare prevalenza al dato sostanziale (la sussistenza dei requisiti) rispetto a quello formale (completezza delle autodichiarazioni rese dai concorrenti) e, dunque, l’esclusione dalla gara potrà essere disposta non più in presenza di dichiarazione incompleta, o addirittura omessa, ma esclusivamente nel caso in cui il concorrente non ottemperi alla richiesta della stazione appaltante ovvero non possieda, effettivamente, il requisito.
Sotto tale profilo, la novella in esame sembra finalizzata, altresì, alla deflazione del contenzioso derivante da provvedimenti di esclusione dalle gare d’appalto, per vizi formali –cui non corrisponda l’interesse sostanziale alla reale affidabilità del concorrente– sulle dichiarazioni rese dai partecipanti, con conseguente possibile riduzione dei casi di annullamento e di sospensione dei provvedimenti di aggiudicazione, ciò che, peraltro, si desume dalla collocazione dello stesso art. 39, nel Titolo IV del d.l. 90/2014 conv. in l. 114/2014, dedicato alle «misure per lo snellimento del processo amministrativo e l’attuazione del processo civile telematico
», come sopra già accennato”.
2.3. Tanto premesso in termini generali, osserva il Collegio che l’art. 38, comma 2-bis, del d.lgs. n. 163 del 2015 non specifica alcunché in ordine al concetto di essenzialità delle irregolarità, lasciando alle singole Stazioni appaltanti il compito di individuare i casi nei quali è consentita la produzione, l’integrazione e la regolarizzazione degli elementi e delle dichiarazioni di cui all’art. 38, commi 1 e 2, ovvero degli altri requisiti di partecipazione ai sensi dell’estensione operata dal comma 1-ter dell’art. 46, secondo cui “le disposizioni di cui all'articolo 38, comma 2-bis, si applicano a ogni ipotesi di mancanza, incompletezza o irregolarità degli elementi e delle dichiarazioni, anche di soggetti terzi, che devono essere prodotte dai concorrenti in base alla legge, al bando o al disciplinare di gara”.
Come chiarito dall’Anac nella determinazione n. 1 del 2015, “è ragionevole ritenere che, con la nozione di irregolarità essenziale, il legislatore abbia voluto riferirsi ad ogni irregolarità nella redazione della dichiarazione, oltre all’omissione e all’incompletezza, che non consenta alla stazione appaltante di individuare con chiarezza il soggetto ed il contenuto della dichiarazione stessa, ai fini dell’individuazione dei singoli requisiti di ordine generale che devono essere posseduti dal concorrente e, in alcuni casi, per esso dai soggetti specificamente indicati dallo stesso art. 38, comma 1, del Codice.
Tale interpretazione si desume, oltre che dalla ratio sottesa alla norma –che, peraltro, nel prevedere una specifica sanzione pecuniaria, intende realizzare l’obiettivo di evitare che a fronte della generale sanabilità delle carenze e delle omissioni, gli operatori siano indotti a produrre dichiarazioni da cui non si evinca il reale possesso dei singoli requisiti generali e l’esatta individuazione dei soggetti che devono possederli  anche da un dato testuale della medesima, che assume maggior pregnanza da una lettura sistematica dei primi due periodi del citato comma 2-bis.
Infatti, nel secondo periodo della norma appena richiamata è espressamente stabilito che nei casi di irregolarità essenziale «la stazione appaltante assegna al concorrente un termine, non superiore a dieci giorni, perché siano rese, integrate o regolarizzate le dichiarazioni necessarie, indicandone il contenuto e i soggetti che le devono rendere». L’espresso riferimento al contenuto delle dichiarazioni ed ai soggetti che le devono prestare, rende palese l’intento del legislatore di estendere l’applicazione della norma a tutte le carenze –in termini di omissioni, incompletezze e irregolarità– riferite agli elementi ed alle dichiarazioni di cui all’art. 38 nonché agli aspetti relativi all’identificazione dei centri di imputabilità delle dichiarazioni stesse
”.
In conclusione, ad avviso dell’Anac, “le carenze essenziali riguardano l’impossibilità di stabilire se il singolo requisito contemplato dal comma 1 dell’art. 38 sia posseduto o meno e da quali soggetti (indicati dallo stesso articolo). Ciò che si verifica nei casi in cui:
a. non sussiste dichiarazione in merito ad una specifica lettera del comma 1 dell’art. 38 del Codice;
b. la dichiarazione sussiste ma non da parte di uno dei soggetti o con riferimento ad uno dei soggetti che la norma individua come titolare del requisito;
c. la dichiarazione sussiste ma dalla medesima non si evince se il requisito sia posseduto o meno
”.
Con specifico riferimento all’art. 46, comma 1-ter, del d.lgs. n. 163 del 2006, poi, la determinazione n. 1 del 2015 sottolinea come “la novella normativa introdotta dall’art. 39 del d.l. 90/2014 conv. in l. 114/2014, con riferimento alle previsioni di cui all’art. 46 del Codice, determini un superamento dei principi [giurisprudenziali], comportando un’inversione radicale di principio; inversione in base alla quale è generalmente sanabile qualsiasi carenza, omissione o irregolarità, con il solo limite intrinseco dell’inalterabilità del contenuto dell’offerta, della certezza in ordine alla provenienza della stessa, del principio di segretezza che presiede alla presentazione della medesima e di inalterabilità delle condizioni in cui versano i concorrenti al momento della scadenza del termine per la partecipazione alla gara”.
Poiché il comma 1-ter citato stabilisce che le disposizioni dell’art. 38, comma 2-bis, si applicano ad ogni ipotesi di mancanza, di incompletezza o di irregolarità degli elementi e delle dichiarazioni, anche di soggetti terzi, che devono essere prodotte dai concorrenti in base alla legge, al bando o al disciplinare di gara, può ben ritenersi che “sia consentito in sede di gara procedere alla sanatoria di ogni omissione o incompletezza documentale, superando l’illustrato limite della sola integrazione e regolarizzazione di quanto già dichiarato e prodotto in gara. Inoltre, il riferimento ivi contenuto anche agli elementi e non solo alle dichiarazioni, consente un’estensione dell’istituto del soccorso istruttorio a tutti i documenti da produrre in gara, in relazione ai requisiti di partecipazione ma non anche per supplire a carenze dell’offerta”.
Ad avviso dell’Anac, “la novella in esame [ha] sì confermato le fattispecie ascrivibili alla categoria delle cause tassative di esclusione (l’art. 39 del d.l. 90/2014 non interviene, infatti, sui commi 1 e 1-bis dell’art. 46) ma, operando “a valle” di tale individuazione, consent[e], ora, che siano resi, integrati o regolarizzati (nella fase iniziale della gara) anche gli elementi e le dichiarazioni (anche di terzi) prescritti dalla legge, dal bando o dal disciplinare di gara, la cui assenza o irregolarità sotto la previgente disciplina determinavano l’esclusione dalla gara (si tratta di ipotesi, evidentemente, ulteriori rispetto alle dichiarazioni di cui all’art. 38, comma 1, del Codice). Pertanto, ove vi sia un’omissione, incompletezza, irregolarità di una dichiarazione con carattere dell’essenzialità –da individuarsi come tale in applicazione della disciplina sulla cause tassative di esclusione– la stazione appaltante non potrà più procedere direttamente all’esclusione del concorrente ma dovrà avviare il procedimento contemplato nell’art. 38, comma 2-bis del Codice, volto alla irrogazione della sanzione pecuniaria ivi prevista ed alla sanatoria delle irregolarità rilevate”.
Insomma, “le irregolarità essenziali, ai fini di quanto previsto dall’art. 38, comma 2-bis, coincidono con le irregolarità che attengono a dichiarazioni ed elementi inerenti le cause tassative di esclusione (come individuate nella determinazione n. 4/2012), previste nel bando, nella legge o nel disciplinare di gara, in ordine alle quali non è più consentito procedere ad esclusione del concorrente prima della richiesta di regolarizzazione da parte della stazione appaltante –fatta eccezione per quelli che afferiscono all’offerta nei termini sopra indicati- come specificato nei successivi paragrafi”.
Ritiene il Collegio che questa interpretazione sia condivisibile, sotto un duplice profilo.
In primo luogo, contrariamente a quanto dedotto dalla Stazione appaltante, anche ai fini dell’art. 46, comma 1-ter, citato assume rilievo la nozione di “irregolarità essenziale”: la norma in esame, infatti, si limita ad estendere le disposizioni di cui art. 38, comma 2-bis, del d.lgs. n. 162 del 2006 ad ogni ipotesi di mancanza, incompletezza o irregolarità degli elementi e delle dichiarazioni, anche di soggetti terzi, che devono essere prodotte dai concorrenti in base alla legge, al bando o al disciplinare di gara.
L’intera disposizione di cui all’art. 38, comma 2-bis –e quindi anche la distinzione tra irregolarità essenziali, che impongono il soccorso istruttorio e l’applicazione della sanzione pecuniaria, e irregolarità non essenziali, a fronte delle quali invece nessuna integrazione o regolarizzazione documentale può essere chiesta dalla Stazione appaltante né alcuna sanzione può essere irrogata– trova pertanto applicazione alle carenze ed omissioni relative ai requisiti di partecipazione diversi da quelli di ordine generale.
Non può certo ritenersi, infatti, che per essi sia previsto un regime diverso e più rigoroso, che imponga alla Stazione appaltante di procedere al soccorso istruttorio e di irrogare la sanzione pecuniaria per qualsiasi tipo di irregolarità, ovvero anche per quelle non essenziali. Ciò comporterebbe non solo una palese violazione della lettera e della ratio della disposizione normativa, ma altresì una lesione del principio di ragionevolezza ed uguaglianza.
In secondo luogo, ritiene il Tribunale di condividere la lettura interpretativa fornita dall’Anac, secondo cui l’art. 46, comma 1-ter, citato consente di regolarizzare gli elementi e le dichiarazioni prescritti dalla legge, dal bando o dal disciplinare di gara, la cui assenza o irregolarità sotto la previgente disciplina avrebbe determinato l’esclusione dalla gara. Il carattere dell’essenzialità dell’irregolarità, quindi, è da individuarsi “in applicazione della disciplina sulla cause tassative di esclusione”, nel senso che esso ricorre quando le irregolarità attengono a dichiarazioni ed elementi che, precedentemente all’introduzione della nuova disciplina, avrebbero giustificato l’esclusione dalla procedura di gara.
Nel caso di specie, l’art. 46, comma 1-ter, del d.lgs. n. 163 del 2006 è stato applicato dalla Asl di Teramo, con conseguente attivazione del soccorso istruttorio e irrogazione della relativa sanzione pecuniaria, a causa dell’irregolare costituzione della cauzione provvisoria a garanzia dell’offerta: l’importo della polizza fideiussoria presentata, infatti, è inferiore del 50% rispetto a quanto previsto dall’art. 10, lett. B), punto 5, del disciplinare di gara e non risulta documentato il possesso della certificazione del sistema di qualità UNI CEI ISO 9000 che, ai sensi dell’art. 75, comma 7, del d.lgs. n. 163 del 2006, avrebbe consentito di avvalersi del beneficio della riduzione del 50% della cauzione provvisoria.
Tuttavia, osserva il Collegio che, secondo la costante giurisprudenza amministrativa, in applicazione del principio di tassatività delle cause di esclusione, sancito dall'art. 46, comma 1-bis, del d.lgs. n. 163 del 2006, la presentazione di una cauzione provvisoria affetta da irregolarità non costituisce causa di esclusione dalla gara. Ciò in quanto l'art. 75, commi 1 e 6, del d.lgs. 163 del 2006, che prescrive l'obbligo di corredare l'offerta di una garanzia pari al 2 % del prezzo base indicato nel bando o nell'invito, sotto forma di cauzione o di fideiussione, a scelta dell'offerente, a garanzia della serietà dell'impegno di sottoscrivere il contratto e quale liquidazione preventiva e forfettaria del danno in caso di mancata stipula per fatto dell'affidatario, non prevede alcuna sanzione di inammissibilità dell'offerta o di esclusione del concorrente per l'ipotesi di irregolarità della cauzione provvisoria, a differenza di quanto prevede, invece, il comma 8 dello stesso art. 75, con riferimento alla garanzia fideiussoria del 10% dell'importo contrattuale per l'esecuzione del contratto, qualora l'offerente risultasse affidatario (Tar Bolzano, n. 145 del 2015).
Ne consegue che le irregolarità concernenti la cauzione provvisoria comunque prestata nei termini previsti dalla "lex specialis" non possono condurre all'esclusione dalla competizione, dovendosi far luogo alla loro regolarizzazione (Cons. Stato, n. 4764 del 2015; Cons. Stato, n. 147 del 2015).
Nel caso di specie, la cauzione provvisoria è stata prestata dalla società ricorrente, ancorché in misura ridotta del 50% rispetto a quanto prescritto dal disciplinare di gara: ciò perché la concorrente era in possesso della certificazione del sistema di qualità UNI CEI ISO 9000 che, ai sensi dell’art. 75, comma 7, del d.lgs. n. 163 del 2006, le consentiva appunto di avvalersi del beneficio della riduzione del 50%.
L’unica irregolarità in cui è incorsa la società ricorrente è stata quella del mancato deposito di detta certificazione che, tuttavia, ella possedeva e che, afferendo al più alla irregolare costituzione della cauzione provvisoria a garanzia dell’offerta, non può considerarsi, per quanto sopra detto, di carattere essenziale. Non si tratta, infatti, di omissione nella produzione documentale, a fronte della quale, prima della novella del 2014, la Stazione appaltante avrebbe potuto comminare l’esclusione dalla procedura di gara.
Ne consegue che la Stazione appaltante non poteva, a fronte di detta omessa produzione, irrogare la sanzione pecuniaria di cui agli artt. 38, comma 2-bis, e 46, comma 1-ter, del d.lgs. n. 163 del 2006, trattandosi appunto di irregolarità non essenziale (TAR Abruzzo-L'Aquila, sentenza 17.12.2015 n. 833 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Prestazioni previdenziali erogate da Stazione appaltante a fronte di irregolare posizione contributiva dell’impresa fallita (parere 14.12.2015-562411, AL 22627/15 - Rassegna Avvocatura dello Stato n. 1/2016).
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Con la nota che si riscontra codesta Avvocatura ha richiesto l’avviso della Scrivente in merito all’individuazione del soggetto legittimato a ricevere il pagamento dei corrispettivi contrattuali in relazione a prestazioni rese da una ditta incaricata dalla Direzione Generale per la gestione e la manutenzione degli edifici giudiziari di Napoli per la realizzazione di un sistema di consultazione al pubblico per l’accesso agli uffici ed ai servizi del nuovo palazzo di giustizia di Napoli. (...continua).

APPALTIVia libera alle varianti migliorative. Consiglio di Stato. Se la gara si aggiudica all’offerta economicamente più vantaggiosa.
Nuovo impulso dal Consiglio di Stato alle “varianti migliorative” degli appalti pubblici.
Con la sentenza 11.12.2015 n. 5655 -Sez. V- diventa più agevole proporre soluzioni tecniche quando l’aggiudicazione avviene a favore dell’offerta «economicamente più vantaggiosa» (articolo 81-83 del Dlgs 163/2006). Anche quando il progetto posto a base di gara è definitivo, le imprese possono proporre variazioni migliorative rese possibili dal possesso di specifiche conoscenze tecnologiche. L’unico obbligo è quello di rispettare i caratteri essenziali delle prestazioni richieste dal bando e di non danneggiare la parità di trattamento rispetto ad altri concorrenti.
Nel caso esaminato si discuteva di un appalto con progettazione definitiva già predisposta, per realizzare un centro natatorio, con possibili varianti migliorative sulla qualità architettonica e sulle caratteristiche dei materiali di finitura da utilizzare. Uno dei concorrenti aveva proposto di utilizzare, per la copertura di una piscina, 16 pilastri e pareti in prefabbricati, invece di pilastri gettati in opera volta per volta. Questa modifica è stata ritenuta coerente con il progetto, e quindi valutabile dalla commissione giudicatrice con specifico punteggio. Trova così conferma l’orientamento già emerso in altri casi, ad esempio quando si è ritenuto che il risparmio energetico derivante da pensiline fotovoltaiche per 33 posti auto, possa rappresentare una miglioria ad un progetto di riqualificazione di un parco urbano (Tar Bari 846/2015).
Più delicata è stata la questione risolta dal Tar Liguria (351/2013, riformata poi per motivi procedurali) relativa ai lavori sul torrente Bisagno a Genova, quando non si discuteva solo di fondazioni e di micro pali, di cunicoli e di abbassamento dell’alveo, ma anche di vere e proprie incongruenze del progetto iniziale che rendevano indispensabili le modifiche proposte delle imprese. Proprio attraverso la possibilità di intervenire sul progetto con varianti migliorative (sindacabili dal giudice con il parametro della coerenza e della logica) è infatti anche possibile criticare il progetto iniziale.
In scala minore rispetto ai problemi liguri, ad esempio, si può proporre la modifica del tracciato di una rete fognaria prevista sotto la sede stradale, offrendo una collocazione su adiacenti aree private (Tar Napoli 1978/2015). Se la commissione di gara condivide le soluzioni migliorative, si pone il problema dei prezzi da adottare per attuare le proposte: il Consiglio di Stato (5160 /2013) ritiene che gli oneri economici derivanti dalle migliorie trovino compensazione all’interno della complessiva offerta economica presentata. Su questi presupposti, ci si prepara all’imminente entrata in vigore della Direttiva Ue 24/2014, che privilegia l’offerta economicamente più vantaggiosa
 (articolo Il Sole 24 Ore del 07.01.2016 - tratto da www.centrostudicni.it).
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MASSIMA
7.1. Con il primo motivo del ricorso principale di primo grado (pagine 4 - 9), la ditta Te. ha dedotto che:
I) la stazione appaltante avrebbe dovuto escludere la ditta aggiudicataria perché la proposta di variante migliorativa relativa all’elemento T.1.2. –copertura della vasca della piscina– era inammissibile in quanto recante una soluzione tecnica eccedente i limiti inderogabili previsti dalla legge di gara; in particolare la ditta Gorrasi, invece di realizzare 16 pilastri di cemento armato gettati in opera, li ha sostituiti con 16 pilastri prefabbricati (e pareti esterne dell’involucro sempre in strutture prefabbricate);
II) in ogni caso la commissione avrebbe dovuto assegnare all’offerta tecnica della ditta Go., in relazione all’elemento T.1.2., un punteggio pari a zero.
7.1.1. Il motivo è sia inammissibile che infondato e deve essere respinto nella sua globalità alla stregua delle seguenti considerazioni in fatto e diritto:
a) in base a un consolidato orientamento giurisprudenziale (cfr. Corte giust. UE, 12.03.2015, C-538/13, Vigilio Ltd; Cons. Stato, Ad. plen., 30.07.2014, n. 16; Ad. plen., 25.02.2014, n. 9; Ad. plen., 30.01.2014, n. 7; Sez. V, 27.03.2015, n. 1601, cui si rinvia ai sensi del combinato disposto degli artt. 74, 88, co.2, lett. d), e 120, co. 10, c.p.a.), deve ritenersi che:
   I)
il principio di tassatività delle cause di esclusione sancito dall’art. 46, co. 1-bis, del codice dei contratti pubblici esige, ove richiamato in relazione allo scrutinio di offerte tecniche, che le stesse debbano essere escluse solo quando siano a tal punto carenti degli elementi essenziali da ingenerare una situazione di «incertezza assoluta sul contenuto …. dell’offerta», ovvero in presenza di specifiche clausole della legge di gara che tipizzino una siffatta situazione di incertezza assoluta;
   II)
la valutazione delle offerte –e dunque anche della loro “incertezza assoluta”– nonché l’attribuzione dei punteggi da parte della commissione giudicatrice, rientrano nell’ampia discrezionalità tecnica riconosciuta a tale organo, sicché le censure che impingono il merito di tale valutazione (opinabile) sono inammissibili, perché sollecitano il giudice amministrativo ad esercitare un sindacato sostitutorio, al di fuori dei tassativi casi sanciti dall’art. 134 c.p.a., fatto salvo il limite della abnormità della scelta tecnica;
   III)
la previsione esplicita della possibilità di presentare varianti progettuali in sede di offerta (a fortiori per il tipo di gara in contestazione, un appalto di lavori basato sulla sola progettazione definitiva), è stata oggi generalizzata dall’art. 76 del codice dei contratti pubblici (per qualsivoglia appalto); l’amministrazione deve indicare, in sede di redazione della lex specialis, se le varianti sono ammesse e, in caso affermativo, identificare i loro requisiti minimi;
   IV)
la ratio della scelta normativa –nazionale e comunitaria- si fonda sulla circostanza che, allorquando il sistema di selezione delle offerte sia basato sul criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, la stazione appaltante ha maggiore discrezionalità e soprattutto sceglie il contraente valutando non solo criteri matematici ma la complessità dell’offerta proposta alla luce della vantaggiosità della stessa in funzione dell’interesse proprio; nel corso del procedimento di gara, quindi, potrebbero rendersi necessari degli aggiustamenti rispetto al progetto base elaborato dall’amministrazione, favorevolmente apprezzabili perché ritenuti utili dalla medesima stazione appaltante; nel caso, invece, di offerta selezionata col criterio del prezzo più basso, poiché tutte le condizioni tecniche sono predeterminate al momento dell’offerta e non vi è alcuna ragione per modificare l’assetto contrattuale, non è mai ammessa la possibilità di presentare varianti;
   V) in ogni caso, a prescindere dalla espressa previsione di varianti progettuali in sede di bando,
deve ritenersi insito nella scelta del criterio selettivo dell’offerta economicamente più vantaggiosa che, anche quando il progetto posto a base di gara sia definitivo, è consentito alle imprese di proporre quelle variazioni migliorative rese possibili dal possesso di peculiari conoscenze tecnologiche, purché non si alterino i caratteri essenziali delle prestazioni richieste dalla lex specialis onde non ledere la par condicio;
b) la giurisprudenza ha elaborato alcuni criteri guida relativi alle varianti in sede di offerta:
   I)
si ammettono varianti migliorative riguardanti le modalità esecutive dell’opera o del servizio, purché non si traducano in una diversa ideazione dell’oggetto del contratto, che si ponga come del tutto alternativo rispetto a quello voluto dalla p.a.;
   II)
risulta essenziale che la proposta tecnica sia migliorativa rispetto al progetto base, che l’offerente dia contezza delle ragioni che giustificano l’adattamento proposto e le variazioni alle singole prescrizioni progettuali, che si dia la prova che la variante garantisca l’efficienza del progetto e le esigenze della p.a. sottese alla prescrizione variata;
   III)
viene lasciato un ampio margine di discrezionalità alla commissione giudicatrice, trattandosi dell’ambito di valutazione dell’offerta economicamente più vantaggiosa.
c) facendo applicazione dei su esposti principi al caso di specie, nonché alla stregua delle risultanze della documentazione versata in atti, emerge che:
   I) le censure proposte sono inammissibili nella parte in cui sollecitano il giudice amministrativo a sostituirsi, al di fuori dei tassativi casi di giurisdizione di merito sanciti dall’art. 134 c.p.a., alle valutazioni rimesse alla commissione, che costituiscono manifestazione di una ampia discrezionalità tecnica;
   II) le censure sono infondate anche in fatto, perché la commissione di gara ha ritenuto (sulla scorta di una opinabile ma legittima valutazione) che il progetto esecutivo dell’aggiudicataria non stravolge le linee fondamentali poste a base di quello preliminare e non presenta mende reali in tema di sicurezza, stabilità e conformità ai parametri richiesti;
   III) la legge di gara ha previsto la possibilità di proporre varianti, senza comminare alcuna esclusione e precisando, altresì, i casi in cui la commissione avrebbe dovuto assegnare il punteggio zero (evenienze queste che non si sono verificate nel caso di specie);
   IV) la valutazione dell’organo tecnico non risulta abnorme, in quanto quest’ultimo ha motivato in modo sintetico ma esaustivo sull’ammissibilità dell’offerta e sull’attribuzione dei punteggi ai vari elementi tecnici, senza sconfinare nell’arbitrio e rimanendo nei limiti della opinabilità;
   V) le criticate innovazioni progettuali sono riferibili, nella sostanza, a migliorie proposte secondo quanto stabilito dalla legge di gara e non incidono, pertanto, su elementi essenziali del progetto base.

APPALTI: Sul diritto -o meno- di accesso agli atti della gara.
La ricorrente, partecipante alla gara in oggetto e risultante non aggiudicataria, presentava istanza di accesso allo specifico “fine di valutare la possibilità di effettuare un formale ricorso”.
Non si può quindi escludere una specifica esigenza difensiva per la tutela di una posizione concreta e differenziata.
Riguardo alla pretesa esigenza di salvaguardare il “know-how industriale e commerciale”, va osservato che l’esigenza di riservatezza viene genericamente affermata dall’amministrazione richiamando le opposizioni delle controinteressate trascritte nel provvedimento impugnato che contengono, nella sostanza, un generico dissenso senza specificare quale tipo di segreto verrebbe divulgato e in quali documenti sarebbe contenuto.
L’amministrazione ha l’onere di rappresentare quali sono le specifiche ragioni di tutela del segreto industriale e commerciale custoditi negli atti di gara, in riferimento a precisi dati tecnici. In assenza di tale dimostrazione, l’accesso deve essere consentito.
Di conseguenza, ove non sia fornita, in modo puntuale, idonea prova circa l’esistenza di un vero e proprio segreto, non possono che prevalere le esigenze di trasparenza della procedura cui lo stesso concorrente (che oggi si oppone all’accesso) si è volontariamente ed implicitamente assoggettato con la partecipazione alla gara, peraltro con la duplice garanzia offerta dall’ordinamento della limitazione, sul piano della legittimazione soggettiva attiva, dell’accessibilità dell’offerta ad esclusivo vantaggio dei soli concorrenti che abbiano partecipato alla selezione e, sul piano oggettivo, per le sole esigenze di tutela giurisdizionale.

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... per l'annullamento in parte qua, della nota prot. n. 5916 del 20/02/2015 recante parziale diniego di accesso agli atti di gara per la fornitura biennale di generi alimentali vari per refezione scolastica periodo 01/01/2015 31/12/2016.
...   
Con l’odierno ricorso viene impugnato il diniego di accesso agli atti della gara per la fornitura biennale di generi alimentari, con specifico riferimento alle offerte presentate dalle ditte controinteressate stante l’opposizione delle stesse, ai sensi dell’art. 13, comma 5, del D.Lgs. n. 163/2006, per salvaguardare proprie esigenze tecniche e commerciali la cui divulgazione avvantaggerebbe le aziende concorrenti in difetto di una concreta esigenza difensiva manifestata dalla ricorrente.
Il ricorso è fondato.
Contrariamente a quanto affermato nel provvedimento di diniego, la ricorrente, partecipante alla gara in oggetto e risultante non aggiudicataria, presentava istanza di accesso allo specifico “fine di valutare la possibilità di effettuare un formale ricorso”.
Non si può quindi escludere una specifica esigenza difensiva per la tutela di una posizione concreta e differenziata.
Riguardo alla pretesa esigenza di salvaguardare il “know-how industriale e commerciale”, va osservato che l’esigenza di riservatezza viene genericamente affermata dall’amministrazione richiamando le opposizioni delle controinteressate trascritte nel provvedimento impugnato che contengono, nella sostanza, un generico dissenso senza specificare quale tipo di segreto verrebbe divulgato e in quali documenti sarebbe contenuto.
Solo Ri. Srl aggiunge che alcuni documenti sono stati rilasciati da enti pubblici loro clienti che non l’hanno autorizzata a diffonderli ma, al riguardo, è agevole rilevare che gli enti pubblici sono soggetti alla disciplina sulla trasparenza.
Sul punto va ricordato che l’amministrazione ha l’onere di rappresentare quali sono le specifiche ragioni di tutela del segreto industriale e commerciale custoditi negli atti di gara, in riferimento a precisi dati tecnici. In assenza di tale dimostrazione, l’accesso deve essere consentito.
Di conseguenza, ove non sia fornita, in modo puntuale, idonea prova circa l’esistenza di un vero e proprio segreto, non possono che prevalere le esigenze di trasparenza della procedura cui lo stesso concorrente (che oggi si oppone all’accesso) si è volontariamente ed implicitamente assoggettato con la partecipazione alla gara, peraltro con la duplice garanzia offerta dall’ordinamento della limitazione, sul piano della legittimazione soggettiva attiva, dell’accessibilità dell’offerta ad esclusivo vantaggio dei soli concorrenti che abbiano partecipato alla selezione e, sul piano oggettivo, per le sole esigenze di tutela giurisdizionale (cfr. TAR Lazio, Roma, Sez. III, 26.02.2013, n. 2106; TAR Lombardia, Milano, Sez. III, 15.01.2013 n. 116).
L’impugnato diniego è quindi illegittimo e va annullato (TAR Marche, sentenza 11.12.2015 n. 875 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Nelle gare d’appalto sono clausole della lex specialis immediatamente lesive, e quindi autonomamente impugnabili senza attendere la loro concreta applicazione da parte della stazione appaltante, le clausole che determinano una sicura preclusione all’ammissione alla gara di un potenziale concorrente.
Un onere di impugnazione immediata di clausole contenute negli atti di indizione della gara, inoltre, può sussistere qualora le relative clausole impediscano una corretta e consapevole elaborazione dell'offerta: tale situazione si verifica, in particolare, qualora la legge di gara preveda disposizioni abnormi che rendano impossibile il calcolo di convenienza tecnica ed economica ai fini della partecipazione alla procedura concorsuale, ovvero abbreviazioni irragionevoli dei termini per la presentazione dell'offerta o, ancora, condizioni negoziali che configurano il rapporto contrattuale in termini di eccessiva onerosità e obiettiva non convenienza ed imposizioni di obblighi contra ius.

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Il ricorso è inammissibile.
Nelle gare d’appalto sono clausole della lex specialis immediatamente lesive, e quindi autonomamente impugnabili senza attendere la loro concreta applicazione da parte della stazione appaltante, le clausole che determinano una sicura preclusione all’ammissione alla gara di un potenziale concorrente.
Un onere di impugnazione immediata di clausole contenute negli atti di indizione della gara, inoltre, può sussistere qualora le relative clausole impediscano una corretta e consapevole elaborazione dell'offerta: tale situazione si verifica, in particolare, qualora la legge di gara preveda disposizioni abnormi che rendano impossibile il calcolo di convenienza tecnica ed economica ai fini della partecipazione alla procedura concorsuale, ovvero abbreviazioni irragionevoli dei termini per la presentazione dell'offerta o, ancora, condizioni negoziali che configurano il rapporto contrattuale in termini di eccessiva onerosità e obiettiva non convenienza ed imposizioni di obblighi contra ius (cfr. TAR Lazio, I, 13.01.2014 n. 351; TAR Liguria, II, 28.11.2013 n. 1449; TAR Veneto, I, 03.04.2013 n. 491).
Nel caso di specie la ricorrente contesta, in buona sostanza, l’obbligo di rispetto della “clausola sociale” nei termini e con le modalità imposti dalla stazione appaltante che aveva onerato la ditta aggiudicataria dell’assorbimento di tutto il personale dell’impresa uscente con la conservazione, peraltro, del trattamento giuridico ed economico in godimento (cfr. l’art. 9 del disciplinare di gara): obbligo che, secondo la ricorrente, deve essere interpretato in maniera elastica, in coerenza con l’assetto organizzativo proprio della ditta subentrante, atteso che, diversamente, la clausola si porrebbe in evidente contrasto con i canoni di economia e di autonomia che necessariamente permeano, pur calmierati dal principio di utilità sociale, l’attività imprenditoriale e sarebbe, pertanto, illegittima.
Ebbene, a tal proposito deve osservarsi che se la predetta clausola imponeva effettivamente oneri sproporzionati che impedivano una corretta e consapevole elaborazione dell’offerta –la ricorrente ha sottolineato, infatti, “che negli atti di gara non era rinvenibile né il numero esatto del personale in servizio alla data di pubblicazione dell’avviso di gara né, tantomeno la qualifica e il livello retributivo di inquadramento di ciascun lavoratore”, talché non era possibile prevederne il costo con certezza-, tant’è che la ricorrente era fin da subito determinata a disattenderne il contenuto, allora quella clausola doveva essere impugnata tempestivamente, senza attendere di essere esclusa dalla gara in conseguenza della sua (pacificamente preventivata) violazione.
È evidente, peraltro, che la clausola sociale, così come formulata (in maniera chiara, precisa ed inequivoca) nell’art. 9 del disciplinare, non poteva poi essere interpretata dalla ricorrente limitandone l’efficacia prescrittiva a proprio piacimento, alla luce di quell’orientamento giurisprudenziale che afferma che la clausola sociale, ove genericamente richiamata dal bando, ha sì portata cogente, ma non tale da comportare l'obbligo per l'impresa aggiudicataria di assumere a tempo indeterminato ed in forma automatica e generalizzata tutto il personale già utilizzato dalla precedente impresa affidataria del servizio.
Nel caso di specie -lo si ribadisce- la legge di gara non richiamava genericamente la clausola sociale, ma stabiliva espressamente (in grassetto e sottolineato) che “…la ditta aggiudicataria dovrà assorbire tutto il personale impiegato dall’impresa uscente dal precedente appalto, con mantenimento delle condizioni retributive…, pena la risoluzione del contratto, senza necessità di alcun preavviso da parte della Stazione appaltante”.
Si tratta, dunque, di una prescrizione chiara che non consente interpretazioni diverse da quella letterale: sicché, se la ricorrente voleva contestarne la portata (così come ha fatto), perché ritenuta lesiva, doveva impugnarla immediatamente, censurando gli atti di gara “in parte qua”. Ciò in quanto la sua violazione (recte: la sua omessa, integrale applicazione) avrebbe pacificamente ed automaticamente comportato l’eliminazione dalla gara.
Nei confronti dell’odierna ricorrente, infatti, il pregiudizio si è radicato -ossia l’attualità della lesione si è verificata- già con la pubblicazione dell’avviso di gara.
Quanto, poi, all’osservazione dell’interessata secondo cui il rispetto della clausola sociale va verificato in sede di esecuzione del servizio, se ciò è vero, è altresì vero che essa ha comunicato la volontà di non voler applicare la clausola nella sua integralità prima di eseguire le prestazioni, sicché, per economia procedimentale –sarebbe stato assurdo stipulare il contratto per poi risolverlo immediatamente–, sussistendo i presupposti per l’allontanamento della concorrente l’Amministrazione appaltante l’ha (correttamente) esclusa dalla procedura selettiva.
Donde l’inammissibilità del ricorso per tardiva impugnazione della clausola asseritamente lesiva (TAR Campania-Napoli, Sez. II, sentenza 10.12.2015 n. 5718 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

LAVORI PUBBLICIOggetto: D.P.C.M. 29.08.2014 n. 171, art. 16, comma 2, lett. o) - Direzione Generale Arte e Architettura Contemporanee e Periferie Urbane - "Attività di vigilanza sulla realizzazione delle opere d'arte negli edifici pubblici ai sensi della legge 29.07.1949, n. 717 e successive modificazioni" (MIBACT, nota 10.12.2015 n. 2798 di prot.).

APPALTI SERVIZILa revisione prezzi nei contratti ad esecuzione periodica o continuativa riceve regolamentazione cogente dall’art. 6, comma 4, della legge n. 537 del 1993 e successive modificazioni, ora art. 115 del d.lgs. n. 163 del 2006, a tutela non solo della parte privata ma dello stesso buon fine delle prestazioni nell’interesse pubblico, in un contesto economico che si caratterizza per la fluttuazione dei prezzi dei fattori della produzione, incidenti sulla percentuale di utile considerata in sede di formulazione dell'offerta.
Il carattere imperativo della norma non può, quindi, ricevere deroga in base a successive e diverse convenzioni contrattuali fra l’affidatario del servizio e l’ Amministrazione, cui non possa ricondursi, come nel caso di specie, alcuna volontà concludente di rinunzia al benefizio revisionale.
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2. L’appello è fondato nella parte in cui si invoca l’attivazione da parte dell’ Azienda Ospedaliera dell’istruttoria per la verifica dei presupposti per il riconoscimento dei compensi revisionali per il periodo 31.10.2006–14.01.2008.
Si tratta di un arco temporale che è restato regolato dall’originario contratto di affidamento del servizio di pulizia e di sanificazione dei presidi ospedalieri in base all’offerta a tal fine formulata. A detto periodo di vigenza contrattuale non trova quindi applicazione il principio affermato dal TAR –e non contraddetto dall’odierna appellante– in base al quale, per il periodo in cui l’espletamento del servizio è proseguito in virtù di apposita clausola di rinnovo del rapporto contrattuale, con previsione di uno sconto sui corrispettivi inizialmente convenuti, non può trovare applicazione il meccanismo di revisione dei corrispettivi, perché incompatibile con la volontà della ditta di rendere il servizio ad un minor costo rispetto a quello in precedenza concordato e con valutazione, quindi, della congruità del corrispettivo.
Il collegio reputa che -in assenza di espressa dichiarazione della soc. Di. di non avvalersi del meccanismo di revisione dei prezzi per il periodo antecedente al rinnovo dell’appalto dei servizi- non può ricondursi all’applicazione della clausola di rinnovo una rinunzia implicita al riconoscimento dei compensi revisionali per il periodo di vigenza a regime dell’iniziale rapporto contrattuale.
Si tratta, invero, di materia che, nei contratti ad esecuzione periodica o continuativa, riceve regolamentazione cogente dall’art. 6, comma 4, della legge n. 537 del 1993 e successive modificazioni, ora art. 115 del d.lgs. n. 163 del 2006, a tutela non solo della parte privata, ma dello stesso buon fine delle prestazioni nell’interesse pubblico, in un contesto economico che si caratterizza per la fluttuazione dei prezzi dei fattori della produzione, incidenti sulla percentuale di utile considerata in sede di formulazione dell'offerta.
Il carattere imperativo della norma non può, quindi, ricevere deroga in base a successive e diverse convenzioni contrattuali fra l’affidatario del servizio e l’ Amministrazione, cui non possa ricondursi, come nel caso di specie, alcuna volontà concludente di rinunzia al benefizio revisionale
(Consiglio di Stato, Sez. III, sentenza 09.12.2015 n. 5601 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: La determinazione di mancato invito ad un operatore economico a partecipare ad una gara può essere individuata anche in precedenti comportamenti negativi del medesimo operatore.
Ai sensi dell'articolo 2 del D.Lgs. 12.4.2006, n.163, l'affidamento e l'esecuzione dei servizi e forniture deve garantire la qualità delle prestazioni e svolgersi nel rispetto dei principi di efficacia, tempestività e correttezza.
In applicazione del citato principio generale, sono esclusi dalla partecipazione alle procedure di affidamento degli appalti di lavori, servizi e forniture e non possono stipulare i relativi contratti i soggetti che, secondo motivata valutazione della stazione appaltante, hanno commesso grave negligenza o malafede nell'esecuzione delle prestazioni affidate dalla stazione appaltante che gestisce la gara, o che hanno commesso un errore grave nell'esercizio della loro attività professionale, accertato con qualsiasi mezzo di prova da parte della stazione appaltante.
Ciò premesso, se è vero che la citata norma prevede che l'esclusione venga disposta "secondo motivata valutazione della stazione appaltante", è altresì indubitabile che l'esistenza in tal senso di una valutazione discrezionale dell'amministrazione debba essere verificata avuto riguardo alla peculiarità della vicenda oggetto di causa, la quale si caratterizza per la circostanza che l'operatore non invitato era parte del pregresso rapporto contrattuale inerente lo svolgimento del medesimo servizio oggetto di nuovo affidamento.
In tale situazione, dunque, non può farsi esclusivo riferimento, ai fini dell'accertamento della concreta esistenza di una determinazione di non invito e della sua motivazione, agli atti specificamente inerenti la singola procedura concorsuale, ma occorre estendere l'indagine anche a quelli che hanno caratterizzato il rapporto contrattuale in scadenza. Sicché la determinazione di mancato invito e le sue ragioni possono essere individuate anche in atti precedenti nei quali la pubblica amministrazione abbia in anticipo chiaramente palesato la propria volontà di non affidare il servizio per il futuro a tale operatore economico.
Tale valutazione, invero, ove esistente, esprime già le ragioni della "motivata valutazione" e va a costituire, nella nuova procedura, l'atto di mancato invito ovvero ad integrare, quanto a supporto motivazionale, l'atto implicito di mancato invito che, in assenza di espressa determinazione provvedimentale, voglia individuarsi nel nuovo procedimento di affidamento del servizio (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 07.12.2015 n. 5564 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI: Fuori gara con il mancato invito. Consiglio di Stato. Il giudizio negativo sul contraente del precedente appalto.
Se la stazione appaltante si è già espressa sull’affidabilità del contraente uscente che ha commesso grave negligenza o malafede nell’esecuzione dell’appalto, lo stesso può essere escluso “implicitamente” dalla nuova gara anche con un mancato invito, essendo quest’ultimo atto ormai vincolato.
Il Consiglio di Stato -Sez. IV, sentenza 07.12.2015 n. 5564- ha così bocciato il ricorso di una società che contestava a un Tribunale il mancato invito alla nuova gara per il noleggio di sistemi di supporto alle intercettazioni della Procura sulla base di «disservizi e inadempimenti» nel contratto precedente per lo stesso servizio.
Secondo la ricorrente, per l’esclusione dalla nuova gara era necessario un atto formale «secondo motivata valutazione della stazione appaltante» come previsto dal Codice appalti in tema di «requisiti di ordine generale» (comma f, articolo 38, del Dlgs 163/2006) per chi ha commesso grave negligenza o malafede negli affidamenti della Pa che indice il bando.
Per il Tribunale, invece, la «motivata valutazione» era in una nota di contestazioni inviata tre mesi prima della scadenza del contratto e in cui si precisava come, seppur con gravi violazioni, alla risoluzione o al recesso anticipato si fosse preferito attenderne il termine ormai vicino, e si dichiarava la volontà di non rinnovarlo «essendo venuto meno il rapporto di fiducia».
Respingendo la tesi dell’ormai ex gestore, il collegio ha chiarito che in questi casi «… non può farsi esclusivo riferimento, ai fini dell’accertamento della concreta esistenza di una determinazione di non invito e della sua motivazione, agli atti specificamente inerenti la singola procedura concorsuale, ma occorre estendere l’indagine anche a quelli che hanno caratterizzato il rapporto contrattuale in scadenza», perciò «la determinazione di mancato invito e le sue ragioni possono essere individuate anche in atti precedenti nei quali la pubblica amministrazione abbia in anticipo chiaramente palesato la propria volontà di non affidare il servizio per il futuro a tale operatore economico».
Per i giudici, «tale valutazione, invero, ove esistente, esprime già le ragioni della “motivata valutazione” e va a costituire, nella nuova procedura, l’atto di mancato invito ovvero ad integrare, quanto a supporto motivazionale, l’atto implicito di mancato invito che, in assenza di espressa determinazione provvedimentale, voglia individuarsi nel nuovo procedimento di affidamento del servizio».
Nel caso in esame si è spiegato che «si è, dunque, in presenza di un mancato invito consentito dalla normativa, il quale non è arbitrario né irragionevole», posto che «si palesa come atto vincolato, meramente applicativo di una scelta già in precedenza espressa dall’organo pubblico».
Nella sentenza si è poi ribadito che la non “annullabilità” dell'atto adottato in violazione di legge è ammessa dalle norme sul procedimento (articolo 21-octies, articolo 241/1990) solo «qualora, per la natura vincolata del provvedimento, sia palese che il suo contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato», ma nella fattispecie ciò vale anche se segue un’attività discrezionale che «(…) in ordine alla motivata valutazione circa la sussistenza di inadempimenti escludenti era già stata esercitata (e consumata)...»
(articolo Il Sole 24 Ore del 12.01.2016 - tratto da www.centrostudicni.it).

APPALTICome noto, ai sensi dell’art. 113, comma 4, D.Lgs. 163/2006 “La mancata costituzione della garanzia di cui al comma 1, determina la decadenza dell'affidamento e l'acquisizione della cauzione provvisoria di cui all'art. 75 da parte della stazione appaltante, che aggiudica l'appalto o la concessione al concorrente che segue nella graduatoria” senza al riguardo alcun margine di discrezionalità per la stazione appaltante.
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L'utilizzo del fax costituisce modalità "ordinaria" di scambio delle comunicazioni tra la stazione appaltante e le imprese partecipanti alle gare e rappresenta, pertanto, uno strumento idoneo a determinare la piena conoscenza del provvedimento.
Infatti, il fax costituisce un sistema basato su linee di trasmissione di dati e su apparecchiature che consentono di documentare sia la partenza del messaggio dall'apparato trasmittente sia -attraverso il c.d rapporto di trasmissione- la ricezione del messaggio in quello ricevente.
Pertanto, la trasmissione del fax consente di presumere l'avvenuta ricezione senza che colui che dimostra di aver inviato il messaggio debba fornire alcuna ulteriore prova, salva l'eventuale prova contraria concernente la funzionalità dell'apparecchio ricevente fornita, secondo l'ordinaria regola processualistica, da chi afferma la mancata ricezione del messaggio.
Va rilevato come nella fattispecie per cui è causa la difesa del ricorrente non ha abbia né allegato né tantomeno provato eventuali malfunzionamenti del fax da essa stessa indicato in sede di offerta.
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Laddove la lettera di invito alla gara, ai sensi dell’art. 79, comma 5-quinqiues, del D.lgs. 163 del 2006, richieda espressamente l’autorizzazione dei concorrenti a ricevere le comunicazioni inerenti la gara stessa a mezzo fax in tal caso parte della giurisprudenza ritiene, invero, che nelle gare per l'aggiudicazione di appalti pubblici la comunicazione mediante fax non può rappresentare uno strumento idoneo a determinare la piena conoscenza dell'aggiudicazione e/o di un atto o documento, nel caso in cui non sia stata espressamente autorizzata dal concorrente; ciò perché, in base alla disposizione normativa di cui al comma 5-bis dell'art. 79, D.lgs. n. 163 del 2006, la comunicazione a mezzo fax degli atti di una procedura di evidenza pubblica è consentita “solo se espressamente autorizzata dal concorrente”.
Rileva il Collegio che ai sensi dell’art. 43, comma 6, del d. P.R. 28.12.2000, n. 445, i documenti trasmessi tramite fax o altro mezzo idoneo ad accertarne la fonte di provenienza soddisfano il requisito della forma scritta e che la loro trasmissione non deve essere seguita da quella del documento originale, salva la necessità del riscontro dell’avvenuta ricezione mediante il rapporto di trasmissione.
Il fax, infatti, rappresenta ormai un modo del tutto ordinario di comunicazione idoneo a determinare la conoscenza dalla quale decorre il termine per impugnare, qualora il rapporto di trasmissione indichi che questa sia avvenuta regolarmente, spettando unicamente a chi eccepisce la mancata ricezione la prova della non funzionalità dell’apparecchio ricevente.
Anche volendo ritenere imprescindibile l’autorizzazione del ricorrente, invero richiesta come visto nella lex specialis, ritiene il Collegio che la comunicazione attraverso fax, il cui numero è stato espressamente riportato dalla società offerente nell’offerta economica presentata per partecipare alla gara quale sede legale dell’impresa, e della cui ricezione esiste rapporto negli atti di causa, costituisce mezzo di comunicazione sufficiente a fondare la conoscenza del procedimento e della sua lesività, valendo sostanzialmente tale indicazione come autorizzazione implicita ai sensi del citato art. 79, comma 5-bis, Codice contratti pubblici.

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2. E’ materia del contendere la legittimità del provvedimento 1643 del 14.05.2013 con cui il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti ha disposto ai sensi dell’art. 113, comma 4, del D.lgs. 163 del 2006 la decadenza dall’aggiudicazione dei lavori di ristrutturazione, manutenzione straordinaria e adeguamento degli impianti elettrici e speciali della Caserma “Cefalonia-Corfù” vecchio edificio, sede del Comando Provinciale della Guardia di Finanza di Perugia, con importo a base di gara di 806.139,20 euro.
3. Preliminarmente deve essere esaminata la questione preliminare di ammissibilità del ricorso per mancata notificazione alla controinteressata impresa “Delta Impianti s.r.l.”.
Trattasi di questione di rito eccepita soltanto all’udienza di discussione nel merito e quindi oltre i termini pacificamente perentori di cui all’art. 73, comma 1, cod. proc. amm. e che non può essere esaminata d’ufficio, non essendosene dato atto al verbale d’udienza così come prescrive l’art. 73, comma 3, cod. proc. amm. (Consiglio di Stato sez. IV, 26.08.2015, n. 3992; id. 12.05.2014, n. 2420).
4. L’esame della suesposta questione è comunque non decisivo nell’economia del giudizio, essendo il ricorso infondato nel merito.
Come noto, ai sensi dell’art. 113, comma 4, “La mancata costituzione della garanzia di cui al comma 1, determina la decadenza dell'affidamento e l'acquisizione della cauzione provvisoria di cui all'art. 75 da parte della stazione appaltante, che aggiudica l'appalto o la concessione al concorrente che segue nella graduatoria” senza al riguardo alcun margine di discrezionalità per la stazione appaltante (ex multis TAR Sicilia Catania sez. IV, 05.12.2013, n. 2909; TAR Lombardia Brescia sez. II, 02.05.2013, n. 401).
Come emerge dalla documentazione depositata in giudizio dal Ministero resistente, la nota prot. 1479 dell’11.04.2013 di diffida a produrre la documentazione necessaria alla stipulazione del contratto, tra cui la cauzione definitiva, è stata spedita a mezzo fax al numero della sede legale dell’impresa ricorrente indicato negli atti di gara (vedi offerta economica allegato n. 2 al ricorso) e regolarmente ricevuta lo stesso giorno alle ore 9 e 11 minuti, come da rapporto di trasmissione depositato dall’Amministrazione resistente.
L'utilizzo del fax costituisce modalità "ordinaria" di scambio delle comunicazioni tra la stazione appaltante e le imprese partecipanti alle gare e rappresenta, pertanto, uno strumento idoneo a determinare la piena conoscenza del provvedimento. Infatti, il fax costituisce un sistema basato su linee di trasmissione di dati e su apparecchiature che consentono di documentare sia la partenza del messaggio dall'apparato trasmittente sia -attraverso il c.d rapporto di trasmissione- la ricezione del messaggio in quello ricevente. Pertanto, la trasmissione del fax consente di presumere l'avvenuta ricezione senza che colui che dimostra di aver inviato il messaggio debba fornire alcuna ulteriore prova, salva l'eventuale prova contraria concernente la funzionalità dell'apparecchio ricevente fornita, secondo l'ordinaria regola processualistica, da chi afferma la mancata ricezione del messaggio (ex multis TAR Sicilia Palermo sez. I, 04.03.2014, n. 613; Consiglio di Stato sez. IV, 12.06.2013, n. 3252).
Va rilevato come nella fattispecie per cui è causa la difesa del ricorrente non ha abbia né allegato né tantomeno provato eventuali malfunzionamenti del fax da essa stessa indicato in sede di offerta.
Deve invece essere rilevato come la lettera di invito (pag 4, punto HH) ai sensi dell’art. 79, comma 5-quinqiues, del D.lgs. 163 del 2006 richiedesse espressamente l’autorizzazione dei concorrenti a ricevere le comunicazioni inerenti la gara a mezzo fax.
In tal caso, parte della giurisprudenza ritiene invero che nelle gare per l'aggiudicazione di appalti pubblici, la comunicazione mediante fax non può rappresentare uno strumento idoneo a determinare la piena conoscenza dell'aggiudicazione e/o di un atto o documento, nel caso in cui non sia stata espressamente autorizzata dal concorrente; ciò perché, in base alla disposizione normativa di cui al comma 5-bis dell'art. 79, D.lgs. n. 163 del 2006, la comunicazione a mezzo fax degli atti di una procedura di evidenza pubblica è consentita “solo se espressamente autorizzata dal concorrente” (TAR Calabria Catanzaro sez. I, 12.12.2012, n. 1171; Consiglio di Stato sez. III, 11.07.2012, n. 4116).
Rileva il Collegio che ai sensi dell’art. 43, comma 6, del d. P.R. 28.12.2000, n. 445, i documenti trasmessi tramite fax o altro mezzo idoneo ad accertarne la fonte di provenienza soddisfano il requisito della forma scritta e che la loro trasmissione non deve essere seguita da quella del documento originale, salva la necessità del riscontro dell’avvenuta ricezione mediante il rapporto di trasmissione.
Il fax, infatti, rappresenta ormai un modo del tutto ordinario di comunicazione idoneo a determinare la conoscenza dalla quale decorre il termine per impugnare, qualora il rapporto di trasmissione indichi che questa sia avvenuta regolarmente, spettando unicamente a chi eccepisce la mancata ricezione la prova della non funzionalità dell’apparecchio ricevente (ex multis TAR Lazio sez. III, 13.02.2008, n. 1254; id. sez. II, 08.01.2015, n. 151).
4.1. Anche volendo ritenere imprescindibile l’autorizzazione del ricorrente, invero richiesta come visto nella lex specialis, ritiene il Collegio che la comunicazione attraverso fax, il cui numero è stato espressamente riportato dalla società offerente nell’offerta economica presentata per partecipare alla gara quale sede legale dell’impresa, e della cui ricezione esiste rapporto negli atti di causa, costituisce mezzo di comunicazione sufficiente a fondare la conoscenza del procedimento e della sua lesività, valendo sostanzialmente tale indicazione come autorizzazione implicita ai sensi del citato art. 79, comma 5-bis, Codice contratti pubblici.
5. Le doglianze di illegittimità del provvedimento di decadenza e del consequenziale atto di segnalazione all’Autorità di Vigilanza per mancata ricezione della presupposta diffida prot. 1479/13 sono pertanto prive di pregio.
6. Parimenti infondate oltre che pretestuose risultano tutte le rimanenti censure, del tutto prive di capacità invalidante, non avendo la ricorrente mai provveduto, così come più volte richiesto dalla stazione appaltante, a produrre la documentazione richiesta e necessaria per la stipulazione del contratto (TAR Umbria, sentenza 04.12.2015 n. 559 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTIIn tema di valutazione dell'anomalia dell'offerta e del relativo procedimento di verifica sono da considerare acquisiti i seguenti principi:
   a) il procedimento di verifica dell'anomalia non ha carattere sanzionatorio e non ha per oggetto la ricerca di specifiche e singole inesattezze dell'offerta economica, mirando piuttosto ad accertare se in concreto l'offerta, nel suo complesso, sia attendibile ed affidabile in relazione alla corretta esecuzione dell'appalto: esso mira piuttosto a garantire e tutelare l'interesse pubblico concretamente perseguito dall'amministrazione attraverso la procedura di gara per la effettiva scelta del miglior contraente possibile ai fini dell'esecuzione dell'appalto, così che l'esclusione dalla gara dell'offerente per l'anomalia della sua offerta è l'effetto della valutazione (operata dall'amministrazione appaltante) di complessiva inadeguatezza della stessa rispetto al fine da raggiungere;
   b) il corretto svolgimento del procedimento di verifica presuppone l'effettività del contraddittorio (tra amministrazione appaltante ed offerente), di cui costituiscono necessari corollari: l'assenza di preclusioni alla presentazione di giustificazioni ancorate al momento della scadenza del termine di presentazione delle offerte; la immodificabilità dell'offerta ed al contempo la sicura modificabilità delle giustificazioni, nonché l'ammissibilità di giustificazioni sopravvenute e di compensazioni tra sottostime e sovrastime, purché l'offerta risulti nel suo complesso affidabile al momento dell'aggiudicazione e a tale momento dia garanzia di una seria esecuzione del contratto;
   c) il giudizio di anomalia o di incongruità dell'offerta costituisce espressione di discrezionalità tecnica, sindacabile solo in caso di macroscopica illogicità o di erroneità fattuale che rendano palese l'inattendibilità complessiva dell'offerta;
   d) il giudice amministrativo può sindacare le valutazioni della pubblica amministrazione sotto il profilo della logicità, ragionevolezza ed adeguatezza dell'istruttoria, senza poter tuttavia procedere ad alcuna autonoma verifica della congruità dell'offerta e delle singole voci, ciò rappresentando un'inammissibile invasione della sfera propria della pubblica amministrazione;
   e) anche l'esame delle giustificazioni prodotte dai concorrenti a dimostrazione della non anomalia della propria offerta rientra nella discrezionalità tecnica dell'amministrazione, con la conseguenza che soltanto in caso di macroscopiche illegittimità, quali gravi ed evidenti errori di valutazione oppure valutazioni abnormi o inficiate da errori di fatto, il giudice di legittimità può esercitare il proprio sindacato, ferma restando l'impossibilità di sostituire il proprio giudizio a quello dell'amministrazione;
   f) sebbene, poi, la valutazione di congruità debba essere globale e sintetica, senza concentrarsi esclusivamente ed in modo parcellizzato sulle singole voci di prezzo, dal momento che l'obiettivo dell'indagine è l'accertamento dell'affidabilità dell'offerta nel suo complesso e non già delle singole voci che lo compongono, non può considerarsi viziato il procedimento di verifica per il fatto che l'amministrazione appaltante e per essa la commissione di gara si sia limitata a chiedere le giustificazioni per le sole voci sospette di anomalia e non per le altre, giacché il concorrente, per illustrare la propria offerta e dimostrane la congruità, può fornire, ex art. 87, comma 1, D.Lgs, n. 163 del 2006, spiegazioni e giustificazioni su qualsiasi elemento dell'offerta e quindi anche su voci non direttamente indicate dall'amministrazione come incongrue, così che se un concorrente non è in grado di dimostrare l'equilibrio complessivo della propria offerta attraverso il richiamo di voci ed elementi diversi da quelli individuati nella richiesta di giustificazioni, in via di principio ciò non può essere ascritto a responsabilità della stazione appaltante per erronea o inadeguata.

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Con il secondo motivo di ricorso, parte ricorrente contesta la motivazione utilizzata dal seggio di gara per escluderla dalla gara, secondo la quale l’offerta determinerebbe un’inammissibile compressione degli oneri di personale al di sotto dei trattamenti minimi salariali, in virtù della ritenuta possibilità di applicazione di una normativa, l’art. 1, comma 118, della L. n. 190/2014, sopravvenuta alla stessa offerta, e, quindi, non invocabile senza una espressa riserva contenuta nella lex specialis di gara.
Occorre premettere che (cfr. Consiglio di Stato, sez. V, 05/09/2014, n. 4516), <<in tema di valutazione dell'anomalia dell'offerta e del relativo procedimento di verifica (che costituisce l'oggetto della controversia in esame) sono da considerare acquisiti i seguenti principi:
   a) il procedimento di verifica dell'anomalia non ha carattere sanzionatorio e non ha per oggetto la ricerca di specifiche e singole inesattezze dell'offerta economica, mirando piuttosto ad accertare se in concreto l'offerta, nel suo complesso, sia attendibile ed affidabile in relazione alla corretta esecuzione dell'appalto: esso mira piuttosto a garantire e tutelare l'interesse pubblico concretamente perseguito dall'amministrazione attraverso la procedura di gara per la effettiva scelta del miglior contraente possibile ai fini dell'esecuzione dell'appalto (ex multis, C.d.S., sez. III, 14.12.2012, n. 6442; sez. IV, 30.05.2013, n. 2956; sez. V, 18.02.2013, n. 973, 15.04.2013, n. 2063), così che l'esclusione dalla gara dell'offerente per l'anomalia della sua offerta è l'effetto della valutazione (operata dall'amministrazione appaltante) di complessiva inadeguatezza della stessa rispetto al fine da raggiungere;
   b) il corretto svolgimento del procedimento di verifica presuppone l'effettività del contraddittorio (tra amministrazione appaltante ed offerente), di cui costituiscono necessari corollari: l'assenza di preclusioni alla presentazione di giustificazioni ancorate al momento della scadenza del termine di presentazione delle offerte; la immodificabilità dell'offerta ed al contempo la sicura modificabilità delle giustificazioni, nonché l'ammissibilità di giustificazioni sopravvenute e di compensazioni tra sottostime e sovrastime, purché l'offerta risulti nel suo complesso affidabile al momento dell'aggiudicazione e a tale momento dia garanzia di una seria esecuzione del contratto (ex pluribus, C.d.S., sez. IV, 22.03.2013, n. 1633; 23.07.2012, n. 4206; sez. V, 20.02.2012, n. 875; sez. VI, 24.08.2011, n. 4801; 21.05.2009, n. 3146);
   c) il giudizio di anomalia o di incongruità dell'offerta costituisce espressione di discrezionalità tecnica, sindacabile solo in caso di macroscopica illogicità o di erroneità fattuale che rendano palese l'inattendibilità complessiva dell'offerta (Cons. Stato, sez. V, 26.06.2012, n. 3737; 22.02.2011, n. 1090; 08.07.2008, n. 3406; 29.01.2009, n. 497);
   d) il giudice amministrativo può sindacare le valutazioni della pubblica amministrazione sotto il profilo della logicità, ragionevolezza ed adeguatezza dell'istruttoria, senza poter tuttavia procedere ad alcuna autonoma verifica della congruità dell'offerta e delle singole voci, ciò rappresentando un'inammissibile invasione della sfera propria della pubblica amministrazione (Cons. Stato, sez. V, 18.02.2013, n. 974; 19.11.2012, n. 5846; 23.07.2012, n. 4206; 11.05.2012, n. 2732);
   e) anche l'esame delle giustificazioni prodotte dai concorrenti a dimostrazione della non anomalia della propria offerta rientra nella discrezionalità tecnica dell'amministrazione, con la conseguenza che soltanto in caso di macroscopiche illegittimità, quali gravi ed evidenti errori di valutazione oppure valutazioni abnormi o inficiate da errori di fatto, il giudice di legittimità può esercitare il proprio sindacato, ferma restando l'impossibilità di sostituire il proprio giudizio a quello dell'amministrazione (Cons. Stato, sez. V, 06.06.2012, n. 3340; 29.02.2012, n. 1183);
   f) sebbene, poi, la valutazione di congruità debba essere globale e sintetica, senza concentrarsi esclusivamente ed in modo parcellizzato sulle singole voci di prezzo, dal momento che l'obiettivo dell'indagine è l'accertamento dell'affidabilità dell'offerta nel suo complesso e non già delle singole voci che lo compongono (Cons. Stato, sez. V, 27.08.2012, n. 4600; sez, V, 16.08.2011, n. 4785; sez. IV, 14.04.2010, n. 2070; sez. VI, 02.04.2010, n. 1893; sez. V, 18.03.2010, n. 1589; 12.06.2009, n. 3762), non può considerarsi viziato il procedimento di verifica per il fatto che l'amministrazione appaltante e per essa la commissione di gara si sia limitata a chiedere le giustificazioni per le sole voci sospette di anomalia e non per le altre, giacché il concorrente, per illustrare la propria offerta e dimostrane la congruità, può fornire, ex art. 87, comma 1, D.Lgs, n. 163 del 2006, spiegazioni e giustificazioni su qualsiasi elemento dell'offerta e quindi anche su voci non direttamente indicate dall'amministrazione come incongrue, così che se un concorrente non è in grado di dimostrare l'equilibrio complessivo della propria offerta attraverso il richiamo di voci ed elementi diversi da quelli individuati nella richiesta di giustificazioni, in via di principio ciò non può essere ascritto a responsabilità della stazione appaltante per erronea o inadeguata
>>.
Secondo i detti condivisibili principi, quindi, l’offerta, immutabile nella sua consistenza finale, può essere oggetto di precisazioni e giustificazioni anche sopravvenute (TAR Sicilia-Catania, Sez. IV, sentenza 03.12.2015 n. 2840 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

novembre 2015

APPALTI: Soggetti tenuti al rilascio della documentazione antimafia in caso di partecipazioni societarie indirette (parere 26.11.2015-536024, AL 35225/15 - Rassegna Avvocatura dello Stato n. 1/2016).
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1. Quesito
Si fa riferimento alla nota in oggetto, con cui codesta Amministrazione ha chiesto un parere della Scrivente in merito all’ambito di operatività, sul piano della sfera soggettiva, della prescrizione contenuta nell’art. 85, comma 2, lett. c), D.Lgs. n. 159/2011 la quale, in materia di soggetti tenuti al rilascio della documentazione antimafia, fa riferimento al «socio di maggioranza in caso di società con un numero di soci pari o inferiore a quattro». (...continua).

APPALTINelle gare pubbliche la certificazione di qualità rientra tra i requisiti soggettivi di carattere tecnico-organizzativo che può essere oggetto di avvalimento, ma a condizione che l'impresa ausiliaria si impegni a mettere a disposizione dell'impresa ausiliata le proprie risorse e il proprio apparato organizzativo in tutte le parti che giustificano l'attribuzione del requisito di qualità (a seconda dei casi: mezzi, personale, prassi e tutti gli altri elementi aziendali qualificanti).
Inoltre l'avvalimento, così come configurato dalla legge, deve essere reale e non formale, nel senso che non può considerarsi sufficiente prestare la certificazione posseduta assumendo impegni assolutamente generici, giacché in questo modo verrebbe meno la stessa essenza dell'istituto, finalizzato non già ad arricchire la capacità tecnica ed economica del concorrente, bensì a consentire a soggetti, che ne siano sprovvisti, di concorrere alla gara ricorrendo ai requisiti di altri soggetti, garantendo l'affidabilità dei lavori, dei servizi o delle forniture appaltati.
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Nelle gare pubbliche la certificazione di qualità, essendo connotata dal precipuo fine di valorizzare gli elementi di eccellenza dell'organizzazione complessiva, è da considerarsi anch'essa requisito di idoneità tecnico organizzativa dell'impresa, da inserirsi tra gli elementi idonei a dimostrarne la capacità tecnico-professionale assicurando che l'impresa, cui sarà affidato il servizio o la fornitura, sarà in grado di effettuare la prestazione nel rispetto di un livello minimo di qualità accertato da un organismo a ciò predisposto; di conseguenza, afferendo essa alla capacità tecnica dell'imprenditore, può formare oggetto dell'avvalimento come disciplinato dall'art. 49, d.lgs. 12.04.2006 n. 163.
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L'impresa ausiliata può senz'altro utilizzare tutti i requisiti afferenti alla capacità economica e tecnica dell'impresa ausiliaria, tra cui la certificazione di qualità, in quanto quest’ultima, essendo connotata dal precipuo fine di valorizzare gli elementi d’eccellenza dell'organizzazione complessiva, è anch'essa requisito d’idoneità tecnico-organizzativa dell'impresa. Essa, dunque, s’inserisce tra gli elementi idonei a dimostrare la capacità dell'impresa, cui sarà affidato il servizio o la fornitura, di effettuare la prestazione nel rispetto di quel livello minimo di qualità accertato da un organismo a ciò predisposto ed indipendente.
Certo, come in tutti gli altri casi d’avvalimento, l’unico limite dell’istituto è e resta la condizione che l'avvalimento sia effettivo e non fittizio, non potendosi ammettere il c.d. "prestito" della sola certificazione di qualità quale mero documento e senza quel minimo d’apparato dell’ausiliaria atta a dar senso al prestito stesso, a seconda dei casi i mezzi, il personale, il know how, le prassi e tutti gli altri elementi aziendali qualificanti.
Sul punto, è stato chiarito che siffatta certificazione, in quanto finalizzata ad assicurare l'espletamento del servizio o della fornitura da una impresa secondo il livello qualitativo accertato dall’apposito organismo e sulla base di parametri rigorosi delineati a livello internazionale —che danno rilievo all'organizzazione complessiva della relativa attività ed all'intero svolgimento delle diverse fasi di lavoro—, non può essere oggetto di avvalimento senza la messa a disposizione di tutto o di quella parte del complesso aziendale del soggetto al quale è stato riconosciuto il sistema di qualità, occorrente per l’effettuazione del servizio o della fornitura.
L’art. 49 del Dlgs 163/2006, che non può non esser letto in coerenza con la norma UE correlata, non tollera perciò limitazioni sull’an dell’istituto, pur imponendo, come d’altronde già prevede l’ordinamento generale, la serietà dell’impegno nel quid e nel quomodo dell’ausiliaria verso l’ausiliata, al fine di garantire l’effettività ai fini dell’adempimento dell’appalto. Tanto perché, com’è ovvio, nelle gare pubbliche, il requisito di ammissione dimostrato dall'impresa partecipante mediante l’avvalimento deve rassicurare la stazione appaltante circa l'affidabilità della futura offerta allo stesso modo in cui ciò avverrebbe se il requisito fosse posseduto in via diretta dalla partecipante alla gara.

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Inoltre, come recentemente affermato da questa sezione nella sentenza n. 2513/2014 e confermato dalla terza sezione del Consiglio di Stato con la sentenza n. 3517/2015, che riguardano atti della medesima gara oggetto della presente impugnazione, secondo il più recente orientamento della giurisprudenza amministrativa, nelle gare pubbliche la certificazione di qualità rientra tra i requisiti soggettivi di carattere tecnico-organizzativo che può essere oggetto di avvalimento, ma a condizione che l'impresa ausiliaria si impegni a mettere a disposizione dell'impresa ausiliata le proprie risorse e il proprio apparato organizzativo in tutte le parti che giustificano l'attribuzione del requisito di qualità (a seconda dei casi: mezzi, personale, prassi e tutti gli altri elementi aziendali qualificanti); inoltre l'avvalimento, così come configurato dalla legge, deve essere reale e non formale, nel senso che non può considerarsi sufficiente prestare la certificazione posseduta assumendo impegni assolutamente generici, giacché in questo modo verrebbe meno la stessa essenza dell'istituto, finalizzato non già ad arricchire la capacità tecnica ed economica del concorrente, bensì a consentire a soggetti, che ne siano sprovvisti, di concorrere alla gara ricorrendo ai requisiti di altri soggetti, garantendo l'affidabilità dei lavori, dei servizi o delle forniture appaltati (Cons. Stato, sez. V, 11.07.2014, n. 3574).
Nelle gare pubbliche la certificazione di qualità, essendo connotata dal precipuo fine di valorizzare gli elementi di eccellenza dell'organizzazione complessiva, è da considerarsi anch'essa requisito di idoneità tecnico-organizzativa dell'impresa, da inserirsi tra gli elementi idonei a dimostrarne la capacità tecnico professionale assicurando che l'impresa, cui sarà affidato il servizio o la fornitura, sarà in grado di effettuare la prestazione nel rispetto di un livello minimo di qualità accertato da un organismo a ciò predisposto; di conseguenza, afferendo essa alla capacità tecnica dell'imprenditore, può formare oggetto dell'avvalimento come disciplinato dall'art. 49, d.lgs. 12.04.2006 n. 163 (Cons. Stato, sez. V, 20.12.2013, n. 6125).
Inoltre, come risulta affermato dal giudice di appello: “Nella specie, sulla fornitura del CO2 l’aggiudicataria ha dichiarato di volersi avvalere del certificato di qualità UNI EN ISO 22000:2005, per il trasporto, della GASCAR s.r.l. e, per la produzione, della certificazione di qualità della SAPIO Produzione idrogeno e ossigeno s.r.l.. Deduce l’appellante che non è possibile avvalersi della qualità altrui, ché attiene ai requisiti soggettivi dell’impresa, ma pare al Collegio che, prima ancora del TAR, la stessa Azienda appaltante abbia fatto corretto governo dei criteri che disciplinano il sistema dell’avvalimento, anche per ciò che attiene a tal certificazione. In particolare, un’impresa ha formulato taluni quesiti sul punto, cioè se il possesso della certificazione di qualità per il trasporto dei gas potesse esser soddisfatto con l’avvalimento. L’Azienda ha risposto che pure tal possesso può esser oggetto d’avvalimento ai sensi dell’art. 49 del Dlgs 163/2006, poiché si tratta d’un requisito dell’impresa di natura tecnico–organizzativo".
Ebbene, nella specie, anche l’aggiudicataria s’è adeguata all’avviso dell’Azienda, il quale, si badi, è coerente con la consolidata giurisprudenza di questo Consiglio, specie se si tiene conto dell’assenza di un’espressa preclusione della lex specialis al riguardo. Infatti, l'impresa ausiliata può senz'altro utilizzare tutti i requisiti afferenti alla capacità economica e tecnica dell'impresa ausiliaria, tra cui la certificazione di qualità, in quanto quest’ultima, essendo connotata dal precipuo fine di valorizzare gli elementi d’eccellenza dell'organizzazione complessiva, è anch'essa requisito d’idoneità tecnico-organizzativa dell'impresa (Cons. St., IV, 03.10.2014 n. 4958). Essa, dunque, s’inserisce tra gli elementi idonei a dimostrare la capacità dell'impresa, cui sarà affidato il servizio o la fornitura, di effettuare la prestazione nel rispetto di quel livello minimo di qualità accertato da un organismo a ciò predisposto ed indipendente (cfr. così Cons. St., V, 06.03.2013 n. 1368; id., 20.12.2013 n. 6125; id., 24.07.2014 n. 3949).
Certo, come in tutti gli altri casi d’avvalimento, l’unico limite dell’istituto è e resta la condizione che l'avvalimento sia effettivo e non fittizio, non potendosi ammettere il c.d. "prestito" della sola certificazione di qualità quale mero documento e senza quel minimo d’apparato dell’ausiliaria atta a dar senso al prestito stesso, a seconda dei casi i mezzi, il personale, il know how, le prassi e tutti gli altri elementi aziendali qualificanti (cfr. così, Cons. St., V, 11.07.2014 n. 3574).
Sul punto, la Sezione (cfr., per tutti, Cons. St., III, 07.04.2014 n. 1636) ha chiarito che siffatta certificazione, in quanto finalizzata ad assicurare l'espletamento del servizio o della fornitura da una impresa secondo il livello qualitativo accertato dall’apposito organismo e sulla base di parametri rigorosi delineati a livello internazionale —che danno rilievo all'organizzazione complessiva della relativa attività ed all'intero svolgimento delle diverse fasi di lavoro—, non può essere oggetto di avvalimento senza la messa a disposizione di tutto o di quella parte del complesso aziendale del soggetto al quale è stato riconosciuto il sistema di qualità, occorrente per l’effettuazione del servizio o della fornitura. L’art. 49 del Dlgs 163/2006, che non può non esser letto in coerenza con la norma UE correlata, non tollera perciò limitazioni sull’an dell’istituto, pur imponendo, come d’altronde già prevede l’ordinamento generale, la serietà dell’impegno nel quid e nel quomodo dell’ausiliaria verso l’ausiliata, al fine di garantire l’effettività ai fini dell’adempimento dell’appalto. Tanto perché, com’è ovvio, nelle gare pubbliche, il requisito di ammissione dimostrato dall'impresa partecipante mediante l’avvalimento deve rassicurare la stazione appaltante circa l'affidabilità della futura offerta allo stesso modo in cui ciò avverrebbe se il requisito fosse posseduto in via diretta dalla partecipante alla gara (giurisprudenza consolidata).
Questi essendo i capisaldi della giurisprudenza sull’argomento, l’Azienda ed il TAR, ciascuno per il proprio ambito di competenza, ne hanno fornito corretta applicazione nel caso in esame…
” (Cons. Stato, sez. III, 14.07.2015, n. 3517) (TAR Lombardia-Milano, Sez. IV, sentenza 26.11.2015 n. 2492 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: E' illegittima l'esclusione automatica da una gara pubblica, indetta per l'affidamento di un appalto di forniture, di una impresa che non aveva indicato, nell'offerta economica, gli oneri per la sicurezza.
Ed invero, nel caso di appalti non aventi ad oggetto l'esecuzione di lavori pubblici, nei cui confronti si applica la norma dettata ad hoc dall'art. 131 del d.lgs. 12.04.2006 n. 163, ed il cui bando di gara non contenga una comminatoria espressa, l'omessa indicazione nell'offerta dello scorporo matematico degli oneri di sicurezza per rischio specifico non comporta di per sé l'esclusione dalla gara, ma rileva ai soli fini dell'anomalia del prezzo offerto, nel senso che, per scelta della stazione appaltante, il momento di valutazione dei suddetti oneri non è eliso, ma è posticipato al sub-procedimento di verifica della congruità dell'offerta nel suo complesso.
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E’ stato statuito in una recente decisione che, in relazione agli appalti di forniture e di servizi intellettuali (nel cui ambito il rischio c.d. ‘specifico’ o ‘aziendale’ ha minore possibilità di incidenza), la regola di specificazione (o separata indicazione) dei costi di sicurezza, ai sensi degli articoli 86 e 87 del decreto legislativo n. 163 del 2006 opera in via primaria nei confronti delle amministrazioni aggiudicatrici in sede di predisposizione delle gare di appalto e di valutazione dell’anomalia, con la conseguenza che l’assenza di scorporo nel quantum fin dalla fase di presentazione dell’offerta non può risolversi in causa di esclusione dalla gara, anche alla luce dei criteri di tassatività della cause espulsive previsti dall’art. 46, comma 1-bis, del medesimo codice.
Il difetto di effettivi profili di rischiosità afferenti al tema della salute e della sicurezza sul lavoro nell’esecuzione dell’appalto (nella specie si trattava della fornitura di materiale informatico e di servizi di installazione) rende sostanzialmente inutile l’inserimento nell’ambito della lex specialis di una clausola la quale ne preveda (ciò che avviene normalmente) l’obbligo di quantificazione sotto comminatoria di esclusione. In tali casi, l’inserimento nella lex specialis degli oneri di sicurezza non ha carattere cogente ed inderogabile, onde non può farsi luogo ad eterointegrazione delle prescrizioni di gara.
Tale principio ha finito per essere da ultimo condiviso nella sostanza dalla recente decisione dell’Adunanza plenaria 20.03.2015, n. 3, nella quale è stato affermato che “nelle procedure di affidamento di lavori i partecipanti alla gara devono indicare nell’offerta economica i costi interni per la sicurezza del lavoro, pena l’esclusione dell’offerta dalla procedura anche se non prevista nel bando di gara”; tuttavia, la decisione si muove nella direzione di una lettura costituzionalmente orientata delle disposizioni dinanzi richiamate e del comma 6 dell’articolo 26 del d.lgs. n. 81 del 2008 e conclude nel senso che le stazioni appaltanti, nella predisposizione degli atti di gara per lavori e al fine della valutazione dell’anomalia delle offerte, devono determinare il valore economico degli appalti includendovi l’idonea stima di tutti i costi per la sicurezza con l’indicazione specifica di quelli da interferenze; i concorrenti, a loro volta, devono indicare nell’offerta economica sia i costi di sicurezza per le interferenze (quali predeterminati dalla stazione appaltante) che i costi di sicurezza interni che essi determinano in relazione alla propria organizzazione produttiva e al tipo di offerta formulata.
Ne discende la conferma del condiviso orientamento secondo cui nelle procedure ad evidenza pubblica la regola di specificazione (o separata indicazione) dei costi di sicurezza, ai sensi degli articoli 86 e 87 del decreto legislativo n. 163 del 2006 opera in via primaria nei confronti delle amministrazioni aggiudicatrici in sede di predisposizione delle gare di appalto e di valutazione dell’anomalia, con la conseguenza che l’assenza di scorporo nel quantum fin dalla fase di presentazione dell’offerta non può risolversi in causa di esclusione dalla gara, anche alla luce dei criteri di tassatività della cause espulsive previsti dall’art. 46, comma 1-bis, del medesimo Codice.

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Nel caso di specie, la lex specialis di gara non prevedeva l’obbligo per le imprese partecipanti di indicare in sede di offerta i cc.dd. costi ‘specifici’ o ‘aziendali’ e –correlativamente– non comminava alcuna conseguenza escludente per la violazione di tale obbligo.
Laddove una siffatta clausola escludente fosse stata inclusa nell’ambito della lex specialis, essa sarebbe risultata di dubbia validità con riferimento al comma 1-bis dell’articolo 46 del ‘Codice di contratti’, stante l’insussistenza di una siffatta ipotesi legale di esclusione e la conseguente violazione del principio di tipicità e tassatività legale di tali clausole.
Da tali statuizioni si ricava, dunque, che, nella fattispecie in questione, nella quale l’indicazione degli oneri di sicurezza aziendali non era espressamente prevista dalla lex specialis a pena di esclusione, tale mancanza non può di certo ravvisarsi come rilevante ai fini dell’esclusione dell’offerta di Sa.Li..
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Con riferimento al secondo motivo, specificato con il primo motivo aggiunto, la ricorrente, essenzialmente, deduce la violazione degli artt. 87, comma 4 e 46, comma 1-bis del d.lgs. n. 163/2006 e 3 della legge n. 241/1990 e l’eccesso di potere per difetto di motivazione e di istruttoria e travisamento dei fatti per la mancata indicazione nell’offerta della controinteressata degli oneri di sicurezza aziendali, i quali non sarebbero stati neppure valutati dalla commissione di gara nell’ambito del giudizio sull’anomalia dell’offerta.
In relazione alla prima parte della censura si ritiene di confermare l’orientamento espresso più volte dalla sezione (cfr., per tutte, TAR Lombardia, sez. IV, 09.01.2014, n. 36; 05.03.2015, n. 645), nonché dalla maggioranza della giurisprudenza amministrativa (cfr., fra le tante, Cons. Stato, sez. V, 17.03.2015, n. 1375; sez. III, 04.03.2014, n. 1030), per il quale è illegittima l'esclusione automatica da una gara pubblica, indetta per l'affidamento di un appalto di forniture, di una impresa che non aveva indicato, nell'offerta economica, gli oneri per la sicurezza. Ed invero, nel caso di appalti non aventi ad oggetto l'esecuzione di lavori pubblici, nei cui confronti si applica la norma dettata ad hoc dall'art. 131 del d.lgs. 12.04.2006 n. 163, ed il cui bando di gara non contenga una comminatoria espressa, l'omessa indicazione nell'offerta dello scorporo matematico degli oneri di sicurezza per rischio specifico non comporta di per sé l'esclusione dalla gara, ma rileva ai soli fini dell'anomalia del prezzo offerto, nel senso che, per scelta della stazione appaltante, il momento di valutazione dei suddetti oneri non è eliso, ma è posticipato al sub-procedimento di verifica della congruità dell'offerta nel suo complesso (Cons. Stato, sez. V, 02.10.2014, n. 4907).
Tale consolidato orientamento è stato confermato pure a seguito della nota pronuncia resa dal giudice di appello in adunanza plenaria (Cons. Stato, A.P., 20.03.2015, n. 3).
E’ stato, invero, statuito in una recente decisione che, in relazione agli appalti di forniture e di servizi intellettuali (nel cui ambito il rischio c.d. ‘specifico’ o ‘aziendale’ ha minore possibilità di incidenza), la regola di specificazione (o separata indicazione) dei costi di sicurezza, ai sensi degli articoli 86 e 87 del decreto legislativo n. 163 del 2006 opera in via primaria nei confronti delle amministrazioni aggiudicatrici in sede di predisposizione delle gare di appalto e di valutazione dell’anomalia, con la conseguenza che l’assenza di scorporo nel quantum fin dalla fase di presentazione dell’offerta non può risolversi in causa di esclusione dalla gara, anche alla luce dei criteri di tassatività della cause espulsive previsti dall’art. 46, comma 1-bis, del medesimo codice.
Il difetto di effettivi profili di rischiosità afferenti al tema della salute e della sicurezza sul lavoro nell’esecuzione dell’appalto (nella specie si trattava della fornitura di materiale informatico e di servizi di installazione) rende sostanzialmente inutile l’inserimento nell’ambito della lex specialis di una clausola la quale ne preveda (ciò che avviene normalmente) l’obbligo di quantificazione sotto comminatoria di esclusione. In tali casi, l’inserimento nella lex specialis degli oneri di sicurezza non ha carattere cogente ed inderogabile, onde non può farsi luogo ad eterointegrazione delle prescrizioni di gara (Cons. Stato, V, 17.06.2014, n. 3056).
Tale principio ha finito per essere da ultimo condiviso nella sostanza dalla recente decisione dell’Adunanza plenaria 20.03.2015, n. 3, nella quale è stato affermato che “nelle procedure di affidamento di lavori i partecipanti alla gara devono indicare nell’offerta economica i costi interni per la sicurezza del lavoro, pena l’esclusione dell’offerta dalla procedura anche se non prevista nel bando di gara”; tuttavia, la decisione si muove nella direzione di una lettura costituzionalmente orientata delle disposizioni dinanzi richiamate e del comma 6 dell’articolo 26 del d.lgs. n. 81 del 2008 e conclude nel senso che le stazioni appaltanti, nella predisposizione degli atti di gara per lavori e al fine della valutazione dell’anomalia delle offerte, devono determinare il valore economico degli appalti includendovi l’idonea stima di tutti i costi per la sicurezza con l’indicazione specifica di quelli da interferenze; i concorrenti, a loro volta, devono indicare nell’offerta economica sia i costi di sicurezza per le interferenze (quali predeterminati dalla stazione appaltante) che i costi di sicurezza interni che essi determinano in relazione alla propria organizzazione produttiva e al tipo di offerta formulata.
Ne discende la conferma del condiviso orientamento secondo cui nelle procedure ad evidenza pubblica la regola di specificazione (o separata indicazione) dei costi di sicurezza, ai sensi degli articoli 86 e 87 del decreto legislativo n. 163 del 2006 opera in via primaria nei confronti delle amministrazioni aggiudicatrici in sede di predisposizione delle gare di appalto e di valutazione dell’anomalia, con la conseguenza che l’assenza di scorporo nel quantum fin dalla fase di presentazione dell’offerta non può risolversi in causa di esclusione dalla gara, anche alla luce dei criteri di tassatività della cause espulsive previsti dall’art. 46, comma 1-bis, del medesimo Codice.
Inoltre, nel caso in questione, la lex specialis di gara non prevedeva l’obbligo per le imprese partecipanti di indicare in sede di offerta i cc.dd. costi ‘specifici’ o ‘aziendali’ e –correlativamente– non comminava alcuna conseguenza escludente per la violazione di tale obbligo.
Laddove una siffatta clausola escludente fosse stata inclusa nell’ambito della lex specialis, essa sarebbe risultata di dubbia validità con riferimento al comma 1-bis dell’articolo 46 del ‘Codice di contratti’, stante l’insussistenza di una siffatta ipotesi legale di esclusione e la conseguente violazione del principio di tipicità e tassatività legale di tali clausole (Cons. Stato, sez. VI, 09.04.2015, n. 1798).
Da tali statuizioni si ricava, dunque, che, nella fattispecie in questione, nella quale l’indicazione degli oneri di sicurezza aziendali non era espressamente prevista dalla lex specialis a pena di esclusione, tale mancanza non può di certo ravvisarsi come rilevante ai fini dell’esclusione dell’offerta di Sa.Li. (TAR Lombardia-Milano, Sez. IV, sentenza 26.11.2015 n. 2492 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Per giurisprudenza costante, nelle procedure da aggiudicarsi con il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa l’attribuzione dei punteggi all’offerta tecnica costituisce una valutazione di natura discrezionale insindacabile, purché immune da macroscopici vizi di irrazionalità, incongruità o illogicità.
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Nelle gare d’appalto, in tema di verifica dell’anomalia dell’offerta, deve ritenersi che il giudizio della stazione appaltante costituisca esplicazione paradigmatica di discrezionalità tecnica, sindacabile solo in caso di macroscopica illogicità o di erroneità fattuale.
Anche l’esame delle giustificazioni prodotte dai concorrenti a dimostrazione della non anomalia della propria offerta rientra nella discrezionalità tecnica dell’Amministrazione, con la conseguenza che soltanto in caso di macroscopiche illegittimità, quali errori di valutazione gravi ed evidenti oppure valutazioni abnormi o inficiate da errori di fatto, il giudice può intervenire, fermo restando l’impossibilità di sostituire il proprio giudizio a quello dell’Amministrazione.

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Riguardo, invece, alla seconda parte della censura, specificata con il primo motivo aggiunto, con la quale l’istante ha lamentato la mancata valutazione degli oneri di sicurezza aziendali al fine della valutazione dell’anomalia dell’offerta di Sa.Li., senza addurre, peraltro, specifiche contestazioni a riguardo che possano far dubitare dell’effettuazione di tale giudizio anche in relazione a tale aspetto, il collegio ritiene, invece, che tale valutazione risulti essere stata effettuata nell’ambito del complessivo giudizio sulla anomalia dell’offerta come risulta dalla documentazione versata in atti e precisamente dai verbali del giudizio di valutazione sull’eventuale anomalia dell’offerta (docc. 10 e 11 depositati dalla stazione appaltante).
Con riferimento al terzo motivo di gravame, specificato con il terzo motivo aggiunto, la società istante ha contestato la valutazione della sua offerta tecnica da parte della commissione di gara, la quale, penalizzandola, avrebbe attribuito solo 12 punti al parametro dell’organizzazione aziendale rispetto ai 18 attribuiti all’offerta tecnica della controinteressata con riferimento allo stesso parametro.
Tali censure investono, evidentemente, il corretto esercizio della discrezionalità tecnica della stazione appaltante, contestabile in sede di giudizio di legittimità solo entro limiti, il cui superamento non risulta nella fattispecie adeguatamente rappresentato e provato. Come ribadito dall’art. 64 Cod. proc. amm., infatti, detta provata rappresentazione era a carico dell’appellante, che ha invece fornito sotto alcuni profili un proprio diverso (ma inammissibile) apprezzamento di merito (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 23.10.2015, n. 4883).
In proposito deve ricordarsi che, per giurisprudenza costante, nelle procedure da aggiudicarsi con il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa l’attribuzione dei punteggi all’offerta tecnica costituisce una valutazione di natura discrezionale insindacabile, purché immune da macroscopici vizi di irrazionalità, incongruità o illogicità.
Nella fattispecie in questione, dall’esame della documentazione inerente la valutazione delle offerte tecniche delle concorrenti tali illogicità ed incongruità non si evincono in alcun modo, risultando, di conseguenza, impossibile per il giudice sostituirsi alla valutazione operata dalla commissione giudicatrice.
Riguardo al secondo motivo del ricorso per motivi aggiunti, con il quale l’istante ha dedotto genericamente la mancata indicazione nelle giustificazioni presentate dalla controinteressata delle voci richieste dalla legge per la verifica dell’anomalia dell’offerta, deve innanzitutto precisarsi che la ricorrente non ha fornito alcun elemento dal quale poter dedurre l’incongruità dell’offerta economica della controinteressata, che, peraltro, ammonta a 396.257,20 euro rispetto a quella della ricorrente medesima, pari ad euro 349.095,35.
Il collegio si riporta, inoltre, al consolidato orientamento giurisprudenziale in base al quale “Nelle gare d’appalto, in tema di verifica dell’anomalia dell’offerta, deve ritenersi che il giudizio della stazione appaltante costituisca esplicazione paradigmatica di discrezionalità tecnica, sindacabile solo in caso di macroscopica illogicità o di erroneità fattuale” e che, quindi, “Anche l’esame delle giustificazioni prodotte dai concorrenti a dimostrazione della non anomalia della propria offerta rientri nella discrezionalità tecnica dell’Amministrazione, con la conseguenza che soltanto in caso di macroscopiche illegittimità, quali errori di valutazione gravi ed evidenti oppure valutazioni abnormi o inficiate da errori di fatto, il giudice può intervenire, fermo restando l’impossibilità di sostituire il proprio giudizio a quello dell’Amministrazione” (cfr., fra le tante, Cons. Strato, sez. IV, 11.11.2014, n. 5514).
E tali macroscopiche illogicità, erroneità fattuali, macroscopiche illegittimità, quali errori di valutazione gravi ed evidenti, valutazioni abnormi o inficiate da errori di fatto non risultano in alcun modo essersi verificate nella fattispecie all’esame del collegio.
Alla luce delle suesposte considerazioni, il ricorso principale ed i motivi aggiunti vanno respinti, unitamente alla domanda di risarcimento del danno (TAR Lombardia-Milano, Sez. IV, sentenza 26.11.2015 n. 2492 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Segretezza dell'offerta, gara ko per violazione.
Tra le violazioni delle regole fondamentali in materia di gara pubblica rientra, certamente, l'inosservanza del principio di segretezza dell'offerta, che si manifesta nella commistione, inammissibile, tra offerta economica ed offerta tecnica, sebbene ci siano delle eccezioni.

È quanto ribadito dai giudici della prima sezione del TAR Emilia Romagna-Bologna, Sez. I, con sentenza 23.11.2015 n. 1030.
Ma eccoci alle eccezioni: in taluni casi, infatti, l'anticipata conoscenza di elementi dell'offerta economica non può in alcun modo alterare l'assegnazione, del tutto automatica, dei punteggi relativi all'offerta tecnica, sì da rivelarsi contra legem le norme di gara che prevedessero quale causa di esclusione dalla selezione quella legata all'inclusione dell'offerta economica nella busta relativa all'offerta tecnica.
È stato altresì aggiunto nella sentenza in commento che proprio perché la previsione della necessità dell'assenza nell'offerta tecnica di elementi riferibili all'offerta economica è posta a presidio del principio dell'autonomia dell'apprezzamento discrezionale dell'offerta tecnica rispetto a quello dell'offerta economica, principio il cui rispetto è garantito dall'anteriorità della prima valutazione e dalla necessità che dall'offerta tecnica esulino elementi e valori dell'offerta economica (Cons. stato, sez. VI, 27/11/2014 n. 5890), verrà meno una simile esigenza di segretezza dell'offerta viene meno nel momento in cui la normativa di gara andrà a prevedere criteri di attribuzione dei punteggi tecnici che, per risolversi nella predisposizione di griglie di valori e di formule aritmetiche che danno poi luogo all'automatica individuazione del risultato finale, nessun effettivo margine di autonoma valutazione lasciano alla commissione di gara, la quale si troverà quindi a conoscere le offerte tecniche secondo meccanismi logico-matematici simili a quelli delle offerte economiche.
Nel caso in esame avverso gli atti di gara, compresa la clausola di esclusione applicata dall'ente appaltante, proponeva impugnativa una società, denunciando –ai sensi dell'art. 46, comma 1-bis, del dlgs n. 163 del 2006– l'illegittimità della norma di gara invocata dall'Amministrazione a fondamento dell'atto di esclusione in quanto il carattere assolutamente vincolato dell'attribuzione dei punteggi tecnici avrebbe escluso nella circostanza quel condizionamento dell'operato della Commissione che è alla base del generale divieto di commistione di elementi tecnici ed elementi economici (articolo ItaliaOggi Sette dell'11.01.2016).

APPALTI: L'appalto è salvo pure a costi svelati.
Nell'offerta tecnica per l'appalto c'è traccia anche di costi ma l'impresa non può essere esclusa dalla procedura pubblica solo per questo. Possibile? Sì, perché ad attribuire il punteggio alla prima busta è una griglia molto precisa: il risultato va ritenuto praticamente automatico e dunque la commissione non compie in merito alcuna autonoma valutazione.
Insomma: va escluso che il richiamo alla separata parte economica della proposta possa in qualche modo condizionare il giudizio di chi dovrà decretare la vincitrice della gara.

È quanto emerge dalla sentenza 23.11.2015 n. 1030, pubblicata dalla I Sez. del TAR Emilia Romagna-Bologna.
Scala di valori
Annullata l'esclusione della società dalla gara bandita a opera della multiutility. L'impresa è eliminata dalla procedura perché all'interno della busta (elettronica) con l'offerta tecnica spunta un documento che contiene al proprio interno delle determinazioni di importi economici.
Ma la separazione fra l'offerta tecnica e quella economica punta solo a evitare che la commissione giudicatrice possa valutare il progetto già conoscendo i costi. Se però l'attribuzione dei punteggi avviene sulla base di indici molto rigidi, con una scala di valori predisposta in modo da dare meccanicamente l'esito, viene meno l'esigenza di segretezza che impone la separazione fra l'uno e l'altro versante.
Trova dunque ingresso la censura dell'impresa che denuncia ai sensi dell'articolo 46 del codice dei contratti pubblici l'illegittimità della norma di gara invocata dall'amministrazione (articolo ItaliaOggi del 07.01.2016).
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MASSIMA
- ritenuto che, secondo un consolidato orientamento giurisprudenziale,
tra le violazioni delle regole fondamentali in materia –per attenere agli elementi essenziali dell'offerta–, e quindi tra le cause di esclusione tassativamente previste dall’art. 46, comma 1-bis, del d.lgs. n. 163 del 2006, rientra l’inosservanza del principio di segretezza dell’offerta, che si manifesta nella commistione, inammissibile, tra offerta economica ed offerta tecnica, atteso che la conoscenza di elementi economici da parte della commissione di gara è di per sé idonea a determinarne anche in astratto un condizionamento, alterandone la serenità ed imparzialità valutativa, sicché nessun elemento economico deve essere reso noto alla commissione stessa prima che questa abbia effettuato le proprie valutazioni sull’offerta tecnica (v., tra le altre, TAR Emilia-Romagna, Bologna, Sez. I, 24.04.2015 n. 394);
- che, tuttavia,
proprio perché la previsione della necessità dell’assenza nell’offerta tecnica di elementi riferibili all’offerta economica è posta a presidio del principio dell’autonomia dell’apprezzamento discrezionale dell’offerta tecnica rispetto a quello dell’offerta economica, principio il cui rispetto è garantito dall’anteriorità della prima valutazione e dalla necessità che dall’offerta tecnica esulino elementi e valori dell’offerta economica (v. Cons. Stato, Sez. VI, 27.11.2014 n. 5890), una simile esigenza di segretezza dell’offerta viene meno quando, come nel caso di specie, la normativa di gara preveda criteri di attribuzione dei punteggi tecnici che, per risolversi nella predisposizione di griglie di valori e di formule aritmetiche che danno poi luogo all’automatica individuazione del risultato finale, nessun effettivo margine di autonoma valutazione lasciano alla commissione di gara, la quale si trova quindi a conoscere le offerte tecniche secondo meccanismi logico-matematici simili a quelli delle offerte economiche;
- che
in tali casi, insomma, l’anticipata conoscenza di elementi dell’offerta economica non può in alcun modo alterare l’assegnazione, del tutto automatica, dei punteggi relativi all’offerta tecnica, sì da rivelarsi contra legem le norme di gara che prevedessero quale causa di esclusione dalla selezione quella legata all’inclusione dell’offerta economica nella busta relativa all’offerta tecnica;
- che nella circostanza, come si è detto, si rientra in quest’ultima ipotesi, non inducendo a diverse conclusioni l’obiezione della difesa dell’ente appaltante in ordine alla previsione –inerente la categoria «proposte migliorative al progetto/capitolato»– secondo cui “la riduzione dei tempi d’intervento offerta dall’impresa deve essere dimostrata mediante cronoprogramma di dettaglio riportante le modalità operative e organizzative previste, ovvero: evidenze dettagliate circa l’organizzazione delle risorse umane, mezzi e attrezzature messi in campo con elencazione e relativa produzione, inclusa l’analisi di eventuali/potenziali criticità”, che implica sì la verifica degli strumenti organizzatori a tal fine previsti e un apprezzamento della Commissione, ma al solo scopo di accertare l’attendibilità della soluzione prospettata –anche in vista dell’acquisizione di un impegno puntuale di cui tenere poi conto in sede di esecuzione dell’appalto quanto alla correttezza delle relative prestazioni–, e senza che ciò incida sulla graduazione dei singoli punteggi secondo la scala di valori rigidamente predisposta dalla lettera di invito;
- che, in conclusione, il ricorso si presenta fondato, con conseguente annullamento degli atti impugnati.

APPALTI: La centrale unica di committenza per i comuni associati.
DOMANDA:
Con la presente per formulare il seguente quesito:
- tre comuni hanno costituito il 01.10.2014 la gestione associata dell’ufficio tecnico “Val D.”
- L’ufficio tecnico associato non è evidentemente un soggetto giuridico autonomo, non avendo pertanto partita iva…
- L’Anac non ha accettato l’accreditamento della Centrale Unica “Val D.” per mancanza di requisiti (per le ragioni sopra indicate - l’ut associato non è un soggetto giuridico autonomo)
Domanda:
1. Come può fare l’ut associato a bandire una gara d’appalto?
2. Può accedere al mercato elettronico (Sintel o Consip) e ritenere così di aver adempiuto ai disposti normativi?
RISPOSTA:
Ai fini di adempiere agli obblighi di centralizzazione previsti dal comma 3-bis dell’art. 33 del codice dei contratti pubblici occorre, nell’ipotesi che si sia optato per l’”accordo consortile” che i comuni interessati abbiano stabilito in via convenzionale (ex art. 30 D.lgs. n. 267/2000) di costituire tra di loro una apposita “centrale unica di committenza” e non già un mero “ufficio tecnico” che svolge in modo associato le proprie funzioni.
Potranno quindi o stabilire convenzionalmente di istituire un ufficio comune operante come centrale unica di committenza per i comuni associati oppure designare uno di essi come ente capofila per la gestione associata delle acquisizioni di lavori, servizi e beni in base a quanto previsto dal cit. comma 3-bis.
Nel primo caso l’ufficio comune rappresenta una mera articolazione organizzativa costituita presso uno degli enti associati e funge quindi da CUC mentre nell’altra ipotesi è lo stesso ente capofila che assumerà tale ruolo; Trattandosi di “ufficio comune” operante come centrale unica di committenza si ritiene che iscrivibile alla Anagrafe unica delle stazioni appaltanti presso l’ANAC sia il Comune presso cui l’ufficio comune è istituito, mentre nell’altro caso sia lo stesso ente capofila che funge da CUC.
In ogni caso la struttura organizzativa comune non ha soggettività giuridica autonoma e pertanto ai fini dello svolgimento delle procedure occorre far riferimento a tutti gli elementi identificativi del Comune di riferimento, fermo restando che i singoli comuni aderenti risultano ad ogni effetto stazioni appaltanti e mantengono tale definizione ai fini degli obblighi di iscrizione e comunicazione all’AUSA (link a www.ancirisponde.ancitel.it).

APPALTI: Il mancato guadagno va provato. Dimostrazione a carico dell’impresa che vuole il risarcimento del danno. Consiglio di Stato. Respinto il ricorso su un appalto assegnato alla società classificata seconda.
La recente sentenza 17.11.2015 n. 5255 del Consiglio di Stato, Sez. III, si inserisce nel filone giurisprudenziale in tema di onere della prova in relazione alla domanda risarcitoria.
La questione è centrale, in quanto in caso di rigetto dell’istanza cautelare i tempi di definizione del contenzioso –per quanto accelerati rispetto al regime processuale ordinario– non consentono all’imprenditore che veda riconosciute le proprie ragioni di ottenere un reale beneficio se non in termini di risarcimento per equivalente. Ciò a maggior ragione ove ciò avvenga all’esito del secondo grado di giudizio.
Il Consiglio di Stato, con la decisione in commento, dopo aver accertato la fondatezza delle doglianze articolate da una società attiva nel settore delle forniture informatiche in relazione alla sentenza del Tar Lazio che, annullando l’aggiudicazione di un appalto triennale bandito dal ministero dell’Interno, aveva assegnato il contratto alla società seconda classificata, è stato chiamato a decidere sull’istanza risarcitoria con cui l’appellante aveva richiesto che -in relazione al tempo trascorso dalla stipula del contratto- il ministero venisse condannato a risarcire il danno correlato alla consumazione di parte del periodo di durata dell’appalto, quantificandolo in proporzione all’utile atteso dichiarato in sede di giustificazioni.
Il collegio ha rigettato la domanda, osservando che l’appellante non aveva dichiarato di non aver altrimenti impiegato, nel periodo predetto, le risorse occorrenti per l’esecuzione dell’appalto, e in generale non aveva prospettato alcun elemento in ordine all’utilizzazione delle figure professionali disponibili in azienda ovvero impegnate in vista dell’esecuzione dell’appalto.
Richiamando quindi l’orientamento secondo il quale,«ai fini del risarcimento dei danni provocati da illegittimo esercizio del potere amministrativo nel corso di gare pubbliche, va comunque detratto dall’importo dovuto a titolo risarcitorio quanto dall’impresa percepito grazie allo svolgimento di ulteriori attività lucrative nel periodo in cui avrebbe dovuto eseguire l’appalto in contestazione» e l’onere di provare l’assenza dell’aliunde perceptum vel percepiendum grava non sulla Pa ma sull’impresa, i giudici di Palazzo Spada hanno ritenuto che la lacuna probatoria impedisse di accogliere la domanda risarcitoria.
Il Consiglio di Stato fa dunque pedissequa applicazione del meccanismo probatorio peculiare elaborato dalla giurisprudenza amministrativa, che si pone in frontale contrasto con un totem della materia istruttoria processuale (soprattutto civilistica), ossia l’inammissibilità della prova negativa: negativa non sunt probanda. Palazzo Spada, in ultima analisi, chiede al ricorrente di provare di non avere realizzato guadagni: solo in presenza di tale prova, il risarcimento può essere riconosciuto.
Se difficilmente può ipotizzarsi il ricorso proficuo alla prova documentale, la via della prova costituenda non è di più facile percorribilità considerando la marginalità e inusualità della prova testimoniale nel processo amministrativo. Che poi la prova del fatto negativo gravi sull’imprenditore è –all’atto pratico- inevitabile, essendo egli l’unico soggetto, almeno in linea di principio, nella condizione di reperire elementi adatti a soddisfare l’onere probatorio. Tuttavia, anche sotto tale profilo si evidenzia l’originalità della posizione del giudice amministrativo: i principi generali della materia probatoria rimettono in capo al debitore la prova del fatto estintivo.
Per converso, seguendo il ragionamento fatto proprio anche dalla decisione in commento, il ricorrente è chiamato a provare il danno –secondo l’ordinario meccanismo delineato dall’articolo 2697 Codice civile– e, contestualmente, a provare che non si siano verificati eventi idonei a incidere, elidendolo in tutto o in parte, sul lamentato nocumento. Si realizza pertanto un totale ribaltamento dell’ottica probatoria, determinando l’orientamento che si è andato consolidando in materia di danno da illegittimo esercizio del potere amministrativo nel corso di gare pubbliche la radicale inversione dell’onere della prova.
Se è pur vero, quindi, che in materia di appalti, dopo la sentenza della Corte di Giustizia sezione III, 30.09.2010, C–314/09, si è ormai consolidata la tesi della responsabilità oggettiva della stazione appaltante, per cui il ricorrente è sollevato dall’onere di provare l’elemento soggettivo della colpa dell’agente, tale vantaggio è controbilanciato dall’intensità dell’onere allegativo imposto in punto di prova del danno.
Proprio la difficoltà della prova può spiegare la relativa infrequenza di pronunce di accoglimento delle istanze risarcitorie proposte a corredo dei ricorsi in materia di appalti. Tale dato, unitamente all’elevato costo del contenzioso disciplinato dall’articolo 120, dlgs 163/2006, può incidere sulla propensione dell’aspirante appaltatore all’impugnativa, posto che, salva l’ipotesi di subentro tempestivo nel contratto all’esito della sospensiva, il ricorso in via giurisdizionale può non costituire un efficace strumento di reintegrazione dell’interesse leso
(articolo Il Sole 24 Ore del 07.01.2016).
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MASSIMA
17. Con memoria finale, in relazione al tempo trascorso dalla stipula del contratto con SIRFIN, TBS ha chiesto che il Ministero dell’interno venga condannato a risarcirle il danno correlato alla consumazione di parte del periodo di durata dell’appalto, quantificandolo (per l’ipotesi che l’auspicato subentro avvenga alla fine del corrente anno), in proporzione all’utile atteso dichiarato in sede di giustificazioni, nella somma di euro 35.735,84 (4.466,98 al mese, da maggio a dicembre 2015).
18. Il Collegio osserva che l’appellante non ha dichiarato di non aver altrimenti impiegato, nel periodo predetto, le risorse occorrenti per l’esecuzione dell’appalto, e in generale non ha prospettato alcun elemento in ordine all’utilizzazione delle figure professionali disponibili in azienda ovvero impegnate in vista dell’esecuzione dell’appalto.
Tale circostanza, in applicazione dell’orientamento di questo Consiglio, secondo il quale,
ai fini del risarcimento dei danni provocati da illegittimo esercizio del potere amministrativo nel corso di gare pubbliche, va comunque detratto dall’importo dovuto a titolo risarcitorio quanto dall’impresa percepito grazie allo svolgimento di ulteriori attività lucrative nel periodo in cui avrebbe dovuto eseguire l’appalto in contestazione e tale onere di provare l’assenza dell’aliunde perceptum vel percepiendum grava non sull’Amministrazione, ma sull’impresa (cfr., da ultimo, III, n. 1839/2015 e n. 5567/2014; IV, n. 1708/2015 e n. 5531/2014; V, n. 4248/2014), impedisce di accogliere la domanda risarcitoria.

LAVORI PUBBLICI: Cantieri e lavori in corso su strada: chi risarcisce i danni?
Dossi, buche, voragini e crepe sulla strada per cantieri con lavori in corso: la responsabilità è sia dell’ente titolare del suolo, come il Comune, sia della ditta appaltatrice dei lavori.
Nel caso di danni subiti da un automobilista alla propria auto o da un pedone per via di lavori in corso sulla sede stradale, a pagare il risarcimento è sia l’amministrazione titolare della strada (il Comune, la Provincia, la Regione, lo Stato, ecc.), sia la ditta appaltatrice dei lavori: entrambi i soggetti, infatti, restano custodi della strada e sono quindi responsabili dei relativi danni procurati ai cittadini.
L’ente titolare del suolo pubblico, però, può poi rivalersi (con un’azione di regresso) nei confronti dell’appaltatore se quest’ultimo non ha predisposto la segnaletica di avviso per come imposto dalla legge.

Lo ha chiarito il TRIBUNALE di Firenze, Sez. II civile, con la sentenza 12.11.2015 n. 3983.
I lavori di manutenzione sulla strada vanno segnalati.
L’avviso dei lavori in corso va sempre adeguatamente indicato con apposita segnaletica che risulti visibile, anche se mobile; così, nel caso di pericolo non visibile e non prevedibile, il motociclista, l’automobilista o il pedone hanno sempre diritto al risarcimento; risarcimento che non può essere loro negato, almeno in parte, anche nell’ipotesi in cui vi sia un concorso di colpa da parte dell’utente della strada per via della velocità non consona da questi mantenuta (tale era il caso di specie che ha visto coinvolto un motociclista il quale procedeva ad andatura non consona allo stato dei luoghi). In questi casi, ditta appaltatrice e Comune (o altra amministrazione titolare della strada) non possono rimpallarsi la responsabilità del risarcimento nei confronti del danneggiato: entrambi sono responsabili in pari misura nei confronti di quest’ultimo che potrà chiedere i soldi all’uno o all’altro soggetto indifferentemente, salvo il diritto dell’amministrazione, di rivalersi contro l’appaltatore qualora sia stato responsabile nel non segnalare il pericolo.
Secondo il Tribunale di Firenze, in tema di danni determinati dall’esistenza di cantieri e lavori stradali, “se l’area del cantiere è stata completamente delimitata ed affidata all’esclusiva custodia dell’appaltatore con conseguente divieto su di essa del traffico veicolare e pedonale, dei danni subiti all’interno di questa area ne risponde esclusivamente l’appaltatore che ne è l’unico custode”.
Se, invece, l’area risulta ancora adibita al traffico “la responsabilità per i danni subiti dall’utente a causa di lavori in corso su detta strada grava su entrambi i soggetti” in quanto “l’ente titolare della strada ne ha conservato la custodia sia pure insieme all’appaltatore utilizzando la strada ai fini della circolazione” (link a www.laleggepertutti.it).

APPALTIa) l’indicazione del nominativo del subappaltatore già in sede di presentazione dell’offerta non è obbligatoria, neanche nell’ipotesi in cui il concorrente non possieda la qualificazione nelle categorie scorporabili previste all’art. 107, comma 2, d.P.R. cit.;
b) non sono legittimamente esercitabili i poteri attinenti al soccorso istruttorio, nel caso di omessa indicazione degli oneri di sicurezza aziendali, anche per le procedure nelle quali la fase della presentazione delle offerte si è conclusa prima della pubblicazione della decisione dell’Adunanza Plenaria n. 3 del 2015
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2.- Occorre, quindi, procedere all’analisi delle questioni devolute all’Adunanza Plenaria, principiando da quella formulata per prima (e meglio di seguito descritta).
2.1- Come già rilevato in fatto, la Quarta Sezione, registrando un contrasto giurisprudenziale sulla decisiva questione dell’obbligatorietà (o meno) dell’indicazione del subappaltatore già nella fase dell’offerta da parte dell’impresa concorrente sprovvista della qualificazione in una o più categorie scorporabili (e, quindi, a fronte di un c.d. subappalto necessario) e, quindi, sulla doverosità della sua esclusione, nell’ipotesi di inosservanza del predetto obbligo (ove giudicato tale), ne ha devoluto la risoluzione all’Adunanza Plenaria.
Al predetto problema, infatti, sono state offerte due diverse soluzioni.
Secondo una prima tesi, infatti, la necessità della dimostrazione, ai fini della partecipazione alla procedura, della qualificazione per tutte le lavorazioni per le quali la normativa di riferimento la esige implica, quale indefettibile corollario, la necessità dell’indicazione del nominativo del subappaltatore già nella fase dell’offerta, di guisa da permettere alla stazione appaltante il controllo circa il possesso, da parte della concorrente, di tutti i requisiti di capacità richiesti per l’esecuzione dell’appalto (Cons. St., sez. V, 25.02.2015, n. 944; sez. V, 10.02.2015, n. 676; sez. V, 28.08.2014, n. 4405; sez. IV, 26.08.2014, n. 4299; sez. IV, 26.05.2014, n. 2675; sez. IV, 13.03.2014, n. 1224; sez. III 05.12.2013, n. 5781); secondo una diversa, e minoritaria, lettura dell’istituto, viceversa, una corretta esegesi delle regole che presidiano i requisiti di qualificazione, e che escludono che, ai fini della partecipazione alla gara, sia necessario il possesso della qualificazione anche per le opere relative alle categorie scorporabili (esigendo il ricorso al subappalto solo per quelle a qualificazione necessaria e nella sola fase dell’esecuzione dell’appalto), impone la diversa soluzione dell’affermazione del solo obbligo di indicazione delle lavorazioni che il concorrente intende affidare in subappalto, ma non anche del nome dell’impresa subappaltatrice (Cons. St., sez. IV, 04.05.2015, n. 2223; sez. V, 07.07.2014, n. 3449; sez. V, 19.06.2012, n. 3563).
Si tratta, come si vede, di ricostruzioni (entrambe) plausibili e ragionevoli, oltre che fondate sull’esigenza di tutelare l’interesse pubblico all’amministrazione imparziale e corretta delle procedure di affidamento dei contratti pubblici.
2.2- La scelta dell’opzione ricostruttiva più coerente con la normativa di riferimento esige una preliminare disamina del sistema di regole alla stregua del quale dev’essere affermata la sussistenza (o meno) dell’obbligo dell’indicazione nominativa del subappaltatore ai fini della partecipazione alla gara.
L’art. 92, commi 1 e 3, del d.P.R. 05.10.2010, n. 207, che disciplina i requisiti di partecipazione alla gara, stabilisce, innanzitutto, che, ai predetti fini, è sufficiente il possesso della qualificazione nella categoria prevalente (quando il concorrente, singolo o associato, non la possieda anche per le categorie scorporabili), purché per l’importo totale dei lavori.
Il combinato disposto degli artt. 92, comma 7 e 109, comma 2, d.P.R. cit. e 37, comma 11, d.lgs. 12.04.2006, n. 163 chiarisce, poi, che il concorrente che non possiede la qualificazione per le opere scorporabili indicate all’art. 107, comma 2 (c.d. opere a qualificazione necessaria) non può eseguire direttamente le relative lavorazioni ma le deve subappaltare a un’impresa provvista della relativa, indispensabile qualificazione.
L’art. 118 d.lgs. cit. (collocato sistematicamente entro la Sezione V del codice, rubricata “principi relativi all’esecuzione del contratto”) si occupa, invece, di definire le modalità e le condizioni per il valido affidamento delle lavorazioni in subappalto e prevede, per quanto qui rileva, che all’atto dell’offerta siano indicati (solo) i lavori che il concorrente intende subappaltare e che l’affidatario depositi, poi, il contratto di subappalto presso la stazione appaltante almeno venti giorni prima della data di inizio delle relative lavorazioni (unitamente a tutte le attestazioni e dichiarazioni prescritte).
2.3- Dall’analisi delle regole appena citate si ricavano, quindi, i seguenti principi:
a) per la partecipazione alla gara è sufficiente il possesso della qualificazione nella categoria prevalente per l’importo totale dei lavori e non è, quindi, necessaria anche la qualificazione nelle categorie scorporabili (neanche in quelle indicate all’art. 107, comma 2, d.P.R. cit.);
b) le lavorazioni relative alle opere scorporabili nelle categorie individuate all’art. 107, comma 2, d.P.R. cit. non possono essere eseguite direttamente dall’affidatario, se sprovvisto della relativa qualificazione (trattandosi, appunto, di opere a qualificazione necessaria);
c) nell’ipotesi sub b) il concorrente deve subappaltare l’esecuzione delle relative lavorazioni ad imprese provviste della pertinente qualificazione;
d) la validità e l’efficacia del subappalto postula, quali condizioni indefettibili, che il concorrente abbia indicato nella fase dell’offerta le lavorazioni che intende subappaltare e che abbia, poi, trasmesso alla stazione appaltante il contratto di subappalto almeno venti giorni prima dell’inizio dei lavori subappaltati;
e) il subappalto è un istituto che attiene alla fase di esecuzione dell’appalto (e che rileva nella gara solo negli stretti limiti della necessaria indicazione delle lavorazioni che ne formeranno oggetto), di talché il suo mancato funzionamento (per qualsivoglia ragione) dev’essere trattato alla stregua di un inadempimento contrattuale, con tutte le conseguenze che ad esso ricollega il codice (tra le quali, ad esempio, l’incameramento della cauzione).
Si tratta come si vede di un apparato regolativo compiuto, coerente, logico e, soprattutto, privo di aporie, antinomie o lacune.
2.4- Ora, a fronte di un sistema di regole chiaro e univoco, quale quello appena esaminato, restano precluse opzioni ermeneutiche additive, analogiche, sistematiche o estensive, che si risolverebbero, a ben vedere, nell’enucleazione di una regola non scritta (la necessità dell’indicazione del nome del subappaltatore già nella fase dell’offerta) che (quella sì) configgerebbe con il dato testuale della disposizione legislativa dedicata alla definizione delle condizioni di validità del subappalto (art. 118, comma 2, d.lgs. cit.) e che, nella catalogazione (esauriente e tassativa) delle stesse, non la contempla.
2.5- Secondo il canone interpretativo sintetizzato nel brocardo in claris non fit interpretatio (e codificato all’art. 12 delle Preleggi), infatti, la prima regola di una corretta esegesi è quella che si fonda sul significato delle parole e che, quindi, là dove questo risulta chiaro ed univoco, quale deve intendersi il dato testuale della predetta disposizione, non è ammessa alcuna interpretazione che corregga la sua portata precettiva (per come desunta dal lessico ivi utilizzato, ove risulti privo di ambiguità semantiche).
2.6- Ma anche in ossequio al canone interpretativo espresso nel brocardo ubi lex voluit dixit ubi noluit tacuit si perviene alle medesime conclusioni.
Là dove, infatti, l’art. 118, secondo comma, d.lgs. cit., ha catalogato (articolandoli in quattro lettere) i requisiti di validità del subappalto, ha evidentemente inteso circoscrivere, in maniera tassativa ed esaustiva, a quei presupposti (e solo a quelli) le condizioni di efficacia del subappalto, sicché ogni opzione ermeneutica che si risolvesse nell’aggiunta di un diverso ed ulteriore adempimento (rispetto a quelli ivi classificati) dev’essere rifiutata in quanto finirebbe per far dire alla legge una cosa che la legge non dice (e che, si presume, secondo il suddetto canone interpretativo, non voleva dire).
2.7- Dall’esame della vigente normativa di riferimento può, in definitiva, identificarsi il paradigma (riferito all’azione amministrativa, ma anche al giudizio della sua legittimità) secondo cui l’indicazione del nome del subappaltatore non è obbligatoria all’atto dell’offerta, neanche nei casi in cui, ai fini dell’esecuzione delle lavorazioni relative a categorie scorporabili a qualificazione necessaria, risulta indispensabile il loro subappalto a un’impresa provvista delle relative qualificazioni (nella fattispecie che viene comunemente, e, per certi versi, impropriamente definita come “subappalto necessario”).
2.8- La correttezza della soluzione appena enunciata (e che risponde al primo quesito nel senso di negare la doverosità dell’indicazione nominativa del subappaltatore) risulta, peraltro, avvalorata e corroborata dai convergenti argomenti di seguito (sinteticamente) dettagliati.
2.9- L’esegesi ut supra preferita risulta, innanzitutto, riscontrata dall’esame diacronico della legislazione in materia, che consegna all’Adunanza la preziosa informazione dell’originaria previsione (nella legge 11.02.1994, n. 109, c.d. Legge Merloni) dell’obbligo dell’indicazione, già nella fase dell’offerta, di una rosa di imprese subappaltatrici (fino al numero di sei) entro le quali avrebbe poi dovuto essere scelta quella affidataria delle lavorazioni subappaltate, e della successiva abrogazione di tale previsione (già nella legge 18.11.1998, n. 415, c.d. Legge Merloni-ter e poi, definitivamente, con il codice dei contratti pubblici), che costituisce il più valido indice della consapevole ed univoca volontà del legislatore del 2006 di escludere, tra le condizioni di validità del subappalto, l’obbligo dell’indicazione nominativa in discussione.
Non solo, ma anche nel disegno di legge di delega al Governo per il recepimento delle direttive 2014/23/UE, 2014/24/UE e 2014/25/UE (all’esame della Camera dei Deputati, in seconda lettura, al momento della redazione della presente decisione) può ricavarsi un ulteriore prezioso riscontro alla tesi scelta dall’Adunanza Plenaria, là dove si ripristina, ivi, l’obbligo dell’indicazione di una terna di subappaltatori, ad ulteriore conferma che il silenzio serbato sul punto dal codice dei contratti pubblici in vigore non può essere trattato alla stregua di una lacuna colmabile in esito ad una complessa ed incerta operazione ermeneutica, ma costituisce una scelta chiara e cosciente (tanto che la legislazione precedente e, forse, quella successiva hanno operato e, probabilmente, opereranno una scelta diversa).
2.10- La correttezza della scelta interpretativa sopra enunciata risulta, peraltro, avvalorata anche dalle determinazioni dell’Autorità di vigilanza sui contratti pubblici (l’AVCP, prima, e l’ANAC, poi) che hanno ripetutamente affermato il principio dell’obbligatorietà della sola indicazione delle lavorazioni che si intendono affidare in subappalto e contestualmente escluso l’obbligatorietà dell’indicazione nominativa del subappaltatore (si vedano la determinazione ANAC nr. 1 dell’08.01.2015; il parere ANAC nr. 11 del 30.01.2014 e la determinazione AVCP nr. 4 del 10.10.2012), approvando, in coerenza con tali enunciazioni, gli schemi dei bandi, con il valore vincolante ad essi assegnati dall’art. 64, comma 4-bis, d.lgs. cit. (e previo parere conforme del Ministero delle infrastrutture).
Come si vede, dunque, le autorità istituzionalmente provviste di competenza in ordine alla vigilanza sulla corretta amministrazione delle procedure di affidamento degli appalti pubblici hanno costantemente espresso l’avviso della doverosità della sola indicazione delle lavorazioni da subappaltare (e non anche del nome dell’impresa subappaltatrice), validando gli schemi dei bandi confezionati in coerenza a tale regola ed ingenerando, perciò, un significativo affidamento circa la legittimità del relativo modus procedendi.
2.11- Lo scrutinio delle direttive europee non conduce ad esiti differenti, confermando, anzi, la correttezza dei principi prima affermati.
Le direttive in materia di appalti pubblici hanno, infatti, rimesso alla discrezionale scelta degli Stati membri o, comunque, delle stazioni appaltanti l’opzione regolatoria attinente alla doverosità dell’indicazione del nome del subappaltatore, ai fini della partecipazione alla gara, astenendosi, quindi, dall’imporre una qualsivoglia soluzione alla pertinente questione.
Orbene, in difetto di un vincolo europeo all’introduzione (in via legislativa o amministrativa) dell’obbligo in discussione, la sua positiva affermazione esige una chiara, univoca ed esplicita sua previsione (con una specifica disposizione di legge), in mancanza della quale resta precluso all’interprete (che eserciterebbe inammissibilmente, in tal modo, in luogo del legislatore o della stazione appaltante, la potestà discrezionale assegnata allo Stato membro dalle direttive) il suo riconoscimento (in esito, peraltro, a un percorso ermeneutico di dubbio fondamento positivo).
2.12- Non solo, ma la tesi contraria dev’essere rifiutata anche perché produrrebbe effetti distorsivi (rispetto al sistema) o, comunque, inutili (rispetto agli interessi che con la stessa si intendono tutelare).
2.13- In primo luogo, l’affermazione dell’obbligo di indicare il nominativo del subappaltatore all’atto dell’offerta si risolverebbe in una eterointegrazione del bando (che non lo prevedeva), mediante l’inammissibile inserzione automatica nella lex specialis di un obbligo non previsto da alcuna disposizione normativa cogente pretermessa nell’avviso (da valersi quale unica condizione legittimante della sua eterointegrazione).
Mentre, infatti, l’eterointegrazione della lex specialis postula logicamente l’omessa ripetizione, in essa, di un adempimento viceversa sancito chiaramente da una disposizione normativa imperativa (cfr. ex multis Cons. St., sez. VI, 11.03.2015, n. 1250), nella fattispecie in esame verrebbe, al contrario, automaticamente inserita nel bando una clausola non rinvenibile nel diritto positivo e di mera creazione giurisprudenziale.
2.14- La statuizione dell’adempimento in questione finirebbe, inoltre, per costituire una clausola espulsiva atipica, in palese spregio del principio di tassatività delle cause di esclusione (codificato all’art. 46, comma 1-bis, d.lgs. cit.).
Se è vero, infatti, che la latitudine applicativa della predetta disposizione è stata decifrata come comprensiva anche dell’inosservanza di adempimenti doverosi prescritti dal codice, ancorché non assistiti dalla sanzione espulsiva (cfr. Ad. Plen. n. 9 e n. 16 del 2014), è anche vero che l’applicazione di tale principio esige, in ogni caso, l’esistenza di una prescrizione legislativa espressa, chiara e cogente (nella fattispecie non rintracciabile nel codice dei contratti pubblici).
2.15- La tesi favorevole all’affermazione dell’obbligo in questione comporterebbe, peraltro, una confusione tra avvalimento e subappalto, nella misura in cui attrae il rapporto con l’impresa subappaltatrice nella fase della gara, anziché in quella dell’esecuzione dell’appalto, con ciò assimilando due istituti che presentano presupposti, finalità e regolazioni diverse, ma senza creare il medesimo vincolo dell’avvalimento e senza assicurare, quindi, alla stazione appaltante le stesse garanzie contrattuali da esso offerte.
Non solo, ma il relativo assunto si rivela distorsivo del mercato dei lavori pubblici, nella misura in cui costringe le imprese concorrenti a scegliere una (sola) impresa subappaltatrice, già nella fase della partecipazione alla gara, mediante l’imposizione di un onere partecipativo del tutto sproporzionato e gravoso.
2.16- La prospettazione qui disattesa finirebbe, infine, per introdurrebbe un requisito di qualificazione diverso ed ulteriore rispetto a quelli stabiliti, con disciplina completa ed autosufficiente, dall’art. 92 d.P.R. cit. (che, come si è già rilevato, esclude l’obbligo del possesso delle attestazioni nelle categorie scorporabili, ancorché a qualificazione necessaria, ai fini della partecipazione alla gara), implicando, di conseguenza, la sua inammissibile disapplicazione, che, tuttavia, postula l’indefettibile presupposto, nella specie inconfigurabile, dell’illegittimità della norma secondaria in quanto confliggente con la disposizione legislativa primaria (come chiarito, ex multis, da Cons. St., sez. VI, 14.07.2014, n.3623).
Se, infatti, il fondamento logico e sistematico della tesi ricostruttiva che afferma l’obbligatorietà dell’indicazione del nominativo del subappaltatore all’atto dell’offerta dev’essere rinvenuto nell’esigenza di garantire alla stazione appaltante il controllo del possesso da parte del concorrente di tutti i requisiti di qualificazione necessari, la sua condivisione postula l’affermazione della necessità, ai fini della partecipazione alla procedura, della dimostrazione della titolarità delle attestazioni riferite anche alle opere scorporabili (ciò che, invece, risulta chiaramente escluso dalla citata disposizione regolamentare dedicata alla disciplina delle qualificazioni e che andrebbe, quindi, logicamente disapplicata, ma in difetto della indispensabile condizione, sopra ricordata, della sua illegittimità).
3.- La soluzione del primo quesito implica la decadenza del secondo, in quanto fondato sull’unico presupposto dell’affermazione della necessità dell’indicazione nominativa del subappaltatore (viceversa negata con la risposta al primo quesito).
4.- Con il terzo quesito si chiede all’Adunanza Plenaria di chiarire la legittimità (rectius: la doverosità) dell’uso dei poteri di soccorso istruttorio nei casi in cui la fase procedurale di presentazione delle offerte si sia perfezionata prima della pubblicazione della decisione dell’Adunanza Plenaria 20.03.2015 n. 3 (con la quale è stato chiarito che l’obbligo, codificato all’art. 87, comma 4, d.lgs. cit., di indicazione degli oneri di sicurezza aziendale si applica anche agli appalti di lavori).
A tale problema occorre offrire una risposta negativa, in quanto con la medesima decisione dell’Adunanza Plenaria è stata espressamente esclusa la sanabilità con il soccorso istruttorio dell’omissione dell’indicazione degli oneri di sicurezza aziendale, che si risolverebbe in un’inammissibile integrazione postuma di un elemento essenziale dell’offerta (cfr. Ad. Plen. n. 3 del 2015, punto 2.10).
Non si ravvisano, peraltro, ragioni per rimeditare tale (condivisibile e recente) avviso, nella misura in cui si rivela coerente con la lettura della funzione e dei limiti di operatività dell’istituto del soccorso istruttorio, per come enunciati da questa stessa Adunanza Plenaria (Ad. Plen. n.9 del 2014).
A questo proposito non può accedersi alla tesi propugnata dalla difesa delle appellanti secondo cui, in applicazione del principio di cui alla A.P. n. 21 del 2012, dovrebbe affermarsi che la esclusione dalla gara per non avere indicato gli oneri di sicurezza aziendale potrebbe essere comminata solo per le procedure bandite successivamente alla pubblicazione della decisione della A.P. n. 3 del 2015.
L’Adunanza al riguardo approfondendo la questione, ritiene di dover riaffermare il tradizionale insegnamento in tema di esegesi giurisprudenziale, anche monofilattica, che attribuisce ad essa valore esclusivamente dichiarativo.
La diversa opinione finisce per attribuire alla esegesi valore ed efficacia normativa in contrasto con la logica intrinseca della interpretazione e con il principio costituzionale della separazione dei poteri venendosi a porre in sostanza come una fonte di produzione.
In proposito è stato perspicuamente osservato: “Ad una diversa conclusione potrebbe invero giungersi solo ove si ritenga che la precedente interpretazione, ancorché poi corretta, costituisca il parametro normativo immanente per la verifica di validità dell’atto compiuto in correlazione temporale con essa (ut lex temporis acti). Ma con ciò, all’evidenza, si trasformerebbe una sequenza di interventi accertativi del contenuto della norma in una operazione di creazione di un novum ius, in sequenza ad un vetus ius, con sostanziale attribuzione, ai singoli arresti, del valore di atti fonte del diritto, di provenienza dal giudice; soluzione non certo coniugabile con il precetto costituzionale dell’art. 101 Cost.” (Cassazione SS.UU. n. 15144 del 2011).
E’ significativo che anche le recenti aperture del giudice di legittimità in tema di prospective overruling siano rimaste confinate in ambito strettamente delimitato.
A far tempo dalla già citata pronuncia delle Sezioni unite n. 15144 del 2011 si è costantemente affermato che per attribuire carattere innovativo all’intervento nomofilattico occorre la concomitanza di tre precisi presupposti e cioè che l’esegesi incida su una regola del processo; che si tratti di esegesi inprevedibile susseguente ad altra consolidata nel tempo e quindi tale da indurre un ragionevole affidamento, e che infine -presupposto decisivo– comporti un effetto preclusivo del diritto di azione o di difesa (v. anche Cass. 28967/2011; 12704/2012 e, da ultimo, 19700/2015; 20007/2015).
Nel caso di specie nessuno degli anzidetti presupposti può ritenersi sussistente non trattandosi di norma attinente ad un procedimento di carattere giurisdizionale, non preesistendo un indirizzo lungamente consolidato nel tempo e non risultando precluso il diritto di azione o di difesa per alcuna delle parti in causa.
In conclusione, se da un lato non sembra possibile elevare la precedente esegesi al rango di legge per il periodo antecedente al suo mutamento, dall’altro non possono essere sottotaciute le aspirazioni del cittadino alla sempre maggiore certezza del diritto ed alla stabilità della nomofiliachia, ma trattasi di esigenze che, ancorché comprensibili e condivisibili de jure condendo, nell’attuale assetto costituzionale possono essere affrontate e risolte esclusivamente dal legislatore.
5.- Alla stregua delle considerazioni che precedono, si devono, quindi, affermare i principi di diritto che seguono:
a) l’indicazione del nominativo del subappaltatore già in sede di presentazione dell’offerta non è obbligatoria, neanche nell’ipotesi in cui il concorrente non possieda la qualificazione nelle categorie scorporabili previste all’art. 107, comma 2, d.P.R. cit.;
b) non sono legittimamente esercitabili i poteri attinenti al soccorso istruttorio, nel caso di omessa indicazione degli oneri di sicurezza aziendali, anche per le procedure nelle quali la fase della presentazione delle offerte si è conclusa prima della pubblicazione della decisione dell’Adunanza Plenaria n. 3 del 2015
(Consiglio di Stato, Adunanza plenaria, sentenza 02.11.2015 n. 9 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Enti pubblici al test riciclaggio. Sotto la lente appalti, sanità, rifiuti, energie rinnovabili. Riorganizzazione delle amministrazioni richiesta dagli adempimenti di segnalazione.
Appalti, sanità, produzione di energie rinnovabili, raccolta e smaltimento dei rifiuti sono le attività che presentano i maggiori rischi di riciclaggio, nonché i settori economici interessati dall'erogazione di fondi pubblici, anche di fonte comunitaria.

Sono questi, quindi, gli ambiti che devono essere monitorati con particolare attenzione dagli operatori di enti locali, istituti, scuole, aziende sanitarie e amministrazioni della p.a., secondo il
decreto 25.09.2015 del Ministero dell'interno, ai fini della segnalazione delle operazioni sospette di riciclaggio e finanziamento del terrorismo.
Ciò comporta una sostanziale opera di riorganizzazione degli uffici pubblici che dovranno concretamente attrezzarsi per verificare la sussistenza delle fattispecie previste negli indicatori previsti dal decreto, per scovare il possibile coinvolgimento dell'imprenditore, che entri in contatto con l'amministrazione, in situazioni di riciclaggio o finanziamento del terrorismo.
La collaborazione attiva delle pubbliche amministrazioni. Non più solo i professionisti e gli intermediari finanziari devono preoccuparsi, da un punto di vista operativo, di provvedere alle segnalazioni di operazioni sospette e agli obblighi antiriciclaggio.
Con il decreto del 25/09/2015, infatti, anche tutta la pubblica amministrazione deve concretamente attivarsi al fine di agevolare l'individuazione delle operazioni sospette di riciclaggio e di finanziamento del terrorismo (si veda ItaliaOggi del 09/10/2015). In effetti, ricordiamo che gli uffici della pubblica amministrazione rientrano fra i destinatari della normativa antiriciclaggio fin dalla legge 197/1991. Il dlgs 231/2007 conferma tale scelta all'art. 10, comma 2, prevedendo per detti uffici esclusivamente il rispetto degli obblighi di segnalazione di operazioni sospette.
Nonostante il dato normativo, tuttavia, afferma l'Uif nel suo rapporto annuale per il 2014: «Finora la pubblica amministrazione non ha dimostrato di avere, in generale, consapevolezza del proprio ruolo nell'ambito della collaborazione attiva». In proposito, il National Risk Assessment rileva che si tratta di una «vulnerabilità non di poco conto se si pensa alla rilevanza del fenomeno della corruzione ovvero alla presenza di ambiti fortemente appetibili per la criminalità come il settore degli appalti pubblici o dei finanziamenti comunitari».
Proprio al fine di sensibilizzare la p.a. sugli obblighi di collaborazione attiva, la Uif, unitamente al ministero dell'interno, ha provveduto a definire gli specifici indicatori di anomalia in commento che, in accordo al principio di proporzionalità e secondo un approccio basato sul rischio, tengono conto dei settori pubblici maggiormente esposti al rischio di riciclaggio. In proposito, gli ambiti di attività più colpiti risultano quelli interessati dalla movimentazione di elevati flussi finanziari, anche di natura pubblica, quali il settore fiscale, gli appalti e i finanziamenti pubblici.
Sul tema, comunque si tiene a precisare che la via intrapresa dall'Italia, non trova corrispondenza con la normativa europea in quanto la Direttiva 2005/60/Ce (c.d. III Direttiva), così come la Direttiva 2015/849 del 20.05.2015 (c.d. IV Direttiva), pubblicata in Guue del 05.06.2015 e da recepire negli ordinamenti nazionali entro la data del 26.06.2017 (si veda ItaliaOggi Sette del 05/10/2015), non contengono riferimenti a obblighi di prevenzione del riciclaggio e del finanziamento del terrorismo a carico della p.a..
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Massima allerta sui comportamenti sotto la lente.
Non basta la verifica formale della documentazione fornita dalle imprese che chiedono di partecipare agli appalti o di ricevere dei fondi pubblici, piuttosto serve un controllo sostanziale dei comportamenti attuati dai richiedenti per individuare possibili fattispecie tipizzate negli indicatori previsti dal decreto con conseguente responsabilità sui responsabili dei procedimenti e sui dirigenti delle strutture pubbliche.
Si tratta di controlli di non semplice realizzazione pratica anche considerando che il decreto tiene a precisare la non esaustività dell'elencazione delle anomalie e inoltre che l'impossibilità di ricondurre operazioni o comportamenti a uno o più degli indicatori previsti nell'allegato del decreto non è sufficiente a escludere che l'operazione sia sospetta.
Gli operatori devono, pertanto, valutare con la massima attenzione ulteriori comportamenti e caratteristiche dell'operazione che, sebbene non descritti negli indicatori, siano egualmente sintomatici di profili di sospetto. Per quanto riguarda, poi, il sospetto di operazioni riconducibili al finanziamento del terrorismo, il decreto puntualizza che lo stesso può essere desunto anche dal riscontro di un nominativo e dei relativi dati anagrafici nelle liste pubbliche consultabili sul sito della Uif.
A riguardo, si chiarisce comunque che, ai fini della segnalazione, non è sufficiente la mera omonimia, qualora il segnalante possa escludere, sulla base di tutti gli elementi disponibili, che uno o più dei dati identificativi siano effettivamente gli stessi indicati nelle liste, intendendo per dati identificativi le cariche, le qualifiche e ogni altro dato riferito nelle liste che risulti incompatibile con il profilo economico-finanziario e con le caratteristiche oggettive e soggettive del nominativo.
Nell'ottica operativa, infine, il decreto richiede che gli operatori della p.a. adottino in base alla propria autonomia organizzativa, procedure interne di valutazione che culminano con la trasmissione delle informazioni relative all'operazione sospetta a un soggetto denominato «gestore».
Quest'ultimo può coincidere con il responsabile della prevenzione della corruzione previsto dall'art. 1, comma 7, legge 190/2012. Negli enti locali con popolazione inferiore a 15 mila abitanti può essere individuato un gestore comune ai fini dell'adempimento dell'obbligo di segnalazione delle operazioni sospette (articolo ItaliaOggi Sette del 02.11.2015).

ottobre 2015

APPALTIComuni, gli appalti a rischio. Il sistema non è pronto: Cantone sollecita una soluzione al Governo.
Spending review. Dal primo novembre scatta l’obbligo di aggregare le gare per le città non capoluogo.

Appalti dei Comuni a rischio blocco dal primo novembre. Dopo sei proroghe consecutive entra in vigore la norma che impone a tutte le città non capoluogo di aggregare le gare, attraverso consorzi e unioni di comuni oppure passando dagli uffici di una provincia o da un soggetto aggregatore.
Dalla prossima settimana solo i grandi comuni potranno continuare a bandire le gare in autonomia. Per tutti gli enti non capoluogo scatta invece la tagliola prevista dalla spending review inaugurata dal Governo Monti nel 2012: per risparmiare e permettere di controllare meglio la spesa le gare vanno aggregate. Un principio che vale per beni e servizi, ma anche per i lavori pubblici.
A meno di proroghe dell’ultim’ora non c’è possibilità di aggirare i vincoli. Chi non si adegua non potrà neppure avviare l’iter di gara. La norma del codice appalti che impone l’aggregazione, e che finora è rimasta congelata a suon di proroghe (articolo 33, comma 3-bis), vieta infatti all’Autorità Anticorruzione di rilasciare il codice che identifica la procedura (il cosiddetto codice Cig) la cui richiesta è propedeutica alla pubblicazione dei bandi di gara.
Uno spauracchio che non è bastato. Nel Paese degli 8mila campanili finora poco o nulla si è mosso sul fronte della centralizzazione degli appalti. Anche il sistema dei 35 soggetti aggregatori è in via di formazione. Qualche Regione è pronta a partire, altre sono indietro. In alcune aree del paese i sindaci non saprebbero a chi rivolgersi per bandire le loro gare. Dunque è più che concreto il pericolo di mandare in stallo gli appalti dei comuni: il principale tra i motori che in questi ultimi mesi hanno tenuto faticosamente a galla i lavori pubblici.
Se ne rende conto anche l’Anac di Raffaele Cantone. Che non a caso in queste ore sta lavorando a un documento da inviare a Governo e Parlamento per segnalare l’urgenza di una soluzione. Il problema si era già posto, negli stessi termini, a luglio 2014, alla scadenza di una delle tante proroghe concesse ai Comuni in ritardo sugli obblighi di aggregazione degli acquisti. Allora l'impasse fu superata con l'inserimento di una nuova proroga nel Dl 90/2014 e la decisione di Cantone di sbloccare il rilascio dei codici di gara (Cig) in anticipo sulla conversione del decreto. Uno scenario che potrebbe replicarsi anche ora.
Ad aggravare la situazione e c'è il fatto che l'entrata in vigore dal primo novembre porterebbe due mesi di caos totale per i Comuni più piccoli. Con le regole in vigore, infatti, quelli sotto i 10mila abitanti non possono bandire gare in autonomia, neppure sotto la soglia di 40mila euro. Dal primo gennaio, però, in base alla legge di Stabilità potranno farlo. C'è da scommettere che in questi 60 giorni la maggioranza dei sindaci tirerà i remi in barca, aspettando il 2016 per ricominciare a gestire gli appalti in maniera ordinata.
Per questo è allo studio un emendamento al Dl sulla finanza locale (promosso dai Comuni, ma non ancora presentato), per collegare l’entrata in vigore dei vincoli di aggregazione alla partenza del nuovo Codice appalti. Una riforma che peraltro continua a slittare in Parlamento.
L’esame della delega al governo per riscrivere il sistema dei contratti pubblici, calendarizzato per ieri, è stato rinviato alla prossima settimana su richiesta del Governo. Motivazione ufficiale: la necessità di riesaminare il testo varato dalla Commissione Lavori pubblici guidata da Ermete Realacci per blindarlo rispetto a ipotesi di ulteriori modifiche al Senato. Ma forse pesa anche l’assenza del premier Matteo Renzi , impegnato nel viaggio istituzionale in Sud America, alla vigilia dell’approvazione di una riforma decisiva per il settore
(articolo Il Sole 24 Ore del 28.10.2015).

APPALTIL’art. 49 del d. lgs. n. 163 del 2006 stabilisce, al comma 2, lettera d), che per usufruire dell’avvalimento il concorrente deve allegare «una dichiarazione sottoscritta dall'impresa ausiliaria con cui quest'ultima si obbliga verso il concorrente e verso la stazione appaltante a mettere a disposizione per tutta la durata dell'appalto le risorse necessarie di cui è carente il concorrente», e, al comma 2, lettera f), che deve pure allegare «in originale o copia autentica il contratto in virtù del quale l'impresa ausiliaria si obbliga nei confronti del concorrente a fornire i requisiti e a mettere a disposizione le risorse necessarie per tutta la durata dell'appalto».
Poiché il riportato art. 49 non pone alcuna limitazione all’applicazione dell'istituto dell'avvalimento, se non con riguardo ai requisiti strettamente personali di carattere generale, di cui agli artt. 38 e 39, deve ritenersi ammissibile l'avvalimento anche per dimostrare il fatturato e l'esperienza pregressa.
A tale istituto la giurisprudenza ha riconosciuto un amplissimo ambito di applicazione, anche per i requisiti che attengono a profili personali del concorrente, quali il fatturato o l'esperienza pregressa, la certificazione di qualità e, in genere, i requisiti soggettivi di qualità.
Va pertanto ritenuto ammissibile anche il c.d. «avvalimento di garanzia», con il quale l'impresa ausiliaria mette la propria solidità economica e finanziaria al servizio dell'ausiliata.
L'unico limite imposto al riguardo dall'ordinamento è che l'avvalimento non si risolva nel prestito di una mera «condizione soggettiva», del tutto disancorata dalla concreta messa a disposizione di risorse materiali, economiche o gestionali, dovendo l'impresa ausiliaria assumere l'obbligazione di mettere a disposizione dell'impresa ausiliata, in relazione all'esecuzione dell'appalto, le proprie risorse e il proprio apparato organizzativo in tutte le parti che giustificano l'attribuzione del requisito di qualità (e, quindi, a seconda dei casi, i mezzi, il personale, la prassi e tutti gli altri elementi aziendali qualificanti, in relazione all'oggetto dell'appalto).
Di conseguenza il limite di operatività dell'istituto è dato dal fatto che la messa a disposizione del requisito mancante non deve risolversi nel prestito di un valore puramente «cartolare e astratto», ma è invece necessario che dal contratto di avvalimento risulti un impegno chiaro e concreto dell'impresa ausiliaria a prestare le proprie risorse ed il proprio apparato organizzativo in tutte le parti che giustificano l'attribuzione del requisito di garanzia.
Le regole applicabili in materia di avvalimento, pur finalizzate a garantire la serietà, la concretezza e la determinatezza di questo, ad avviso del collegio non devono comunque essere interpretate meccanicamente, secondo aprioristici schematismi concettuali, che non tengano conto del singolo appalto e, soprattutto, frustrando la sostanziale disciplina dettata dalla lex specialis
.
Nelle gare pubbliche, il ricorso all'avvalimento, avente ad oggetto il fatturato o l'esperienza pregressa, è quindi, in linea di principio, legittimo, non ponendo la disciplina dell'art. 49 del d.lgs. n. 163 del 2006 alcuna limitazione se non per i requisiti strettamente personali di carattere generale, di cui agli artt. 38 e 39 dello stesso d.lgs. n. 163 del 2006
.
Nelle gare pubbliche, il ricorso all'avvalimento, avente ad oggetto il fatturato o l'esperienza pregressa, è quindi, in linea di principio, legittimo, non ponendo la disciplina dell'art. 49 del d.lgs. n. 163 del 2006 alcuna limitazione se non per i requisiti strettamente personali di carattere generale, di cui agli artt. 38 e 39 dello stesso d.lgs. n. 163 del 2006.
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Invero,
nelle gare pubbliche, per stabilire il grado di specificità del contratto di avvalimento di garanzia fra l'impresa partecipante e l'ausiliaria, occorre avere riguardo a come il requisito ausiliato si pone e che peso ha, nel sistema delineato dalla lex specialis, rispetto all'oggetto dell'appalto; proprio per questo, il requisito solo finanziario non impone altro obbligo negoziale che l'impegno dell'impresa ausiliaria di rispondere, nei limiti che il requisito stesso ha nel contesto della gara, con le proprie e complessive risorse economiche quando, in sede esecutiva, la necessità sottesa al requisito si renda attuale.
Ciò non implica necessariamente il coinvolgimento di aspetti specifici dell'organizzazione della impresa, donde la non necessità di dedurli in contratto, se questi non rispondano al concreto interesse della stazione appaltante, desumibile dall'indicazione del requisito stesso.

Peraltro, in un caso analogo
è stato ritenuto dalla giurisprudenza conforme alle previsioni di legge in proposito il contratto con il quale la società ausiliaria si è obbligata a mettere a disposizione dell'impresa ausiliata, per tutta la durata dell'appalto, il requisito del fatturato specifico realizzato in un determinato anno.
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Circa il fatto che la fattispecie in esame sarebbe inquadrabile almeno in parte nell’ambito dell’«avvalimento di garanzia», che ha ad oggetto requisiti immateriali o soggettivi (come referenze bancarie, fatturato e simili), distinto dall’«avvalimento operativo», avente ad oggetto requisiti materiali (come mezzi ed attrezzature), con sufficienza della responsabilità solidale dell’ausiliaria, di cui all’art. 49, comma 4, del d.lgs. n. 163 del 2006, alla tutela delle esigenze pubbliche, senza necessità di specificazione delle risorse e dei mezzi messi a disposizione, la distinzione tra tali figure di avvalimento non avrebbe un solido fondamento giuridico, non esistendo disposizioni differenzianti la specificità dell’oggetto a seconda dell’una o dell’altra categoria e non potendo l’«avvalimento di garanzia» rimanere astratto, cioè svincolato da qualsiasi collegamento con risorse materiali ed immateriali poste a disposizione dell’ausiliata.
16.1.- Osserva in proposito il Collegio che, come già rilevato,
il ricorso all'istituto dell'avvalimento è riconosciuto dalla giurisprudenza come possibile in un ampio ventaglio di ipotesi, muovendo dalla ratio dello stesso, che è quella di consentire la massima partecipazione alle gare, permettendo ai concorrenti, privi dei requisiti richiesti dal bando, di avvalersi dei requisiti di altri soggetti, e di agevolare così l'ingresso sul mercato di nuovi operatori e quindi la concorrenza fra le imprese.
E’ stato ritenuto ammissibile anche il c.d. avvalimento di garanzia, con l’unico limite che esso non si risolva nel prestito di una mera condizione soggettiva, del tutto disancorata dalla concreta messa a disposizione di risorse materiali, economiche o gestionali.

Può convenirsi con la sentenza del Consiglio di giustizia amministrativa della Sicilia n. 35 del 2015 richiamata dalla appellante che
la distinzione tra avvalimento di garanzia e avvalimento tecnico-operativo non può tradursi in un differente regime giuridico, ma va considerato che è pure ivi condivisibilmente affermato che il c.d. avvalimento di garanzia «non deve rimanere astratto, cioè svincolato da qualsivoglia collegamento con risorse materiali o immateriali, che snaturerebbe l'istituto, in elusione dei requisiti stabiliti nel bando di gara, esibiti solo in modo formale, finendo col frustare anche la funzione di garanzia».
Ciò si traduce nella necessità che nel contratto siano adeguatamente indicati, a seconda dei casi, il fatturato globale e l'importo relativo ai servizi o forniture nel settore oggetto della gara nonché, come specificato dalla dottrina, gli specifici «fattori della produzione e tutte le risorse che hanno permesso all'ausiliaria di eseguire le prestazioni analoghe nel periodo richiesto dal bando».
Anche nell'avvalimento di garanzia i requisiti di fatturato sono infatti preordinati a garantire l'affidabilità del concorrente a sostenere finanziariamente sia l'attuazione dell'appalto, sia il risarcimento della stazione appaltante nel caso d'inadempimento.
Può quindi concludersi che anche l'avvalimento di garanzia, a prescindere dalla possibilità di distinguerlo giuridicamente da quello operativo, è consentito purché i relativi atti non si risolvano in formule generiche e svincolate da qualsiasi collegamento con le risorse materiali o immateriali rese disponibili.
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Deve ritenersi invalido il contratto di avvalimento solo in presenza di una condizione, apposta all'impegno relativo, tale da non consentire la certezza dell'impegno contenuto nel contratto di avvalimento.
Il contratto di avvalimento non è quindi valido ove sottoposto a condizione meramente potestativa, trattandosi in questo caso dell’assunzione di un obbligo ‘nulla’ ai sensi dell'art. 1355 del c.c.
È stato invece ritenuto legittimo il contratto di avvalimento sottoposto a condizione di acquisire efficacia solo nel caso in cui la società avvalsa avrebbe conseguito l'aggiudicazione della gara, essendo chiaro che l'evento dedotto in condizione è proprio l'aggiudicazione dell'appalto, in funzione del quale l'avvalimento è stato stipulato, e che si tratta propriamente di condizione risolutiva
, che postula che le parti subordinino la risoluzione del contratto, o di un singolo patto, ad un evento, futuro ed incerto, il cui verificarsi priva di effetti il negozio ab origine.
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15.1.- Passando all’esame di tali censure, la Sezione rileva che
l’art. 49 del d.lgs. n. 163 del 2006 stabilisce, al comma 2, lettera d), che per usufruire dell’avvalimento il concorrente deve allegare «una dichiarazione sottoscritta dall'impresa ausiliaria con cui quest'ultima si obbliga verso il concorrente e verso la stazione appaltante a mettere a disposizione per tutta la durata dell'appalto le risorse necessarie di cui è carente il concorrente», e, al comma 2, lettera f), che deve pure allegare «in originale o copia autentica il contratto in virtù del quale l'impresa ausiliaria si obbliga nei confronti del concorrente a fornire i requisiti e a mettere a disposizione le risorse necessarie per tutta la durata dell'appalto».
Inoltre, l’art. 88 del d.P.R. n. 207 del 2010 dispone che, «Per la qualificazione in gara, il contratto di cui all'articolo 49, comma 2, lettera f), del codice deve riportare in modo compiuto, esplicito ed esauriente:
a) oggetto: le risorse e i mezzi prestati in modo determinato e specifico;
b) durata;
c) ogni altro utile elemento ai fini dell'avvalimento
».
Poiché il riportato art. 49 non pone alcuna limitazione all’applicazione dell'istituto dell'avvalimento, se non con riguardo ai requisiti strettamente personali di carattere generale, di cui agli artt. 38 e 39, deve ritenersi ammissibile l'avvalimento anche per dimostrare il fatturato e l'esperienza pregressa.
A tale istituto la giurisprudenza ha riconosciuto un amplissimo ambito di applicazione, anche per i requisiti che attengono a profili personali del concorrente, quali il fatturato o l'esperienza pregressa, la certificazione di qualità e, in genere, i requisiti soggettivi di qualità.
Va pertanto ritenuto ammissibile anche il c.d. «avvalimento di garanzia», con il quale l'impresa ausiliaria mette la propria solidità economica e finanziaria al servizio dell'ausiliata.
L'unico limite imposto al riguardo dall'ordinamento è che l'avvalimento non si risolva nel prestito di una mera «condizione soggettiva», del tutto disancorata dalla concreta messa a disposizione di risorse materiali, economiche o gestionali, dovendo l'impresa ausiliaria assumere l'obbligazione di mettere a disposizione dell'impresa ausiliata, in relazione all'esecuzione dell'appalto, le proprie risorse e il proprio apparato organizzativo in tutte le parti che giustificano l'attribuzione del requisito di qualità (e, quindi, a seconda dei casi, i mezzi, il personale, la prassi e tutti gli altri elementi aziendali qualificanti, in relazione all'oggetto dell'appalto).
Di conseguenza il limite di operatività dell'istituto è dato dal fatto che la messa a disposizione del requisito mancante non deve risolversi nel prestito di un valore puramente «cartolare e astratto», ma è invece necessario che dal contratto di avvalimento risulti un impegno chiaro e concreto dell'impresa ausiliaria a prestare le proprie risorse ed il proprio apparato organizzativo in tutte le parti che giustificano l'attribuzione del requisito di garanzia.
Le regole applicabili in materia di avvalimento, pur finalizzate a garantire la serietà, la concretezza e la determinatezza di questo, ad avviso del collegio non devono comunque essere interpretate meccanicamente, secondo aprioristici schematismi concettuali, che non tengano conto del singolo appalto e, soprattutto, frustrando la sostanziale disciplina dettata dalla lex specialis
(che nel caso di specie, mirava a garantire con l'avvalimento una specifica risorsa immateriale, cioè il fatturato, frutto di una specifica esperienza maturata in un settore eguale o analogo a quello del servizio richiesto).
Nelle gare pubbliche, il ricorso all'avvalimento, avente ad oggetto il fatturato o l'esperienza pregressa, è quindi, in linea di principio, legittimo, non ponendo la disciplina dell'art. 49 del d.lgs. n. 163 del 2006 alcuna limitazione se non per i requisiti strettamente personali di carattere generale, di cui agli artt. 38 e 39 dello stesso d.lgs. n. 163 del 2006 (Consiglio di Stato, sez. III, 17.06.2014, n. 3058; Consiglio di Stato, sez. V, 14.02.2013, n. 911).
Come posto in rilievo dal giudice di primo grado, con il contratto di avvalimento di cui trattasi la ausiliaria s.r.l. Global Cri si era impegnata a mettere a disposizione della s.r.l. La Cascina Global Service i requisiti speciali di partecipazione di cui ai punti III.2.2 lett. c.2) e III.2.3 lett. a) del bando di gara, cioè il «fatturato dell’impresa relativo ai servizi nel settore oggetto della gara pari o superiore, nel triennio, ad euro 2.482.652,50, ossia pari ad 1 volta il valore complessivo del presente appalto» e la «realizzazione di almeno un servizio analogo nell’ambito dello stesso settore negli ultimi tre anni, con l’indicazione degli importi, delle date e dei destinatari, pubblici o privati, dei servizi stessi» (cioè il fatturato specifico del triennio 2010-2012 per il servizio di pulizia e manutenzione immobili, servizi cimiteriali e servizio di custodia, svolti presso il Comune di Torre Santa Susanna).
Con il contratto era stato anche stabilito che l’impresa ausiliaria, «ove occorra: a) presterà la consulenza richiesta dall’impresa concorrente, per la risoluzione di problemi tecnici di particolare difficoltà; b) comunicherà all’impresa concorrente gli standards operativi e le procedure di intervento elaborate per una più efficace esecuzione dei servizi affidati; c) formerà ed organizzerà il personale dell’impresa concorrente».
Quindi era stato messo a disposizione dell’ausiliata solo un bene, richiesto dalla lex specialis (non precipuamente classificabile secondo le indicazioni contenute nelle norme sopra richiamate, trattandosi non di mezzi o strumentazioni, o attrezzature), cioè un bene immateriale, che, comunque, non era indeterminato nell’oggetto, o solo cartolare o generico, né riproduceva pedissequamente la formula legislativa, essendo valutabile come congruo con riferimento alla natura del requisito prestato, meramente esperienziale, e dell’oggetto della gara, senza alcuna necessità di indicazione di mezzi ed attrezzature.
All’impresa ausiliaria non poteva infatti essere chiesto di dimostrare il possesso di un requisito in maniera diversa e più intensa rispetto a quanto previsto dalla lex specialis come oggetto di sua dimostrazione, se non avesse avuto bisogno di ricorrere all’avvalimento (cioè, nel caso di specie, la realizzazione di almeno un servizio analogo nell’ambito dello stesso settore negli ultimi tre anni, con indicazione degli importi, delle date e dei destinatari dei servizi stessi).
Invero,
nelle gare pubbliche, per stabilire il grado di specificità del contratto di avvalimento di garanzia fra l'impresa partecipante e l'ausiliaria, occorre avere riguardo a come il requisito ausiliato si pone e che peso ha, nel sistema delineato dalla lex specialis, rispetto all'oggetto dell'appalto; proprio per questo, il requisito solo finanziario non impone altro obbligo negoziale che l'impegno dell'impresa ausiliaria di rispondere, nei limiti che il requisito stesso ha nel contesto della gara, con le proprie e complessive risorse economiche quando, in sede esecutiva, la necessità sottesa al requisito si renda attuale.
Ciò non implica necessariamente il coinvolgimento di aspetti specifici dell'organizzazione della impresa, donde la non necessità di dedurli in contratto, se questi non rispondano al concreto interesse della stazione appaltante, desumibile dall'indicazione del requisito stesso.

Peraltro, in un caso analogo
è stato ritenuto dalla giurisprudenza conforme alle previsioni di legge in proposito il contratto con il quale la società ausiliaria si è obbligata a mettere a disposizione dell'impresa ausiliata, per tutta la durata dell'appalto, il requisito del fatturato specifico realizzato in un determinato anno (Consiglio di Stato, sez. III, 02.03.2015, n. 1020).
15.2.- Quanto alla dedotta elusività della messa a disposizione delle risorse da parte della ausiliaria solo «ove occorra» e «se necessario», che avrebbe escluso la possibilità di verifica della concreta disponibilità attuale di risorse e dotazioni aziendali, ritiene la Sezione, a prescindere dalla eccepita inammissibilità della censura perché non formulata in primo grado e proposta in violazione del divieto di nova in appello di cui all’art. 104, comma 1, del c.p.a., che sia da escludere che essa possa avere rilievo al fine di dimostrare la irregolarità del prestato avvalimento.
Infatti le locuzioni suddette vanno interpretate non nel senso che la disponibilità sarebbe stata solo eventuale, ma in quello che le risorse indicate nel contratto sarebbero state messe a disposizione della ausiliaria ogniqualvolta che la ausiliata ne avesse avuto necessità, il che appare al collegio pienamente coerente con la ratio dell’istituto dell’avvalimento e con le concrete esigenze della stazione appaltante in ordine alla formulata richiesta di attestazione del possesso dei requisiti speciali di partecipazione in questione.
16.- Con il primo motivo di gravame è stato ulteriormente sostenuto che non sarebbe condivisibile anche la ulteriore tesi, fatta propria dal TAR, secondo cui la fattispecie in esame sarebbe inquadrabile almeno in parte nell’ambito dell’«avvalimento di garanzia», che ha ad oggetto requisiti immateriali o soggettivi (come referenze bancarie, fatturato e simili), distinto dall’«avvalimento operativo», avente ad oggetto requisiti materiali (come mezzi ed attrezzature), con sufficienza della responsabilità solidale dell’ausiliaria, di cui all’art. 49, comma 4, del d.lgs. n. 163 del 2006, alla tutela delle esigenze pubbliche, senza necessità di specificazione delle risorse e dei mezzi messi a disposizione.
Come rilevato dal C.G.A.R.S. con la sentenza 21.01.2015, n. 35,
la distinzione tra tali figure di avvalimento non avrebbe un solido fondamento giuridico, non esistendo disposizioni differenzianti la specificità dell’oggetto a seconda dell’una o dell’altra categoria e non potendo l’«avvalimento di garanzia» rimanere astratto, cioè svincolato da qualsiasi collegamento con risorse materiali ed immateriali poste a disposizione dell’ausiliata.
16.1.- Osserva in proposito il Collegio che, come già rilevato,
il ricorso all'istituto dell'avvalimento è riconosciuto dalla giurisprudenza come possibile in un ampio ventaglio di ipotesi, muovendo dalla ratio dello stesso, che è quella di consentire la massima partecipazione alle gare, permettendo ai concorrenti, privi dei requisiti richiesti dal bando, di avvalersi dei requisiti di altri soggetti, e di agevolare così l'ingresso sul mercato di nuovi operatori e quindi la concorrenza fra le imprese.
E’ stato ritenuto ammissibile anche il c.d. avvalimento di garanzia, con l’unico limite che esso non si risolva nel prestito di una mera condizione soggettiva, del tutto disancorata dalla concreta messa a disposizione di risorse materiali, economiche o gestionali.

Può convenirsi con la sentenza del Consiglio di giustizia amministrativa della Sicilia n. 35 del 2015 richiamata dalla appellante che
la distinzione tra avvalimento di garanzia e avvalimento tecnico-operativo non può tradursi in un differente regime giuridico, ma va considerato che è pure ivi condivisibilmente affermato che il c.d. avvalimento di garanzia «non deve rimanere astratto, cioè svincolato da qualsivoglia collegamento con risorse materiali o immateriali, che snaturerebbe l'istituto, in elusione dei requisiti stabiliti nel bando di gara, esibiti solo in modo formale, finendo col frustare anche la funzione di garanzia» (Cons. St., III, 22.01.2014, n. 294; in termini analoghi Cons. St., III, 17.06.2014, n. 3057).
Ciò si traduce nella necessità che nel contratto siano adeguatamente indicati, a seconda dei casi, il fatturato globale e l'importo relativo ai servizi o forniture nel settore oggetto della gara nonché, come specificato dalla dottrina, gli specifici «fattori della produzione e tutte le risorse che hanno permesso all'ausiliaria di eseguire le prestazioni analoghe nel periodo richiesto dal bando».
Anche nell'avvalimento di garanzia i requisiti di fatturato sono infatti preordinati a garantire l'affidabilità del concorrente a sostenere finanziariamente sia l'attuazione dell'appalto, sia il risarcimento della stazione appaltante nel caso d'inadempimento.
Può quindi concludersi che anche l'avvalimento di garanzia, a prescindere dalla possibilità di distinguerlo giuridicamente da quello operativo, è consentito purché i relativi atti non si risolvano in formule generiche e svincolate da qualsiasi collegamento con le risorse materiali o immateriali rese disponibili
(Consiglio di Stato, sez. III, 07.07.2015, n. 3390).
Nel caso di specie, come già evidenziato, il contratto di avvalimento intercorso tra la ausiliaria Global Cri s.r.l. non consisteva in una formula astratta e generica, ma indicava compiutamente e sufficientemente la risorse messe a disposizione della società ausiliata, cioè il fatturato specifico del triennio 2010-2012 per il servizio di pulizia e manutenzione immobili, servizi cimiteriali e servizio di custodia, svolti presso il Comune di Torre Santa Susanna.
L’esaminata censura non è quindi idonea a dimostrare la inadeguatezza, rispetto ai requisiti previsti dalla normativa in materia, del contratto di avvalimento intercorso tra dette società (che mirava a garantire una specifica risorsa immateriale, cioè il fatturato, frutto di una specifica esperienza maturata in un settore eguale o analogo a quello del servizio richiesto) e deve essere respinta.
17.- Con il secondo motivo d’appello è stato dedotto che il contratto di avvalimento esibito dall’aggiudicataria non sarebbe comunque stato idoneo a mettere a disposizione dell’ausiliata e della stazione appaltante le risorse necessarie per la durata dell’appalto, in quanto all’art. 12 del contratto era contenuta una clausola risolutiva espressa che collegava ad inadempimenti di qualsiasi natura dell’ausiliata la risoluzione ipso iure del contratto, con la conseguenza che la stazione appaltante si sarebbe potuta trovare priva della responsabilità solidale della ausiliaria.
Sarebbe stato quindi stipulato un contratto di avvalimento condizionato, che però non sarebbe ammissibile, atteso che in caso di inadempimento dell’appaltatore la stazione appaltante deve poter agire direttamente sull’impresa ausiliaria.
Non sarebbe condivisibile la tesi TAR, che ha respinto dette censure rilevando che due delle ipotesi di risoluzione erano riconducibili a procedure concorsuali e a violazioni di norme in materia di contratti della p.a. che configuravano fattispecie che, prima di determinare la risoluzione del contratto di avvalimento, avrebbero comportato la risoluzione del contratto di appalto tra la aggiudicataria e la stazione appaltante, perché comunque la clausola risolutiva si riferiva ad ipotesi di grave inadempimento idonee a comportare la risoluzione del contratto di avvalimento ex art. 1455 del c.c., anche se non prevista espressamente.
Infatti, tale clausola avrebbe reso nullo il contratto di avvalimento, che non sarebbe sottoponibile a condizioni perché, consentendo all’impresa ausiliaria di sottrarsi ai propri obblighi nell’ipotesi in cui valuti la ricorrenza di una delle clausole risolutive, inserirebbe nel rapporto trilaterale un elemento di incertezza e di indeterminatezza idoneo a vanificarne la finalità di garanzia del contratto.
17.1.- Osserva il Collegio che
deve ritenersi invalido il contratto di avvalimento solo in presenza di una condizione, apposta all'impegno relativo, tale da non consentire la certezza dell'impegno contenuto nel contratto di avvalimento.
Il contratto di avvalimento non è quindi valido ove sottoposto a condizione meramente potestativa, trattandosi in questo caso dell’assunzione di un obbligo ‘nulla’ ai sensi dell'art. 1355 del c.c.
È stato invece ritenuto legittimo il contratto di avvalimento sottoposto a condizione di acquisire efficacia solo nel caso in cui la società avvalsa avrebbe conseguito l'aggiudicazione della gara, essendo chiaro che l'evento dedotto in condizione è proprio l'aggiudicazione dell'appalto, in funzione del quale l'avvalimento è stato stipulato, e che si tratta propriamente di condizione risolutiva
(Consiglio di Stato, sez. III, 25.02.2014, n. 895), che postula che le parti subordinino la risoluzione del contratto, o di un singolo patto, ad un evento, futuro ed incerto, il cui verificarsi priva di effetti il negozio ab origine.
Invece, con la clausola risolutiva espressa, le parti prevedono lo scioglimento del contratto qualora una determinata obbligazione non venga adempiuta affatto o lo sia secondo modalità diverse da quelle prestabilite, sicché la risoluzione opera di diritto ove il contraente non inadempiente dichiari di volersene avvalere, senza necessità di provare la gravità dell'inadempimento della controparte all'inadempimento dell'obbligazione oggetto della clausola risolutiva espressa.
Nel caso di specie, l’art. 3 del contratto di avvalimento conteneva l’impegno espresso della società ausiliaria di mettere a disposizione dell’ausiliata i requisiti e le risorse per tutta la durata dell’appalto e poi all’art. 12 la seguente clausola risolutiva espressa: «A norma dell'art. 1456 c.c., l'impresa ausiliaria potrà invocare la risoluzione del contratto ove ricorrano le seguenti ipotesi:
a) nel caso in cui l'impresa concorrente venga sottoposta a procedura concorsuale o esecutiva e in caso di scioglimento o sottoposizione alle procedure di cui all'art. 2409 c.c. (gravi irregolarità nella gestione sociale);
b) nel caso di inadempimento grave ai sensi dell’art. 1455 del c.c. da parte dell'impresa concorrente anche ad una sola obbligazione del presente contratto, salvo il risarcimento del danno;
c) nel caso che l'impresa concorrente, violi norme di legge in materia di contratti della Pubblica Amministrazione, norme penali per reati attinenti lo svolgimento dell'attività di impresa, i rapporti che le pubbliche amministrazioni, norme fiscali
».
Come ha correttamente rilevato il TAR, le fattispecie indicate in tale clausola contrattuale comunque avrebbero avuto rilevanza giuridica, con la conseguenza che di per sé essa non può apportare alcun nocumento all’amministrazione.
Sotto tale profilo, l’ordinamento giuridico –una volta attribuita rilevanza giuridica al contratto di avvalimento- non può precludere l’esercizio della autonomia negoziale, in ordine alla predeterminazione delle conseguenze che inter partes si debbano verificare nei casi da loro individuati.
Del resto, l’assenza di nocumento specifico si desume proprio dalla normativa in materia.
Nell'ipotesi di cui alla citata lettera a), la società, ex art. 38, comma 1, lettera a), del d.lgs. n. 163 del 2006, che si trova in stato di fallimento, di liquidazione coatta, di concordato preventivo o nei cui riguardi sia in corso un procedimento per la dichiarazione di tali situazioni è comunque esclusa dalla partecipazione alle procedure di affidamento delle concessioni e degli appalti di lavori, forniture e servizi, né può essere affidataria di subappalti e non può stipulare i relativi contratti.
Nell’ipotesi di cui alla lettera b), la clausola risolutiva si riferisce ad ipotesi di grave inadempimento che comportano comunque la possibile risoluzione del contratto di avvalimento ex art. 1455 del c.c., con la sola, irrilevante, differenza che, trattandosi di clausola risolutiva espressa non sarebbe stata necessaria la prova della gravità dell’inadempimanto, ma sarebbe stata sufficiente la manifestazione della volontà di avvalersi di detta clausola, esercitando il diritto potestativo di risolvere il contratto.
Nell’ipotesi di cui alla lettera c), le circostanze previste configurano invece situazioni che, in quanto non attinenti all’esecuzione della prestazione principale e all’interesse della parte a cui favore sono previste (di percepire il corrispettivo pattuito per la fornitura dell’avvalimento), non potrebbero essere invocate per svincolarsi dall’avvalimento.
In conclusione, le riportate clausole contrattuali non escludevano la serietà dell'impegno contenuto nel contratto di avvalimento e non lo rendevano quindi invalido (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 22.10.2015 n. 4860 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Appalti, protocolli limitati. Non è possibile bloccare i subappalti e le intese con altri partecipanti.
Corte Ue. Nelle gare l’uso preventivo degli «impegni» di legalità non confligge con i principi comunitari.
Va promosso, ma con cautela, l’uso dei protocolli di legalità negli appalti.
La Corte di giustizia Ue, con la sentenza 22.10.2015 - C-425/14, da una parte riconosce la correttezza dell’introduzione dell’obbligo di accettazione come condizione di ammissione alla procedura di aggiudicazione dell’appalto; dall’altra, però, invita a calibrarne con attenzione i contenuti, andando oltre la necessità per prevenire condotte collusive.
I fatti al centro della causa sottoposta alla Corte risalgono al 2013, quando la Soprintendenza ai beni culturali di Trapani ha affidato a due società un appalto pubblico di lavori del valore di oltre due milioni di euro per il restauro degli antichi templi greci in Sicilia. A causa dell’impugnazione presentata dalla società arrivata al secondo posto al termine della gara (aperta anche a società straniere), l’Amministrazione ha annullato l’aggiudicazione e ha affidato l’appalto alla società ricorrente.
L'Amministrazione ha motivato l’annullamento (e quindi l'esclusione delle due società inizialmente aggiudicatarie) con il mancato deposito, assieme all’offerta, dell'accettazione del protocollo di legalità, accettazione prevista come propedeutica alla partecipazione alla gara. Secondo il protocollo, il partecipante alla gara si doveva impegnare espressamente a tenere una serie di comportamenti in caso di aggiudicazione dell’appalto: egli avrebbe dovuto, ad esempio, impegnarsi a informare l’amministrazione sullo stato di avanzamento dei lavori e sulle modalità di selezione dei subappaltatori; comunicare alle Autorità eventuali irregolarità; cooperare con la polizia; denunciare tutti i tentativi di influenza di natura illecita.
Il candidato, inoltre, doveva dichiarare espressamente: di non trovarsi in un rapporto di controllo o associazione (di diritto o di fatto) con altri concorrenti; di non avere stipulato né di stipulare in futuro alcun accordo con altri partecipanti alla procedura di gara; di non subappaltare in futuro qualsiasi tipo di opera o servizio ad altre imprese partecipanti alla gara; di impegnarsi a rispettare i principi di lealtà, integrità e trasparenza; di non avere concluso né di concludere in futuro, con gli altri partecipanti alla gara, accordi volti a limitare o impedire la concorrenza. La vicenda giudiziaria si è trascinata sino al Consiglio di Giustizia amministrativa per la Regione Siciliana, che ha sollevato una questione pregiudiziale davanti alla Corte Ue.
La Corte ha chiarito che la disciplina italiana non contrasta con i principi comunitari e che è legittima l’esclusione delle imprese che non depositano, insieme all’offerta, l’accettazione di un protocollo indirizzato a evitare le infiltrazioni della criminalità organizzata e le conseguenti distorsioni della concorrenza. Quanto ai tempi, l’obbligo di accettazione preventiva non fa che anticipare la tutela della legalità e scoraggiare fenomeni criminali.
Tuttavia, la giustificazione viene meno se il protocollo contiene dichiarazioni secondo cui il candidato o l’offerente non è in rapporto di controllo o associazione con altri candidati od offerenti; non ha concluso né concluderà accordi con altri partecipanti alla gara; non subappalterà prestazioni di qualunque tipo ad altre società partecipanti alla procedura. In questi casi i mezzi utilizzati dal legislatore vanno al di là di quanto necessario a prevenire comportamenti collusivi
(articolo Il Sole 24 Ore del 23.10.2015 - tratto da www.centrostudicni.it).
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MASSIMA
... Per questi motivi, la Corte (Decima Sezione) dichiara:
Le norme fondamentali e i principi generali del Trattato FUE, segnatamente i principi di parità di trattamento e di non discriminazione nonché l’obbligo di trasparenza che ne deriva, devono essere interpretati nel senso che essi non ostano a una disposizione di diritto nazionale in forza della quale un’amministrazione aggiudicatrice possa prevedere che un candidato o un offerente sia escluso automaticamente da una procedura di gara relativa a un appalto pubblico per non aver depositato, unitamente alla sua offerta, un’accettazione scritta degli impegni e delle dichiarazioni contenuti in un protocollo di legalità, come quello di cui trattasi nel procedimento principale, finalizzato a contrastare le infiltrazioni della criminalità organizzata nel settore degli appalti pubblici.
Tuttavia, nei limiti in cui tale protocollo preveda dichiarazioni secondo le quali il candidato o l’offerente non si trovi in situazioni di controllo o di collegamento con altri candidati o offerenti, non si sia accordato e non si accorderà con altri partecipanti alla gara e non subappalterà lavorazioni di alcun tipo ad altre imprese partecipanti alla medesima procedura, l’assenza di siffatte dichiarazioni non può comportare l’esclusione automatica del candidato o dell’offerente da detta procedura.

APPALTI: Sul giudizio di anomalia dell'offerta.
Il giudizio positivo di anomalia non richiede una specifica motivazione, mentre incombe su chi contesti l'aggiudicazione l'onere, nel caso di specie non assolto, di individuare gli specifici elementi tesi a dimostrare che la valutazione tecnico-discrezionale dell'Amministrazione sia stata manifestamente irragionevole, ovvero basata su fatti erronei o travisati (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 20.10.2015 n. 4796 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

LAVORI PUBBLICI: Per l'ipotesi di mancata tempestiva contabilizzazione dei lavori, gli interessi di cui all'art. 35 del D.P.R. n. 1063 del 1962, competono, secondo la disciplina riassunta a seguire, a decorrere dalla data in cui la contabilizzazione stessa avrebbe dovuto aver luogo non già secondo uno schema astratto, come pretende la ricorrente (che invoca, a tal fine, il criterio della media ponderale), ma in relazione al concreto atteggiarsi dell'appalto stesso, quale risultante dalle attestazioni contenute nei registri di contabilità.
Invero,
il dPR n. 1063 del 1962, al tempo vigente, prevede, al capo III, intitolato "pagamenti all'appaltatore" all'art. 33, comma 1, che, nel corso dell'esecuzione dei lavori, competono all'appaltatore, sulla base dei dati risultanti dai documenti contabili, pagamenti in acconto "nei termini o nelle rate stabilite nel capitolato speciale ed a misura dell'avanzamento dei lavori regolarmente eseguiti".
Il comma 2 del menzionato art. 33 dispone che i certificati di pagamento devono essere emessi "non appena sia scaduto il termine ... o appena raggiunto l'importo prescritto per ciascuna rata, e in ogni caso non oltre 45 giorni dal verificarsi delle circostanze previste nel comma precedente".
Il successivo art. 35 prevede, al comma 1, che, in caso in cui il certificato di pagamento non sia emesso "per mancata tempestiva contabilizzazione dei lavori o per qualsiasi altro motivo attribuibile all'amministrazione entro i termini di cui al secondo comma del precedente art. 33", l'appaltatore ha diritto agli interessi ivi previsti, ed al comma 2 disciplina gli interessi dovuti per il ritardo nell'emissione del titolo di spesa in riferimento all'emissione del certificato di acconto.

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 1. Col primo motivo, la ricorrente lamenta che l'impugnata sentenza ha ritenuto insussistente il suo diritto agli interessi moratori in violazione degli artt. 33, 35, e 36 del dPR n. 1063 del 1962; 4, co. 1, della L n. 741 del 1981; 54, 57 e 58 del RD n. 350 del 1895; 165, 168 e 169 del dPR n. 554 del 1999; 1219 co. 2 n. 3, 1224 e 1227 cc; 270 RD n. 827 del 1924.
La ricorrente afferma che, in base alle disposizioni del Capitolato Generale del 1962, applicabile ratione temporis, nell'ipotesi in cui "il certificato di pagamento ed il mandato di pagamento siano ritardati in conseguenza di mancata tempestiva contabilizzazione dei lavori rispetto alla data di maturazione della rata, spettano all'appaltatore gli interessi legali e di mora di cui agli artt. 35 e 36 del Capitolato Generale. Detti interessi devono esser computati con riguardo alle date nelle quali il certificato di pagamento e il mandato di pagamento avrebbero dovuto essere emanati avendo riguardo non alla data dell'effettiva contabilizzazione dei lavori da parte del DL, ma alla data in cui questi avrebbe dovuto provvedervi in relazione alla maturazione della rata, a misura dell'avanzamento dei lavori eseguiti, secondo le convenzioni di contratto o di capitolato speciale. Il credito dell'appaltatore agli interessi conseguiti da ritardata contabilizzazione dei lavori .... non è condizionato alla messa in mora della DL da parte dello stesso appaltatore, per la contabilizzazione dei lavori relativi alla rata maturata né all'onere della iscrizione, sempre da parte dell'appaltatore, di riserva nel registro di contabilità".
2. Col secondo motivo, si deduce, sotto altro profilo, la violazione degli artt. 33, 35, e 36 del dPR n. 1063 del 1962; 4, co. 1, della L. n. 741 del 1981, nonché degli artt. 1218, 1219, 1277 e 1655 cc, per avere la Corte d'Appello ritenuto che il debito dell'Amministrazione per il ritardo nella liquidazione, contrattualmente obbligatoria, costituisca un debito di valore, in quanto tale, produttivo di interessi moratori a seguito dell'applicazione dei principi generali in tema d'inadempimento.
La ricorrente afferma, per contro, che il debito per il corrispettivo dell'appalto costituisce per sua natura un debito di valuta, e che, ad ogni modo, nel sistema del Capitolato generale il debito è produttivo d'interessi senza necessità di costituzione in mora, né quanto alla contabilizzazione dei lavori, e cioè alla liquidazione, né quanto al pagamento.
3. Con il terzo mezzo, la ricorrente lamenta la violazione degli artt. 33, 35, e 36 del dPR n. 1063 del 1962; 4, co. 1, della L. n. 741 del 1981; 57 e 58 del RD n. 350 del 1895, oggi 168 e 169 del dPR n. 554 del 1999, 1218 cc, oltre che dei principi generali in tema di responsabilità per inadempimento delle obbligazioni.
La necessità d'indagare sulla sussistenza o meno della responsabilità della Stazione appaltante nel ritardo della contabilizzazione dei lavori, non tiene conto del fatto che nella disciplina di Capitolato, art. 35, tale responsabilità è presunta, de iure, a carico dell'Amministrazione, sicché l'appaltatore, per conseguire gli interessi, non è tenuto a dare la prova che il ritardo sia ad essa imputabile, essendo piuttosto la committente onerata di fornire la prova che l'inadempimento è dipeso da fatto non a lei non imputabile.
4. Col quarto motivo, si deduce la violazione degli artt. 33, 35, e 36 del dPR n. 1063 del 1962; 3, 13, 14, 38 e segg. del RD n. 350 del 1895, oggi 123, 124, 128, 152 e segg. del dPR n. 554 del 1999, 1218 cc, per avere la Corte addossato ad essa impresa l'onere, inesistente, di sollecitare la redazione del SAL, attività che costituisce, invece, l'oggetto di preciso dovere del DL, non appena raggiunto l'importo prescritto.
5. Con il quinto mezzo, la ricorrente lamenta la violazione degli artt. 33, 35, e 36 del dPR n. 1063 del 1962; 4, co. 1, della L. n. 741 del 1981; 57 e 58 del RD n. 350 del 1895, oggi 168 e 169 del dPR n. 554 del 1999, 1 della L n. 463 del 1964, per avere la Corte territoriale ritenuto erroneo il riferimento al criterio medio ponderale operato nella ricostruzione dei tempi d'avanzamento dei lavori, senza considerare che il predetto metodo era proprio quello utilizzato dal Comune committente per il calcolo della revisione prezzi, che avrebbe, perciò, potuto essere applicato in via analogica.
6. Disattesa l'eccezione d'inammissibilità del ricorso, che contiene tutti gli elementi idonei a far comprendere alla Corte i necessari dati di fatto, i motivi, da valutarsi congiuntamente per la loro connessione, sono infondati, anche se va in parte corretta la motivazione.
7.
Il dPR n. 1063 del 1962 di cui nessuna delle parti ha contestato l'applicabilità ai vari contratti d'appalto cui si riferiscono gli interessi richiesti ed era, al tempo, vigente, prevede, al capo III, intitolato "pagamenti all'appaltatore" all'art. 33, comma 1, che, nel corso dell'esecuzione dei lavori, competono all'appaltatore, sulla base dei dati risultanti dai documenti contabili, pagamenti in acconto "nei termini o nelle rate stabilite nel capitolato speciale ed a misura dell'avanzamento dei lavori regolarmente eseguiti".
Il comma 2 del menzionato art. 33 dispone che i certificati di pagamento devono essere emessi "non appena sia scaduto il termine ... o appena raggiunto l'importo prescritto per ciascuna rata, e in ogni caso non oltre 45 giorni dal verificarsi delle circostanze previste nel comma precedente".
Il successivo art. 35 prevede, al comma 1, che, in caso in cui il certificato di pagamento non sia emesso "per mancata tempestiva contabilizzazione dei lavori o per qualsiasi altro motivo attribuibile all'amministrazione entro i termini di cui al secondo comma del precedente art. 33", l'appaltatore ha diritto agli interessi ivi previsti, ed al comma 2 disciplina gli interessi dovuti per il ritardo nell'emissione del titolo di spesa in riferimento all'emissione del certificato di acconto.

8. Il pagamento in conto, finalizzato ad evitare lunghe anticipazioni finanziarie a carico dell'appaltatore non è, dunque, connesso al semplice trascorrere del tempo stabilito nelle condizioni contrattuali ma è, piuttosto, volto, in parziale correttivo del principio della postnumerazione del corrispettivo dell'appalto, a ricompensare l'esecuzione della pattuita entità di prestazione dell'appaltatore, quale certificata dal DL in seno allo stato d'avanzamento lavori.
9. Da tanto, consegue che
la mancata contabilizzazione dei lavori non può tout court addebitarsi alla stazione appaltante, ma intanto rileva come inadempimento della stessa, e, dunque, ai fini della spettanza degli interessi moratori ex art. 35 del Capitolato OOPP, in quanto il SAL non sia stato effettuato per inerzia o per altra ragione addebitabile al DL -la cui attività è a quella imputabile- pur sussistendone i presupposti, id est che l'appaltatore abbia, in concreto, esattamente adempiuto la pattuita parte della prestazione, in riferimento alla quale il pagamento dell'acconto costituisce, appunto, la controprestazione.
Ne consegue, ancora, che l
a mancata redazione del SAL esula, di per sé, dal disposto di cui all'art. 35 del dPR n. 1063 del 1962, che, con disposizione di stretta interpretazione (cfr. in tema di anticipazione, Cass. n. 11297 del 2010), disciplina il diritto agli speciali interessi moratori per il, diverso, caso del ritardo nel pagamento di ciascuna rata di acconto (contemplando separatamente l'ipotesi del ritardo nella emissione del certificato di pagamento della rata di acconto e quella del ritardo nella emissione del titolo di spesa).
10. Resta da aggiungere che
tale conclusione non limita in alcun modo il diritto dell'appaltatore al conseguimento degli interessi moratori -in costanza, beninteso, del menzionato presupposto- potendo egli far constare la colpevole omissione del DL nella contabilizzazione dei lavori mediante l'iscrizione di apposita riserva nel registro di contabilità, istituto che, ai sensi dell'art. 54 del R.D. n. 350 del 1895, risponde, proprio, all'esigenza di assicurare la tempestiva e costante evidenza di tutti i fattori incidenti sull'andamento dell'appalto e sui suoi costi, così da consentire all'Amministrazione di procedere senza ritardo alle verifiche necessarie per accertare la fondatezza delle pretese dell'appaltatore (in tesi, l'effettiva -e regolare- esecuzione della dovuta misura dei lavori) e, al tempo stesso, da assicurare la continua evidenza della spesa complessiva (cfr. Cass., Sez. I, 03.03.2006, n. 4702; 21.07.2004, n. 13500; 01.12.1999, n. 13399).
11. Deve in conclusione affermarsi che,
per l'ipotesi di mancata tempestiva contabilizzazione dei lavori, gli interessi di cui all'art. 35 del D.P.R. n. 1063 del 1962, competono, secondo la disciplina riassunta al punto 7., a decorrere dalla data in cui la contabilizzazione stessa avrebbe dovuto aver luogo non già secondo uno schema astratto, come pretende la ricorrente (che invoca, a tal fine, il criterio della media ponderale), ma in relazione al concreto atteggiarsi dell'appalto stesso, quale risultante dalle attestazioni contenute nei registri di contabilità (Corte di Cassazione, Sez. I civile, sentenza 15.10.2015 n. 20873).

APPALTI SERVIZI: Concessione di servizi ex art. 30 del d.lgs. 163/2006. Modalità di individuazione del nuovo concessionario.
La procedura di scelta del concessionario, come delineata dall'art. 30, comma 3, del Codice dei contratti, è caratterizzata dal ricorso ad una gara informale a cui sono invitati almeno cinque soggetti (ammesso che sussistano in tale numero soggetti qualificati in relazione all'oggetto della concessione) con l'indicazione dei requisiti, che devono essere predeterminati e resi noti fin dal momento in cui viene avviata la procedura.
Devono comunque essere rispettati i principi di logicità, trasparenza, parità di trattamento e non discriminazione tra i concorrenti, da garantire attraverso l'idonea pubblicità delle procedure selettive e la valutazione comparativa di più offerte. Per quanto attiene alle modalità di pubblicizzazione della gara informale, si può ritenere che il grado di pubblicità vada commisurato all'entità della concessione, in relazione alla sua rilevanza economica e, dunque, adeguato all'importo stimato dell'appalto.

Il Comune, nell'approssimarsi della scadenza del contratto di concessione relativo al servizio di accertamento, liquidazione e riscossione dell'imposta sulla pubblicità e della tassa di occupazione di aree e spazi pubblici, si accinge a bandire una procedura per l'individuazione del nuovo concessionario, ai sensi dell'art. 30 del decreto legislativo 12.04.2006, n. 163, che disciplina la concessione di servizi. L'Ente chiede quindi un parere con riferimento alle caratteristiche della procedura da utilizzare per l'individuazione dei concorrenti da invitare alla selezione e alle modalità di pubblicizzazione della gara informale.
L'art. 30, comma 1, del d.lgs. 163/2006, stabilisce che 'Salvo quanto disposto nel presente articolo, le disposizioni del codice non si applicano alle concessioni di servizi'; il successivo comma 3, dispone che 'La scelta del concessionario deve avvenire nel rispetto dei principi desumibili dal Trattato e dei principi generali relativi ai contratti pubblici e, in particolare, dei principi di trasparenza, adeguata pubblicità, non discriminazione, parità di trattamento, mutuo riconoscimento, proporzionalità, previa gara informale a cui sono invitati almeno cinque concorrenti, se sussistono in tale numero soggetti qualificati in relazione all'oggetto della concessione, e con predeterminazione dei criteri selettivi'.
La procedura di scelta del concessionario, come delineata dall'art. 30, comma 3 del Codice, è quindi caratterizzata:
1) dal ricorso ad una gara informale;
2) dall'invito ad almeno cinque soggetti (ammesso che sussistano in tale numero soggetti qualificati in relazione all'oggetto della concessione);
3) dall'indicazione dei requisiti, che devono essere predeterminati e resi noti fin dal momento in cui viene avviata la procedura.
Come ripetutamente chiarito dalla giurisprudenza, la gara informale di cui al citato art. 30, comma 3, consente ampia discrezionalità da parte dell'amministrazione nella fissazione delle regole selettive (con possibilità quindi di prescindere dalle regole interne e comunitarie dell'evidenza pubblica), fermi restando il rispetto dei principi di logicità, trasparenza, parità di trattamento e non discriminazione tra i concorrenti, da garantire attraverso l'idonea pubblicità delle procedure selettive e la valutazione comparativa di più offerte; ne derivano una maggior speditezza e semplificazione procedimentale
[1].
Laddove decidesse di inserire nel bando di gara disposizioni ulteriori rispetto al contenuto minimo previsto dalla legge, l'amministrazione aggiudicatrice eserciterebbe un potere attinente al merito amministrativo
[2].
Di conseguenza, nel momento in cui l'amministrazione individua le regole per la selezione dei partecipanti e i criteri per l'aggiudicazione (ad esempio attraverso l'individuazione dell'offerta economicamente più vantaggiosa), si autolimita rispetto alle prescrizioni di cui alla norma su riportata. Infatti, alle concessioni di servizi non si applicano le disposizioni del Codice degli appalti, salvo quelle espressamente richiamate dall'art. 30 (commi 1 e 7). Pertanto, l'applicazione di norme codicistiche non direttamente richiamate dall'art. 30 rientra nella facoltà decisionale della stazione appaltante, la quale può decidere autonomamente di assoggettarvisi
[3].
Con riferimento alle modalità di pubblicizzazione di un eventuale avviso per manifestazione di interesse, premesso che non spetta a questo ufficio esprimere valutazioni che competono esclusivamente ai singoli enti in virtù della propria autonomia e discrezionalità, si forniscono i seguenti spunti di riflessione.
Come si è detto, il comma 1 dell'art. 30 dispone, per le concessioni di servizi, la non applicazione delle disposizioni codicistiche: ciò significa che non trovano applicazione nemmeno gli articoli 63 e seguenti, relativi a bandi, avvisi e inviti; tuttavia, come già rimarcato, l'affidamento di servizi in concessione deve rispettare i principi generali relativi ai contratti pubblici, tra i quali l'adeguata pubblicità e la proporzionalità, al fine di garantire il più ampio confronto concorrenziale
[4].
In linea di principio, si può ritenere che il grado di pubblicità va commisurato all'entità della concessione, in relazione alla sua rilevanza economica e, dunque, adeguato all'importo stimato dell'appalto
[5].
Tuttavia, con riferimento a concessioni di servizi in cui le amministrazioni aggiudicatrici avevano deciso di avvalersi della procedura aperta (e quindi autovincolandosi) per la selezione del concessionario, è dato riscontrare orientamenti giurisprudenziali divergenti.
Infatti, in alcune pronunce il Consiglio di Stato ha affermato che per le concessioni ex art. 30 non è richiesta la pubblicazione del bando in Gazzetta Ufficiale
[6].
Per contro, in altre occasioni i giudici amministrativi hanno affermato che la pubblicazione del bando all'albo pretorio dell'amministrazione procedente è strumento inidoneo a garantire la possibilità di conoscenza alle imprese che operano nel settore e sono portatrici di un interesse differenziato e qualificato all'adozione di adeguate forme di pubblicità della gara allo scopo di prendervi parte
[7]. Dello stesso avviso l'AVCP (ora ANAC), secondo cui: 'Non rispetta il principio di adeguata pubblicità la pubblicazione del bando di gara per l'affidamento di una concessione di servizi mediante procedura aperta sull'albo pretorio comunale, sul BUR e sui siti internet di alcune agenzie specializzate accessibili solo da parte di utenti abbonati, in quanto inidonea a consentire l'effettività della concorrenza.' [8]
Infine si osserva che, qualora l'amministrazione instante procedesse alla pubblicazione di un avviso per manifestazione di interesse a partecipare alla procedura per l'affidamento della concessione de qua e ricevesse un numero di richieste di operatori economici inferiore a quello indicato dall'art. 30, comma 3
[9], si ritiene che i principi richiamati dallo stesso articolo siano rispettati nel momento in cui si possa verificare il confronto fra una pluralità di offerte [10].
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[1] TAR Puglia, Lecce, sez. III, Sent. 1444/2012.
[2] TAR Puglia, Bari, sez. I, Sent. 70/2009.
[3] TAR Veneto, Venezia, Sez. I, sent. 1474/2012.
[4] AVCP, deliberazione n. 47 del 01/05/2011.
[5] TAR Puglia, Lecce, cit.; TAR Liguria, sez. II, Sent. 434/2013; TAR Molise, sez. I, Sent. 677/2008.
[6] Consiglio di Stato, sez. V, Sent. 2709/2011; sez. III, Sent. 3842/2011.
[7] TAR Puglia, Bari, sez. I, Sent. 995/2005; TAR Lombardia, Brescia, sez. II, Sent. 1521/2011.
[8] Deliberazione n. 69 del 30/07/2009. Si veda anche la Deliberazione n. 207 del 21/06/2007, laddove si afferma, con riferimento alla 'concessione di servizi, ai sensi dell'art. 30 del d.lgs. 12.04.2006, n. 163. [che] È opportuno che le s.a. adottino comportamenti positivi, cioè misure concrete volte a instaurare procedure conformi ai principi fondamentali di trasparenza e libera concorrenza sanciti dal Trattato CE e dallo stesso d.lgs. 163/2006. È evidente che nei casi di concessione per i quali la concorrenza sarebbe suscettibile di esplicarsi prevalentemente a livello locale, assume maggior interesse, tra le possibili forme di pubblicità, l'affissione dell'avviso presso la sede della stazione appaltante e la pubblicazione sui giornali locali. Diversamente, nel caso di servizi economicamente rilevanti, dovrebbero essere utilizzate forme di pubblicità più consone alle specificità dei servizi e degli operatori interessati.'
[9] '...almeno cinque concorrenti, se sussistono in tale numero soggetti qualificati in relazione all'oggetto della concessione...'
[10] Si osserva al riguardo che, nel rispetto del principio di trasparenza, nulla vieta all'amministrazione procedente di stabilire già nell'avviso che, qualora non venisse raggiunto il numero minimo di richieste previsto dalla norma più volte richiamata, è sua facoltà procedere con un numero di soggetti inferiore a cinque ovvero procedere all'invito di ulteriori soggetti in possesso dei requisiti richiesti fino a raggiungere tale numero
(14.10.2015 -
link a www.regione.fvg.it).

APPALTISindacati non radicati? L'appalto viene annullato.
Deve essere annullata l'aggiudicazione dell'appalto se l'offerta dell'impresa nella determinazione degli oneri contributivi si rifà a contratti collettivi che non risultano sottoscritti dalle organizzazioni sindacali e datoriali più radicate nella categoria in cui opera l'impresa.

È quanto emerge dalla sentenza 13.10.2015 n. 4699 della III Sez. del Consiglio di stato.
Anomalia evidente
Devono considerarsi anomale perché troppo basse le offerte che si discostano in modo evidente dai costi medi del lavoro indicati nelle tabelle predisposte dal ministero in base ai valori previsti dalla contrattazione collettiva.
L'offerta deve, infatti, risultare nel suo complesso affidabile e conveniente, al momento dell'aggiudicazione, e in quel momento l'aggiudicatario deve dare garanzia di una seria esecuzione del contratto. E quando la discordanza dagli indici standard è forte bisogna dubitare della serietà dell'offerta.
Nella specie è evidente che l'offerta presentata dall'azienda è più conveniente per la stazione appaltante, che ha evidenziato un risparmio di circa 4 milioni di euro per l'intera durata del contratto. Ma questo non può giustificare le conclusioni raggiunte all'esito del giudizio di anomalia: l'adeguatezza dell'offerta non può essere valutata solo sulla sua ritenuta convenienza economica e prescindendo dai suoi contenuti, ma implica anche una rigorosa verifica della sua serietà e della sua legittimità che nella fattispecie non risulta effettuata.
Gli oneri contributivi non sono infatti calcolati rispetto al Ccnl «giusto».
Spese compensate per la novità della questione (articolo ItaliaOggi del 10.11.2015).
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MASSIMA
6.- Tutto ciò premesso, considerato che la principale censura formulata dall’appellante GPI riguarda la ritenuta anomalia dell’offerta del RTI SDS che aveva presentato un’offerta economica molto inferiore all’importo della gara e alle offerte delle altre concorrenti per aver calcolato il costo del lavoro sulla base di un contratto sottoscritto da sigle sindacali non rappresentative,
si deve ricordare, in generale, che gli articoli 86 e 87 del d.lgs. 12.04.2006, n. 163 (Codice dei contratti pubblici), prevedono che l’Amministrazione, prima di procedere all’aggiudicazione definitiva, debba effettuare una valutazione sulla congruità complessiva dell’offerta ritenuta migliore in presenza di determinati indicatori di possibile anomalia dell’offerta, e possa procedere ad un approfondimento sulla possibile anomalia anche in assenza di tali indicatori.
L’offerta deve, infatti, risultare nel suo complesso affidabile e conveniente, al momento dell’aggiudicazione, e in tale momento l’aggiudicatario deve dare garanzia di una seria esecuzione del contratto (Consiglio di Stato, Sez. III, n. 1487 del 27.03.2014).
6.1.- In particolare, l’art. 86 del codice dei contratti pubblici individua, nei commi 1 e 2, distinti indici, a seconda che il criterio di aggiudicazione sia quello del prezzo più basso, ovvero, come nella fattispecie, quello dell’offerta economicamente più vantaggiosa, per l’individuazione delle offerte che sono sospettate di essere anomale (cd. indicatori automatici di anomalia). In presenza di tali indicatori la Stazione appaltante è quindi tenuta ad attivare una verifica sulla possibile anomalia dell’offerta.
L’art. 86, al comma 3, con una clausola generale valida per entrambe le ipotesi, stabilisce poi che la stazione appaltante possa procedere in ogni caso alla valutazione della congruità di ogni altra offerta che in base ad elementi specifici appaia anormalmente bassa.
6.2.-
La scelta dell’Amministrazione di attivare in tali casi il procedimento di verifica dell’anomalia dell’offerta è, pertanto, ampiamente discrezionale e può, per questo, essere sindacata davanti al giudice amministrativo solo per manifesta illogicità o per la presenza di rilevanti errori di fatto.
6.3.-
L’esercizio di tale facoltà comporta, pertanto, l’apertura di un subprocedimento in contraddittorio con il concorrente che ha presentato l’offerta ritenuta a rischio di anomalia, che può concludersi con un giudizio di anomalia o di non anomalia dell’offerta. Anche tale giudizio è ampiamente discrezionale e può essere sindacato, in conseguenza, davanti al giudice amministrativo solo per manifesta illogicità o per la presenza di rilevanti errori di fatto.
7.- Tenuto conto del rilievo che in molti contratti ha il costo del lavoro e tenuto conto delle esigenze di tutela dei lavoratori, il legislatore ha aggiunto, all’art. 86, con l’art. 1, comma 909, lettera a) della legge 27.12.2006, n. 296, il comma 3-bis che prevede che gli enti aggiudicatori verifichino «che il valore economico sia adeguato e sufficiente rispetto al costo del lavoro … il quale deve essere specificamente indicato e risultare congruo rispetto all’entità e alle caratteristiche dei lavori, dei servizi o delle forniture».
7.1.- Il Ministero del Lavoro è, quindi, incaricato della predisposizione di apposite tabelle che tengono conto dei valori economici previsti dalla contrattazione collettiva stipulata dai sindacati comparativamente più rappresentativi, delle norme in materia previdenziale e assistenziale, delle differenti aree territoriali e dei diversi settori merceologici.
In esito all’istruttoria disposta da questa Sezione, il Ministero del Lavoro ha fornito ampi ragguagli sulle modalità con le quali in concreto tale funzione è esercitata.
8.- Per effetto di tale ultima disposizione
il costo del lavoro è ritenuto indice di anomalia dell’offerta quando non risultino rispettati i livelli salariali che la normativa vigente –anche a base pattizia– rende obbligatori.
Una determinazione complessiva dei costi basata su un costo del lavoro inferiore ai livelli economici minimi fissati normativamente (o in sede di contrattazione collettiva) per i lavoratori del settore può costituire, infatti, indice di inattendibilità economica dell’offerta e di lesione del principio della par condicio dei concorrenti ed è fonte di pregiudizio per le altre imprese partecipanti alla gara che abbiano correttamente valutato i costi delle retribuzioni da erogare.
8.1.- La giurisprudenza, anche di questa Sezione, ha peraltro precisato che
una anomalia dell’offerta non può essere automaticamente desunta dal mancato rispetto delle tabelle ministeriali, richiamate dall’art. 87, comma 2, lett. g), del codice dei contratti pubblici, considerato che i costi medi del lavoro, indicati nelle tabelle predisposte dal Ministero del Lavoro, in base ai valori previsti dalla contrattazione collettiva, non costituiscono parametri inderogabili ma sono indici del giudizio di adeguatezza dell'offerta che costituiscono oggetto della valutazione dell’Amministrazione (Consiglio di Stato, sez. III, n. 1743 del 02.04.2015).
8.2.- Si è quindi affermato che
devono considerarsi anormalmente basse le offerte che si discostino in modo evidente dai costi medi del lavoro indicati nelle tabelle predisposte dal Ministero del Lavoro in base ai valori previsti dalla contrattazione collettiva, con la conseguenza che può ritenersi ammissibile un'offerta che da essi si discosti, purché lo scostamento non sia eccessivo e vengano salvaguardate le retribuzioni dei lavoratori, così come stabilito in sede di contrattazione collettiva.
Mentre occorre, perché possa dubitarsi della congruità dell’offerta, che la discordanza sia considerevole ed ingiustificata (Consiglio di Stato, sez. III, n. 3329 del 03.07.2015).
8.3.- Si è ulteriormente chiarito che
non possono non essere considerati, in sede di valutazione delle offerte, aspetti particolari ed elementi che possono variare da azienda ad azienda. Ai fini di una valutazione sulla congruità dell’offerta, la stazione appaltante deve, pertanto, tenere conto anche delle possibili economie che le diverse singole imprese possono conseguire (ed anche con riferimento al costo del lavoro), nel rispetto delle disposizioni di legge e dei contratti collettivi (Consiglio di Stato, sez. III, n. 1743 del 02.04.2015 cit.).
9.- Nella fattispecie, come emerge dagli atti, l’Azienda Ospedaliera, aveva rilevato che fra la proposta formulata dal RTI SDS, che aveva offerto uno sconto del 29,30 sulla base d’asta, e gli altri concorrenti vi era un evidente scostamento. Pur non ricorrendo la fattispecie prevista dall’art. 86, comma 2, del codice dei contratti pubblici, con la deliberazione n. 776 del 22.07.2014, ha quindi ritenuto «opportuno valutare l’eventuale anomalia dell’offerta ai sensi del comma 3 del medesimo art. 86 del D. Lgs. 163/2006».
Con la stessa delibera l’Amministrazione ha quindi individuato la Commissione prevista dall’art. 88, comma 1-bis, del codice dei contratti pubblici.
9.1.- Il RUP, nominato Presidente della Commissione, ha, in conseguenza, invitato il concorrente a fornire le relative giustificazioni, con particolare riferimento ai costi del personale indicati nell’offerta.
9.2.- Nella seduta del 28.08.2014, la Commissione, viste le giustificazioni trasmesse, ha ritenuto di dover approfondire «l’aspetto riguardante le tabelle riportanti il costo medio orario relativo ai contratti collettivi di lavoro applicati dal RTI». La Commissione ha pertanto deciso di verificare, presso il CNAI, la disponibilità di un documento ufficiale con il costo del lavoro del settore terziario relativo al contratto applicato dal RTI SDS, e di richiedere, allo stesso RTI, un documento ufficiale con la tabella del costo orario totale per il 4° e 5° livello (CNAI Terziario).
La Commissione ha poi anche deciso di acquisire da un professionista del settore un parere «in merito alla correttezza della “Tabella costo orario totale 4° e 5° livello (CNAI Terziario)” prodotta dal concorrente».
9.3.- Nella successiva seduta del 09.09.2014, la Commissione, vista la risposta del RTI SDS, in data 05.09.2014 (con allegata una certificazione rilasciata dallo studio di consulenza commerciale De Pace Francesco, revisore legale), vista la nota del CNAI del 02.09.2014 e viste le note trasmesse, in data 3 e 05.09.2014, dal rag. Ma.Sa., revisore ufficiale dei conti, esperto contabile ed iscritto all’Ordine dei dottori commercialisti e degli esperti contabili, ha ritenuto che «l’offerta formulata dal concorrente non sia affetta da anomalia» (verbale n. 2 del 9 settembre 2014).
10.- Considerato che la Commissione non ha esplicitato, con una propria motivazione, le ragioni del suo convincimento, si deve evidenziare che il RTI SDS aveva chiarito, con nota del 05.09.2014, che il contratto collettivo nazionale applicato era il CCNL CNAI, settore Terziario e Servizi, regolarmente depositato presso il Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro (CNEL), sul cui sito era reperibile.
Il RTI SDS, dopo aver ricordato che per il detto CCNL non esistono tabelle ufficiali di determinazione del costo orario del lavoro, ha evidenziato che nel contratto sono però espressamente riportate le tabelle retributive sulla base delle quali, tenendo conto dell’incidenza degli altri elementi retributivi e degli oneri previdenziali, assicurativi, fiscali e assistenziali e delle ore di effettivo lavoro (per le ferie, permessi ed assenze), ha potuto determinare il costo orario aziendale.
Con successiva nota, sempre in data 05.09.2014, il RTI SDS ha meglio precisato le modalità di determinazione del totale delle ore annuali lavorate (1.821), calcolate sulla base delle ore di ferie annuali (160), delle ore di permessi annuali (16), delle ore annuali per festività (72) e dell’incidenza delle altre ore non lavorate per malattie e varie (19).
10.1.- La Commissione ha poi tenuto conto delle osservazioni fatte pervenire dal rag. Ma.Sa., revisore ufficiale dei conti, esperto contabile ed iscritto all’Ordine dei dottori commercialisti e degli esperti contabili, che, con nota del 03.09.2014, ha affermato che il costo paga base utilizzato dagli iscritti CNAI è inferiore (nella misura poi meglio specificata) a quello utilizzato dalle tabelle del contratto collettivo della Confcommercio e prevede contributi per il “Fondo Est” in misura inferiore a quelli previsti per il fondo “Enmoa”.
Il rag. Ma.Sa. ha poi aggiunto che il contratto collettivo della Confcommercio prevede anche la quattordicesima mensilità, mentre il contratto CNAI esprime i valori in 13 mensilità.
Il rag. Sa. ha inoltre precisato che i conteggi INPS e INAIL erano corretti (benché il conteggio INAIL evidenziasse l’aliquota più bassa e con minima copertura rischi, da verificare con una analisi del rischio infortuni reale) e che il conteggio IRAP presentava una differenza poco significativa.
10.2.- A seguito di richiesta del RUP di ulteriori chiarimenti sul totale delle ore lavorate, pari (per il RTI SDS) a 1821, il rag. Sa., con successiva mail del 05.09.2014, ha aggiunto che per il contratto Confcommercio il totale delle ore lavorate era pari a 1720 annue.
11.- Così ricostruito il quadro normativo e fattuale e tenuto conto delle risultanze dell’istruttoria compiuta, la Sezione ritiene che il giudizio di anomalia condotto dall’Azienda Ospedaliera e la conseguente aggiudicazione della gara al RTI SDS non possano ritenersi esenti dalle censure sollevate da GPI.
L’Azienda Ospedaliera ha, infatti, ritenuto congrua ed affidabile un’offerta che prevedeva un ribasso di quasi il 30% sull’importo a base d’asta (notevolmente superiore al ribasso offerto dalle altre imprese partecipanti alla gara), per effetto dell’applicazione di un contratto collettivo che prevede livelli retributivi decisamente inferiori rispetto a quelli previsti dalle tabelle ministeriali di riferimento e che risulta stipulato da associazioni non comparativamente più rappresentative, come accertato all’esito dell’istruttoria disposta da questa Sezione, nell’ambito di un settore che è regolato dalla contrattazione collettiva e nel quale sono presenti contratti, stipulati da soggetti sindacali comparativamente maggiormente rappresentativi, che sono stati tenuti in considerazione dalle tabelle ministeriali di riferimento.
12.- In proposito, si deve, innanzitutto, evidenziare che, come ha rilevato il Ministero del Lavoro all’esito di un’accurata istruttoria, il CCNL CNAI, utilizzato dal RTI SDS nella sua offerta, non può considerarsi siglato da rappresentanze sindacali (dei datori di lavoro e dei lavoratori) comparativamente più rappresentative (pagine 6 ed 8 della Relazione istruttoria).
12.1.- Tale (rilevante) circostanza non è stata peraltro oggetto di una particolare attenzione nel giudizio di anomalia effettuato dall’Azienda Ospedaliera resistente (e non è stata nemmeno considerata dal TAR che ha ritenuto che incombesse alla ricorrente GPI fornire la prova di tale elemento).
Mentre tale circostanza doveva essere oggetto di particolare attenzione nel giudizio di anomalia tenuto conto che, come si è già prima ricordato,
l’art. 86, comma 3-bis, del Codice dei contratti pubblici non solo prevede che, nella predisposizione delle gare di appalto e nella valutazione dell'anomalia delle offerte, gli enti aggiudicatori siano tenuti a verificare che il valore economico dell’offerta sia adeguato e sufficiente rispetto al costo del lavoro (e al costo relativo alla sicurezza), ma stabilisce anche che il parametro di valutazione del costo del lavoro è costituito dalle apposite tabelle redatte periodicamente dal Ministro del lavoro «sulla base dei valori economici previsti dalla contrattazione collettiva stipulata dai sindacati comparativamente più rappresentativi, delle norme in materia previdenziale ed assistenziale, dei diversi settori merceologici e delle differenti aree territoriali».
13. Nella fattispecie, mancando il giudizio di non anomalia dell’offerta del RTI SDS di ogni motivazione, si può ritenere, dall’esame degli atti sui quali il giudizio è stato formulato, che l’Azienda Ospedaliera, in base agli atti acquisiti e ai chiarimenti forniti dal proprio consulente, ha ritenuto sufficiente rilevare che il contratto CNAI, utilizzato dal RTI SDS, era esistente e valido, perché depositato presso il CNEL, e che, quindi, l’offerta presentata era congrua anche perché faceva applicazione di tale contratto (pur avendo l’istruttoria evidenziato differenze nel trattamento retributivo dei lavoratori, non irrilevanti).
13.1.- Ma
tale giudizio non può ritenersi legittimo non essendo stata fatta, come si è potuto accertare, alcuna concreta valutazione sull’effettiva possibile applicazione in una gara pubblica del contratto CNAI, sottoscritto da sigle sindacali non maggiormente rappresentative, ed essendo mancata anche un’effettiva comparazione dei costi indicati e delle ore di lavoro stimate con le tabelle ministeriali predisposte per il settore in questione, essendosi il rag. Sa. limitato ad effettuare alcune comparazioni con il contratto collettivo nazionale “Confcommercio”.
14.- Secondo l’Azienda Ospedaliera (e il resistente RTI SDS) in Italia il datore di lavoro può peraltro liberamente scegliere il CCNL da applicare ai rapporti di lavoro. Ed è rispetto al contratto collettivo prescelto che può essere condotto il giudizio di adeguatezza e sufficienza della retribuzione e quindi può essere valutata la possibile anomalia dell’offerta.
Ma, sebbene il contratto CNAI non possa ritenersi invalido, come pure ha affermato l’appellante, tenuto conto che non vi sono norme che ne prevedono espressamente la nullità o l’inefficacia, è però evidente che
il vigente sistema normativo pone come parametro di riferimento, per la valutazione della congruità degli oneri per il lavoro del personale impiegato negli appalti pubblici, i costi determinati dalle tabelle predisposte dal Ministro del lavoro. E tali tabelle hanno come esclusivo riferimento i valori economici previsti dalla contrattazione collettiva stipulata dai sindacati comparativamente più rappresentativi di entrambe le parti che lo sottoscrivono.
14.1.-
Il possibile utilizzo, nel settore pubblico, di contratti collettivi di lavoro stipulati da sigle sindacali che non hanno il sufficiente grado di rappresentatività (e che per questo non sono considerati nella determinazione delle citate tabelle ministeriali) costituisce pertanto un’evidente anomalia del sistema.
15.- Peraltro, come anche il TAR ha evidenziato,
se si ammettono senza riserve offerte che sono formulate facendo applicazione di costi del lavoro molto più contenuti, oggetto di contratti collettivi di lavoro sottoscritti da sindacati non adeguatamente rappresentativi, si determinano pratiche di dumping sociale perché solo alcune imprese possono beneficiare di disposizioni che giustificano un costo del lavoro inferiore.
Peraltro le altre aziende di quel settore, per essere competitive e non essere estromesse dal mercato, soprattutto in gare cd. labour intensive nelle quali è decisivo il costo del lavoro, sarebbero costrette poi ad utilizzare quegli stessi contratti collettivi che, anche se non sottoscritti da rappresentanze dei sindacati maggiormente rappresentativi, offrono trattamenti retributivi inferiori, con una evidente alterazione del sistema.

15.1.-
Senza contare che in tal modo i lavoratori potrebbero vedersi applicate, in modo sostanzialmente unilaterale, condizioni di lavoro stabilite da sigle sindacali a loro del tutto sconosciute.
15.2.- Peraltro,
considerato che in gare come quella in questione è previsto il passaggio dei lavoratori già occupati da un datore di lavoro ad un altro (art. 13 del bando), per la presenza della cd. clausola sociale, se si ammettono senza riserve offerte formulate facendo applicazione di costi del lavoro molto più contenuti, oggetto di contratti collettivi di lavoro sottoscritti da sindacati non adeguatamente rappresentativi, la competizione fra le imprese partecipanti alla gara si svolgerebbe non sulla base di una migliore o diversa articolazione del lavoro (e quindi sulle base di caratteristiche proprie dell’impresa) ma in base ai diversi costi del lavoro determinati dall’applicazione di diversi contratti collettivi anche eventualmente sottoscritti da sindacati non adeguatamente rappresentativi.
15.3.-
Ciò conferma la necessità che il costo del lavoro debba avere come parametro di riferimento quello stabilito dalle tabelle ministeriali del settore interessato che sono calcolate sulla base della contrattazione collettiva stipulata dai sindacati comparativamente più rappresentativi.
16.- Sebbene, come ha sottolineato nella sua memoria l’Azienda Ospedaliera resistente, la lex specialis di gara non prescriveva, nella fattispecie, alcun obbligo per i concorrenti di applicare al proprio personale un determinato contratto collettivo, non può tuttavia convenirsi sull’affermazione della stessa Azienda secondo la quale, in conseguenza, era liberamente applicabile da parte del RTI SDS il contratto CNAI.
16.1.- Il giudizio di anomalia avrebbe dovuto essere, invece, particolarmente rigoroso perché il settore è regolato da contratti collettivi nazionali di lavoro stipulati da soggetti sindacali comparativamente maggiormente rappresentativi, come è stato confermato dall’istruttoria disposta da questa Sezione, e perché il contratto CNAI non rientra fra quelli stipulati da soggetti sindacali comparativamente maggiormente rappresentativi.
Mentre la procedura di verifica di anomalia condotta dall’Azienda Ospedaliera ha permesso al RTI SDS di giustificare i propri costi del lavoro sulla base di un CCNL che, in virtù del chiaro disposto dell'art. 86, comma 3, cit., non poteva essere impiegato come valido parametro di riferimento e che presentava poi, come si è accertato, diversi non irrilevanti scostamenti rispetto ai legittimi parametri indicati.
17.-
E’ vero che, come si è prima ricordato, le tabelle ministeriali, secondo la giurisprudenza amministrativa, costituiscono solo un parametro di riferimento nella valutazione di una possibile anomalia dell’offerta. Ma una possibile differenza del costo del lavoro determinato (in concreto) nell’offerta dal costo indicato nelle tabelle ministeriali può essere giustificata dalle diverse particolari situazioni aziendali e territoriali e dalla capacità organizzativa dell’impresa che possono rendere possibile, in determinati contesti particolarmente virtuosi, anche una riduzione dei costi del lavoro.
Come si è già in precedenza ricordato, questa Sezione ha affermato in proposito che
i costi indicati nelle tabelle ministeriali sono costi medi, tipologici, e non possono non essere considerati, in sede di valutazione delle offerte, aspetti che riguardano le singole imprese (diverse per natura, caratteristiche, agevolazioni e sgravi fiscali ottenibili). In conseguenza, ai fini della valutazione della migliore offerta, si può tenere conto anche delle possibili economie che le singole imprese possono conseguire (anche con riferimento al costo del lavoro), nel rispetto delle disposizioni di legge e dei contratti collettivi (Consiglio di Stato, Sez. III, n. 1743 del 02.04.2015, cit.).
17.1.-
La ritenuta possibile presentazione di offerte da parte di imprese che affermano di utilizzare contratti collettivi che non rientrano fra quelli stipulati da associazioni maggiormente rappresentative risulta, invece, del tutto estranea alle suddette valutazioni riguardanti le specifiche caratteristiche dell’attività di impresa.
18.- Il resistente RTI SDS, nella sua memoria conclusiva, ha sostenuto che anche la Corte Costituzionale, nella recente sentenza n. 51 del 2015, ha ribadito il principio che i contratti collettivi stipulati dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative non hanno efficacia erga omnes.
Ma se è vero che in tale sentenza la Corte ha affermato che la censurata disposizione riguardante i soci lavoratori di società cooperative (art. 7, comma 4, del d.l. n. 248 del 2007) non assegnava ai contratti collettivi stipulati dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative efficacia erga omnes, in contrasto con quanto statuito dall’art. 39 della Costituzione, la stessa Corte ha poi affermato, dichiarando non fondata la questione sollevata, che l’indicata disposizione, nell’effettuare un rinvio alla fonte collettiva che, meglio di altre, recepisce l’andamento delle dinamiche retributive nei settori in cui operano le società cooperative, «si propone di contrastare forme di competizione salariale al ribasso, in linea con l’indirizzo giurisprudenziale che, da tempo, ritiene conforme ai requisiti della proporzionalità e della sufficienza (art. 36 Cost.) la retribuzione concordata nei contratti collettivi di lavoro firmati da associazioni comparativamente più rappresentative».
Tali conclusioni sono del tutto coerenti con quanto ritenuto dalla Sezione nel caso in esame.
19.- Si deve poi anche considerare che, come ha evidenziato nelle sue memorie la FILCAMS CGIL, l’art. 1 del d.l. n. 338 del 09.10.1989 (Disposizioni urgenti in materia di evasione contributiva, di fiscalizzazione degli oneri sociali, di sgravi contributivi nel Mezzogiorno e di finanziamento dei patronati), convertito in legge, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della legge 07.12.1989, n. 389, ha previsto, al comma 1, che «l
a retribuzione da assumere come base per il calcolo dei contributi di previdenza e di assistenza sociale non può essere inferiore all'importo delle retribuzioni stabilito da leggi, regolamenti, contratti collettivi, stipulati dalle organizzazioni sindacali più rappresentative su base nazionale, ovvero da accordi collettivi o contratti individuali, qualora ne derivi una retribuzione di importo superiore a quello previsto dal contratto collettivo».
L’art. 2, comma 25, della legge n. 549 del 28.12.1995, ha poi precisato che il predetto articolo 1 del decreto-legge 09.10.1989, n. 338, si interpreta nel senso che, in caso di pluralità di contratti collettivi intervenuti per la medesima categoria, la retribuzione da assumere come base per il calcolo dei contributi previdenziali ed assistenziali è quella stabilita dai contratti collettivi stipulati dalle organizzazioni sindacali dei lavoratori e dei datori di lavoro comparativamente più rappresentative nella categoria.
Il legislatore ha, quindi, stabilito che i contratti collettivi da considerare, per la determinazione degli oneri contributivi, nel rispetto dell’art. 36 della Costituzione, sono quelli sottoscritti dai sindacati dei lavoratori e dei datori di lavoro comparativamente più rappresentativi nella categoria, su base nazionale.
20.- Si deve poi aggiungere che il giudizio di non anomalia effettuato dall’Azienda Ospedaliera resistente, come è emerso dall’istruttoria compiuta, non può considerarsi legittimo anche perché non irrilevanti (perché superiori al 6,5%) sono gli scostamenti dei livelli retributivi considerati nelle tabelle ministeriali e il CCNL CNAI.
21.- Non può pertanto essere condivisa la sentenza appellata che, nell’erroneo presupposto della non dimostrata carenza di rappresentatività delle organizzazioni sindacali che hanno sottoscritto il contratto CNAI, ha ritenuto non viziato il giudizio di adeguatezza dell’offerta del RTI SDS.
22.- Del resto
se pure l’offerta del RTI SDS è chiaramente più conveniente per l’Azienda Ospedaliera resistente, che ha evidenziato un risparmio di circa 4 milioni di euro per l’intera durata del contratto, tuttavia tale circostanza non può giustificare le conclusioni raggiunte all’esito del giudizio di anomalia, tenuto conto l’adeguatezza dell’offerta non può essere valutata solo sulla sua ritenuta convenienza economica e prescindendo dai suoi contenuti, ma implica anche una rigorosa verifica della sua serietà e della sua legittimità che, nella fattispecie, per i motivi esposti, non risulta effettuata.
23.- In conclusione, per tutti gli esposti motivi, l’appello deve essere accolto e,
in integrale riforma dell’appellata sentenza del TAR per la Lombardia, Sezione staccata di Brescia, Sezione II, n. 1470 del 31.12.2014, deve essere annullato il giudizio di non anomalia effettuato dall’Azienda Ospedaliera resistente sull’offerta presentata dal RTI SDS e la conseguente aggiudicazione allo stesso RTI della gara in questione.
Sono fatti salvi i successivi provvedimenti dell’Amministrazione.
23.1.- Ai sensi degli articoli 121 e 122 del c.p.a., il contratto eventualmente nelle more sottoscritto dall’Azienda Ospedaliera con il RTI SDS deve ritenersi inefficace a decorrere dal termine di 90 giorni dalla data della notifica o comunicazione in via amministrativa, se anteriore, della presente decisione.

APPALTI: Azienda in gara se la banca sbaglia.
Occhio alle banche: si rischia di restare fuori dall'appalto. L'impresa si ritrova senza Durc perché manca all'appello una tranche di contributi previdenziali e l'ente non può attestare la regolarità nei versamenti.
L'azienda aggiudicataria subito ne approfitta tentando di impedire che si possa riaprire la procedura. E invece no: perché l'importo mancante risulta esiguo e soprattutto l'errore è addebitabile all'istituto di credito delegato che ha sbagliato il bonifico. Insomma: scatta lo stop all'attribuzione dei lavori con la vittoria nella causa dell'azienda che era a rischio esclusione.

È quanto emerge dalla sentenza 09.10.2015 n. 2178, pubblicata dal TAR Campania-Salerno, Sez. I.
Errore di esecuzione
Niente da fare per il ricorso incidentale dell'azienda controinteressata. Bocciata la censura secondo cui non avrebbe rilievo la regolarizzazione cui nel frattempo è giunto il competitor. E ciò perché secondo l'impresa vincitrice il pagamento successivo non vale a sanare la precedente dichiarazione falsa che farebbe scattare automaticamente l'esclusione della concorrente.
In realtà nel caso specifico l'espulsione dalla procedura scatta ai sensi dell'articolo 38, comma 1, lettera i), del decreto legislativo 163/2006, che tuttavia richiede «violazioni gravi, definitivamente accertate, alle norme in materia di contributi previdenziali e assistenziali».
Ma la cassa previdenziale conferma: i contributi non versati ammontano a soli 110 euro e le norme applicabili alla fattispecie chiudono un occhio sugli scostamenti contenuti. Lo sbaglio addebitabile alla banca fa il resto. Insomma: gara tutta da rifare (articolo ItaliaOggi del 07.01.2016).
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MASSIMA
- Vista la censura incidentale con la quale viene dedotto che, alla data (22.7.2014) di sottoscrizione della dichiarazione di regolarità contributiva, l’impresa ricorrente non era in possesso del suddetto requisito, come emerge dal DURC acquisito d’ufficio e rilasciato in data 09.01.2015, non assumendo rilievo la procedura di regolarizzazione postuma da essa attuata, sia perché il pagamento successivo non vale a sanare la mendacità della dichiarazione, sia perché la carenza originaria del requisito è causa originaria ed automatica di esclusione;
- Ritenuta l’infondatezza della censura incidentale suindicata;
- Premesso che la causa di esclusione di cui si tratta è integrata, ai sensi dell’art. 38, comma 1, lett. i), d.lvo n. 163/2006, dalla commissione di “violazioni gravi, definitivamente accertate, alle norme in materia di contributi previdenziali e assistenziali”;
- Ritenuto in particolare che non sia ravvisabile il presupposto della “gravità” della violazione, alla luce dell’importo del versamento non eseguito e delle circostanze della violazione;
- Evidenziato, quanto al primo aspetto, che l’omesso versamento ha ad oggetto l’importo di soli € 110 (cfr. nota della Cassa Edile di Como e Lecco del 17.11.2014, allegata alla memoria di parte ricorrente del 05.05.2015), quanto al secondo, che la parte ricorrente ha dimostrato che la violazione è derivata dall’errore di esecuzione del bonifico disposto in data 30.06.2014 imputabile alla banca delegata (cfr. dichiarazione del Banco Popolare del 20.01.2015, ordine di bonifico del 30.06.2015 –recte 30.06.2014– e distinta di bonifico del 30.06.2014);
- Rilevato inoltre che,
ai sensi dell’art. 38, comma 2, quarto periodo, d.lvo n. 163/2006, “si intendono gravi le violazioni ostative al rilascio del documento unico di regolarità contributiva di cui all'articolo 2, comma 2, del decreto-legge 25.09.2002, n. 210, convertito, con modificazioni, dalla legge 22.11.2002, n. 266”;
- Visto a tal fine l’art. 8, comma 3, d.m. 24.10.2007, vigente ratione temporis, ai sensi del quale “
ai soli fini della partecipazione a gare di appalto non osta al rilascio del DURC uno scostamento non grave tra le somme dovute e quelle versate, con riferimento a ciascun Istituto previdenziale ed a ciascuna Cassa edile”;
- Rilevato che la parte ricorrente incidentale non dimostra il carattere grave della contestata omissione, alla luce della disposizione appena citata, mentre l’importo della stessa induce a presumere, come già rilevato, l’assenza del suddetto requisito, indispensabile al fine di giustificare l’espulsione dalla gara dell’impresa irregolare;
- Ritenuto quindi che il ricorso incidentale debba essere respinto, siccome infondato;

APPALTI: Gare, no all'esclusione automatica senza il Passoe.
La mancata inclusione del Passoe nell'offerta non comporta l'esclusione automatica dalla gara.

È quanto afferma l'Autorità nazionale anticorruzione con il parere di precontenzioso n. 165 del 07/10/2015 - rif. PREC 32/15/L  con riguardo al cosiddetto «Passoe», ossia al codice «Pass operatore economico» da rilasciare da parte del sistema Avcpass, oggi gestito dall'Autorità nazionale anticorruzione, ma che in futuro dovrebbe rientrare nelle competenze del ministero delle infrastrutture, secondo quanto prevede il testo attuale del disegno di legge delega sugli appalti all'esame dell'aula della camera.
Nella fattispecie oggetto del parere una stazione appaltante aveva bandito una gara senza specificare nel bando di gara l'obbligo per i concorrenti di inserimento, tra la documentazione da presentare a corredo dell'offerta, del documento Passoe. Si trattava quindi di decidere se fosse conforme alla normativa di settore l'ammissione alla procedura di tutti i concorrenti che non avevano prodotto il documento Passoe.
Il sistema di verifica dei requisiti (Avcpass) prevede, ai sensi di quanto stabilito dalla deliberazione dell'Autorita n. 111 del 20.12.2012 (poi modificata l'08.05. e il 05.06.2013) che ogni concorrente, tramite il sistema informativo, sia in possesso di un «Passoe» da inserire nella busta contenente la documentazione amministrativa.
L'Anac ha chiarito che la mancata inclusione del documento Passoe nella busta contenente la documentazione amministrativa, non può costituire causa di esclusione e quindi ha nella sostanza affermato che se una stazione non richiede la produzione del Passoe la gara è valida e i concorrenti non possono essere esclusi. Da ciò si deduce quindi che è consentito alla stazione appaltante verificare i requisiti autodichiarati dai concorrenti attraverso la successiva produzione materiale dei documenti a comprova dei requisiti stessi.
Il punto della questione è infatti che il sistema Avcpass non sembra funzionare a dovere al punto che la stessa Anac ha dovuto chiarire che, per quanto riguarda il Durc (per comprova del requisito della regolarità contributiva) va chiesto direttamente all'Inps, implicitamente considerando l'Avcpass un sistema di verifica non esclusivo.
D'altro canto la stessa giurisprudenza amministrativa aveva legittimato l'annullamento di una gara per malfunzionamento del sistema Avcpass (articolo ItaliaOggi del 31.10.2015).

APPALTI: Il procedimento di verifica dell'anomalia mira ad accertare in concreto che l'offerta, nel suo complesso, sia attendibile ed affidabile in relazione alla corretta esecuzione dell'appalto.
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Principi sul giudizio di anomalia dell'offerta. Il nuovo gestore deve impegnarsi ad assumere i dipendenti del gestore uscente, precedentemente addetti al servizio di distribuzione del gas, ma non anche obbligarsi ad assegnarli allo specifico servizio oggetto di gara.

Il procedimento di verifica dell'anomalia non ha carattere sanzionatorio e non ha per oggetto la ricerca di specifiche e singole inesattezze dell'offerta economica, mirando piuttosto ad accertare in concreto che l'offerta, nel suo complesso, sia attendibile ed affidabile in relazione alla corretta esecuzione dell'appalto.
Detto procedimento, dunque, risulta di per sé avulso da ogni formalismo, essendo improntato alla massima collaborazione tra Amministrazione appaltante e offerente, ponendosi quale mezzo indispensabile per l'effettiva instaurazione del contraddittorio ed il concreto apprezzamento dell'adeguatezza dell'offerta, in modo da garantire e tutelare l'interesse pubblico concretamente perseguito dall'amministrazione, attraverso la procedura di gara, e consistente nell'effettiva scelta del miglior contraente possibile ai fini dell'esecuzione dell'appalto.
La legittimità del procedimento di verifica postula, dunque, quale suo elemento costitutivo e caratterizzante, l'effettività del contraddittorio (tra Amministrazione appaltante ed offerente), di cui costituiscono necessari corollari, l'assenza di preclusioni alla presentazione di giustificazioni, ancorate al momento della scadenza del termine di presentazione delle offerte e l'immodificabilità dell'offerta.
Nelle procedure per l'aggiudicazione di appalti pubblici l'esame delle giustificazioni presentate dal soggetto che è tenuto a dimostrare la non anomalia dell'offerta è vicenda che rientra nella discrezionalità tecnica dell'Amministrazione, per cui soltanto in caso di macroscopiche illogicità, vale a dire di errori di valutazione evidenti e gravi, oppure di valutazioni abnormi o affette da errori di fatto, il giudice della legittimità può intervenire, restando per il resto la capacità di giudizio confinata entro i limiti dell'apprezzamento tecnico proprio di tale tipo di discrezionalità.
La giurisprudenza è altresì saldamente orientata nel senso che, nel caso di ricorso proposto avverso il giudizio di anomalia dell'offerta presentata in una pubblica gara, il g.a. possa sindacare le valutazioni compiute dall'Amministrazione sotto il profilo della loro logicità e ragionevolezza e della congruità dell'istruttoria, mentre non possa invece operare autonomamente la verifica della congruità dell'offerta presentata e delle sue singole voci, sovrapponendo così la sua idea tecnica al giudizio -non erroneo né illogico- formulato dall'organo amministrativo cui la legge attribuisce la tutela dell'interesse pubblico nell'apprezzamento del caso concreto, poiché, così facendo, il Giudice invaderebbe una sfera propria della P.A..
Inoltre, il giudizio di anomalia postula una motivazione rigorosa ed analitica ove si concluda in senso sfavorevole all'offerente, mentre non si richiede, di contro, una motivazione analitica nell'ipotesi di esito positivo della verifica di anomalia, nel qual caso è sufficiente motivare per relationem con riferimento alle giustificazioni presentate dal concorrente (sempre che a loro volta adeguate).
Di conseguenza, in questa seconda evenienza incombe su chi contesti l'aggiudicazione l'onere di individuare gli specifici elementi da cui il g.a. possa evincere che la valutazione tecnico-discrezionale dell'Amministrazione sia stata manifestamente irragionevole, ovvero basata su fatti erronei o travisati. Infine, il giudizio di verifica della congruità di un'offerta potenzialmente anomala ha natura globale e sintetica, vertendo sulla serietà o meno dell'offerta nel suo insieme.
L'attendibilità della offerta va cioè valutata nel suo complesso, e non con riferimento alle singole voci di prezzo ritenute incongrue, avulse dall'incidenza che potrebbero avere sull'offerta economica nel suo insieme: questo ferma restando la possibile rilevanza del giudizio di inattendibilità che dovesse investire voci che, per la loro importanza ed incidenza complessiva, rendano l'intera operazione economica implausibile e, per l'effetto, insuscettibile di accettazione da parte dell'Amministrazione, in quanto insidiata da indici strutturali di carente affidabilità.
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La clausola sociale va interpretata nel senso che l'appaltatore subentrante deve prioritariamente assumere gli stessi addetti che operavano alle dipendenze dell'appaltatore uscente, a condizione che il loro numero e la loro qualifica siano armonizzabili con l'organizzazione d'impresa prescelta dall'imprenditore subentrante.
I lavoratori che non trovano spazio nell'organigramma dell'appaltatore subentrante e che non vengano ulteriormente impiegati dall'appaltatore uscente in altri settori, sono destinatari delle misure legislative in materia di ammortizzatori sociali. Nel caso in cui la c.d. "clausola sociale" sia stata richiamata espressamente dal bando, essa assume portata cogente, sia per gli offerenti che per l'Amministrazione.
Ciò implica che l'offerente non può obliarne la portata riducendo ad libitum il numero di unità impiegate nell'appalto cui rapportare il servizio; ovvero, a tutto concedere, potrebbe così operare, chiarendo però il formale rispetto della detta prescrizione, richiamando la "flessibilità" affermata dal diritto vivente, e disponendo che le unità assunte vadano adibite ad altre mansioni e servizi".
Dunque, il nuovo gestore ha certamente l'obbligo prioritario di rispettare le mansioni proprie del "personale assorbito" e, solo nel caso in cui ciò non sia possibile, impiegarlo in altri settori, ovvero, quale extrema ratio, fare ricorso alle misure legislative in materia di ammortizzatori sociali (TAR Lombardia-Milano, Sez. IV, sentenza 06.10.2015 n. 2106 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTITicket fisso sui ricorsi negli appalti. Non vi è l’obbligo di pagare altri tributi se i motivi aggiunti non ampliano la controversia.
Corte Ue/1. I giudici europei ritengono legittimo il contributo da 2mila a 6mila euro modulati in base all’entità dei lavori o dei servizi in gara.
La Corte di giustizia dell’Unione europea si pronuncia sui contributi che vanno pagati quando si impugna una gara di appalto.
La sentenza 06.10.2015 (C-61/14) ritiene legittimi gli importi (da 2mila a 6mila euro) dovuti contestualmente al deposito di ricorsi in primo e in secondo grado. La sentenza stessa, tuttavia, consentirà agli operatori notevoli risparmi lungo il procedimento giurisdizionale, con riferimento ai motivi aggiunti e ai ricorsi incidentali. Questa seconda affermazione della Corte di giustizia interessa, in quanto principio generale, tutti i tipi di contenzioso dinanzi ai giudici amministrativi, cioè anche quelli che non riguardano appalti di lavori, servizi o forniture.
Per ciò che riguarda il primo tema, cioè la fase iniziale della lite, i giudici europei ritengono che la soglia di peso eccessivo del contributo iniziale sia individuabile nel 2% del valore dell’appalto: solo un contributo che superi tale percentuale limiterebbe l’esercizio del diritto alla giustizia. Non ha quindi rilievo il vantaggio che l’impresa può attendersi dall’aggiudicazione dell’appalto (il cosiddetto utile d’impresa, che può anche essere modesto), con la conseguenza che è corretto pretendere il pagamento di importi fissi (2, 4 e 6mila euro) a seconda del valore dell’appalto (inferiore a 200mila euro, tra 200mila e 1 milione, superiore al milione di euro).
Rimane quindi il rilevante peso economico del contributo iniziale, che in materia di appalti aggiunge ad altri ostacoli quali i tempi ridotti per agire in giudizio (30 giorni per le gare), i limiti alla lunghezza degli atti giudiziari (25 pagine) e infine le difficoltà, per chi risulta vincitore in giudizio, di ottenere l’effettiva assegnazione dei lavori nel frattempo iniziati da un altro, scorretto concorrente.
Ogni problema sull'entità del contributo, sottolinea la Corte, deve poi tenere presente che, in caso di vittoria in giudizio, vi è il diritto a ottenere il rimborso del contributo pagato. Il secondo principio espresso dalla Corte, può giovare a tutti coloro i quali hanno liti giudiziarie, ed è quello che dà rilievo al «bene della vita» cui la lite tende. Quando infatti in un unico procedimento giurisdizionale la parte interessata presenti poche richieste successive, quali motivi aggiunti o ricorsi incidentali, tutti convergenti verso un unico risultato, dovrà accertarsi se vi sia un «ampliamento considerevole» dell’oggetto della controversia già pendente: mancando tale ampliamento, non vi è nemmeno l’obbligo di pagare ulteriori tributi giudiziari.
Ciò consentirà risparmi consistenti, in quanto ogni ricorso si arricchisce, in attesa della sentenza, di fasi successive quali i motivi aggiunti o le domande incidentali man mano che si chiarisce l’operato dell’amministrazione. Se i vari segmenti della lite convergono verso un unico oggetto (l’annullamento del provvedimento lesivo), il contributo sarà unico. Spetta al giudice amministrativo l’accertamento su tali elementi: fino a oggi si è applicata una circolare del Segretariato della giustizia amministrativa (18.10.2011) che esigeva un contributo ogni volta che si ampliasse l’oggetto del giudizio, impugnando provvedimenti diversi o connessi.
Di fatto, ogni volta che si depositava un ulteriore atto notificato alle controparti, scattava l’onere di pagare un nuovo contributo, perché in ogni atto si leggeva un ampliamento del giudizio. Oggi invece, sulla base del chiaro indirizzo della Corte di giustizia si potrà adottare il criterio del «bene nella vita» (Consiglio di Stato, adunanza plenaria 15/2011) tenendo cioè presente il risultato cui tende la parte ricorrente.
Se tale risultato è unico (la vittoria di una gara, un titolo edilizio, un posto messo a concorso), non conta il numero degli atti giudiziari se questi servono solamente a circostanziare la pretesa
(articolo Il Sole 24 Ore del 07.10.2015 - tratto da www.centrostudicni.it).
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MASSIMA
... Per questi motivi, la Corte (Quinta Sezione) dichiara:
1) L’articolo 1 della direttiva 89/665/CEE del Consiglio, del 21.12.1989, che coordina le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative relative all’applicazione delle procedure di ricorso in materia di aggiudicazione degli appalti pubblici di forniture e di lavori, come modificata dalla direttiva 2007/66/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, dell’11.12.2007, nonché i principi di equivalenza e di effettività devono essere interpretati nel senso che essi non ostano a una normativa nazionale che impone il versamento di tributi giudiziari, come il contributo unificato oggetto del procedimento principale, all’atto di proposizione di un ricorso in materia di appalti pubblici dinanzi ai giudici amministrativi.
2) L’articolo 1 della direttiva 89/665, come modificata dalla direttiva 2007/66, nonché i principi di equivalenza e di effettività non ostano né alla riscossione di tributi giudiziari multipli nei confronti di un amministrato che introduca diversi ricorsi giurisdizionali relativi alla medesima aggiudicazione di appalti pubblici né a che tale amministrato sia obbligato a versare tributi giudiziari aggiuntivi per poter dedurre motivi aggiunti relativi alla medesima aggiudicazione di appalti pubblici, nel contesto di un procedimento giurisdizionale in corso.
Tuttavia, nell’ipotesi di contestazione di una parte interessata, spetta al giudice nazionale esaminare gli oggetti dei ricorsi presentati da un amministrato o dei motivi dedotti dal medesimo nel contesto di uno stesso procedimento. Il giudice nazionale, se accerta che tali oggetti non sono effettivamente distinti o non costituiscono un ampliamento considerevole dell’oggetto della controversia già pendente, è tenuto a dispensare l’amministrato dall’obbligo di pagamento di tributi giudiziari cumulativi.

APPALTI: Liti, contributo legittimo. Nei ricorsi al Tar in materia di appalti pubblici. Corte di giustizia Ue: ok chiedere più versamenti per lo stesso giudizio.
È legittimo e non esoso il contributo unificato previsto per i ricorsi al Tar in materia di contratti pubblici; corretta anche la richiesta di più contributi nello stesso giudizio, ma soltanto se sia giustificato da un'effettiva estensione dell'oggetto del processo e dei motivi di ricorso e ciò è rimesso alla valutazione del giudice nazionale.

Sono questi i principi affermati dalla Corte di giustizia europea nella
sentenza 06.10.2015 (C-61/14) pronunciata nelle cause riunite C-61/14 (Orizzonte salute), emessa su richiesta pregiudiziale del Tar Trento a seguito della ordinanza di rinvio del 29.01.2014 n. 23.
La vicenda nasce da un ricorso presentato da uno studio infermieristico associato che aveva partecipato a un appalto e aveva impugnato l'aggiudicazione ad altro studio.
Dopo un primo pagamento del contributo unificato per 650 euro, il Tar Trento aveva chiesto di effettuare un pagamento supplementare per raggiungere la cifra di 2.000 euro prevista dalla normativa vigente.
Da qui il ricorso in merito alla legittimità della richiesta dei 1.350 euro di differenza; nel gennaio 2014, il Tar Trento ha valutato opportuno rimettere al giudice europeo la questione pregiudiziale di legittimità per violazione di alcune norme della direttive 89/665/Ce sui ricorsi in materia di contratti pubblici.
Dopo aver premesso che il tributo giudiziario è necessario in quanto contribuisce al buon funzionamento della giustizia perché è fonte di finanziamento dell'attività giurisdizionale degli stati membri e, dall'altro, svolge anche un'efficacia dissuasiva rispetto a domande pretestuose o manifestamente infondate, la sentenza entra nel merito affermando la legittimità dei contributi unificati.
In particolare la sentenza afferma che il diritto dell'Unione permette al legislatore nazionale di stabilire un tariffario di contributi unificati, anche cumulativi, applicabile specificamente ai procedimenti amministrativi in materia di appalti.
La condizione è che l'importo del tributo giudiziario non sia di ostacolo l'accesso alla giustizia (principio di effettività) e che da ciò non derivi una violazione del principio di equivalenza per cui le modalità di tutela dei diritti previste nell'ordinamento italiano siano equivalenti a quelle approntate per la protezione di diritti sanciti dall'ordinamento dell'Unione europea.
Il limite del 2% previsto in Italia per i contributi processuali per la sentenza «non lede il predetto principio di effettività, sia perché tale percentuale in sé è assai contenuta sia perché, secondo le direttive dell'Unione, la partecipazione di un'impresa a un appalto pubblico ne presuppone un'appropriata capacità economica e finanziaria sia perché, infine, il soggetto soccombente nel giudizio è normalmente tenuto a rimborsare alla parte vittoriosa le spese di giustizia».
Per quel che concerne il cumulo di più contributi unificati nell'ambito dello stesso processo relativo al medesimo appalto, la sentenza lo ammette «se giustificato da un'effettiva estensione dell'oggetto del processo e dei motivi di ricorso», ma su questo rimette la valutazione al giudice nazionale (articolo ItaliaOggi del 07.10.2015).

APPALTI: Conta la solidità finanziaria. Dell'impresa ausiliaria nell'avvalimento.
In un appalto pubblico per il contratto di avvalimento relativo al fatturato non è necessaria la specifica messa a disposizione dei mezzi e delle risorse da parte dell'impresa ausiliaria. È sufficiente l'impegno a garantire con la propria solidità finanziaria l'esecuzione del contratto. La capacità economica è anche elemento di prova dell'esperienza nel settore.

È quanto ha stabilito il Consiglio di Stato, III Sez., con la sentenza 02.10.2015 n. 4617 in merito a un contratto di avvalimento concernente il requisito di capacità economico-finanziaria.
Nello specifico, la stazione appaltante aveva richiesto di dimostrare l'esistenza di un fatturato globale triennale di almeno 3 mln di euro e la società ausiliaria aveva previsto nel contratto di avvalimento a favore del concorrente di prestare «la sua capacità economico-finanziaria, nonché tutte le risorse per consentire l'esecuzione del servizio» e «il fatturato globale di impresa conseguito nel triennio per oltre 13 mln».
Riguardo l'oggetto della prestazione inerente l'avvalimento, i giudici hanno chiarito che quando un'impresa intenda avvalersi dei requisiti finanziari di un'altra impresa, la prestazione (oggetto specifico dell'obbligazione) è costituita «non già dalla messa a disposizione da parte dell'impresa ausiliaria di strutture organizzative e mezzi materiali, ma dal suo impegno a garantire con le proprie complessive risorse economiche». Così facendo l'impresa ausiliaria mette a disposizione del concorrente quello che la sentenza definisce come «suo valore aggiunto in termini di solidità finanziaria e di acclarata esperienza di settore, dei quali il fatturato costituisce indice significativo».
In questo caso, quindi, non è necessario, per ritenere legittimo il contratto di avvalimento, il riferimento a specifici beni patrimoniali o a indici materiali atti a esprimere una determinata consistenza patrimoniale.
Viceversa, diversamente da quanto accade per l'avvalimento di mezzi e attrezzature, per esempio, è sufficiente che dal contratto emerga l'impegno della società ausiliaria a «prestare» la sua complessiva solidità finanziaria ed il suo patrimonio esperienziale, e garantire con essi una determinata affidabilità ed un concreto supplemento di responsabilità (articolo ItaliaOggi del 09.10.2015.).
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MASSIMA
1.1.1. Quanto al primo profilo (sub a), non può non concordarsi con quanto ritenuto dal Giudice di primo grado; e cioè che il ‘contratto di avvalimento’ sottoscritto dalla società controinteressata (aggiudicataria), non è affatto generico.
La Stazione appaltante aveva richiesto di dimostrare la esistenza di un fatturato globale, relativo al triennio corrente dal 2008 al 2010, pari (o superiore) a €. 3.000.000,00.
Nel contratto di avvalimento stipulato dalla società DO.TR. con la società AU.GR. & GA. è chiaramente stabilito che quest’ultima ‘presta’ alla (rectius: mette a disposizione della) prima “la sua capacità economico-finanziaria, nonché tutte le risorse, nessuna esclusa, per consentire l’esecuzione del servizio”.
Il contratto in questione precisa altresì che le risorse messe a disposizione sono costituite:
- dal “fatturato globale di impresa conseguito nel triennio 2008-2010 di importo economico pari ad €.13.493.060,00 (i.v.a. esclusa)”;
- nonché dalle “risorse, mancanti all’avvalente, di qualsiasi genere o tipo nella disponibilità dell’impresa ausiliaria ivi comprese eventuali consulenze”.
Non appare revocabile in dubbio, pertanto, che il contenuto del contratto e della obbligazione è chiaro e sufficientemente specifico; e che la dichiarazione negoziale è idonea ad impegnare tutte le risorse della società ausiliaria (precisamente e letteralmente: la sua “intera capacità economico-finanziaria, nonché tutte le risorse, nessuna esclusa, per consentire l’esecuzione del servizio”); ed a garantire in pieno la c.d. società “ausiliata”.
D’altra parte la Sezione ha già chiarito -in un analogo precedente- che
allorquando un’impresa intenda avvalersi (mediante stipula di un c.d. ‘contratto di avvalimento’) dei requisiti finanziari di un’altra, la prestazione (oggetto specifico dell’obbligazione) è costituita non già dalla messa a disposizione da parte dell’impresa ausiliaria di strutture organizzative e mezzi ‘materiali’, ma dal suo impegno a “garantire” con le proprie complessive risorse economiche -il cui indice è costituito dal fatturato- l’impresa ‘ausiliata’ (munendola, così, di un requisito che altrimenti non avrebbe e consentendole di accedere alla gara nel rispetto delle condizioni poste dal Bando) (C.S., III, 06.02.2014 n. 584)
In altri termini
ciò che la impresa ausiliaria ‘presta’ alla (rectius: mette a disposizione della) ‘impresa ausiliata’ è il suo valore aggiunto in termini di “solidità finanziaria” e di acclarata “esperienza di settore”, dei quali il fatturato costituisce indice significativo.
Ne consegue che
non occorre che la dichiarazione negoziale costitutiva dell’impegno contrattuale si riferisca a specifici beni patrimoniali o ad indici materiali atti ad esprimere una determinata consistenza patrimoniale (dunque alla messa a disposizione di beni da descrivere ed individuare), essendo sufficiente che da essa (dichiarazione) emerga l’impegno (contrattuale) della società ausiliaria a ‘prestare’ (ed a mettere a disposizione della c.d. società ausiliata) la sua complessiva solidità finanziaria ed il suo patrimonio esperienziale, e garantire con essi una determinata affidabilità ed un concreto supplemento di responsabilità.
E poiché dal contratto di avvalimento esaminato emerge che la volontà negoziale dei contraenti è orientata nel senso sopra descritto, il provvedimento impugnato resiste, sotto il profilo in esame, alla censura.
1.1.2. Del pari infondata si appalesa il secondo profilo (sub b) del motivo in esame, con cui l’appellante lamenta che il Presidente della società aggiudicataria non aveva i necessari poteri (cc.dd. “poteri di rappresentanza”) per sottoscrivere il contratto di avvalimento, non essendo stato espressamente autorizzato dall’Assemblea dei soci.
La giurisprudenza afferma, al riguardo, che
gli Amministratori (ed il Presidente del Consiglio di Amministrazione) delle società di capitali possono compiere tutti gli atti che rientrano nell’”oggetto sociale” della società amministrata (Cass., I, 03.03.2010 n. 5152).
Ne consegue che tutti gli atti di tal genere (rientranti, cioè, nell’oggetto sociale in quanto fisiologicamente orientati al raggiungimento degli obiettivi statutari), vanno considerati “ordinari”.
E proprio perché compiuti nell’esercizio dell’”ordinaria” gestione dell’impresa, costituiscono, per essa, “atti di ordinaria amministrazione”, che -perciò stesso- ben possono essere compiuti dai soggetti che esercitano poteri di amministrazione e che hanno la rappresentanza del soggetto giuridico che esercita l’attività d’impresa.
Sicché,
essendo evidente che l’atto di sottoscrizione di un contratto di avvalimento per la partecipazione ad una gara costituisce un atto di ordinaria amministrazione nel senso testé indicato -in quanto fisiologicamente volto a realizzare, quale “fatto di ordinaria gestione”, gli obiettivi statutari- non appare revocabile in dubbio che il Presidente del CdA ben potesse sottoscriverlo nell’ordinario esercizio dei suoi poteri di rappresentanza e senza alcuna specifica autorizzazione al riguardo da parte dell’Assemblea dei soci.
Se a ciò si aggiunge che nella fattispecie non risulta che fossero operanti espresse limitazioni statutarie agli ordinari poteri di amministrazione e che in pendenza di giudizio (in data 25.11.2014) è stata prodotta la delibera del CdA che autorizzava il Presidente della società a sottoscrivere il contratto di avvalimento, non resta che concludere che la condotta della Stazione appaltante resiste sotto ogni profilo alla doglianza in esame.

settembre 2015

APPALTI: Gare, non partecipa chi ha carichi pendenti. Cds: anche senza sentenza definitiva.
Non occorre attendere la sentenza definitiva per escludere un concorrente da una gara per grave negligenza o malafede.

È quanto afferma il Consiglio di Stato, Sez. V, con la sentenza 28.09.2015 n. 4502 rispetto a una procedura di gara nella quale a carico di un concorrente era risultata la pendenza di indagini penali con richiesta di rinvio a giudizio e fissazione dell'udienza preliminare relativamente ad attività inerenti l'appalto da affidare, svolte negli anni precedenti. Profilo che avrebbe a sua volta configurato una grave negligenza o malafede e quindi una esclusione dalla gara.
I giudici hanno precisato che il requisito della grave negligenza e malafede non presuppone il definitivo accertamento di tale comportamento.
In sostanza, prima ancora della sentenza definitiva la stazione appaltante può valutare l'inidoneità del concorrente sotto il profilo dell'affidabilità e procedere alla sua esclusione. In tema di contenzioso per l'esclusione da gara di appalto ai sensi dell'articolo 38, comma 1, lettera f), del dlgs n. 163 del 2006 per inadempimenti in precedenti contratti, la decisione di esclusione per deficit di fiducia è quindi frutto di una valutazione discrezionale della stazione appaltante, alla quale il legislatore riserva l'individuazione del «punto di rottura dell'affidamento» nel pregresso o futuro contraente.
La sentenza chiarisce anche i limiti dell'intervento del giudice amministrativo che, nell'esame degli atti, non può rivalutare nel merito i fatti già vagliati dall'amministrazione nel provvedimento impugnato dovendosi limitare a un controllo teso soltanto ad accertare la mera pretestuosità del giudizio di inaffidabilità dell'impresa. Pertanto, il controllo del giudice amministrativo su tale valutazione discrezionale deve essere svolto ab extrinseco, ed è diretto ad accertare il ricorrere di seri indici di simulazione (dissimulante una odiosa esclusione), ma non è mai sostitutivo.
Il sindacato sulla motivazione del rifiuto deve essere rigorosamente mantenuto sul piano della verifica della non pretestuosità della valutazione degli elementi di fatto esibiti dall'appaltante come ragione di rifiuto e non può avvalersi di criteri che portano a evidenziare la mera non condivisibilità della valutazione stessa (articolo ItaliaOggi del 02.10.2015 - tratto da www.centrostudicni.it).
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MASSIMA
7.- L’appello è fondato e va accolto.
8.- Deve premettersi che, alla stregua della consolidata giurisprudenza della Cassazione e del Consiglio di Stato,
l’elemento che caratterizza la misura interdittiva di cui all’articolo 38, comma 1, lettera f), del codice dei contratti pubblici è il pregiudizio arrecato, a causa della negligenza o dell’inadempimento a specifiche obbligazioni contrattuali, alla fiducia che la stazione appaltante deve poter riporre ex ante nell’impresa alla quale affidare un servizio di interesse pubblico ed include di conseguenza presupposti squisitamente soggettivi, incidenti sull’immagine della stessa agli occhi della stazione appaltante.
Ne consegue che, esclusa la natura sanzionatoria di detta misura, l’ambito operativo prescinde dalla rilevanza penale dei comportamenti ascritti e degli inadempimenti contrattuali e dalla necessità di una sentenza penale di condanna per i fatti contestati, venendo in rilievo solamente la loro incidenza sull’elemento fiduciario che connota i rapporti contrattuali con la pubblica amministrazione.
In questa prospettiva il requisito della grave negligenza e malafede non presuppone il definitivo accertamento di tale comportamento, essendo sufficiente la valutazione fatta dalla stessa amministrazione, ed il giudice amministrativo nell’esame degli atti non può rivalutare nel merito i fatti già vagliati dall’amministrazione nel provvedimento impugnato
(Cons. Stato, V, 16.08.2010, n. 5725), dovendosi limitare ad un controllo ex externo onde accertare la mera pretestuosità del giudizio di inaffidabilità dell’impresa.
Come ha precisato la Cassazione (cfr. Cass. sez. un., 17.02.2012, nn. 2312 e 2313; 14.01.1997, n. 313; 22.12.2003, n. 19664),
in tema di contenzioso per l’esclusione da gara di appalto ai sensi dell’articolo 38, comma 1, lettera f), del d.lgs. n. 163 del 2006 per inadempimenti in precedenti contratti, la decisione di esclusione per deficit di fiducia è frutto di una valutazione discrezionale della stazione appaltante, alla quale il legislatore riserva la individuazione del “punto di rottura dell’affidamento” nel pregresso o futuro contraente.
Pertanto il controllo del giudice amministrativo su tale valutazione discrezionale deve essere svolto ab extrinseco, ed è diretto ad accertare il ricorrere di seri indici di simulazione (dissimulante una odiosa esclusione), ma non è mai sostitutivo.
Il sindacato sulla motivazione del rifiuto deve, pertanto, essere rigorosamente mantenuto sul piano della verifica della non pretestuosità della valutazione degli elementi di fatto esibiti dall’appaltante come ragione di rifiuto e non può avvalersi di criteri che portano ad evidenziare la mera non condivisibilità della valutazione stessa
La sostituzione da parte del giudice amministrativo della propria valutazione a quella riservata alla discrezionalità dell’amministrazione costituisce ipotesi di sconfinamento vietato della giurisdizione di legittimità nella sfera riservata all’amministrazione, quand’anche l’eccesso in questione sia compiuto da una pronuncia il cui contenuto dispositivo si mantenga nell’area dell’annullamento dell’atto.

9.- Ciò posto in via di principio, è indubbio che la sentenza impugnata ha disatteso i limiti al potere giurisdizionale del giudice di legittimità, avendo ritenuto che la valutazione dell’amministrazione comunale di considerare gravi le infrazioni accertate in capo alla Sa.Vi. alla luce delle previsioni del capitolato speciale e per ciò solo incidenti sull’affidabilità dell’appaltatore, sarebbe manifestamente sproporzionata e irragionevole a fronte delle infrazioni accertate in capo alla Sa.Vi..
Il Comune -si assume nella sentenza– non avrebbe confutato in punto di fatto le argomentazioni dell’impresa, concludendo nel senso della loro gravità e incidenza sull’affidabilità.
Così argomentando il TAR ha invaso non solo l’ambito di giurisdizione spettante al giudice ordinario nella materia della esecuzione del contratto ma la stessa sfera di potere riconosciuta in materia alla pubblica amministrazione, atteso che
nell’indagine demandata al giudice amministrativo, il requisito della grave negligenza e malafede non presuppone il definitivo accertamento di tale comportamento, essendo sufficiente la valutazione fatta dalla stessa amministrazione e non può rivalutare nel merito i fatti già vagliati dall’amministrazione nel provvedimento impugnato (Cons. Stato, V, 16.08.2010, n. 5725).
Orbene è incontestabile che il TAR nell’accertare la sussistenza degli elementi di cui all’articolo 38, comma 1, lettera f) del codice dei contratti pubblici ha sostanzialmente compiuto un accertamento palesemente rivolto non tanto alla verifica dell’eventuale figura sintomatica dell’eccesso di potere, quanto alla valutazione operata dalla stazione appaltante ai fini del riconoscimento della causa ostativa di cui all’articolo 38, comma 1, lettera f), ovvero della sussistenza delle gravi negligenze e della malafede idonee a compromettere il rapporto fiduciario.
Il TAR non ha confutato i fatti valutati dall’amministrazione, ma la valutazione che ne ha fatto l’amministrazione ai fini dell’affidabilità, ingerendosi in valutazioni rimesse alla discrezionalità dell’amministrazione.
Così operando è incorso nella figura sintomatica dell’eccesso di potere giurisdizionale denunziabile ai sensi dell’articolo 111, comma 8, della Costituzione sotto il profilo dello sconfinamento nella sfera del merito, essendosi spinto alla valutazione dell’opportunità e convenienza dell’atto, così che la volontà dell’organo giudicante si è sostituita a quella dell’amministrazione.
In sostanza, la sentenza dietro la rilevata contraddittorietà del comportamento del Comune che non avrebbe contestato tempestivamente gli inadempimenti relativi alla gestione del servizio 2006–2007 e avrebbe concesso proroghe alla ditta, è entrato nel merito dell’azione amministrativa e delle sue valutazioni, sostituendosi all’amministrazione nella valutazione delle gravi negligenze e dei relativi effetti ai fini del giudizio prognostico sulla sua affidabilità nella gestione del servizio.
Ne consegue la fondatezza del vizio di eccesso di potere giurisdizionale della sentenza dedotto con il terzo motivo di appello dal Comune di Bari.

APPALTI - PUBBLICO IMPIEGO: Programmare le manutenzioni: una buona prassi Anticorruzione.
IL QUESITO: In che modo il RUP può preservare la sua azione dal rischio di pressioni e ingerenze in particolare nei micro-appalti sottosoglia?
(Risponde l'Avv. Nadia Corà)
A fronte della "ipertrofia" normativa che ha caratterizzato il sistema dei contratti pubblici negli ultimi anni si sta ora riscoprendo e valorizzando l'"antica" via di normazione, consistente nel ricorso all'ausilio delle buone prassi, da introdurre e consolidare all'interno dell'amministrazione, e da affiancare alla legge e ai regolamenti quale fonte di disciplina ulteriore.
Questa nuova fase di riscoperta di un livello di regolamentazione incentrato sulle Buone Prassi, quale strumento utile per le amministrazioni, è attestata anche dalla normativa anticorruzione (L. 190/2012) che, non a caso, rinvia molti aspetti della regolamentazione sulla prevenzione della corruzione e della illegalità a apposite Linee Guida, rappresentate dal Piano Nazionale Anticorruzione (PNA).
A loro volta, le Linee Guida del PNA, con riferimento alle attività amministrative a maggiore rischio di corruzione e di illegalità, ivi comprese le procedure di affidamento dei contratti pubblici, rinviano alla peculiare valenza di Buone Pratiche sulla gestione degli appalti.
Una delle buone pratiche da sviluppare negli Enti locali, soprattutto al fine di evitare il rischio di responsabilità amministrativa dei Rup, è certamente quella di inserire nella programmazione dei lavori pubblici, e nell'elenco annuale, anche le manutenzioni di strade e marciapiedi e di procedere all'affidamento tenendo conto dell'importo complessivo annuo.
L'attività di manutenzione, infatti, va considerata unitariamente con riferimento all'anno di riferimento, e non va gestita "a spot", di volta in volta, magari facendo anche un ricorso improprio alla somma urgenza.
Posto che la somma urgenza va limitata al solo ripristino dello stato dei luoghi, attraverso la messa in sicurezza, e non può estendersi alla esecuzione di opere ulteriori rispetto alla sicurezza, va tenuto in considerazione la circostanza che plurimi interventi manutentivi di strade e marciapiedi nel corso dell'anno, individualmente di importo inferiore a € 40.000, eseguiti attraverso il metodo dell'affidamento diretto e magari attraverso il richiamo alla somma urgenza dell'intervento, sono censurabili sotto il profilo della illecita e non consentita suddivisione degli importi, attuata al fine di eludere le norme, di natura imperativa, sulla evidenza pubblica.
Numerose, al riguardo, sono sia le deliberazioni dell'ANAC che le sentenze della Corte dei conti, entrambe concordi nella condannare la suddivisione artificiosa delle manutenzioni.
Al fine di formalizzare la buona pratica relativa alle manutenzioni si suggerisce porsi l'obiettivo, nel medio periodo, di adottare e di pubblicare, sul sito web dell'ente, un vero proprio documento di "PROCEDURE OPERATIVE o MANUALE OPERATIVO DELLE MANUTENZIONI" al cui interno inserire, in maniera integrata, le regole procedurali che il Rup deve seguire, all'interno del comune, non solo per l'affidare le manutenzioni senza rischi di responsabilità amministrativa, ma anche le regole relative al monitoraggio del costo e della qualità delle manutenzioni, al flusso informativo specifico verso il RPC e il RT, nonché agli obblighi di pubblicazione e di trasparenza che debbono assistere l'esecuzione delle manutenzioni.
Il Rup, seguendo il protocollo indicato nella PROCEDURA/MANUALE, è al riparo da rischi di errore e, ancor più, al riparo da eventuali "richieste/sollecitazioni" da parte di amministratori o di soggetti esterni volti ad ottenere, illecitamente, l'affidamento di singole manutenzioni. In presenza di tali richieste/sollecitazioni, il Rup può motivatamente fondare il proprio diniego richiamandosi alla prassi in uso nel Comune, così come incarnata e documentata dalle sopra citate PROCEDURE OPERATIVE o MANUALE OPERATIVO DELLE MANUTENZIONI. Al che l'illecita richiesta/sollecitazione dovrebbe cadere nel vuoto (tratto dalla newsletter 28.09.2015 n. 120 di http://asmecomm.it).

APPALTI: Riforma appalti, niente regolamento. Edilizia. Delrio conferma la semplificazione.
Via al recepimento tramite il Codice, senza transitare dal regolamento. E più poteri alle linee guida dell’Anac di Raffaele Cantone, che saranno però sottoposte a un parere (non vincolante) del Parlamento.
Il ministro delle Infrastrutture, Graziano Delrio ieri in commissione Ambiente alla Camera si è per la prima volta pronunciato sulle modifiche che il Governo ha intenzione di portare al Ddl delega di recepimento delle direttive appalti
(Atto Camera n. 3194).
Tutto ruota attorno a un emendamento che cancellerà il regolamento dai radar della riforma e che sarà presentato all’inizio della prossima settimana. Anche se non è il solo intervento in preventivo: qualcosa cambierà sul fronte dei lavori in house delle concessionarie.
Il presidente dell’ottava commissione, Ermete Realacci fa il punto sul calendario. «È evidente che non possiamo far proseguire i lavori senza la proposta di modifica del Governo». Il riferimento è all’emendamento annunciato ieri formalmente da Delrio: cancellazione del regolamento di attuazione del Codice, con un ruolo più pesante per le linee guida dell’Anac. A monitorare il lavoro dell’Autorità ci sarà il Parlamento. Alcuni dettagli dell’intervento, però, sono oggetto di limature. In attesa di questi aggiustamenti, la commissione starà ferma. «Tra lunedì e martedì -prosegue Realacci- aspettiamo le proposte del Governo. Le votazioni partiranno lunedì 28 settembre». Sul piatto non c’è solo il tema del regolamento. Dal Governo è attesa una proposta anche sul tema dei lavori in house delle concessionarie.
A completare il quadro ci saranno alcune proposte della maggioranza e della relatrice, Raffaella Mariani. Che ieri in una giornata di studi sugli appalti, organizzata da Tor Vergata e ospitata dall’Antitrust, ha confermato anche la scelta di spostare sui controlli il bonus del 2% riconosciuto ai progettisti della Pa. Norme più stringenti arriveranno anche per facilitare l’accesso agli appalti da parte delle Pmi, come chiesto ieri dal presidente della Piccola Industria di Unindustria Angelo Camilli.
Dall’Antitrust sono arrivate la proposta di una patente a punti per valutare la reputazione delle imprese e la richiesta di stringere le maglie sugli appalti in house, limitando questa possibilità alle società a capitale interamente pubblico. Vero che le direttive su questo punto aprono alla presenza di privati. «Ma si tratta di una norma a recepimento volontario», ha chiarito Valentina Guidi, dirigente del dipartimento Politiche europee di palazzo Chigi
(articolo Il Sole 24 Ore del 17.09.2015 - tratto da www.centrostudicni.it).

APPALTI - INCENTIVO PROGETTAZIONE: Riforma appalti, progetti della Pa senza bonus 2%. Delrio in commissione per sciogliere il nodo regolamento.
Contratti pubblici. Semplificazioni sul subappalto tra gli emendamenti della relatrice Mariani.

Sarà Graziano Delrio oggi in commissione Ambiente della Camera a sciogliere gli ultimi nodi sulla riforma degli appalti (Atto Camera n. 3194). Primo fra tutti quello della normativa secondaria che dovrà attuare il nuovo codice degli appalti: il ministro delle Infrastrutture confermerà la sua posizione, che si può fare a meno del regolamento generale, per fare posto a una soft law guidata dall'Anac di Raffaele Cantone.
Il ministro dovrà anche spiegare che tipo di soft law ha in mente e dovrà in sostanza anticipare i contenuti dell'emendamento che i suoi uffici stanno ancora predisponendo e che dovrebbe essere presentato fra domani e l'inizio della prossima settimana.
Intanto la relatrice del disegno di legge in commissione, Raffaella Mariani (Pd), ha pronti alcuni emendamenti che dovrebbero riformulare parzialmente alcuni dei criteri di delega contenuti nel testo approvato a Palazzo Madama.
Sul subappalto, per esempio, Mariani è orientata a semplificare la procedura di gara spostando l'obbligo di presentazione della terna di subappaltatori per ogni tipologia di lavorazione (prevista dalla lettera LLL) dal momento della presentazione dell'offerta in gara a quello dell'aggiudicazione.
L'altra questione che si dovrebbe risolvere, con un emendamento della relatrice, è l'incentivo del 2% dato ai dipendenti pubblici o alle strutture della PA che effettuano progettazioni. Una vecchia questione fortemente distorsiva del mercato della progettazione in termini di concorrenza e di qualità del risultato finale. L'emendamento Mariani dovrebbe lasciare l'incentivo del 2% alle strutture interne delle amministrazioni, ma dovrebbe essere sposato su attività che la Pa svolge effettivamente in esclusiva, come la programmazione o l'esecuzione contrattuale.
Quella dell'eliminazione del regolamento e del tipo di soft law che dovrebbe sostituirlo è l'ultima grande questione aperta del nuovo codice appalti, ma non è affatto secondaria. Non a caso sta bloccando i lavori della commissione Ambiente che ha sul tavolo già dai primi di agosto gli emendamenti dei gruppi.
«Non ha senso riprendere i lavori per affrontare aspetti marginali quando abbiamo davanti questa questione fondamentale da affrontare», dice il presidente della commissione Ambiente, Ermete Realacci. «La correttezza e la trasparenza del passaggio parlamentare -aggiunge- richiede questa condizione. C'è accordo con il ministro che la discussione debba riprendere da questo emendamento, anche perché i gruppi e i relatori avranno poi la possibilità di presentare subemendamenti».
Il primo obiettivo che l'abolizione del regolamento vuole ottenere è una grande semplificazione della struttura normativa che governa il settore. Il secondo, non meno importante nella decisione iniziale di procedere su questa strada, è consentire realisticamente il recepimento delle direttive europee 23, 24 e 25 del 2014 entro il termine del 18 aprile con l'approvazione del solo codice senza dover approvare contemporaneamente anche il regolamento, come aveva previsto il testo del Senato (ma non quello originario del Governo).
L'altro aspetto per cui si attende da Delrio un'indicazione è come debba essere prodotta la «soft law», a quale condizione essa possa procedere senza trovare ostacoli di legittimità generale e come possa essere ricondotta a coerenza l'enorme mole di poteri affidati all'Autorità nazionale anticorruzione, che, dopo i poteri di vigilanza, acquisirà quelli fondamentali di regolazione del settore e ora anche di regolamentazione.
La scuola di pensiero che oggi sembra prevalere è che il regolamento dovrebbe essere sostituito da una o più linee guida generali dell'Anac, approvate subito dopo l'entrata in vigore del codice. Una sorta di regolamento semplificato e flessibile che poi sarebbe a sua volta attuato con linee-guida di settore.
Non è escluso che i tempi lunghi dell'emendamento governativo siano dati anche dalla necessità di stabilire un coordinamento con l'Autorità Anticorruzione che ha fatto già sapere di essere in grado di far fronte al nuovo compito, ma ha bisogno di conoscere anche le modalità in cui esso sarà esercitato
 (articolo Il Sole 24 Ore del 16.09.2015 - tratto da www.centrostudicni.it).

LAVORI PUBBLICI: G. Comin, Come combattere la disinformazione dei NoTutto (dopo la bomba Nimby del Tar) (13.09.2015 - link a http://www.formiche.net).

APPALTIIl beneficio di legge dell’esenzione dal pagamento dei diritti di segreteria si limita ai soli contratti di acquisto di beni e servizi.
La chiara volontà del legislatore di prevedere l’esenzione in relazione ai soli contratti relativi a beni e servizi non consente di estendere il beneficio agli acquisti di lavori che hanno natura diversa e presentano peculiarità particolari che rendono difficoltoso, se non in relazione a situazioni particolari, il ricorso al mercato elettronico.
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L’esenzione dal pagamento dei diritti di segreteria è stata prevista dal legislatore quale conseguenza della modalità seguita per addivenire all’acquisto mediante l’utilizzo di strumenti informatici e senza il ricorso alle formalità stabilite dalla legge di contabilità, ivi compresa la stipula di contratto in forma pubblica.
Risulta, quindi, ragionevole ritenere che si possa ricorrere alla deroga introdotta dall’art. 13 del d.l. n. 52 del 2012 nei soli casi nei quali l’intera procedura, dall’ordine al contratto, avvenga e si concluda in forma elettronica.
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Il Sindaco del Comune di Cassano Magnago (VA) ha inoltrato alla Sezione un quesito con il quale, dopo aver richiamato il contenuto del parere della Sezione n. 301 del 2014, ha domandato:
- se la disapplicazione dal pagamento dei diritti di segreteria prevista dall’art. 13 del d.l. n. 52 del 06.07.2012, conv. dalla legge n. 94 del 06.07.2012, “sia limitata ai soli contratti per acquisto di beni e servizi conclusi mediante strumenti informatici e non si estenda anche ai contratti per l’affidamento di lavori pubblici;
- se la citata disapplicazione “riguardi solo gli acquisti di beni e servizi effettuati grazie al ricorso a piattaforme che consentono di concludere il procedimento con la stipula del negozio in forma digitale/elettronica (vedi MEPA o adesione a convenzione CONSIP) oppure si estenda anche agli acquisti di beni e servizi effettuati grazie al ricorso a piattaforme che non consentono di concludere il procedimento con la stipula del negozio in forma digitale/elettronica (vedi Sistema Sintel predisposto da ARCA in Lombardia)”.
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La Sezione, come ricordato dallo stesso Sindaco di Cassano Magnago nella richiesta di parere, si è già occupata dell’interpretazione dell’art. 13 del d.l. 07.05.2012, n. 52, convertito dalla legge 06.07.2012, n. 94, osservando che
la norma ha “previsto la disapplicazione dell’obbligo di richiedere i diritti di segreteria, ai sensi dell’art. 40 della legge 08.06.1962, n. 604 nell’ipotesi” di contratti conclusi a seguito del ricorso a gare telematiche di acquisto.
Il d.l. n. 52 del 2012, nell’ambito di numerosi interventi di razionalizzazione della spesa pubblica, ha introdotto modifiche alle procedure di acquisto che le amministrazioni sono tenute a seguire per contenere e limitare gli oneri a carico della finanza pubblica.
In particolare, per quanto interessa in questa sede, al fine di favorire il ricorso al mercato elettronico e ai conseguenti risparmi, all’art. 13 ha stabilito che “per i contratti relativi agli acquisti di beni e servizi degli enti locali, ove i beni o i servizi da acquistare risultino disponibili mediante strumenti informatici di acquisto, non trova applicazione quanto previsto dall’articolo 40 della legge 08.06.1962, n. 604”,
vale a dire l’applicazione dei diritti di segreteria al momento della stipula del contratto.
In relazione al primo quesito posto dal Sindaco del Comune di Cassano Magnago, occorre osservare che il testo dell’articolo 13
limita il beneficio dell’esenzione ai soli contratti di acquisto di beni e servizi, come specificato in due punti della medesima disposizione e, peraltro, la stessa rubrica delimita l’oggetto della norma specificando “semplificazione dei contratti di acquisto di beni e servizi”.
La chiara volontà del legislatore di prevedere l’esenzione in relazione ai soli contratti relativi a beni e servizi non consente di estendere il beneficio agli acquisti di lavori che hanno natura diversa e presentano peculiarità particolari che rendono difficoltoso, se non in relazione a situazioni particolari, il ricorso al mercato elettronico.

Quanto al secondo quesito, è necessario mettere in luce che
l’esenzione dal pagamento dei diritti di segreteria è stata prevista dal legislatore quale conseguenza della modalità seguita per addivenire all’acquisto mediante l’utilizzo di strumenti informatici e senza il ricorso alle formalità stabilite dalla legge di contabilità, ivi compresa la stipula di contratto in forma pubblica.
Risulta, quindi, ragionevole ritenere che si possa ricorrere alla deroga introdotta dall’art. 13 del d.l. n. 52 del 2012 nei soli casi nei quali l’intera procedura, dall’ordine al contratto, avvenga e si concluda in forma elettronica (Corte dei Conti, Sez. controllo Lombardia, parere 11.09.2015 n. 275).

LAVORI PUBBLICI: G. Zapponini, Caro Renzi, attento alla bomba Nimby del Tar. Parla Chicco Testa (11.09.2015 - link a http://www.formiche.net).
LAVORI PUBBLICI: G. Zapponini, Il Tar del Lazio sgancia una bomba Nimby (10.09.2015 - link a http://www.formiche.net).

LAVORI PUBBLICI: Le proteste giustificano il blocco dell’opera. Tar Lazio. Per i giudici le manifestazioni legittimano la marcia indietro dei Comuni.
L’effetto Nimby entra nella giurisprudenza. La rivolta popolare può, infatti, legittimare la revoca della decisione di un comune.
L’indicazione arriva da una sentenza del Tar del Lazio, chiamato a pronunciarsi su un impianto per servizi alla popolazione. È un principio consolidato, a livello normativo e giurisprudenziale, quello per cui alla Pa è consentito revocare i propri provvedimenti per effetto di una nuova (cioè rinnovata) valutazione dell’interesse pubblico. Così come è pacifico che, nell’esercizio di questo potere di ripensamento, l’Amministrazione goda di ampia discrezionalità.
Ora, con la
sentenza 08.09.2015 n. 11098 del TAR Lazio-Roma, Sez. II-bis, viene chiarito che «deve ritenersi che la manifestazione da parte della popolazione del Comune della contrarietà alla realizzazione dell’opera e l’interesse primario, dunque, a rispondere ai bisogni manifestati dalla stessa popolazione, costituiscano espressione di una nuova valutazione dell’interesse pubblico. Tenuto che nell’esercizio del cosiddetto jus poenitendi l’Amministrazione gode di ampia discrezionalità, deve ritenersi che la motivazione posta a fondamento della revoca non sia affetta da vizi di legittimità». Se il principio di fondo non è nuovo, fortemente innovativo è invece il riferimento espresso alla contrarietà della popolazione locale come fattore di legittimazione della revoca.
La decisione spinge a due considerazioni. La prima è che la sentenza è sul piano formale da ritenere corretta (anche nella parte in cui nega l’indennizzo richiesto dal proponente riguardo al project financing rimasto, per effetto del «legittimo» ripensamento, solo a metà del guado). La seconda considerazione è che, tuttavia, nel momento in cui si ammette la legittimità della revoca dei provvedimenti (nel caso di specie, di quelli intermedi nell’ambito dell’iter di realizzazione dell’opera pubblica) in nome, apertamente, della «manifestazione da parte della popolazione del Comune della contrarietà alla realizzazione dell’opera», assumendo che essa fonda «l’interesse primario ... a rispondere ai bisogni manifestati dalla stessa popolazione», ciò fa riesplodere l’irrisolto problema dell’effetto Nimby e della sua incidenza come freno a crescita e sviluppo.
Tema spinoso e difficile, schiacciato com’è fra spinte contrapposte: crisi di credibilità delle istituzioni rappresentative (per colpe oggettive e antipolitica), evidente insufficienza strutturale dello strumento asettico del procedimento amministrativo a comporre conflitti, diffidenze e incomprensioni fra opposti punti di vista (specie su questioni e aspetti a forte connotazione tecnica), carenze di completezza e obiettività delle fonti di informazione e dei processi di comunicazione utilizzati dall’apparato burocratico.
Per uscirne, appare essenziale cambiare metodo, sul piano legislativo. Per evitare questi conflitti a posteriori che disseminano il Paese di opere iniziate e non finite (con corredo di onerosi indennizzi dovuti ai privati delusi nei loro legittimi affidamenti, in molti casi) occorre istituire la verifica “a monte”, prima ancora di fare il progetto preliminare, della reale “fattibilità di contesto” di un’opera di livello medio/grande.
Confrontando (e se necessario, opponendo) argomenti tecnici, economici e sociali a controargomenti della stessa natura, nel contraddittorio –ove occorra– fra esperti di parte.
È lo schema del debat public alla francese, all’attenzione del Senato (AS 980, 1724 e 1845), che prova a conciliare il dovere di non prendere decisioni contro la volontà popolare con la necessità di evitare che un territorio resti ostaggio di minoranze ben organizzate
(articolo Il Sole 24 Ore del 12.09.2015).

LAVORI PUBBLICII giudici hanno rilevato nella delibera con cui il comune revocava il bando di project financingalcuni profili inerenti una nuova valutazione dell’interesse pubblico” vale a dire “la manifestazione da parte della popolazione del comune della contrarietà alla realizzazione dell’opera e l’interesse primario, dunque, a rispondere ai bisogni manifestati dalla stessa popolazione”.
Per il tribunale “tale motivazione rende prevalenti le ragioni di opportunità della nuova scelta, con conseguente conferma della qualificazione del provvedimento in termini di revoca”.

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Nella delibera di Giunta (e nella conseguente determina dirigenziale) sono evidenziati alcuni profili inerenti una nuova valutazione dell’interesse pubblico (la manifestazione da parte della popolazione del Comune della contrarietà alla realizzazione dell’opera e l’interesse primario, dunque, a rispondere ai bisogni manifestati dalla stessa popolazione).
Tale motivazione rende prevalenti le ragioni di opportunità della nuova scelta, con conseguente conferma della qualificazione del provvedimento in termini di revoca. Nel caso di specie, la già citata motivazione del provvedimento di revoca è costituita appunto da una nuova valutazione dell’interesse pubblico. Tenuto che nell’esercizio del c.d. jus poenitendi l’Amministrazione gode di ampia discrezionalità, deve ritenersi che la motivazione posta a fondamento della revoca non sia affetta da vizi di legittimità.

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La giurisprudenza, ancora, ha precisato che “la mancata liquidazione dell’indennizzo unitamente alla disposta revoca non costituisce un vizio dell’atto di autotutela, ma consente al privato di agire per ottenere l’indennizzo”.
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nell’ordinamento precedente all’introduzione dell’art. 21-quinquies, l. n. 241 del 1990, l’orientamento prevalente era nel senso di escludere qualsiasi indennizzo per il soggetto nei cui confronti intervenisse la revoca in modo legittimo di un precedente provvedimento amministrativo vantaggioso per il privato o per lo meno un indennizzo veniva ammesso solo in casi particolari.
Dopo l’introduzione del menzionato art. 21-quinquies nella legge generale del procedimento amministrativo, ad opera dell’art. 14 l. 11.02.2005, n. 15, come integrato dal comma 1-bis introdotto dall’art. 13 d.l. 31.01.2007, n. 7, (convertito dalla l. 02.04.2007, n. 40), ha fatto ingresso la c.d. responsabilità della p.a. per atti legittimi.
Nel caso che occupa, dunque, la domanda risarcitoria, deve essere interpretata –secondo i canoni di effettività della tutela– come contenente in sé quella di indennizzo.
Peraltro,
l’indennizzo ex art. 21-quinquies, l. n. 241 del 1990 non spetta in caso di revoca di atti ad effetti instabili ed interinali, ma solo in caso di revoca di atti definitivamente attributivi di vantaggi. Deve quindi escludersi che spetti un indennizzo, ex art. 21-quinquies cit., per revoca (come nella specie) di una dichiarazione di pubblico interesse della proposta di progetto di finanza.
Tale dichiarazione non attribuisce, infatti, all’interessato una posizione giuridica definitiva, ben potendo l’Amministrazione dar luogo o meno a successiva procedura di affidamento della concessione o non dare corso affatto alle proposte che pure abbia ritenuto di pubblico interesse. Pur differenziando, in vero, tale dichiarazione di p.i. la posizione del proponente, essa non assicura al promotore alcune diretta, definitiva ed immediata ultilità.
Né nella specie la posizione della ricorrente potrebbe avere assunto maggiore consistenza dall’indizione della gara che è stata infatti revocata prima ancora della partecipazione dell’istante stessa ed atteso che il rimborso spese, in caso di gara, spetta a favore del promotore solo ove questo non risulti aggiudicatario della concessione quando la gara stessa si sia peraltro conclusa.
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... per l'annullamento:
- della delibera di G.C. n. 67 del 04.08.2014, con cui era revocata la precedente deliberazione n. 40 del 2014 avente ad oggetto la dichiarazione di pubblica utilità e l’individuazione del soggetto promotore per la costruzione e gestione economico funzionale di un impianto di cremazione per salme con annessa sala del commiato presso il cimitero comunale;
- e della determina dirigenziale n. 371 dell’08.08.2014, resa pubblica con avviso pubblico dell’08.08.2014 sul portale del Comune, con cui era revocata la precedente determinazione n. 316 del 2014 avente ad oggetto la determina a contrarre relativa al predetto affidamento e, per l’effetto, era revocata la procedura di gara indetta;
- di tutti gli atti e provvedimenti consequenziali o comunque connessi;
...
FATTO
Con il ricorso indicato in epigrafe, la Società Altair s.r.l., in proprio e quale mandataria della ATI “ALTAIR”, esponeva che ad esito del procedimento di valutazione della proposta di project financing della ricorrente medesima, conclusosi con la motivata dichiarazione di pubblica utilità dell’opera e con l’individuazione dell’ATI ALTAIR come promotore il Comune di Borgorose avviava la procedura di gara per l’affidamento in concessione della progettazione, realizzazione e successiva gestione economico funzionale di un impianto di cremazione; del tutto inaspettatamente, dunque, mentre la ricorrente si accingeva e partecipare alla seconda fase della procedura, il Comune, tuttavia, revocava il precedente provvedimento di pubblica utilità e la conseguente gara.
...
DIRITTO
I - L’oggetto del giudizio è costituito dalla contestazione, da parte dell’ATI costituenda, della legittimità dell’esercizio del potere di autotutela in ordine a un provvedimento di dichiarazione di pubblica utilità di una proposta di project financing e di avvio della procedura di affidamento di pubblici lavori da parte della p.a. e dalle connesse pretese patrimoniali, di carattere risarcitorio o indennitario.
II - Con un primo gruppo di censure la parte ricorrente contesta la competenza della Giunta a disporre la revoca di atti posti in essere dal Consiglio comunale.
Tale assunto è smentito per tabulas; infatti, la Giunta si è limitata a revocare un proprio atto ed il dirigente, lo stesso. Mentre successivamente è intervenuto l’atto consiliare di revoca della precedente delibera del Consiglio, atto gravato anch’esso con i motivi aggiunti. Risulta, dunque, rispettato il principio del contrarius actus. E neanche le competenze consiliari risultano, di fatto, violate.
Anche ove si volesse considerare la necessità della previa deliberazione dell’Assemblea consiliare a modifica del precedente deliberato, si può con sicurezza affermare l’effetto sanante del successivo provvedimento, che ha inciso esplicitamente sulle scelte e la valutazione del pubblico interesse.
III – Con un ulteriore gruppo di censure, la parte istante si duole della mancanza dei presupposti per esercitare il potere di revoca con riguardo all’assenza di ragioni di pubblico interesse, alla omessa valutazione dell’affidamento delle parti destinatarie del provvedimento da rimuovere e del tempo trascorso, all’obbligo di motivazione.
Essa ha certamente interesse a dimostrare l’illegittimità del potere di autotutela esercitato dall’amministrazione per ottenere il pieno risarcimento dei danni. Infatti la parte ricorrente chiede la condanna dell’Amministrazione alla reintegra della posizione compromessa e, in via subordinata, il risarcimento dei danni patiti.
Il gravame è, dunque, teso a contestare la legittimità del potere di revoca esercitato al fine di ottenere il risarcimento dei danni, quanto meno a titolo di danno emergente.
IV - Passando, dunque, all’esame della fattispecie, nel caso che occupa, la Giunta ha revocato –con la delibera n. 67 del 2014- la precedente delibera n. 40 del 2014 avente ad oggetto l’approvazione del progetto preliminare e la dichiarazione di p.u. ed il responsabile del servizio –con la determina n. 371 del 2014– ha annullato la precedente determina dirigenziale n. 316 del 2014 contenente il parere di regolarità tecnica e l’attestazione della copertura finanziaria, e conseguentemente la procedura di gara indetta.
Nella delibera di Giunta (e nella conseguente determina dirigenziale) sono evidenziati alcuni profili inerenti una nuova valutazione dell’interesse pubblico (la manifestazione da parte della popolazione del Comune della contrarietà alla realizzazione dell’opera e l’interesse primario, dunque, a rispondere ai bisogni manifestati dalla stessa popolazione).
Tale motivazione rende prevalenti le ragioni di opportunità della nuova scelta, con conseguente conferma della qualificazione del provvedimento in termini di revoca. Nel caso di specie, la già citata motivazione del provvedimento di revoca è costituita appunto da una nuova valutazione dell’interesse pubblico. Tenuto che nell’esercizio del c.d. jus poenitendi l’Amministrazione gode di ampia discrezionalità, deve ritenersi che la motivazione posta a fondamento della revoca non sia affetta da vizi di legittimità.

Nella specie, peraltro, l’Amministrazione non ha espressamente valutato la spettanza di un qualche indennizzo.
Tuttavia, va rilevato, che specie nel caso che occupa si era unicamente svolta la progettazione –ovvero la prima fase della procedura, mentre la ricorrente– soggetto promotore, non aveva ancora maturato alcune affidamento in ordine all’assegnazione dell’opera, né aveva ancora prodotto domanda di partecipazione alla gara.
Peraltro, non primo di rilevanza è il breve termine occorso tra la delibera di n. 40 (05.06.2014) e l’avviso di revoca dell’08.08.2014.
La giurisprudenza, ancora, ha precisato che “la mancata liquidazione dell’indennizzo unitamente alla disposta revoca non costituisce un vizio dell’atto di autotutela, ma consente al privato di agire per ottenere l’indennizzo (Cons. Stato, Sez., n. 2244 del 2010).
V – Orbene,
nel caso di legittimità del provvedimento di autotutela viene meno il presupposto su cui è stata fondata la domanda risarcitoria, costituito appunto dall’illegittimità provvedimentale.
Va precisato che
anche in caso di revoca legittima si può ipotizzare che al privato derivino danni risarcibili, e non meramente indennizzabili, ma ciò discende dal fatto che tali danni conseguono non già direttamente dall’atto di revoca, ma da altre illegittimità (procedimentali o di altro tipo) commesse dall’Amministrazione.
Nella specie, devono essere respinte le ulteriori censure mosse dalla parte ricorrente in ordine ai profili partecipativi e procedimentali. Infatti, è evidente come l’eventuale partecipazione della ricorrente non avrebbe in alcun modo potuto incidere sulla decisione dell’Amministrazione che si appalesa di carattere eminentemente discrezionale.
Del resto
i già evidenziati profili di tempestività dell’esercizio dell’autotutela non consentono di riscontrare alcuno degli addebiti mossi all’Amministrazione sotto il profilo della correttezza della condotta.
Ciò comporta che l’Amministrazione non è tenuta a corrispondere l’integrale risarcimento del danno.
VI – Le valutazioni sin qui svolte non possono che valere anche per i successivi motivi aggiunti, per i medesimi motivi evidenziati.
VII – Il Consiglio di Stato (cfr. sentenza n. 7334 del 2010) ha avuto modo di rilevare che
nell’ordinamento precedente all’introduzione dell’art. 21-quinquies, l. n. 241 del 1990, l’orientamento prevalente era nel senso di escludere qualsiasi indennizzo per il soggetto nei cui confronti intervenisse la revoca in modo legittimo di un precedente provvedimento amministrativo vantaggioso per il privato (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 06.06.1969, n. 266) o per lo meno un indennizzo veniva ammesso solo in casi particolari (Cass. S.U. 02.04.1959, n. 672).
Dopo l’introduzione del menzionato art. 21-quinquies nella legge generale del procedimento amministrativo, ad opera dell’art. 14 l. 11.02.2005, n. 15, come integrato dal comma 1-bis introdotto dall’art. 13 d.l. 31.01.2007, n. 7, (convertito dalla l. 02.04.2007, n. 40), ha fatto ingresso la c.d. responsabilità della p.a. per atti legittimi. n. 5266).
Nel caso che occupa, dunque, la domanda risarcitoria, deve essere interpretata –secondo i canoni di effettività della tutela– come contenente in sé quella di indennizzo.
Peraltro,
l’indennizzo ex art. 21-quinquies, l. n. 241 del 1990 non spetta in caso di revoca di atti ad effetti instabili ed interinali, ma solo in caso di revoca di atti definitivamente attributivi di vantaggi. Deve quindi escludersi che spetti un indennizzo, ex art. 21-quinquies cit., per revoca (come nella specie) di una dichiarazione di pubblico interesse della proposta di progetto di finanza.
Tale dichiarazione non attribuisce, infatti, all’interessato una posizione giuridica definitiva, ben potendo l’Amministrazione dar luogo o meno a successiva procedura di affidamento della concessione o non dare corso affatto alle proposte che pure abbia ritenuto di pubblico interesse. Pur differenziando, in vero, tale dichiarazione di p.i. la posizione del proponente (Ad. Plen. N. 1/12), essa non assicura al promotore alcune diretta, definitiva ed immediata ultilità.
Né nella specie la posizione della ricorrente potrebbe avere assunto maggiore consistenza dall’indizione della gara che è stata infatti revocata prima ancora della partecipazione dell’istante stessa ed atteso che il rimborso spese, in caso di gara, spetta a favore del promotore solo ove questo non risulti aggiudicatario della concessione quando la gara stessa si sia peraltro conclusa (cfr. Cons. Stato n. 3237 del 26.06.2015) (TAR Lazio-Roma, Sez. II-bis, sentenza 08.09.2015 n. 11098 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

LAVORI PUBBLICI: Sull'esecuzione dei c.d. "lavori di somma urgenza": gli affidamenti illegittimi (di lavori e forniture) non vincolano l’Amministrazione ma danno origine ad un rapporto obbligatorio tra il soggetto ordinante ed il fornitore. Ergo, sono forieri di danno erariale.
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Nella vicenda in esame si ravvisano tutti i presupposti necessari e sufficienti per l’esercizio dell’azione amministrativo-contabile.
Con la delibera di riconoscimento di debiti fuori bilancio in esame l’Amministrazione ha valutato la sussistenza dei presupposti sostanziali di riconoscibilità del debito, tra i quali il riconoscimento dell’utilità della prestazione e dell’arricchimento dell’Ente ex art. 194, 1° comma, lett. e), del D.Lgs. 267/2000.
Tutto questo
si è svolto in presenza di indici di illegittimità, sia sotto il profilo contabile sia sotto il profilo della mancata applicazione delle procedure previste in tema di “lavori d’urgenza”.
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La violazione, da parte di tutti i soggetti convenuti e non
, degli obblighi di servizio se non caratterizzata da animus doloso sicuramente integra la cd. colpa grave, sottoposta al sindacato di questa Corte.
Ciò premesso,
le norme violate attengono alla disciplina della procedura dei lavori d’urgenza, così come era dettata dagli artt. 146 e 147 del D.P.R. n. 554/1999, all’epoca vigenti.
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Gli affidamenti illegittimi di lavori e forniture non vincolano l’Amministrazione ma danno origine ad un rapporto obbligatorio tra il soggetto ordinante ed il fornitore.

Nel caso di specie
le acquisizioni documentali provano che gli affidamenti dei tre lavori in esame sono avvenuti su presupposti assolutamente non attendibili sì da violare i principi di imparzialità e di trasparenza dell’azione amministrativa nonché il criterio del confronto concorrenziale, sancito dalla normativa di settore di cui al D.Lgs. 163/2006.
In buona sostanza nella fattispecie sussiste l’incompletezza e l’inattendibilità della contabilità dei lavori reperita, l’inattendibilità di quanto attestato in ordine alla reale tempistica di esecuzione dei lavori nonché degli atti redatti e firmati, con le relative certificazioni su fatti ed eventi, da parte dei soggetti istituzionalmente competenti.
Sussistono anche gravi profili critici in ordine ai costi effettivamente sostenuti dall’azienda affidataria dei lavori, per l’esecuzione dei lavori di cui trattasi.
Risulta, infine, disatteso quanto normativamente stabilito in materia di procedure amministrativo-contabili, stante che all’ordine di esecuzione di lavori non è seguita la deliberazione autorizzativa con la quale si sarebbe dovuto provvede anche alla copertura della spesa.
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I
l Collegio condivide la tesi di parte attrice per la quale sono chiamati a rispondere dei fatti i convenuti:
- il Direttore dei Lavori e Tecnico incaricato per gli asseriti lavori di somma urgenza, considerato che dagli atti risulta che egli avrebbe provveduto ad effettuare il sopralluogo di verifica dei lavori di cui trattasi, a sottoscrivere il verbale di consegna dei lavori, a redigere il computo metrico nello stesso giorno del sopralluogo, ad attestare, quale Direttore dei lavori, che i lavori erano stati ultimati nelle date del 07-14-18.04.2008, certificandone poi l'avvenuta esecuzione “a regola d'arte e in conformità alle prescrizioni contrattuali” solo nelle date del 05-24.11.2008, momento posteriore al riconoscimento di debito (30.09.2008);
- il Segretario generale che ha assistito alla seduta consiliare del 30.09.2008, ed in relazione alle funzioni di assistenza giuridico amministrativa avrebbe dovuto rilevare la carente documentazione o quantomeno la violazione di quanto normativamente previsto in tema di regolarizzazione dell’ordinazione fatta a terzi, con i correlati limiti oggettivi relativi al riconoscimento della legittimità dei debiti fuori bilancio;
- l’Assessore, relatore della proposta di riconoscimento del debito che, in considerazione degli specifici obblighi di sovrintendenza che fanno carico all’assessore delegato dal Sindaco per il settore di sua specifica competenza, non ha, quantomeno, rilevato che, alla data del 30.09.2008, la documentazione agli atti dell’Ente non consentiva di asserire che la somma complessiva di euro 225.737,00 (IVA inclusa) fosse correlata ad una accertata e dimostrata utilità ed arricchimento per l’Ente, requisiti normativamente richiesti al fine del riconoscimento di un debito fuori bilancio.
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Per quanto riguarda la richiesta risarcitoria deve essere integralmente accolta sia pure non nelle percentuali indicate dalla Procura.
In particolare il Collegio ritiene che l’apporto causale del Responsabile del procedimento e Dirigente del Servizio responsabile del parere di regolarità tecnica sia meritevole di una potenziale condanna pari al 40%, misura maggiore di quella indicata dalla Procura (35%),
il tutto in quanto ha apposto il proprio visto sui verbali di regolare esecuzione, sul computo metrico degli stessi e sui consuntivi di spesa ed ha, altresì, istruito la delibera di riconoscimento dei debiti fuori bilancio.
Per quanto concerne la posizione del Tecnico incaricato della Direzione lavori il Collegio valuta di elevare la percentuale di responsabilità al 45%, rispetto al 40% della tesi attorea, alla luce del fatto che
il medesimo avrebbe redatto i verbali di somma urgenza, datati senza alcun numero di protocollo di riferimento, il giorno dopo l’evento atmosferico in uno con i verbali di consegna dei lavori nonché con il computo metrico dei lavori stessi.
Considerato che si sarebbe trattato di ben tre affidamenti distinti la contemporanea formazione di tutti questi atti tecnici di relativa complessità non pare plausibile, da qui la maggior responsabilità del convenuto.
Diversamente la responsabilità del Segretario Generale e dell’Assessore ai Lavori pubblici e relativa esecuzione sig. Fa.Br. deve essere ridimensionata rispettivamente nel 10% e nel 5%
in considerazione della loro partecipazione alla delibera in esame sulla quale non hanno espresso alcuna riserva pur trattandosi di una procedimento “a sanatoria” che avrebbe meritato opportuna ponderazione da parte dei convenuti che, pur non avendo partecipato alla formazione degli elaborati tecnici, ne hanno, sia pure in parte minima avallato gli effetti.
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FATTO
Con l’atto di citazione in esame la Procura regionale ha convenuto in giudizio i nominati per sentirli condannare “al pagamento, della complessiva somma di euro 58.690,00 ciascuno nella misura suindicata, in favore del Comune di Massa, salva ogni diversa valutazione da parte del Collegio, oltre rivalutazione, interessi legali e spese di giudizio”.
Nel merito dei fatti, dalle allegazioni processuali risulta che con deliberazione n. 69 del 30.09.2008, il Consiglio comunale di Massa, udita la relazione dell’Assessore Fa.Br., sulla base del documento istruttorio predisposto dal responsabile del procedimento arch. La.Me., riconosceva “la legittimità del debito fuori bilancio derivante dall’esecuzione dei lavori di somma urgenza per la messa in sicurezza dei cimiteri urbani e frazionali a seguito del fortunale abbattutosi nel Comune di Massa il 05.03.2008 per un importo complessivo di € 225.737,00 I.V.A. compresa”.
Dalla lettura della citata deliberazione emerge che veniva rappresentato all’organo consiliare che “i lavori sono stati affidati esclusivamente per motivi improcrastinabili ai sensi dell’art. 147 del DPR n. 554/1999 (Regolamento d’attuazione della legge 11.02.1994, n. 109 legge quadro in materia di lavori pubblici) e che ad oggi gli interventi …sono stati completati” e che l’esecuzione degli interventi “si sono rivelati essenziali per l’Amministrazione, garantendo agli utenti dei cimiteri la possibilità di usufruire in sicurezza e senza pericoli per l’incolumità pubblica e igienico sanitari”.
La deliberazione veniva assunta con il parere favorevole di regolarità tecnica reso dal dott. La.Me., di regolarità contabile reso dal dott. Ma.To. e con il visto di conformità all’azione amministrativa reso dal Segretario generale dott. Ca.Fe..
Nei verbali di somma urgenza -allegati alla deliberazione- che sarebbero stati redatti in data 06.03.2008 (privi però di protocollo) da Gi.Be., in qualità di tecnico incaricato dal dirigente del settore, veniva affermata la necessità di tali interventi, atteso che per le eccezionali avverse condizioni atmosferiche si erano verificati distacchi di vari materiali dalle coperture dei tetti delle strutture dei cimiteri di Turano e Mirteto nonché dei cimiteri frazionali di Canevara, Casette, Forno, Casania, Resceto, Pariana, Altagnana e Antona.
Pertanto, il tecnico delegato Be. dichiarava che per l’esecuzione dei lavori ivi menzionati, da dettagliarsi nella perizia giustificativa, ricorrevano gli estremi della somma urgenza ex art. 147 del DPR n. 554/1999.
La delibera di riconoscimento di debito di cui sopra è stata poi trasmessa, ai sensi e per gli effetti dell’art. 23, comma 5, della legge 27.12.2002 n. 289, alla competente Procura cui è pervenuta in data 27.10.2008.
In relazione a quanto sopra, la Procura erariale delegava la Guardia di Finanza Nucleo di Polizia Tributaria Massa Carrara –Sezione Tutela Finanza Pubblica– a svolgere accertamenti istruttori.
...
DIRITTO
A parere di questo Collegio,
nella vicenda in esame si ravvisano tutti i presupposti necessari e sufficienti per l’esercizio dell’azione amministrativo-contabile.
In primo luogo è indubitabile che all’epoca degli eventi le parti convenute erano direttamente legate all’Ente erogante da un rapporto funzionale di servizio o perché dipendenti di ruolo della Amministrazione locale (Tecnico ufficio lavori) o perché inseriti nella struttura, sia pure temporaneamente, (Assessore e Segretario generale) come figure funzionali all’azione amministrativa dell’Ente.
Altrettanto evidente è il nesso causale tra la condotta delle parti convenute e l’evento dannoso.
Con la delibera di riconoscimento di debiti fuori bilancio in esame l’Amministrazione ha valutato la sussistenza dei presupposti sostanziali di riconoscibilità del debito, tra i quali il riconoscimento dell’utilità della prestazione e dell’arricchimento dell’Ente ex art. 194, 1° comma, lett. e), del D.Lgs. 267/2000.
Tutto questo
si è svolto in presenza di indici di illegittimità, sia sotto il profilo contabile sia sotto il profilo della mancata applicazione delle procedure previste in tema di “lavori d’urgenza”.
A questo punto rilevanti nella fattispecie sono l’indagine sull’elemento soggettivo e la individuazione della posta di danno azionabile.
Elemento soggettivo
Come già accennato
la violazione, da parte di tutti i soggetti convenuti e non (nella specie, risultando medio-tempore deceduto il Responsabile del procedimento e Dirigente del settore Arch. Me., non è stato ravvisato l’illecito arricchimento degli aventi causa), degli obblighi di servizio se non caratterizzata da animus doloso sicuramente integra la cd. colpa grave, sottoposta al sindacato di questa Corte.
Ciò premesso,
le norme violate attengono alla disciplina della procedura dei lavori d’urgenza, così come era dettata dagli artt. 146 e 147 del D.P.R. n. 554/1999, all’epoca vigenti.
In base alla citata normativa, l’esecuzione di lavori in economia determinata dalla necessità di provvedere d’urgenza doveva risultare da un verbale, nel quale dovevano essere indicati i motivi dello stato di urgenza, le cause che lo avevano provocato e i lavori necessari per rimuoverlo (art. 146, 1° comma).
Il verbale doveva poi essere compilato dal responsabile del procedimento o da un tecnico all’uopo incaricato e, unitamente alla perizia estimativa, andava trasmesso alla stazione appaltante, per la copertura della spesa e l’autorizzazione dei lavori (art. 146, 2° comma).
Per altro verso, l’art. 147, 1° comma, disponeva che: “In circostanze di somma urgenza che non consentono alcun indugio, il soggetto fra il responsabile del procedimento e il tecnico che si reca prima sul luogo, può disporre, contemporaneamente alla redazione del verbale di cui all’articolo 146, l'immediata esecuzione dei lavori entro il limite di 200.000 Euro o comunque di quanto indispensabile per rimuovere lo stato di pregiudizio alla pubblica incolumità.”
Pertanto, l’esecuzione dei lavori di cui trattasi può essere affidata in forma diretta ad una o più imprese individuate dal responsabile del procedimento o dal tecnico, da questi incaricato.
Ai sensi poi dell’art. 147, 4° comma, “il responsabile del procedimento o il tecnico incaricato compila entro dieci giorni dall’ordine di esecuzione dei lavori una perizia giustificativa degli stessi e la trasmette, unitamente al verbale di somma urgenza, alla stazione appaltante che provvede alla copertura della spesa e alla approvazione dei lavori.”
Sotto il profilo prettamente contabile, ex art. 191 del D.Lgs. 267/2000, “1. Gli enti locali possono effettuare spese solo se sussiste l'impegno contabile registrato sul competente intervento o capitolo del bilancio di previsione e l'attestazione della copertura finanziaria di cui all'articolo 153, comma 5...
3. Per i lavori pubblici di somma urgenza, cagionati dal verificarsi di un evento eccezionale o imprevedibile, l'ordinazione fatta a terzi è regolarizzata, a pena di decadenza, entro trenta giorni e comunque entro il 31 dicembre dell'anno in corso se a tale data non sia scaduto il predetto termine. La comunicazione al terzo interessato è data contestualmente alla regolarizzazione.
4. Nel caso in cui vi è stata l'acquisizione di beni e servizi in violazione dell'obbligo indicato nei commi 1, 2 e 3, il rapporto obbligatorio intercorre, ai fini della controprestazione e per la parte non riconoscibile ai sensi dell'articolo 194, comma 1, lettera e), tra il privato fornitore e l'amministratore, funzionario o dipendente che hanno consentito la fornitura
.”.
In estrema sintesi
gli affidamenti illegittimi di lavori e forniture non vincolano l’Amministrazione ma danno origine ad un rapporto obbligatorio tra il soggetto ordinante ed il fornitore.
Nel caso di specie
le acquisizioni documentali provano che gli affidamenti dei tre lavori in esame, di cui in narrativa, sono avvenuti su presupposti assolutamente non attendibili sì da violare i principi di imparzialità e di trasparenza dell’azione amministrativa nonché il criterio del confronto concorrenziale, sancito dalla normativa di settore di cui al D.Lgs. 163/2006.
In buona sostanza nella fattispecie sussiste l’incompletezza e l’inattendibilità della contabilità dei lavori reperita, l’inattendibilità di quanto attestato in ordine alla reale tempistica di esecuzione dei lavori nonché degli atti redatti e firmati, con le relative certificazioni su fatti ed eventi, da parte dei soggetti istituzionalmente competenti.
Sussistono anche gravi profili critici in ordine ai costi effettivamente sostenuti dall’azienda affidataria dei lavori, per l’esecuzione dei lavori di cui trattasi.
Risulta, infine, disatteso quanto normativamente stabilito in materia di procedure amministrativo-contabili, stante che all’ordine di esecuzione di lavori non è seguita la deliberazione autorizzativa con la quale si sarebbe dovuto provvede anche alla copertura della spesa
(per inciso intervenuta il 24.11.2008 dopo la delibera di riconoscimento di debito del 30.09.2008).
Quanto sopra risulta dalle esaurienti acquisizioni istruttorie che, distinte per i singoli affidamenti, conseguono a specifici verbali di accesso effettuati dal Nucleo di Polizia tributaria di Massa-Carrara, nel mese di settembre 2013, presso le Ditte aggiudicatarie.
Tutto ciò premesso
il Collegio condivide la tesi di parte attrice per la quale sono chiamati a rispondere dei fatti i convenuti:
- geom. Gi.Be.,
nella qualità di Direttore dei Lavori e Tecnico incaricato per gli asseriti lavori di somma urgenza, considerato che dagli atti risulta che egli avrebbe provveduto ad effettuare il sopralluogo di verifica dei lavori di cui trattasi, a sottoscrivere il verbale di consegna dei lavori, a redigere il computo metrico nello stesso giorno del sopralluogo, ad attestare, quale Direttore dei lavori, che i lavori erano stati ultimati nelle date del 07-14-18.04.2008, certificandone poi l'avvenuta esecuzione “a regola d'arte e in conformità alle prescrizioni contrattuali” solo nelle date del 05-24.11.2008, momento posteriore al riconoscimento di debito (30.09.2008);
- del Segretario generale dott. Ca.Fe.
che ha assistito alla seduta consiliare del 30.09.2008, ed in relazione alle funzioni di assistenza giuridico amministrativa avrebbe dovuto rilevare la carente documentazione o quantomeno la violazione di quanto normativamente previsto in tema di regolarizzazione dell’ordinazione fatta a terzi, con i correlati limiti oggettivi relativi al riconoscimento della legittimità dei debiti fuori bilancio;
- dell’Assessore Fa.Br.,
relatore della proposta di riconoscimento del debito che, in considerazione degli specifici obblighi di sovrintendenza che fanno carico all’assessore delegato dal Sindaco per il settore di sua specifica competenza, non ha, quantomeno, rilevato che, alla data del 30.09.2008, la documentazione agli atti dell’Ente non consentiva di asserire che la somma complessiva di euro 225.737,00 (IVA inclusa) fosse correlata ad una accertata e dimostrata utilità ed arricchimento per l’Ente, requisiti normativamente richiesti al fine del riconoscimento di un debito fuori bilancio.
Sussisterebbero, quindi, presupposti oggettivi per ritenere che le condotte omissive e commissive poste in essere dai soggetti suindicati abbiano determinato un pregiudizio patrimoniale al Comune di Massa, in relazione agli oneri accollati al bilancio comunale nella misura di cui infra.
Danno azionabile
Venendo al profilo della stima del danno, secondo la Procura regionale, emerge che “una quota parte quantomeno pari al 40% della somma accollata al bilancio comunale costituisca una spesa priva di utilità ed in quanto tale un danno patrimoniale per il Comune di Massa”.
Tale condivisibile riduzione in via equitativa conseguirebbe al
non computo dell’utile di impresa pari al 10% (che non spetterebbe in caso di affidamenti illegittimi), del risparmio non conseguito dall’Ente per mancato ricorso al mercato concorrenziale nonché della non applicazione delle penali per tardiva esecuzione dei lavori.
Al riguardo il tenore dei verbali di consegna ed ultimazione dei lavori, tutti privi di protocollo, sono contraddetti dalle fatture e dai documenti di trasporto acquisiti dalla GdF.
Risultano noleggi di macchinari industriali e consegne di materiali in data anteriore alla affidamento ufficiale dei lavori nonché in data posteriore alla dichiarazione di ultimazione degli stessi, tutti fatti idonei a dubitare del tenore degli atti tecnici redatti dalla Amministrazione.
Da qui la sostanziale riduzione dell’utilitas della spesa nei termini prospettati dalla Procura e, pertanto, della spesa sostenuta pari nel totale ad €. 225.737,00 il 40% della stessa pari ad €. 90.294,80 sarebbe danno azionabile e di questo, sempre secondo la Procura, il 35% andrebbe (teoricamente) attribuito al de cuis Me., il 40% al Tecnico incaricato della Direzione lavori, il 15% all’Assessore proponente ed il 10% al Segretario generale, in ragione della diversa incidenza causale delle singole condotte fonte del danno oggi azionato, parametrate in relazione alle funzioni intestate nell’ambito dell’Amministrazione comunale.
Ciò premesso in primo luogo deve essere disattesa l’eccezione di prescrizione avanzata in quanto, dalle acquisizioni istruttorie del Nucleo di polizia tributaria di Massa-Carrara della GdF disposte nel settembre 2013, emerge che tutti gli importi di cui trattasi sono stati oggetto di mandati di pagamento (n. 145 del 20.01.2009 e n. 328 del 26.01.2009) emessi nell’arco quinquennale di prescrizione, decorrente dalla notifica degli inviti a dedurre (dicembre 2013).
Per quanto sopra la richiesta risarcitoria deve essere integralmente accolta sia pure non nelle percentuali indicate dalla Procura.
In particolare il Collegio ritiene che l’apporto causale del Responsabile del procedimento e Dirigente del Servizio responsabile del parere di regolarità tecnica arch. La.Me. sia meritevole di una potenziale condanna pari al 40%, misura maggiore di quella indicata dalla Procura (35%),
il tutto in quanto ha apposto il proprio visto sui verbali di regolare esecuzione, sul computo metrico degli stessi e sui consuntivi di spesa ed ha, altresì, istruito la delibera di riconoscimento dei debiti fuori bilancio.
Per quanto concerne la posizione del Tecnico incaricato della Direzione lavori geom. Gi.Be. il Collegio valuta di elevare la percentuale di responsabilità al 45%, rispetto al 40% della tesi attorea, alla luce del fatto che
il medesimo avrebbe redatto i verbali di somma urgenza, datati senza alcun numero di protocollo di riferimento, il giorno dopo l’evento atmosferico in uno con i verbali di consegna dei lavori nonché con il computo metrico dei lavori stessi.
Considerato che si sarebbe trattato di ben tre affidamenti distinti la contemporanea formazione di tutti questi atti tecnici di relativa complessità non pare plausibile, da qui la maggior responsabilità del convenuto.
Diversamente la responsabilità del Segretario Generale dr. Ca.Fe. e dell’Assessore ai Lavori pubblici e relativa esecuzione sig. Fa.Br. deve essere ridimensionata rispettivamente nel 10% e nel 5%
in considerazione della loro partecipazione alla delibera in esame sulla quale non hanno espresso alcuna riserva pur trattandosi di una procedimento “a sanatoria” che avrebbe meritato opportuna ponderazione da parte dei convenuti che, pur non avendo partecipato alla formazione degli elaborati tecnici, ne hanno, sia pure in parte minima avallato gli effetti.
In tali termini percentuali deve essere disposta la condanna.
Detti importi dovranno, inoltre, essere maggiorati di interessi e rivalutazione monetaria dalla data di emissione dei relativi mandati di pagamento.
Dalla data di pubblicazione della presente sentenza sono dovuti, infine, gli interessi nella misura del saggio legale fino al momento del saldo;
PER QUESTI MOTIVI
la Sezione giurisdizionale della Corte dei conti per la Regione Toscana, definitivamente pronunciando sul giudizio n. 59846/R e respinta ogni contraria istanza ed eccezione, in parziale conformità delle conclusioni del Pubblico ministero,
CONDANNA
le parti convenute, in relazione alla richiesta risarcitoria di €. 90.294,00 e preso atto della non azionabilità della percentuale del 40% a carico di La.Me. medio-tempore deceduto, al pagamento in favore della Amministrazione comunale di Massa, senza vincolo di solidarietà, del residuo importo di €. 54.176,40 nelle seguenti percentuali:
- Gi.Be. – 45%;
- Ca.Fe. – 10%;
- Fa.Br. – 5%,
oltre interessi e rivalutazione come esposto in motivazione.
Dalla data di pubblicazione della presente sentenza sono dovuti gli interessi, nella misura del saggio legale, fino alla data di effettivo pagamento
(Corte dei Conti, Sez. giurisdiz. Toscana, sentenza 08.09.2015 n. 177).

APPALTI: In caso in cui il bando di gara non contenga una comminatoria espressa, l’omessa indicazione nell’offerta dello scorporo matematico degli oneri per la sicurezza per rischio specifico non comporta di per sé l’esclusione dalla gara ma rileva solo ai fini dell’anomalia del prezzo.
Quanto all’obbligo di indicazione nella offerta economica degli oneri di sicurezza le argomentazioni reiettive del Tar devono essere confermate atteso che nessuna comminatoria di esclusione era stata prevista dal bando di gara in caso di mancata indicazione degli oneri di sicurezza, né la mancata indicazione è prevista tra le cause di esclusione indicate dall’art. 46, co. 1-bis, del codice degli appalti.
Si richiamano i precedenti specifici di questo Consiglio in materia in cui si è evidenziato che in caso in cui il bando non contenga una comminatoria espressa, l’omessa indicazione nell’offerta dello scorporo matematico degli oneri per la sicurezza per rischio specifico non comporta di per sé l’esclusione dalla gara ma rileva solo ai fini dell’anomalia del prezzo (Cons. Stato III, 1030/2014; VI n. 3964/ 2014; V n. 4907/2014)
(Consiglio di Stato, Sez. III, sentenza 07.09.2015 n. 4132 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: In tema di ammissione alla gara per l'affidamento di un contratto di appalto di lavori pubblici o di servizi, in ordine alla dichiarazione di sopralluogo, occorre distinguere tra dichiarazione a cura del partecipante e verbale di sopralluogo a cura della stazione appaltante; pertanto, si considera sufficiente, ai fini dell'ammissione alla gara, la dichiarazione di sopralluogo a prescindere dalle modalità con cui esso sia stato eseguito, a meno che non sia espressamente richiesto anche uno specifico verbale di sopralluogo sulle relative modalità.
3. - Del pari non meritevole di accoglimento è il terzo motivo di appello, riproduttivo del motivo del ricorso incidentale in primo grado, con cui veniva censurata la mancata effettuazione del sopralluogo da parte del dottor Va. che si sarebbe avvalso per l’adempimento di altro soggetto.
Dall’esame della documentazione versata in atti si evinceva che effettivamente il sopralluogo, richiesto al punto 5.7 del bando di gara, era stato effettuato da un soggetto diverso dall’istante, ma che tale soggetto era stato espressamente delegato dal ricorrente a prendere visione degli elaborati progettuali e del contesto urbano dove avrebbe trovato spazio la nuova farmacia, e che il ricorrente aveva fatto propria l’attività del delegato mediante la produzione agli atti di gara di una dichiarazione sostitutiva di notorietà e certificazione, dichiarando espressamente di aver preso visione degli elaborati progettuali e di conoscere il luogo presso cui sarebbe stata insediata la nuova sede farmaceutica, ottemperando, dunque, alle prescrizioni del suddetto punto 5.7..
Rilevava esattamente il Tar che in tema di ammissione alla gara per l'affidamento di un contratto di appalto di lavori pubblici o di servizi, in ordine alla dichiarazione di sopralluogo, occorre distinguere tra dichiarazione a cura del partecipante e verbale di sopralluogo a cura della stazione appaltante; pertanto, si considera sufficiente, ai fini dell'ammissione alla gara, la dichiarazione di sopralluogo a prescindere dalle modalità con cui esso sia stato eseguito, a meno che non sia espressamente richiesto anche uno specifico verbale di sopralluogo sulle relative modalità (Cons. Stato, sez. V, 07.07.2005, n. 3729) (Consiglio di Stato, Sez. III, sentenza 07.09.2015 n. 4132 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Sulla responsabilità precontrattuale.
Come è stato condivisibilmente affermato dalla giurisprudenza, deve escludersi la sussistenza di un rapporto di antinomia e comunque di interferenza tra l'art. 109 del D.P.R. n. 554/1999 e l'art. 1337 c.c., dal momento che la disposizione regolamentare non esclude affatto la configurabilità di ipotesi di responsabilità precontrattuale per fatto illecito, disciplinando piuttosto le sole conseguenze patrimoniali dell'esercizio della facoltà di non addivenire alla stipulazione del contratto.
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Chiarito che la domanda formulata dalla ricorrente va qualificata in termini di responsabilità precontrattuale, istituto che trova la propria regolamentazione nel Codice civile, il quale, all'art. 1337, sancisce l'obbligo delle parti di comportarsi secondo buona fede nello svolgimento delle trattative e nella formazione del contratto, va rammentato che tale ipotesi di responsabilità è ormai pacificamente riferibile anche alla Pubblica Amministrazione laddove, con il proprio comportamento, violi i doveri di correttezza e di buona fede che gravano su un qualunque soggetto nel corso delle trattative.
La responsabilità precontrattuale, infatti, è una responsabilità da comportamento, non da provvedimento, che incide non sull’interesse legittimo pretensivo all’aggiudicazione, ma sul diritto soggettivo di autodeterminarsi liberamente nei rapporti negoziali, sulla libertà di compiere le proprie scelte negoziali senza subire ingerenze illegittime frutto dell’altrui scorrettezza.
Dunque, in seno ad un procedimento ad evidenza pubblica può configurarsi, accanto ad una responsabilità civile per lesione dell'interesse legittimo, derivante dalla illegittimità degli atti o dei provvedimenti relativi al procedimento amministrativo di scelta del contraente, una responsabilità di tipo precontrattuale per violazione di norme imperative che pongono "regole di condotta", da osservarsi durante l'intero svolgimento della procedura di evidenza pubblica.
Le predette regole "di validità" e "di condotta", come ribadito più volte dalla giurisprudenza amministrativa, operano su piani distinti: non è necessaria la violazione delle regole di validità per aversi responsabilità precontrattuale e, viceversa, la inosservanza delle regole di condotta può non determinare l'invalidità della procedura di affidamento.
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Non è necessario, ai fini della verifica di tale responsabilità, accertare la legittimità o meno del rifiuto di stipulare il contratto, avendo la giurisprudenza ormai chiarito che la responsabilità precontrattuale è configurabile anche nell'ipotesi di svolgimento di attività amministrativa legittima, che, tuttavia, ben può essere lesiva del principio di affidamento e buona fede.
Nel caso di specie la violazione degli obblighi di buona fede emerge se si considera che l’Amministrazione comunale ha definitivamente manifestato la propria volontà di non addivenire alla stipulazione del contratto a due anni di distanza dall’aggiudicazione definitiva, con una nota piuttosto laconica quanto alla motivazione del ripensamento (“per nuove situazioni intervenute che richiedono una diversa valutazione dell’esigenza di ristrutturazione del Palazzo Municipale”), nonostante diversi solleciti dell’aggiudicataria (precisamente in data 22.11.2001, 17.06.2002 e 24.06.2003).
Tale comportamento, ad avviso del Collegio, concreta la violazione degli obblighi di buona fede e correttezza di cui all’art. 1337 c.c..
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Il danno risarcibile a titolo di responsabilità precontrattuale in relazione alla mancata stipula di un contratto d'appalto è limitato all’interesse negativo e comprende sia le spese sostenute dall'impresa per aver partecipato alla gara (danno emergente), sia la perdita, se adeguatamente provata, di ulteriori occasioni di stipulazione di altri contratti altrettanto o maggiormente vantaggiosi, impedite proprio dalle trattative indebitamente interrotte (lucro cessante), con esclusione del mancato guadagno che sarebbe derivato dalla stipulazione ed esecuzione del contratto non concluso.
Si è infatti in presenza della lesione dell'interesse giuridico al corretto svolgimento delle trattative. La differenza in negativo del patrimonio attiene all'interesse a non essere coinvolti in trattative inutili e dispendiose, non già all'interesse alla positiva esecuzione dei doveri contrattuali.
In relazione alla dimostrazione del danno, nei limiti delle poste ammissibili sopra precisate, deve preliminarmente rammentarsi che la regola generale dell'onere probatorio, secondo cui spetta a chi agisce in giudizio indicare e provare i fatti su cui fonda la propria pretesa, trova integrale applicazione nel giudizio risarcitorio davanti al giudice amministrativo. In tal giudizio infatti non ricorre quella diseguaglianza di posizioni tra amministrazione e privato che giustifica, nel giudizio di legittimità, l'applicazione del principio dispositivo con metodo acquisitivo.

Con il ricorso proposto l’impresa aggiudicataria dell’appalto per i lavori di ristrutturazione del palazzo municipale ha chiesto il risarcimento del danno dipendente dalla mancata sottoscrizione del contratto.
Sul punto ha dedotto che l’Amministrazione avrebbe esercitato il diritto di recesso dal contratto, ai sensi dell’art. 122 del DPR 554/1999, applicabile ratione temporis. Ciò determinerebbe, ad avviso della parte ricorrente, l’obbligo dell’Amministrazione di pagare i lavori eseguiti e il valore dei materiali utili esistenti in cantiere, oltre al decimo dell'importo delle opere non eseguite.
A tale tesi si contrappone quella della difesa del Comune, secondo cui nel caso di specie non potrebbe trovare applicazione l’art. 122 del DPR 554/1999, non essendo mai stato stipulato il contratto, bensì dovrebbe farsi riferimento all’art. 109 dello stesso DPR 554/1999, secondo cui l’Amministrazione avrebbe sessanta giorni di tempo per addivenire alla stipulazione del contratto, decorsi i quali l’impresa può ritenersi sciolta da ogni impegno. In tal caso l’aggiudicatario non avrebbe diritto ad alcun compenso o indennizzo, salvo il rimborso delle spese contrattuali e la restituzione della cauzione versata (adempimento quest’ultimo eseguito dal Comune in data 21.08.2003).
L’Amministrazione ha inoltre dedotto che, nel caso di specie, il verbale di aggiudicazione atteneva esclusivamente all’importo economico dell’appalto, tenuto conto del ribasso di gara offerta dalla ricorrente, cui avrebbe dovuto seguire la presentazione di un progetto esecutivo per la conseguente valutazione definitiva e per la stipulazione del contratto, circostanza che tuttavia non si sarebbe verificata.
Ad avviso del Collegio è necessario qualificare correttamente la domanda alla luce dei suoi elementi essenziali, di seguito evidenziati, e tenuto conto che il petitum espressamente formulato (si vedano le conclusioni dell’atto introduttivo del giudizio) consiste in una domanda risarcitoria.
Ora, successivamente all’aggiudicazione definitiva dell’appalto il Comune non ha proceduto alla conseguente stipulazione del contratto e alla consegna dei lavori. Va precisato che, diversamente da quanto sembra sostenere l’Amministrazione resistente, l’aggiudicazione, di cui alla determina n. 874 del 24.07.2001, non è sospensivamente condizionata ad alcun adempimento da parte del contraente, in particolare alla presentazione del progetto esecutivo. Invero, secondo quanto previsto dal disciplinare di gara, la stipulazione del contratto era subordinata, esclusivamente, “al positivo esito delle procedure previste dalla normativa vigente in materia di lotta alla mafia”.
Inoltre, con nota prot. n. 16200 del 07.08.2001, l’Amministrazione ha richiesto, ai fini della predisposizione del contratto, la consegna della cauzione definitiva, la ricevuta di versamento dei diritti di segreteria, la corresponsione dell’importo pari alla tassa di registrazione del contratto e le relative marche da bollo. Si tratta in altri termini di adempimenti materiali –strettamente funzionali alla stipulazione del contratto- che, peraltro, l’impresa aggiudicataria, con la nota del 22.11.2011, si è dichiarata disponibile ad eseguire previa fissazione della data di stipulazione del contratto stesso. Tuttavia il contratto non è mai stato stipulato e, a distanza di due anni dall’aggiudicazione, il Comune ha rappresentato la propria volontà di non procedere, non volendo più dar corso all’esecuzione dell’appalto.
A fronte di tali elementi, la questione sottoposta all’esame del Collegio non è qualificabile come recesso da un contratto, ai sensi dell’art. 122 del DPR 554/1999, non essendo mai stato stipulato l’atto negoziale, ma è riconducibile ad un’ipotesi di responsabilità precontrattuale, ai sensi dell’art. 1337 c.c..
In tal senso quindi deve essere qualificata l’azione proposta, ai sensi dell’art. 32, comma 2, c.p.a., in relazione alla quale sussiste la giurisdizione del giudice amministrativo sia proprio in ragione della non intervenuta stipulazione (da ritenersi la linea ideale di confine tra fase procedimentale autoritativa e fase contrattuale da cui origina un rapporto di natura paritetica tra contraenti) sia in quanto la domanda, così come riqualificata dal Tribunale, è volta alla tutela risarcitoria di una posizione giuridica soggettiva che ha natura di interesse legittimo in quanto si esplica in una fase –quella antecedente alla stipulazione del contratto– governata dal potere autoritativo dell’Amministrazione.
Deve precisarsi che, ad avviso del Collegio, non trova applicazione, nella fattispecie di cui è causa, neppure la disposizione di cui all’art. 109 del citato DPR 554/1999, invocato dall’Amministrazione resistente.
La norma infatti dispone che, decorso il termine previsto per la stipulazione del contratto, l'impresa può, mediante atto notificato alla stazione appaltante sciogliersi da ogni impegno; in caso di mancata presentazione dell'istanza, all'impresa non spetta alcun indennizzo. Si tratta in sostanza di un diritto potestativo posto in capo all’aggiudicataria.
Ora, nella vicenda all’esame non risulta che l’impresa esercitato tale diritto. Infatti non solo non ha notificato all’Amministrazione la propria determinazione di sciogliersi dal vincolo nascente dall’aggiudicazione, ma anzi –come si dirà in seguito– ha più volte sollecitato la stazione appaltante ad addivenire alla stipulazione del contratto, manifestando quindi una volontà di segno nettamente contrario a quella di ritenersi “liberata”.
Va ulteriormente precisato che la non applicabilità del disposto di cui all’art. 109 del DPR 554/1999 non preclude di configurare nella specie un’ipotesi di responsabilità precontrattuale.
Come è stato condivisibilmente affermato dalla giurisprudenza (cfr. TAR Napoli sez. VIII 05.06.2012, n. 2646), infatti, deve escludersi la sussistenza di un rapporto di antinomia e comunque di interferenza tra l'art. 109 del D.P.R. n. 554/1999 e l'art. 1337 c.c., dal momento che la disposizione regolamentare non esclude affatto la configurabilità di ipotesi di responsabilità precontrattuale per fatto illecito, disciplinando piuttosto le sole conseguenze patrimoniali dell'esercizio della facoltà di non addivenire alla stipulazione del contratto.
Chiarito che la domanda formulata dalla ricorrente va qualificata in termini di responsabilità precontrattuale, istituto che trova la propria regolamentazione nel Codice civile, il quale, all'art. 1337, sancisce l'obbligo delle parti di comportarsi secondo buona fede nello svolgimento delle trattative e nella formazione del contratto, va rammentato che tale ipotesi di responsabilità è ormai pacificamente riferibile anche alla Pubblica Amministrazione laddove, con il proprio comportamento, violi i doveri di correttezza e di buona fede che gravano su un qualunque soggetto nel corso delle trattative (Cons. Stato, sez. VI, n. 633 del 2013 ; Cons. Stato sez. IV, n. 744/2014 e n. 4674/2014).
La responsabilità precontrattuale, infatti, è una responsabilità da comportamento, non da provvedimento, che incide non sull’interesse legittimo pretensivo all’aggiudicazione, ma sul diritto soggettivo di autodeterminarsi liberamente nei rapporti negoziali, sulla libertà di compiere le proprie scelte negoziali senza subire ingerenze illegittime frutto dell’altrui scorrettezza.
Dunque, in seno ad un procedimento ad evidenza pubblica può configurarsi, accanto ad una responsabilità civile per lesione dell'interesse legittimo, derivante dalla illegittimità degli atti o dei provvedimenti relativi al procedimento amministrativo di scelta del contraente, una responsabilità di tipo precontrattuale per violazione di norme imperative che pongono "regole di condotta", da osservarsi durante l'intero svolgimento della procedura di evidenza pubblica.
Le predette regole "di validità" e "di condotta", come ribadito più volte dalla giurisprudenza amministrativa, operano su piani distinti: non è necessaria la violazione delle regole di validità per aversi responsabilità precontrattuale e, viceversa, la inosservanza delle regole di condotta può non determinare l'invalidità della procedura di affidamento.
Orbene, ciò detto, ritiene il Collegio sussistente, nella vicenda di cui è causa, la responsabilità precontrattuale dell’Amministrazione comunale.
Non è necessario, ai fini della verifica di tale responsabilità, accertare la legittimità o meno del rifiuto di stipulare il contratto (accertamento peraltro non richiesto dalla parte ricorrente), avendo la giurisprudenza ormai chiarito che la responsabilità precontrattuale è configurabile anche nell'ipotesi di svolgimento di attività amministrativa legittima, che, tuttavia, ben può essere lesiva del principio di affidamento e buona fede (cfr. Ad. Plen. n. 6/2005).
Nel caso di specie la violazione degli obblighi di buona fede emerge se si considera che l’Amministrazione comunale ha definitivamente manifestato la propria volontà di non addivenire alla stipulazione del contratto a due anni di distanza dall’aggiudicazione definitiva, con una nota piuttosto laconica quanto alla motivazione del ripensamento (“per nuove situazioni intervenute che richiedono una diversa valutazione dell’esigenza di ristrutturazione del Palazzo Municipale”), nonostante diversi solleciti dell’aggiudicataria (precisamente in data 22.11.2001, 17.06.2002 e 24.06.2003).
Tale comportamento, ad avviso del Collegio, concreta la violazione degli obblighi di buona fede e correttezza di cui all’art. 1337 c.c..
Il danno risarcibile a titolo di responsabilità precontrattuale in relazione alla mancata stipula di un contratto d'appalto è limitato all’interesse negativo e comprende sia le spese sostenute dall'impresa per aver partecipato alla gara (danno emergente), sia la perdita, se adeguatamente provata, di ulteriori occasioni di stipulazione di altri contratti altrettanto o maggiormente vantaggiosi, impedite proprio dalle trattative indebitamente interrotte (lucro cessante), con esclusione del mancato guadagno che sarebbe derivato dalla stipulazione ed esecuzione del contratto non concluso.
Si è infatti in presenza della lesione dell'interesse giuridico al corretto svolgimento delle trattative. La differenza in negativo del patrimonio attiene all'interesse a non essere coinvolti in trattative inutili e dispendiose, non già all'interesse alla positiva esecuzione dei doveri contrattuali.
In relazione alla dimostrazione del danno, nei limiti delle poste ammissibili sopra precisate, deve preliminarmente rammentarsi che la regola generale dell'onere probatorio, secondo cui spetta a chi agisce in giudizio indicare e provare i fatti su cui fonda la propria pretesa, trova integrale applicazione nel giudizio risarcitorio davanti al giudice amministrativo. In tal giudizio infatti non ricorre quella diseguaglianza di posizioni tra amministrazione e privato che giustifica, nel giudizio di legittimità, l'applicazione del principio dispositivo con metodo acquisitivo.
Ciò posto, la parte ricorrente non ha dato dimostrazione del danno subito né in termini di danno emergente né di lucro cessante. Quanto a tale secondo profilo nessuna allegazione è stata fornita in ordine ad eventuali occasioni perse durante la pendenza delle trattative, ovvero nell’attesa di stipulare il contratto. Quanto alle spese sostenute, secondo quanto risulta dalla documentazione prodotta in giudizio, la cauzione provvisoria è stata restituita.
In relazione alla polizza fideiussoria presentata a garanzia degli obblighi inerenti la partecipazione alla gara, di cui è stata prodotta copia, non è stata data dimostrazione dei premi corrisposti, mediante idonea documentazione, riportando, invero, la copia della polizza predetta l’importo della rata iniziale del premio, ma non essendo stata fornita dimostrazione dell’effettivo pagamento della stessa ed eventualmente delle rate successive.
Nessuna allegazione è stata poi fornita in relazione a possibili ulteriori voci di danno.
In conclusione la domanda, così come sopra qualificata, deve essere respinta (TAR Lombardia-Milano, Sez. III, sentenza 02.09.2015 n. 1918 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

agosto 2015

APPALTI: Diritto di accesso agli atti di una procedura negoziata. Questioni inerenti la sussistenza o meno dell'interesse all'accesso e decorrenza dei termini per la conclusione del procedimento di accesso.
1) Il soggetto che ha partecipato alla procedura concorsuale è titolare di un interesse qualificato e differenziato alla regolarità della procedura che, come tale, concretizza quell'interesse personale e concreto per la tutela di situazioni giuridicamente rilevanti che in puntuale applicazione dell'art. 22 della L. n. 241/1990, è richiesto quale presupposto necessario per il riconoscimento del diritto di accesso.
2) Il procedimento di accesso deve concludersi nel termine di trenta giorni decorrenti dalla presentazione della richiesta all'ufficio competente. Qualora la richiesta di accesso, relativa alla documentazione presentata dalla ditta aggiudicataria, abbia ad oggetto documenti 'non esistenti' in quanto l'amministrazione non ha ancora ultimato la procedura di aggiudicazione, vi è l'impossibilità di far decorrer i termini come indicati dal legislatore e l'amministrazione dovrebbe disporre il differimento dello stesso al momento della aggiudicazione definitiva.

Il Comune chiede di conoscere un parere in merito ad un'istanza di accesso agli atti pervenutagli da una ditta che era stata invitata a partecipare ad una procedura negoziata indetta dall'Ente ai sensi dell'articolo 30 del decreto legislativo 12.04.2006, n. 163.
[1]
Più in particolare, precisa di avere, in prima battuta, pubblicato un avviso di indagine volto ad individuare le imprese da invitare e di avere, successivamente, invitato tutte le ditte che avevano manifestato il loro interesse in tal senso. Riferisce, altresì, che l'indicata ditta, che non ha presentato nei termini la propria offerta, ha richiesto 'copia integrale dei verbali di gara e della documentazione amministrativa presentata dalla ditta aggiudicataria'; tale richiesta è stata inoltrata al Comune lo stesso giorno in cui si è tenuta la seduta pubblica destinata all'apertura dei plichi di gara.
[2]
A sostegno della propria istanza di diritto di accesso la ditta ha addotto le seguenti motivazioni: 'tutela del proprio legittimo diritto alla verifica dell'esistenza di eventuali vizi procedurali, di vizi nella documentazione di gara, nonché manifesta illogicità nelle previsioni della lex specialis' e 'aggiornamento delle proprie anagrafiche commerciali'. Attesa la fattispecie descritta l'Ente desidera sapere:
1) se sussista il diritto del richiedente ad ottenere l'accesso alla documentazione;
2) da quando decorre il termine di trenta giorni entro cui deve chiudersi il procedimento di accesso.
In via preliminare, si ricorda che compito dello scrivente Ufficio è fornire consulenza giuridico-amministrativa nelle materie di interesse per gli enti locali. Non spetta allo scrivente assumere decisioni o compiere valutazioni che competono unicamente al Comune che ha posto il quesito. Di conseguenza, di seguito, si forniscono una serie di considerazioni generali che possano orientare l'Ente nelle decisioni da assumere in relazione alla fattispecie concreta.
In termini generali, si osserva che l'articolo 22, comma 1, della legge 07.08.1990, n. 241, precisa, alla lettera a), che per 'diritto di accesso' si intende il «diritto degli interessati di prendere visione e di estrarre copia di documenti amministrativi» e, alla lettera b), che per 'interessati' debbano intendersi «tutti i soggetti privati, compresi quelli portatori di interessi pubblici o diffusi, che abbiano un interesse diretto, concreto e attuale, corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento al quale è chiesto l'accesso».
Al fine del riconoscimento dell'interesse giuridicamente rilevante, il soggetto deve, pertanto, dimostrare che esiste una correlazione tra la propria situazione giuridica soggettiva e l'utilità di conoscere il bene o la vicenda, oggetto dell'atto o del documento amministrativo di cui chiede visione o copia. La domanda di accesso deve, quindi, essere finalizzata alla tutela di uno specifico interesse giuridico di cui il richiedente è portatore.
Come rilevato dalla giustizia amministrativa, si osserva, in particolare, che 'deve pur sempre sussistere un legame tra finalità dichiarata e documento richiesto, con la conseguenza che il titolare deve esternare non solo le ragioni per cui intende accedere ma, soprattutto, la coerenza di tali ragioni con gli scopi alla cui realizzazione il diritto di accesso è preordinato.'
[3]
Ed, invero, per la giurisprudenza, l'articolo 22, legge 241/1990, lungi dall'aver introdotto una forma di azione popolare, diretta a consentire una sorta di verifica diffusa dell'attività amministrativa, 'deve correlarsi ad un interesse qualificato, che giustifichi la cognizione di determinati documenti, onde l'accesso agli atti della p.a. è consentito soltanto a coloro cui gli atti stessi, direttamente o indirettamente, si rivolgano e che se ne possano eventualmente avvalere per la tutela di una posizione soggettiva la quale, anche se non assurta alla consistenza dell'interesse legittimo o del diritto soggettivo, deve comunque essere giuridicamente tutelata, non essendo consentito identificarla con il generico ed indistinto interesse di ogni cittadino al buon andamento dell'attività amministrativa (v. art. 97, Cost.)'.
[4]
Che non possano ritenersi ammissibili istanze di accesso preordinate ad un controllo generalizzato dell'operato delle pubbliche amministrazioni è, del resto, sancito anche dalla legge 241/1990, all'articolo 24, comma 3, nella versione introdotta dalla legge 11.02.2005, n. 15.
Con riferimento alle procedure di gara occorre segnalare l'orientamento giurisprudenziale che sostiene come 'il soggetto che abbia partecipato alla procedura concorsuale è titolare di un interesse qualificato e differenziato alla regolarità della procedura che, come tale, concretizza quell'interesse personale e concreto per la tutela di situazioni giuridicamente rilevanti che in puntuale applicazione dell'art. 22 della L. n. 241/1990, è richiesto quale presupposto necessario per il riconoscimento del diritto di accesso'.
[5]
Circa la possibilità di applicare tale principio alla fattispecie in esame, caratterizzata dal fatto che la ditta che ha avanzato la richiesta di accesso agli atti, benché abbia manifestato il proprio interesse alla gara nel corso dell'indagine di mercato svolta dal Comune, non ha, successivamente, seppur invitata a partecipare, presentato la propria offerta,
[6] si riportano i contributi giurisprudenziali espressi sull'argomento.
In un caso concernente una ditta che aveva partecipato alle fasi di prequalificazione di una gara a procedura ristretta, ma che, benché ammessa alla fase finale, a causa della complessità del progetto, non aveva presentato la propria offerta,
[7] il giudice amministrativo ha ritenuto sussistere il diritto all'accesso ai documenti della fase finale della gara. [8]
A sostegno di un tanto ha affermato che: 'Anche ove si volesse interpretare la comunicazione dell'impresa di non essere in grado di formulare un'offerta come rinuncia alla gara, non vi è da dubitare che l'interesse alla regolarità di questa permanesse e fosse qualificato e specifico. [...] In primo luogo, [...] la procedura concorsuale in questione è unica, anche se suddivisa in due fasi le quali, a determinati fini, possono anche rispondere a norme e principi diversi, senza che per ciò venga meno l'unicità della gara.
[9] In secondo luogo, ed in conseguenza del primo punto, l'interesse della richiedente deve essere giudicato tenendo conto che essa è una partecipante alla gara stessa, vale a dire è un operatore del settore con un interesse concreto e specifico a quella determinata gara, al quale la giurisprudenza, come è noto, ha riconosciuto ormai una molteplicità di interessi. Oltre a quello tradizionale alla legittimità e regolarità della gara cui partecipa, anche alla demolizione della gara stessa quando ciò conduca alla non aggiudicazione del contratto ed alla sua ripetizione. [...]'.
Si ritiene interessante riportare anche le considerazioni di altra giurisprudenza
[10] che, con riferimento ad un caso similare [11] a quello in esame ha affermato: 'In primo luogo non vi è alcuna necessità di esternare nella istanza di accesso alla documentazione di una gara pubblica le ragioni giuridiche sottese alla richiesta stessa, l'accesso si giustifica con il diritto di chi alla gara ha partecipato di conoscere le modalità di svolgimento della procedura e le determinazioni prese dall'Amministrazione. [...] Non è, poi, dubbio, neanche per il primo giudice, [12] che la richiesta di partecipazione, seguita dall'invito dell'Amministrazione a presentare la propria offerta, integri una posizione di legittimazione all'accesso agli atti della gara che non è esclusa dalla circostanza della mancata presentazione dell'offerta. Da altra angolazione si deve rilevare che nel caso di specie vi era stato un contraddittorio, tra la Società appellante ed il Comune di XX, in ordine alle caratteristiche tecniche dell'opera da realizzare [...]. Era, infatti, ben chiaro all'Amministrazione Comunale il motivo che induceva la Società attuale appellante a verificare le condizioni di realizzazione del parcheggio per tutelarsi eventualmente in sede giurisdizionale per il pregiudizio subito per non aver potuto partecipare alla gara in forza delle carenze progettuali di cui aveva rappresentato l'esistenza. Nella fattispecie qui considerata sussiste in modo evidente, ad avviso del Collegio, l'interesse diretto alla tutela di «situazioni giuridicamente rilevanti» che a tenore dell'art. 22, primo comma, della legge 07.08.1990, n. 241, consente l'accesso ai documenti amministrativi da parte dei privati'. [13]
In conclusione, su tale aspetto, si osserva che le pronunce sopra riportate hanno riconosciuto l'esistenza del diritto di accesso a tutta la documentazione di gara in capo a quelle imprese che, benché non presentatrici dell'offerta, avevano preso parte alla fase precedente di prequalificazione (o preselezione). Caratteristica comune ai casi giurisprudenziali citati, tuttavia, era l'avvenuta comunicazione o l'intervenuto scambio di note, da parte delle indicate imprese alla P.A. appaltante, concernenti le motivazioni a sostegno della non presentazione dell'offerta e consistenti nella paventata esistenza di carenze o complessità progettuali dell'opera da realizzare.
[14]
Passando a trattare della seconda questione posta, sempreché si ritenga esistente l'interesse all'accesso da parte del richiedente lo stesso, si forniscono le seguenti considerazioni.
Il D.P.R. 12.04.2006, n. 184, 'Regolamento recante disciplina in materia di accesso ai documenti amministrativi', all'articolo 6, comma 4, recita: 'Il procedimento di accesso deve concludersi nel termine di trenta giorni, ai sensi dell'articolo 25, comma 4, della legge,
[15] decorrenti dalla presentazione della richiesta all'ufficio competente o dalla ricezione della medesima nell'ipotesi disciplinata dal comma 2'.
Il medesimo regolamento, all'articolo 2, comma 2, prevede, altresì, che: 'Il diritto di accesso si esercita con riferimento ai documenti amministrativi materialmente esistenti al momento della richiesta e detenuti alla stessa data da una pubblica amministrazione, di cui all'articolo 22, comma 1, lettera e), della legge, nei confronti dell'autorità competente a formare l'atto conclusivo o a detenerlo stabilmente. La pubblica amministrazione non è tenuta ad elaborare dati in suo possesso al fine di soddisfare le richieste di accesso'.
Con riferimento alla fattispecie in esame risulta evidente che la richiesta di accesso ha ad oggetto documenti 'non esistenti' ciò in quanto l'amministrazione non ha ancora ultimato la procedura di aggiudicazione con impossibilità di individuazione degli atti richiesti. Di qui l'impossibilità di far decorrere i termini come indicati dal legislatore.
A fronte della situazione prospettata, e nell'impossibilità di dare seguito alla richiesta di accesso agli atti, l'amministrazione dovrebbe disporre il differimento dello stesso al momento della aggiudicazione definitiva. In tal senso depone, infatti, l'articolo 24, comma 4, della legge 241/1990 il quale recita: 'L'accesso ai documenti amministrativi non può essere negato ove sia sufficiente fare ricorso al potere di differimento'.
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[1] L'articolo 30 del d.lgs. 163/2006 rubricato 'Concessione di servizi', al comma 3 prevede che: 'La scelta del concessionario deve avvenire nel rispetto dei principi desumibili dal Trattato e dei principi generali relativi ai contratti pubblici e, in particolare, dei principi di trasparenza, adeguata pubblicità, non discriminazione, parità di trattamento, mutuo riconoscimento, proporzionalità, previa gara informale a cui sono invitati almeno cinque concorrenti, se sussistono in tale numero soggetti qualificati in relazione all'oggetto della concessione, e con predeterminazione dei criteri selettivi'.
[2] L'Ente precisa, altresì, che tale seduta è stata sospesa non avendo un concorrente prodotto correttamente tutta la documentazione richiesta e che, pertanto, non essendosi proceduto all'apertura di tutte le buste, si procederà in tal senso in fase di riapertura della seduta stessa.
[3] In tal senso si legga TAR Ancona, sentenza del 30.03.2005, n. 274.
[4] TAR Emilia Romagna, Parma, sez. I, sentenza del 09.02.2010, n. 52.
[5] TAR Calabria, Catanzaro, sez. II, sentenza del 05.08.2013, n. 861; TAR Campania, Salerno, sez. II, sentenza del 24.06.2013, n. 1408; TAR Lazio, Roma, sez. II, sentenza del 24.10.2012, n. 8772; TAR Lazio, Roma, sez. III, sentenza dell'08.07.2008, n. 6450.
[6] Si precisa che l'indicata ditta ha comunicato all'Amministrazione che si trovava nell'impossibilità di formulare un'offerta a causa di impegni precedentemente presi, che saturavano la sua attuale disponibilità.
[7] Si precisa che la ditta in questione aveva, dapprima, chiesto una proroga del termine di consegna dell'offerta formulando una serie di quesiti connessi alla complessità del progetto e, successivamente, 'presentava alla stazione appaltante una nota in ordine all'impossibilità, alla luce delle tecniche richieste, di prestare una qualsiasi offerta, impegnandosi, tuttavia, a formulare tale offerta in caso di gara deserta'.
[8] Cons. Giust. Amm., sentenza del 05.12.2007, n. 1087.
[9] Sul tema del rapporto intercorrente tra la trattativa privata vera e propria e la c.d. indagine di mercato si veda, anche, TAR Veneto, sez. I, sentenza del 04.11.2002, n. 6199.
[10] Consiglio di Stato, sez. V, sentenza del 10.05.2005, n. 2340.
[11] Più in particolare, si trattava di una società che aveva presentato una richiesta di partecipazione alla gara cui aveva fatto seguito la lettera di invito del Comune; la medesima società non aveva, tuttavia, successivamente presentato l'offerta. Nel caso di specie vi era stato, tra l'altro, un contraddittorio tra la società e il Comune instaurato con un duplice scambio di note avente ad oggetto le perplessità esternate dalla impresa sulla progettazione dell'opera e sugli eventuali rischi idraulici derivanti dalla realizzazione della stessa secondo le modalità progettate.
[12] Si osserva, più precisamente, che il giudice di primo grado ha ricordato il principio che vede la legittimazione all'accesso documentale da parte della ditta ammessa ad una gara ma non offerente correlandolo, tuttavia, all'ulteriore requisito, presente nel caso esaminato dal giudice amministrativo, della contestazione da parte dell'impresa del comportamento di non collaborazione della pubblica amministrazione, il quale radicherebbe in capo alla stessa un interesse giuridicamente rilevante a conoscere gli ulteriori atti del procedimento di gara.
[13] Per completezza espositiva, si riportano le considerazioni espresse sempre dalla magistratura amministrativa (TAR Lazio, Roma, sez. III-ter, sentenza del 10.05.2011, n. 4081) in ordine ad una fattispecie relativa ad un'impresa che, benché non partecipante alla gara (non essendovi stata alcuna fase prodromica all'espletamento della procedura concorsuale vera e propria) aveva motivato di essere titolare di un interesse qualificato all'accesso, 'in qualità di primaria operatrice nel settore della locazione a lungo termine di veicoli senza conducente, aspirando, attraverso l'impugnativa di tali atti, alla rinnovazione della procedura concorsuale ed alla partecipazione a seguito di rinnovazione della gara'.
Il caso, benché differente nei suoi presupposti dalla fattispecie in esame, si ritiene interessante nel punto in cui il giudice, nel negare la sussistenza del diritto all'accesso, afferma che: 'Con riferimento ai fatti in controversia, la ricorrente afferma di avere una posizione giuridica differenziata in quanto mira alla riedizione della procedura concorsuale di cui si tratta, ancorché la medesima non vi abbia preso parte, né abbia lamentato l'impossibilità di prendervi parte a causa della apposizione di clausole del bando impeditive o limitative della partecipazione alla gara. [...] Ritiene il Collegio che il diritto di accesso agli atti amministrativi non può estendersi ad un sindacato generalizzato dell'intera attività nell'ambito di una procedura concorsuale cui si è rimasti volontariamente estranei, attraverso l'enunciazione di un interesse meramente esplorativo, e privo dell'indicazione di alcun principio di prova in ordine alle illegittimità che si sarebbero perpetrate [...]'.
[14] Per completezza espositiva, si segnala come utile il riferimento alla previsione di cui all'articolo 13, del D.Lgs. 163 benché lo stesso non sia direttamente applicabile alla fattispecie in esame atteso il disposto di cui all'articolo 30, comma 1, del Codice dei contratti pubblici il quale recita: 'Salvo quanto disposto nel presente articolo, le disposizioni del codice non si applicano alle concessioni di servizi'. Tale articolo, concernente 'Accesso agli atti e divieti di divulgazione', al comma 2, lett. b), prevede che il diritto di accesso sia differito 'nelle procedure ristrette e negoziate, e in ogni ipotesi di gara informale, in relazione all'elenco dei soggetti che hanno fatto richiesta di invito o che hanno segnalato il loro interesse, e in relazione all'elenco dei soggetti che sono stati invitati a presentare offerte e all'elenco dei soggetti che hanno presentato offerte, fino alla scadenza del termine per la presentazione delle offerte medesime [...]'.
Al riguardo merita segnalare che, impregiudicata la questione sull'esistenza del diritto ad accedere alla documentazione presentata dalla ditta aggiudicataria, la legge riconosce l'esistenza del diritto all'accesso ai documenti ivi indicati ma con differimento della loro ostensione al momento della scadenza del termine per la presentazione delle offerte. Come affermato dalla giurisprudenza la ratio della norma va individuata 'nell'esigenza che, per quanto possibile, le imprese si presentino alla gara non sulla base di accordi più o meno sotterranei, ma sulla base delle regole dettate dal principio della concorrenza, dato che la suindicata disposizione è orientata non tanto alla tutela della sfera di riservatezza delle imprese partecipanti al pubblico incanto o aspiranti all'invito alla gara (ristretta o informale), quanto alla garanzia della correttezza e trasparenza dei comportanti connessi alla presentazione delle offerte o degli inviti alla gara'. Così, tra le altre, Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza del 12.04.2005, n. 1678; TAR Puglia Lecce, sez. I, sentenza del 03.09.2002, n. 3827.
[15] L'articolo 25, comma 4, della legge 241/1990 prevede che 'decorsi inutilmente trenta giorni dalla richiesta, questa si intende respinta [...]'
(25.08.2015 -
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LAVORI PUBBLICI - SICUREZZA LAVORO: Ai sensi del d.PR. n. 554 del 1999, art. 7, comma 2 (regolamento di attuazione della legge Quadro dei Lavori Pubblici), il responsabile del procedimento (RUP) provvede a creare le condizioni affinché il processo realizzativo dell’intervento risulti condotto nei tempi e costi preventivati e nel rispetto della sicurezza e della salute dei lavoratori, in conformità a qualsiasi altra disposizione di legge in materia.
Inoltre egli, ai sensi dell’art. 8, lett. f), deve coordinare le attività necessarie alla redazione del progetto definitivo ed esecutivo, verificando che siano rispettate le indicazioni contenute nel documento preliminare alla progettazione e nel progetto preliminare, nonché alla redazione del piano di sicurezza e di coordinamento e del piano generale di sicurezza.
Inoltre, ai sensi dell’art. 8, comma 3, egli vigila sulla attività, valuta il piano di sicurezza e di coordinamento e l’eventuale piano generale di sicurezza e il fascicolo predisposti dal coordinatore per la progettazione.
In sostanza a carico del RUP (responsabile unico del procedimento) grava una posizione di garanzia connessa ai compiti di sicurezza, non solo nella fase genetica dei lavori, laddove vengono redatti i piani di sicurezza, ma anche durante il loro svolgimento, fase nella quale vige l’obbligo di sorvegliarne la corretta attuazione, controllando anche l’adeguatezza e la specificità dei piani di sicurezza rispetto alla loro finalità, preordinata alla incolumità dei lavoratori.

Con sentenza del 03.03.2010 il Tribunale di Sassari condannava Ch.G.B.F. e altri in ordine al reato di cui all'articolo 590, co. 1, 2 e 3, c.p. alla pena di mesi due di reclusione, concesse le attenuanti generiche con giudizio di equivalenza rispetto all'aggravante contestata, con i benefici della sospensione condizionale della pena e della non menzione ex art. 175 c.p..
All'imputato, nella sua qualità di responsabile del procedimento e dell'esecuzione dei lavori, era stato contestato di avere cagionato per colpa generica e specifica lesioni personali comportanti una malattia di durata superiore ai quaranta giorni all'operaio C.R. (costituito parte civile nel processo), che il 25.07.2002, a Siligo, era stato colpito violentemente alla testa dall'entrata della pompa di una betoniera erogante calcestruzzo.
In particolare al Ch., quale coordinatore in fase di progettazione e di esecuzione dei lavori (per conto della committente Amministrazione comunale di Siligo) era stato contestato di avere omesso di far applicare all'impresa esecutrice il piano di sicurezza e di coordinamento (P.S.C.), ai sensi dell'art. 5, 1 co., lett. b), d.lgs. 494/1996.
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Va premesso che la responsabilità del Ch. è stata ritenuta sulla base della sua qualità di "responsabile del procedimento" e "responsabile dei lavori".
Sul responsabile dei lavori incombe, ai sensi del d.PR. n. 494 del 1996, art. 6, l'obbligo della verifica delle condizioni di sicurezza del lavoro in attuazione dei relativi piani (art. 4 e art. 5, comma 1, lett. a) d.PR. citato).
Orbene, ciò premesso, deve ricordarsi che ai sensi del d.PR. n. 554 del 1999, art. 7, comma 2 (regolamento di attuazione della legge Quadro dei Lavori Pubblici), il responsabile del procedimento provvede a creare le condizioni affinché il processo realizzativo dell'intervento risulti condotto nei tempi e costi preventivati e nel rispetto della sicurezza e della salute dei lavoratori, in conformità a qualsiasi altra disposizione di legge in materia. Inoltre egli, ai sensi dell'art. 8, lett. f), deve coordinare le attività necessarie alla redazione del progetto definitivo ed esecutivo, verificando che siano rispettate le indicazioni contenute nel documento preliminare alla progettazione e nel progetto preliminare, nonché alla redazione del piano di sicurezza e di coordinamento e del piano generale di sicurezza.
Inoltre, ai sensi dell'art. 8, comma 3, egli vigila sulla attività, valuta il piano di sicurezza e di coordinamento e l'eventuale piano generale di sicurezza e il fascicolo predisposti dal coordinatore per la progettazione.
In sostanza a carico del RUP (responsabile unico del procedimento) grava una posizione di garanzia connessa ai compiti di sicurezza, non solo nella fase genetica dei lavori, laddove vengono redatti i piani di sicurezza, ma anche durante il loro svolgimento, fase nella quale vige l'obbligo di sorvegliarne la corretta attuazione, controllando anche l'adeguatezza e la specificità dei piani di sicurezza rispetto alla loro finalità, preordinata alla incolumità dei lavoratori (cfr, Cass., sez. 4, sent. n. 7597 dell'08.11.2013, Rv. 259123; Cass., sez. 4, sent. n. 41993 del 14.06.2011, Rv. 251925).
Orbene, nel caso di specie, come correttamente rilevato dal giudice di merito, il Ch. è venuto meno all'adempimento degli oneri gravanti a suo carico. I giudici della Corte territoriale hanno infatti evidenziato a tal proposito che i compiti dell'imputato non potevano esaurirsi nella mera redazione del P.S.C., dovendo egli anche svolgere l'indispensabile opera di coordinatore che prevedeva innanzitutto il controllo che il sub-appaltatore Fe. avesse a sua volta predisposto il P.O.S e lo avesse a sua volta portato a conoscenza dei lavoratori interessati. Egli inoltre avrebbe dovuto accertarsi che in cantiere sussistesse una buona coordinazione tra appaltatore (E. s.r.l.), sub-appaltatore (impresa individuale Fe.) e ditta incaricata del solo gettito del calcestruzzo.
Le predette attività demandate al Ch. erano state da lui omesse e tale omissione è collegata con nesso di causalità all'evento lesivo per cui è giudizio.
La difesa ha sostenuto che la sentenza impugnata non aveva spiegato da dove il Ch. avrebbe dovuto trarre la conoscenza di un sub-appalto in favore del Fe. e soprattutto della sua ritualità. Sul punto si osserva che si tratta di una questione di fatto non introdotta in appello e comunque entrambe le sentenze, sia quella di primo, sia quella di secondo grado, hanno ritenuto di non porre in dubbio la conoscenza da parte del ricorrente del subappalto.
Il ricorso deve essere pertanto rigettato e il ricorrente condannato al pagamento delle spese processuali (massima tratta da http://renatodisa.com - Corte di Cassazione, Sez. IV penale, sentenza 04.08.2015 n. 34088).

luglio 2015

LAVORI PUBBLICI: Condannato per danno erariale il RUP che non applica la penale di contratto.
Anche il Giudice di primo grado ha, motivatamente, escluso la responsabilità del Dirigente tecnico, ing. Te., che delegò al Ca. le funzioni di RUP responsabile unico del procedimento. Non si tratta di delega di poteri, ma di nomina, di assegnazione di funzioni a soggetto sottoposto e fornito dei titoli.
Il Te. era il dirigente, quindi ben poteva nominare il RUP e il Ca. non può affermare di essere stato un mero esecutore, perché era un ingegnere, non un impiegato di mero ordine.
L’articolo 10, comma 5, del d.lgs. 163/2006 (Codice dei contratti pubblici) così definisce il RUP: "Il responsabile del procedimento deve possedere titolo di studio e competenza adeguati in relazione ai compiti per cui è nominato. Per i lavori e i servizi attinenti all'ingegneria e all'architettura deve essere un tecnico. Per le amministrazioni aggiudicatrici deve essere un dipendente di ruolo. In caso di accertata carenza di dipendenti di ruolo in possesso di professionalità adeguate, le amministrazioni aggiudicatrici nominano il responsabile del procedimento tra i propri dipendenti in servizio".
Nell’atto con cui il suo dirigente gli conferiva l’incarico specifico erano indicati i compiti tra cui proprio il problema delle eventuali penali. La Sezione territoriale ha correttamente individuato il nesso di causalità tra il comportamento del Ca., in relazione ai compiti attribuitigli, e il danno, con particolare riferimento al parere reso al Consiglio di amministrazione (CdA) sulla penale da applicare al Gr. che aveva maturato lunghissimi ritardi nell’esecuzione dell’attività di progettazione commessagli (oltre 900 giorni).
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Afferma l’appellante che l’incarico affidato al Gr. venne modificato (ampliato) e, pertanto, non era applicabile la clausola penale.
Si tratta di difesa già svolta in primo grado e su cui la Sezione territoriale ha correttamente deciso, con motivazione congrua e priva di vizi logici, rilevando che l’ing. Gr. non chiese neppure la modifica dei termini contrattuali per la consegna degli elaborati e, comunque, il ritardo accumulato, si può aggiungere, supera qualsiasi tolleranza e possibilità di giustificazione con la maggiore ampiezza dell’oggetto contrattuale.
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L’appellante deduce che il danno non gli è imputabile, perché imputabile a decisione del CdA.
A parte che il Ca. espresse il proprio parere al CdA il quale sospese l’applicazione della penale proprio sulla scorta del parere reso dall’appellante, resta da dire che ha ragione il PG quando afferma che -sulla base del principio di separazione tra potere di indirizzo e potere di gestione– che spettava al Ca., nella sua qualità di RUP di provvedere all’applicazione della penale; il CdA si sarebbe assunto la responsabilità della sospensione; ma nel caso di specie è il Ca. che ha mancato, gravemente, ai suoi doveri professionali.

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Con la sentenza impugnata l’appellante, in parziale accoglimento delle domande avverso lo stesso proposte dalla Procura contabile territoriale, è stato condannato (con altra persona) a pagare –individualmente- alla società C.I.I.P. S.p.A. la somma di euro 2.117,08 oltre la rivalutazione monetaria dal 14.02.2008 e fino alla data di pubblicazione della sentenza con gli interessi legali decorrenti dalla data del deposito della sentenza e fino al pagamento; oltre le spese del giudizio, liquidate in complessivi euro 2.940,74.
Il Ca. propone appello per i seguenti motivi.
1) Errore di fatto e di diritto su un punto decisivo del giudizio. Inderogabilità dell’ordine legale delle competenze.
2) Inesistenza del danno erariale, inapplicabilità della clausola penale.
3) Non imputabilità all’ing. Ca. della responsabilità per non aver applicato all’ing. Am.Gr. la sanzione prevista nel contratto di affidamento dell’incarico.
Conclusioni dell’appellante: riforma della sentenza impugnata, con assoluzione dell’ing. Ca. da ogni addebito di responsabilità contestata, il tutto con il favore delle spese di giudizio come per legge.
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L’appello non merita accoglimento e la sentenza impugnata deve essere confermata.
La Procura regionale ha contestato all’odierno appellante (e ad altri due soggetti, uno dei quali assolto e l’altro condannato, ma che non risulta abbia appellato) il danno consistente nella mancata applicazione della penale contrattuale nei confronti del professionista (tale ingegner Gr.) incaricato della progettazione del consolidamento dei Ponti Tubo della rete di distribuzione idrica dei tratta Pescara d’Arquata Sibillini, per il ritardo nell’adempimento della prestazione.
Preliminarmente il Collegio osserva che l’atto d’appello è proposto con insolita formula “e con”, nei confronti degli altri soggetti evocati nel giudizio di primo grado, in quanto “controinteressati” (così, il difensore presente in udienza all’atto del deposito della relazione di notifica nei loro confronti); il Collegio osserva che nei confronti di costoro non è proposta domanda alcuna e che il giudizio di responsabilità amministrativa si differenzia dal giudizio amministrativo, nel quale è prevista la figura del controinteressato cui deve essere partecipato il giudizio. Inoltre manca la vocatio in ius anche nei confronti dell’altra parte (necessaria) del giudizio e cioè il Procuratore generale.
Tanto premesso, il Collegio può affrontare l’esame del primo motivo d’appello.
Il motivo è infondato e anche il Giudice di primo grado ha, motivatamente, escluso la responsabilità del Dirigente tecnico, ing. Te., che delegò al Ca. le funzioni di RUP responsabile unico del procedimento. Non si tratta di delega di poteri, ma di nomina, di assegnazione di funzioni a soggetto sottoposto e fornito dei titoli.
Il Te. era il dirigente, quindi ben poteva nominare il RUP e il Ca. non può affermare di essere stato un mero esecutore, perché era un ingegnere, non un impiegato di mero ordine.
L’articolo 10, comma 5, del d.lgs. 163/2006 (Codice dei contratti pubblici) così definisce il RUP: "Il responsabile del procedimento deve possedere titolo di studio e competenza adeguati in relazione ai compiti per cui è nominato. Per i lavori e i servizi attinenti all'ingegneria e all'architettura deve essere un tecnico. Per le amministrazioni aggiudicatrici deve essere un dipendente di ruolo. In caso di accertata carenza di dipendenti di ruolo in possesso di professionalità adeguate, le amministrazioni aggiudicatrici nominano il responsabile del procedimento tra i propri dipendenti in servizio".
Nell’atto con cui il suo dirigente gli conferiva l’incarico specifico erano indicati i compiti tra cui proprio il problema delle eventuali penali. La Sezione territoriale ha correttamente individuato il nesso di causalità tra il comportamento del Ca., in relazione ai compiti attribuitigli, e il danno, con particolare riferimento al parere reso al Consiglio di amministrazione (CdA) sulla penale da applicare al Gr. che aveva maturato lunghissimi ritardi nell’esecuzione dell’attività di progettazione commessagli (oltre 900 giorni).
Per quanto esposto, il motivo deve essere respinto.
Con il secondo motivo d’appello si eccepisce l’inesistenza del danno per inapplicabilità della clausola penale.
Afferma l’appellante che l’incarico affidato al Gr. venne modificato (ampliato) e, pertanto, non era applicabile la clausola penale.
Si tratta di difesa già svolta in primo grado e su cui la Sezione territoriale ha correttamente deciso, con motivazione congrua e priva di vizi logici, rilevando che l’ing. Gr. non chiese neppure la modifica dei termini contrattuali per la consegna degli elaborati e, comunque, il ritardo accumulato, si può aggiungere, supera qualsiasi tolleranza e possibilità di giustificazione con la maggiore ampiezza dell’oggetto contrattuale.
La sentenza della Corte di Cassazione citata dall’appellante afferma che la clausola penale non opera se, variata quantitativamente la prestazione, la clausola penale viene meno se non viene fissato un nuovo termine; nel caso di specie il termine rimase immutato, ma un termine esisteva e doveva essere rispettato nell’ipotesi, come nel caso di specie in cui il contraente (ing. Gr.) non ebbe a richiedere un nuovo diverso termine per l’adempimento delle sue obbligazioni progettuali.
Con un terzo motivo, l’appellante deduce che il danno non gli è imputabile, perché imputabile a decisione del CdA.
A parte che il Ca. espresse il proprio parere al CdA il quale sospese l’applicazione della penale proprio sulla scorta del parere reso dall’appellante, resta da dire che ha ragione il PG quando afferma che -sulla base del principio di separazione tra potere di indirizzo e potere di gestione– che spettava al Ca., nella sua qualità di RUP di provvedere all’applicazione della penale; il CdA si sarebbe assunto la responsabilità della sospensione; ma nel caso di specie è il Ca. che ha mancato, gravemente, ai suoi doveri professionali.
Conclusivamente, per quanto esposto, il Collegio respinge l’appello (Corte dei Conti, Sez. I Centrale d'Appello, sentenza 20.07.2015 n. 441).

LAVORI PUBBLICI: a) nel regime transitorio previsto dal comma 12, prima parte, dell'art. 375 del d.P.R. n. 207 del 2010 per le categorie non modificate dal nuovo regolamento, di validità delle attestazioni rilasciate nella vigenza del d.P.R. n. 34 del 2000 “fino alla naturale scadenza prevista per ciascuna di esse”, è applicabile l'onere di verifica triennale imposto prima dall'art. 15-bis del d.P.R. n. 34 del 2000 e poi dall'art. 77 del d.P.R. n. 207 del 2010;
b) nel regime transitorio dettato dall'art. 375, commi 13, 16 e 17, del d.P.R. n. 207 del 2010 e ss.mm.ii. per le categorie "variate” non sussiste, durante il regime di proroga, l'obbligo di verifica triennale, di cui agli artt. 15-bis del d.P.R. n. 34 del 2000 e 77 del d.P.R. n. 207 del 2010;
c) nelle gare di appalto per l’aggiudicazione di contratti pubblici i requisiti generali e speciali devono essere posseduti dai candidati non solo alla data di scadenza del termine per la presentazione della richiesta di partecipazione alla procedura di affidamento, ma anche per tutta la durata della procedura stessa fino all’aggiudicazione definitiva ed alla stipula del contratto, nonché per tutto il periodo dell’esecuzione dello stesso, senza soluzione di continuità.

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7. - Con il primo quesito viene posto a questa Adunanza Plenaria il problema se, nel regime transitorio dettato dall’art. 357 del D.P.R. 05/10/2010, n. 207 (Regolamento di esecuzione ed attuazione del decreto legislativo 12.04.2006, n. 163, recante «Codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture in attuazione delle direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE») ed in particolare per il caso di bandi di gara pubblicati precedentemente alla data di entrata in vigore del regolamento (la gara d'appalto de qua è stata indetta con bando trasmesso alla G.U.U.E. il 28.03.2011 e pubblicato sulla G.U.R.I. il 01.04.2011), le disposizioni di cui ai commi 12, 13, 16 e 17 del citato art. 357, per le attestazioni SOA rilasciate secondo la “vecchia” normativa di cui al D.P.R. n. 34/2000 (delle quali le dette norme transitorie prevedono un periodo di ultrattività, come si vedrà differenziato a seconda che si tratti di attestazioni relative a categorie variate o meno dal regolamento stesso ed in particolare, per quanto rileva nel presente giudizio, alla categoria variata OG11 ed alla categoria non variata OG1), sia comunque necessario, per usufruire della “prorogatio“ successiva all’entrata in vigore del regolamento e per il periodo ivi considerato in misura come s’è detto distinta tra categorie variate o meno, il requisito della verifica triennale, come prescritta prima dall’art. 15-bis del d.P.R. n. 34 del 2000 e poi dall’art. 76 del d.P.R. n. 207 del 2010; se, in definitiva, detto adempimento debba considerarsi “doveroso” o meno nell’anzidetto periodo transitorio ai fini del valido utilizzo delle attestazioni SOA.
Osserva anzitutto il Collegio che così dispongono le citate disposizioni transitorie: “12. Le attestazioni rilasciate nella vigenza del decreto del Presidente della Repubblica n. 34 del 2000 nelle categorie non modificate dal presente regolamento hanno validità fino alla naturale scadenza prevista per ciascuna di esse; gli importi ivi contenuti, dal cinquecentoquarantaseiesimo giorno dalla data di entrata in vigore del presente regolamento, si intendono sostituiti dai valori riportati all'articolo 61, commi 4 e 5. Cessano di avere validità a decorrere dal cinquecentoquarantaseiesimo giorno dalla data di entrata in vigore del presente regolamento le attestazioni relative alla categoria OG 11 di cui all' allegato A del decreto del Presidente della Repubblica n. 34 del 2000, nonché le attestazioni relative alle categorie OS 7, OS 8, OS 12, OS 18, OS 21, di cui all' allegato A del decreto del Presidente della Repubblica n. 34 del 2000, e alla categoria OS 2, individuata ai sensi del decreto del Presidente della Repubblica n. 34 del 2000 e rilasciata ai sensi del regolamento di cui al decreto del Ministro per i beni e le attività culturali 03.08.2000, n. 294, e successive modificazioni, relative a imprese che hanno ottenuto, a seguito della riemissione dei certificati di esecuzione dei lavori ai sensi del comma 14-bis, l'attestazione nelle corrispondenti categorie modificate dal presente regolamento …
13. Le attestazioni relative alle categorie OG 10, OG 11, OS 7, OS 8, OS 12, OS 18, OS 20, OS 21, di cui all'allegato A del decreto del Presidente della Repubblica 25.01.2000, n. 34, e OS 2, individuata ai sensi del decreto del Presidente della Repubblica 25.01.2000, n. 34 , e rilasciata ai sensi del D.M. 03.08.2000, n. 294 , come modificato dal D.M. 24.10.2001, n. 420 , la cui scadenza interviene nel periodo intercorrente tra la data di pubblicazione del presente regolamento e la data di entrata in vigore dello stesso, si intendono prorogate fino alla data di entrata in vigore del presente regolamento…
16. Per trecentosessantacinque giorni successivi alla data di entrata in vigore del presente regolamento, i soggetti di cui all' articolo 3 , comma 1, lettera b), ai fini della predisposizione dei bandi o degli avvisi con cui si indice una gara nonché in caso di contratti senza pubblicazione di bandi o avvisi ai fini della predisposizione degli inviti a presentare offerte, applicano le disposizioni del decreto del Presidente della Repubblica 25.01.2000, n. 34 e le categorie del relativo allegato A. Per trecentosessantacinque giorni successivi alla data di entrata in vigore del presente regolamento, ai fini della partecipazione alle gare riferite alle lavorazioni di cui alle categorie OG 10, OG 11, OS 7, OS 8, OS 12, OS 18, OS 20, OS 21, di cui all' allegato A del decreto del Presidente della Repubblica 25.01.2000, n. 34, e OS 2 individuata ai sensi del decreto del Presidente della Repubblica 25.01.2000, n. 34, e rilasciata ai sensi del D.M. 03.08.2000, n. 294 , come modificato dal D.M. 24.10.2001, n. 420, la dimostrazione del requisito relativo al possesso della categoria richiesta avviene mediante presentazione delle attestazioni di qualificazione rilasciate dalle SOA in vigenza del decreto del Presidente della Repubblica 25.01.2000, n. 34 , purché in corso di validità alla data di entrata in vigore del presente regolamento anche per effetto della disposizione di cui al comma 13.
17. Le attestazioni di qualificazione rilasciate dalle SOA relative alle categorie OG 10, OG 11, OS 2-A, OS 2-B, OS 7, OS 8, OS 12-A, OS 12-B, OS 18-A, OS 18-B, OS 20-A, OS 20-B, OS 21 e OS 35, di cui all' allegato A del presente regolamento, possono essere utilizzate, ai fini della partecipazione alle gare, a decorrere dal trecentosessantaseiesimo giorno dalla data di entrata in vigore del presente regolamento
”.
Ciò posto, precisato che l'art. 1, comma 1, D.L. 06.06.2012, n. 73 , convertito, con modificazioni, dalla L. 23.07.2012, n. 119, ha prorogato di centottanta giorni i termini di cui ai veduti commi 15, 16 e 17 e che non è contestato che il bando della gara del cui esito qui si controverte ha fatto regolare applicazione delle disposizioni del decreto del Presidente della Repubblica 25.01.2000, n. 34 e delle categorie del relativo allegato “A”, la risposta al primo quesito posto dalla Sezione remittente mérita un differenziato esame (che comporta, come si vedrà, un diverso ésito), a seconda che si tratti della disciplina transitoria dettata per le categorie non variate o di quella prevista per le categorie variate ad opera del d.P.R. n. 207 del 2010.
7.1 - Invero, quanto alla prima, nel veduto quadro normativo, una volta abrogato il decreto del Presidente della Repubblica 25.01.2000, n. 34 “fermo quanto disposto dall’articolo 357” (art. 358, comma 1, lett. d), del d.P.R. n. 207/2010) con decorrenza dalla data di entrata in vigore di quest’ultimo, non v’è dubbio, ad avviso del Collegio, che, sulla base del chiaro disposto del primo periodo del veduto comma 12 (“le attestazioni rilasciate nella vigenza del decreto del Presidente della Repubblica n. 34 del 2000 nelle categorie non modificate dal presente regolamento hanno validità fino alla naturale scadenza prevista per ciascuna di esse …”), la conferma di validità delle attestazioni in corso valga anche a configurare un’implicita, ma inequivoca, applicabilità dell’onere di verifica triennale, che medio tempore maturi, richiesto sia dalla normativa previgente (art. 15-bis del d.P.R. n. 34/2000), che dal nuovo testo regolamentare (art. 77 del d.P.R. n. 207/2010).
Se, infatti, le attestazioni rilasciate nella vigenza del d.P.R. n. 34/2000 per le categorie non modificate dal “nuovo” regolamento (ivi compresa, per quanto più da vicino riguarda la fattispecie all’esame, la categoria “OG1”) conservano la loro validità per l’intera originaria durata della loro efficacia (cinque anni, ai sensi del primo periodo del comma 5 dell’art. 15 del d.P.R. n. 34/2000), tale norma transitoria, che si pone in palese linea di continuità con la durata a regime prevista sia dalla “vecchia” normativa che dalla “nuova” (v. il primo periodo del comma 5 dell’art. 76 del d.P.R. n. 207/2010), dev’essere interpretata nel senso che le imprese concorrenti devono essere in grado di provare, ai fini della partecipazione alla procedura selettiva per l’aggiudicazione di appalti di lavori pubblici, il possesso dell’attestazione SOA richiesta sia nel vecchio che nel nuovo regime con caratteri e requisiti immutati, della cui persistente validità fino alla naturale scadenza del quinquennio (sulla quale il legislatore non è intervenuto innovativamente nemmeno per la sola fase transitoria) costituisce pacificamente condizione indefettibile, derivante per la fase transitoria dal sottolineato integrale carattere di continuità tra “vecchio” e “nuovo” regime, l’anzidetto onere di verifica triennale, ch’è coessenziale alla durata quinquennale dell’attestazione, al chiaro fine di prevenire ogni diminuzione del livello qualitativo delle imprese in così lungo periodo; livello, questo, i cui caratteri, come s’è detto, restano immutati nel passaggio tra un regime e l’altro, sì che non possono che restarne confermate le garanzie all’uopo predisposte dal sistema (Cons. St., III, 12.11.2014, n. 5573; Cons. St., ad. plen., 18.07.2012, n. 27, secondo cui, tra l’altro, “fra i titoli da presentare ai sensi dell’art. 11, c. 8, del d.lgs. n. 163 del 2006, perché l’aggiudicazione sia efficace rientra anche l’attestazione dell’esito positivo della verifica” in questione).
Va peraltro precisato che una tale interpretazione delle vedute disposizioni transitorie riguardanti le categorie non modificate dal Regolamento del 2010, oltre a rispettare l’evidente, già sottolineato, principio di continuità che connota il passaggio della disciplina delle relative attestazioni SOA dal d.P.R. n. 34/2000 al d.P.R. n. 207/2010, non mette in alcun modo a repentaglio:
- i principi di certezza del diritto e di buona fede ed affidamento reciproco che devono improntare i rapporti tra stazioni appaltanti ed operatori economici circa l’individuazione della normativa applicabile alle gare ricadenti in tale periodo transitorio, così come l’esigenza sottolineata dall’Ordinanza di rimessione di esaustività del “complesso delle regole destinate a presidiare la fase di transizione dal vecchio al nuovo regime normativo”, dal momento che l’univocità del bando nel prevedere classi e categorie dei lavori con riferimento al DPR n. 34/2000 (sulla cui vigenza ed applicabilità alla procedura di gara le concorrenti dovevano intendersi dunque espressamente avvisate sin dalla sua indizione), nonché la conferma nel periodo transitorio della “normale” durata dell’efficacia delle attestazioni relative alle categorie non modificate, non potevano indurre in dubbio i soggetti interessati circa la normale “attrazione” nella disciplina transitoria anche dell’onere di verifica intermedia, che, quale componente essenziale della fattispecie normativa della fissazione al quinquennio della “naturale” durata dell’attestazione (Cons. St., ad. plen., n. 27/2012, cit.), produce notoriamente nell’ordinamento uno specifico effetto di determinazione della validità o meno della stessa dopo il triennio dal rilascio e dunque condiziona la stessa ininterrotta efficacia quinquennale dell’attestazione.
Effetto, questo, che non può certo considerarsi sic et simpliciter eliso sol perché la normale durata quinquennale dell’attestazione viene qui in considerazione in quanto confermata dalla norma transitoria, che, nella misura in cui ha appunto mero carattere di conferma, non può che ricomprendere tutti i caratteri del regime confermato; il che non può sfuggire ad ogni operatore qualificato, accorto e diligente, che deve seguire l’evoluzione normativa delle regole che ne disciplinano l’attività secondo cànoni di professionalità, responsabilità ed in definitiva di riduzione del rischio derivante dal mancato adempimento di oneri posti in realtà a tutela del corretto funzionamento del complesso mercato ristretto di cui si tratta;
- l’esigenza di non gravare le imprese di oneri inutilmente gravosi, atteso che, nel passaggio dalle “vecchie” alle “nuove” disposizioni, la tempistica come sopra disegnata della progressiva entrata a regime delle nuove qualificazioni ai fini SOA per le categorie non modificate dal nuovo regolamento lascia invariata sia la scadenza finale che quella intermedia delle attestazioni rilasciate anteriormente alla data della sua entrata in vigore, con conseguente invarianza sia degli adempimenti che dei costi di certificazione gravanti sulle imprese, che, pur libere di dotarsi da subito di una nuova attestazione nel nuovo regime (come nella fattispecie incontestatamente accaduto a seguito di rilascio di una nuova attestazione con decorrenza di validità dal 22.09.2011), possono utilizzare le qualificazioni SOA rilasciate nella medesima categoria secondo il previgente allegato “A” del DPR n. 34/2000 per tutta la loro naturale durata, cui è riconnesso, come s’è visto, ove ricorrente (come nella fattispecie all’esame, in cui la data di scadenza del periodo triennale dell’attestazione ex DPR n. 34/2000 era quella del 31.07.2011), l’onere di provvedere alla presentazione in termini della domanda di verifica (come precisato dalla ridetta decisione dell’Adunanza Plenaria n. 27/2012, l'attestazione decade non soltanto se l'esito della verifica è negativo, ma anche, ai sensi della normativa, se l'impresa non vi si sottopone, come nella specie incontestatamente non vi si è assoggettata, almeno sessanta giorni prima della scadenza del triennio: comma 1 dell'art. 15-bis del d.P.R. n. 34/2000, vigente al sessantesimo giorno antecedente al 31.07.2011);
- il corretto espletamento da parte delle SOA della procedura di verifica triennale, che avrà riguardo, anche durante il periodo transitorio di cui si tratta, ai requisiti d’ordine generale, di capacità strutturale e di congruità organizzativa dettati dal d.P.R. n. 207/2010, che, una volta come s’è visto intervenuta l’abrogazione del d.P.R. n. 34/2000 con decorrenza dall’08.06.2011, richiede, per dette categorie, capacità organizzative ed esecutive in tutto e per tutto invariate rispetto al sistema anteriore.
Alla luce delle considerazioni di cui sopra e della documentazione in atti, nel caso all’esame risulta in definitiva scoperto, quanto alla categoria OG1, il periodo intercorso dal 31.07.2011 (data di scadenza del periodo di verifica triennale del certificato ARTIGIANSOA, senza che fosse stata presentata tempestiva istanza di verifica) al 22.09.2011 (data di efficacia ex nunc del nuovo certificato rilasciato dalla AXSOA s.p.a.).
7.2 – A diversa conclusione deve pervenirsi quanto alla disciplina transitoria che riguarda le categorie modificate dal d.P.R. n. 207 del 2010, fra le quali la categoria “OG11”, la cui attestazione è contemplata tra i requisiti di partecipazione alla gara di cui qui si tratta.
Non è al riguardo anzitutto condivisibile l’assunto, secondo cui la proroga legale nel periodo transitorio della efficacia delle attestazioni rilasciate sotto il regime del “vecchio” regolamento sia recata dal secondo periodo del comma 12 dell’art. 357 più volte citato.
Tale disposizione (“cessano di avere validità a decorrere dal cinquecentoquarantaseiesimo giorno dalla data di entrata in vigore del presente regolamento le attestazioni relative alla categoria OG 11 di cui all' allegato A del decreto del Presidente della Repubblica n. 34 del 2000, nonché le attestazioni relative alle categorie OS 7, OS 8, OS 12, OS 18, OS 21, di cui all'allegato A del decreto del Presidente della Repubblica n. 34 del 2000, e alla categoria OS 2, individuata ai sensi del decreto del Presidente della Repubblica n. 34 del 2000 e rilasciata ai sensi del regolamento di cui al decreto del Ministro per i beni e le attività culturali 03.08.2000, n. 294, e successive modificazioni, relative a imprese che hanno ottenuto, a seguito della riemissione dei certificati di esecuzione dei lavori ai sensi del comma 14-bis, l'attestazione nelle corrispondenti categorie modificate dal presente regolamento”), relativa sì alle categorie “variate” (tra cui la categoria “OG11”), prevede piuttosto una scadenza anticipata rispetto alla naturale scadenza quinquennale delle attestazioni S.O.A. rilasciate nella vigenza del d.P.R. n. 34 del 2000, quando siffatta scadenza si collochi in un momento posteriore alla nuova “attestazione nelle corrispondenti categorie modificate dal presente regolamento”, che l’impresa potrà poi utilizzare “a decorrere dal trecentosessantaseiesimo giorno dalla data di entrata in vigore del presente regolamento” (comma 17; termine poi prorogato di centottanta giorni); in tal senso, del resto, è da leggersi, e da condividersi, il comunicato AVCP, con relativa esemplificazione, del 22.07.2011.
Trattasi di indubbia situazione di svantaggio (e di stimolo a dotarsi di attestazioni “aggiornate”) per le imprese che versino in tale situazione, che trova comunque la sua giustificazione logica e ragionevole nell’esigenza, tipica di tutte le discipline transitorie, di introdurre uno spartiacque tra la “vecchia” e la “nuova” normativa, ancorandolo ad una data precisa, alla quale fissare la scadenza della validità del possesso dei requisiti ormai superati dal nuovo ordinamento; nel caso della disciplina in esame, al fine di consentire un graduale adeguamento delle attestazioni alla nuova disciplina dei requisiti di qualificazione per l’esecuzione di lavori pubblici.
La proroga legale della scadenza quinquennale delle attestazioni in esame è piuttosto da individuarsi nel disposto del secondo periodo del comma 16 dell’art. 357 in considerazione, che, come s’è visto, dispone: “Per trecentosessantacinque giorni successivi alla data di entrata in vigore del presente regolamento, ai fini della partecipazione alle gare riferite alle lavorazioni di cui alle categorie OG 10, OG 11, OS 7, OS 8, OS 12, OS 18, OS 20, OS 21, di cui all' allegato A del decreto del Presidente della Repubblica 25.01.2000, n. 34, e OS 2 individuata ai sensi del decreto del Presidente della Repubblica 25.01.2000, n. 34, e rilasciata ai sensi del D.M. 03.08.2000, n. 294, come modificato dal D.M. 24.10.2001, n. 420, la dimostrazione del requisito relativo al possesso della categoria richiesta avviene mediante presentazione delle attestazioni di qualificazione rilasciate dalle SOA in vigenza del decreto del Presidente della Repubblica 25.01.2000, n. 34, purché in corso di validità alla data di entrata in vigore del presente regolamento anche per effetto della disposizione di cui al comma 13” (l'art. 1, comma 1, del D.L. 06.06.2012, n. 73, convertito, con modificazioni, dalla L. 23.07.2012, n. 119, ha poi prorogato di centottanta giorni il termine ivi indicato ).
Orbene, siffatta disposizione non può esser letta, ad avviso del Collegio, nel senso che, per le imprese per le quali la scadenza triennale dell’attestazione intervenga tra la data di pubblicazione del nuovo regolamento (v. comma 13) e quella finale anzidetta di “utilizzabilità” delle attestazioni rilasciate sotto il precedente regime, esse siano comunque tenute all’obbligo di verifica triennale.
Se, invero, tale obbligo assolve alla funzione di accertare la permanenza dei requisiti di qualificazione in capo all'impresa certificata, onde garantirne l'effettivo mantenimento fino alla scadenza del quinquennio di validità della certificazione, osserva il Collegio che l'esigenza di un controllo attorno all'effettiva permanenza dei requisiti di qualificazione che avevano consentito l’iniziale rilascio dell’attestazione non solo non è espressamente previsto dalla norma di deroga all’ordinario periodo di validità dell’attestazione (all’interno del quale esso rappresenta come s’è visto condizione indefettibile della persistenza della stessa fino alla naturale scadenza del quinquennio), ma essa deve ritenersi esclusa dalla stessa locuzione “purché in corso di validità alla data di entrata in vigore del nuovo regolamento”; locuzione, questa, il cui unico senso logico ( salvo volerla ritenere meramente pleonastica, il che non risponde agli ordinari criteri di esegesi interpretativa ) è quello di ritenere per disposto di legge la permanenza dei requisiti per tutto il periodo transitorio, visto che l’unica condizione apposta alla proroga dell’efficacia dell’attestazione è quella della sua “validità alla data di entrata in vigore” del regolamento; donde la non applicabilità alle attestazioni relative alle categorie variate dell’onere di verifica triennale.
Del resto, ammesso che l’impresa avanzi in tale periodo transitorio istanza di verifica dell’attestazione “in corso di validità” (il che non è pacificamente avvenuto nel caso di specie), la SOA non potrebbe fare applicazione dei “vecchi” requisiti di qualificazione per effetto dell’ormai intervenuta abrogazione delle relative disposizioni del d.P.R. n. 34/2000 (non fatte salve nel periodo transitorio, sì che non è più possibile in tale periodo alcuna qualificazione sulla base delle “vecchie” categorie di cui all’Allegato “A” al DPR medesimo) e non potrebbe applicare i nuovi e diversi requisiti, di cui al DPR n. 207/2010, che il legislatore, col disegno della fase transitoria di cui si tratta, ha voluto che facessero ingresso nell’ordinamento solo in un momento storico successivo (chiaramente senza soluzione di continuità) a quello di scadenza della fase stessa, com’è reso palese anche dalla già veduta prescrizione, di cui al comma 17 dell’art. 357, relativa all’utilizzabilità delle nuove attestazioni.
Ne consegue che, per le categorie non modificate dal nuovo Regolamento, le attestazioni in corso di validità alla data di entrata in vigore dello stesso possono essere validamente utilizzate fino allo scadere del termine di cui al secondo periodo del comma 16 dell’art. 357 del DPR n. 207/2010, senza onere di verifica triennale in tale arco temporale.
7.3 – Conclusivamente, al primo quesito posto dall’Ordinanza di rimessione deve essere data la seguente soluzione:
a) nel regime transitorio previsto dal comma 12, prima parte, dell'art. 375 del d.P.R. n. 207 del 2010 per le categorie non modificate dal nuovo regolamento, di validità delle attestazioni rilasciate nella vigenza del d.P.R. n. 34 del 2000 “fino alla naturale scadenza prevista per ciascuna di esse”, è applicabile l'onere di verifica triennale imposto prima dall'art. 15-bis del d.P.R. n. 34 del 2000 e poi dall'art. 77 del d.P.R. n. 207 del 2010;
b) nel regime transitorio dettato dall'art. 375, commi 13, 16 e 17, del d.P.R. n. 207 del 2010 e ss. mm. ii. per le categorie “variate” non sussiste, durante il regime di proroga, l'obbligo di verifica triennale, di cui agli artt. 15-bis del d.P.R. n. 34 del 2000 e 77 del d.P.R. n. 207 del 2010.

8. – Si può passare ora all’esame del secondo quesito sollevato dall’Ordinanza stessa, che conserva la rilevanza in essa sottolineata, alla luce del fatto che la riscontrata carenza di continuità dell’attestazione del requisito di qualificazione per la categoria “OG1” in capo all’anzidetta ausiliaria è in grado di comportare o meno l’esclusione dalla gara de qua del R.T.I. risultato aggiudicatario a seconda della soluzione che venga data al quesito medesimo.
Premesso, invero, che la menzionata ditta ausiliaria “ha perso la qualificazione OG1 nel solo periodo intercorrente tra il 31 luglio e il 22.09.2011 (e, quindi, in un segmento temporale nel quale nella gara non è accaduto nulla di rilevant)”, la Sezione remittente dubita che il deficit di tale requisito in un segmento temporale intermedio della procedura (diverso dai momenti nei quali soli assumerebbe “rilievo il possesso dei requisiti di partecipazione e di qualificazione”) possa comportare “la necessaria esclusione dell’impresa, che lo ha provvisoriamente perso, nonostante il suo possesso al momento della domanda di partecipazione alla gara e dell’aggiudicazione”; sì che, conclude, il temporaneo deficit di uno o più requisiti in siffatto arco di tempo “dovrebbe essere giudicato del tutto ininfluente sulla regolarità del procedimento e sulla legittimità dell’aggiudicazione”.
Ritiene l’Adunanza Plenaria di dover ribadire la costante giurisprudenza, anche di questa stessa Adunanza, che ha affermato il principio generale, secondo cui il possesso dei requisiti di ammissione si impone a partire dall'atto di presentazione della domanda di partecipazione e per tutta la durata della procedura di evidenza pubblica (cfr., fra le tante, Cons. Stato, sez. IV, 18.04.2014, n. 1987; Cons. Stato, sez. V, 30.09.2013, n. 4833 e 26.03.2012, n. 1732; Cons. Stato, sez. III, 13.07.2011, n. 4225; Cons. Stato, Ad. pl., 25.02.2014, n. 10; nn. 15 e 20 del 2013; nn. 8 e 27 del 2012; n. 1 del 2010).
Invero, per esigenze di trasparenza e di certezza del diritto, che non collidono col pur rilevante principio del favor partecipationis, la verifica del possesso, da parte del soggetto concorrente (ancor prima che aggiudicatario), dei requisiti di partecipazione alla gara deve ritenersi immanente all’intero procedimento di evidenza pubblica, a prescindere dalla indicazione, da parte del legislatore, di specifiche fasi espressamente dedicate alla verifica stessa, quali quelle di cui all’art. 11, comma 8, ed all’art. 48 del D.Lgs. n. 163/2006.
Proprio perché la verifica può avvenire in tutti i momenti della procedura (a tutela dell’interesse costante dell’Amministrazione ad interloquire con operatori in via permanente affidabili, capaci e qualificati), allora in qualsiasi momento della stessa deve ritenersi richiesto il costante possesso dei detti requisiti di ammissione; tanto, vale la pena di sottolineare, non in virtù di un astratto e vacuo formalismo procedimentale, quanto piuttosto a garanzia della permanenza della serietà e della volontà dell’impresa di presentare un’offerta credibile e dunque della sicurezza per la stazione appaltante dell’instaurazione di un rapporto con un soggetto, che, dalla candidatura in sede di gara fino alla stipula del contratto e poi ancora fino all’adempimento dell’obbligazione contrattuale, sia provvisto di tutti i requisiti di ordine generale e tecnico-economico-professionale necessari per contrattare con la P.A.
Al riguardo va sottolineato che lo stesso legislatore richiede la dimostrazione delle capacità tecniche (art. 42 del D.Lgs. n. 163/2006 ) ed economica e finanziaria (art. 41 del D.Lgs. n. 163/2006) alle imprese “concorrenti” e tale qualità l’impresa mantiene indubbiamente per tutta la durata della procedura, con correlato obbligo di mantenimento (e di prova del possesso) del corrispondente requisito richiestole.
D’altra parte, con specifico riferimento all’ambito dei lavori pubblici, l’art. 92 del D.P.R. n. 207/2010, nel prescrivere che “il concorrente singolo può partecipare alla gara qualora sia in possesso dei requisiti economico-finanziari e tecnico-organizzativi …”, dà anch’esso rilievo ad un attributo dell’impresa (quello di “concorrente”) e ad un’attività della stessa (quella di “partecipazione alla gara”), che hanno un rilievo con tutta evidenza dinamico, in quanto non si esauriscono in uno o più specifici momenti, nei quali “soli”, secondo l’Ordinanza di rimessione, “assume rilievo il possesso dei requisiti di partecipazione e di qualificazione”; mentre l’art. 50 dello stesso D.P.R. disciplina i “requisiti economico-finanziari e tecnico-organizzativi di partecipazione alla gara” sempre dando rilievo alla “partecipazione”, che non si riduce certo a specifici passaggi del procedimento di gara..
E tale specifico onere di continuità in corso di gara del possesso dei requisiti, è appena il caso di rilevarlo, non solo è del tutto ragionevole, siccome posto a presidio dell'esigenza della stazione appaltante di conoscere in ogni tempo dell’affidabilità del suo interlocutore “operatore economico” (e dunque di poter monitorare stabilmente la perdurante idoneità tecnica ed economica del concorrente), ma è altresì non sproporzionato, essendo assolvibile da quest’ultimo in modo del tutto agevole, mediante ricorso all’ordinaria diligenza, che gli operatori professionali devono tenere al fine di poter correttamente insistere e gareggiare nel concorrenziale mercato degli appalti pubblici; il che significa, per quanto qui ne occupa, garantire costantemente la qualificazione loro richiesta e la possibilità concreta della sua dimostrazione e verifica.
Diversamente ritenendo, del resto, la naturale flessibilità temporale dei momenti della procedura che l’Ordinanza di rimessione assume come “esclusivamente” rilevanti si tradurrebbe nella assoluta aleatorietà della collocazione, nell’arco temporale della procedura stessa, dei singoli momenti, nei quali (“soli”) sarebbero richiesti il possesso a pena di esclusione dei requisiti e la sua prova; aleatorietà, questa, che, oltre a contrastare palesemente con i principi indefettibili della trasparenza e della par condicio che presiedono all’evidenza pubblica, finirebbe col collidere con la stessa esigenza, sottolineata dall’Ordinanza di rimessione in collegamento con il diritto dell’Unione, di “un controllo ragionevole, trasparente e proporzionato” in relazione a termini temporali, che la qui assunta (o, meglio, confermata) interpretazione del principio di continuità della sussistenza dei requisiti per tutta la durata della procedura consente, invece, di assicurare con caratteri di sufficiente certezza (quanto meno in relazione alla univocità delle conseguenze della perdita del requisito in qualunque momento della gara essa si collochi) sia per la stazione appaltante che per gli operatori concorrenti.
La qui prospettata inconfigurabilità di una qualsivoglia soluzione di continuità in ordine al possesso dei requisiti di partecipazione nel corso della procedura di gara tiene poi anche conto del fatto, già accennato, che trattasi di requisiti indispensabili per la stessa partecipazione alla gara (la mancanza dei quali l’amministrazione appaltante può in ogni momento accertare: Cons. St., V, 12.07.2010, n. 4477), del cui possesso, nel campo dei lavori pubblici, l’attestazione SOA costituisce lo strumento necessario e sufficiente, nonché esclusivo, di dimostrazione; circostanza, questa, che vale ad escludere la stessa sua pertinenza, come ventilata dall’Ordinanza di rimessione, alla sola “fase dell’esecuzione dell’appalto”, dal momento che il sistema di qualificazione di cui all’art. 40 del D.Lgs. n. 163/2006 ( nel pieno rispetto dei principi, anche comunitari, di par condicio, massima partecipazione alle procedure di evidenza pubblica e di capacità tecnico-professionale ed economica degli operatori: v. artt. 45 e ss. della Dir. 31/03/2004, n. 2004/18/CE) richiede indubbiamente la dimostrazione della qualificazione ad effettuare i lavori (in termini di esperienze professionali pregresse dell’operatore e di connotati attuali della sua struttura organizzativa e della sua capacità economica, elementi tutti “riassunti” dall’attestazione SOA) quale requisito indispensabile per la stessa partecipazione alla gara e dunque fin dal momento dell’ammissione alla stessa e non certo a far tempo dal momento, eventuale e successivo, dell’effettuazione concreta dei lavori a seguito dell’aggiudicazione e del contratto (“la qualificazione in una categoria abilita l’impresa a partecipare alle gare e ad eseguire i lavori della propria classifica …”: art. 61, comma 2, del D.P.R. n. 207 del 2010).
Anche, peraltro, nella fattispecie all’esame, alla stregua del dato sistematico enucleabile dalla disciplina di gara, il requisito di cui si tratta costituisce invero il titolo professionale minimo richiesto expressis verbis ai fini della proficua ammissione e non certo una condizione da soddisfare successivamente all’aggiudicazione per la corretta esecuzione del contratto.
Né a diverse conclusioni è dato giungere, come pretenderebbe nelle sue difese il R.T.I. controinteressato, sol perché si tratta qui del possesso non dei requisiti generali e speciali di partecipazione (nella specie attestati dalla certificazione SOA) da parte del diretto concorrente, ma dei requisiti richiesti in capo al soggetto indicato come “ausiliario” dal concorrente stesso, sulla base delle norme in materia di avvalimento, di cui all’art. 49 del codice dei contratti pubblici.
A tal proposito, devesi sottolineare che, laddove il concorrente non sia in possesso delle qualificazioni necessarie per l’esecuzione in via autonoma delle lavorazioni oggetto dell’appalto, la dichiarazione dello stesso di volersi avvalere “dei requisiti di un altro soggetto o dell’attestazione SOA di altro soggetto” (comma 1 dell’art. 49, cit.) non vale certo ad escludere che la stazione appaltante debba essere posta in condizione di valutare, fin dall’ammissione alla gara e per tutta la durata della procedura sulla base dei principi sopra enunciati, l’idoneità dell’offerente all’aggiudicazione del contratto, anche con riguardo ai requisiti (e dunque al titolare degli stessi) oggetto di avvalimento.
In definitiva, dunque, un RTI (quale l’odierno controinteressato), in caso di mancato autonomo possesso, da parte della mandataria e delle mandanti, dei necessari requisiti di qualificazione, deve necessariamente indicare l’impresa ausiliaria, dei cui requisiti si avvalga ( allegando la documentazione, di cui al comma 2 dell’art. 49 cit.); e deve dimostrare il possesso, da parte di quest’ultima, di tali requisiti e dunque, in caso di attestazione di qualificazione SOA, di una attestazione valida ed efficace per tutta la durata della procedura.
Al contrario, la pretesa possibilità che, in caso di ricorso all’avvalimento, il concorrente possa acquisire (e dimostrare il possesso) dei requisiti a gara conclusa, in sede o quanto meno ai soli fini dell’esecuzione, costituirebbe una precisa violazione delle norme sulla qualificazione, che sono previste a pena di esclusione e della parità di trattamento, in danno dei concorrenti più diligenti.
In base ai canoni dell'imparzialità e della par condicio non si può infatti consentire che vengano ammesse alla gara offerte provenienti da soggetti sprovvisti dei requisiti, che, in ragione della loro peculiare rilevanza sul piano economico e tecnico, la legge prevede debbano essere "a qualificazione obbligatoria"; la qualificazione, insomma, deve essere valutata “in gara” (v. art. 88 del D.P.R. n. 207/2010).
Ne consegue, sul piano dell’accertamento dei requisiti di ordine generale e tecnico-professionali ed economici, una totale equiparazione tra gli operatori economici offerenti in via diretta e gli operatori economici in rapporto di avvalimento e dunque, in definitiva, fra i primi e l’imprenditore, che preferisca seguire la via del possesso mediato ed indiretto dei requisiti di partecipazione ad una gara.
Va pertanto escluso chi si avvale di soggetto ausiliario a sua volta privo del titolo (Cons. St., IV, 19.03.2015, n. 1425).
Né appare rilevante il riferimento al costante indirizzo giurisprudenziale, secondo cui, in caso di ricorso a tale istituto (che ha una portata generale), è onere del concorrente di dimostrare che l'impresa ausiliaria non si impegna semplicemente a prestare il requisito soggettivo richiesto, quale mero valore astratto, ma assume l'obbligazione di mettere a disposizione dell'impresa ausiliata, in relazione all'esecuzione dell'appalto, le proprie risorse e il proprio apparato organizzativo, in tutte le parti che giustificano l'attribuzione del requisito di qualità (Cons. St., sez. III, 25.02.2014, n. 887; 07.04.2014, n. 1636; sez. IV, 16.01.2014, n. 135; sez. V, 20.12.2013, n. 6125; da ultimo, sez. V, 22.01.2015, n. 257) e quindi, a seconda dei casi, mezzi, personale, prassi e tutti gli altri elementi aziendali qualificanti, in relazione all'oggetto dell'appalto (Cons. St., sez. III, 22.01.2014, n. 294).
Ed invero, se non v’è ragione di dubitare dell'ammissibilità dell'avvalimento anche quanto alla certificazione SOA (del resto espressamente prevista dal legislatore), la notazione, più volte fatta dalla giurisprudenza, secondo cui la messa a disposizione del requisito mancante non può risolversi nel prestito di un valore puramente cartolare e astratto (essendo invece necessario che dal contratto risulti chiaramente l'impegno dell'impresa ausiliaria a prestare le proprie risorse e il proprio apparato organizzativo in tutte le parti che giustificano l'attribuzione del requisito di qualità: a seconda dei casi, mezzi, personale, prassi e tutti gli altri elementi aziendali qualificanti), non porta certo alla possibilità di prescindere dalla necessità preliminare della verifica della coerenza dell’offerta con i requisiti di qualificazione e dunque della serietà ed affidabilità dell’impresa concorrente (ed in via mediata dell’impresa ausiliaria) sotto il profilo del possesso degli stessi ai fini ed in sede di partecipazione al procedimento di gara.
Quanto sopra considerato si rivela peraltro perfettamente congruente con la normativa comunitaria sugli appalti pubblici, ch’è volta nel suo complesso a far sì che la massima concorrenza sia anche condizione per la più efficace e sicura esecuzione degli appalti (Cons. St., VI, 13.06.2011, n. 3565), nel rispetto comunque ineludibile delle garanzie di imparzialità, pubblicità e trasparenza dell’azione amministrativa, che costituiscono principi fondanti del diritto comunitario.
Tanto porta a ritenere non necessaria ed irrilevante la presentazione sul punto, richiesta dal R.T.I. controinteressato, di una questione pregiudiziale alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea, non esistendo dubbio alcuno, ad avviso del Collegio, né sul fatto che, se secondo lo stesso diritto comunitario finalità dell’avvalimento è quella di fornire alle imprese la possibilità di ricorrere ai requisiti di altri soggetti solo se ed in quanto da questi autonomamente posseduti, nel caso di specie l’ausiliaria dallo stesso individuata non ha posseduto (o non ha dimostrato comunque di possedere), come sopra s’è ampiamente visto, il richiesto requisito di qualificazione (l’attestazione SOA per la categoria “OG1”, della quale, per espressa disposizione normativa, è coessenziale il momento della verifica) per l’intera procedura; né in ordine alla evidente compatibilità col diritto comunitario del predetto principio di continuità, alla luce in particolare del disposto dell’art. 44 della Dir. 31/03/2004, n. 2004/18/CE, che, nel subordinare l'aggiudicazione degli appalti al “previo accertamento dell'idoneità degli operatori economici non esclusi in forza degli articoli 45 e 46”, non limita detto accertamento ad alcuna specifica fase del procedimento di gara.
In definitiva, quanto al secondo dei quesiti posti dall’Ordinanza di rimessione, resta così confermata la statuizione dell’Adunanza Plenaria 07.04.2011, n. 4, secondo cui, “in materia di accertamento dei requisiti di ordine speciale per il conseguimento degli appalti di lavori pubblici, vige il principio secondo cui le qualificazioni richieste dal bando debbono essere possedute dai concorrenti non solo al momento della scadenza del termine per la presentazione delle offerte, ma anche in ogni successiva fase del procedimento di evidenza pubblica e per tutta la durata dell'appalto, senza soluzione di continuità”.
Trattasi peraltro di affermazione che non si pone di certo in contraddizione con quella, richiamata dall’Ordinanza di rimessione, di cui al par. 59 della stessa sentenza (laddove si premette che “nelle gare di appalto i requisiti generali e speciali devono essere posseduti non solo alla data di scadenza del bando, ma anche al momento della verifica dei requisiti da parte della stazione appaltante e al momento dell'aggiudicazione sia provvisoria che definitiva”), rivelandosi l’individuazione di tali momenti come meramente esemplificativa, come è ben dimostrato dall’assenza in tale proposizione di qualsiasi aggettivo od avverbio, che consenta di identificarli come i “soli”, in cui assuma rilievo il possesso dei requisiti di partecipazione.
Come chiarito dalla stessa Adunanza Plenaria n. 4/2011, il principio che non ammette soluzioni di continuità nel possesso (e nella sua dimostrazione) di detti requisiti risponde “ad evidenti esigenze di certezza e di funzionalità del sistema di qualificazione obbligatoria, imperniato sul rilascio da parte degli organismi di attestazione di certificati che costituiscono condizione necessaria e sufficiente per l'idoneità ad eseguire contratti pubblici”; e “pertanto, l'impresa che partecipa alla procedura selettiva deve dimostrare di possedere, dalla presentazione dell'offerta fino all'eventuale fase di esecuzione dell'appalto, la qualificazione tecnico-economica richiesta dal bando”.
8.1 - Conclusivamente, al secondo quesito posto dall’Ordinanza di rimessione deve essere data la seguente soluzione:
nelle gare di appalto per l’aggiudicazione di contratti pubblici i requisiti generali e speciali devono essere posseduti dai candidati non solo alla data di scadenza del termine per la presentazione della richiesta di partecipazione alla procedura di affidamento, ma anche per tutta la durata della procedura stessa fino all’aggiudicazione definitiva ed alla stipula del contratto, nonché per tutto il periodo dell’esecuzione dello stesso, senza soluzione di continuità.
9. – Alla luce dei principi sopra enunciati (v. punti 7.3 e 8.1) la Sezione remittente, cui il giudizio viene restituito ai sensi dell’art. 99, comma 4, c.p.a., deciderà il ricorso, anche con riguardo alle preliminari questioni della ammissibilità dell’atto di intervento dispiegato in grado di appello, dell’ammissibilità del ricorso incidentale per la prima volta proposto in primo grado in sede di riassunzione del giudizio e del rapporto tra appello principale ed appello incidentale alla stregua della Sentenza Corte di Giustizia del 04.07.2013 nella causa n. 100/2012, così come interpretata dall'Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato con la decisione n. 9 del 25.02.2014.
10. Spese al definitivo.
P.Q.M.
il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Adunanza Plenaria), non definitivamente pronunciando sul ricorso in epigrafe, enuncia i seguenti principi di diritto:
a) nel regime transitorio previsto dal comma 12, prima parte, dell'art. 375 del d.P.R. n. 207 del 2010 per le categorie non modificate dal nuovo regolamento, di validità delle attestazioni rilasciate nella vigenza del d.P.R. n. 34 del 2000 “fino alla naturale scadenza prevista per ciascuna di esse”, è applicabile l'onere di verifica triennale imposto prima dall'art. 15-bis del d.P.R. n. 34 del 2000 e poi dall'art. 77 del d.P.R. n. 207 del 2010;
b) nel regime transitorio dettato dall'art. 375, commi 13, 16 e 17, del d.P.R. n. 207 del 2010 e ss.mm.ii. per le categorie "variate” non sussiste, durante il regime di proroga, l'obbligo di verifica triennale, di cui agli artt. 15-bis del d.P.R. n. 34 del 2000 e 77 del d.P.R. n. 207 del 2010;
c) nelle gare di appalto per l’aggiudicazione di contratti pubblici i requisiti generali e speciali devono essere posseduti dai candidati non solo alla data di scadenza del termine per la presentazione della richiesta di partecipazione alla procedura di affidamento, ma anche per tutta la durata della procedura stessa fino all’aggiudicazione definitiva ed alla stipula del contratto, nonché per tutto il periodo dell’esecuzione dello stesso, senza soluzione di continuità
(Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria, sentenza 20.07.2015 n. 8 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

LAVORI PUBBLICI: PROCESSO VERBALE D’AGGIUDICAZIONE E VINCOLO CONTRATTUALE PRIMA E DOPO L’AVVENTO DEL CODICE DEI CONTRATTI PUBBLICI.
Sino all’entrata in vigore dell’art. 11 del D.Lgs. n. 163/2006, nei contratti stipulati dalla P.A. con il sistema dell’asta pubblica o della licitazione privata, il processo verbale di aggiudicazione definitiva equivaleva a ogni effetto al contratto, con forza immediatamente vincolante per entrambe le parti (art. 16, R.D. n. 2440/1923; artt. 88, 89, 97, R.D. n. 827/1924), salvo che dal verbale stesso non emergesse la volontà della P.A. di rinviare la costituzione del vincolo al momento successivo della stipulazione del contratto la quale, in tal caso, non assume il valore di un mero atto formale e riproduttivo, ma rappresenta la vera ed unica fonte del rapporto per entrambe le parti.
Un’impresa convenne al Tribunale civile una società interportuale marittima dolendosi di avere subito -quale aggiudicataria provvisoria di un ingente appalto di lavori, malgrado la tempestiva trasmissione di ogni documento necessario per la sottoscrizione del contratto- una revoca dell’affidamento per non avere dimostrato la propria capacità economico- finanziaria.
Nella domanda era chiesto l’accertamento della valida formazione del vincolo contrattuale, oltre alla condanna per lucro cessante ai sensi dell’art. 345, L. n. 2248/allF/1865, in allora vigente, ovvero a una maggiore somma a titolo di responsabilità contrattuale.
La convenuta eccepiva, in priorità, il difetto di giurisdizione del G.O. e deduceva nel merito l’infondatezza della pretesa. Il Tribunale riteneva sussistente la giurisdizione e, ravvisando nella specie un’ipotesi di recesso ad nutum del committente, riconosceva all’appaltatore il diritto a ricevere il 10% del prezzo dell’appalto secondo il dettato dell’art. 345, cit.
La sentenza era gravata dalla stazione appaltante, censurando anzitutto la ritenuta giurisdizione del G.O. in ragione del fatto che -avendo in precedente occasione il Consiglio di Stato affermatane la natura di ente pubblico- ne discendeva la presenza di un interesse pubblico nell’azione da essa svolta, pur senza la necessità che fossero posti in essere atti amministrativi.
Ancora, l’appellante poneva censure di merito alla sentenza resa, deducendo che la società aveva partecipato alla gara producendo documentazione attestante una solidità economica che, invece, non sussisteva: per il che l’appellante -che tramite la revoca dell’aggiudicazione aveva legittimamente esercitato, per fini di pubblico interesse, il proprio potere autoritativo- non poteva essere destinataria di condanna.
La Corte territoriale rigettava l’appello.
Contro la sentenza ricorre per cassazione l’interporto, contestando la sussistenza di giurisdizione ordinaria, in favore di quella amministrativa, in ragione del fatto che la controversia, promossa nel 1998 dall’aggiudicatario di un contratto d’appalto di lavori pubblici, mira a ottenere la condanna della Stazione appaltante -ente pubblico- al risarcimento derivato dall’esercizio del potere di revoca legittimamente esercitato, perché la committente dopo l’aggiudicazione provvisoria ma prima della definitiva e della stipula del contratto aveva disposto, in via di autotutela, la revoca della stessa per ragioni di interesse pubblico adeguatamente esplicitati nella motivazione del relativo atto amministrativo assunto.
Non essendo, a dir della ricorrente, giunti alla sottoscrizione del contratto dopo l’aggiudicazione, non era sorto alcun diritto soggettivo in capo all’impresa, versante ancora in mera situazione di interesse legittimo a fronte del provvedimento di revoca.
La Corte non condivide l’assunto, osservando che alla data dell’aggiudicazione (17.02.1997) ancora vigeva il modello poggiante sul combinato disposto degli artt. 16, R.D. n. 2440/1923; 88, 89, 97 del R.D. n. 827/1924, applicabili agli enti locali per il richiamo contenuto all’art. 140 del R.D. n. 383/1934 e all’art. 56 della L. n. 142/1990. Sicché, osserva la Suprema Corte, il vincolo contrattuale si è formato tra le parti per il solo effetto della comunicazione dell’aggiudicazione sicché la decisione della stazione appaltante di sciogliersi dal vincolo deve considerarsi recesso intervenuto nell’ambito di una vicenda contrattuale retta dal regime civilistico, con conseguente sussistenza della giurisdizione del giudice ordinario.
Questo anche in base alla giurisprudenza consolidata su tale disciplina, per la quale nei contratti stipulati dalla P.A. con il sistema dell’asta pubblica o della licitazione privata, il processo verbale di aggiudicazione definitiva equivale per ogni effetto legale al contratto, con forza immediatamente vincolante, sia per l’ente che per l’altro contraente, salvo che dal verbale stesso non risulti la volontà della P.A. di rinviare la costituzione del vincolo al momento successivo della stipulazione del contratto la quale, in tal caso, non assume il valore di un mero atto formale e riproduttivo, ma rappresenta la vera ed unica fonte del rapporto per entrambe le parti (ex plurimis, Cass. nn. 7481/2007; 1103/2004, 9366/2003, 8420/2000, 5807/1998, 11513/1997, 5771/1990, 2938/1984, 5702/1981, 5404/1981, 1695/1979, 5295/1977, 4781/1977; Cons. Stato, Sez. 5, 2331/2001; Cons. Stato, Sez. 4, n. 16/1996).
Il predetto sistema normativo non è stato modificato neppure dalla L. n. 109/1994, che non ha in alcun modo reso obbligatorio il successivo contratto per l’insorgenza del vincolo negoziale (Cass. n. 5217/2011). A tale proposito è stato osservato che il successivo D.Lgs. n. 490/1994 che ha introdotto la necessità di fornire in sede di appalto documentazioni di prevenzione da infiltrazioni mafiose, ha disposto che il relativo accertamento sfavorevole può sopravvenire alla conclusione del contratto e comportarne l’invalidità, senza perciò interferire sui fatti generatori del contratto (Cass. n. 5217/2011).
Neppure il d.P.R. n. 554/1999 (artt. 45 ss. e 110 ss.) ha fatto determinato l’effetto “costitutivo dell’accordo” in capo al provvedimento di aggiudicazione: infatti l’art. 109, comma 3, d.P.R., cit. ha lasciato impregiudicata la facoltà della stazione appaltante di prevedere “la stipula del contratto o la sua approvazione” ed ha significativamente attribuito alla impresa, qualora la stipulazione non avvenga nei termini stabiliti, il diritto di “sciogliersi da ogni impegno o recedere dal contratto”.
Dal che si deduce che il contratto, anche nel regime di questa normativa, può trarre origine direttamente ed immediatamente dal provvedimento di aggiudicazione (Cass. n. 5217/2011).
La modifica di questo modello si è avuta solo con l’art. 11 del D.Lgs. n. 163/2006 (Codice dei contratti pubblici), giusta quale tal separazione è divenuta “regola”: ivi si stabilisce che l’aggiudicazione definitiva non equivale a accettazione dell’offerta che è irrevocabile, per l’impresa, fino al termine, stabilito nel comma 9 (pari a 60 giorni o al diverso termine previsto dalla legge di gara, decorrenti dall’aggiudicazione provvisoria, salva la possibilità di dar esercitare il potere di autotutela nei casi stabiliti dalla legge). Solo alla loro scadenza, l’operatore economico è legittimato a svincolarsi o a recedere dal contratto, senza altro indennizzo che non siano le spese contrattuali documentate.
Il Codice dei contratti pubblici, quindi, disciplina diversamente termini e modalità per la stipula del contratto e le relative vicende che peraltro, a differenza di quelle dell’aggiudicazione, per le quali è stata introdotta una nuova ipotesi di giurisdizione esclusiva, restano attribuite alla giurisdizione ordinaria (Cass. n. 5217/2011) (
Corte di Cassazione, SS.UU. civili, sentenza 13.07.2015 n. 14555 - Urbanistica e appalti n. 10/2015).

giugno 2015

LAVORI PUBBLICI: Costruzioni senza confini. Illegittimo imporre la sede in Italia alle Soa. La Corte Ue ha bocciato la normativa sulle società di attestazione.
È illegittimo dal punto di vista comunitario imporre di avere la sede legale in Italia per svolgere l'attività di attestazione delle imprese di costruzione.
È quanto afferma la Corte di giustizia europea con la sentenza 16.06.2015 (causa C-593/13) rispetto ad una vicenda che ha avuto ad oggetto la disciplina italiana sull'accreditamento delle società organismo di attestazione (Soa) che svolgono da 15 anni la funzione, pubblica, di qualificazione delle imprese di costruzioni rilasciando gli appositi attestati.
Era accaduto che tre società del Gruppo Rina avevano contestato in Consiglio di stato (e quest'ultimo aveva rimesso la questione pregiudiziale agli organi comunitari) la legittimità della normativa italiana in forza della quale la sede legale di una società organismo di attestazione (Soa) deve essere ubicata nel territorio italiano.
Il governo italiano aveva invece confermato la legittimità comunitaria della norma italiana sostenendo che l'attività svolta dalle Soa, traducendosi in esercizio di un potere pubblico, doveva ritenersi estranea all'ambito di applicazione della direttiva e del Trattato.
La Corte di giustizia con la sentenza resa nota ieri, boccia la normativa italiana partendo dal fatto che i servizi di attestazione rientrano nell'ambito di applicazione della «direttiva servizi» e che le Soa sono imprese a scopo di lucro che esercitano le loro attività in condizioni di concorrenza e che non dispongono di alcun potere decisionale connesso all'esercizio di poteri pubblici.
In antitesi con quanto da sempre si afferma nel nostro ordinamento, la Corte sostiene che le attività di attestazione delle Soa non configurano una partecipazione diretta e specifica all'esercizio di poteri pubblici.
Pertanto imporre che la sede legale del prestatore di servizi sia ubicata nel territorio nazionale limita la libertà di quest'ultimo e lo obbliga ad avere il suo stabilimento principale nel territorio nazionale.
In materia di libertà di stabilimento, la direttiva elenca infatti una serie di requisiti vietati tra cui figurano quelli riguardanti l'ubicazione della sede legale), i quali non possono essere giustificati. Infatti, la direttiva non consente agli Stati membri di giustificare il mantenimento di tali requisiti nelle loro normative nazionali.
D'altro canto se si ammettesse, dice la Corte, un comportamento vietato dalla direttiva ciò priverebbe quest'ultima di ogni effetto utile e pregiudicherebbe, in definitiva, l'armonizzazione da essa operata (articolo ItaliaOggi del 17.06.2015).

APPALTI FORNITURE: Fornitura energia elettrica impianti comunali.
L'art. 1, comma 7, D.L. n. 95/2012, stabilisce una disciplina speciale per l'approvvigionamento da parte delle pubbliche amministrazioni di determinate categorie merceologiche, tra cui l'energia elettrica. In particolare, in alternativa all'obbligo di approvvigionamento mediante le Convenzioni Consip o gli accordi quadro messi a disposizione da Consip, il ricorso al libero mercato postula il necessario esperimento di procedure ad evidenza pubblica, nonché la stipula di contratti che prevedano corrispettivi inferiori a quelli indicati nelle convenzioni o accordi quadro messi a disposizione da Consip Spa.
In caso di ricorso al libero mercato, la necessità di assicurare il servizio di fornitura di energia elettrica senza soluzione di continuità tra la scadenza del contratto in essere e la stipula del nuovo accordo può essere soddisfatta attraverso un acquisto in economia, ai sensi dell'art. 125, comma 10, lett. c), D.Lgs. n. 163/2006 (per importi inferiori a 40.000, mediante affidamento diretto ai sensi del comma 11, ultimo periodo, del medesimo art. 125).
Nell'ipotesi in cui la procedura ad evidenza pubblica non andasse a buon fine, l'Ente rientrerebbe nel cosiddetto regime di salvaguardia, applicato ai clienti finali di energia elettrica senza fornitore di energia elettrica o che non abbiano scelto il proprio fornitore nel libero mercato dell'energia (art. 1, comma 4, D.L. n. 73/2007).

Il Comune riferisce di avere aderito alla Convenzione Consip 2014 per la fornitura di energia elettrica agli impianti comunali, e di avere in corso con la società aggiudicataria un rapporto contrattuale in scadenza a luglio 2015.
Posto che non risulta possibile per il Comune aderire alla convenzione Consip 2015, atteso che la società affidataria di questa convenzione ha rifiutato la richiesta, sulla base del fatto che la media del quantitativo necessitato di energia elettrica risulta inferiore alla soglia minima ordinabile secondo le previsioni della convenzione stessa, l'Ente chiede se sia consentito proseguire il rapporto contrattuale con l'attuale fornitore di energia elettrica fino alla fine del 2015, stante la disponibilità dal medesimo manifestata.
Sentito il Servizio centrale unica di committenza di questa Direzione centrale, si esprimono le seguenti considerazioni.
L'art. 1, comma 7, D.L. n. 95/2012
[1], stabilisce una disciplina speciale per l'approvvigionamento da parte delle pubbliche amministrazioni di determinate categorie merceologiche, quali l'energia elettrica (per quanto qui di interesse), il gas, i carburanti, i combustibili per riscaldamento e telefonia.
Il comma 7 richiamato prevede che la fornitura dei predetti beni avvenga utilizzando le convenzioni o gli accordi quadro messi a disposizione da Consip o da centrali di committenza regionali ovvero attraverso proprie autonome procedure, nel rispetto della normativa vigente, utilizzando i sistemi telematici di negoziazione resi disponibili dai soggetti indicati.
In alternativa, sussiste la possibilità di procedere ad affidamenti che conseguano ad approvvigionamenti da altre centrali di committenza o a procedure ad evidenza pubblica i cui corrispettivi siano inferiori (e, quindi, migliorativi) rispetto a quelli delle convenzioni e degli accordi quadro messi a disposizione da Consip e dalle centrali regionali di committenza. In tale caso, i contratti devono essere sottoposti a condizione risolutiva, con possibilità di adeguamento da parte del contraente, per il caso in cui intervengano convenzioni Consip e delle centrali di committenza regionali che prevedano condizioni economiche di maggior favore.
L'art. 1, comma 8, D.L. n. 95/2012, stabilisce che sono nulli, costituiscono illecito disciplinare e sono causa di responsabilità amministrativa i contratti stipulati in violazione di quanto previsto dal comma 7.
Il tenore letterale dell'art. 1, comma 7, D.L. n. 95/2012, pertanto, individua sostanzialmente tre modalità di approvvigionamento, da parte delle pp.aa., delle categorie merceologiche ivi previste (tra cui l'energia elettrica): 1) adesione alle Convenzioni o agli accordi quadro messi a disposizione da Consip s.p.a. e dalle centrali di committenza regionali di riferimento; 2) esperimento da parte dell'amministrazione di 'autonome procedure nel rispetto della normativa vigente, utilizzando i sistemi telematici di negoziazione messi a disposizione dai soggetti sopra indicati'; 3) in alternativa, le pp.aa. possono rivolgersi ad altre centrali di committenza oppure possono svolgere autonome procedure di evidenza pubblica, purché, in tali casi, i corrispettivi ottenuti siano inferiori a quelli indicati nelle convenzioni e accordi quadro messi a disposizione da Consip e dalle centrali di committenza regionali e sia prevista nello schema contrattuale la clausola risolutiva in caso di sopravvenute condizioni più vantaggiose da parte di Consip e delle centrali di committenza regionali.
Nel caso in esame, l'Ente ha stipulato nel 2014 un contratto per la fornitura di energia elettrica con una società aggiudicataria Consip, ora in scadenza, e si trova nella situazione di non poter nell'anno 2015 utilizzare una convenzione Consip, in quanto la società convenzionata ha comunicato che i quantitativi di energia richiesta sono sotto soglia minima.
Avuto riguardo al quadro normativo sopra delineato in tema di procedure di approvvigionamento di energia elettrica, l'Ente dovrà utilizzare a tal fine gli strumenti alternativi alle Convenzioni Consip espressamente previsti dall'art. 1, comma 7, D.L. n. 95/2012 e sopra illustrati.
In particolare, il ricorso al libero mercato postula il necessario esperimento di procedure ad evidenza pubblica per l'individuazione del soggetto contraente, nonché la stipula di contratti che prevedano corrispettivi inferiori a quelli indicati nelle convenzioni e accordi quadro messi a disposizione da Consip S.p.A. e dalle centrali di committenza regionali.
Peraltro, a fronte dei tempi necessari all'esperimento delle procedure ad evidenza pubblica, si pone la necessità di assicurare il servizio di fornitura di energia elettrica senza soluzione di continuità, tra la scadenza del contratto in essere e la stipula del nuovo contratto a seguito di dette procedure ad evidenza pubblica.
Al riguardo, viene in considerazione e si rivela utile la previsione di cui all'art. 125, comma 10, lett. c), D.Lgs. n. 163/2006, che consente il ricorso all'acquisizione in economia per prestazioni periodiche di servizi o forniture, a seguito della scadenza dei relativi contratti, nelle more dello svolgimento delle ordinarie procedure di scelta del contraente, nella misura strettamente necessaria e nei limiti d'importo sotto la soglia di rilievo comunitario previsti dalla norma.
Va evidenziato che l'art. 125, comma 10, lett. c), citato è applicabile unicamente se la gara è iniziata prima della scadenza del contratto da affidare e riguarda il tempo strettamente necessario ad espletare le operazioni di gara. La norma non si riferisce ai casi in cui la procedura di selezione ha inizio successivamente rispetto alla scadenza del contratto e, soprattutto, non legittima ad effettuare affidamenti di durata superiore a quanto strettamente necessario a concludere detta procedura di gara
[2].
Con riferimento agli acquisti in economia, deve altresì richiamarsi l'art. 331 del d.p.r. 207/2010, a tenore del quale le procedure in economia devono essere sempre espletate nel rispetto del principio della massima trasparenza, contemperando altresì l'efficienza dell'azione amministrativa con i principi di parità di trattamento, non discriminazione e concorrenza tra gli operatori economici.
Peraltro, qualora l'importo della fornitura sia inferiore a 40.000, l'Ente potrebbe procedere all'affidamento diretto alla società attuale fornitrice di energia elettrica, ai sensi dell'art. 125, comma 10, lettera c) e 11, ultimo periodo, del D.Lgs. n. 163/2006, per poter continuare ad approvvigionarsi dalla stessa, oltre la scadenza del rapporto contrattuale in essere, nella misura strettamente necessaria, fino alla conclusione della procedura ad evidenza pubblica, che deve essere attivata prima della scadenza del contratto in corso.
Questa soluzione appare possibile stante la disponibilità manifestata da detta società a continuare a garantire le prestazioni
contrattuali anche dopo la scadenza del contratto e consente invero di mantenere, nel frattempo, nelle more dello svolgimento della procedura ordinaria di individuazione del contraente, l'invarianza del prezzo quale indicato dalla Convenzione Consip 2014.
Per l'ipotesi in cui la procedura ad evidenza pubblica sul mercato libero non dovesse andare a buon fine nel reperire il fornitore di energia elettrica
[3], l'Ente rientrerebbe nel cosiddetto 'regime di salvaguardia', applicato ai clienti finali di energia elettrica senza fornitore di energia elettrica o che non abbiano scelto il proprio fornitore nel libero mercato dell'energia (art. 1, comma 4, D.L. n. 73/2007) [4]. Per cui, il fornitore di energia verrebbe ad essere la società aggiudicataria della fornitura del servizio di salvaguardia per l'area di riferimento, a seguito di asta pubblica (art. 1, comma 4, D.L. n. 73/2007) [5].
In proposito, si rileva che il prezzo applicato sul prelievo di energia elettrica in regime di salvaguardia può essere più oneroso di quello ottenuto da Consip S.p.a.
[6], a seconda dell'area territoriale di riferimento. Per cui, se il ricorso al regime di salvaguardia può costituire una soluzione temporanea per assicurare la continuità del servizio di energia elettrica, nel caso in cui si riveli infruttuosa la procedura ad evidenza pubblica sul libero mercato e qualora non sia possibile aderire alle Convenzioni Consip [7], va da sé che comunque il regime di salvaguardia dovrebbe durare il tempo strettamente necessario e lasciare il posto ad un contratto stipulato alle condizioni Consip, non appena possibile [8].
Comunque, in ragione della gravità delle sanzioni previste dal DL 95/2012, si suggerisce al Comune di segnalare formalmente a Consip s.p.a. tale problematica affinché possa valutare di tenerla in considerazione nella progettazione delle nuove procedure di affidamento delle convenzioni per la fornitura di energia elettrica.
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[1] D.L. 06.07.2012, n. 95, recante: 'Disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica con invarianza dei servizi ai cittadini nonché misure di rafforzamento patrimoniale delle imprese nel settore bancario'.
[2] Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, Servizio contratti pubblici, Servizio supporto tecnico giuridico, Supporto tecnico giuridico: risposte ai quesiti più frequenti in materia di contratti pubblici, Volume 1°.
Il contenuto del comma 10 in argomento viene esplicitato, sia sul piano giurisprudenziale che su quello della prassi, nel senso che nelle ipotesi ivi previste, tipiche e tassative, il ricorso all'acquisizione in economia è consentito indipendentemente dalla circostanza che i beni e servizi da affidare siano ricompresi nella tipologia di beni e servizi previamente individuati con proprio provvedimento dall'amministrazione che intende procedere all'affidamento, comunque sempre nel rispetto del limite massimo di spesa (in giurisprudenza, cfr. TAR Marche, sez. I, 10.01.2013, n. 28, e 03.09.2013, n. 637. Il Giudice amministrativo marchigiano precisa che l'affidamento in economia, sulla base del parametro normativo di cui all'art. 125, può essere disposto, entro i limiti di importo di legge, per i servizi individuati dalle stazioni appaltanti con regolamenti o atti amministrativi generali, ovvero nelle fattispecie tipiche contemplate dal secondo periodo dell'art. 125, decimo comma del Codice dei contratti pubblici. Sul piano della prassi, v. Presidenza del Consiglio dei Ministri, Segretariato Generale, Dipartimento per le Politiche di Gestione e di Sviluppo delle Risorse Umane, Guida pratica per i contratti pubblici ci servizi e forniture, vol. 1°, Il mercato degli appalti, p. 79).
[3] La base d'asta per corrispettivi inferiori da quelli indicati nella Convenzione Consip, in ottemperanza all'art. 1, comma 7, D.L. n. 95/2012, potrebbe infatti non trovare risposte sul libero mercato.
[4] D.L. 18.06.2007, n. 73, recante: 'Misure urgenti per l'attuazione di disposizioni comunitarie in materia di liberalizzazione dei mercati dell'energia', convertito, con modificazioni, dalla L. n. 125/2007. In particolare, le pubbliche amministrazioni sono clienti finali, e dunque idonei, di energia elettrica (nel senso di poter usufruire del mercato libero dell'energia elettrica), ai sensi dell'art. 14, comma 5-bis, D.Lgs. 16.03.1999, n. 79, recante: 'Attuazione della direttiva 96/92/CE recante norme comuni per il mercato interno dell'energia elettrica'.
[5] Nel settore dell'energia, per facilitare un passaggio graduale dal regime 'vincolato' al mercato libero, il legislatore italiano con il D.L. n. 73/2007, ha dettato un particolare regime di tutela per i clienti che non abbiano scelto un fornitore sul mercato libero, articolato attraverso due servizi: il 'servizio di maggior tutela', destinato ai clienti domestici e alle imprese connesse in bassa tensione, aventi meno di 50 dipendenti e un fatturato annuo non superiore a 10 milioni di euro; il 'servizio di salvaguardia' destinato ai clienti finali non domestici, che abbiano autocertificato di non essere piccole imprese, che siano senza fornitore di energia elettrica o che non abbiano scelto il proprio fornitore nel libero mercato dell'energia. Il medesimo decreto ha previsto che l'erogazione del servizio di salvaguardia sia affidata a imprese scelte in base ad una procedura di gara. La relativa disciplina è stata individuata con decreto nel Ministero dello Sviluppo Economico del 23.11.2007 e con delibera 21.12.2007 n. 337 dell'Autorità per l'energia elettrica il gas e il sistema idrico (AEEG).
[6] Il costo del Servizio di salvaguardia varia sensibilmente tra le diverse regioni italiane, come emerge dagli esiti della procedura concorsuale, di cui all'art. 1, comma 4, D.L. n. 73/2007, pubblicati da Acquirente Unico per gli anni 2014, 2015 e 2016. (V. al seguente indirizzo web).
In proposito, si evidenzia che non è consentito all'ente pubblico stipulare col soggetto fornitore di energia elettrica in regime di salvaguardia contratti in regime di libero mercato, a condizioni più vantaggiose, senza esperire la necessaria procedura ad evidenza pubblica. Infatti, non vi è alcuna deroga alla normativa del Codice dei contratti pubblici (D.Lgs. n. 163/2006) per gli enti pubblici che intendano concludere contratti di fornitura nel mercato libero dell'energia elettrica con imprese che esercitano il ruolo di fornitore del servizio di salvaguardia. (Cfr. Autorità garante della concorrenza e del mercato, provvedimento n. 21205 del 09.06.2010).
[7] Perché, come nel caso di specie, la società aggiudicataria della Convenzione Consip rifiuta ordinativi di fornitura in quanto inferiori ad una determinata soglia minima.
[8] Va segnalato, infatti, che l'art. 1, commi 7 e 8, D.L. n. 95/2012, sanziona i costi sostenuti per l'energia elettrica in misura superiore ai parametri Consip
(12.06.2015 -
link a www.regione.fvg.it).

APPALTI - ATTI AMMINISTRATIVI: Le comunicazioni con le imprese.
DOMANDA:
Premesso che la PA è tenuta ad intraprendere rapporti con le imprese mediante l'utilizzo della PEC, con il presente quesito si desiderano richiedere delucidazioni in merito alle seguenti problematiche:
1- L'invio di documentazioni ed istanze in formato cartaceo direttamente mediante servizio postale o allo sportello del protocollo è ancora possibile, se si fino a quale data?
2- Qualora l'invio cartaceo fosse possibile e la ditta ometta di indicare la sua PEC, l'ente può mediante regolamento o disposizioni dirigenziali dichiarare irricevibile l'istanza con archiviazione diretta della stessa?
3- Qualora una mail pec inviata all'indirizzo indicato dalla ditta o reperibile sul sito www.inipec.gov.it non venga consegnata con indicazione "avviso di mancata consegna", condizione non addebitabile a problemi informatici ma a causa del mancato pagamento del rinnovo dell'indirizzo mail, quale validità può essere attribuita alla pec inviata dall'Ente? Ci sono differenze tra quest'ultimo caso e l'eventuale mancata consegna per casella piena? E quali rimedi sono esperibili qualora non sia reperibile un valido indirizzo pec?
RISPOSTA:
A norma dell’art. 5-bis, comma 1, del Codice dell’Amministrazione Digitale “la presentazione di istanze, dichiarazioni, dati e lo scambio di informazioni e documenti, anche a fini statistici, tra le imprese e le amministrazioni pubbliche avviene esclusivamente utilizzando le tecnologie dell'informazione e della comunicazione. Con le medesime modalità le amministrazioni pubbliche adottano e comunicano atti e provvedimenti amministrativi nei confronti delle imprese”.
Tale disposizione è pienamente vigente e, pertanto, non è più possibile utilizzare la modalità cartacea per le comunicazioni tra l’Ente e le imprese. La presenza –su INI-PEC– di indirizzi di posta elettronica certificata non attivi, errati o comunque inutilizzati dall’impresa titolare che, lasciando la propria casella in condizione di non poter ricevere i messaggi PEC, di fatto impedisce il buon fine della comunicazione, rappresenta un limite dello strumento.
La mancata consegna della PEC per mancato rinnovo dell’indirizzo corrisponde alla raccomandata tornata al mittente per irreperibilità. Diversamente, l’impossibilità di consegnare il messaggio dovuta al raggiungimento della capienza massima della casella di posta della società, seppur dovuta alla mancanza di diligenza di quest’ultima nel liberare lo spazio sufficiente sulla casella per consentire la ricezione dei messaggi, non permette l’effettivo perfezionamento della ricezione del messaggio in quanto il mittente non riceve la conferma del recapito dello stesso.
In tali casi, al fine di avere la certezza circa l’effettivo recapito delle comunicazioni, si consiglia di provvedere con le tradizionali modalità analogiche (link a www.ancirisponde.ancitel.it).

LAVORI PUBBLICI: L'armonizzazione contabile e il leasing finanziario.
DOMANDA:
Nel 2012 il Comune ha stipulato locazione finanziaria a seguito di procedura ad evidenza pubblica per la realizzazione di un nuovo polo scolastico, impegnandosi con l'intermediario finanziario al pagamento di un canone periodico a fronte del godimento del bene del quale acquisirà la proprietà al termine del periodo contrattuale. Alla consegna dell'opera la società di leasing comincerà ad incassare i canoni.
L'opera che doveva concludersi entro il 2014, per diverse problematiche non si concluderà prima di agosto 2015. L'operazione era stata impostata in base al c.d. metodo patrimoniale che, dando priorità agli aspetti giuridico-formali attinenti alla titolarità del bene in capo al soggetto finanziatore, determinava l'iscrizione delle spese per i canoni comprensive di quota capitale e quota interessi tra le spese correnti e l'iscrizione del bene nel conto del patrimonio dell'ente al momento dell'esercizio dell'opzione di riscatto.
In questo caso l'operazione non produceva effetti sui limiti di indebitamento ed incideva ai fini del patto di stabilità sul saldo di parte corrente per la quota impegnata annualmente per i canoni. Nel nuovo sistema di contabilità armonizzata, invece, il principio di competenza finanziaria potenziata impone la prevalenza della sostanza sulla forma e la considerazione del leasing finanziario come operazione di indebitamento per cui il debito va rilavato in bilancio per l'intero importo del finanziamento da iscrivere tra le accensioni di prestito con inevitabili conseguenze sul patto di stabilità.
Secondo il principio contabile 3.25 dell'allegato 4/2 al D.Lgs. 118/2011 il leasing finanziario ....è registrato secondo il metodo finanziario al fine di rilevare sostanzialmente che l'Ente si sta indebitando per acquisire un bene. Al momento della consegna del bene oggetto del contratto, si rileva il debito pari all'importo oggetto di finanziamento, da iscrivere tra le accensioni di prestiti, e si registra l'acquisizione del bene tra le spese di investimento.
Da ciò si evince l'incidenza oltre che sul limite di indebitamento, anche sul patto di stabilità per l'intero importo del debito. E' corretta questa interpretazione?
L'ultima parte del principio contabile 3.25 di cui sopra, recita ......I principi di cui al presente paragrafo si applicano a decorrere dal 01.01.2015, alle nuove operazioni di leasing.
In merito a quest'ultimo punto, poiché il Comune ha stipulato il contratto di leasing e il contratto di appalto nel 2012, può escludersi che venga considerata come nuova operazione di leasing, con la possibilità che, pur imputando in bilancio il valore dell'immobile acquisito in leasing finanziario per l'intero valore del bene, incida ai fini del patto di stabilità solo per la quota di canone annuo, ferma restando l'incidenza sulla capacità di indebitamento?
RISPOSTA:
Il quesito ha correttamente impostato la problematica del leasing finanziario secondo i nuovi principi rivenienti dall’ armonizzazione contabile. In sostanza e sinteticamente il leasing finanziario è registrato con le stesse scritture utilizzate per gli investimenti finanziati da indebitamento, con l’importo del finanziamento pari al valore attuale dei pagamenti dovuti per il leasing.
Pertanto i canoni periodici sono registrati distinguendo la parte interessi, da imputare tra le spese correnti, dalla parte capitale da imputare ai rimborsi prestiti.
Poiché nella parte conclusiva del Principio 3.25 viene stabilito che l’applicazione dello stesso, come sopra riportato, è riferita alle operazioni di leasing stipulate dopo l’01/01/2015 appare corretta l’interpretazione fornita nell’ultima parte del quesito (link a www.ancirisponde.ancitel.it).

APPALTI: Sui requisiti soggetti dei membri della commissione di gara.
L'art. 84 del d.lgs. 163/2006, laddove ha previsto che i commissari siano selezionati tra gli esperti "nello specifico settore cui si riferisce l'oggetto del contratto", deve essere inteso nel senso che è “la commissione nel suo complesso a dover garantire il possesso delle conoscenze tecniche globalmente occorrenti nella singola fattispecie”.
Correlativamente, è stato reputato che la costituzione di una commissione di cinque membri a presenza maggioritaria di tecnici esperti sia invece coerente con le regole di carattere generale in tema di commissioni giudicatrici di procedure concorsuali che sono state messe a fuoco dalla giurisprudenza a salvaguardia delle superiori esigenze di buon andamento, imparzialità e trasparenza.
E si è pertanto respinta la tesi secondo cui, anche in caso di maggioranza della commissione pacificamente composta da tecnici, vi sarebbe illegittimità della costituzione per il mero fatto il relativo collegio non è composto in via "esclusiva" da esperti "nello specifico settore cui si riferisce l’oggetto del contratto”, sul presupposto che così andrebbe interpretato l’art. 84 del Codice dei contratti pubblici: una interpretazione tanto radicale del precetto non risponde, peraltro, all’elaborazione giurisprudenziale cui la norma si riallaccia né al più ampio principio di cui la stessa è espressione, che portano a ritenere indispensabile, sì, ma di regola anche sufficiente, che i tecnici dello specifico settore rappresentino la maggioranza (e non addirittura la totalità) dei componenti della commissione.

Superate le eccezioni di carattere preliminare, si può entrare nel merito del ricorso, partendo dai motivi di impugnazione concernenti la composizione della commissione giudicatrice in quanto articolati in via principale dalla ricorrente.
Sul punto la P.C. spa ha formulato le seguenti doglianze: violazione dell’art. 84 comma 2 del d.lgs. n. 163 del 2006 per non essere stata la commissione composta da “esperti nello specifico settore cui si riferisce l’oggetto dell’appalto”; violazione dell’art. 84, comma 8, del d.lgs. n. 163 del 2006 per essere stati nominati quali commissari (fatta eccezione per il Presidente) soggetti diversi dai funzionari della stazione appaltante, senza previo accertamento della carenza in organico presso la stessa di adeguate professionalità in grado di espletare l’incarico, così da evitare il ricorso ad esperti esterni; violazione dell’art. 84, comma 4, del d.lgs. n. 163 del 2006 (i commissari diversi dal presidente non devono aver svolto o svolgere alcuna funzione o incarico relativamente al contratto del cui affidamento si tratta) per essere stato nominato tra i commissari l’Ing. L.Dell’A., funzionario tecnico del Provveditorato Interregionale alle OO.PP. per la Puglia e Basilicata, ente quest’ultimo che ha provveduto, in relazione all’opera per cui è causa, alla verifica della progettazione definitiva ed esecutiva, emettendo il Rapporto di Verifica Finale n. 1 del 06.05.2014.
Tutte le censure appena esposte ad avviso del collegio vanno disattese.
Invero, quanto all’ultimo aspetto evidenziato, l’Autorità Portuale di Taranto costituendosi in giudizio ha dimostrato (mediante produzione in giudizio del Rapporto di Verifica citato) che l’Ing. Dell’A., benché Funzionario Tecnico del provveditorato, non si è occupato della verifica della progettazione definitiva ed esecutiva dell’opera per cui è causa, essendo del tutto estraneo al gruppo di verifica (c.d. “Unità di Verifica Progetti”, costituita dagli Ing. N., M. e R.) che ha compiuto tale attività redigendo il conseguente Rapporto di Verifica, sicché nessuna incompatibilità ex art. 84, comma 4, del d.lgs. 163 del 2006 può ritenersi sussistente nel caso in esame.
Quanto, invece, alla nomina nell’ambito della commissione giudicatrice di soggetti esterni all’Autorità Portuale, l’infondatezza della censura trova conferma nell’art. 120, comma 4, del DPR 207 del 2010 che riconosce la generale possibilità di scegliere commissari esterni alla stazione appaltante nel caso di lavori di importo superiore a 25 milioni di euro nei quali le componenti architettonica e/o strutturale e/o impiantistica siano non usuali e di particolare rilevanza, ipotesi configurabile nel caso in esame, come correttamente evidenziato nell’atto di nomina della commissione di cui si discute.
Quanto, infine, alle contestazioni inerenti la scelta dei commissari e più specificamente alle loro qualifiche e conoscenze, la ricorrente ha nell’atto introduttivo formulato doglianze puntuali in relazione alla Dott.ssa B.A. e all’Arch. M.R.A., mettendo in discussione le loro competenze.
In particolare la Piacentini Costruzioni spa ha sostenuto che la dott.ssa A. non sarebbe munita della necessaria professionalità in quanto laureata in giurisprudenza e priva di conoscenze ed esperienze tecniche in ordine al settore oggetto dell’appalto; la Dott.ssa An., invece, benché architetto, ad avviso della ricorrente non potrebbe qualificarsi come esperto ai fini della valutazione delle offerte della procedura per cui è causa, in quanto reca nel proprio curriculum incarichi pregressi estranei alle specifiche tecniche ingegneristiche rilevanti nell’appalto in esame.
Tale censura non può, tuttavia, essere condivisa alla luce dei consolidati e condivisibili principi affermati dalla giurisprudenza del Consiglio di Stato in materia di composizione delle commissioni giudicatrici: l'art. 84 del d.lgs. 163/2006, laddove ha previsto che i commissari siano selezionati tra gli esperti "nello specifico settore cui si riferisce l'oggetto del contratto", deve essere inteso nel senso che è “la commissione nel suo complesso a dover garantire il possesso delle conoscenze tecniche globalmente occorrenti nella singola fattispecie” (C.d.S., sentenza sez. V del 28.05.2012, n. 3124; sentenza sez. V del 16.01.2015, n. 92; sentenza sez. VI, del 10.06.2013, n. 3203). “I casi noti in cui questo Consiglio ha riscontrato la presenza del vizio che viene qui dedotto erano caratterizzati dalla prevalenza, nelle singole commissioni, di elementi sprovvisti di competenze tecniche specifiche (C.d.S., sentenza sez. VI, 25.07.1994, n. 1261), ad esempio per il fatto che quattro componenti del collegio su cinque erano privi di diploma di laurea (C.d.S., sentenza sez. V, 17.03.2009, n. 6297), oppure in quanto il personale amministrativo predominava su quello tecnico (C.d.S., sentenza sez. V, n. 5100 del 2008), o comunque quest’ultimo costituiva una netta minoranza (C.d.S., sentenza sez. V, 09.06.2003, n. 3242)” (Consiglio di Stato, sentenza n. 1824 del 09.04.2015).
Correlativamente, è stato reputato che la costituzione di una commissione di cinque membri a presenza maggioritaria di tecnici esperti sia invece coerente con le regole di carattere generale in tema di commissioni giudicatrici di procedure concorsuali che sono state messe a fuoco dalla giurisprudenza a salvaguardia delle superiori esigenze di buon andamento, imparzialità e trasparenza (C.d.S., sentenza sez. V, 26.04.2005, n. 1902).
E si è pertanto respinta la tesi secondo cui, anche in caso di maggioranza della commissione pacificamente composta da tecnici, vi sarebbe illegittimità della costituzione per il mero fatto il relativo collegio non è composto in via "esclusiva" da esperti "nello specifico settore cui si riferisce l’oggetto del contratto”, sul presupposto che così andrebbe interpretato l’art. 84 del Codice dei contratti pubblici: una interpretazione tanto radicale del precetto non risponde, peraltro, all’elaborazione giurisprudenziale cui la norma si riallaccia né al più ampio principio di cui la stessa è espressione, che portano a ritenere indispensabile, sì, ma di regola anche sufficiente, che i tecnici dello specifico settore rappresentino la maggioranza (e non addirittura la totalità) dei componenti della commissione (C.d.S., Sez. V, 20.12.2011, n. 6701).
Nel caso in esame, quindi, essendo pacifico che dei cinque componenti la commissione giudicatrice quattro erano tecnici (un architetto e tre ingegneri) e uno solo (la Dott.ssa A.) risultava laureato in giurisprudenza deve ritenersi che i principi suesposti concernenti la legittima composizione del collegio siano stati rispettati.
Peraltro, la Dott.ssa A., benché membro "non tecnico" in quanto, appunto, dotato di laurea in giurisprudenza, risulta attualmente “dirigente della Divisione n. 5 presso il Ministero delle Infrastrutture, con l’incarico di coordinamento dell’assetto del territorio. Programmi e progetti europei di sviluppo spaziale ed urbano” e reca tra le esperienze maturate in passato quella di redazione di “convenzioni PON”, “gestione di programmi di iniziativa territoriale, transnazionale, trasfrontaliera, interregionale”, “redazione di un programma innovativo porti e stazioni”, sicché non se ne può certamente affermare la totale estraneità rispetto alle competenze necessarie ai fini della procedura per cui è causa, implicando la stessa, in primo luogo, l’utilizzazione di cognizioni giuridiche ai fini del corretto svolgimento delle operazioni valutative e, in secondo luogo aspetti di carattere gestionale ed organizzativo (si pensi all’organizzazione del cantiere, voce che costituisce oggetto di specifica valutazione nell’ipotesi in discussione) nel cui ambito la Dott.ssa A. ha sicuramente potuto offrire un utile apporto, a maggior ragione tenuto conto del fatto che il lavoro oggetto dell’appalto rientra proprio tra le azioni PON “Reti e mobilità 2007/2013” ed è stato finanziato anche da fondi europei, con conseguente necessità da parte dei commissari di conoscere i profili e le normative connesse a tali gare.
Quanto, invece, alla Dott.ssa An., innanzitutto non se ne può affermare il profilo “non tecnico” essendo la stessa laureata in architettura; né si può ritenere, come sostiene invece la ricorrente, che tale commissario non sia “esperto” nel settore oggetto della gara d’appalto per il fatto che tra le esperienze dallo stesso maturate non rientrerebbero mansioni specificamente attinenti alle tecniche ingegneristiche coinvolte nell’appalto per cui è causa.
Invero, dal curriculum della professionista in esame emerge che la Dott.ssa An., laureata in architettura, si è specializzata dopo la laurea in “progettazione architettonica assistita dal computer” e in “architettura antisismica e protezione civile” e reca tra le proprie attività di ricerca quella dello studio dei “siti archeologici ed infrastrutture”; inoltre ha curato il coordinamento delle monografie riguardanti proprio i “quaderni del PON Reti e mobilità 2007/2013”, nel cui ambito si colloca l’iniziativa oggetto dell’appalto.
Essa si è altresì occupata, presso il Ministero dei Trasporti, di progettazione preliminare, direzione lavori, collaudo ed ha svolto mansioni di responsabile del procedimento e membro di altre commissioni, sicché non sussistono dubbi in ordine al fatto che la stessa possa ritenersi dotata delle competenze necessarie per valutare le offerte per cui è causa.
Né possono condividersi le argomentazioni di parte ricorrente secondo cui la necessità di particolare conoscenze in capo ai commissari deriverebbe nel caso in esame dalla complessità dell’appalto, atteso che pur riguardando la gara in esame un intervento di sicura complessità (interventi di dragaggio di sedimenti in area Molo Polisettoriale per la realizzazione di un primo lotto della cassa di colmata funzionale all’ampliamento del V sporgente del Porto di Taranto), va tuttavia evidenziato che alle società concorrenti non è stato chiesto di effettuare l’intera progettazione dell’opera ma solo di determinare, in relazione al progetto definitivo dettagliato già posto a base di gara, “le modalità tecnico realizzative del tratto a mare della struttura di confinamento della cassa di colmata” e “gli interventi migliorativi volti a limitare i lavori necessari al completamento della cassa di colmata ai fini del suo utilizzo finali”, aspetti sui quali una commissione formata prevalentemente da ingegneri e da un architetto è sicuramente in grado di esprimere il proprio giudizio in modo adeguato e corretto.
Pertanto, ad avviso del collegio, la censura di illegittima composizione della commissione per mancato inserimento nella stessa di esperti "nello specifico settore cui si riferisce l'oggetto del contratto" deve essere disattesa, tenuto conto della prevalenza nel collegio di ingegneri (tre su cinque), del fatto che dei due componenti contestati dalla ricorrente solo uno (la Dott.ssa A.) gode di una laurea “non tecnica” (in giurisprudenza) mentre l’altra (la Dott.ssa An.) è, invece, un architetto e, in ogni caso, delle considerazioni suesposte circa la capacità tecnica e la competenza giuridico-amministrativa in tema di gare anche di questi ultimi due commissari, i cui profili hanno quindi sicuramente completato il patrimonio di cognizioni della commissione nel suo insieme, rendendola pienamente idonea alla complessa attività valutativa da compiere (TAR Puglia-Lecce, Sez. I, sentenza 04.06.2015 n. 1854 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTISpetta al RUP stilare la relazione di valutazione dell’anomalia dell’offerta da trasmettere alla commissione di gara, la quale provvederà all’aggiudicazione provvisoria dei lavori.
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In base all’Adunanza Plenaria n. 36 del 29.11.2012, anche nel regime anteriore all'entrata in vigore dell'art. 121 d.P.R. 05.10.2010 n. 207, è attribuita al responsabile del procedimento facoltà di scegliere, a seconda delle specifiche esigenze di approfondimento richieste dalla verifica, se procedere personalmente ovvero affidare le relative valutazioni alla commissione aggiudicatrice.
Con la conseguenza che è legittima la verifica di anomalia dell'offerta eseguita, anziché dalla commissione aggiudicatrice, direttamente dal responsabile unico del procedimento avvalendosi degli uffici e organismi tecnici della stazione appaltante.
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La scelta di far espletare la verifica dell’anomalia alla commissione di gara o ad apposita commissione ex articolo 88, comma 1-bis, del d.lgs. n. 163 del 2006 è rimessa alla piena discrezionalità del RUP al quale è affidata ai sensi dell’articolo 10 del d.lgs. n. 163 del 2006 “la gestione integrale della procedura di gara, svolgendo il ruolo di fornire alla stazione appaltante ogni elemento informativo idoneo a una corretta e consapevole formazione della volontà contrattuale dell’amministrazione committente”.

8.- E’ infondata e va respinta la censura di incompetenza del RUP ad effettuare la verifica dell’anomalia.
Come rilevato nella sentenza impugnata, il ruolo del RUP nella verifica dell’anomalia dell’offerta deriva dalla delibera del consiglio di amministrazione del CREAF del 04.11.2010 -tardivamente impugnata con i motivi aggiunti– che stabilisce testualmente <il RUP si attiva per richiedere all’impresa le giustificazioni dei prezzi offerti…il RUP verificherà la congruità dell’offerta alla luce della documentazione pervenuta..>, espressioni queste che lasciano poco spazio a dubbi sul ruolo assegnato al RUP nella suddetta procedura.
Sempre al RUP spetta, poi, stilare la relazione di valutazione dell’anomalia dell’offerta da trasmettere alla commissione di gara, la quale provvederà all’aggiudicazione provvisoria dei lavori.
Le operazioni di gara si sono svolte in aderenza a tali prescrizioni e della complessa attività istruttoria si dà conto nel verbale della commissione n. 94 del 21.03.2011.
Ne consegue l’infondatezza della censura.
8.1- Ugualmente infondata la censura di violazione dell’articolo 121 del d.p.r. n. 207 del 2010, atteso che, come correttamente evidenziato nella sentenza impugnata, tale regolamento non era applicabile ratione temporis.
Infatti, il d.p.r. n. 207 del 2010 è entrato in vigore il 10.12.2011, dopo 180 giorni dalla pubblicazione sulla G.U. avvenuta il 09.06.2011, sicché in base al combinato disposto dei commi 2 e 3 dell’articolo 253 del d.lgs. n. 163 del 2006, la fattispecie ricadeva nella disciplina del d.p.r. n. 554 del 1999 (il Regolamento in materia di lavori pubblici) il cui articolo 89, comma 4, con riferimento a lavori di importo inferiore al controvalore in euro di 5.000.000 di DSP, nei quali rientra l’appalto in questione del valore di euro 2.548.000.000, attribuiva la verifica della congruità delle offerte che presentassero carattere anormalmente basso, al responsabile del procedimento.
8.2- D’altro canto, in base all’Adunanza Plenaria n. 36 del 29.11.2012, anche nel regime anteriore all'entrata in vigore dell'art. 121 d.P.R. 05.10.2010 n. 207, è attribuita al responsabile del procedimento facoltà di scegliere, a seconda delle specifiche esigenze di approfondimento richieste dalla verifica, se procedere personalmente ovvero affidare le relative valutazioni alla commissione aggiudicatrice. Con la conseguenza che è legittima la verifica di anomalia dell'offerta eseguita, anziché dalla commissione aggiudicatrice, direttamente dal responsabile unico del procedimento avvalendosi degli uffici e organismi tecnici della stazione appaltante.
In conclusione, la scelta di far espletare la verifica dell’anomalia alla commissione di gara o ad apposita commissione ex articolo 88, comma 1-bis, del d.lgs. n. 163 del 2006 è rimessa alla piena discrezionalità del RUP al quale è affidata ai sensi dell’articolo 10 del d.lgs. n. 163 del 2006 “la gestione integrale della procedura di gara, svolgendo il ruolo di fornire alla stazione appaltante ogni elemento informativo idoneo a una corretta e consapevole formazione della volontà contrattuale dell’amministrazione committente”.
8.2- Per le stesse ragioni su evidenziate è infondata è anche la censurata incompatibilità del RUP per potenziale conflitto di interessi.
Poiché è la legge ad attribuire al RUP il ruolo centrale nella verifica dell’anomalia dell’offerta, un potenziale conflitto di interessi è escluso a monte, non avendo il legislatore ravvisato l’incompatibilità del RUP -soggetto interno all’amministrazione– rispetto alla verifica dell’anomalia dell’offerta.
D’altra parte la verifica della congruità dell’offerta anomala e della sostenibilità della commessa è finalizzata alla tutela dell’amministrazione appaltante e, quindi, coerentemente è affidata al responsabile del procedimento, salve difficoltà tecniche di valutazione che ne consiglino l’affidamento ad una commissione appositamente costituita.
Situazione che, come detto, non ricorre nel caso in esame.
8.3- Infondate sono anche le censure dedotte avverso il giudizio di inaffidabilità dell’offerta espresso dal RUP.
Il procedimento di verifica dell’anomalia risulta, infatti, corretto sia formalmente che nella sostanza.
Esso è stato caratterizzato da una approfondita indagine voce per voce, con richieste di giustificazioni e audizioni dell’interessata e risulta adeguatamente motivato e supportato da specifici riferimenti ad elementi di dubbia congruità evidenziati anche nella sentenza impugnata.
D’altra parte essendo la valutazione di congruità dell’offerta un apprezzamento tecnico–discrezionale, essa è sindacabile solamente per manifesta irragionevolezza o travisamento dei fatti, che nella specie non risultano provati ma contestati con mere affermazioni inidonee a costituire elemento probatorio adeguato (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 03.06.2015 n. 2727 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

maggio 2015

LAVORI PUBBLICIAppalti, costi per la sicurezza nell’offerta. Lavori pubblici. I chiarimenti dell’Anac sugli interventi di valore superiore ai 150mila euro.
Gli operatori economici che concorrono in una gara di appalto per lavori pubblici devono specificare nell’offerta i costi della sicurezza aziendali, mentre le stazioni appaltanti devono specificare questo elemento nel disciplinare.
L’Autorità nazionale anticorruzione, con il comunicato del Presidente del 27.05.2015 ha fornito alcune importanti precisazioni alle stazioni appaltanti in ordine al bando-tipo numero 2/2014, che le amministrazioni devono obbligatoriamente utilizzare per le gare per appalti di lavori pubblici di valore superiore ai 150mila euro, indette con il criterio del prezzo più basso.
L’Anac ha chiarito che anche nelle procedure per l’affidamento di lavori pubblici i concorrenti devono specificare nell’offerta economica i costi della sicurezza aziendali, analogamente a quanto previsto per gli appalti di beni e servizi, con estensione applicativa di quanto stabilito dall’articolo 87, comma 4, Dlgs. 163/2006, aderendo all’interpretazione del Consiglio di Stato, che nella decisione dell’adunanza plenaria n. 3 del 20.03.2015 ha ritenuto che l’obbligo di procedere a tale indicazione, pur se non dettato expressis verbis dal legislatore, si ricavi in modo univoco da un’interpretazione sistematica delle norme regolatrici della materia date sia nel Codice dei contratti che nel Testo unico sulla sicurezza sul lavoro.
Dato che nel bando-tipo tale aspetto non era stato regolamentato, l’Anac specifica che al fine di garantire l’osservanza del principio di diritto espresso ed evitare di generare un errato affidamento dei concorrenti in ordine all’assenza dell’obbligo, le stazioni appaltanti sono tenute a prevedere nei bandi di gara l’obbligo degli operatori economici di indicare espressamente nell’offerta gli oneri di sicurezza aziendali.
L’Anac precisa che deve essere inserita una specifica frase al punto 1 del paragrafo 17.1 del bando-tipo n. 2/2014 e che analoga formulazione deve essere contenuta nel modello di dichiarazione di offerta economica allegato al bando. Per le procedure in corso l’Anac suggerisce alle stazioni appaltanti di inserire un chiarimento al bando nel profilo del committente, in cui specificare ai concorrente l’obbligo di indicazione dei costi della sicurezza aziendali.
Il bando-tipo per gli appalti di lavori presentava anche un altro problema, essendo stato definito prima dell’assestamento del quadro normativo e interpretativo in materia di nuovo soccorso istruttorio.
L’Anac evidenzia come le cause di esclusione dalla procedura di gara individuate nel bando-tipo n. 2/2014 siano regolarizzabili nei modi e nei limiti chiariti nella determinazione n. 1/2015, con conseguente possibilità di procedere all’esclusione del concorrente solo dopo l’infruttuosa richiesta di regolarizzazione da parte della stazione appaltante.
Per le clausole del bando relative all’esercizio del potere di soccorso istruttorio, il bando per i lavori pubblici può essere integrato con le formulazioni proposte dall’Autorità nello schema per i beni e servizi sottoposto a consultazione il 18 maggio
(articolo Il Sole 24 Ore del 23.06.2015 - tratto da www.centrostudicni.it).

LAVORI PUBBLICI: Se le utilizza, l'ente paga le opere extracontratto.
L'ente paga le opere extracontratto realizzate dal privato se le utilizza anche senza delibera ad hoc. Alle sezioni unite passa l'indirizzo minoritario: l'impresa prova l'indebito arricchimento, il giudice accerta il fatto oggettivo, mentre l'amministrazione non può opporre il suo mancato riconoscimento.
Diventa più facile per il privato farsi certificare dal giudice che la pubblica amministrazione si è indebitamente arricchita alle sue spalle: il riconoscimento dell'utilità dei lavori svolti dall'impresa edile fuori dal contratto, infatti, non costituisce un requisito dell'azione ex articolo 2041 cc..
Il privato deve dunque provare il fatto oggettivo dell'arricchimento da parte dell'ente e il giudice ad accertarlo, mentre l'amministrazione non può opporre il suo mancato riconoscimento dei lavori: in altri termini, conta che il comune abbia comunque utilizzato le opere realizzate ma non contrattualizzate, anche se manca una delibera ad hoc della giunta o del consiglio o il placet del sindaco.

Lo stabiliscono le Sezz. Unite civili della Corte di Cassazione con la sentenza 26.05.2015 n. 10798.
Vantaggio ingiustificato. Accolto il ricorso proposto dagli eredi del piccolo impresario edile. La ditta realizza per conto del comune anche lavori non previsti in origine ma chiesti dall'ufficio tecnico dell'ente per garantire la funzionalità degli edifici. Le opere, però, non vengono mai pagate. E la Corte d'appello esclude la configurabilità dell'indebito arricchimento perché manca il riconoscimento dell'utilitas della prestazione da parte degli organi dell'ente.
Ora il revirement della Suprema corte sta nello spostare il baricentro dell'indagine del giudice sulla valutazione in fatto d'arricchimento: il soggetto privato e l'ente pubblico sono entrambi soggetti alla regola secondo cui non possono essere legittimati trasferimenti patrimoniali non giustificabili. Fra loro, ci deve essere par condicio: se si riconoscesse che l'amministrazione possa opporre al privato il suo mancato riconoscimento dei lavori si finirebbe per conferire all'ente una posizione di vantaggio che è priva di base normativa.
Il fatto che il comune abbia comunque utilizzato l'opera ha una valenza probatoria del riconoscimento. La circostanza che i lavori svolti risultino utili all'ente è necessaria per far scattare l'indennizzo al privato. Ma per liberarsi l'amministrazione deve dimostrare che l'arricchimento non fu voluto o non fu consapevole (articolo ItaliaOggi del 27.05.2015).
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MASSIMA
2. Col primo motivo (il secondo è al primo correlato, in quanto attiene alla mancata ammissione della prova articolata sul punto della conoscenza da parte degli "amministratori" dei lavori di cui trattasi), la ricorrente si duole, deducendo violazione e falsa applicazione dell'art. 2041 cod. civ., che la Corte d'appello abbia disatteso il principio, patrocinato da alcune decisioni di questa Corte di legittimità, secondo il quale il giudizio di utilità può essere compiuto anche dal giudice, che ha il potere di accertare se ed in quale misura l'opera o la prestazione siano state effettivamente utilizzate dalla pubblica amministrazione.
2.1. Il ricorso richiama un orientamento minoritario di questa Corte, stigmatizzando il mancato accertamento giudiziale della fruizione delle opere di manutenzione da parte dell'ente pubblico nella piena consapevolezza della relativa esecuzione, sebbene nell'assenza di un riconoscimento implicito o esplicito dei suoi organi rappresentativi.
La sezione terza, assegnataria del ricorso, ne ha, dunque, promosso la devoluzione alle Sezioni unite, rilevando nell'ordinanza interlocutoria che sussiste un contrasto interno alla giurisprudenza di legittimità, «tra l'orientamento (prevalente) che assume come assolutamente ineludibile la necessità che il riconoscimento anche implicito dell'utilitas provenga da organi quanto meno rappresentativi dell'ente pubblico e quello (minoritario, ma significativo e fondato su solide argomentazioni) che offre invece spazi all'apprezzamento diretto da parte del giudice».
2.2. Non è, invece, in discussione la sussistenza del requisito della sussidiarietà dell'azione imposto dall'art. 2042 cod. civ., non essendo qui applicabile ratione temporis la normativa di cui D.L. n. 66 del 1989, art. 23 (conv. in L. 24.04.1989, n. 144, abrogato dall'art. 123, comma primo, lett. n, del d.lgs. 25.02.1995, n. 77, ma riprodotto senza sostanziali modifiche dall'art. 35 del medesimo decreto e infine rifluito nell'art. 191 del D.Lgs. n. 267 del 2000) che, per i casi di richiesta di prestazioni o servizi, non rientranti nello schema procedimentale di spesa tipizzato dalla stessa normativa, ha previsto la costituzione di un rapporto obbligatorio diretto con l'amministratore o funzionario responsabile, correlativamente rimettendo all'ente pubblico la valutazione esclusiva circa l'opportunità o meno di attivare il procedimento del riconoscimento del debito fuori bilancio nei limiti degli accertati e dimostrati utilità ed arricchimento per l'ente stesso [cfr. lett. e) art. 194 D.Lgs. n. 267 del 2000].
Invero, non potendosi, in difetto di espressa previsione normativa, affermare la retroattività del cit. d.l. n. 66 del 1989 art. 23, deve ritenersi l'esperibilità dell'azione di indebito arricchimento nei confronti della P.A. per tutte le prestazioni e i servizi resi alla stessa anteriormente all'entrata in vigore di tale normativa (ex plurimis, tra le più recenti: Cass. 26.06.2012, n. 10636; Cass. 11.05.2007, n. 19572). E poiché i lavori in contestazione vennero eseguiti nell'anno 1986, è indubbio che il depauperato non aveva la possibilità di farsi indennizzare del pregiudizio subito agendo, ai sensi della normativa cit. direttamente nei confronti dell'amministratore o del funzionario che aveva consentito l'acquisizione.
2.3. Il punto nodale della controversia si rinviene sulla necessità o meno di un requisito ulteriore -quello del riconoscimento dell'utilità dell'opera o della prestazione- rispetto a quelli standards fissati dagli artt. 2041 e 2042 cod. civ., allorché l'azione venga proposta nei confronti della P.A.. Strettamente connessa a detta questione si rivela, poi, quella evidenziata nell'ordinanza interlocutoria del ruolo assegnato al giudice nell'accertamento  dell'arricchimento; ciò in quanto individuare l'elemento qualificante dell'azione, in ragione della qualificazione pubblicistica dell'arricchito, in un atto di volontà o di autonomia dell'amministrazione interessata, significa confinare il ruolo giudiziale all'accertamento di un utile "soggettivo" e, cioè, riconosciuto come tale (esplicitamente o implicitamente) dagli organi rappresentativi dell'ente pubblico; all'inverso, consentire al giudice di sostituirsi alla pubblica amministrazione nella valutazione dell'utilitas finisce per spostare l'indagine sul fatto oggettivo dell'arricchimento, giacché solo questo dovrebbe essere l'elemento costitutivo della fattispecie, ove non si ammettano deroghe all'esercizio dell'azione in relazione alla qualificazione pubblicistica dell'arricchito.
3. Così definito l'ambito della questione all'esame delle Sezioni Unite, si impone una sintesi delle argomentazioni a sostegno dell'uno e dell'altro indirizzo di legittimità, come individuati dall'ordinanza interlocutoria, osservando sin da ora che nella giurisprudenza di questa Corte ricorre un ulteriore approccio interpretativo, più risalente nel tempo, che offre una sorta di tertium genus tra le soluzioni astrattamente praticabili in materia.
3.1.
La tesi prevalente muove dalla considerazione delle specifiche condizioni e limitazioni, costituite dalle regole c.d. dell'evidenza pubblica che presidiano l'attività negoziale della P.A. e si radica sul rilievo che l'azione di arricchimento comporta, di fatto, il superamento della regola assoluta a tutela del buon andamento della pubblica amministrazione, secondo cui non si può dar luogo a spese non deliberate dall'ente nei modi previsti dalla legge e senza la previsione dell'apposita copertura finanziaria. Di qui l'esigenza -avvertita dalla giurisprudenza, ancor prima che il legislatore a partire dal già cit. D.L. n. 66 del 1989 segnasse drasticamente l'ambito di operatività dell'azione- di marcare di "specialità" la domanda di arricchimento proposta nei confronti della P.A., posto che il relativo oggetto è costituito quasi sempre da prestazioni o opere eseguite da privati in dipendenza di contratti irregolari, nulli o addirittura inesistenti.
E', dunque, ricorrente nella giurisprudenza di legittimità l'affermazione che per l'utile esperimento dell'azione nei confronti della P.A. occorre la prova di un duplice requisito, e cioè, non solo il fatto materiale dell'esecuzione di un'opera o di una prestazione vantaggiosa per l'ente pubblico, ma anche il cd. riconoscimento, espresso o tacito e, in sostanza, che l'amministrazione interessata abbia compiuto una cosciente e consapevole valutazione dell'utilità dell'opera, del servizio, o della prestazione, e che li abbia considerati rispondenti alle proprie finalità istituzionali.
In particolare -secondo l'orientamento giurisprudenziale all'esame- la configurazione del riconoscimento dell'utilità dell'opera o della prestazione come un atto di volontà o di autonomia della P.A. comporta che la stessa configurabilità di un arricchimento senza causa resti affidata alla valutazione discrezionale della sola amministrazione, unica legittimata a esprimere il relativo giudizio, che presuppone il doveroso apprezzamento circa la rispondenza diretta o indiretta della cosa o della prestazione al pubblico interesse (Cass. 18.04.2013, n. 9486; Cass. 11.05.2007, n. 10884; Cass. 20.08.2004, n.16348; Cass. 23.04.2002, n. 5900); inoltre detta valutazione non solo non può essere sostituita da quella di amministrazioni terze, pur se interessate alla prestazione, ma neanche provenire da atti e comportamenti imputabili a qualsiasi soggetto che faccia parte della struttura dell'ente di esse destinatario (Cass. 18.04.2013 n. 9486), essendo necessariamente rimessa solo agli organi rappresentativi di detta amministrazione o a quelli cui è istituzionalmente devoluta la formazione della sua volontà (Cass. 27.07.2002, n. 11133; Cass. 17.07.2001, n. 9694).
E sebbene non si richieda che il riconoscimento avvenga necessariamente in maniera esplicita -cioè con un atto formale (il quale, peraltro, può essere assistito dai crismi richiesti per farne un atto amministrativo valido ed efficace, ovvero può anche essere carente delle formalità e dei controlli richiesti, come nel caso in cui l'organo di controllo lo annulli) e si sia predicata la sufficienza del riconoscimento implicito- l'una e l'altra forma di riconoscimento sono ritenute soggette alle medesime regole dell'evidenza pubblica (sul riconoscimento come atto di volontà, cfr Cass. 24.10.2011, n. 21962; Cass. 31.01.2008 n. 2312; Cass. 24.09.2007 n. 19572), richiedendosi che l'utilizzazione dell'opera o della prestazione sia consapevolmente attuata dagli organi rappresentativi dell'ente (cfr. Cass. Sez. un. 25.02.2009, n. 4463; Cass. 20.10.2004, n. 16348; nonché Cass. 11133/2002 già cit.).
3.2. Secondo questa tesi, che esalta i limiti istituzionali della giurisdizione ordinaria, fissati dall'art. 4 della legge 20.03.1865, n. 2248, all. E, a presidio della discrezionalità amministrativa, il giudice ordinario non può giudicare dell'utilitas, dal momento che la necessità del riconoscimento è tradizionalmente impostata sulla discrezionalità amministrativa che la valutazione del vantaggio comporta. L'utiliter versum non può essere altro che un utile soggettivo, cioè relativo all'interesse dell'accipiens e la valutazione dell'utilità dell'ente pubblico si risolve in una valutazione dell'interesse pubblico, come tale necessariamente affidata alla P.A..
La tesi si radica sull'evidente timore che -in specie nel caso assai frequente di indebito arricchimento derivante da rapporti negoziali instaurati da dipendenti pubblici privi dei necessari poteri- fa pubblica amministrazione possa essere chiamata a rispondere ex art. 2041 cod. civ. di tutte le iniziative arbitrarie assunte al di fuori del controllo degli organi amministrativi responsabili della spesa, quando il riconoscimento dell'utilità sia ravvisato nella stessa utilizzazione dell'opera o del servizio acquisito, da parte di coloro che hanno abusivamente speso il nome dell'ente o dell'ufficio.
Sennonché essa -oltre ad apparire espressiva di esigenze di tutela della P.A., di cui si è fatto carico, nel tempo, il legislatore, facendo leva, come si è visto, sul carattere sussidiario dell'azione- rivela la sua criticità sol che si consideri che, portata alle sue naturali conseguenze, essa comporta che il giudice, mentre dovrebbe condannare l'ente pubblico per un arricchimento riconosciuto, ancorché non provato, dovrebbe assolverlo per un arricchimento provato, ma non riconosciuto.
Soprattutto l'orientamento risulta fortemente penalizzante per il depauperato, allorquando l'arricchimento si risolva in un risparmio di spesa (come nel caso che qui ricorre di esecuzione di opere di manutenzione), dal momento che un riconoscimento implicito da parte degli organi rappresentativi dell'ente pubblico appare ravvisabile solo in relazione a opere e prestazioni comportanti un incremento patrimoniale, e quindi suscettibili di appropriazione; mentre, nel caso che l'opera risulti già esistente e già a disposizione della collettività, si è ritenuto che il perdurare -od il riprendere dopo gli interventi- della pubblica fruizione non possa costituire riconoscimento implicito dell'utilitas, perché non implica alcuna valutazione consapevole da parte dell'ente (Cass. 02.09.2005, n. 17703 in motivazione).
3.3.
Non mancano tuttavia pronunce improntate a un approccio più duttile, nelle quali, in ragione del fondamento equitativo che permea tutta l'azione di ingiustificato arricchimento, si evidenzia che il riconoscimento, da parte di enti pubblici, dell'utilità di una prestazione professionale, con conseguente loro arricchimento, si realizza con la mera utilizzazione della stessa, indipendentemente dal fatto che i fini alla cui realizzazione la prestazione poteva essere diretta non fossero stati realizzati dall'ente cui il progetto era stato destinato (Cass. Sez. un. 10.02.1996, n. 1025; e più di recente Cass. 18.06.2008, n. 16596).
In tale prospettiva, l'utilità è stata ritenuta ravvisabile allorché la P.A., ad esempio, si sia servita della prestazione del privato per corredare pratiche amministrative, ovvero ne abbia ricavato un risparmio di spesa (v. Cass. 12.12.2003, n. 19059; e ancora Cass. n. 10576 del 1997; Cass. n. 1025 del 1996; Cass. n. 12399 del 1992), ridimensionandosi la necessità della provenienza dagli organi formalmente qualificati della P.A. (cfr. Cass. 16.09.2005, n. 18329) e precisandosi che, seppure il giudizio sull'utilità per la P.A. dell'opera o della prestazione del privato è riservato in via esclusiva all'amministrazione e non può essere compiuto, in sostituzione di quella, del giudice, spetta pur sempre a quest'ultimo il compito di accertare se e in che misura l'opera o la prestazione siano state effettivamente utilizzate dalla pubblica amministrazione (cfr. Cass. 02.09.2005, n. 17703).
3.4.
Si tratta di un orientamento minoritario, che non abbandona il tradizionale argomento, secondo cui l'esperimento dell'azione di arricchimento nei confronti della P.A. richiede un quid pluris, qual è il riconoscimento dell'utilitas, sebbene al fatto dell'utilizzazione venga attribuita una valenza probatoria di detto riconoscimento; in tal modo esso presta il fianco alla critica dell'incongruenza di legittimare soggetti diversi in ragione del fatto che il riconoscimento sia esplicito (per il quale si afferma la necessità che provenga dagli organi rappresentativi della pubblica amministrazione) o implicito (nel qual caso si ritiene che il riconoscimento può provenire da organi non qualificati dell'amministrazione), vale a dire in ragione della forma del riconoscimento, che dovrebbe essere un elemento neutro sotto questo profilo (così Cass. 07.03.2014, n. 5397 in motivazione).
In realtà l'avere svincolato il riconoscimento dalla provenienza dagli organi formalmente qualificati ad esprimere la volontà dell'ente pubblico ha finito per incrinare fortemente lo stesso principio della relatività soggettiva dell'utilitas, consentendo di recuperare la connotazione ordinaria dell'azione, giacché il baricentro dell'indagine risulta spostato sulla valutazione in fatto dell'arricchimento, che deve essere accertato con la regola paritaria di diritto comune, sia quando riguarda il privato che quando si riferisce alla pubblica amministrazione (così Cass. 16.05.2006, n. 11368), affidando al saggio apprezzamento del giudice lo  scrutinio sull'intervenuto riconoscimento ovvero la valutazione, in fatto, dell'utilità dell'opus (così Cass. 21.04.2011, n. 9141).
3.5. Come evidenziato nell'ordinanza interlocutoria,
soprattutto l'ultima delle sentenze citate si è fatta carico di rimarcare l'insufficienza dell'approccio ermeneutico che confina il ruolo giudiziale all'esterno della valutazione di utilità, ritenendo che il giudice non possa accertare se la prestazione del depauperato sia stata utile all'ente pubblico, ma solo se l'ente pubblico l'abbia riconosciuta come tale.
In contrario senso si è osservato che il richiedere sempre e comunque comportamenti inequivocabilmente asseverativi dell'utilità dell'opera o della prestazione da parte degli organi rappresentativi dell'ente è scelta interpretativa che depotenzia fortemente il diritto del privato ad essere indennizzato dell'impoverimento subito, svuotando di fatto i poteri di accertamento del giudice, in vista della tutela delle posizioni soggettive in sofferenza; e si è, quindi, ritenuto che «il criterio idoneo a mediare tra tutti gli interessi in conflitto è l'affidamento al saggio apprezzamento del giudice dello scrutinio sull'intervenuto riconoscimento ovvero la valutazione, in fatto, dell'utilità dell'opus, utilità desunta dal contesto fattuale di riferimento, senza pretendere di imbrigliare l'ineliminabile discrezionalità del relativo giudizio in schemi prede finiti, ma solo esigendo che del suo convincimento il decidente dia adeguata e congrua motivazione»
(cfr. Cass. n. 9141 del 2011 cit. in motivazione).
Occorre, tuttavia, rilevare che
la pista interpretativa indicata dalla sentenza da ultima citata, tendente a marcare di autonomia il sindacato giudiziale e a spostare decisamente l'oggetto dell'indagine dalla qualificazione soggettiva dell'arricchito al fatto dell'arricchimento, non risulta seguita dalla successiva giurisprudenza di legittimità che, anche da recente, ha privilegiato una connotazione negoziale dell'istituto, contrapponendo alla regola paritaria di diritto comune nemo locupletari potest cum aliena iactura la normativa di diritto pubblico che regola la contabilità della pubblica amministrazione, con efficacia anche per i soggetti esterni che vengono in contatto con essa, e che si giustifica oltre che con vincoli di spesa imposti da norme di rango primario nell'impiego di denaro pubblico, anche con le dimensioni e la complessità dell'articolazione interna della pubblica amministrazione (così Cass. n. 5397 del 2014 sopra cit.).
3.6. Mette conto a questo punto evidenziare che la previsione di un'azione generale di arricchimento era ignota al codice del 1865; l'istituto venne, quindi, accolto dal progetto di codice delle obbligazioni del 1936 e, infine, codificato dal legislatore del 1942, accanto a numerosi altre fattispecie particolari di arricchimento (artt. 31, co. 3, 535, 821, co. 2, 935, 940, 1150, 1185, co. 2, 1190, 1443, 1769, 2037, co. 3, 2038 co. 3 cod. civ.), assolutamente eterogenee e, comunque, ispirate al medesimo principio e accomunate dall'obbligo di "restituire" all'impoverito esclusivamente perdite, esborsi, spese, prestazioni ed altri elementi, utilità o valori già sussistenti nel suo patrimonio "nei limiti dell'arricchimento".
Orbene -mentre nel vigore del codice del 1865, la prefigurazione della specialità dell'azione nei confronti della P.A. si giustificava in considerazione dell'elaborazione giurisprudenziale dell'actio de in rem verso sugli schemi della gestione di affari e dell'attribuzione al riconoscimento dell'utilitas dello stesso fondamento dell'utiliter gestum- l'intervenuta codificazione dell'istituto ad opera del legislatore del 1942 ne ha privilegiato una connotazione oggettivistica, fatta palese dall'impiego dei concetti materiali di «arricchimento» e «diminuzione patrimoniale», senza richiamo alcuno al parametro soggettivistico dell'«utilità», ponendo così il problema se vi sia ancora spazio per postulare una valutazione discrezionale da parte dell'arricchito in ragione della sua qualificazione pubblicistica.
Orbene il terzo e più risalente orientamento giurisprudenziale di cui si è detto sub 3. muove proprio dalla considerazione della sopravvenuta inclusione della disciplina nel codice del 1942 per postulare la necessità di abbandonare «il remoto principio», secondo cui l'azione è esperibile nei confronti della P.A. soltanto se questa ha riconosciuto la locupletazione, evidenziando non solo il superamento degli schemi su cui era stata costruita la fattispecie giurisprudenziale dell'actio de in rem verso, ma anche e soprattutto la necessità di una lettura costituzionalizzante dell'istituto, che assicurasse la piena tutela della garanzia di agire in giudizio contro l'amministrazione pubblica, assicurata a chiunque dagli artt. 24 e 113 Cost. (cfr. Cass. Sez.  unite sentenze 28.05.1975, n. 2157; Cass. Sez. unite 19.07.1982, n. 4198).
Sulla base di tali premesse si è esclusa, in radice, la tesi che all'ente pubblico possa essere riservato non solo di riconoscere il vantaggio in sé, ma anche la relativa entità economica: tesi ritenuta inaccettabile per la considerazione che essa pone il giudice nella condizione di dover unicamente prendere atto delle determinazioni del convenuto, contraddicendo alla stessa funzione dell'azione consistente nell'apprestare un rimedio "generale" per i casi in cui sia possibile risolvere sul piano economico il contrasto tra legalità e giustizia. In luogo della questione del riconoscimento dell'utilità, è stato evidenziato un problema di imputabilità dell'arricchimento, paventandosi il pericolo che l'ente pubblico possa subire iniziative che i terzi, pur presentandosi come ingiustamente depauperati, abbiano assunto conto il volere dell'ente o comunque senza che i suoi organi rappresentativi ne avessero contezza.
In tale prospettiva il problema risulta ridotto unicamente a quello dell'«attribuzione» del vantaggio all'ente pubblico e risolto nel senso che si debba indagare «non tanto se quest'ultimo abbia riconosciuto l'arricchimento, quanto se sia stato almeno consapevole della prestazione indebita e nulla abbia fatto per respingerla, sicché nell'avvenuta utilizzazione della prestazione è da ravvisare, invece che un atto di riconoscimento -difficilmente definibile nei suoi caratteri e soprattutto giuridicamente inammissibile, non potendo mai condizionarsi la proponibilità di un'azione ad una preventiva manifestazione di volontà del soggetto contro cui essa è diretta- un mero fatto dimostrativo dell'imputabilità giuridica a tale soggetto della situazione dedotta in giudizio» (così, Cass. n. 4198 del 1982 in motivazione).
4. Questi, in estrema sintesi, i principali argomenti a sostegno delle opzioni ermeneutiche a confronto,
le Sezioni unite, nel risolvere il contrasto, intendono proseguire sulla strada tracciata nelle sentenze da ultime citate e, in parte, ripercorsa da quell'indirizzo minoritario (sub 3.4. e 3.5.) che ha rimarcato la connotazione ordinaria dell'azione anche nei confronti della P.A., predicando una valutazione oggettiva dell'arricchimento che prescinda dal riconoscimento esplicito o implicito dell'ente beneficiato.
A questi risultati conduce una lettura dell'istituto più aderente ai principi costituzionali e a quelli specifici della materia che assegnano una dimensione fattuale di evento oggettivo all'arricchimento di cui all'art. 2041 cod. civ. e alla relativa azione una funzione di rimedio generale a situazioni giuridiche altrimenti ingiustamente private di tutela, tutte le volte che tale tutela non pregiudichi in alcun modo le posizioni, l'affidamento, la buona fede dei terzi (cfr. Cass. Sez. un. 08.12.2008, n. 24772).
In tale prospettiva il diritto fondamentale di azione del depauperato può adeguatamente coniugarsi con l'esigenza, altrettanto fondamentale, del buon andamento dell'attività amministrativa, affidando alla stessa pubblica amministrazione l'onere di eccepire e provare il rifiuto dell'arricchimento o l'impossibilità del rifiuto per la sua inconsapevolezza (c.d. arricchimento imposto).
Del resto sulla qualificazione dell'arricchimento come istituto civilistico che dà luogo a situazioni di diritto soggettivo perfetto anche quando parte sia una P.A., salvo il limite interno del divieto di annullamento e di modificazione degli atti amministrativi, la giurisprudenza ha mostrato di non dubitare, allorché ha costantemente affermato la giurisdizione ordinaria in materia
(Cass. Sez. un. 18.11.2010, n. 23284; Cass. Sez. un. 20.11.1999 n. 807).
4.1.
Valga considerare che l'impostazione fondata sulla necessità di un riconoscimento esplicito o implicito degli organi rappresentativi è sostanzialmente ancorata ad una lettura dell'istituto in chiave contrattuale che è stata già stigmatizzata da queste Sezioni Unite in occasione della risoluzione di altro contrasto sul tema dell'arricchimento nei confronti della P.A., rilevandosi che se è indubbio che l'arricchimento che dipende da fatto dell'impoverito presenta punti di contatto con la responsabilità contrattuale, ciononostante non se ne giustifica l'assimilazione (cfr. sentenza 11.09.2008, n. 23385).
Invero il principio secondo cui «chi senza una giusta causa, si è arricchito a danno di un'altra persona, è tenuto, nei limiti dell'arricchimento, a indennizzare quest'ultima della correlativa diminuzione patrimoniale» è stato dettato dal legislatore del 1942, accanto ad altre fattispecie particolari di cui già si è dato conto, con la funzione di norma di chiusura onde coprire -come si legge nella Relazione al progetto del codice- anche i casi «che il legislatore non sarebbe in grado di prevedere tutti singolarmente».
L'istituto risulta, così, configurato come un rimedio unitario, idoneo a ricomprendere tutte le ipotesi di arricchimento di un soggetto e di correlativo impoverimento di un altro soggetto in mancanza di una giusta causa e, quindi, sia i casi di arricchimento conseguito appropriandosi di utilità insite nell'altrui situazione protetta, sia quelli che dipendono da comportamenti dell'impoverito.
E sebbene la prima categoria presenti innegabili punti di contatto con la responsabilità civile e la seconda con il regime di esecuzione dei contratti, l'istituto non si presta ad essere letto né in una chiave, né nell'altra, avendo una precisa identità di autonoma fonte di obbligazione restitutoria e l'esclusiva finalità di indennizzare lo spostamento di ricchezza senza giusta causa dall'uno all'altro soggetto.

4.2. In particolare la lettera della norma, che -come sopra evidenziato- adopera un lessico oggettivistico nell'individuazione dei presupposti dell'azione, nonché la funzione dell'istituto che è quella di eliminare l'iniquità prodottasi mediante uno spostamento patrimoniale privo di giustificazione di fronte al diritto, sancendone la restituzione, riconducono l'arricchimento ad una dimensione fattuale di evento oggettivo, escludendo che la qualificazione pubblicistica del soggetto arricchito possa essere evocata a fondamento di una riserva di discrezionalità in punto di riconoscimento dell'arricchimento e/o del suo ammontare.
Ne consegue che
ciò che il privato attore ex art. 2041 cod. civ. nei confronti della P.A. deve provare è il fatto dell'arricchimento; e il relativo accertamento da parte del giudice non incorre nei limiti di cognizione ai sensi dell'art. 4 della legge 20.03.1865, n. 2248, all. E, trattandosi di verificare un evento patrimoniale oggettivo, qual è l'arricchimento, senza che l'amministrazione possa opporre il mancato riconoscimento dello stesso, perché altrimenti si riconoscerebbe all'amministrazione una posizione di vantaggio che è priva di base normativa.
In tale prospettiva
il riconoscimento da parte della P.A. dell'utilità della prestazione o dell'opera può rilevare non già in funzione di recupero sul piano del diritto di una fattispecie negoziale inesistente, invalida o comunque imperfetta -trattandosi di un elemento estraneo all'istituto- bensì in funzione probatoria e, precisamente, ai soli fini del riscontro dell'imputabilità dell'arricchimento all'ente pubblico. Mentre le esigenze di tutela delle finanze pubbliche e la considerazione delle dimensioni e della complessità dell'articolazione interna della pubblica amministrazione, che l'espediente giurisprudenziale del riconoscimento dell'utilitas ha inteso perseguire, possono essere adeguatamente coniugate con la piena garanzia del diritto di azione del depauperato, nell'ambito del principio di diritto comune dell'arricchimento imposto, in ragione del quale l'indennizzo non è dovuto se l'arricchito ha rifiutato l'arricchimento o non abbia potuto rifiutarlo, perché inconsapevole dell'eventum utilitatis.

LAVORI PUBBLICI: La pubblica amministrazione deve tenere un comportamento corretto in tutte le fasi della procedura pubblica che portano al consenso contrattuale e informare il contraente privato di tutte le circostanze che potrebbero determinare l’invalidità o l’inefficacia del contratto. Se ciò non avviene sussiste responsabilità precontrattuale in capo all’ente pubblico.
Nel caso di specie, la Cassazione ha ritenuto sussistente la responsabilità della stazione appaltante che in seguito a licitazione privata, aveva stipulato un importante contratto di appalto con una società di costruzioni chiedendo la consegna immediata dei lavori per ragioni di urgenza, salvo poi sospenderli dopo 17 mesi perché la Corte dei conti aveva negato la registrazione, rendendo il contratto inefficace.

Il motivo e’ fondato.
2.1.- E’ necessario considerare che la responsabilità precontrattuale della Pubblica Amministrazione, contrariamente a quanto trapela dalla sentenza impugnata, non è responsabilità da provvedimento, ma da comportamento, e presuppone la violazione dei doveri di correttezza e buona fede nella fase delle trattative e della formazione del contratto (v. Cons. di Stato, sez. 4, n. 790/2014, in caso di revoca legittima degli atti della procedura di gara), sicché non rileva la legittimità dell’esercizio della funzione pubblica cristallizzato nel provvedimento amministrativo di aggiudicazione o in altri provvedimenti successivi, ma la correttezza del comportamento complessivamente tenuto dall’Amministrazione durante il corso delle trattative e della formazione del contratto. La ragione dell’evoluzione della giurisprudenza in tal senso, con una piena equiparazione dell’Amministrazione ad ogni contraente privato, si spiega considerando che tutte le fasi della procedura ad evidenza pubblica si pongono quale strumento di formazione progressiva del consenso contrattuale.
Ad analoga conclusione è pervenuta questa Corte che ha ammesso la responsabilità precontrattuale dell’Amministrazione, prima e a prescindere dall’aggiudicazione, anche nell’ambito del procedimento strumentale alla scelta del contraente, nel quale essa instaura trattative (multiple o parallele) idonee a determinare la costituzione di rapporti giuridici specifici e differenziati nel momento in cui entra in contatto con una pluralità di offerenti ed è, quindi, tenuta al rispetto dei principi generali di comportamento (di cui agli articoli 1337 e 1338 c.c.) posti a tutela degli interessi delle parti (v. Cass. n. 15260/2014, che ha superato il precedente orientamento espresso, ad esempio, da Cass. n. 477/2013, n. 12313/2005, sez. un. n. 4673/1997; anche secondo Cons. di Stato, sez. IV, n. 1142/2015, “il rispetto dei principi di cui agli articoli 1337 e 1338 c.c., non può essere circoscritto al singolo periodo successivo alla determinazione del contraente”).
La Corte d’appello, alla quale era stato chiesto di valutare la correttezza complessiva del comportamento dell’Amministrazione committente, avuto riguardo al rispetto dei principi di buona fede e correttezza (articoli 1337 e 1338 c.c.), si è limitata a rilevare la legittimità formale degli atti della procedura di licitazione privata, ma tale risposta è evidentemente inadeguata perché contrastante con il seguente principio di diritto: la responsabilità precontrattuale della Pubblica Amministrazione, anche nell’ambito della procedura pubblicistica di scelta del contraente, non è responsabilità da provvedimento, ma da comportamento e presuppone la violazione dei doveri di correttezza e buona fede nella fase delle trattative e della formazione del contratto; pertanto, non rileva la legittimità dell’esercizio della funzione pubblica espressa nel provvedimento amministrativo di aggiudicazione e in altri provvedimenti successivi (anche emessi in autotutela), ma la correttezza del comportamento complessivamente tenuto dall’Amministrazione durante il corso delle trattative e della formazione del contratto, poiché tutte le fasi della procedura ad evidenza pubblica si pongono quale strumento di formazione progressiva del consenso contrattuale.
2.2.- Una simile evoluzione del formante giurisprudenziale rafforza la conclusione cui da tempo è pervenuta questa Corte che ha ritenuto configurabile la responsabilità precontrattuale della P.A. in presenza di una relazione specifica tra soggetti che è possibile, anche nell’ambito della procedura amministrativa di scelta del contraente, a seguito dell’aggiudicazione, ad esempio nel caso di omessa redazione del contratto formale senza giustificazione e, a maggior ragione, quando –come nella specie– sia stato stipulato il contratto, nel caso di omessa trasmissione dello stesso all’autorità di controllo (v. Cass. n. 2255/1987) e quando l’Amministrazione abbia preteso l’adempimento della prestazione prima dell’approvazione del contratto da parte dell’autorità di controllo, comportamento questo che è suscettibile di dar luogo, ove l’approvazione non sia intervenuta, a responsabilità precontrattuale, in considerazione dell’affidamento ragionevolmente ingenerato nell’altra parte (v. Cass. n. 23393/2008, n. 3383/1981, n. 3008/1968; quest’ultima sentenza, pur avendo affermato che l’Amministrazione non è tenuta a rispondere dell’attività direttamente svolta dall’organo di controllo, l’ha ritenuta responsabile per non avere comunicato tempestivamente la mancata approvazione di una sua delibera e per avere sollecitato la prestazione del privato).
La sentenza impugnata ha omesso di indagare sulle ragioni che avevano indotto la Corte dei conti a formulare osservazioni sulle scelte tecniche di realizzazione dell’opera e, soprattutto, ha omesso di dare il necessario rilievo alla consegna anticipata dei lavori in via d’urgenza e, quindi, all’impegno organizzativo e di spesa posto a carico dell’impresa per l’esecuzione di un contratto rivelatosi poi ineseguibile per la mancata registrazione del decreto di approvazione del contratto.
In tal modo ha trascurato che la Pubblica Amministrazione, in pendenza del procedimento di controllo ed approvazione del contratto stipulato con il privato e in osservanza dell’obbligo generale di comportamento secondo correttezza e buona fede, deve tenere informato l’altro contraente delle vicende attinenti al procedimento di controllo, in modo che questi sia posto in grado di evitare i pregiudizi connessi agli sviluppi e ai tempi dell’indicato procedimento, a prescindere dagli strumenti di tutela spettanti al privato a seguito dell’eventuale esito negativo del controllo (recesso e rimborso delle spese sostenute) (v. Cass., sez. un., n. 5328/1978).
Del resto, un riconoscimento del legittimo affidamento dell’appaltatore (per avere dovuto iniziare l’esecuzione del contratto prima della sua approvazione) era già espresso nell’articolo 337, secondo comma, della legge 20.03.1865 n. 2248, all. F, che gli riconosceva il diritto alla reintegrazione nelle spese per i lavori eseguiti qualora l’approvazione non fosse poi intervenuta.
Il principio di diritto, cui la Corte d’appello dovrà attenersi in sede di rinvio, è il seguente: nel caso in cui, all’esito della procedura di evidenza pubblica, sia stipulato il contratto la cui efficacia sia condizionata all’approvazione da parte dell’autorità di controllo (nella specie, alla registrazione del decreto di approvazione da parte della Corte dei conti), l’Amministrazione committente ha l’obbligo di comportarsi secondo buona fede e correttezza (articoli 1337 e 1338 c.c.), cioè di tenere informato l’altro contraente delle vicende attinenti al procedimento di controllo e di fare in modo che non subisca i pregiudizi connessi agli sviluppi e all’esito del medesimo procedimento, essendo in condizioni di farlo, in ragione del suo status professionale nel quale è implicita una posizione di garanzia nei confronti di coloro che si rapportano ad essa; l’Amministrazione è quindi responsabile qualora, avendo preteso l’anticipata esecuzione della prestazione, abbia accettato il rischio del successivo mancato avveramento della condizione di efficacia del contratto a causa della mancata registrazione del decreto di approvazione, in tal modo frustrando il legittimo e ragionevole affidamento del privato nella eseguibilità del contratto.
2.3.- Nel ragionamento della Corte romana si sente l’eco del tradizionale principio che esclude la configurabilità di una responsabilità dell’Amministrazione, a norma dell’articolo 1338 c.c., per non avere informato l’altra parte di una causa di invalidità o inefficacia del contratto di cui debba presumersi la conoscenza e conoscibilità con l’uso della normale diligenza, a causa della mancanza del visto ministeriale necessario ex lege per quella registrazione, ovvero della stessa natura legale della condicio juris di cui si tratta (la registrazione del decreto di approvazione del contratto da parte della Corte dei conti). Questo principio merita una rimeditazione.
Si e’ dato conto (nel precedente p. 2.1.) dell’esito finale di un lungo percorso che, a partire dagli anni sessanta dello scorso secolo (v., tra le prime pronunce, Cass. n. 1142/1963), ha condotto la giurisprudenza di legittimità a riconoscere che le deroghe alla disciplina privatistica stabilite dalla legge di contabilità di Stato non giustificavano l’esenzione da responsabilità della Pubblica Amministrazione, la quale (prima di essere configurabile, in casi sempre meno numerosi, come pubblico potere) è un soggetto di diritto comune e, in quanto tale, anch’essa soggetta agli obblighi generali di comportamento di buona fede e correttezza.
Il lento incedere della responsabilità dell’Amministrazione in ambito precontrattuale, tuttavia, secondo una parte della dottrina, non può dirsi completato, come dimostrato dalla rigida interpretazione dell’articolo 1338 c.c., che impone alla parte che “conoscendo o dovendo conoscere l’esistenza di una causa d’invalidità del contratto, non ne ha dato notizia all’altra parte” di “risarcire il danno da questa risentito per avere confidato, senza sua colpa, nella validità del contratto”.
In effetti, la giurisprudenza di questa Corte ha escluso la responsabilità della P.A., per omessa informazione, in presenza di invalidità derivanti dall’affidamento di un contratto a trattativa privata anziché con il metodo della licitazione privata (v. Cass. n. 11135/2009), dalla mancanza dei requisiti per partecipare alla gara conclusasi con l’aggiudicazione annullata in sede giurisdizionale (v. Cass. n. 7481/2007), dal difetto di forma scritta del contratto (v., tra le altre, Cass. n. 4635/2006), dall’incommerciabilità della res (v. Cass. n. 1987/1985), dal fatto che il prezzo di cessione in proprietà di alloggio economico e popolare sia inferiore a quello determinabile per legge (v. Cass., sez. un., n. 835/1982), ecc..
E’ costante l’affermazione secondo cui la responsabilità prevista dall’articolo 1338 c.c., a differenza di quella di cui all’articolo 1337, tutela l’affidamento di una delle parti non nella conclusione del contratto, ma nella sua validità, sicché non è configurabile una responsabilità precontrattuale della P.A. ove l’invalidità del contratto derivi da norme generali, da presumersi note alla generalità dei consociati e, quindi, tali da escludere l’affidamento incolpevole della parte adempiente (v. Cass. n. 7481/2007, n. 4635/2006).
Tale principio e’ estensibile alle cause di inefficacia del contratto (v. Cass. n. 16149/2010), tra le quali rientra la mancata approvazione del contratto stipulato da una P.A., nei cui confronti è configurabile la responsabilità “in applicazione analogica dei principi fissati dall’articolo 1338 c.c.” (v. Cass., sez. un., n. 5328/1978).
Nell’interpretazione della norma in esame è necessario verificare cosa si intenda per “norme generali, da presumersi note alla generalità dei consociati”, posto che qualunque norma di legge, imperativa o proibitiva che sia o “avente efficacia di diritto obiettivo” (Cass. n. 4635/2006), dovrebbe o potrebbe essere conosciuta da chiunque per presunzione assoluta, nel qual caso l’articolo 1338 c.c. sarebbe facilmente fuori gioco.
Si è osservato in dottrina che il riferimento al principio ignorantia legis non excusat (la cui assolutezza, peraltro, è venuta meno in seguito a Corte costit. n. 364/1988) sarebbe improprio in questa materia, dal momento che il contraente non evidenzia la propria ignoranza al fine di evitare la produzione degli effetti ricollegati dall’ordinamento alla mancata osservanza della norma di legge (visto che non è in discussione la invalidità o inefficacia del contratto), ma agisce soltanto per il risarcimento del danno conseguente alla violazione dell’obbligo di informazione che è posto dalla legge a carico dell’altra parte. E si è anche rilevato, seppure con riferimento ad ipotesi previste dalla legge a fini diversi, che l’ordinamento attribuisce rilievo all’errore di diritto che abbia inficiato la volontà del contraente quando sia stato essenziale (articolo 1429 c.c., n. 3) e riconoscibile e lo tutela con l’annullamento del contratto nel suo interesse.
A queste serie obiezioni si è replicato osservando che è lo stesso articolo 1338 c.c. a riconoscere il risarcimento del danno in favore della parte che abbia confidato “senza sua colpa” nella validità del contratto. La parte che è in colpa perché a conoscenza della invalidità o inefficacia del contratto, non può addossare alla controparte il danno (quantomeno per l’intero) che è conseguenza del proprio comportamento, alla luce di un principio generale desumibile anche dall’articolo 1227 c.c., comma 1.
E’ invero evidente che, estendendo eccessivamente il dovere di diligenza a carico della parte che dovrebbe ricevere l’informazione circa la causa di invalidità o inefficacia del contratto, sarebbero compromessi lo scopo e l’utilità dell’articolo 1338 c.c. che non è norma meramente ripetitiva dell’articolo 2043, né dell’articolo 1337 c.c., il quale, obbligando le parti a comportarsi secondo buona fede, già impone loro implicitamente di rendersi reciprocamente le informazioni necessarie per pervenire alla conclusione di un contratto che sia eseguibile.
L’articolo 1338 c.c., pone, invece, significativamente a carico di una sola delle parti, cioè di quella che, in ragione delle circostanze di fatto e tenuto conto della sua posizione sociale o professionale, conosca o debba conoscere l’esistenza di una causa di invalidità o inefficacia, l’obbligo specifico di informare l’altra parte, la quale ha diritto a ricevere l’informazione e, in mancanza, al risarcimento del danno per avere ragionevolmente confidato nella validità ed efficacia del contratto.
La parte obbligata ha la facoltà di dimostrare che l’altra parte aveva confidato nella validità del contratto colpevolmente e non “senza sua colpa” (come richiesto dall’articolo 1338), ma dovrà dedurre fatti e circostanze specifiche che dimostrino che, in quel determinato rapporto, fosse effettivamente a conoscenza della causa che viziava il contratto concluso o da concludere.
Non si esclude la possibilità di desumere tale conoscenza dal tipo di invalidità o inefficacia e, in definitiva, dalla natura della norma violata, ma non e’ possibile riconoscerla automaticamente rispetto a qualunque norma “avente efficacia di diritto obiettivo” (Cass. n. 4635/2006) che, in tesi, sarebbe conoscibile dalla generalità dei cittadini e, quindi, da qualunque potenziale contraente, al fine di escludere la responsabilità dell’altra parte che aveva l’obbligo legale di informare.
Altrimenti, l’articolo 1338 c.c. verrebbe privato della sua principale funzione che è di compensare l’asimmetria informativa nelle contrattazioni tra parti che non sono su un piano di parità, come avviene nei rapporti con la Pubblica Amministrazione.
E ciò non soltanto in ragione del fatto che la procedura di evidenza pubblica è da essa governata sulla base dell’esercizio di poteri previsti da norme di azione tradotte nella lex specialis della gara, ma anche in ragione dello status professionale e del bagaglio di conoscenze tecniche ed amministrative di cui essa è in possesso (è significativo che la giurisprudenza amministrativa abbia talora valutato la colpa della P.A. con riferimento al criterio di imputazione soggettiva della responsabilità del professionista di cui all’articolo 2236 c.c., introducendo un parametro di imputazione del danno riferito al grado di complessità delle questioni implicate dall’esecuzione della prestazione, v. Cons. di Stato, sez. 5 , n. 1300/2007; sez. 4 , n. 5500/2004).
Pertanto, il principio ignorantia legis non excusat, in materia contrattuale, non ha un valore generale e assoluto dal quale si possa desumere in modo incondizionato e aprioristico l’inescusabilità dell’ignoranza dell’invalidità contrattuale che trovi fondamento (come di regola) in norme di legge, dovendosi piuttosto indagare caso per caso sulla diligenza e, quindi, sulla scusabilità dell’affidamento del contraente, avendo riguardo non solo (e non tanto) alla conoscibilità astratta della norma, ma anche all’esistenza di interpretazioni univoche della stessa e, soprattutto, alla conoscibilità delle circostanze di fatto cui la legge ricollega l’invalidità.
Infatti, come notato da autorevole dottrina, il contraente che ignori una norma di legge o intenda sottrarsi alla sua osservanza si trova in una situazione ben diversa dal contraente che, eventualmente in presenza di interpretazioni non univoche della giurisprudenza, credeva che la fattispecie concreta fosse tale da non rientrare nella previsione legale d’invalidità a lui nota.
In tale secondo caso, l’astratta conoscibilità della norma non dimostra necessariamente che il privato sia in colpa, specialmente quando questi contragga con un’Amministrazione che non solo rimanga silente, ma improvvidamente conduca il procedimento sino alla stipulazione di un contratto destinato ad essere caducato o a rimanere inefficace e talora ne pretenda l’anticipata esecuzione, in tal modo frustrando il suo legittimo affidamento nell’eseguibilità dello stesso e nella legalità dell’azione amministrativa.
In altri termini, l’astratta conoscenza della norma non è elemento decisivo per la percezione –che rileva ai fini applicativi dell’articolo 1338 c.c.– della invalidità o inefficacia del contratto, per la quale spesso si richiede la necessaria cooperazione dell’altro contraente, il quale è tenuto a comunicare le circostanze di fatto cui la legge ricollega la invalidità o inefficacia, quando ne sia (o ne debba essere) informato in ragione delle sue qualità professionali o istituzionali e, in mancanza, non può sfuggire alla responsabilità per culpa in contraendo.
L’obbligo del clare loqui, e cioè di comunicare alle parti tutte le cause di invalidità negoziale di cui abbia o debba avere conoscenza, e’ imposto all’Amministrazione –anche in ragione della sua funzione istituzionale di rappresentanza e, quindi, di protezione degli interessi di coloro che entrano in rapporti con essa– non solo nell’ambito del procedimento di formazione del contratto secondo il modulo privatistico della trattativa privata, ma anche nel procedimento di evidenza pubblica, a tutela dell’affidamento delle imprese concorrenti nel rispetto delle prescrizioni della lex specialis.
Proprio in tale ottica, nel caso di annullamento dell’aggiudicazione con caducazione del contratto (fenomeno assimilabile alla mancata registrazione da parte della Corte dei conti), la giurisprudenza amministrativa ha ammesso la tutela dell’imprenditore che, a norma dell’articolo 1338 c.c., abbia fatto legittimo affidamento nell’aggiudicazione dell’appalto e nella successiva stipulazione del contratto e che abbia ignorato, senza sua colpa, una causa di invalidità, con conseguente responsabilità dell’Amministrazione appaltante per non essersi astenuta dalla stipulazione del negozio che doveva sapere essere invalido, rientrando nei suoi poteri conoscere le cause dell’illegittimità dell’aggiudicazione e, tuttavia, ingenerando nell’impresa l’incolpevole affidamento di considerare valido ed efficace il contratto (v. Cons. di Stato, sez. 3 , n. 279/2013).
In conclusione, può essere enunciato il seguente principio di diritto:
accertare se un contraente abbia confidato colpevolmente o incolpevolmente nella validità ed efficacia del contratto (concluso o da concludere) con la Pubblica Amministrazione –al fine di escludere o affermare la responsabilità di quest’ultima, a norma dell’articolo 1338 c.c.,– è un’attività propria del giudice di merito, il quale deve verificare in concreto se la norma (di relazione) violata sia conosciuta o facilmente conoscibile da qualunque cittadino mediamente avveduto (e sia quindi causa di invalidità “autoevidente”), tenuto conto della univocità dell’interpretazione della norma e della conoscenza e conoscibilità delle circostanze di fatto cui la legge ricollega l’invalidità; in presenza di norme (di azione) che l’Amministrazione è tenuta istituzionalmente a conoscere ed applicare in modo professionale (come, ad esempio, quelle che disciplinano il procedimento di scelta del contraente), essa ha l’obbligo di informare il privato delle circostanze che potrebbero determinare la invalidità o inefficacia e, comunque, incidere negativamente sulla eseguibilità del contratto, pena la propria responsabilità per culpa in contraendo, salva la possibilità di dimostrare in concreto che l’affidamento del contraente sia irragionevole, in presenza di fatti e circostanze specifiche (
massima tratta da http://renatodisa.com - Corte di Cassazione, Sez. I civile, nella sentenza 12.05.2015 n. 9636).

APPALTI: Il termine per la stipula del contratto di appalto.
DOMANDA:
Parcheggi a pagamento per il solo periodo estivo cioè 90 giorni (giugno-agosto) secondo il codice contratti che prevede la stipula del contratto entro 60 giorni dalla aggiudicazione definitiva, essendo già a maggio significa che il servizio inizierà dopo giugno e quindi non è possibile assicurare i 90 giorni previsti dal bando creando un danno all'aggiudicatario che si rivarrà contro il Comune.
E' possibile aggiudicare subito sotto riserva di legge in tale caso il servizio, motivando che in caso contrario scaturisce un danno certo per l'ente?
RISPOSTA:
Il termine di 60 giorni tra la aggiudicazione definitiva e la stipulazione del contratto di appalto è un termine perentorio, non dilatorio. Ciò comporta che la stipula deve avvenire entro e non oltre il termine di sessanta giorni, altrimenti l'aggiudicatario può, mediante atto notificato alla stazione appaltante, sciogliersi da ogni vincolo o recedere dal contratto.
Ma il fatto che il termine non sia dilatorio, significa che non debbano necessariamente trascorrere 60 giorni prima che sia compiuto l’atto, potendosi procedere alla stipula del contratto anche prima, purché si sia proceduto -da parte dell'amministrazione- alla verifica del possesso dei requisiti prescritti ("Divenuta efficace l'aggiudicazione definitiva, e fatto salvo l'esercizio dei poteri di autotutela nei casi consentiti dalle norme vigenti, la stipulazione del contratto di appalto o di concessione ha luogo entro il termine di sessanta giorni, salvo diverso termine previsto nel bando o nell'invito ad offrire, ovvero l'ipotesi di differimento espressamente concordata con l'aggiudicatario", art. 11, comma 9, Codice contratti) (link a www.ancirisponde.ancitel.it).

APPALTI: Il fascicolo di gara virtuale.
DOMANDA:
Si chiede se alla luce delle recenti disposizioni dettate dalla AVCPAS, si ha l'obbligo di chiedere agli operatori economici il PASSOE tra i documenti amministrativi da esibire trattandosi di gara con importo al di sotto dei 40.000 euro.
Ove e qualora previsto tale requisito, la stazione appaltante lo deve indicare nel bando o nella lettera di invito in caso di procedura ristretta?
RISPOSTA:
L'Autorità per la Vigilanza sui Contratti Pubblici, con deliberazione n. 111 del 20.12.2012, ha stabilito che a partire dal 01.01.2014 (scadenza poi prorogata al 01.07.2014) è obbligatorio -per le imprese che intendono partecipare alle gare di appalto di importo pari o superiore ad € 40.000,00- inserire nella busta contenente la documentazione di offerta il cosiddetto PASSOE, ovvero il documento (contenente un codice numerico e a barre) che attesta che l’Operatore Economico ha creato uno specifico fascicolo di gara virtuale, contenente tutti i documenti comprovanti i requisiti dichiarati, che potrà essere oggetto di verifica da parte della stazione appaltante, e in cui l’operatore economico potrà eventualmente “caricare” gli ulteriori documenti mancanti o utili (per esempio, i certificati di buona esecuzione di soggetti privati).
In una procedura di importo inferiore ai 40.000 euro il Passoe non è pertanto richiesto (link a www.ancirisponde.ancitel.it).

APPALTI FORNITURE: Art. 1, comma 7, D.L. n. 95/2012. Approvvigionamento di carburanti.
L'art. 1, comma 7, D.L. n. 95/2012, stabilisce una disciplina speciale per l'approvvigionamento da parte delle pubbliche amministrazioni di determinate categorie merceologiche, tra cui i carburanti.
Per detti beni, la norma in commento prevede l'obbligo di approvvigionamento mediante le Convenzioni Consip o gli accordi quadro messi a disposizione da Consip o da centrali di committenza regionali, ovvero attraverso autonome procedure, nel rispetto della normativa vigente, utilizzando i sistemi telematici di negoziazione resi disponibili dai soggetti indicati.
In alternativa, sussiste la possibilità di procedere ad affidamenti che conseguano ad approvvigionamenti da altre centrali di committenza o a procedure ad evidenza pubblica, a condizione che gli stessi prevedano corrispettivi inferiori a quelli indicati nelle convenzioni o accordi quadro messi a disposizione da Consip Spa e dalle centrali di committenza regionali, avuto riguardo allo specifico parametro dei prezzi dei beni o servizi che devono essere più bassi ('corrispettivi inferiori').

Il Comune pone la questione dell'acquisizione di carburanti, alla luce di quanto previsto dall'art. 1, comma 7, D.L. n. 95/2012
[1], in particolare sulla sussistenza dell'obbligo di acquisto a mezzo convenzione Consip anche in caso di dimostrabile anti economicità della fornitura per ragioni di maggiori distanze dei fornitori Consip e dunque di maggior impiego di tempo, mezzi e persone.
Al riguardo, il Comune chiede di sapere se ci siano aggiornamenti rispetto a quanto già affermato da questo Servizio nella nota prot. n. 2679/2013
[2].
Per chiarezza espositiva, si ritiene utile riportare i contenuti della nota richiamata dal Comune, di sintesi del quadro normativo di interesse, rilevando, sin da adesso, che non si riscontrano nuovi elementi, provenienti da pronunce giurisprudenziali o da circolari esplicative dei competenti organi statali, che consentano di discostarsi da quanto già espresso.
L'art. 1, comma 7, D.L. n. 95/2012, stabilisce una disciplina speciale per l'approvvigionamento da parte delle pubbliche amministrazioni di beni, quali energia elettrica, gas, carburanti (per quanto qui di interesse), combustibili per riscaldamento e telefonia.
Il comma 7 richiamato prevede che la fornitura dei predetti beni avvenga utilizzando le convenzioni o gli accordi quadro messi a disposizione da Consip o da centrali di committenza regionali ovvero attraverso proprie autonome procedure, nel rispetto della normativa vigente, utilizzando i sistemi telematici di negoziazione resi disponibili dai soggetti indicati.
In alternativa, sussiste la possibilità di procedere ad affidamenti che conseguano ad approvvigionamenti da altre centrali di committenza o a procedure ad evidenza pubblica i cui corrispettivi siano inferiori (e, quindi, migliorativi) rispetto a quelli delle convenzioni e degli accordi quadro messi a disposizione da Consip e dalle centrali regionali di committenza. In tale caso, i contratti devono essere sottoposti a condizione risolutiva, con possibilità di adeguamento da parte del contraente, per il caso in cui intervengano convenzioni Consip e delle centrali regionali di committenza che prevedano condizioni economiche di maggiore vantaggio.
L'art. 1, comma 8, D.L. n. 95/2012, stabilisce che sono nulli, costituiscono illecito disciplinare e sono causa di responsabilità amministrativa i contratti stipulati in violazione di quanto previsto dal comma 7.
A ben vedere, il tenore letterale dell'art. 1, comma 7, D.L. n. 95/2012, subordina la possibilità di procedere ad affidamenti sul libero mercato alla duplice condizione che gli stessi conseguano a procedure ad evidenza pubblica e prevedano corrispettivi inferiori a quelli indicati nelle convenzioni e accordi quadro messi a disposizione da Consip S.p.a. e dalle centrali di committenza regionali.
In particolare, la procedura ad evidenza pubblica deve determinare condizioni contrattuali più convenienti, avuto riguardo allo specifico parametro previsto dei prezzi dei beni o servizi, che devono essere più bassi ('corrispettivi inferiori'). Mentre, non sono contemplati, nella norma in commento, altri indici di risparmio di spesa pubblica, quali, nel caso di specie, potrebbero essere i risparmi sui costi accessori derivanti dalla maggiore lontananza dei distributori di carburante convenzionati Consip. Un tanto si osserva, fermo restando che, comunque, la norma in commento non consente alle pubbliche amministrazioni di approvvigionarsi da altri fornitori se non previo esperimento di procedure ad evidenza pubblica.
Per come formulato l'art. 1, comma 7, D.L. n. 95/2012, non è dato, dunque, in questa sede, di assumere una posizione diversa da quella espressa nella precedente nota prot. n. 2679/2013, non essendo ad oggi intervenuti, come sopra anticipato, rilievi giurisprudenziali o indicazioni ministeriali che possano giustificare un'apertura rispetto agli obblighi di approvvigionamento ivi previsti.
Sulla questione, è stata, invero, chiamata a rendere parere la Corte dei conti, sezione di controllo per la Regione Umbria
[3], che, peraltro, non ha offerto una soluzione di merito allo specifico riguardo. In particolare, il comune che ad essa si era rivolto aveva chiesto di poter derogare all'obbligo previsto dall'art. 1, comma 7, D.L. n. 95/2012, in quanto la fornitura di carburanti presso distributori non rientranti nella convenzione Consip avrebbe consentito, a suo dire, un risparmio di spesa pari ai costi accessori dovuti alla maggiore distanza dal Comune dei distributori previsti dalla convenzione Consip.
La Corte dei conti dell'Umbria ha ritenuto inammissibile la richiesta sotto il profilo oggettivo in quanto relativo alla possibilità di derogare agli obblighi derivanti dalla normativa vigente in materia di forniture di carburanti alle pubbliche amministrazioni.
Specificamente, la Corte dei conti ha rilevato che trattavasi di un quesito concernente uno specifico caso di gestione e non limitato, come dovrebbe essere, a temi di carattere generale in materia di contabilità pubblica
[4], ma comportante di fatto valutazioni relative all'adeguatezza delle specifiche scelte gestionali, sia di natura tecnica che contabile, da adottarsi da parte dell'ente, per cui, eventuali sue pronunce avrebbero contrastato con i principi e le modalità per l'esercizio dell'attività consultiva della Corte dei conti.
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[1] D.L. 06.07.2012, n. 95, recante: 'Disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica con invarianza dei servizi ai cittadini nonché misure di rafforzamento patrimoniale delle imprese nel settore bancario'.
[2] La nota è rinvenibile all'indirizzo web della Regione FVG: http://autonomielocali.regione.fvg.it
[3] Corte dei conti, Sezione regionale di controllo per l'Umbria, Perugia, parere n. 241 del 30.11.2012.
[4] La Corte dei conti Umbria richiama, in questo senso, i principi e le modalità per l'esercizio dell'attività consultiva, fissati dalla Sezione delle Autonomie, adunanza del 27.04.2004
(04.05.2015 - link a www.regione.fvg.it).

aprile 2015

APPALTI: Una stazione appaltante può chiarire nel corso del procedimento le previsioni della lex specialis, quando queste siano equivoche o comunque si prestino ad incertezze interpretative.
I chiarimenti dell'amministrazione, in una situazione di obiettiva incertezza, non costituiscono un'indebita modifica delle regole di gara ma una sorta di interpretazione autentica.
Applicando tale orientamento al caso di specie, ne consegue l'infondatezza della censura, attesa l'obiettiva incertezza derivante dagli errori ortografici presenti nella originaria formulazione della disposizione.
Pertanto, una stazione appaltante può chiarire nel corso del procedimento le previsioni della lex specialis, quando queste siano equivoche o comunque si prestino ad incertezze interpretative (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 27.04.2015 n. 2097 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI Nelle gare pubbliche la verifica delle offerte sospette di anomalia ha natura globale e sintetica e quindi si risolve in un apprezzamento che non può essere "parcellizzato" su singoli profili, aspetti o voci, salvo che non emergano macroscopici vizi di travisamento dei dati acquisiti e/o di irragionevole e illogico apprezzamento dei medesimi. La valutazione globale e sintetica si traduce, a sua volta, in un giudizio complessivo sull'affidabilità dell'offerta, espressivo di squisita discrezionalità di natura tecnica che si sottrae al sindacato giurisdizionale salvi i casi di deviazione dai canoni di ragionevolezza o di logicità.
Nelle gare pubbliche, il giudizio di anomalia o di incongruità dell’offerta costituisce espressione di discrezionalità tecnica, sindacabile dal Giudice Amministrativo solo in caso di macroscopica illogicità o di erroneità fattuale.
Nelle gare pubbliche, in sede di verifica delle offerte anomale, l’esame delle giustificazioni prodotte dai concorrenti, a dimostrazione della non anomalia della propria offerta, rientra nella discrezionalità tecnica dell’Amministrazione, con la conseguenza che soltanto in caso di macroscopiche illegittimità, quali gravi ed evidenti errori di valutazione o valutazioni abnormi o inficiate da evidenti errori di fatto, il Giudice di legittimità può esercitare il proprio sindacato, ferma restando l’impossibilità di sostituire il proprio giudizio a quello dell’amministrazione.
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Nelle gare pubbliche il mancato rispetto dei minimi tabellari sul costo del lavoro o, in mancanza, dei valori indicati dalla contrattazione collettiva non determina l’automatica esclusione dalla gara, ma costituisce un indice di anomalia dell’offerta che deve essere poi verificato mediante un giudizio complessivo di remuneratività ed affidabilità che consente all’impresa di fornire le proprie giustificazioni di merito.

Occorre considerare, come sostenuto dalla giurisprudenza amministrativa (cfr. Cons. Stato Sez. IV, 20.01.2015, n. 147), cui questo Collegio non ritiene di doversi discostare “Nelle gare pubbliche la verifica delle offerte sospette di anomalia ha natura globale e sintetica e quindi si risolve in un apprezzamento che non può essere "parcellizzato" su singoli profili, aspetti o voci, salvo che non emergano macroscopici vizi di travisamento dei dati acquisiti e/o di irragionevole e illogico apprezzamento dei medesimi. La valutazione globale e sintetica si traduce, a sua volta, in un giudizio complessivo sull'affidabilità dell'offerta, espressivo di squisita discrezionalità di natura tecnica che si sottrae al sindacato giurisdizionale salvi i casi di deviazione dai canoni di ragionevolezza o di logicità”; (Cons. Stato Sez. III, 13.03.2015, n. 1337) “Nelle gare pubbliche, il giudizio di anomalia o di incongruità dell’offerta costituisce espressione di discrezionalità tecnica, sindacabile dal Giudice Amministrativo solo in caso di macroscopica illogicità o di erroneità fattuale”; (Cons. Stato Sez. III, 13.03.2015, n. 1337) “Nelle gare pubbliche, in sede di verifica delle offerte anomale, l’esame delle giustificazioni prodotte dai concorrenti, a dimostrazione della non anomalia della propria offerta, rientra nella discrezionalità tecnica dell’Amministrazione, con la conseguenza che soltanto in caso di macroscopiche illegittimità, quali gravi ed evidenti errori di valutazione o valutazioni abnormi o inficiate da evidenti errori di fatto, il Giudice di legittimità può esercitare il proprio sindacato, ferma restando l’impossibilità di sostituire il proprio giudizio a quello dell’amministrazione”.
Nella fattispecie qui in esame non risulta che l’amministrazione abbia commesso macroscopici errori di valutazione in considerazione della motivazione del provvedimento di verifica dell’anomalia dell’offerta della prima classificata. Peraltro, sinteticamente, è possibile osservare che:
- nelle gare pubbliche il mancato rispetto dei minimi tabellari sul costo del lavoro o, in mancanza, dei valori indicati dalla contrattazione collettiva non determina l’automatica esclusione dalla gara, ma costituisce un indice di anomalia dell’offerta che deve essere poi verificato mediante un giudizio complessivo di remuneratività ed affidabilità che consente all’impresa di fornire le proprie giustificazioni di merito (cfr. Cons. Stato Sez. V, 16.01.2015, n. 84; Cons. Stato Sez. V, 17.11.2014, n. 5633);
- l’indennità ex art. 108 CCNL era stata mal calcolata per mero errore materiale, come riconosciuto dalla stessa prima classificata;
- il ricalcolo della stazione appaltante è da intendersi come soccorso istruttorio, come tale ammissibile, anche in considerazione del valore parametrato ai termini di legge;
Pertanto, l’amministrazione ha complessivamente valutato congrua l’offerta della CLSTV senza commettere violazioni macroscopiche nel giudizio valutativo che, per contro, risulta essere stato approfonditamente sviluppato in contraddittorio con l’aggiudicataria (TAR Lazio-Roma, Sez. III-ter, sentenza 24.04.2015 n. 5979 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI SERVIZI: Ammissibilità dell'affidamento di contratti pubblici ad associazioni.
I princìpi desumibili dalla disciplina comunitaria impongono di interpretare in senso estensivo l'elencazione dei soggetti a cui possono essere affidati contratti pubblici, recata dall'art. 34, c. 1, del D.Lgs. 163/2006.
Deve, quindi, ritenersi ammissibile la partecipazione alle relative gare di soggetti che -indipendentemente dalla propria veste giuridica e a prescindere dallo scopo di lucro- possiedano i requisiti richiesti dal bando di gara per l'esecuzione del contratto.

Il Comune ha indetto una procedura aperta per l'affidamento, con il criterio dell'offerta economicamente più vantaggiosa, della gestione di un rifugio alpino, indicando espressamente, nella lex specialis di gara, la tipologia dei soggetti ammessi a parteciparvi
[1].
Poiché l'Ente ha disposto l'aggiudicazione provvisoria a favore di un'associazione culturale di promozione sociale, ma si è poi avveduto che tale veste giuridica non risulta tra quelle indicate nella previsione del bando di gara, esso chiede di conoscere se, in via di autotutela, possa provvedere, prima di dichiarare l'aggiudicazione definitiva, ad escludere l'associazione in questione dalla procedura concorsuale, «per carenza dei requisiti espressamente previsti dal bando approvato e dalla norma di riferimento art. 34 del D.Lgs 163/2006».
L'art. 34, comma 1
[2], del decreto legislativo 12.04.2006, n. 163, dispone che sono ammessi a partecipare alle procedure di affidamento dei contratti pubblici i soggetti ivi elencati (il cui novero risulta più ampio rispetto alla previsione comunale), salvo i limiti espressamente indicati.
La formulazione testuale della norma di legge (che contiene l'inciso «i seguenti soggetti») ha favorito il formarsi di un orientamento giurisprudenziale restrittivo, volto ad escludere dalle gare alcune figure, in quanto non espressamente contemplate dalla disposizione, ancorché esse fossero qualificabili come operatori economici, ai sensi delle direttive europee (ad es. enti pubblici non economici, fondazioni, enti no profit, imprese sociali, associazioni, ecc.).
La giurisprudenza più recente ha, però, mutato posizione, ritenendo che l'elencazione contenuta nell'art. 34 del D.Lgs. 163/2006 non possa considerarsi tassativa, atteso che:
- la disciplina comunitaria in materia di appalti pubblici prevede che «I termini 'imprenditore', 'fornitore' e 'prestatore di servizi' designano una persona fisica o giuridica o un ente pubblico o un raggruppamento di tali persone e/o enti che offra sul mercato, rispettivamente, la realizzazione di lavori e/o opere, prodotti o servizi», specificando che «Il termine 'operatore economico' comprende l'imprenditore, il fornitore e il prestatore di servizi»
[3];
- il D.Lgs. 163/2006, conformemente alle predette previsioni, fornisce analoghe nozioni di imprenditore, fornitore e prestatore di servizi e riconduce anch'esso tali soggetti al concetto di 'operatore economico'
[4].
La lettura ermeneutica estensiva, secondo cui il soggetto abilitato a partecipare alle gare pubbliche è l''operatore economico' che offre sul mercato lavori, forniture o servizi, secondo un principio di libertà di forme, risulta coerente con l'indirizzo assunto dalla giurisprudenza comunitaria, la quale sancisce che:
- per 'impresa', pur in mancanza di una sua definizione nel Trattato, va inteso qualsiasi soggetto che eserciti attività economica, a prescindere dal suo stato giuridico e dalle sue modalità di finanziamento
[5];
- costituisce attività economica qualsiasi attività che consiste nell'offrire beni o servizi su un determinato mercato
[6];
- l'assenza di fine di lucro non esclude che un soggetto giuridico che esercita un'attività economica possa essere considerato impresa
[7];
- la nozione di 'operatore economico', contenuta nelle direttive sugli appalti (nozione che comprende ogni «persona fisica o giuridica o un ente pubblico o un raggruppamento di tali persone e/o enti che offra sul mercato, rispettivamente, la realizzazione di lavori/opere, prodotti o servizi»), va interpretata nel senso di consentire la partecipazione alle gare anche a soggetti che:
- non perseguono un preminente scopo di lucro,
- non dispongono della struttura organizzativa di un'impresa,
- non assicurano una presenza regolare sul mercato
[8].
Il giudice sovranazionale afferma, in sintesi, che «sia dalla normativa comunitaria sia dalla giurisprudenza della Corte risulta che è ammesso a presentare un'offerta o a candidarsi qualsiasi soggetto o ente che, considerati i requisiti indicati in un bando di gara, si reputi idoneo a garantire l'esecuzione di detto appalto, in modo diretto oppure facendo ricorso al subappalto, indipendentemente dal fatto di essere un soggetto di diritto privato o di diritto pubblico e di essere attivo sul mercato in modo sistematico oppure soltanto occasionale, o, ancora, dal fatto di essere sovvenzionato tramite fondi pubblici o meno»
[9].
I giudici comunitari sostengono, dunque, il principio della massima apertura delle gare pubbliche (favor partecipationis)
[10], il quale prevale su qualsiasi disposizione nazionale che precluda la partecipazione a soggetti privi di specifiche forme.
Rileva, infatti, la Corte di giustizia che «secondo una giurisprudenza consolidata, il giudice nazionale è tenuto a dare a una disposizione di diritto interno, avvalendosi per intero del margine di discrezionalità consentitogli dal suo ordinamento nazionale, un'interpretazione ed un'applicazione conformi alle prescrizioni del diritto comunitario. Se una siffatta applicazione conforme non è possibile, il giudice nazionale ha l'obbligo di applicare integralmente il diritto comunitario e di tutelare i diritti che quest'ultimo conferisce ai singoli, disapplicando, se necessario, qualsiasi contraria disposizione del diritto interno»
[11].
All'impostazione tracciata dalla giurisprudenza comunitaria aderisce il Consiglio di Stato
[12], il quale sostiene che l'elencazione recata dall'art. 34 del D.Lgs. 163/2006 non può ritenersi tassativa ed afferma che:
- è legittima la partecipazione di una fondazione ad una gara per l'aggiudicazione di un contratto pubblico, considerata la rispondenza di tale soggetto giuridico alla nozione di 'operatore economico' e restando irrilevante l'assenza dello scopo di lucro, posto che la definizione comunitaria di 'impresa' non si fonda su presupposti soggettivi, quali la pubblicità dell'ente o l'assenza di lucro, ma su elementi oggettivi, quali l'offerta di beni o servizi da scambiare con altri soggetti;
- non si può escludere che anche soggetti economici senza scopo di lucro, quali le fondazioni, siano in grado di soddisfare i necessari requisiti ed essere qualificati come 'imprenditori', 'fornitori' o 'prestatori di servizi' ai sensi delle disposizioni vigenti in materia, purché si tratti di soggetti che possono esercitare anche attività d'impresa, qualora funzionale ai loro scopi, e sempre che tale possibilità trovi riscontro nella disciplina statutaria del singolo soggetto giuridico
[13];
- il regime fiscale di favore di cui gode una fondazione non incide sulla dinamica concorrenziale, perché esso assiste anche altri soggetti, quali le cooperative, senza che si possa sostenere che esse siano escluse dagli appalti pubblici, o le Onlus
[14], che possono essere ammesse alle gare pubbliche quali 'imprese sociali' [15].
Anche l'Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture (Avcp)
[16] condivide le suesposte considerazioni, ai fini dell'interpretazione estensiva dell'art. 34 del D.Lgs. 163/2006.
Tra i diversi interventi dell'Avcp sull'argomento
[17] si richiama, soprattutto, la determinazione n. 7 del 21.10.2010, volta a chiarire dubbi interpretativi circa la disciplina dettata dall'art. 34 del D.Lgs. 163/2006 e, in special modo, la possibilità di ammettere, alle gare per l'aggiudicazione dei contratti pubblici, soggetti giuridici diversi da quelli ivi elencati, con la quale vengono fornite, alle stazioni appaltanti, indicazioni applicative di carattere generale, anche alla luce della recente giurisprudenza comunitaria in materia.
Conclusivamente, si ritiene di poter affermare che la disposizione della lex specialis adottata dal Comune debba essere interpretata conformemente ai princìpi sanciti dal giudice comunitario e da quello nazionale: pertanto, non sembrano ricorrere gli estremi per poter disporre l'esclusione dalla gara dell'associazione aggiudicataria.
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[1] «Sono ammessi a partecipare alla gara, i concorrenti aventi i requisiti previsti dal capitolato approvato:
- imprese individuali;
- società commerciali;
- cooperative o consorzi;
- raggruppamento d'imprese ai sensi e con le modalità di cui al D.Lgs. 12.04.2006 n. 163 art. 37.».
[2] «1. Sono ammessi a partecipare alle procedure di affidamento dei contratti pubblici i seguenti soggetti, salvo i limiti espressamente indicati:
a) gli imprenditori individuali, anche artigiani, le società commerciali, le società cooperative;
b) i consorzi fra società cooperative di produzione e lavoro costituiti a norma della legge 25.06.1909, n. 422, e del decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato 14.12.1947, n. 1577, e successive modificazioni, e i consorzi tra imprese artigiane di cui alla legge 08.08.1985, n. 443;
c) i consorzi stabili, costituiti anche in forma di società consortili ai sensi dell'articolo 2615-ter del codice civile, tra imprenditori individuali, anche artigiani, società commerciali, società cooperative di produzione e lavoro, secondo le disposizioni di cui all'articolo 36;
d) i raggruppamenti temporanei di concorrenti, costituiti dai soggetti di cui alle lettere a), b) e c), i quali, prima della presentazione dell'offerta, abbiano conferito mandato collettivo speciale con rappresentanza ad uno di essi, qualificato mandatario, il quale esprime l'offerta in nome e per conto proprio e dei mandanti; si applicano al riguardo le disposizioni dell'articolo 37;
e) i consorzi ordinari di concorrenti di cui all'articolo 2602 del codice civile, costituiti tra i soggetti di cui alle lettere a), b) e c) del presente comma, anche in forma di società ai sensi dell'articolo 2615-ter del codice civile; si applicano al riguardo le disposizioni dell'articolo 37;
e-bis) le aggregazioni tra le imprese aderenti al contratto di rete ai sensi dell'articolo 3, comma 4-ter, del decreto-legge 10.02.2009, n. 5, convertito, con modificazioni, dalla legge 09.04.2009, n. 33; si applicano le disposizioni dell'articolo 37;
f) i soggetti che abbiano stipulato il contratto di gruppo europeo di interesse economico (GEIE) ai sensi del decreto legislativo 23.07.1991, n. 240; si applicano al riguardo le disposizioni dell'articolo 37;
f-bis) operatori economici, ai sensi dell'articolo 3, comma 22, stabiliti in altri Stati membri, costituiti conformemente alla legislazione vigente nei rispettivi Paesi».
[3] V. art. 1, comma 8, della direttiva 2004/18/CE.
[4] L'art. 3 del D.Lgs. 163/2006 dispone, infatti, che «I termini 'imprenditore', 'fornitore' e 'prestatore di servizi' designano una persona fisica, o una persona giuridica, o un ente senza personalità giuridica, ivi compreso il gruppo europeo di interesse economico (GEIE) costituito ai sensi del decreto legislativo 23.07.1991, n. 240, che offra sul mercato, rispettivamente, la realizzazione di lavori o opere, la fornitura di prodotti, la prestazione di servizi» (comma 19) e che «Il termine 'operatore economico' comprende l'imprenditore, il fornitore e il prestatore di servizi o un raggruppamento o consorzio di essi» (comma 22).
[5] Corte di giustizia - Grande Sez., sent. 01.07.2008, causa C-49/07 e richiami ivi contenuti.
[6] Corte di giustizia - Sez. II, sent. 10.01.2006, causa C-222/04.
[7] Corte di giustizia - Sez. III, sent. 29.11.2007, causa C-119/06.
[8] Corte di giustizia - Sez. IV, sentt. 18.12.2007, causa C-357/06 e 23.12.2009, causa C-305-08.
[9] Corte di giustizia - Sez. IV, sent. 23.12.2009, causa C-305/08, cit..
[10] La Corte di giustizia afferma, infatti, che «uno degli obiettivi della normativa comunitaria in materia di appalti pubblici è costituito dall'apertura alla concorrenza nella misura più ampia possibile» (Sez. IV, sent. 13 dicembre 2007, causa C-337/06 e, in senso conforme, sent. 19 maggio 2009, causa C-538/07) e che tale apertura «è prevista non soltanto con riguardo all'interesse comunitario alla libera circolazione dei prodotti e dei servizi, bensì anche nell'interesse stesso dell'amministrazione aggiudicatrice considerata, la quale disporrà così di un'ampia scelta circa l'offerta più vantaggiosa e più rispondente ai bisogni della collettività pubblica interessata» (Sez. IV, sent. 23 dicembre 2009, causa C-305/08, cit.).
[11] Corte di giustizia - Sez. IV, sent. 18.12.2007, causa C-357/06, cit..
[12] V., in particolare, stante l'affinità della fattispecie al caso in trattazione, Sez. VI, sent. 16.06.2009, n. 3897, che ha ritenuto legittima l'aggiudicazione di una fornitura ad un'ATI, composta da un soggetto (fondazione) non contemplato tra quelli indicati nell'art. 34 del D.Lgs. 163/2006.
[13] Al riguardo, il TAR Lazio - Sez. III, sent. 14.01.2015, n. 539, precisa che «L'unico limite all'ammissibilità delle offerte di soggetti pubblici non imprenditori può semmai derivare, eventualmente, da clausole statutarie auto-limitative ovvero dallo statuto giuridico proprio di quel tipo di ente (sia esso pubblico o privato) sulla base delle normativa nazionale di riferimento: sarà cioè necessario effettuare, caso per caso, un esame approfondito dello statuto di tali persone giuridiche al fine di valutare gli scopi istituzionali per cui sono state costituite».
Si segnala che lo statuto dell'associazione cui il quesito fa riferimento annovera, tra gli scopi che essa si prefigge di perseguire, quello di «gestire rifugi alpini ed escursionistici» (art. 4) e prevede che, per raggiungere i propri scopi, l'associazione si giova di mezzi finanziari derivanti anche dalla predetta gestione (art. 5).
[14] Il Consiglio di Stato - Sez. VI, sent. 25.01.2008, n. 185, afferma la legittimità dell'aggiudicazione di un appalto di servizi a favore di una Onlus, per aver questa presentato l'offerta economicamente più vantaggiosa per l'amministrazione, «in quanto soggetto esente da Iva e quindi, tale da non far ricadere sull'amministrazione, consumatore finale, la predetta imposta».
[15] V. Consiglio di Stato - Sez. V, sent. 25.02.2009, n. 1128.
[16] Le cui funzioni sono attualmente esercitate dall'Autorità Nazionale Anticorruzione (ANAC).
[17] Deliberazione 18.04.2007, n. 119; pareri 23.04.2008, n. 127, 27.05.2010, n. 101 e 20.10.2011, n. AG 28/2011
(22.04.2015 - link a www.regione.fvg.it).

APPALTI FORNITURE E SERVIZI: Sull'illegittimità degli affidamenti di servizi ulteriori non contemplati dalla convenzione Consip.
Gli affidamenti di servizi ulteriori, non contemplati dalla convenzione Consip, così come tutte le estensioni dell'oggetto e della durata delle forniture acquisite mediante il ricorso al sistema centralizzato, sono illegittimi perché comportano la violazione delle direttive comunitarie e delle norme nazionali che dispongono l'obbligo della gara pubblica a garanzia della concorrenza, della par condicio tra i partecipanti, della correttezza e della trasparenza della condotta della s.a..
L'art. 57, c. 5, lett. a), del d.lgs. n. 163/2006, prevede che il ricorso alla procedura negoziata senza previa pubblicazione di un bando di gara è possibile nella misura strettamente necessaria, quando l'estrema urgenza, risultante da eventi imprevedibili per le stazioni appaltanti, non è compatibile con i termini imposti dalle procedure aperte, ristrette o negoziate, di pubblicazione di un bando di gara e sempre che tali circostanze, invocate a giustificazione dell'estrema urgenza, non siano imputabili alle stazioni appaltanti.
Poiché l'urgenza di provvedere e l'imprevedibilità non devono essere addebitabili in alcun modo all'amministrazione per carenza di adeguata organizzazione o programmazione ovvero per sua inerzia o responsabilità, nel caso di specie, non sussisteva, quanto meno il presupposto della imprevedibilità, in quanto l'Azienda, in precedenti appalti, aveva sempre aggiudicato il servizio di gestione e manutenzione degli impianti elettrici dell'Ospedale garantendo la copertura 24 ore su 24 ore per tutto l'anno proprio in relazione alle attività di urgenza e di alta specializzazione ivi svolte, risultando quindi del tutto prevedibile che con la adesione alla convenzione non sarebbe stata adeguatamente garantita la sicurezza degli impianti elettrici e speciali dalle 21,00 alle 7 e nei giorni di sabato e festivi.
Del pari il servizio non previsto nella convenzione Consip non avrebbe potuto essere affidato ad una seconda impresa, a meno di gravi disfunzioni e inconvenienti, con l' effetto che l'amministrazione non avrebbe potuto aderire alla convenzione che non soddisfaceva interamente le sue esigenze, né poteva colmare la parziale inidoneità della convenzione affidando a trattativa privata servizi complementari, peraltro di peso economico e durata non indifferenti, dividendo artificiosamente il servizio in due tronconi di cui uno, adesivo alla convenzione Consip, mentre l'altro attribuito alla medesima ditta ai sensi dell'art. 57, c. 5, del codice dei contratti.
Pertanto, non sussisteva nessun obbligo di adesione alla convenzione Consip a norma dell'art. 15, c. 13, del d.l. 06.07.2012 n. 95, conv. nella l. 07.08.2012 n. 135, essendo tale obbligo di adesione, ipotizzabile, non certo astrattamente, ma solo per l'acquisto di servizi concretamente rispondenti alle esigenze della stazione appaltante non potendo diversamente ipotizzarsi un obbligo giuridico di adesione là dove sia carente la concreta esigenza o inadeguato il contenuto della convenzione (Consiglio di Stato, Sez. III, sentenza 14.04.2015 n. 1908 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI: Non è sufficiente ad invalidare una procedura selettiva il mero sospetto di possibili manomissioni delle buste contenenti le offerte.
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Solo con l'aggiudicazione definitiva può dirsi sorto un affidamento meritevole di tutela e risarcibile a titolo di responsabilità precontrattuale.

Non è sufficiente ad invalidare una procedura selettiva il mero sospetto di possibili manomissioni delle buste contenenti le offerte, occorrendo suffragare la deduzione con elementi, anche di carattere indiziario, che possano avere effettivamente inciso sulla genuinità dell'offerta (sentenza Consiglio di Stato, Ad. plen. 03.02.2014, n. 8).
Questo principio è estensibile anche al concorso di idee, potendo essere declinato nel senso che occorre corroborare la censura di irregolarità della procedura mediante l'allegazione di specifiche circostanze in virtù delle quali l'attività valutativa della giuria possa essere stata in concreto influenzata o vi sia stato un errore nell'abbinamento a posteriori dei nominativi dei progettisti con i progetti.
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L'estensione alle procedure di affidamento di contratti pubblici dei principi e delle regole in materia di responsabilità precontrattuale comporta che l'amministrazione aggiudicatrice in tanto può ritenersi soggetta alle conseguenze derivanti dall'art. 1337 cod. civ., in quanto la gara sia giunta ad uno stadio tale da avere ingenerato nel concorrente la ragionevole aspettativa di conseguire l'aggiudicazione e dunque la stipulazione del contratto. In altri termini, occorre che quest'ultimo veda frustrato un affidamento consolidato in ordine alla favorevole conclusione della procedura di gara.
A quest'ultimo riguardo, secondo una giurisprudenza ormai consolidata di questo Consiglio di Stato, solo con l'aggiudicazione definitiva può dirsi sorto un affidamento meritevole di tutela e risarcibile a titolo di responsabilità precontrattuale. Sotto questo profilo, è comune l'affermazione secondo cui una volta emesso l'atto terminale della procedura selettiva di evidenza pubblica, il concorrente destinatario può in effetti vantare un affidamento tutelabile a titolo di responsabilità precontrattuale, poiché la sua offerta, individuata come la migliore dalla commissione di gara, è stata ritenuta tale anche dalla stazione appaltante, attraverso l'approvazione dell'aggiudicazione provvisoria (art. 12, c. 1, d.lgs. n. 163/2006).
In questa prospettiva diviene pertanto fondamentale il passaggio dall'aggiudicazione provvisoria a quella definitiva, giacché la prima, stante il suo carattere meramente interinale e non conclusivo di questo provvedimento, non è idonea a configurare alcun affidamento sull'esito positivo della procedura di gara.
Quindi, l'ipotesi tipica di responsabilità precontrattuale dell'amministrazione è quella in cui quest'ultima, dopo avere definitivamente aggiudicato una gara, decida di ritirarla in autotutela o comunque non addivenga alla stipula del contratto (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 14.04.2015 n. 1864 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI SERVIZIIl Collegio ritiene che la misura di cui all'art. 8, comma 8, lett. a), del d.l. 66/2014 (ndr: riduzione unilaterale del corrispettivo contrattuale del 5%) non sia applicabile ai contratti aventi ad oggetto il servizio di igiene urbana finanziati a tariffa.
Vale precisare che per eventuali altre prestazioni, eventualmente acquistate in concreto con il medesimo contratto e remunerate mediante l'erogazione di un corrispettivo diversamente convenuto fra le parti, l'esercizio di tale facoltà rimane impregiudicato e rimesso a quelle valutazioni discrezionali dell'amministrazione, che ordinariamente devono precedere la scelta di applicare la riduzione unilaterale autorizzata dalla norma esaminata.
Al riguardo,
è bene richiamare l'attenzione sull'impatto che la misura può avere in termini di riduzione della controprestazione acquistata e di eventuale recesso anticipato dell'altro contraente, conseguenze che richiedono l'accurata ponderazione caso per caso, in base ai contenuti dei singoli atti negoziali di acquisto di beni e servizi, della possibilità effettiva di rinegoziare un nuovo equilibrio sinallagmatico secondo canoni di convenienza economica e senza pregiudicare l'interesse pubblico da soddisfare.
Rientra, in altre parole, nella discrezionalità e responsabilità dell'amministrazione valutare “ex ante” la sostenibilità giuridica e la praticabilità concreta dell'operazione, onde neutralizzare i rischi di effetti indesiderati e sul piano finanziario contrastanti con gli stessi obiettivi cui la misura è finalizzata.
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Con la nota citata in epigrafe, prodotta espressamente ai sensi dell’art. 7, comma 8, della legge 05.06.2003, n. 131, il Sindaco del Comune di Sant’Oreste, per il tramite del Consiglio delle Autonomie locali del Lazio (CAL - Lazio), ha chiesto di conoscere il parere della Sezione in ordine all’applicabilità dell’art. 8, comma 8, lett. a), del d.l. 24.04.2014, n. 66, convertito con modificazioni dalla legge 23.06.2014, n. 89, ai contratti concernenti il “settore dell’igiene urbana ed ambientale.
La riduzione unilaterale del 5% del corrispettivo pattuito, con facoltà di rinegoziare il contenuto contrattuale, contemplata dalla predetta norma quale misura specifica di concorso al perseguimento degli obiettivi programmati di riduzione della spesa di beni e servizi di cui ai commi 4-7, riguarderebbe -secondo quanto esplicitato in atti– il contratto in fase di stipula per l’affidamento, previa aggiudicazione definitiva perfezionatasi in data 03.06.2014, del “servizio di igiene urbana, servizi accessori e fornitura di attrezzature e materiali d’uso per la raccolta differenziata” in territorio comunale.
L’istante espone, a sostegno dei dubbi espressi, talune argomentazioni avanzate in dottrina e tendenti ad escludere i detti contratti dall’ambito applicativo della norma in argomento.
...
Nel merito, il Collegio ritiene che per risolvere la prospettata questione, in punto di diritto ed impregiudicata ogni valutazione rientrante nella discrezionalità dell’Amministrazione richiedente, non si possa prescindere dal rilevare come
la riduzione del corrispettivo contrattuale prevista dall’art. 8, comma 8 lett. a), del d.l. 66/2014 costituisca misura discrezionale, per tabulas finalizzata al conseguimento di obiettivi macroeconomici di abbattimento della spesa corrente e, specificamente, della componente individuata dalla stessa norma al comma 4 come destinata agli acquisti di beni e servizi, con conseguente recupero di maggiori margini di manovra finanziaria pubblica.
Si tratta di obiettivi cogenti anche per gli Enti Locali che sono chiamati a concorrervi pro-quota nella misura e con modalità all'uopo legislativamente fissate.
Ed in effetti, il successivo art. 47 configura un meccanismo preciso di riduzione delle risorse pubbliche destinabili alla copertura della spesa corrente dei detti Enti, che opera in modo differenziato in relazione alle peculiarità dei rispettivi rapporti finanziari con lo Stato e che per i Comuni si sostanzia in minori erogazioni a carico del fondo di solidarietà comunale.
In tale ambito, si inquadrano i tagli inerenti agli interventi sulla spesa corrente comunale per acquisti di beni e servizi, qualificati come risparmi di spesa non già per il bilancio del singolo ente interessato, bensì in una più ampia prospettiva di sostenibilità dei conti pubblici consolidati e quantificati in misura proporzionale alla spesa media sostenuta nell’ultimo triennio relativamente a voci classificate secondo i codici SIOPE elencati in apposita Tabella A, annessa al decreto legge ed ivi espressamente richiamata. Con le stesse modalità è specularmente individuata, ex art. 47, comma 9, la riduzione delle erogazioni spettanti a carico del fondo di solidarietà comunale.
L' elencazione delle voci di cui alla citata Tabella A è da ritenersi tassativa proprio perché finalizzata a concretizzare gli obblighi di compartecipazione dei singoli Comuni al conseguimento degli indicati obiettivi generali di finanza pubblica (in senso parzialmente contrario, cfr. Sez. regionale di controllo Lombardia deliberazione 24/2015/PAR). Si tratta, infatti, di un parametro normativo di calcolo che, ad avviso del Collegio, risponde a quelle esigenze di certezza alle quali vanno fisiologicamente improntati i rapporti finanziari fra Stato ed Enti Locali nel sistema di finanza pubblica allargata, anche per garantire la regolarità della pianificazione di bilancio rimessa all’autonomia comunale, esigenze che rimarrebbero frustrate ove il parametro stesso fosse considerato meramente indicativo.
In proposito, peraltro,
non si può omettere di osservare come, dagli ambiti di spesa in relazione ai quali individuare gli obiettivi obbligatori di risparmio ricadenti sui singoli Comuni sia stato espunto, per scelta legislativa operata in sede di conversione del d.l. 66/2014, proprio quello concernente i contratti di servizio per smaltimento rifiuti, contrassegnato dal codice SIOPE S1303, e come, perciò, tale voce di spesa non possa concorrere in alcun modo a determinare la base di calcolo delle riduzioni proporzionali di cui trattasi.
Ciò posto, occorre chiedersi se tali ambiti di spesa segnino con la stessa tassatività anche il perimetro dell'azione di contenimento contemplata dall'art. 8, comma 4, e così pure il limite dell'autorizzazione, strumentalmente ad essa correlata in modo espresso, ad esercitare la facoltà unilaterale di riduzione dell’importo contrattuale di cui al comma 8, lett. a), riconosciuta al contraente pubblico in deroga ai principi civilistici in tema di accordo, per finalità di salvaguardia degli equilibri di finanza pubblica.
Sul punto, il Collegio ritiene sussistenti argomentazioni di ordine letterale e sistematico che portano ad escludere tale ulteriore valenza dell’elencazione delle spese sopra richiamata.
Depone in questa direzione innanzitutto la lettera del comma 4, per la quale la riduzione della spesa di beni e servizi è testualmente riferibile ad “ogni settore”.
Sembrerebbe, poi, di difficile riconduzione a logica coerenza -in un contesto caratterizzato dal riconoscimento espresso di autonomia degli Enti interessati nella scelta di misure alternative di riduzione della spesa corrente (art. 47, comma 12)- ipotizzare preclusioni, a monte ed in astratto, proprio delle iniziative di risparmio autorizzate per indirizzare l’azione di contenimento nell'ambito degli acquisti di beni e servizi, cui il legislatore ha inteso riservare prioritaria attenzione per riqualificare la spesa corrente.
Per quanto sopra detto,
si ritiene non sostenibile la tesi per la quale l'esclusione dei contratti di appalto del servizio di igiene urbana dal novero di quelli per i quali è esercitabile la facoltà unilaterale di abbattimento dell’importo contrattuale deriverebbe indirettamente dalla sola mancata menzione dei medesimi nella tabella A di cui all’art. 47, comma 9, lett. a), primo alinea.
A tale conclusione si può, peraltro, pervenire per considerazioni diverse che attengono alla configurazione astratta della misura in termini di idoneità al conseguimento degli obiettivi di risparmio, come delineati dalle norme in esame.
Così concepita, infatti,
la misura per sua natura si attaglia ai contratti di tipo sinallagmatico caratterizzati dallo scambio tra la prestazione richiesta al contraente privato ed il pagamento, da parte del contraente pubblico, di un prezzo la cui riduzione sottende un minore esborso a carico del bilancio.
Solo con riguardo a questi contratti, tra l'altro, è possibile ipotizzare la rinegoziazione “iure privatorum” del contenuto contrattuale, con contrazione della controprestazione, contemplata espressamente dalla norma all’esame a fronte dell’esercizio della facoltà di riduzione del prezzo originariamente pattuito, anche con riferimento a contratti già in corso di esecuzione e limitatamente alla loro durata residua.
Esula da questo schema, viceversa, il servizio di igiene urbana che, secondo la pertinente normativa di settore, è obbligatoriamente finanziato con apposite entrate tariffarie, strutturalmente determinate sulla base della pianificazione analitica dei costi del servizio dedotta nel contratto di affidamento e di regolazione dei rapporti con il soggetto gerente.
L’abbattimento dell’importo contrattuale in queste fattispecie, pertanto, si rivelerebbe finanziariamente neutro per i conti pubblici in quanto dovrebbe essere compensato da una riduzione di corrispondente valore della tariffa gravante sui cittadini destinatari del servizio, effetto diverso dal risparmio di spesa di cui trattasi.
Esso, poi, non sarebbe non altrimenti conseguibile se non mediante la previa rideterminazione del piano economico-finanziario del servizio, alla quale la ridefinizione del regime tariffario, varata dall’ente interessato nell’esercizio di poteri pubblicistici, è strettamente correlata.

E ciò ne evidenzia la difficile compatibilità sul piano giuridico con la salvaguardia dell’originario affidamento, mantenendo l'erogazione di un servizio con caratteristiche corrispondenti a quelle convenute e senza esiti contenziosi.
Per le esposte ragioni,
il Collegio ritiene che la misura di cui all'art. 8, comma 8, lett. a), non sia applicabile ai contratti aventi ad oggetto il servizio di igiene urbana finanziati a tariffa, ferme comunque le esigenze di razionalizzazione dei costi a beneficio dell'utenza di cui l'ente locale è responsabilmente tenuto a farsi carico.
Vale precisare che per eventuali altre prestazioni, eventualmente acquistate in concreto con il medesimo contratto e remunerate mediante l'erogazione di un corrispettivo diversamente convenuto fra le parti, l'esercizio di tale facoltà rimane impregiudicato e rimesso a quelle valutazioni discrezionali dell'amministrazione, che ordinariamente devono precedere la scelta di applicare la riduzione unilaterale autorizzata dalla norma esaminata.
Al riguardo,
è bene richiamare l'attenzione sull'impatto che la misura può avere in termini di riduzione della controprestazione acquistata e di eventuale recesso anticipato dell'altro contraente, conseguenze che richiedono l'accurata ponderazione caso per caso, in base ai contenuti dei singoli atti negoziali di acquisto di beni e servizi, della possibilità effettiva di rinegoziare un nuovo equilibrio sinallagmatico secondo canoni di convenienza economica e senza pregiudicare l'interesse pubblico da soddisfare.
Rientra, in altre parole, nella discrezionalità e responsabilità dell'amministrazione valutare “ex ante” la sostenibilità giuridica e la praticabilità concreta dell'operazione, onde neutralizzare i rischi di effetti indesiderati e sul piano finanziario contrastanti con gli stessi obiettivi cui la misura è finalizzata (Corte dei Conti, Sez. controllo Lazio, parere 14.04.2015 n. 48).

APPALTI FORNITURE E SERVIZI: Nomina del RUP per gli affidamenti di beni e servizi.
La disciplina del RUP nel settore dei contratti pubblici è contenuta nell'art. 10, D.Lgs. n. 163/2006, e, specificamente per le forniture e i servizi, negli artt. 272 e 273 del D.P.R. n. 207/2010.
L'art. 10 del codice dei contratti pubblici prevede che il responsabile del procedimento sia un dipendente di ruolo o un dipendente in servizio, mentre l'art. 272, comma 4, del Regolamento attuativo richiede specificamente che il RUP sia un funzionario, anche di qualifica non dirigenziale.
Il comma 4 richiamato consente l'attribuzione dell'incarico di RUP a soggetti non muniti di qualifica dirigenziale, e quindi a funzionari muniti di funzioni dirigenziali (titolari di posizione organizzativa, nel sistema degli enti locali del FVG); peraltro, ai sensi di detta norma, come osservato dal Consiglio di Stato, sembra possibile l'attribuzione anche a dipendenti appartenenti alle categorie immediatamente inferiori a quella dirigenziale (e dunque che abbiano almeno il livello occupazionale di categoria D, avuto riguardo al sistema di classificazione del personale degli enti locali del FVG).

Il Comune chiede se sia possibile nominare responsabile unico di procedimento (RUP) personale di categoria C, ai fini dell'acquisizione del CIG per le gare relative a beni e servizi
[1]. Il Comune ha meno di 5.000 abitanti e non ha personale con qualifica dirigenziale o titolare di posizione organizzativa, ed è stata attribuita la responsabilità di tutti i servizi al Sindaco, ai sensi della L. n. 388/2000 [2].
Si ritiene, in via preliminare, di esprimere alcune considerazioni sulla disciplina generale del responsabile del procedimento contenuta nella L. n. 241/1990
[3] (artt. 4, 5 e 6), per poi concentrare l'attenzione su quella speciale, nel settore degli appalti pubblici, dettata dall'art. 10, D.Lgs. n. 163/2006 [4], e poi ulteriormente specificata, per le forniture e i servizi, dagli articoli 272 e 273 del regolamento attuativo approvato con D.P.R. n. 207/2010 [5].
L'art. 5, comma 1, L. n. 241/1990, dispone che 'il dirigente di ciascuna unità organizzativa provvede ad assegnare a sé o ad altro dipendente addetto all'unità la responsabilità dell'istruttoria e di ogni altro adempimento inerente il singolo procedimento, nonché, eventualmente, dell'adozione del provvedimento finale'
[6].
Specificamente, la competenza all'adozione del provvedimento finale discende dalla posizione giuridica e professionale di dirigente (nonché, negli enti locali privi di qualifica dirigenziale, di titolare di posizione organizzativa, incarico, questo, che comporta il conferimento di funzioni dirigenziali, ai sensi dell'art. 42 del CCRL del 07.12.2006), al quale, ai sensi dell'art. 107, comma 2, D.Lgs. n. 267/2000, è attribuita la competenza all'adozione di atti e provvedimenti che impegnano l'amministrazione verso l'esterno, nell'ambito del suo potere di gestione finanziaria, tecnica e amministrativa.
Solo in capo a detti soggetti -muniti di qualifica dirigenziale o titolari di posizione organizzativa- sussiste la competenza ad emanare atti che impegnano la p.a. verso l'esterno.
Conferma di un tanto si ha dalla combinazione della previsione di cui all'art. 5, comma 1, L. n. 241/1990, richiamato, che prevede eventualmente l'adozione del provvedimento finale da parte del responsabile del procedimento, e della previsione di cui all'art. 6, comma 1, lett. e), della medesima legge, che prescrive che il responsabile del procedimento adotti il provvedimento finale 'ove ne abbia la competenza', ovvero, in caso contrario, impone la trasmissione degli atti all'organo competente per l'adozione.
In proposito, il Consiglio di Stato chiarisce che l'attribuzione delle funzioni di responsabile del procedimento implica l'assegnazione della responsabilità dell'istruttoria e di ogni altro adempimento inerente al procedimento, rimanendo 'solo eventuale' l'adozione del provvedimento finale con effetti esterni
[7], che, come detto sopra compete al dirigente (o titolare di posizione organizzativa munito di funzioni dirigenziali).
Venendo alla questione in esame, relativa al soggetto che può essere nominato RUP nel settore dei contratti pubblici, ai fini dell'acquisizione del CIG nelle procedure di affidamento di beni e servizi, in particolare se possa essere un appartenente alla categoria C, viene in considerazione la disciplina specifica in materia recata dal D.Lgs. n. 163/2006 e dal relativo regolamento attuativo, D.P.R. n. 207/2010.
Al riguardo, si precisa che le riflessioni che seguono sono improntate, in via collaborativa, a criteri prudenziali e di ragionevolezza, alla luce di alcuni spunti offerti dalla giurisprudenza e dalla dottrina, evidenziando, peraltro, come non sia allo stato possibile addivenire ad una interpretazione univoca delle norme statali in argomento.
L'art. 10, D.Lgs. n. 163/2006, prevede che il responsabile del procedimento: svolge tutti i compiti relativi alle procedure di affidamento previste dal Codice dei contratti pubblici, che non siano specificamente attribuiti ad altri organi o soggetti (comma 2); deve possedere titolo di studio e competenza adeguati in relazione ai compiti per cui è nominato e, per le amministrazioni aggiudicatrici, deve essere un dipendente di ruolo, o anche un dipendente in servizio, in caso di accertata carenza di dipendenti di ruolo in possesso di professionalità adeguate (comma 5). Il medesimo art. 10 rinvia al regolamento di attuazione la determinazione dei requisiti di professionalità richiesti al responsabile del procedimento (comma 6).
L'art. 272 del Regolamento dispone che il RUP è nominato 'contestualmente alla decisione di procedere all'acquisizione' (comma 1) e che 'il responsabile del procedimento è un funzionario, anche di qualifica non dirigenziale, dell'amministrazione aggiudicatrice' (comma 4).
Con riguardo alla qualifica del RUP, si osserva il carattere specificativo del comma 4 dell'art. 272 del Regolamento rispetto alle prescrizioni del Codice dei contratti pubblici.
Infatti, mentre l'art. 10, D.Lgs. n. 163/2006, prevede che il responsabile del procedimento sia un dipendente di ruolo o un dipendente in servizio, il comma 4 dell'art. 272 del D.P.R. n. 207/2010 richiede specificamente che il RUP sia un 'funzionario, anche di qualifica non dirigenziale'.
Il tenore letterale del comma 4 in argomento è chiaro nel consentire l'attribuzione dell'incarico di RUP a soggetti non muniti di qualifica dirigenziale, e dunque a funzionari muniti di funzioni dirigenziali (titolari di posizione organizzativa, nel sistema degli enti locali del FVG)
[8], nonché, come osservato dal Consiglio di Stato, a dipendenti appartenenti alle categorie immediatamente inferiori a quella dirigenziale [9].
Quest'ultima ipotesi potrebbe, infatti, verificarsi qualora, come nel caso in esame, le unità organizzative per gli approvvigionamenti siano sprovviste sia di personale dirigenziale che incaricato di posizione organizzativa, per cui ad essere investiti del ruolo di RUP potrebbero essere i dipendenti delle qualifiche immediatamente inferiori a quella dirigenziale
[10], e dunque che abbiamo almeno il livello occupazionale di categoria D, avuto riguardo al sistema di classificazione del personale degli enti locali del FVG.
Si precisa, come già detto sopra con riferimento alla disciplina generale del responsabile del procedimento, che un RUP non munito di qualifica dirigenziale o di funzioni dirigenziali sarà legittimato a compiere unicamente atti privi di rilevanza esterna
[11].
La possibilità di nominare RUP dipendenti di categoria immediatamente inferiore a quella dirigenziale è stata espressa dal Consiglio di Stato con riferimento, invero, al settore delle opere pubbliche, nella vigenza della L. n. 109/1994
[12], che prevedeva che il RUP dovesse essere un tecnico con competenze professionali adeguate alle caratteristiche dell'intervento da svolgere [13]. Con riferimento alla questione della possibilità che il RUP potesse non essere un dirigente, il Consiglio di Stato ha espresso la posizione di apertura alle categorie immediatamente inferiori, nel quadro di un'impostazione che il Supremo Giudice amministrativo reputa valida non solo in materia di lavori pubblici, ma in termini generali per ogni tipo di procedimento amministrativo, ai sensi della L. n. 241/1990, e che appare del resto attuale alla luce della normativa vigente in materia [14].
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[1] Il Comune aderisce ad Unione, ai sensi della L.R. n. 1/2006, nell'ambito della quale opera il Servizio Centrale Unica di Committenza, cui spettano gli adempimenti relativi alle procedura di gara per la scelta del contraente, mentre l'acquisizione del CIG compete ai singoli comuni aderenti, così come la stipula del contratto, secondo quanto previsto dal Regolamento di organizzazione sul funzionamento della Centrale Unica di Committenza dell'Unione.
[2] L. 23.12.2000, n. 388, recante: 'Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato'. Vedi, in particolare, l'art. 53, comma 23, che consente ai Comuni con popolazione inferiore a 5.000 abitanti di attribuire ai componenti dell'organo esecutivo la responsabilità degli uffici e dei servizi e il potere di adottare atti anche di natura tecnica gestionale.
[3] L. 07.08.1990, n. 241, recante: 'Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi'. Questa legge ha introdotto la figura del RUP nell'ambito dell'azione amministrativa con una disciplina generale che l'art. 2, comma 3, D.Lgs. n. 163/2006 (Codice dei contratti pubblici), richiama per tutti quegli aspetti non espressamente disciplinati dal Codice.
[4] D.Lgs. 12.04.2006, n. 163, recante: 'Codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture in attuazione delle direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE'.
[5] D.P.R. 05.10.2010, n. 207, recante: «Regolamento di esecuzione ed attuazione del decreto legislativo 12.04.2006, n. 163, recante: 'Codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture in attuazione delle direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE'»
[6] Il comma successivo stabilisce che, fino a quando non sia effettuata tale assegnazione, è considerato responsabile del singolo procedimento il funzionario preposto all'ufficio stesso, che assume la veste di responsabile di tutti i procedimenti, a partire dal loro impulso fino alla loro conclusione.
[7] Consiglio di Stato, parere n. 304 del 03.03.2004.
[8] In questo senso, in dottrina, v. Aldo Gurrieri, Il Responsabile del procedimento negli appalti di beni e servizi (con particolare riferimento alle Aziende del S.S.N.), pubblicazione del 02.03.2009 su www.diritto.it. Per l'autore, di norma il ruolo di RUP dovrebbe essere affidato a dirigenti, ovvero, in assenza di dipendenti con qualifica dirigenziale, a funzionari titolari di posizione di elevata responsabilità (previste dai contratti collettivi di settore) muniti di funzioni dirigenziali.
[9] Consiglio di Stato, sez. I, parere 03.03.2004, n. 204.
[10] Cfr., in dottrina, Aldo Guerrieri, cit., secondo cui nei casi eccezionali in cui le strutture per l'approvvigionamento si trovano sprovviste sia di personale dirigenziale sia di personale con incarico di posizione organizzativa, il responsabile di struttura può dirigere la designazione del R.U.P. su qualunque dipendente in servizio, senza però poter prescindere dal tenere nel dovuto conto l'inquadramento professionale dei dipendenti e le relative sfere di competenza (risultanti oltre che dai contratti - individuale e collettivo - anche da atti di conferimento di incarichi e atti di delega).
[11] Cfr. Consiglio di Stato, n. 204/2004, cit., secondo cui lungi da potersi affermare che dai compiti propri del responsabile del procedimento debba trarsi la qualifica (necessariamente dirigenziale) del soggetto da nominare, è vero invece che quei compiti possono in concreto diversamente specificarsi in relazione alla qualifica (eventualmente dirigenziale) posseduta dal singolo responsabile del procedimento. Specificamente, i compiti del responsabile del procedimento non implicano che lo stesso debba compiere ogni singolo atto in cui il procedimento si articola, che a seconda delle specifiche competenze richieste, potrà essere affidato ad altri dipendenti addetti all'unità organizzativa o riservato, una volta debitamente istruito, al dirigente della stessa unità.
[12] Legge 11.02.1994, n. 109, recante 'La nuova legge quadro in materia di lavori pubblici', abrogata dal D.Lgs. 12.04.2006, n. 163. In attuazione della L. n. 109/1994 è stato emanato il D.P.R. 21.12.1999, n. 554, recante: 'Regolamento di attuazione della legge quadro 11.02.1994, n. 109, e successive modificazioni', abrogato dal D.P.R. 05.10.2010, n. 207.
[13] La questione è stata risolta espressamente, nel senso che il RUP non è necessariamente un dirigente, sia per le opere pubbliche che per le forniture e servizi, dal D.P.R. n. 207/2010 (rispettivamente, art. 9, comma 4, e art. 272, comma 4).
[14] Il Consiglio di Stato muove dall'art. 7 della L. n. 109/1994, secondo cui il soggetto che può essere nominato RUP deve essere un tecnico con competenze professionali adeguate alle caratteristiche dell'intervento da svolgere. Del pari, ai sensi dell'art. 7 del D.P.R. n. 554/1999, il responsabile del procedimento è un tecnico in possesso di titolo di studio adeguato alla natura dell'intervento da realizzare, abilitato all'esercizio della professione o, quando l'abilitazione non sia prevista dalle norme vigenti, è un funzionario con idonea professionalità, e con anzianità di servizio in ruolo non inferiore a cinque anni.
L'art. 10, D.Lgs. n. 163/2006, riferito sia ai lavori che alle forniture e servizi, riproduce l'art. 7, L. n. 109/1994, mentre il D.P.R. n. 207/2010 introduce, agli artt. 272 e 273, una disciplina specifica per le procedure di affidamento di servizi e forniture. In particolare le considerazioni espresse dal Consiglio di Stato con riferimento alla figura del RUP delineata dalla L. n. 109/1994, di un tecnico abilitato alla professione o di un funzionario con professionalità adeguata, ben sembrano attagliarsi alla disciplina vigente del RUP, di cui al D.Lgs. 163/2006 e al D.P.R. n. 207/2010, per cui questi deve avere competenza e professionalità adeguate e specificamente essere un funzionario per gli affidamenti relativi ai servizi e forniture
(08.04.2015 - link a www.regione.fvg.it).

APPALTI: Gli obblighi associativi per gli acquisti.
DOMANDA:
Quali sono gli obblighi associativi dei comuni non capoluogo di Provincia con popolazione inferiore a 10.000 abitanti in relazione all'acquisto di lavori, beni e servizi?
RISPOSTA:
Al fine di fornire una risposta esaustiva al parere richiesto, pare utile richiamare brevemente la normativa che disciplina gli istituti in esame.
In base al primo periodo del riformulato comma 3-bis dell'art. 33 del Codice, i Comuni non capoluogo di provincia procedono all'acquisizione di lavori, beni e servizi facendo ricorso a tre modelli organizzativi strutturati e ad uno più flessibile:
a) Unioni dei comuni costituite in base all'articolo 32 del decreto legislativo 15.08.2000, n. 267, ove esistenti (Comuni non capoluogo possono essere già parte dell'Unione o possono decidere di associarsi ad un'Unione già costituita);
b) soggetto aggregatore, inteso secondo la definizione desumibile dal comma 1 dell'art. 9 del d.l. n. 66/2014 conv. l. n. 89/2014, pertanto individuabile, allo stato attuale, nella Consip s.p.a. e nelle centrali di committenza regionali; in base a quanto previsto dal comma 2 dello stesso art. 9, il novero dei soggetti aggregatori può risultare ampliato in base alla progressiva iscrizione all'elenco speciale presso l'AUSA;
c) Province, ai sensi della legge 07.04.2014, n. 56; il comma 88 dell'art. 1 della stessa legge di riforma stabilisce infatti che la Provincia può, d'intesa con i Comuni, esercitare le funzioni di predisposizione dei documenti di gara, di stazione appaltante, di monitoraggio dei contratti di servizio e di organizzazione di concorsi e procedure selettive, assumendo pertanto il ruolo di Stazione Unica Appaltante (SUA);
d) apposito accordo consortile tra Comuni, avvalendosi dei competenti uffici anche delle Province.
Il d.l. 66/2014, stabilisce all'art. 9, commi 1 e 2, che la veste di soggetto aggregatore è riconosciuta, ipso iure, a Consip S.p.A. e ad una centrale di committenza per ciascuna regione, qualora costituita ai sensi dell'articolo 1, comma 455, della legge 27.12.2006, n. 296 ("le regioni possono costituire centrali di acquisto"). Tale natura, inoltre, può essere attribuita dall'A.N.A.C. anche ai soggetti diversi da quelli in precedenza citati che svolgono attività di centrale di committenza ai sensi dell'art. 33 d.lgs. 163/2006 (ossia alle centrali uniche di committenza già costituite sotto la vigenza del precedente art. 33, comma 3-bis), attraverso l'iscrizione all'elenco dei soggetti aggregatori. Conseguentemente, nella Determinazione n. 3 del 25.02.2015, l'ANAC specifica che la nozione di soggetto aggregatore presuppone, quanto a funzione, quella di centrale di committenza, ma "si tratta di centrale di committenza "qualificata" ed "abilitata" (ex lege o tramite preventiva valutazione dell'A.N.AC. e successiva iscrizione nell'apposito elenco) all'approvvigionamento di lavori, beni e servizi per conto dei soggetti che se ne avvalgono".
L'art. 9, comma 2, del cit. d.l. 66/2014 prevede che, con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, da emanarsi entro 60 giorni dalla data di entrata in vigore del decreto, previa intesa con la Conferenza unificata, sono definiti i requisiti per l'iscrizione, tra cui il carattere di stabilità dell'attività di centralizzazione, nonché i valori di spesa ritenuti significativi per le acquisizioni di beni e di servizi con riferimento ad ambiti, anche territoriali, da ritenersi ottimali ai fini dell'aggregazione e della centralizzazione della domanda.
Il relativo d.p.c.m. è stato emanato in data 11.11.2014 e pubblicato sulla G.U. Serie Generale n. 15 del 20.01.2015.
L'art. 2, comma 1, del d.p.c.m. prevede che "Richiedono l'iscrizione all'elenco dei soggetti aggregatori, se in possesso dei requisiti di cui al successivo comma 2, i seguenti soggetti o i soggetti da loro costituiti che svolgano attività di centrale di committenza ai sensi dell'art. 33 del decreto legislativo 12.04.2006, n. 163 con carattere di stabilità, mediante un'organizzazione dedicata allo svolgimento dell'attività di centrale di committenza, per il soddisfacimento di tutti i fabbisogni di beni e servizi dei relativi enti locali:
a) città metropolitane istituite ai sensi della legge 07.04.2014, n. 56 e del decreto legislativo 17.09.2010, n. 156 e le province
b) associazioni, unioni e consorzi di enti locali, ivi compresi gli accordi tra gli stessi comuni resi in forma di convenzione per la gestione delle attività ai sensi del decreto legislativo 18.08.2000, n. 267
".
Ai fini dell'iscrizione all'elenco dei soggetti aggregatori, i soggetti di cui alle lettere a) e b) del comma 1, devono nei tre anni solari precedenti la richiesta, avere pubblicato bandi e/o inviato lettera di invito per procedure finalizzate all'acquisizione di beni e servizi di importo a base di gara pari o superiore alla soglia comunitaria, il cui valore complessivo sia superiore a 200.000.000 euro nel triennio e comunque con un valore minimo di 50.000.000 euro per ciascun anno. In sede di prima attuazione del presente decreto, rileva ai fini del possesso del requisito il triennio 2011- 2012-2013.
Ai fini del possesso del requisito relativo al valore delle procedure, si tiene conto anche delle procedure avviate dai singoli enti locali facenti parte dell'associazione, unione, consorzio o accordi tra gli stessi comuni resi in forma di convenzione per la gestione delle attività.
I soggetti che intendono essere iscritti all'elenco dei soggetti aggregatori dovranno inviare, entro venerdì 17.04.2015, richiesta formale all'ANAC - Ufficio UMABS, con il file Excel corredato da tutte le informazioni richieste (cfr. Determinazione 2/2015 del 3 marzo u.s.).
Nella richiesta i candidati dovranno dichiarare:
- che essi o i soggetti da loro costituiti "svolgono attività di centrale di committenza ai sensi dell'art. 33 del DLGS 163/2006 con carattere di stabilità, mediante un'organizzazione dedicata allo svolgimento dell'attività di centrale di committenza, per il soddisfacimento di tutti i fabbisogni di beni e servizi dei relativi enti locali";
- che le informazioni fornite tramite file Excel corrispondono al vero;
- per le città metropolitane che esse "sono state istituite ai sensi della legge 07.04.2014 n. 56 e del D.Lgs. 17.09.2010 n. 156" e i riferimenti dell'atto istitutivo;
- per le associazioni, unioni e consorzi di enti locali, compresi gli accordi tra gli stessi comuni resi in forma di convezione per la gestione delle attività, che sono costituiti "ai sensi del D.Lgs. 18.08.2000 n. 267" e i riferimenti dell'atto costitutivo.
L'Autorità procede, sentita la Conferenza Unificata, all'iscrizione all'elenco dei soggetti aggregatori richiedenti secondo un ordine decrescente basato sul più alto valore complessivo delle procedure avviate, fino al raggiungimento del numero massimo complessivo dei soggetti aggregatori di cui all'art. 9, comma 5, del d.l. 66/2014 (trentacinque), comprensivo dei soggetti facenti parte dell'elenco ai sensi dell'art. 9, comma 1, del medesimo decreto (venti regioni + Consip).
Per i soggetti che non riuscissero, quest'anno, ad ottenere il riconoscimento di soggetto aggregatore, si evidenzia che l'ANAC entro il 30.09.2017 e, successivamente, ogni tre anni, procederà all'aggiornamento dell'elenco. A tal fine, i soggetti aggregatori già iscritti -con esclusione di Consip e dei soggetti aggregatori individuati dalle regioni di riferimento per i quali la stessa regione provvede a comunicare contestualmente eventuali modifiche- che intendano mantenere l'iscrizione all'elenco, ovvero i soggetti in possesso dei requisiti di cui all'art. 2 e non iscritti all'elenco, inviano, secondo le modalità operative di cui all'art. 3, comma 1, la relativa richiesta all'ANAC che procede all'aggiornamento.
In base alla normativa richiamata si può riassumere, in estrema sintesi, che i Comuni non capoluogo di provincia procedono all'acquisizione di lavori, beni e servizi tramite:
- Unione ex art. 32 Tuel;
- convenzione ex art. 30 Tuel (cd. "accordo consortile");
- Provincia, in qualità di Stazione Unica Appaltante (SUA);
- soggetto aggregatore (iscritto nell'elenco):
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1. Consip 2. centrali di acquisto regionali 3. soggetti iscritti nell'elenco dei soggetti aggregatori (città metropolitane, Province, associazioni, unioni e consorzi di enti locali, convenzioni tra Comuni, e soggetti da loro costituiti) (link a www.ancirisponde.ancitel.it).

marzo 2015

APPALTI: Il giudizio di verifica della congruità di un'offerta sospetta di anomalia, per giurisprudenza consolidata, ha natura globale e sintetica sulla serietà o meno dell'offerta nel suo insieme, con irrilevanza di eventuali singole voci di scostamento; esso non ha per oggetto “la ricerca di specifiche e singole inesattezze dell'offerta economica, essendo invero finalizzato ad accertare se l'offerta nel suo complesso sia attendibile e dunque se dia o meno serio affidamento circa la corretta esecuzione dell'appalto, rilevando che l’offerta nel suo complesso appaia “seria”.
Risulta diffusa, benché non pacifica, l’opzione giurisprudenziale secondo cui in tema di anomalia delle offerte, sussiste un puntuale ed analitico onere di motivazione “solo nel caso in cui l'Amministrazione esprima un giudizio negativo sulle giustificazioni”, mentre non sussiste nel caso di esito positivo della relativa verifica, essendo sufficiente in tal caso motivare il provvedimento per relationem alle giustificazioni presentate dal concorrente, sempre che esse non siano manifestamente illogiche.
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Nelle gare pubbliche il giudizio di anomalia o di incongruità dell'offerta espresso dalla stazione appaltante costituisce espressione di discrezionalità tecnica, sindacabile solo in caso di macroscopica illogicità o di erroneità fattuale che rendano palese l'inattendibilità complessiva dell'offerta, potendo quindi il giudice amministrativo sindacare tali valutazioni sotto il profilo della logicità, ragionevolezza ed adeguatezza dell'istruttoria, “ma senza procedere ad una autonoma verifica della congruità dell'offerta e delle singole voci, posto che ciò costituirebbe un'inammissibile invasione della sfera propria della Pubblica amministrazione.
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Dalle valutazioni effettuate dalla Cooperativa ... e vagliate dall’Amministrazione, non può invero verosimilmente escludersi la sussistenza di un margine pur esiguo di utile, atteso che anche un utile apparentemente modesto può comportare un vantaggio importante, in termini di ricadute positive quali la qualificazione ed il fatturato per le successive gare d’appalto specie nell’attuale contesto di recessione economica.

3. Venendo all’esame delle suddette censure, non ritiene il Collegio di poterle ritenere meritevoli di accoglimento, potendosi pertanto prescindere dall’esame delle eccezioni in rito, per ragioni di economia del giudizio.
Come noto, il giudizio di verifica della congruità di un'offerta sospetta di anomalia, per giurisprudenza consolidata, ha natura globale e sintetica sulla serietà o meno dell'offerta nel suo insieme, con irrilevanza di eventuali singole voci di scostamento; esso non ha per oggetto “la ricerca di specifiche e singole inesattezze dell'offerta economica, essendo invero finalizzato ad accertare se l'offerta nel suo complesso sia attendibile e dunque se dia o meno serio affidamento circa la corretta esecuzione dell'appalto, rilevando che l’offerta nel suo complesso appaia “seria” (ex multis Consiglio di Stato sez. V, 27.08.2014, n. 4368; id. sez. III, 09.07.2014, n. 3492; id. sez. IV, 23.07.2012, n. 4206; id. sez. V, 22.02.2011, n. 1090; id. sez. VI, 24.08.2011, n. 4801; TAR Puglia-Bari sez. I, 08.03.2012, n. 506).
Risulta diffusa, benché non pacifica, l’opzione giurisprudenziale secondo cui in tema di anomalia delle offerte, sussiste un puntuale ed analitico onere di motivazione “solo nel caso in cui l'Amministrazione esprima un giudizio negativo sulle giustificazioni”, mentre non sussiste nel caso di esito positivo della relativa verifica, essendo sufficiente in tal caso motivare il provvedimento per relationem alle giustificazioni presentate dal concorrente, sempre che esse non siano manifestamente illogiche (TAR Sicilia-Catania sez. III, 30.05.2012, n. 1416; Consiglio di Stato sez. III, 22.12.2014, n. 6349; id. sez. V, 18.04.2012, n. 1513; id. sez. V, 20.06.2011, n. 3675; id. 13.02.2010, n. 741; id. sez. V, 18.04.2012, n. 1513; TAR Puglia-Bari sez. I, 08.03.2012, n. 506).
3.1. Muovendo da tali preliminari considerazioni, ritiene il Collegio che, nel caso in esame, la verifica di congruità dell’offerta sospettata di anomalia effettuata dalla stazione appaltante -al di là di specifiche e singole incongruenze di alcuni voci indicate nell’offerta- sia immune dalle censure dedotte, alla luce delle giustificazioni fornite dall’interessata, non essendo imposto né dalla normativa né dalla lex specialis l’indicazione espressa dell’utile in sede di offerta economica.
3.2. Quanto ai costi per la promozione di attività culturali (gite e visite) la Cooperativa ACTL ha fornito dimostrazione della capacità di assorbirli al proprio interno, mediante l’utilizzo dei propri soci lavoratori (ben 450) senza necessità di rivolgersi al mercato esterno, così come per i costi per l’acquisto di spazi pubblicitari, laddove è stato parimenti chiarito che l’inserzione pubblicitaria non viene realizzata su giornali bensì mediante articoli di promozione del servizio sociale oggetto di affidamento, senza alcun costo.
3.3. Non priva di profili di incongruità, invece, pare la voce relativa ai costi c.d. amministrativi, stimati dalla ACTL in 625 euro, relativamente alla stipulazione del contratto, dal momento che l’art. 11, c. 13, del D.lgs. 163/2006 richiamato dalla difesa comunale, nel prevedere come alternativa alla forma pubblica amministrativa la stipulazione mediante scrittura privata semplice, va in realtà integrato dal R.D. 18.11.1923 n. 2440, tutt’ora vigente, i cui artt. 16 e 17 impongono la forma pubblica in ipotesi di affidamento mediante evidenza pubblica, con la conseguenza che soltanto le spese per diritti di segreteria ammonterebbero a 517,36 euro (tenuto conto della riduzione del 50% spettante alle Onlus) a cui aggiungersi 200,00 euro di spese fisse di registrazione, per un totale di 717,36 euro a cui debbono aggiungersi le spese per l’accensione delle richieste garanzie e per l’assicurazione RCO/RCT. Trattasi comunque di scostamenti marginali e di lieve entità del tutto irrilevanti ai fini della verifica di serietà dell’offerta nel suo insieme.
3.4. Ad ogni modo, pare al Collegio nel caso di specie del tutto tranciante, in punto di fatto, la sussistenza di una differenza davvero minima tra l’offerta economica della ricorrente (pari a 124.880,35 euro) e quella della controinteressata (pari a 123.445,00 euro) inferiore di soli circa 1.435,00 euro, risultando l’utile di impresa ipotizzabile se non identico del tutto equiparabile, in considerazione dello scopo non lucrativo delle cooperative sociali, rilevando solo la circostanza che la struttura dell'offerta sia tale da garantire uno svolgimento efficiente ed efficace del servizio, nel pieno perseguimento degli interessi pubblici della stazione appaltante (TAR Molise 24.09.2008, n. 714).
Considerazioni analoghe possono svolgersi anche per le altri “voci” asseritamente inattendibili, pur tenendosi sempre presente che nelle gare pubbliche il giudizio di anomalia o di incongruità dell'offerta espresso dalla stazione appaltante costituisce espressione di discrezionalità tecnica, sindacabile solo in caso di macroscopica illogicità o di erroneità fattuale che rendano palese l'inattendibilità complessiva dell'offerta, potendo quindi il giudice amministrativo sindacare tali valutazioni sotto il profilo della logicità, ragionevolezza ed adeguatezza dell'istruttoria, “ma senza procedere ad una autonoma verifica della congruità dell'offerta e delle singole voci, posto che ciò costituirebbe un'inammissibile invasione della sfera propria della Pubblica amministrazione” (Consiglio di Stato sez. V, 22.01.2015, n. 246).
Conclusivamente, non può dirsi che la quantificazione dei costi effettuata dall’aggiudicataria risulti in perdita atteso che dalle valutazioni effettuate dalla Cooperativa ACTL e vagliate dall’Amministrazione, non può invero verosimilmente escludersi la sussistenza di un margine pur esiguo di utile, atteso che anche un utile apparentemente modesto può comportare un vantaggio importante, in termini di ricadute positive quali la qualificazione ed il fatturato per le successive gare d’appalto (Consiglio di Stato sez. IV, 23.07.2012, n. 4206; id. sez. III, 11.04.2012, n. 2073) specie nell’attuale contesto di recessione economica (TAR Trentino Alto Adige 24.10.2013, n. 299).
Ritiene pertanto il Collegio che il giudizio di anomalia effettuato non presenti profili di illogicità, irragionevolezza o travisamento sindacabili da questo giudice (ex multis Consiglio di Stato sez. IV, 23.07.2012, n. 4206; TAR Puglia-Bari sez. I, 08.03.2012, n. 506) con conseguente infondatezza di tutte le censure di cui al I motivo di gravame (TAR Umbria, sentenza 14.03.2015 n. 114 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Come noto, la questione della possibilità per la Commissione di gara di introduzione di sub-criteri di valutazione predeterminati dal bando, in termini generali e sistematici, è stata lungamente dibattuta nell’arco temporale precedente l’entrata in vigore del Codice contratti pubblici, avendo anche ingenerato la rimessione alla Corte di Giustizia europea per la valutazione di compatibilità con il diritto comunitario.
Con l’entrata in vigore del Codice contratti pubblici approvato con D.lgs. 12.04.2006 n. 163, l’art. 83, c. 4, nel testo originario, ha previsto che “Il bando per ciascun criterio di valutazione prescelto prevede, ove necessario, i sub-criteri e i sub-pesi o i sub-punteggi. Ove la stazione appaltante non sia in grado di stabilirli tramite la propria organizzazione, provvede a nominare uno o più esperti con il decreto o la determina a contrarre, affidando ad essi l'incarico di redigere i criteri, i pesi, i punteggi e le relative specificazioni, che verranno indicati nel bando di gara. La commissione giudicatrice, prima dell'apertura delle buste contenenti le offerte, fissa in via generale i criteri motivazionali cui si atterrà per attribuire a ciascun criterio e sub-criterio di valutazione il punteggio tra il minimo e il massimo prestabiliti dal bando”.
Già in riferimento a tale primo testo normativo, parte della giurisprudenza aveva assunto orientamento non restrittivo in ordine ai poteri specificativi o integrativi delle prescrizioni del bando, richiedendo comunque quantomeno la condizione della fissazione di tali sub-parametri prima dell’apertura delle buste contenenti le offerte.
La Corte di Giustizia dell’Unione europea, con sentenza 24.01.2008 (proc. C-532/2006), ha precisato che "…tutti gli elementi presi in considerazione dall’autorità aggiudicatrice per identificare l’offerta economicamente più vantaggiosa e la loro importanza relativa siano noti ai potenziali offerenti al momento in cui presentano le offerte ... infatti i potenziali offerenti devono essere messi in condizione di conoscere, al momento della presentazione delle loro offerte, l’esistenza e la portata di tali elementi ... pertanto un’amministrazione aggiudicatrice non può applicare regole di ponderazione o sottocriteri per i criteri di aggiudicazione che non abbia preventivamente portato a conoscenza degli offerenti … gli offerenti devono essere posti su un piano di parità durante l’intera procedura, il che comporta che i criteri e le condizioni che si applicano a ciascuna gara debbano costituire oggetto di un’adeguata pubblicità da parte delle amministrazioni aggiudicatici".
A sua volta, la Commissione CE, con nota del 30.01.2008, ha avviato una procedura di infrazione contro lo Stato italiano proprio in riferimento alla sospetta incompatibilità del comma 4 dell’art. 83 Codice contratti pubblici con le direttive comunitarie 2004/18/CE e 2004/17/CE, in quanto consentiva alle commissione giudicatrici la fissazione di criteri motivazionali dei punti attribuiti alle offerte, non previsti nei documenti di gara.
Al fine di superare tale incompatibilità, il legislatore, mediante il terzo D.lgs. correttivo del Codice contratti pubblici (11.09.2008 n. 152) ha novellato il comma 4 del citato art. 83, eliminandone l’ultimo capoverso ed espungendo tout court il potere della Commissione di gara di specificare e dettagliare i criteri di valutazione, andando oltre anche le limitazioni imposte dal diritto comunitario.
Alla stregua della suddetta novella, tutti i criteri di valutazione delle offerte, nessuno escluso debbono essere dettagliatamente specificati nella lex specialis della procedura. La giurisprudenza si è pertanto consolidata nel ritenere illegittima la procedura di una gara di appalto per violazione dell’art. 83, c. 4, nel caso in cui i criteri di valutazione delle offerte non siano dettagliatamente indicati nel bando e la commissione abbia dovuto integrare, con più dettagliati sottocriteri la generica ripartizione del punteggio complessivamente previsto nella lex specialis.
Più di recente, il Consiglio di Stato ha ribadito che sia l’art. 83, c. 4, Codice contratti pubblici, nel testo novellato, sia il diritto comunitario impediscono che la Commissione, dopo la presentazione delle offerte, possa stabilire elementi di specificazione dei criteri generali previsti dalla lex specialis ai fini della valutazione delle offerte attraverso la previsione di sottovoci integrative, dovendo anche essi essere determinati dalla stessa disciplina di gara, eliminando ogni margine di discrezionalità in capo alla commissione.
Alla Commissione di gara, conclusivamente, può essere pertanto devoluta solo un’attività meramente interpretativa degli eventuali sottocriteri di valutazione indicati nella lex specialis, come previsto anche dell'art. 53 della direttiva 2004/18/Ce, che ha segnalato la mancanza di uno specifico potere integrativo per l'organo giudicante della gara.

5. Quanto al merito, la censura di violazione dell’art. 83, c. 4, del Codice contratti pubblici merita condivisione.
5.1. In punto di fatto, va chiarito come nella fattispecie per cui è causa, l’art. 24 del Capitolato speciale ha previsto quali criteri di valutazione dell’offerta tecnica i parametri a) “requisiti del personale” con un punteggio massimo attribuibile di 20 punti, b) “progetto/offerta” (max. 40 punti) e c) “progetto tecnico di sviluppo e di informazione” (max. 10 punti).
Dal verbale di gara n. 3 del 12.09.2014 emerge l’introduzione ex novo da parte della Commissione dei sub parametri c1 e c2 per la valutazione del parametro c, oltre il frazionamento del parametro b in 5 sotto voci con l’attribuzione di un range di punteggio da 1 a 8. Per ognuno dei sub elementi introdotti, il relativo punteggio è stato moltiplicato per il coefficiente tra 0 ed 1 attribuito dalla Commissione.
5.2. Ad avviso della stazione appaltante e della controinteressata, la Commissione non avrebbe introdotto criteri novativi di valutazione, essendosi limitata a suddividere in parti uguali i punteggi massimi previsti dalla lex specialis in corrispondenza degli stessi sub elementi in cui il medesimo capitolato articola gli elementi di valutazione.
Osserva il Collegio, quanto al parametro b, la completa mancanza in sede di disciplinare di gara di una graduazione, tra le diverse voci che lo compongono, del punteggio massimo di 40 punti ivi previsto, lasciando inevitabilmente alla Commissione un ambito di piena discrezionalità in merito alla concreta pesatura degli stessi. Analoghe considerazioni valgono quanto al parametro c.
5.3. Come noto, la questione della possibilità per la Commissione di gara di introduzione di sub-criteri di valutazione predeterminati dal bando, in termini generali e sistematici, è stata lungamente dibattuta nell’arco temporale precedente l’entrata in vigore del Codice contratti pubblici, avendo anche ingenerato la rimessione alla Corte di Giustizia europea per la valutazione di compatibilità con il diritto comunitario (Consiglio di Stato sez. VI, ordinanza 09.07.2004, n. 5033).
Con l’entrata in vigore del Codice contratti pubblici approvato con D.lgs. 12.04.2006 n. 163, l’art. 83, c. 4, nel testo originario, ha previsto che “Il bando per ciascun criterio di valutazione prescelto prevede, ove necessario, i sub-criteri e i sub-pesi o i sub-punteggi. Ove la stazione appaltante non sia in grado di stabilirli tramite la propria organizzazione, provvede a nominare uno o più esperti con il decreto o la determina a contrarre, affidando ad essi l'incarico di redigere i criteri, i pesi, i punteggi e le relative specificazioni, che verranno indicati nel bando di gara. La commissione giudicatrice, prima dell'apertura delle buste contenenti le offerte, fissa in via generale i criteri motivazionali cui si atterrà per attribuire a ciascun criterio e sub-criterio di valutazione il punteggio tra il minimo e il massimo prestabiliti dal bando”.
Già in riferimento a tale primo testo normativo, parte della giurisprudenza aveva assunto orientamento non restrittivo in ordine ai poteri specificativi o integrativi delle prescrizioni del bando, richiedendo comunque quantomeno la condizione della fissazione di tali sub-parametri prima dell’apertura delle buste contenenti le offerte (ex multis Consiglio di Stato sez VI, 22.03.2007, n. 1369; TAR Lombardia Milano sez III, 23.08.2006, n. 1930).
La Corte di Giustizia dell’Unione europea, con sentenza 24.01.2008 (proc. C-532/2006), ha precisato che "…tutti gli elementi presi in considerazione dall’autorità aggiudicatrice per identificare l’offerta economicamente più vantaggiosa e la loro importanza relativa siano noti ai potenziali offerenti al momento in cui presentano le offerte ... infatti i potenziali offerenti devono essere messi in condizione di conoscere, al momento della presentazione delle loro offerte, l’esistenza e la portata di tali elementi ... pertanto un’amministrazione aggiudicatrice non può applicare regole di ponderazione o sottocriteri per i criteri di aggiudicazione che non abbia preventivamente portato a conoscenza degli offerenti … gli offerenti devono essere posti su un piano di parità durante l’intera procedura, il che comporta che i criteri e le condizioni che si applicano a ciascuna gara debbano costituire oggetto di un’adeguata pubblicità da parte delle amministrazioni aggiudicatici".
A sua volta, la Commissione CE, con nota del 30.01.2008, ha avviato una procedura di infrazione contro lo Stato italiano proprio in riferimento alla sospetta incompatibilità del comma 4 dell’art. 83 Codice contratti pubblici con le direttive comunitarie 2004/18/CE e 2004/17/CE, in quanto consentiva alle commissione giudicatrici la fissazione di criteri motivazionali dei punti attribuiti alle offerte, non previsti nei documenti di gara.
Al fine di superare tale incompatibilità, il legislatore, mediante il terzo D.lgs. correttivo del Codice contratti pubblici (11.09.2008 n. 152) ha novellato il comma 4 del citato art. 83, eliminandone l’ultimo capoverso ed espungendo tout court il potere della Commissione di gara di specificare e dettagliare i criteri di valutazione, andando oltre anche le limitazioni imposte dal diritto comunitario.
5.4. Alla stregua della suddetta novella, tutti i criteri di valutazione delle offerte, nessuno escluso debbono essere dettagliatamente specificati nella lex specialis della procedura. La giurisprudenza si è pertanto consolidata nel ritenere illegittima la procedura di una gara di appalto per violazione dell’art. 83, c. 4, nel caso in cui i criteri di valutazione delle offerte non siano dettagliatamente indicati nel bando e la commissione abbia dovuto integrare, con più dettagliati sottocriteri la generica ripartizione del punteggio complessivamente previsto nella lex specialis (Consiglio di Stato sez V, 22.02.2011, n. 1094; id. sez. V, 01.10.2010 n. 7256: id. sez. IV, 12.05.2008, n. 2189; id. sez. III. 01.12.2012, n. 514).
5.5. Più di recente, il Consiglio di Stato ha ribadito che sia l’art. 83, c. 4, Codice contratti pubblici, nel testo novellato, sia il diritto comunitario impediscono che la Commissione, dopo la presentazione delle offerte, possa stabilire elementi di specificazione dei criteri generali previsti dalla lex specialis ai fini della valutazione delle offerte attraverso la previsione di sottovoci integrative, dovendo anche essi essere determinati dalla stessa disciplina di gara, eliminando ogni margine di discrezionalità in capo alla commissione (Consiglio di Stato sez III, 01.02.2012, n. 514; id. sez III, 29.11.2011, n. 6306; id. sez III, 22.03.2011, n. 1749; id. sez. V, 22.02.2011, n. 1097; vedi anche TAR Lombardia Milano sez. I, 14.02.2014, n. 473; TAR Abruzzo 19.07.2010, n. 532; TAR Lombardia-Brescia 15.07.2011, n. 1078; TAR Sicilia-Catania 29.04.2011, n. 1071).
5.6. Alla Commissione di gara, conclusivamente, può essere pertanto devoluta solo un’attività meramente interpretativa degli eventuali sottocriteri di valutazione indicati nella lex specialis, come previsto anche dell'art. 53 della direttiva 2004/18/Ce, che ha segnalato la mancanza di uno specifico potere integrativo per l'organo giudicante della gara (Consiglio di Stato sez. V, 22.02.2011, n. 1092).
5.7. Ciò premesso, è incontrovertibile come nel caso di specie la Commissione abbia introdotto sub-criteri di valutazione assolutamente non contemplati dalla lex specialis, per giunta non solo dopo il termine di scadenza della presentazione delle offerte, ma ad offerte già aperte e note alla stazione appaltante, con evidente violazione dell’art. 84, c. 3, D.lgs. 163/2006 e s.m. e del principio comunitario ad esso sotteso di parità di trattamento, oltre che del principio di imparzialità (art. 97 Cost.).
5.8. Non ritiene il Collegio che l’operato della Commissione possa ritenersi legittimato dall’asserita inapplicabilità dell’art. 83, c. 4, in relazione all’appartenenza del servizio oggetto della gara tra quelli rientranti nell’allegato II B al D.lgs. 163/2006 (servizi socio sanitari) esclusi dall’applicazione delle norme del Codice contratti pubblici ad eccezione degli artt. 68 (specifiche tecniche) e 65 (avviso sui risultati della procedura di affidamento).
5.9. Sotto un primo profilo, perché la regola codificata dall’art. 83, c. 4, del Codice costituisce stretta espressione dei generali principi di imparzialità e par condicio e come tale risulta applicabile anche ai contratti esclusi di cui all’allegato II B del D.lgs. 163/2006, sottratti dall'applicazione delle norme di dettaglio dello stesso Codice -fatta eccezione per quelle specificamente richiamate dall'art. 20- ma al contempo assoggettati, ai sensi del successivo art. 27, al rispetto del principi generali di economicità, efficacia, imparzialità, parità di trattamento, trasparenza e proporzionalità (Consiglio di Stato Adunanza Plenaria 03.03.2008, n. 1; TAR Piemonte sez. I, 22.11.2013, n. 1254). La predeterminazione in sede di norme di gara di tutti i criteri per la valutazione delle offerte è dunque ormai pacifico principio immanente in seno ad ogni procedimento di aggiudicazione di appalti pubblici.
5.10. Sotto un secondo ulteriore profilo, perché il citato art. 83 è stato espressamente richiamato dall’art. 24 del Capitolato con conseguente auto-vincolo della stazione appaltante (ex multis TAR Piemonte sez. I, 21.12.2012, n. 1376) non potendosi condividere quanto prospettato dalla difesa comunale e della controinteressata in merito alla volontà di richiamarne solo i principi in esso contenuti, risultando tal richiamo del tutto pieno ed incondizionato.
5.11. Conclusivamente, l’operato della Commissione si è pertanto posto oltre che in violazione della normativa primaria di riferimento, in aperta violazione con i principi comunitari di par condicio e trasparenza e con il principio di imparzialità, considerato che le offerte presentate erano già note.
Ne consegue la fondatezza delle assorbenti censure di violazione dell’art. 83, c. 4, del D.lgs. 163/2006 e s.m., oltre che di eccesso di potere, quanto alla introduzione dei sub-criteri di valutazione di cui al Disciplinare di gara, vizio che determina l’invalidità del bando, della fase di valutazione delle offerte tecniche e dell’intero procedimento di gara, ivi naturalmente compresa l’aggiudicazione definitiva.
6. Per i suesposti motivi il ricorso è fondato e va accolto, e per l’effetto vanno annullati gli atti impugnati (TAR Umbria, sentenza 14.03.2015 n. 114 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

LAVORI PUBBLICI - PATRIMONIO: Condannato il dirigente dell'UTC per l'affidamento diretto e per i lavori di manutenzione straordinaria effettuati in qualità di locatario.
Tra l'altro, lavori di "somma urgenza" sono stati affidati direttamente in violazione ai principi di trasparenza, rotazione e parità di trattamento, così come disciplinati dal comma 8 dell'art. 125 del Codice dei Contratti, tanto più che detti lavori di manutenzione straordinaria dell'immobile avrebbero dovuto essere posti a carico del proprietario e non dell'amministrazione locataria.  
Vieppiù, non appare correttamente seguita la procedura prescritta per i "Lavori d'urgenza" dall'art. 9 del Regolamento del Comune per le Spese in Economia, in quanto non risulta in atti che sia stato redatto "apposito verbale in cui sono indicati i motivi dello stato d'urgenza, le cause che lo hanno provocato e i lavori necessari per rimuoverlo", né che al verbale de quo -da compilare a cura del responsabile del procedimento o di un tecnico incaricato- sia prontamente seguita la "redazione di un'apposita perizia estimativa, che -qualora non si possa attendere la redazione di un vero e proprio progetto- costituisce presupposto sufficiente per definire la spesa dei lavori da eseguirsi e permettere la relativa copertura finanziaria" e nemmeno, infine, che il predetto verbale sia stato "allegato alla determina di affidamento della prestazione".
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L'AVCP
ha rilevato la non corretta applicazione da parte del comune "delle norme del Codice dei Contratti ed in particolare del comma 8 dell'art. 125, poiché non ha interpellato cinque ditte per l'affidamento di entrambi gli appalti, in difformità del rispetto dei principi di trasparenza, rotazione e parità di trattamento".
Tuttavia
ciò che realmente indica l'illiceità della spesa sopportata dal Comune è il fatto che si è trattato in netta prevalenza (ad eccezione della realizzazione di un servizio igienico per disabili e della costruzione all’ingresso principale di una rampa di accesso, sempre per disabili) di lavori comportanti improrogabili opere necessarie per conservare all'immobile la sua destinazione o per evitare maggiori danni suscettibili di comprometterne l'efficienza in relazione all'uso a cui è adibito, ovvero opere di straordinaria manutenzione di una certa entità, in quanto tali a carico del locatore.
Invero,
l'art. 1576 c.c. prevede, come criterio generale, che il locatore (proprietario) deve eseguire tutte le riparazioni necessarie, ad eccezione di quelle di piccola manutenzione, che sono invece a carico del conduttore. Tutte le spese ordinarie sono quindi a carico di quest'ultimo, mentre il proprietario è tenuto ad intervenire in caso di manutenzione straordinaria.
La L. 392/14978 (Disciplina delle locazioni di immobili urbani) prevede più specificamente che sono interamente a carico del conduttore, salvo patto contrario, le spese relative al servizio di pulizia, al funzionamento e all'ordinaria manutenzione dell'ascensore, alla fornitura dell'acqua, dell'energia elettrica, del riscaldamento e del condizionamento dell'aria, allo spurgo dei pozzi neri e delle latrine, nonché alla fornitura di altri servizi comuni.
Nel caso di specie, anche il contratto di locazione dell’immobile prevede all’art. 5 che "
l’ordinaria manutenzione dell’immobile verrà curata dal Comune di Afragola che si impegna a rilasciare, al momento della disdetta, i locali nelle medesime condizioni in cui gli stessi vengono concessi, salvo la normale usura, mentre gli interventi di carattere straordinario restano a carico del locatore".
Le su richiamate disposizioni non consentono di ritenere sopportabili dall'Ente pubblico conduttore dell'immobile gli interventi eseguiti, poiché questi sono principalmente consistiti nella realizzazione di lavori necessari per ricondurre la struttura in buono stato locativo, lavori ad esclusivo carico del proprietario (quali i nuovi intonaci alle pareti, nuova pavimentazione e tinteggiatura dell’intero edificio, nuovi impianti, sostituzione delle porte interne e degli infissi, ripristino dei serramenti in ferro).
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Valga sottolineare, altresì, che
non appare correttamente seguita, nel caso di specie, la procedura prescritta per i "Lavori d'urgenza" dall'art. 9 del Regolamento del Comune per le Spese in Economia, in quanto non risulta in atti che sia stato redatto "apposito verbale in cui sono indicati i motivi dello stato d'urgenza, le cause che lo hanno provocato e i lavori necessari per rimuoverlo", né che al verbale de quo -da compilare a cura del responsabile del procedimento o di un tecnico incaricato- sia prontamente seguita la "redazione di un'apposita perizia estimativa, che -qualora non si possa attendere la redazione di un vero e proprio progetto- costituisce presupposto sufficiente per definire la spesa dei lavori da eseguirsi e permettere la relativa copertura finanziaria" e nemmeno, infine, che il predetto verbale sia stato "allegato alla determina di affidamento della prestazione".
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C.
Sgombrato il campo dalle questioni pregiudiziali e preliminari proposte dalle difese dei convenuti, il Collegio può esaminare in punto di merito la vicenda descritta nella premessa in fatto. Deve quindi procedersi alla verifica della sussistenza, nel caso concreto, degli elementi tipici della responsabilità amministrativa che, com’è noto, si sostanziano in un danno patrimoniale, economicamente valutabile, arrecato alla pubblica amministrazione, in una condotta connotata da colpa grave o dolo, nel nesso di causalità tra il predetto comportamento e l'evento dannoso, nonché nella sussistenza di un rapporto di servizio fra coloro che lo hanno determinato e l'ente che lo ha subito.
D. Con riferimento, in primo luogo, all’elemento oggettivo del danno pubblico, la valutazione della relativa sussistenza nel caso di specie impone l'attenta valutazione degli atti di causa, dai quali risulta quanto segue.
Con relazione informativa n. 108/09 del 06.04.2009
l'ASL NA 2 Nord - Dipartimento di Prevenzione - Servizio Prevenzione e Sicurezza degli Ambienti di Lavoro - Servizio Igiene e Medicina del Lavoro dava comunicazione di quanto emerso nel corso degli accertamenti effettuati durante l'ispezione svolta il 23.03.2009 presso l'Ufficio Anagrafe del Comune di Afragola situato in via SS. Cuori, ovvero della rilevata inosservanza di talune disposizioni dettate in tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro (D.Lgs. n. 81/2008), impartendo, di conseguenza, una serie di prescrizioni, cui il datore di lavoro (individuato su delega del Sindaco del Comune di Afragola nell'Ing. M.D., Responsabile del Settore Recupero Urbano e Servizi Collettivi al Cittadino del medesimo Comune) avrebbe dovuto curare la puntuale ottemperanza entro novanta giorni dalla data del verbale de quo; contestualmente, l'ASL decretava, considerata la situazione di pericolo derivante dall'inosservanza delle prescrizioni indicate, il divieto d'uso dei locali adibiti ad Ufficio Anagrafe del Comune di Afragola.
L'immobile de quo era condotto in locazione dall'Ente in forza di contratto n. 1713 del 22.07.1998, stipulato con il proprietario Istituto SS. Cuori, nel quale era stato pattuito un canone mensile di £. 3.535.323, per complessive £. 42.423.876 annue (da aggiornare con indici ISTAT).
Con determinazione dirigenziale n. 92/C del 12.06.2009 del Responsabile del Settore Lavori Pubblici e Assetto del Territorio ing. N.B. si stabiliva, facendo riferimento alla Relazione Informativa ASL NA 2 Nord n. 108/09 dianzi citata e dando atto dell'urgenza ed indifferibilità ex art. 9 Regolamento Comunale delle Spese in Economia approvato con deliberazione C.S. n. 119 del 07.04.2007 dei lavori di risistemazione e adeguamento dello stabile da eseguire in ottemperanza alle prescrizioni impartite dall'Azienda Sanitaria Locale, di affidare i lavori de quibus all’impresa RDR di M. V. e R. s.n.c. in forza di un precedente contratto d’appalto, n. 3181 del 24.09.2008, avente ad oggetto la manutenzione ordinaria e straordinaria degli immobili comunali, ed utilizzando lo stesso ribasso d’asta (34,105%), in ragione della dichiarazione di disponibilità dell'impresa all'esecuzione immediata dei lavori agli stessi patti e condizioni del contratto n. 3181/2008 già in essere.
Il contratto da stipulare in esecuzione della determinazione dirigenziale n. 92/C del 12.06.2009 è stato poi sottoscritto in data 16.07.2009, per un importo netto contrattuale di € 50.136,51 comprensivo di oneri di sicurezza. Infine, con determina dirigenziale n. 161/C del 24-09-2009 è stato approvato il primo ed unico SAL per un importo di € 48.780,52 oltre I.V.A..
Con successiva determinazione dirigenziale n. 178 del 17.02.2010 del Responsabile del Settore Lavori Pubblici e Assetto del Territorio ing. N.B., è stato approvato un ulteriore progetto dell’importo di €. 83.860,00, di cui €. 68.737,72 per lavori, contenente opere rese necessarie sempre dalle prescrizioni dell’Azienda Sanitaria, di cui al verbale n. 108/09 dell’Azienda sanitaria Locale Napoli 2 Nord; i predetti lavori sono stati affidati all’impresa Coop. S., in forza di un precedente contratto, stipulato in relazione ai lavori di manutenzione straordinaria ed ordinaria annualità 2009/2010 dei plessi scolastici di competenza dell’Ente Comunale della città di Afragola per un importo contrattuale di € 136.869,78 -a seguito di gara e con un ribasso d’asta del 34,463%- applicando lo stesso ribasso d’asta (del 34,463%, appunto) per un importo di € 46.707,52, comprensivo di € 4.906,97 per oneri di sicurezza;
anche in questo caso l'affidamento è avvenuto ai sensi dell’art. 9 del Regolamento delle Spese in Economia dell’Ente, già richiamato per statuire l'urgenza e l'indifferibilità dei lavori nella determinazione n. 92/C/2009 di cui si è detto in precedenza. La copertura finanziaria è stata assicurata dall’economia risultante dal ribasso d’asta dell’appalto originario.
Nella premessa della determinazione dirigenziale n. 178/2010 vengono, altresì richiamati due verbali di riunione, tenutesi rispettivamente il 07.01.2010 ed il 22.01.2010 tra il Vice-Sindaco ed i dirigenti dei vari Settori del Comune di Afragola -la prima riunione, anche con la partecipazione del segretario comunale- in cui era stata ribadita "la necessità della sistemazione dei locali posti al primo piano dell'Ufficio Anagrafe in via SS. Cuori", con particolare riferimento alla scala delle stanze situate al primo piano dello stabile, all'impianto elettrico, alle toilettes, a bussole e finestre ed alla realizzazione di tompagnatura in alcuni ambienti.
Dalla lettura della prot. n. 19922 del 02.08.2010 del Dirigente del Settore A.T./LL.PP. comunale ing. N.B., emerge che i lavori affidati alla prima impresa RDR di M. V. e R. s.n.c. hanno interessato il piano terra dello stabile e solo marginalmente il primo piano, quest'ultimo con lavori di piccola entità, e che con i lavori aggiuntivi affidati alla Coop S. in forza della determina n. 178 del 17.02.2010, sono stati completati i lavori di sistemazione del primo piano, previo trasferimento degli uffici al piano terra.
Più in dettaglio -come illustrato nella medesima nota dianzi indicata, trasmessa a riscontro di richiesta di chiarimenti e informazioni dell'AVCP- i primi lavori sono consistiti in:
   A) ristrutturazione dell’intero piano terra dello stabile in via SS. Cuori, previo sgombero dell’intero archivio e trasporto di materiale al macero, rifacimento della partizione interna, realizzazione degli impianti elettrico, idrico, di riscaldamento e climatizzazione, realizzazione di nuovi servizi igienici di cui uno per disabili, sistemazione dell’ingresso principale con la costruzione di una rampa di accesso per disabili, realizzazione di controsoffittatura, nuovi intonaci alle pareti, nuova pavimentazione e tinteggiatura dell’intero edificio, sostituzione delle porte interne e degli infissi, ripristino dei serramenti in ferro;
   B) lavori di piccola entità al primo piano del medesimo stabile nei locali adibiti ai servizi igienici, quali sostituzione di n. 4 vasi igienici nei wc, sostituzione e ripristino di piccole parti di pavimentazione (in totale mq. 4 di pavimentazione), sostituzione dei serramenti nei locali wc e ripristino intonaco nel corridoio principale.
Per i lavori del secondo affidamento (impresa Coop. S.), invece, gli interventi da eseguire sono dettagliatamente indicati nel verbale di riunione del 22.01.2010:
1. spostamento dell’archivio storico dalla precedente sede alla stanza n. 3 indicata nell’allegato grafico;
2. chiusura, con realizzazione di muri, dei due ingressi al corridoio di destra e di sinistra;
3. sistemazione delle tre stanze identificate ai nn. 1, 2 e 3, con ripristino delle parti ammalorate di intonaco, ritinteggiatura complessiva, sostituzione degli infissi e delle porte interne, dei vetri ove non a norma, rifacimento dell’impianto elettrico, nonché realizzazione dell’impianto di rilevazione incendi e verifica del solaio di calpestio destinato all’archivio storico;
4. sostituzione degli infissi esistenti e della porta di accesso ai locali adibiti a servizi igienici al primo piano;
5. rifacimento dell’impermeabilizzazione al solaio di copertura del torrino scala;
6. rifacimento dell’intonaco al soffitto del vano scala, ritinteggiatura complessiva e sistemazione dell’impianto elettrico.

La realizzazione dei lavori de quibus è stata oggetto di alcune note (n. 46270 del 14.07.2010, n. 70175 del 11.10.2010 e n. 30609 del 18.03.2011, quest'ultima già citata in precedenza per aver costituito lo spunto per l'apertura delle indagini eseguite dal requirente contabile), due istruttorie ed una di definizione dell'istruttoria medesima, dell'A.V.C.P. (Autorità di Vigilanza sui Contratti Pubblici di Lavori, Servizi e Forniture),
la quale ha rilevato la non corretta applicazione da parte della stazione appaltante (il Comune di Afragola) "delle norme del Codice dei Contratti ed in particolare del comma 8 dell'art. 125, poiché non ha interpellato cinque ditte per l'affidamento di entrambi gli appalti, in difformità del rispetto dei principi di trasparenza, rotazione e parità di trattamento".
Tuttavia -come puntualmente e condivisibilmente evidenziato dal PM di udienza-
ciò che realmente indica l'illiceità della spesa sopportata dal Comune di Afragola a fronte dei lavori precedentemente descritti, è il fatto che si è trattato in netta prevalenza (ad eccezione della realizzazione di un servizio igienico per disabili e della costruzione all’ingresso principale di una rampa di accesso, sempre per disabili) di lavori comportanti improrogabili opere necessarie per conservare all'immobile la sua destinazione o per evitare maggiori danni suscettibili di comprometterne l'efficienza in relazione all'uso a cui è adibito, ovvero opere di straordinaria manutenzione di una certa entità, in quanto tali a carico del locatore.
Invero,
l'art. 1576 c.c. prevede, come criterio generale, che il locatore (proprietario) deve eseguire tutte le riparazioni necessarie, ad eccezione di quelle di piccola manutenzione, che sono invece a carico del conduttore. Tutte le spese ordinarie sono quindi a carico di quest'ultimo, mentre il proprietario è tenuto ad intervenire in caso di manutenzione straordinaria.
La L. 392/14978 (Disciplina delle locazioni di immobili urbani) prevede più specificamente che sono interamente a carico del conduttore, salvo patto contrario, le spese relative al servizio di pulizia, al funzionamento e all'ordinaria manutenzione dell'ascensore, alla fornitura dell'acqua, dell'energia elettrica, del riscaldamento e del condizionamento dell'aria, allo spurgo dei pozzi neri e delle latrine, nonché alla fornitura di altri servizi comuni.
Nel caso di specie, anche il contratto di locazione dell’immobile prevede all’art. 5 che "
l’ordinaria manutenzione dell’immobile verrà curata dal Comune di Afragola che si impegna a rilasciare, al momento della disdetta, i locali nelle medesime condizioni in cui gli stessi vengono concessi, salvo la normale usura, mentre gli interventi di carattere straordinario restano a carico del locatore".
Le su richiamate disposizioni non consentono -come giustamente osservato nell'atto introduttivo del giudizio- di ritenere sopportabili dall'Ente pubblico conduttore dell'immobile gli interventi eseguiti, poiché questi sono principalmente consistiti nella realizzazione di lavori necessari per ricondurre la struttura in buono stato locativo, lavori ad esclusivo carico del proprietario (quali i nuovi intonaci alle pareti, nuova pavimentazione e tinteggiatura dell’intero edificio, nuovi impianti, sostituzione delle porte interne e degli infissi, ripristino dei serramenti in ferro).
Non a caso, infatti, era lo stesso Ente locale a riferire alla competente Procura della Repubblica di Napoli -nella nota n. 2183 del 26/01/2011 del Responsabile del Settore A.T. e LL.PP. ing. N.B., odierno convenuto- che “
... la proprietà dei locali occupati dal personale di Stato Civile dell’Amministrazione Comunale di Afragola non rientra tra quelle disponibili dell’Ente e pertanto, è palese la impossibilità giuridica di questo Ente di effettuare interventi di manutenzione straordinaria quali sono quelli finalizzati all’adeguamento ai sensi del T.U. 81/2008 (sicurezza sui luoghi di lavoro)”.
Erano proprio le prescrizioni dell’ASL NA 2 Nord indicate nella Relazione Informativa n. 108/09 sopra citata, inoltre,
ad attestare uno stato di particolare degrado dell’immobile locato, per il quale, dunque, deve dedursi che non siano stati svolti e pretesi nel tempo -ovvero, per tutta la ventennale durata del rapporto locativo- gli interventi manutentivi necessari.
Poiché, dunque, i lavori realizzati in esecuzione delle determinazioni n. 92/C/2009 e n. 178/2010 del Dirigente del Settore Lavori Pubblici/Assetto del Territorio, sono di straordinaria manutenzione, i relativi oneri non avrebbero dovuto essere sopportati dal Comune di Afragola, in sostituzione e con diretto vantaggio patrimoniale del soggetto proprietario, bensì avrebbero dovuto essere sì effettuati in tempi rapidi, ma poi posti a carico -detratti i costi sostenuti per realizzare i prescritti adeguamenti strutturali per disabili- del proprietario dello stabile.
Poiché ciò non è avvenuto -ed anzi l'ing. N.B. ha escluso nella nota interna n. 3327/AT dell’11.09.2012 che potesse avvenire, in aperto contrasto con quanto in un primo momento da lui stesso osservato nella nota n. 2183 del 26.01.2011 sopra citata-
il Collegio ritiene che il Comune di Afragola abbia senz'altro subito, in relazione alla vicenda dianzi descritta, un pregiudizio economico.
Valga sottolineare, altresì, che
non appare correttamente seguita, nel caso di specie, la procedura prescritta per i "Lavori d'urgenza" dall'art. 9 del Regolamento del Comune di Afragola per le Spese in Economia, approvato con delibera C.S. n. 119 del 07.04.2007 (integrata da successiva delibera n C.S. n. 133 del 12.07.2007) -cui pure fa riferimento la difesa del convenuto- in quanto non risulta in atti che sia stato redatto "apposito verbale in cui sono indicati i motivi dello stato d'urgenza, le cause che lo hanno provocato e i lavori necessari per rimuoverlo", né che al verbale de quo -da compilare a cura del responsabile del procedimento o di un tecnico incaricato- sia prontamente seguita la "redazione di un'apposita perizia estimativa, che -qualora non si possa attendere la redazione di un vero e proprio progetto- costituisce presupposto sufficiente per definire la spesa dei lavori da eseguirsi e permettere la relativa copertura finanziaria" e nemmeno, infine, che il predetto verbale sia stato "allegato alla determina di affidamento della prestazione".
In merito alla quantificazione del danno sopra descritto e ritenuto sussistente nella fattispecie, il Collegio osserva, preliminarmente, che con nota segretariale n. 440/Seg del 05.11.2012 del Comune di Afragola è stata trasmessa la nota interna n. 3981/AT del 31.10.2012, in cui vengono indicate in € 60.631,39 e in € 57.418,03 le spese sostenute per effetto delle determinazioni n. 92/C del 12.06.2009 e n. 178 del 17.02.2010, che secondo la prospettazione attorea costituiscono danno erariale per l'intero importo (€ 118.049,42 = € 60.631,39 + € 57.418,03).
Tuttavia, il Collegio ritiene di dover rivedere la proposta quantificazione tenendo conto, come rilevato anche dal PM di udienza, della spesa che il Comune di Afragola avrebbe comunque dovuto sostenere in proprio -senza cioè poterla porre a carico del proprietario dello stabile adibito ad Ufficio Anagrafe comunale- per la realizzazione di una rampa d’accesso e di un servizio igienico per disabili, complessivamente quantificabile in € 15.000,00, tenendo conto dei costi medi di mercato di siffatte dotazioni strutturali.
Poiché tali dotazioni strutturali sono state realizzate con il primo affidamento (disposto con la determinazione n. 92/C del 12.06.2009), è l'importo erogato in relazione ad esso (€ 60.631,39) che va ridotto nella predetta misura (€ 15.000,00) ai fini della presente sentenza, risultando quindi pari a 45.631,39, cui va comunque aggiunto l'importo di € 57.418,03 erogato a seguito della determinazione n. 178 del 17.02.2010, con la conseguenza che il pregiudizio economico complessivamente subito dal Comune di Afragola in relazione all'esaminata vicenda risulta pari ad € 103.049,42 (= € 45.631,39 + € 57.418,03).
E. Ciò posto, e rilevata sotto il profilo del rapporto di servizio la sussistenza della relazione d'immedesimazione organica tra l'odierno convenuto -all'epoca dei fatti Dirigente del Settore Lavori Pubblici/Assetto del Territorio del Comune di Afragola- ed il medesimo Ente locale, va poi osservato, per quel che concerne il nesso di causalità rilevabile tra il danno descritto e quantificato in precedenza e la condotta tenuta dal convenuto medesimo, che la prospettazione attorea, secondo cui il nocumento patrimoniale subito dal predetto Ente per effetto dell'esaminata vicenda sarebbe a lui addebitabile in toto in relazione alla determina dirigenziale n. 92/C/2009 e nella misura del 50% in riferimento alla successiva determina n. 178/2010, è ad avviso del Collegio, condivisibile, per aver egli adottato le determinazioni n. 92/C del 12.06.2009 e n. 178 del 17.02.2010, più volte citate in precedenza, mediante le quali si è stabilito l'affidamento dei lavori da eseguirsi sul bene privato senza porne contestualmente a carico del proprietario il relativo onere economico e senza, comunque, adottare alcuna statuizione in tale direzione.
Nel contempo,
è del pari condivisibile l'indicazione fornita dal requirente nell'atto introduttivo del giudizio, secondo cui la spesa erogata a seguito dell'effettuazione dei lavori affidato con la determina n. 178/2010 (€ 57.418,03) va posta al carico dell'ing. N.B. soltanto nella percentuale del 50%, dovendo essere il restante 50% addebitato al comportamento tenuto dai partecipanti (vice-sindaco, segretario comunale, vari dirigenti, amministratori e funzionari del Comune di Afragola) alle conferenze di servizi e riunioni che hanno preceduto l'adozione della predetta determina, in quanto nel corso di essa era stata discussa la problematica dei lavori da effettuare nello stabile di via SS. Cuori destinato ad Ufficio Anagrafe comunale, con un pronunciamento favorevole agli stessi (avvenuto nel verbale del 07.01.2010 e confermato con modifiche nei lavori in data 22.01.2010), "influenzato sia dall’esigenza di completare l’ottemperanza alle prescrizioni dell’ASL che dalla necessità dell’Ufficio anagrafe di ricevere in consegna delle apparecchiature ordinate (elettroarchivi rotanti), fornitura per la quale la ditta interessata denunciava danni di natura economica per il protrarsi dell’impossibilità alla consegna e al collaudo imputabile all’Ente" (cfr. atto di citazione, pagg. 12-13).
F. Riguardo, infine, all'elemento soggettivo dell'illecito amministrativo-contabile in controversia, che la Procura ha indicato come colpa grave, questo deve, del pari essere ritenuto sussistente per il convenuto N.B., per aver egli adottato le suindicate determine senza poi porre in essere alcuna attività finalizzata a porre a carico del proprietario dell'immobile l'onere economico sostenuto per far eseguire i lavori necessari per provvedere alla straordinaria manutenzione di esso.
Il disinteresse dimostrato dal B. in ordine alle conseguenze economicamente pregiudizievoli per l'Ente determinate dal suo operato, emerge, altresì, dal fatto che, come da egli stesso rappresentato nella nota interna n. 3327/AT dell’11.09.2012 (costituente riscontro a foglio istruttorio richiedente [anche] la corrispondenza intercorsa con il locatore per l’esecuzione dei lavori [autorizzazioni]), i rapporti con il proprietario dell'immobile erano avvenuti in modo verbale, ossia del tutto irritualmente.
Né assumono efficacia scriminante le circostanze indicate dallo stesso B. nella relazione illustrativa redatta il 09.06.2009 (ed allegata alla determina n. 92/C del 12.06.2009), in cui egli evidenzia che il Datore di Lavoro, indicato dall'ASL nel Dirigente del Settore Recupero Urbano e Servizi Collettivi al Cittadino del Comune di Afragola ing. M.D., non aveva assunto sino a quella data alcuna iniziativa intesa ad ottemperare alle prescrizioni impartite dall'ASL nella Relazione Informativa n. 108/09 e che, per contro, il medesimo ing. B. -"che lavora al meglio per il funzionamento della macchina comunale"- si sia in tale relazione illustrativa dichiarato disponibile anche a risolvere la problematica dell'Ufficio Anagrafe, potendo, tutt'al più, tali circostanze rappresentare motivo di esercizio del potere riduttivo dell'addebito.
Nel contempo, il Collegio ritiene di condividere la prospettazione esposta nell'atto introduttivo del giudizio, anche laddove non si ravvisa a carico dei partecipanti alle conferenze di servizi e riunioni che hanno preceduto la determina n. 178 del 17.02.2010 -di cui sopra si è detto- la sussistenza dell'elemento soggettivo della colpa grave, essendosi tali soggetti pronunciati unicamente a favore dell'effettuazione in via d'urgenza dei lavori necessari per adeguare l'immobile ospitante l'Ufficio Anagrafe comunale alle prescrizioni della locale Azienda Sanitaria, ma non certamente per tenere indenne il locatore, con pregiudizio economico per l'Ente, dagli oneri derivanti dai lavori de quibus.
G. Conclusivamente, questo Collegio ritiene che l'effettuazione a carico del Comune di Afragola dei lavori di straordinaria manutenzione dell'immobile privato condotto in locazione quale sede dell'Ufficio Anagrafe comunale, affidati con le determine n. 92/C del 12.06.2009 e n. 178 del 17.02.2010, sia stato il frutto -almeno in via prevalente, nelle misure suindicate- della condotta gravemente colposa attribuibile all'odierno convenuto e che la conseguente erogazione della somma di € 103.049,42, nel configurarsi come un danno ingiusto all’Ente vada a questi addebitata nell'importo di € 45.631,39 + € 28.709,01 (50% di € 57.418,03) = € 74.340,40, da sottoporre ad ulteriore riduzione, nella misura ritenuta equa del 20%, nell'esercizio del potere attribuito al Giudice Contabile dall'art. 52 TUCL n. 1214 del 1934, risultando dunque quantificato, infine, in € 59.472,32 (= 80% di € 74.340,40).
Su dette somme dovranno essere applicati, innanzitutto, la rivalutazione monetaria, da calcolarsi secondo gli indici ISTAT, dall’esborso e fino al giorno della pubblicazione della presente sentenza, nonché gli interessi legali sulla somma così rivalutata dalla predetta pubblicazione al soddisfo (Corte dei Conti, Sez. giurisdiz. Campania, sentenza 09.03.2015 n. 253).

APPALTI: Modifica dell'appaltatore (raggruppamento temporaneo di concorrenti) nel corso di esecuzione del contratto.
Benché la giurisprudenza sia unanime nel ritenere che il principio di immodificabilità soggettiva della compagine in corso di gara, o dopo l'aggiudicazione -sancito dall'art. 37, c. 9, del D.Lgs. 163/2006- mira a garantire il controllo preliminare e compiuto dei requisiti dei concorrenti che intendono contrarre con la P.A., impedendo situazioni che vanifichino o eludano tale verifica, essa giunge a conclusioni diverse.
Infatti, mentre l'orientamento 'restrittivo' afferma che, al di fuori delle eccezioni espressamente previste dai cc. 18 e 19 del medesimo art. 37, non è consentita alcuna modifica del raggruppamento prospettato in sede di offerta, l'orientamento 'estensivo' -cui ha aderito anche l'A.V.C.P.- sostiene che dopo l'aggiudicazione sarebbe possibile ammettere il recesso di una o più imprese dal raggruppamento, a condizione che quelle rimanenti siano in possesso, da sole, dei requisiti di partecipazione e di qualificazione per eseguire le prestazioni oggetto dell'appalto.

Il Comune, che ha aggiudicato il servizio di trasporto scolastico ad un raggruppamento temporaneo di concorrenti, è stato informato dal mandatario che una delle imprese mandanti ha segnalato, alla competente amministrazione provinciale, la messa in liquidazione, richiedendo la cancellazione dal registro e la revoca dell'autorizzazione inerente all'attività di trasporto viaggiatori.
Poiché, ai sensi dell'art. 37, comma 9
[1], del decreto legislativo 12.04.2006, n. 163, è vietata, salvo quanto disposto ai commi 18 [2] e 19 [3], qualsiasi modificazione alla composizione dei raggruppamenti temporanei di concorrenti rispetto a quella risultante dall'impegno presentato in sede di offerta, l'Ente chiede di conoscere se, non ricorrendo alcuna delle situazioni di cui al predetto comma 19, l'originario raggruppamento possa essere comunque oggetto di modificazione, considerato che la mandataria ha dichiarato il proprio interesse a subentrare nella posizione della ditta recedente, con esecuzione diretta della percentuale di servizio facente carico a quest'ultima.
Occorre, anzitutto, ricordare che la violazione delle previsioni di cui all'art. 37, comma 9, del D.Lgs. 163/2006 è sanzionata, dal comma 10 della stessa disposizione, il quale stabilisce -per quanto qui rileva- che «L'inosservanza dei divieti di cui al precedente comma comporta l'annullamento dell'aggiudicazione o la nullità del contratto [...]».
Si evidenzia, sin d'ora, che la giurisprudenza non è univoca circa l'interpretazione della norma che preclude 'qualsiasi modificazione' alla composizione dei raggruppamenti temporanei di concorrenti rispetto a quella dichiarata all'atto dell'offerta, prevedendo espressamente i casi che consentono di derogare al divieto, casi che attengono, comunque, «a vicende patologiche che colpiscono il mandante o il mandatario»
[4].
Pur ammettendo, unanimemente, che il principio di immodificabilità soggettiva della compagine in corso di gara, o dopo l'aggiudicazione, sancito dall'art. 37, comma 9, del D.Lgs. 163/2006
[5] mira a garantire, alle amministrazioni aggiudicatrici, una conoscenza piena dei soggetti che intendono contrarre con esse, al fine di consentire un controllo preliminare e compiuto dei requisiti di idoneità morale, tecnico-organizzativa ed economico-finanziaria dei concorrenti ed all'ulteriore scopo di impedire che tale verifica venga vanificata o elusa con modificazioni soggettive, in corso di gara, delle imprese candidate, i giudici amministrativi pervengono a conclusioni diverse.
Un primo orientamento, che propende per una lettura particolarmente rigorosa del dato normativo, afferma che non è consentita alcuna modifica del raggruppamento prospettato in sede di offerta, al di fuori delle eccezioni espressamente previste dai commi 18 e 19 del medesimo art. 37
[6], le quali «sono ammissibili in quanto riguardano motivi indipendenti dalla volontà del soggetto partecipante alla gara e trovano giustificazione nell'interesse della stazione appaltante alla continuazione della stessa» [7].
Secondo una diversa impostazione, invece, dopo l'aggiudicazione sarebbe possibile ammettere il recesso di una o più imprese del raggruppamento, a condizione che quelle rimanenti siano in possesso, da sole, dei requisiti di partecipazione e di qualificazione per eseguire le prestazioni oggetto dell'appalto, in quanto il divieto legislativo, il cui rigore va temperato in ragione dello scopo che persegue, riguarderebbe solo l'aggiunta o la sostituzione di componenti, non anche il venir meno, senza sostituzione, di taluno dei componenti originariamente indicati
[8].
È stato, infatti, rilevato che, attesa la funzione della disposizione, risulta evidente che le uniche modifiche soggettive elusive del dettato legislativo sono quelle volte all'aggiunta o alla sostituzione di imprese e non anche quelle che riguardano il recesso di una delle imprese del raggruppamento poiché, in tal caso, l'amministrazione, all'atto del mutamento soggettivo, ha già provveduto a verificare i requisiti di capacità e di moralità dell'impresa o delle imprese che restano, cosicché i rischi che il divieto mira ad impedire non possono verificarsi
[9].
La giurisprudenza che aderisce a tale orientamento osserva, inoltre, che esso:
- non penalizza né la stazione appaltante, non creando incertezze, né le imprese, le cui dinamiche possono imporre modificazioni soggettive di consorzi e raggruppamenti, per ragioni che prescindono dalla singola gara e che non possono precluderne la partecipazione, «se nessun nocumento ne deriva per la stazione appaltante»
[10];
- non incide nemmeno sulla par condicio dei concorrenti, perché non si tratta di consentire l'introduzione di nuovi soggetti in corsa, ma solamente di permettere a qualcuno degli associati o consorziati il recesso, «mediante utilizzo dei requisiti dei soggetti residui, già comunque posseduti»
[11].
Deve, comunque, osservarsi che la prospettiva in esame è ritenuta percorribile «purché la modifica della compagine soggettiva in senso riduttivo avvenga per esigenze organizzative proprie dell'a.t.i. o consorzio, e non invece per eludere la legge di gara e, in particolare, per evitare una sanzione di esclusione dalla gara per difetto dei requisiti in capo al componente dell'a.t.i. che viene meno per effetto dell'operazione riduttiva»
[12].
La tesi interpretativa più restrittiva è avallata da una più recente pronuncia
[13], che motiva la propria posizione con ulteriori argomenti.
Il giudice afferma, infatti, che il divieto imposto dalla norma riguarda 'qualsiasi modificazione', «con ciò impedendosi all'interprete di escludere alcune delle modificazioni dal 'totale' di esse, complessivamente vietato dal legislatore», tanto più se si considera che lo stesso legislatore ha indicato analiticamente le eccezioni al regime di divieto.
[14]
Ne consegue, perciò, che «una volta che un raggruppamento temporaneo di imprese abbia partecipato ad una gara e ne abbia ottenuto l'aggiudicazione, non è possibile alcuna modifica, tanto meno soggettiva, in ordine alla composizione del raggruppamento ed a quanto dichiarato in sede di gara».
E ciò vale, a maggior ragione, qualora un'impresa dichiari di non voler più partecipare al raggruppamento, o di non avere più intenzione di eseguire le prestazioni cui era obbligata in ragione dell'offerta, o ancora di 'rinunciare' -anche solo in proprio- agli effetti dell'aggiudicazione o del contratto, giacché in ognuna di tali evenienze «si realizza una differente composizione (per sottrazione/riduzione) del raggruppamento per come esso si è presentato, quale concorrente, in sede di gara, di modo che deve procedersi ai sensi dell'art. 37, comma 10, all'annullamento dell'aggiudicazione o alla declaratoria di nullità del contratto, fermo ogni ulteriore profilo di (eventuale) responsabilità dell'impresa nei confronti della amministrazione appaltante».
Con riferimento alle modifiche del raggruppamento che si collocano in una fase temporale successiva a quella della stipula del contratto, si è espressa anche l'Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture (Avcp), aderendo all'orientamento più estensivo
[15] e ritenendo, perciò, ammissibile il solo mutamento soggettivo in senso riduttivo del raggruppamento [16], con assunzione del servizio in capo al/ai rimanente/i componente/i dello stesso, purché l'esecutore sia singolarmente in possesso dei requisiti a tal fine richiesti dalla lex specialis.
In conclusione, il Comune dovrà effettuare, alla luce degli orientamenti di cui si è dato conto, la valutazione della soluzione più appropriata al caso concreto, anche considerando l'esigenza di garantire la prosecuzione del servizio.
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[1] «È vietata l'associazione in partecipazione. Salvo quanto disposto ai commi 18 e 19, è vietata qualsiasi modificazione alla composizione dei raggruppamenti temporanei e dei consorzi ordinari di concorrenti rispetto a quella risultante dall'impegno presentato in sede di offerta.».
[2] «In caso di fallimento del mandatario ovvero, qualora si tratti di imprenditore individuale, in caso di morte, interdizione, inabilitazione o fallimento del medesimo ovvero nei casi previsti dalla normativa antimafia, la stazione appaltante può proseguire il rapporto di appalto con altro operatore economico che sia costituito mandatario nei modi previsti dal presente codice purché abbia i requisiti di qualificazione adeguati ai lavori o servizi o forniture ancora da eseguire; non sussistendo tali condizioni la stazione appaltante può recedere dall'appalto.».
[3] «In caso di fallimento di uno dei mandanti ovvero, qualora si tratti di imprenditore individuale, in caso di morte, interdizione, inabilitazione o fallimento del medesimo ovvero nei casi previsti dalla normativa antimafia, il mandatario, ove non indichi altro operatore economico subentrante che sia in possesso dei prescritti requisiti di idoneità, è tenuto alla esecuzione, direttamente o a mezzo degli altri mandanti, purché questi abbiano i requisiti di qualificazione adeguati ai lavori o servizi o forniture ancora da eseguire.».
[4] Così Consiglio di Stato - Ad. Plen., 04.05.2012, n. 8.
[5] Già affermato, in precedenza, dall'art. 13, comma 5-bis, della legge 11.02.1994, n. 109.
[6] Cfr. Consiglio di Stato - Sez. V, 07.04.2006, n. 1903; 30.08.2006, n. 5081; 20.04.2012, n. 2328; Sez. IV, 14.12.2012, n. 6446.
[7] Così Consiglio di Stato - Sez. V, n. 2328/2012, cit..
[8] Cfr. Consiglio di Stato - Sez. IV, 23.07.2007, n. 4101; Sez. VI, 13.05.2009, n. 2964.
[9] Cfr. Consiglio di Stato - Sez. IV, n. 4101/2007, cit.; Sez. VI, n. 2964/2009, cit..
[10] Così Consiglio di Stato - Sez. VI, 16.02.2010, n. 842.
[11] Così Consiglio di Stato - Sez. VI, n. 842/2010, cit..
[12] Così Consiglio di Stato - Sez. VI, n. 842/2010, cit..
Il Consiglio di Stato - Ad. Plen., n. 8/2012, cit., riassumendo le diverse posizioni assunte dal supremo Consesso sulla questione, afferma di condividere la tesi secondo la quale «il recesso dell'impresa componente di un raggruppamento nel corso della procedura di gara non vale a sanare ex post una situazione di preclusione all'ammissione alla procedura sussistente al momento dell'offerta in ragione della sussistenza di cause di esclusione riguardanti il soggetto recedente, pena la violazione della par condicio tra i concorrenti [Cons. St., ad. plen., 15.04.2010, n. 2155; Cons. St., sez. V, 10.09.2010, n. 6546]», posto che «una diversa soluzione ermeneutica, che intendesse impedire il controllo sui requisiti di ammissione delle imprese recedenti, consentirebbe l'elusione delle prescrizioni legali che impongono il possesso dei requisiti stessi in capo ai soggetti originariamente facenti parte del raggruppamento all'atto della scadenza dei termini per la presentazione delle domande di partecipazione [Cons. St., sez. V, 28.09.2011, n. 5406]».
[13] Consiglio di Stato - Sez. IV, n. 6446/2012, cit..
[14] Pertanto, un'interpretazione 'meno rigida' della disposizione non risulta ammissibile giacché essa, a fronte di un chiaro (e complessivo) divieto imposto dalla legge, con l'escludere un caso da tale divieto, «compie una operazione non già di interpretazione normativa, bensì di (non consentita) integrazione della norma, di per sé compiutamente disciplinante il caso considerato».
[15] V., in particolare, la determinazione 12.11.2013, n. 5 concernente «Linee guida su programmazione, progettazione ed esecuzione del contratto nei servizi e nelle forniture» il cui par. 5 tratta delle 'Modifiche soggettive del raggruppamento in corso di esecuzione'.
V. anche la deliberazione 22.07.2011, n. 68, che si esprime sulla modifica della compagine aggiudicataria in epoca successiva alla stipula del contratto ed alla consegna del servizio.
[16] Tranne qualora emerga che l'operazione sia avvenuta per evitare una sanzione di esclusione dalla gara, per difetto dei requisiti in capo al soggetto recedente
(03.03.2015 - link a www.regione.fvg.it).

febbraio 2015

APPALTIRicorsi nelle gare, basta mera conoscenza dell'esito.
La mera conoscenza dell'esito negativo di una gara è sufficiente a far decorrere il termine per la proposizione del ricorso avverso gli atti, rilevando la conoscenza successiva dei motivi e dei singoli vizi di legittimità degli stessi solo al fine della proposizione di motivi aggiunti.

È quanto è stato ribadito dai giudici della II Sez. del TAR Piemonte con la sentenza 26.02.2015 n. 396.
Da tale sottolineatura, che trova concorde anche altra giurisprudenza, ne consegue l'onere di presentare, sempre e comunque, una tempestiva impugnazione anche nel caso in cui non sia ancora nota l'esistenza di eventuali vizi della procedura.
Già la Corte di giustizia, con la sentenza pronunciata l'08/05/2014 nella causa C-161/13, si è espressa nel senso che il principio della certezza del diritto e il favor per la celerità delle procedure di gara impone che le informazioni ottenute a seguito di accesso agli atti di gara non possono servire a proporre un ricorso dopo la scadenza del termine previsto a tale scopo dalla normativa nazionale, ed è stato, inoltre, evidenziato che si deve ritenere possibile la riapertura di detto termine quando alla decisione lesiva abbia fatto seguito, successivamente, una nuova decisione che abbia modificato quella precedente e sempre che sia possibile affermare che il ricorrente non era già prima in condizione di apprezzare (sulla base anche della ordinaria diligenza) l'esistenza di eventuali violazioni della normativa relativa alle procedure di gara.
Pertanto il termine per l'impugnazione del ricorso decorre dal momento in cui l'interessato abbia, o debba avere, piena conoscenza della pretesa violazione della normativa in materia di gara d'appalto. I giudici amministrativi piemontesi hanno, altresì, affermato che ai fini della decorrenza del termine per proporre ricorso avverso una decisione di aggiudicazione si rende necessaria la conoscenza (non solo delle ragioni della decisione ma anche) dei vizi che affliggerebbero la gara, ma d'altro canto che è anche onere dell'interessato di attivarsi al fine di acquisire tale conoscenza.
Secondo i giudici torinesi il legislatore ha inteso porre, sui partecipanti alle gare, l'onere di esercitare l'accesso agli atti di gara non appena ricevuta, dalla stazione appaltante, la relativa comunicazione completa delle indicazioni di cui al ricordato art. 79, comma 5-quater, del dl 163/2006 (articolo ItaliaOggi Sette del 25.05.2015).
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MASSIMA
10.3.1. E’ noto che, a dispetto di quanto già la Corte di Giustizia aveva precisato nel caso C-406/2008 Uniplex, si è consolidato in giurisprudenza l’orientamento secondo il quale
la mera conoscenza dell’esito negativo di una gara è sufficiente a far decorrere il termine per la proposizione del ricorso avverso gli atti di gara, rilevando la conoscenza successiva dei motivi e dei singoli vizi di legittimità degli stessi solo al fine della proposizione di motivi aggiunti (ex multis: C.d.S. sez. V n. 2609/2012; C.d.S. sez. III n. 2407/2012; C.d.S., sez. IV, n. 3583/2011): tale orientamento, dal quale consegue l’onere di presentare sempre e comunque una tempestiva impugnazione anche laddove non sia ancora nota l’esistenza di eventuali vizi della procedura, è stato tuttavia (nuovamente) messo in discussione con ordinanza del TAR Puglia-Bari, sez. I, n. 427/2013, che ha chiesto alla Corte di Giustizia della Unione Europea di valutare la conformità alla direttiva 1993/13/CEE di una norma o di una prassi nazionale che, ai fini della proposizione di un ricorso diretto a far valere la violazione della normativa in materia di aggiudicazione di appalti pubblici, faccia decorrere il termine per la presentazione del ricorso dal momento in cui il soggetto ha avuto, o avrebbe dovuto avere contezza della violazione stessa, precludendo altresì di dare rilevanza, ai medesimi fini, alla conoscenza dei vizi di cui l’interessato abbia avuto conoscenza tardiva a causa del comportamento della stazione appaltante.
10.3.2. Ebbene, la Corte di Giustizia, con sentenza pronunciata l’08/05/2014 nella causa C-161/13, caso Idronamica, dopo aver ricordato che nel caso Uniplex la Corte si era già espressa nel senso che il principio della certezza del diritto ed il favor per la celerità delle procedure di gara impone che le informazioni ottenute a seguito di accesso agli atti di gara non possono servire a proporre un ricorso dopo la scadenza del termine previsto a tale scopo dalla normativa nazionale, ha ulteriormente precisato che
si deve ritenere possibile la riapertura di detto termine quando alla decisione lesiva abbia fatto seguito, successivamente, una nuova decisione che abbia modificato quella precedente e sempre che sia possa affermare che il ricorrente non era già prima in condizione di apprezzare -sulla base delle informazioni ottenute a tempo debito o di quelle che avrebbe potuto tempestivamente ottenere con l’ordinaria diligenza- l’esistenza di eventuali violazioni della normativa relativa alle procedure di gara.
Per chiarezza espositiva va precisato che nel caso sottoposto alla attenzione della Corte si era verificato che successivamente alla aggiudicazione definitiva ed alla scadenza del termine di 30 giorni, di cui all’art. 120 comma 5 c.p.a., per l’impugnativa della medesima, la stazione appaltante aveva consentito il recesso di una delle imprese facenti parte del raggruppamento aggiudicatario, provvedendo poi alla stipula del contratto con quel raggruppamento che però, nella sopravvenuta nuova formazione, non coincideva con quello aggiudicatario.
La Corte, pur enunciando il principio di cui sopra, non ha mancato di rilevare che nella specie l’interessato aveva in realtà censurato irregolarità commesse prima della originaria aggiudicazione dell’appalto, ed ha quindi ribadito che in linea generale, e fatto salvo il caso di intervenuta modifica della determina di aggiudicazione definitiva, la possibilità di spiegare ricorso deve intendersi garantita solo entro il termine di impugnazione riconosciuto in generale dalla normativa nazionale, fatte salve diverse disposizioni riconosciute espressamente dal diritto nazionale.
10.3.3. Il Collegio ritiene che dalla dianzi ricordata sentenza della Corte di Giustizia U.E. si possa trarre un insegnamento particolarmente interessante per il caso di specie, segnatamente per il fatto che essa, fatta salva l’ipotesi –non ricorrente nel caso di specie– in cui l’aggiudicazione (o l’atto da impugnare) venga in seguito modificata, ha confermato il principio -già espresso nel caso Uniplex- secondo il quale
il termine per l’impugnazione del ricorso decorre dal momento in cui l’interessato abbia, o debba avere, piena conoscenza della pretesa violazione della normativa in materia di gara d’appalto.
Da entrambe le pronunce si evince, più in dettaglio, che
ai fini della decorrenza del termine per proporre ricorso avverso una decisione di aggiudicazione necessita la conoscenza (non solo delle ragioni della decisione ma anche) dei vizi che affliggerebbero la gara, ma d’altro canto che è anche onere dell’interessato di attivarsi al fine di acquisire tale conoscenza: la Corte, infatti, parla specificamente (al punto 37 della sentenza Idronamica) di “data in cui il ricorrente ha conosciuto o avrebbe dovuto essere a conoscenza della pretesa violazione di dette disposizioni”, così evidenziando che alla conoscenza effettiva può essere equiparata, secondo una fictio juris, anche una conoscenza “legale”, cioè una conoscenza che, seppure in concreto non sussistente, il soggetto avrebbe potuto acquisire ove posto in condizione di esercitare l’accesso alle informazioni.
10.3.4. Ciò premesso va ricordato che con la disposizione di cui all’art. 79, comma 5-quater, del D.L.vo 163/2006, introdotta con D.L.vo 53/2010, il legislatore ha stabilito che “Fermi i divieti dell’accesso previsti all’art. 13, l’accesso agli atti del procedimento in cui sono adottati gli atti oggetto di comunicazione ai sensi del presente articolo è consentito entro dieci giorni dall’invio della comunicazione dei provvedimenti medesimi mediante visione ed estrazione di copia. Non occorre istanza scritta di accesso e provvedimento di ammissione, salvi i provvedimenti di differimento o di esclusione dall’accesso adottati ai sensi dell’art. 13. Le comunicazioni di cui al comma 5 indicano se ci sono atti per i quali l’accesso é vietato o differito ed indicano l’ufficio presso cui l’accesso può essere esercitato, e i relativi orari, garantendo che l’accesso sia consentito durante tutto l’orario in cui l’ufficio è aperto al pubblico o il personale presta servizio”.
Tale disposizione, ad avviso del Collegio, denota che
il legislatore non ha semplicemente inteso facilitare l’accesso agli atti delle gare pubbliche: infatti, prescrivendo che nelle varie comunicazioni le stazioni appaltanti rappresentino ai partecipanti l’immediata possibilità di esercitare l’accesso evidenziando comunque la natura degli atti per i quali l’accesso è differito o non consentito; stabilendo la accessibilità a priori di ogni documento, salvo quelli, da indicarsi partitamente, per i quali sussistano le condizioni per differire o non consentire l’accesso; imponendo inoltre che detto accesso sia consentito in ogni momento durante gli orari di servizio del personale, e dunque anche fuori dagli orari di apertura al pubblico degli uffici; con tutto ciò, insomma, è evidente che il legislatore ha agito con la finalità di evitare che i partecipanti alle gare possano posticipare l’impugnativa delle varie decisioni accampando pretesti o scuse per giustificare la mancata piena conoscenza delle motivazioni di esse e dei possibili vizi della gara, il che è quanto dire che il legislatore ha precisamente inteso porre, sui partecipanti alle gare, l’onere di esercitare l’accesso agli atti di gara non appena ricevuta, dalla stazione appaltante, la relativa comunicazione completa delle indicazioni di cui al ricordato art. 79, comma 5-quater.
L’introduzione di un tale onere, a carico del partecipante ad una gara d’appalto, non trova, ad avviso del Collegio, ostacolo nelle modalità di accesso garantite dalla norma da ultimo citata: anzi il Collegio ritiene che siffatto accesso non sia ontologicamente diverso da quello che sarebbe garantito ove esercitato previa presentazione di apposita istanza.

E’ quindi opinione del Collegio che
non ha senso distinguere l’accesso garantito dall’art. 79, comma 5-quater, definendolo come “semplificato” o “informale”, dal momento che esso costituisce (per le ragioni già precisate) un onere (di guisa che un eventuale accesso “formale” successivo diventa irrilevante) e perché esso è comunque idoneo a consentire all’interessato di determinarsi compiutamente in ordine alla decisione di proporre il ricorso.
10.3.5. Il Collegio ritiene che la norma dianzi esaminata non si ponga in contrasto con la normativa europea in materia di appalti, stante che nei casi Uniplex e Idronamica la Corte di Giustizia, sia pure con specifico riferimento alla impugnativa della aggiudicazione definitiva in un settore specifico degli appalti, ha già avuto modo di affermare l’equipollenza tra la conoscenza effettiva e quella che l’interessato avrebbe potuto o dovuto conseguire esercitando l’accesso agli atti.
Il Collegio ritiene pertanto condivisibile quella opzione ermeneutica, già fatta propria anche da altre pronunce (come quella del TAR Umbria, sez. I n. 448/2014, nonché del C.d.S., sez. III, n. 4432/2014), che ha ritenuto che
il termine per impugnare l’aggiudicazione definitiva e gli altri atti che, a norma dell’art. 79 C.C.P., debbano essere ritualmente comunicati ai partecipanti, decorre dalla ricezione di essi laddove tale informativa consenta di apprezzare compiutamente sia le ragioni del provvedimento sia la presenza di eventuali vizi della procedura; in caso contrario il termine per l’impugnazione degli atti di gara deve farsi comunque decorrere dal giorno in cui l’interessato ha esercitato l’accesso agli atti, accesso che la stazione appaltante deve, ai sensi dell’art. 79, comma 5-quater, C.C.P., garantire entro i dieci giorni successivi a ciascuna comunicazione.
Più precisamente,
laddove non sia provato che l’interessato ha in concreto esercitato l’accesso prima del decorso del menzionato termine di dieci giorni, il termine decorrerà dalla scadenza di esso dovendosi a tale momento ritenere acquisita una conoscenza “legale” degli atti della procedura; di converso, solo dimostrando che la stazione appaltante non ha adempiuto agli obblighi nascenti dall’art. 79, comma 5-quater, C.C.P. l’interessato potrà ottenere di far decorrere il termine per l’impugnativa da un momento successivo, sempre che i provvedimenti da impugnare non contengano già sufficienti elementi per consentire la proposizione di un ricorso.

APPALTIIl combinato disposto degli artt. 86, comma 3-bis, del d.lgs. n. 163/2006 e 26, comma 6, del d.lgs. n. 81/2008 non impone alle imprese partecipanti a procedure di affidamento di contratti pubblici di lavori l’obbligo, a pena di esclusione dalla gara, di indicare gli oneri per la sicurezza aziendale.
Tuttavia, le stazioni appaltanti sono tenute a verificare gli oneri per la sicurezza ai fini del giudizio di anomalia dell’offerta e, in stretta conseguenza di ciò, che le imprese sono tenute ad indicare nella loro offerta detta voce di costo.
Le medesime norme (
art. 86 da coordinarsi con il successivo art. 87), invero, operano una distinzione tra appalti di lavori da una parte e appalti di servizi e forniture dall’altra.
Il citato art. 87, comma 4, infatti, specifica il più generale e onnicomprensivo comma 3-bis dell’art. 86, imponendo alle imprese -partecipanti a procedure di affidamento della seconda tipologia di contratti- di indicare nell’offerta “i costi relativi alla sicurezza”.
Per la prima tipologia di giustificazioni, invece, il precetto è significativamente diverso, giacché esso vieta giustificazioni (e dunque ribassi) rispetto agli “oneri relativi alla sicurezza” già stimati dalla stazione appaltante nel piano di sicurezza e coordinamento dalla stessa predisposto ai sensi del richiamato art. 131.
Per contro, in nessuna parte delle richiamate disposizioni è previsto che per gli appalti di lavori pubblici si debbano indicare nell’offerta i costi per la sicurezza aziendale.
E soprattutto, in nessuna parte è prevista la comminatoria di esclusione per l’omessa indicazione degli stessi: certamente non per gli appalti di lavori, per i quali vi è una rigorosa analisi dei costi in questione da parte della stazione appaltante nella fase della progettazione, in virtù di puntuali disposizioni del regolamento di attuazione di cui al d.p.r. n. 207/2010.
Una diversa conclusione rispetto a quanto finora esposto non può essere ricavata nemmeno dall’art. 26, comma 6, del d.lgs. n. 81/2008.
Quest’ultima disposizione è così formulata: “Nella predisposizione delle gare di appalto e nella valutazione dell’anomalia delle offerte nelle procedure di affidamento di appalti di lavori pubblici, di servizi e di forniture, gli enti aggiudicatori sono tenuti a valutare che il valore economico sia adeguato e sufficiente rispetto al costo del lavoro e al costo relativo alla sicurezza, il quale deve essere specificamente indicato e risultare congruo rispetto all’entità e alle caratteristiche dei lavori, dei servizi o delle forniture”.
Vi è certamente un’unificazione di disciplina per tutti gli appalti pubblici, ma il precetto in essa contenuto è rivolto ancora una volta agli “enti aggiudicatori”, ed è altresì indubbio che questa norma vada coordinata con gli artt. 86 e 87 del d.lgs. n. 163/2006, i quali contengono disposizioni di maggiore dettaglio.
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In tema di valutazione dell’anomalia dell’offerta e del relativo procedimento di verifica la giurisprudenza ha affermato che si tratta di un procedimento che non ha carattere sanzionatorio e non ha per oggetto la ricerca di specifiche e singole inesattezze dell’offerta economica, mirando piuttosto ad accertare se in concreto l’offerta, nel suo complesso, sia attendibile e affidabile in relazione alla corretta esecuzione dell’appalto.
Il procedimento di verifica dell’anomalia, in altri termini, è volto a garantire e tutelare l’interesse pubblico concretamente perseguito dall’amministrazione attraverso la procedura di gara per la effettiva scelta del miglior contraente possibile ai fini dell’esecuzione dell’appalto; ne consegue che l’esclusione dalla gara dell’offerente per l’anomalia della sua offerta è l’effetto della valutazione (operata dall’amministrazione appaltante) di complessiva inadeguatezza della stessa rispetto al fine da raggiungere.

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2. Il ricorso è infondato; al riguardo il Collegio osserva quanto segue.
2.1. Con il primo motivo la ricorrente deduce che il Comune avrebbe dovuto escludere l’ATI costituita dalle odierne controinteressate per l’omesso adempimento dell’obbligo di indicazione dei costi per la sicurezza da rischio specifico o aziendale.
2.1.1. Sul punto, in aggiunta a quanto già rilevato nella fase cautelare, osserva il Collegio che, come ha chiarito la giurisprudenza (C.d.S., Sez. V, n. 3056/2014; id., n. 4964/2013), il combinato disposto degli artt. 86, comma 3-bis, del d.lgs. n. 163/2006 e 26, comma 6, del d.lgs. n. 81/2008 non impone alle imprese partecipanti a procedure di affidamento di contratti pubblici di lavori l’obbligo, a pena di esclusione dalla gara, di indicare gli oneri per la sicurezza aziendale.
2.1.2. L'assunto della ricorrente si fonda su una non condivisibile esegesi della disposizione del codice dei contratti pubblici sopra citata, la quale recita testualmente: “Nella predisposizione delle gare di appalto e nella valutazione dell’anomalia delle offerte nelle procedure di affidamento di appalti di lavori pubblici, di servizi e di forniture, gli enti aggiudicatori sono tenuti a valutare che il valore economico sia adeguato e sufficiente rispetto al costo del lavoro e al costo relativo alla sicurezza, il quale deve essere specificamente indicato e risultare congruo rispetto all’entità e alle caratteristiche dei lavori, dei servizi o delle forniture”.
2.1.3. La norma si rivolge evidentemente, in primo luogo, agli enti aggiudicatori, imponendo loro, “nella predisposizione delle gare di appalto e nella valutazione dell’anomalia delle offerte”, di effettuare uno specifico apprezzamento della congruità dei costi del lavoro e della sicurezza indicati dalle concorrenti nelle loro offerte.
Ciò si evince anche dalla rubrica della disposizione: “criteri di individuazione delle offerte anormalmente basse”.
La medesima norma prevede che il costo in questione “deve essere specificamente indicato”, ma va precisato che tale indicazione è funzionale alla predetta verifica di congruità e dunque all’attuazione del precetto cui soggiacciono le stazioni appaltanti.
2.1.4. L’art. 86 va poi coordinato con il successivo art. 87 (“criteri di verifica delle offerte anormalmente basse”), il quale prevede, al comma 4, che “Nella valutazione dell’anomalia la stazione appaltante tiene conto dei costi relativi alla sicurezza, che devono essere specificamente indicati nell’offerta e risultare congrui rispetto all’entità e alle caratteristiche dei servizi o delle forniture”. Il medesimo comma 4 dispone, inoltre, che “Non sono ammesse giustificazioni in relazione agli oneri di sicurezza in conformità all’articolo 131, nonché al piano di sicurezza e coordinamento di cui all’articolo 12, decreto legislativo 14.08.1996, n. 494 e alla relativa stima dei costi conforme all’articolo 7, d.P.R. 03.07.2003, n. 222”.
2.1.5. Dal complesso delle disposizioni in esame si ricava che le stazioni appaltanti sono tenute a verificare gli oneri per la sicurezza ai fini del giudizio di anomalia dell’offerta e, in stretta conseguenza di ciò, che le imprese sono tenute ad indicare nella loro offerta detta voce di costo.
2.1.6. Le medesime norme, tuttavia, operano una distinzione tra appalti di lavori da una parte e appalti di servizi e forniture dall’altra.
Il citato art. 87, comma 4, infatti, specifica il più generale e onnicomprensivo comma 3-bis dell’art. 86, imponendo alle imprese -partecipanti a procedure di affidamento della seconda tipologia di contratti- di indicare nell’offerta “i costi relativi alla sicurezza”.
Per la prima tipologia di giustificazioni, invece, il precetto è significativamente diverso, giacché esso vieta giustificazioni (e dunque ribassi) rispetto agli “oneri relativi alla sicurezza” già stimati dalla stazione appaltante nel piano di sicurezza e coordinamento dalla stessa predisposto ai sensi del richiamato art. 131.
Per contro, in nessuna parte delle richiamate disposizioni è previsto che per gli appalti di lavori pubblici si debbano indicare nell’offerta i costi per la sicurezza aziendale.
E soprattutto, in nessuna parte è prevista la comminatoria di esclusione per l’omessa indicazione degli stessi: certamente non per gli appalti di lavori, per i quali vi è una rigorosa analisi dei costi in questione da parte della stazione appaltante nella fase della progettazione, in virtù di puntuali disposizioni del regolamento di attuazione di cui al d.p.r. n. 207/2010.
2.1.7. Una diversa conclusione rispetto a quanto finora esposto non può essere ricavata nemmeno dall’art. 26, comma 6, del d.lgs. n. 81/2008.
Quest’ultima disposizione è così formulata: “Nella predisposizione delle gare di appalto e nella valutazione dell’anomalia delle offerte nelle procedure di affidamento di appalti di lavori pubblici, di servizi e di forniture, gli enti aggiudicatori sono tenuti a valutare che il valore economico sia adeguato e sufficiente rispetto al costo del lavoro e al costo relativo alla sicurezza, il quale deve essere specificamente indicato e risultare congruo rispetto all’entità e alle caratteristiche dei lavori, dei servizi o delle forniture”.
Vi è certamente un’unificazione di disciplina per tutti gli appalti pubblici, ma il precetto in essa contenuto è rivolto ancora una volta agli “enti aggiudicatori”, ed è altresì indubbio che questa norma vada coordinata con gli artt. 86 e 87 del d.lgs. n. 163/2006, i quali contengono disposizioni di maggiore dettaglio.
2.1.8. Il motivo in questione, quindi, va respinto.
...
2.2.2. É privo di pregio anche l’ulteriore profilo dedotto nell’ambito del secondo motivo (relativo ad asseriti vizi e omissioni attinenti alle giustificazioni presentate dalla Se. S.r.l., dalle quali l’Amministrazione avrebbe dovuto desumere l’anomalia dell’offerta).
2.2.2.1. Orbene, in tema di valutazione dell’anomalia dell’offerta e del relativo procedimento di verifica (che costituisce l’oggetto della censura in esame) la giurisprudenza ha affermato che si tratta di un procedimento che non ha carattere sanzionatorio e non ha per oggetto la ricerca di specifiche e singole inesattezze dell’offerta economica, mirando piuttosto ad accertare se in concreto l’offerta, nel suo complesso, sia attendibile e affidabile in relazione alla corretta esecuzione dell’appalto; il procedimento di verifica dell’anomalia, in altri termini, è volto a garantire e tutelare l’interesse pubblico concretamente perseguito dall’amministrazione attraverso la procedura di gara per la effettiva scelta del miglior contraente possibile ai fini dell’esecuzione dell’appalto (ex multis, C.d.S., Sez. III, n. 6442/2012; Sez. IV, n. 2956/2013; Sez. V, n. 973/2013, n. 2063/2013 e n. 4516/2014); ne consegue che l’esclusione dalla gara dell’offerente per l’anomalia della sua offerta è l’effetto della valutazione (operata dall’amministrazione appaltante) di complessiva inadeguatezza della stessa rispetto al fine da raggiungere
(TAR Lombardia-Milano, Sez. I, sentenza 11.02.2015 n. 443 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

LAVORI PUBBLICI - SICUREZZA LAVORO: P. Stoja, Individuazione di obblighi e responsabilità penale in tema di sicurezza sul lavoro nell’ambito degli appalti pubblici: aspetti problematici (03.02.2015 - tratto da www.giustizia.lazio.it).

gennaio 2015

APPALTI - ATTI AMMINISTRATIVI: Diritto di accesso ad atti contenenti dati reddituali. Necessità di notifica ai controinteressati.
1) I concorrenti ad una procedura concernente l'affidamento di un servizio civico hanno il diritto di accedere agli atti della graduatoria contenente anche informazioni sul reddito dei partecipanti.
2) In conformità all'orientamento giurisprudenziale formatosi con riferimento a procedure concorsuali/selettive, sembra potersi ritenere che i concorrenti collocati nella graduatoria non debbano essere qualificati quali controinteressati nei cui confronti compiere la notifica prescritta dalla legge.

Il Comune riferisce di avere ricevuto istanza per l'accesso agli atti di una graduatoria, contenente anche informazioni sul reddito dei partecipanti, predisposta dall'Ente a seguito di un procedimento concernente l'affidamento di un servizio civico.
[1] Tale richiesta è stata avanzata da un concorrente allo stesso procedimento. L'Ente chiede se su tali dati possa essere garantito il diritto di accesso e se sia necessario informare di un tanto tutti i partecipanti alla procedura.
In termini generali, si osserva che l'articolo 22, comma 1, della legge 07.08.1990, n. 241, precisa, alla lettera a), che per 'diritto di accesso' si intende il «diritto degli interessati di prendere visione e di estrarre copia di documenti amministrativi» e, alla lettera b), che per 'interessati' debbano intendersi «tutti i soggetti privati, compresi quelli portatori di interessi pubblici o diffusi, che abbiano un interesse diretto, concreto e attuale, corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento al quale è chiesto l'accesso».
Al fine del riconoscimento dell'interesse giuridicamente rilevante, il soggetto deve dimostrare, all'atto della richiesta, la correlazione esistente tra la propria situazione giuridica soggettiva e l'interesse alla conoscenza del bene o della vicenda oggetto dell'atto o del documento amministrativo di cui chiede visione o copia.
[2]
Si precisa, inoltre, che la giurisprudenza, nel delineare l'interesse legittimante il diritto di accesso, ha chiarito, da un lato, che lo stesso deve essere accertato caso per caso e deve essere personale e concreto, serio, non emulativo, non riconducibile a mera curiosità
[3] e ricollegabile al soggetto stesso da uno specifico nesso e, dall'altro, che la documentazione richiesta deve essere direttamente riferibile a tale interesse. [4] Inoltre si è affermato che la situazione giuridicamente rilevante si configura come nozione diversa e più ampia rispetto all'interesse all'impugnativa e non presuppone necessariamente una posizione soggettiva qualificabile in termini di diritto soggettivo o di interesse legittimo. [5]
Nella fattispecie dell'accesso ai documenti relativi alle procedure concorsuali, la giurisprudenza,
[6] secondo un orientamento costante, ha precisato che il candidato che partecipa alla medesima è titolare di un interesse qualificato e differenziato alla regolarità della procedura che, come tale, concretizza quell'interesse personale e concreto per la tutela di situazioni giuridicamente rilevanti, richiesto dall'articolo 22 della legge 241/1990, quale presupposto necessario per il riconoscimento del diritto di accesso.
Con riferimento all'accesso a procedure concorsuali, si è affermato, in via di principio, che le domande ed i documenti prodotti dai candidati costituiscono documenti rispetto ai quali deve essere esclusa in radice l'esigenza di riservatezza a tutela di terzi, posto che i concorrenti, prendendo parte alla selezione, hanno evidentemente acconsentito a misurarsi in una competizione di cui la comparazione dei valori di ciascuno costituisce l'essenza della valutazione.
[7]
La Commissione per l'accesso ai documenti amministrativi ha, al riguardo, evidenziato che: 'L'amministrazione non può oscurare i dati personali
[8] delle domande di partecipazione degli altri concorrenti utilmente graduati, non sussistendo alcuna esigenza di tutela della riservatezza, dal momento che i concorrenti, prendendo parte alla selezione pubblica, hanno implicitamente accettato che i loro dati personali, esposti nei documenti della procedura stessa, potessero essere resi conoscibili da tutti gli altri concorrenti a ciò interessati'. [9]
Ravvisata l'esistenza del diritto all'accesso da parte del concorrente agli atti relativi alla procedura concorsuale di che trattasi, il Comune deve valutare, sulla base delle motivazioni addotte a sostegno della richiesta, se consentire l'accesso ai documenti concernenti l'intera graduatoria o solo quella parte relativa ai nominativi dei candidati collocatisi prima del soggetto richiedente l'accesso.
[10]
Passando a trattare dello specifico aspetto della necessità o meno, per la Pubblica Amministrazione, di previa notifica ai controinteressati dell'avvenuta richiesta di accesso,
[11] si osserva, innanzitutto, che per controinteressati si intendono 'tutti i soggetti, individuati o facilmente individuabili in base alla natura del documento richiesto, che dall'esercizio dell'accesso vedrebbero compromesso il loro diritto alla riservatezza' (articolo 22, comma 1, lett. c), legge 241/1990). Tale comunicazione è funzionale alla possibilità, per gli stessi, di presentare una motivata opposizione alla richiesta di accesso. [12]
Si osserva come la Commissione per l'accesso ai documenti amministrativi abbia affermato che: 'In linea generale, la posizione di controinteressato in materia di accesso non va ancorata al solo dato formale della menzione di tale soggetto negli atti e nei documenti cui si riferisce l'accesso oppure al dato estrinseco che gli atti e i documenti medesimi riguardino tale soggetto, ma anche al dato sostanziale della serietà e meritevolezza di tutela nel merito della posizione del controinteressato all'accesso, nel senso che occorre valutare la sussistenza della fondatezza di un'eventuale opposizione da parte di quest'ultimo soggetto. [...]'.
[13]
Anche la giurisprudenza,
[14] nell'affermare che 'la posizione di controinteresse deve essere rigorosamente intesa al fine di bilanciare le esigenze di difesa del soggetto contemplato in un documento di cui è stata chiesta l'esibizione, con quelle di trasparenza e buona amministrazione cui è preordinato l'art. 25 l. n. 241 del 1990', prosegue affermando che: 'Pertanto, non possono essere considerati controinteressati, in un giudizio instaurato ai sensi della suddetta disposizione, i soggetti, anche se contemplati negli atti e documenti richiesti, i quali non siano portatori di un effettivo diritto alla riservatezza e che quindi non possono essere comunque danneggiati, sotto tale profilo, dall'ostensione dei documenti suddetti; si può ritenere escluso il limite della riservatezza in base alla considerazione che i documenti per i quali si chiede l'accesso (pubblicazioni, titoli, "curricula" e "lucidi" acquisiti in sede d'esame della Commissione) sono, per loro natura, pubblici in quanto relativi ad una attività di valutazione di tipo comparativo nell'ambito di una procedura "lato sensu" "concorsuale".
Sebbene l'orientamento giurisprudenziale sopra citato si sia formato con riferimento a procedure concorsuali diverse da quella in esame, sembra potersi ritenere che i concorrenti collocati nella graduatoria in oggetto non debbano essere qualificati quali controinteressati nei cui confronti compiere la notifica prescritta dalla legge, considerato che gli stessi, decidendo di prendere parte alla selezione, hanno acconsentito a misurarsi in una sorta di competizione di cui la comparazione dei valori di ciascuno costituisce l'essenza. Tali atti, una volta acquisiti alla procedura sarebbero, pertanto, usciti dalla sfera personale dei partecipanti per essere messi a disposizione del Comune ai fini dell'effettuazione di quella necessaria valutazione comparativa prodromica alla successiva individuazione dei soggetti cui attribuire lo svolgimento della specifica attività indicata nel bando.
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[1] Si trattava, in particolare, di un bando per il servizio civico di scodellamento pasti con il quale il Comune ha promosso la valorizzazione delle potenzialità delle persone escluse dai processi produttivi. In particolare, il bando era volto a selezionare determinati soggetti, in possesso di specifici requisiti di età, reddituali e di idoneità psico-fisica.
[2] Cfr. Consiglio di Stato, Sezione IV, sentenza del 30.11.2009, n. 7486, secondo cui 'l'interesse giuridicamente rilevante del soggetto che richiede l'accesso non solo non deve necessariamente consistere in un interesse legittimo o in un diritto soggettivo, dovendo solo essere giuridicamente tutelato, purché non si tratti del generico ed indistinto interesse di ogni cittadino al buon andamento dell'attività amministrativa, ma deve anche sussistere un rapporto di strumentalità tra tale interesse e la documentazione di cui si chiede l'ostensione. Questo rapporto di strumentalità va inteso in senso ampio, ossia in modo che la documentazione richiesta sia mezzo utile per la difesa dell'interesse giuridicamente rilevante e non strumento di prova diretta della lesione di tale interesse. Pertanto, l'interesse all'accesso ai documenti deve essere considerato in astratto, escludendo che la legittimazione all'accesso possa essere valutata facendo riferimento alla legittimazione della pretesa sostanziale sottostante, avendo consistenza autonoma, indifferente allo scopo ultimo per cui viene esercitata'.
[3] Cfr. Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza del 12.10.2010, n. 7446.
[4] Cfr. TAR Lazio, Roma, sez. II, sentenza del 16.11.2005, n. 1138.
[5] Cfr. TAR Lazio, Roma, sez. I ter, sentenza del 27.07.2009, n. 7550.
[6] TAR Calabria, Catanzaro, sez. II, sentenza del 05.08.2013, n. 861, TAR Campania, Salerno, sez. II, sentenza del 24.06.2013, n. 1408, TAR Lazio, Roma, sez. II, sentenza del 24.10.2012, n. 8772, TAR Lazio-Roma, sez. III, sentenza dell'08.07.2008, n. 6450.
[7] Commissione per l'accesso ai documenti amministrativi, decisione del 12.10.2010.
[8] Si segnala che le notizie relative al reddito della persona fisica sono considerate dati personali ai sensi dell'articolo 4, comma 1, lettera b), del D.Lgs. 30.06.2003, n. 196 (Codice in materia di protezione dei dati personali), ma non sono dati sensibili.
[9] Commissione per l'accesso ai documenti amministrativi, parere espresso nella seduta del 20.07.2011.
[10] Afferma TAR Puglia, Lecce, sez. II, sentenza del 28.06.2011, n. 1194 che: 'È sicuramente ammissibile l'accesso a documenti attinenti ad un concorso a pubblici impieghi ove miri a verificare come sono stati valutati i titoli dei candidati che precedono l'istante in graduatoria, essendo ravvisabile un interesse diretto, concreto ed attuale (corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata) che non ha certo lo scopo di un controllo generalizzato, bensì quello di verificare la legittimità della graduatoria in relazione ai soggetti che precedono l'istante'. Nello stesso senso si è espressa la Commissione per l'accesso ai documenti amministrativi nella seduta del 12.10.2010 ove si afferma che: 'Deve essere consentito di accedere ai documenti relativi ai titoli e ai punti assegnati ai candidati che precedono in graduatoria l'accedente. [...]'.
[11] In conformità al disposto di cui all'articolo 3, comma 1, del D.P.R. 12.04.2006, n. 184 il quale recita: 'Fermo quanto previsto dall'articolo 5, la pubblica amministrazione cui è indirizzata la richiesta di accesso, se individua soggetti controinteressati, di cui all'articolo 22, comma 1, lettera c), della legge, è tenuta a dare comunicazione agli stessi, mediante invio di copia con raccomandata con avviso di ricevimento, o per via telematica per coloro che abbiano consentito tale forma di comunicazione. I soggetti controinteressati sono individuati tenuto anche conto del contenuto degli atti connessi, di cui all'articolo 7, comma 2'.
[12] Articolo 3, comma 2, del D.P.R. 184/2006 il quale recita: 'Entro dieci giorni dalla ricezione della comunicazione di cui al comma 1, i controinteressati possono presentare una motivata opposizione, anche per via telematica, alla richiesta di accesso. Decorso tale termine, la pubblica amministrazione provvede sulla richiesta, accertata la ricezione della comunicazione di cui al comma 1'.
[13] Commissione per l'accesso ai documenti amministrativi, parere del 06.04.2011.
[14] TAR Puglia, Bari, sez. I, sentenza del 05.12.2002, n. 5428. Si veda, anche, TAR Puglia, Bari, sez. III, sentenza dell'11.12.2014, n. 1532, TAR Lazio, Roma, sez. I-ter, sentenza del 03.06.2011, n. 5010 e sez. III, sentenza dell''08.07.2008, n. 6450, nelle quali vengono peraltro fatte salve 'effettive esigenze di tutela del titolare della sfera riservata vulnerabile, da valutarsi in concreto'. In relazione al caso in esame, si ribadisce che i dati relativi al reddito e alla situazione patrimoniale non hanno natura sensibile, atteso che non rientrano nell'elencazione di cui all'art. 4, comma 1, lett. d), del D.Lgs. 196/2003
(22.01.2015 - link a www.regione.fvg.it).

APPALTI FORNITURE E SERVIZI: L’elemento che differenzia il rinnovo del contratto dalla proroga sta nella circostanza che mentre il rinnovo presuppone una rinegoziazione delle condizioni, la proroga si riduce soltanto ad un mero differimento temporale.
Di fronte all’approvazione di una proroga di un contratto ritenuta dal privato non corrispondente all’offerta presentata, questi ha piena libertà di rifiutare la prestazione e cessare il servizio, né l’Amministrazione potrebbe avvalersi di strumenti coercitivi per imporgli la prosecuzione, se non il condizionamento, di natura esclusivamente economica, verso la sottoscrizione del nuovo contratto, che, tuttavia, rientra nella dialettica procedimentale tra stazione appaltante e prestatore di servizi, e non si traduce in un vizio di legittimità dell’azione amministrativa.

L’appello è infondato e deve pertanto essere respinto.
Le censure dedotte dalla società appellante non scalfiscono la legittimità del provvedimento impugnato.
Infatti, i profili di censura dedotti sono riconducibili all’affermazione dell’illegittimità di una proroga del contratto parziale e non corrispondente a quanto era stato offerto dalla società.
Il Collegio osserva che l’esistenza di una offerta contrattuale difforme, non impediva alla ASL di disporre un affidamento contrattuale (correttamente, il TAR ha rilevato come l’elemento che differenzia il rinnovo del contratto dalla proroga sta nella circostanza che mentre il rinnovo presuppone una rinegoziazione delle condizioni, la proroga si riduce soltanto ad un mero differimento temporale - cfr. Cons. Stato, III, nn. 2682/2012 e 1687/2012). Semmai, l’affidamento poteva incontrare profili di criticità in relazione alle norme dell’evidenza pubblica (ed alla sussistenza dei presupposti per l’affidamento senza gara), ma tali profili non sono stati minimamente accennati dalla ricorrente.
Di fronte all’approvazione di una “proroga” (ormai, rectius: di un “affidamento”) di un contratto ritenuta non corrispondente all’offerta presentata, la società aveva invece piena libertà di rifiutare la prestazione e cessare il servizio; e la ASL non avrebbe avuto strumenti coercitivi per imporgli la prosecuzione (il richiamo, nell’appello, all’ingiustificata utilizzazione del principio di vincolatività dell’offerta, ex art. 11 del d.lgs. 163/2006, è evidentemente un fuor d’opera).
I fatti dimostrano che vi è stata una rinegoziazione (sia pure, con esito contestato), o quanto meno l’accettazione del contratto, che è stato stipulato, anche se con riserva degli esiti del contenzioso già instaurato: ma ciò significava soltanto la non acquiescenza o non rinuncia alle pretese azionate in giudizio; e che la prestazione è stata eseguita (a quanto sembra, vi sono state poi ulteriori proroghe del servizio, così ridotto nel contenuto; in ogni caso, è della legittimità del provvedimento, e non della successiva esecuzione contrattuale che si discute).
Allo stesso modo, non rileva se l’offerta della società, disattesa, riguardasse esclusivamente la proroga dell’intero servizio, ovvero comprendesse la possibilità di scinderne alcune parti; la questione, sollevata dalla ASL (che ne ha argomentato la corrispondenza tra offerta e provvedimento impugnato), è stata oggetto di replica dell’appellante (replica che sembra fondata, dato che la nota in data 21.12.2010 contenente l’offerta si riferisce alla “proroga del contratto in essere in scadenza”, e solo dopo dettaglia i costi in relazione ai distinti servizi), ma appare irrilevante ai fini della legittimità del provvedimento impugnato.
Il condizionamento (l’aut aut, come lamenta l’appellante) verso la sottoscrizione del nuovo contratto, se c’era (l’appellante, pur affermando che la limitazione delle prestazioni ha fatto saltare l’equilibrio economico, non lo dimostra con riferimenti oggettivi), era di natura esclusivamente economica, ma ciò rientra nella dialettica procedimentale tra stazione appaltante e prestatore di servizi, e non si traduce in un vizio di legittimità dell’azione amministrativa.
Non vi è comunque violazione della buona fede e correttezza negoziale, perché non risulta che la ASL abbia mai suscitato la nascita di un affidamento in ordine alla prosecuzione del contratto a condizioni inalterate, e comunque sussistevano oggettivi ragioni per disporre una continuazione limitata nelle more della definizione di diverse e più razionali modalità di gestione complessiva del servizio.
In sostanza, mentre dapprima il servizio comportava la raccolta delle cartelle cliniche presso i presidi ospedalieri ed il trasporto presso il magazzino/archivio della società, in seguito avrebbe comportato soltanto la conservazione delle cartelle esistenti in archivio e non invece il prelievo di nuove cartelle dai presidi (in quanto ormai destinate ad essere archiviate presso strutture apprestate dalle ASL), né quello di descaffalazione delle cartelle medesime per il trasferimento in una nuova sede (presso le ASL) con fornitura delle scatole (la ASL sottolinea che si riservava di esaminarlo successivamente, una volta attivato il nuovo archivio).
La pretesa risarcitoria cade insieme alla domanda di annullamento del provvedimento impugnato, non trovando nel mero comportamento della ASL alcun autonomo alternativo fondamento. Ciò, a prescindere dalla mancata dimostrazione del danno subito (può peraltro dubitarsi che la continuazione del solo servizio di custodia delle cartelle archiviate presso il proprio magazzino, risulti per la società non remunerativo) (massima tratta da
http://renatodisa.com - Consiglio di Stato, Sez. III, sentenza 20.01.2015, n. 159 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Sulla vexata quaestio circa l'indicazione, a pena di esclusione, degli oneri relativi alla sicurezza in maniera analitica sin dal momento della presentazione delle offerte.
Deve rimettersi all’Adunanza Plenaria la soluzione della questione preliminare relativa all’estensione dell’articolo 87, comma 4, del codice dei contratti pubblici anche ai contratti relativi a lavori pubblici.

Si chiede all’Adunanza Plenaria di verificare
1) se, in ogni caso, la sanzione dell’esclusione debba essere comminata anche laddove l’obbligo di specificazione degli oneri non sia stato prescritto dalla normativa di gara; e
2) se, ai fini della soluzione, possa avere rilievo la peculiarità della fattispecie, data dalla circostanza che viene in rilievo un appalto integrato, caratterizzato dall’affidamento congiunto della progettazione esecutiva e dell’esecuzione dei lavori sulla scorta di un progetto definitivo predisposto dalla stazione appaltante.

4. Ritiene la Sezione che il presente giudizio imponga l’esame di questioni di diritto che meritano, ai sensi dell’art. 99 del codice del processo amministrativo, di essere deferite all’esame dell’Adunanza Plenaria in ragione dei contrasti interpretativi emersi e dell’importanza dei principi di diritto in rilievo.
4.1. La fondamentale vexata quaestio attiene alla corretta interpretazione del disposto dell’art. 87, comma 4, del codice dei contratti pubblici, che il Primo Giudice individua come norma da cui discende l’obbligo, per le imprese partecipanti, di indicare, a pena di esclusione, gli oneri relativi alla sicurezza in maniera analitica sin dal momento della presentazione delle offerte.
4.2. E’ in via preliminare necessario specificare che esistono due tipologie di costi relativi alla sicurezza, vale a dire quelli da interferenze e quelli interni o aziendali. La precisazione è fondamentale nella presente fattispecie, dato che l’estromissione dalla gara dell’appellante Cogienne è stata disposta proprio per la mancata indicazione dei costi della seconda categoria.
Volendo tracciare le caratteristiche fondamentali di ciascuna specie di costi, si osserva quanto ai primi, contemplati dagli artt. 26, commi 3-3ter-5, del D.Lgs. n. 81/2008, 86, comma 3-ter, 87, commi 4 e 131 del Codice dei Contratti, che essi:
- servono a eliminare i rischi da interferenza, intesa come contatto rischioso tra il personale del committente e quello dell’appaltatore, oppure tra il personale di imprese diverse che operano nella stessa sede aziendale con contratti differenti;
- sono quantificati a monte dalla stazione appaltante, nel D.U.V.R.I (documento unico per la valutazione dei rischi da interferenze, art. 26 D.Lgs. n. 81/2008); per gli appalti di lavori nel PSC (piano di sicurezza e coordinamento, art. 100 D.Lgs. n. 81/2008);
- non sono soggetti a ribasso, perché ontologicamente diversi dalle prestazioni stricto sensu oggetto di affidamento
In relazione agli oneri di sicurezza interni o aziendali, invece, si precisa che essi sono quelli propri di ciascuna impresa connessi alla realizzazione dello specifico appalto, sostanzialmente contemplati dal DVR, documento di valutazione dei rischi. Ad essi fanno riferimento l’art. 26, comma 3, quinto periodo, del D.Lgs. n. 81/2008 e gli artt. 86, comma 3-bis, e 87, comma 4, secondo periodo, del Codice dei Contratti Pubblici.
Questi ultimi oneri sono soggetti a un duplice obbligo in capo all’amministrazione e all’ impresa concorrente.
Per ciò che concerne la stazione appaltante, gli artt. 86, comma 3-bis, e 87, comma 4, del codice dei contratti pubblici si riferiscono necessariamente agli oneri di sicurezza aziendali, visto che prendono in considerazione eventuali anomalie delle offerte e giudizi di congruità incompatibili con i costi di sicurezza da interferenze, fissi e non soggetti a ribasso. Ne deriva che per tali oneri la valutazione che si impone all’amministrazione non è la relativa predeterminazione rigida ma il dovere di stimarne l’incidenza, secondo criteri di ragionevolezza e di attendibilità generale, nella determinazione di quantità e valori su cui calcolare l’importo complessivo dell’appalto.
Quanto alle imprese che partecipano alle gare, invece, esse devono specificamente indicare gli oneri di sicurezza aziendali, dato che trattasi di valutazioni soggettive rimesse alla loro esclusiva sfera valutativa. Tale tipologia di oneri, infatti, varia da un’impresa all’altra ed è influenzata dalla singola organizzazione produttiva e dal tipo di offerta formulata da ciascuna impresa.
4.3. Tanto premesso, occorre verificare se l’articolo 87, comma 4, riferito agli oneri di sicurezza aziendali, sia prescrizione di respiro universale ovvero norma relativa ai soli appalti di servizi e di forniture, cui si riferisce espressamente l’inciso finale con il rinvio “all’entità e alle caratteristiche dei servizi o delle forniture”. Le criticità che hanno caratterizzato il percorso giurisprudenziale si annidano nella contraddittorietà che, in apparenza, connota la terminologia utilizzata dal Legislatore nel quarto comma dell’art. 87 del Codice degli Appalti. La norma, infatti, recita: “Non sono ammesse giustificazioni in relazione agli oneri di sicurezza in conformità all'articolo 131, nonché al piano di sicurezza e coordinamento di cui all'articolo 12, decreto legislativo 14 agosto 1996, n. 494 e alla relativa stima dei costi conforme all'articolo 7, decreto del Presidente della Repubblica 3 luglio 2003, n. 222. Nella valutazione dell'anomalia la stazione appaltante tiene conto dei costi relativi alla sicurezza, che devono essere specificamente indicati nell'offerta e risultare congrui rispetto all'entità e alle caratteristiche dei servizi o delle forniture”.
Orbene, dalla lettura della disposizione si ricava che mentre il primo periodo ribadisce per tutti gli appalti che gli oneri della sicurezza non sono soggetti a ribasso d’asta e devono essere conformi al piano di sicurezza e coordinamento, il secondo periodo precisa, facendo riferimento esplicito questa volta solo ai settori dei servizi e delle forniture, che l’indicazione relativa ai costi della sicurezza deve essere sorretta da caratteri di specificità e di congruità ai fini della valutazione dell’anomalia dell’offerta.
4.4. A fronte dell’ambiguità della sopra riportata disposizione sono maturate due differenti opzioni interpretative.
4.4.1.Secondo una prima lettura, di matrice estensiva, la ratio della norma, che impone ai concorrenti di indicare già nell’offerta l’incidenza degli oneri di sicurezza aziendali, risponde a finalità di di tutela della sicurezza dei i lavoratori e, quindi, a valori sociali e di rilievo costituzionale che assumono rilievo anche nel settore dei lavori pubblici. Anzi, proprio in quest’ultimo settore il ripetersi di infortuni gravi, dovuto all’utilizzo di personale non sempre qualificato, porta a ritenere che l’obbligo di indicare sin dall’offerta detti oneri debba valere ed essere apprezzato con particolare rigore. Inoltre, depone in tal senso anche la collocazione sistematica della norma citata, che è appunto inserita nella parte del Codice dedicata ai “Contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture” (Cons. Stato, sez. III, 05.10.2011, n. 5421; sez. V, 19.07.2013, n. 3929).
Si è poi osservato (Cons. Stato, sez. III, 03.07.2013, n. 3565) che “tale indicazione costituisce sia nel comparto dei lavori che in quelli dei servizi e delle forniture un adempimento imposto dagli artt. 86, comma 3-bis, e 87, comma 4, d.lgs. 12.04.2006 n. 163 all'evidente scopo di consentire alla stazione appaltante di adempiere al suo onere di verificare il rispetto di norme inderogabili a tutela dei fondamentali interessi dei lavoratori in relazione all'entità ed alle caratteristiche del lavoro, servizio o fornitura da affidare; stante la natura di obbligo legale rivestita dall'indicazione, è irrilevante la circostanza che la lex specialis di gara non abbia richiesto la medesima indicazione, rendendosi altrimenti scusabile una ignorantia legis; poiché la medesima indicazione riguarda l'offerta, non può ritenersene consentita l'integrazione mediante esercizio del potere/dovere di soccorso da parte della stazione appaltante, ex art. 46 comma 1-bis, cit. d.lgs. n. 163 del 2006, pena la violazione della par condicio tra i concorrenti”.
4.4.2. Tuttavia, recentemente, la giurisprudenza amministrativa (in particolare Cons. Stato, sez. V, 07.05.2014, n. 2343; 09.10.2013, n. 4964) ha fornito una lettura diversa della norma, ritenendo che l’obbligo di indicare nell’offerta gli oneri di sicurezza aziendali riguardi solo gli appalti di servizi o di forniture in ragione della “speciale disciplina normativa riservata agli appalti di lavori, che appunto si connota per l’analisi preventiva dei costi della sicurezza aziendale, che sua vota si spiega alla luce della maggiore rischiosità insita nella predisposizione di cantieri”. Seguendo questa linea interpretativa, si giunge ad affermare che “l’obbligo di dichiarare, a pena di esclusione, i costi per la sicurezza interna previsto dall’art. 87, comma 4, d.lgs. n. 163/2006 si applica alle sole procedure di affidamento di forniture e di servizi. Per i lavori, al contrario, la quantificazione è rimessa al piano di sicurezza e coordinamento ex art. 100 d.lgs. n. 81/2008, predisposto dalla stazione appaltante ai sensi dell’art. 131 cod. contratti pubblici”.
Secondo questo approccio ermeneutico non può trascurarsi che è comunque obbligatoria la valutazione, ai fini della congruità dell’offerta, del costo del lavoro e della sicurezza in forza del comma 3 bis dell’art. 86 del Codice secondo cui: “…nella valutazione dell’anomalia delle offerte nelle procedure di affidamento di appalti di lavori pubblici, di servizi e di forniture, gli enti aggiudicatori sono tenuti a valutare che il valore economico sia adeguato e sufficiente rispetto al costo del lavoro e al costo relativo alla sicurezza, il quale deve essere specificamente indicato e risultare congruo rispetto all’entità e alle caratteristiche dei lavori, dei servizi o delle forniture”. In questa disposizione il Legislatore ha espressamente indicato tutte le possibili tipologie di appalti pubblici, compresi i lavori, per cui si deve opinare, a contrario, che, non avendo utilizzato la medesima locuzione estensiva nel comma 4 dell’art. 87, tale ultima norma va riferita ai soli contratti pubblici presi espressamente in considerazione, ossia quelli aventi ad oggetto servizi e forniture.
4.5. Alla luce di tali contrasti
deve quindi rimettersi all’Adunanza Plenaria la soluzione della questione preliminare relativa all’estensione dell’articolo 87, comma 4, del codice dei contratti pubblici anche ai contratti relativi a lavori pubblici.
Si chiede all’Adunanza Plenaria di verificare se, in ogni caso, la sanzione dell’esclusione debba essere comminata anche laddove l’obbligo di specificazione degli oneri non sia stato prescritto dalla normativa di gara; e se, ai fini della soluzione, possa avere rilievo la peculiarità della fattispecie, data dalla circostanza che viene in rilievo un appalto integrato, caratterizzato dall’affidamento congiunto della progettazione esecutiva e dell’esecuzione dei lavori sulla scorta di un progetto definitivo predisposto dalla stazione appaltante (Consiglio di Stato, Sez. V, ordinanza 16.01.2015 n. 88 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Il principio di tassatività delle cause di esclusione ex art. 46, c. 1-bis, del D.Lgs. n. 163/2006, si applica anche alle concessioni di servizi.
Il solo parametro per valutare la legittimità delle ammissioni/esclusioni dalle procedure selettive pubbliche è dato dall' art. 46, c. 1-bis, del D.Lgs. n. 163/2006.

Il principio di tassatività delle cause di esclusione, disposto dall'art. 46, c. 1-bis, del D.Lgs. n. 163/2006 (introdotto dall'art. 4, c. 2, lett. d), n. 2), D.L. 13.05.2011, n. 70, conv., con modif., dalla L. 12.07.2011, n. 106), si applica anche alle concessioni di servizi di cui all'art. 30 Codice Appalti, quale principio fondamentale generale relativo ai contratti pubblici e costituisce specificazione dei principi di massima partecipazione e di proporzionalità, talché la sua estensione alla materia delle concessioni trova esplicito fondamento nell'art. 30, c. 3, del D.Lgs. n. 163/2006.
Diversamente opinando, si giungerebbe ad un'ingiustificata divaricazione del regime da seguire nella gare per l'affidamento di appalti ed in quelle per l'affidamento di concessioni di servizi.
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La giurisprudenza ha chiarito che l'art. 46, c. 1-bis, D.Lgs. n. 163/2006 "ha previsto la tassatività delle cause di esclusione, disponendo che la stazione appaltante può escludere i candidati o i concorrenti solo in caso di mancato adempimento alle prescrizioni previste dal codice e dal regolamento e da altre disposizioni di legge vigenti, nonché nei casi di incertezza assoluta sul contenuto o sulla provenienza dell'offerta, per difetto di sottoscrizione o di altri elementi essenziali ovvero in caso di non integrità del plico contenente l'offerta o la domanda di partecipazione o altre irregolarità relative alla chiusura dei plichi, tali da far ritenere, secondo le circostanze concrete, che sia stato violato il principio di segretezza delle offerte; ma i bandi e le lettere di invito non possono contenere ulteriori prescrizioni a pena di esclusione".
La stessa disposizione normativa, poi, stabilisce, altresì, che (inciso finale) "Dette prescrizioni sono, comunque, nulle". Inoltre, è principio giurisprudenziale altrettanto pacifico che "le norme che disciplinano i requisiti soggettivi di partecipazione alle gare pubbliche vanno interpretate nel rispetto dei principi di tipicità e tassatività delle ipotesi di esclusione. Questo orientamento ha recentemente trovato una puntuale traduzione normativa con il nuovo c. 1-bis dell'art. 46 d.lgs. 12.04.2006. n. 163, introdotto dall'art. 4 del d.l. 13.05.2011, n. 70".
Pertanto, il solo parametro per valutare la legittimità delle ammissioni/esclusioni dalle procedure selettive pubbliche è dato dal citato art. 46, c. 1-bis, risultando l'esclusione legittima solo se ivi rinvenga copertura. Conseguentemente, da un lato, in tanto l'esclusione è legittima (e doverosa), in quanto trovi copertura nell'art. 46, c. 1-bis citato (e anche quando la legge di gara si spinga, illegittimamente, a negare espressis verbis la conseguenza espulsiva); dall'altro, tutte le volte in cui non trovi fondamento nel menzionato paradigma normativo, l'esclusione è illegittima anche quando (illegittimamente) prevista nella lex specialis, affetta sul punto da nullità testuale (art. 46, c. 1-bis, inciso finale) e parziale (in applicazione analogica dell'art. 1419 c.2 del codice civile) (TAR Puglia-Lecce, Sez. III, sentenza 07.01.2015 n. 18 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI: Sull'inosservanza dell'obbligo dichiarativo di assenza di pregiudizi penali in capo alla società cedente art. 38 del d.lgs. n. 163/2006.
L'omessa dichiarazione di assenza di pregiudizi penali in capo alla società cedente ex art. 38 del d.lvo n. 163/2006, comporta automaticamente l'esclusione dalla gara solo se espressamente prevista nel bando o se, in ogni caso, vi sia la prova che gli amministratori (anche cessati nel triennio, ora nell'anno antecedente la presentazione della dichiarazione) per i quali sia stata omessa la dichiarazione hanno in concreto riportato pregiudizi penali non dichiarati nella presentazione dell'offerta.
Con il d.l. 24.06.2014, n. 90 (recante Misure urgenti per la semplificazione e la trasparenza amministrativa e per l'efficienza degli uffici giudiziari), conv. in l., con modif., dall'art. 1, c. 1, della l. 11.08.2014, n. 114, il legislatore sembra addirittura superare espressamente l'interpretazione giurisprudenziale più rigorista che riteneva legittima l'esclusione a fronte dell'omessa allegazione della documentazione sul possesso dei requisiti di idoneità morale; l'art. 39 del decreto sopra citato, aggiungendo il c. 2-bis all'art. 38 del d.lgs. cit., infatti, prevede che, in caso di incompletezza delle dichiarazioni, vi sia soltanto una penale in favore della stazione appaltante, la quale assegna al concorrente un termine, che non deve essere superiore ai dieci giorni, affinché siano integrate le dichiarazioni necessarie.
Nel caso in cui, invece, le irregolarità non siano essenziali, la stazione appaltante non ne deve richiedere nemmeno la regolarizzazione. Pertanto, anche secondo le scelte del legislatore più recente sembra confermato il venir meno del principio dell'esclusione automatica dalla gara.
Rimane, dunque, applicabile il principio ormai consolidato in giurisprudenza secondo cui l'inosservanza dell'obbligo dichiarativo di cui all'art. 38 del d.lgs. cit. sugli amministratori dell'impresa dalla quale si è ottenuto la disponibilità dell'azienda (in particolare nel caso in cui si tratti di affitto d'azienda), può portare all'esclusione del concorrente dalla gara solo se così prevede il bando ovvero, in caso contrario, se risultino in concreto pregiudizi penali a carico degli amministratori della società locatrice (Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 05.01.2015 n. 18 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI: Convenzioni per la gestione in forma associata di funzioni e attività relative all’acquisizione di lavori, beni e servizi.
L'ufficio lavori pubblici urbanistica edilizia dell'ANCI ha predisposto una "guida" ed uno "schema di convenzione" (gennaio 2015 - tratto da www.segretaricomunalivighenzi.it).

anno 2014
dicembre 2014

APPALTI - PUBBLICO IMPIEGO: Non può essere riconosciuto alcun emolumento aggiuntivo ai componenti della S.u.a. (Stazione unica appaltante).
Per i pubblici dipendenti vige il principio dell'onnicomprensività della retribuzione ai sensi degli artt. 2, 45 e 53, D.Lgs. 30.03.2001, n. 165 che può essere derogato solo nei casi espressamente e tassativamente previsti dalla legge o per particolari categorie di lavoratori, in ragione della loro qualificazione professionale, o per specifiche attività non rientranti tra quelle ordinariamente spettanti o tra quelle connesse ai fini istituzionali dell'Amministrazione di appartenenza.
Da ciò consegue che ai funzionari designati quali componenti della Stazione Unica Appaltante in rappresentanza dell'Ente locale con la stessa convenzionato, non possa essere riconosciuto alcun emolumento aggiuntivo rispetto a quello ordinariamente loro spettante come salario accessorio, sia perché la L. 13.08.2010, n. 136, istitutiva della Stazione nulla dispone al riguardo, sia perché le attività espletate dalla stessa e, dunque, dai membri che la compongono, rientrano tra i fini istituzionali delle Amministrazioni che vi aderiscono e di cui soddisfano gli interessi.
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Con la nota sopra indicata, il Presidente della Provincia di Salerno faceva pervenire, a questa Sezione, richiesta di parere del seguente tenore: “...Premesso che:
- ai sensi del decreto legislativo 12.04.2006, n. 163, recante il «Codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture in attuazione delle direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE» (ed in particolare l'articolo 33 comma) le P.A. hanno la possibilità di acquisire lavori, servizi e forniture facendo ricorso a centrali di committenza con facoltà di affidare le funzioni di stazione appaltante di lavori pubblici ai Provveditorati interregionali per le opere pubbliche, già servizi integrati infrastrutture e trasporti (SIIT), o alle amministrazioni provinciali, nonché a centrali di committenza;
- che l'art. 13 della legge 13.08.2010 n. 136, cui ha dato attuazione il DPCM 30.06.2011, ha introdotto l'obbligatorietà dell'istituzione, in ambito regionale, di una o più stazioni uniche appaltanti (SUA), al fine di assicurare la trasparenza, la regolarità e l'economicità della gestione dei contratti pubblici e di prevenire il rischio di infiltrazioni mafiose;
- che la Prefettura di Salerno ed il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti —Provveditorato interregionale alle Opere Pubbliche per la Campania ed il Molise— hanno istituito la Stazione Unica Appaltante in Provincia di Salerno;
- che la Provincia di Salerno con deliberazione del Consiglio Provinciale 05.04.2013 n. 51 ha aderito alla Stazione Unica Appaltante, quale centrale di committenza, costituita presso il Provveditorato Interregionale alle Opere Pubbliche per la Campania ed il Molise, ratificando la convenzione sottoscritta in data 13.03.2013 tra Prefettura di Salerno, Provveditorato Interregionale OOPP. e Provincia di Salerno;
- che ai sensi dell'art. 4, comma 9, della richiamata convezione "le commissioni di gara comprenderanno sempre un componente nominato dall'Ente associato".
Atteso che:
- la S.U.A. prevede l'attribuzione di un compenso ai componenti delle commissioni di gara nominate per l'aggiudicazione dei contratti pubblici di lavori, servizi e forniture;
- per i dipendenti pubblici vige, nel nostro ordinamento giuridico, il principio immanente di onnicomprensività del trattamento economico per cui non è possibile remunerare il dipendente con compensi extra-ordinem per compiti rientranti nelle mansioni dell'Ufficio ricoperto;
Rilevato che:
- la Provincia di Salerno, ai sensi dell'art. 4, comma 9, della convezione citata, nomina dipendenti quali propri componenti delle commissioni presso la Stazione Unica Appaltante;
- che a tali dipendenti -secondo l'astratta previsione del regolamento S.U.A.— è attri-buito un compenso quali componenti delle commissioni di gara presso la Stazione Unica Appaltante;
- che tate compenso pare potersi corrispondere al dipendente pubblico solo se la partecipazione alle commissioni di gara presso la S.U.A. è qualificabile come compito non rientrante nelle mansioni dell'Ufficio ricoperto;
- che effettivamente la partecipazione alla commissione di gara presso la S.U.A, istituita presso altro Ente (Provveditorato Interregionale Opere Pubbliche del Ministero delle Infrastrutture e Trasporti) non pare potersi tout court ricomprendere tra le mansioni del dipendente della Provincia di Salerno;
Dato atto:
- che la premessa ha esclusivamente funzione esemplare e non costituisce fattispecie gestionale né è in alcun modo riferibile a provvedimenti o comportamenti amministrativi già compiuti dei quali si chiede la soluzione o la valutazione a posteriori;
- dell'assenza di dirette commistioni con le funzioni di controllo e giurisdizionali esercitate dalla Corte dei Conti;
- che non vi sono al riguardo, per quanto di conoscenza, procedimenti giurisdizionali civili amministrativi o penali in corso
Considerato:
- che la questione ha incidenza sul bilancio dell'ente e sulla carretta gestione dello stesso e che comunque la questione attiene ai principi e limiti imposti per l'obiettivo del contenimento della spesa pubblica;
- che sussiste incertezza interpretativa nei sensi e nei termini anzidetti
per quanto sopra esposto
si chiede
il parere circa la possibilità di corrispondere ai dipendenti della Provincia di Salerno, nominati nelle commissioni di gara per l'affidamento dei contratti pubblici della Stazione Unica Appaltante istituita ai sensi dell'art. art. 13 della legge 136/2010 presso il Provveditorato interregionale 00.PP. del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, il compenso previsto dal regolamento S.U.A.
”.
...
Con il quesito in esame, l’Ente interpellante chiede il parere di questa Sezione circa la possibilità di corrispondere ai dipendenti della Provincia di Salerno, nominati nelle commissioni di gara per l'affidamento dei contratti pubblici della Stazione Unica Appaltante istituita ai sensi dell'art. art. 13 della legge 136/2010 presso il Provveditorato interregionale 00.PP. del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, il compenso previsto dal regolamento S.U.A..
Tale richiesta di parere è dichiaratamente formulata con riferimento al principio di onnicomprensività del trattamento economico dei dipendenti della P.A., il quale trova la propria fonte normativa in varie disposizioni di legge e contrattuali.
E, invero, per quanto attiene al personale in possesso di qualifica dirigenziale, l’art. 24, comma 3, del Decreto Legislativo 30.03.2001, n. 165, così recita: “
Il trattamento economico determinato ai sensi dei commi 1 e 2 remunera tutte le funzioni ed i compiti attribuiti ai dirigenti in base a quanto previsto dal presente decreto, nonché qualsiasi incarico ad essi conferito in ragione del loro ufficio o comunque conferito dall'amministrazione presso cui prestano servizio o su designazione della stessa; i compensi dovuti dai terzi sono corrisposti direttamente alla medesima amministrazione e confluiscono nelle risorse destinate al trattamento economico accessorio della dirigenza”.
Inoltre, l’art. 20, comma 1, del CCNL del 22.2.2010 prevede che “
Il trattamento economico dei dirigenti, ai sensi dell’art. 24, comma 3, del D.lgs. n. 165 del 2001, ha carattere di onnicomprensività in quanto remunera completamente ogni incarico conferito ai medesimi in ragione del loro ufficio o comunque collegato alla rappresentanza di interessi dell’Ente”.
Peraltro, il comma 2 dello stesso art. 20 precisa che “
In aggiunta alla retribuzione di posizione e di risultato possono essere erogati, a titolo di retribuzione di risultato, solo i compensi espressamente previsti da specifiche disposizioni di legge, come espressamente recepite nelle vigenti disposizioni della contrattazione collettiva nazionale e secondo le modalità da queste stabilite ...”.
Per quanto riguarda, poi, il personale non dirigente, dotato di posizione organizzativa, viene in rilievo, in particolare, la disposizione dell’art. 10 del CCNL 31/03/1999: “(Retri-buzione di posizione e retribuzione di risultato)
Il trattamento economico accessorio del personale della categoria D titolare delle posizioni di cui all’art. 8 è composto dalla retribuzione di posizione e dalla retribuzione di risultato. Tale trattamento assorbe tutte le competenze accessorie e le indennità previste dal vigente contratto collettivo nazionale, compreso il compenso per il lavoro straordinario, secondo la disciplina del CCNL per il quadriennio 1998–2001”.
Per il restante personale, può farsi riferimento, in particolare, al disposto dell’art. 2, comma 3, del summenzionato d.lgs. n. 165/2001 (cfr.: sent. n. 269/2013/A della Sezione I Giurisdizionale Centrale d’appello del 7 dicembre-03.04.2012; deliberazione n. FVG/30/2012/PAR della Sezione di controllo della regione Friuli Venezia Giulia in data 16-17.04.2012), il quale recita: “
I rapporti individuali di lavoro di cui al comma 2 sono regolati contrattualmente. I contratti collettivi sono stipulati secondo i criteri e le modalità previste nel titolo III del presente decreto; i contratti individuali devono conformarsi ai principi di cui all'articolo 45, comma 2. L'attribuzione di trattamenti economici può avvenire esclusivamente mediante contratti collettivi e salvo i casi previsti dal comma 3-ter e 3-quater dell'articolo 40 e le ipotesi di tutela delle retribuzioni di cui all'articolo 47-bis, o, alle condizioni previste, mediante contratti individuali ...”.
Per quanto più specificamente attiene agli Enti locali, vengono anche in rilievo le disposi-zioni dei commi 4,5 e 6 del DL 31.08.1987, n. 359, conv. con modificazioni dalla L. 29.10.1987, n. 440, le quali recitano: “
4. Nessuna deroga di alcun genere è consentita agli enti locali in sede di applicazione del contratto nazionale collettivo di lavoro per quanto riguarda la normativa concernente lo stato giuridico ed il trattamento economico del personale dipendente contenuta nel decreto approvativo.
5. Sono del pari vietate, in violazione o in aggiunta a quanto previsto dai decreti del Presidente della Repubblica approvativi di accordi nazionali, concessioni economiche comunque denominate o motivate.
6. I provvedimenti adottati in violazione di quanto disposto dai commi 4 e 5 sono nulli
”.
Va, infine, aggiunto che l’art. 53 del summenzionato Decreto Legislativo 30.03.2001, n. 165 disciplina le ipotesi di “Incompatibilità, cumulo di impieghi e incarichi”.
Si può, dunque, affermare che l’onnicomprensività del trattamento economico dei dipendenti della P.A. costituisca un principio valido per la generalità dei pubblici dipendenti, salve le eccezioni specificamente previste dalla legge e dai contratti collettivi.
Detto principio, “
impedisce di attribuire compensi aggiuntivi qualora gli stessi rientrino nelle funzioni attribuite e nelle connesse responsabilità, per lo svolgimento di attività lavorative comunque riconducibili ai doveri istituzionali dei dipendenti pubblici” (Consiglio di Stato, Sez. V, 02.08.2010, n. 5099; Cons. St., Sez. V, 12.02.2008, n. 493)”, e, in ogni caso, allorché ci si trovi in cospetto di un’attività che rientri nei compiti istitu-zionali della Pubblica Amministrazione cui appartiene il soggetto chiamato a svolgerla (cfr. la summenzionata deliberazione n. FVG/30/2012/PAR della Sezione di controllo della regione Friuli Venezia Giulia in data 16-17.04.2012).
Peraltro, la Sezione della Autonomie, nel corpo della deliberazione n. 7/SEZAUT/2014/QMIG del 4-15.04.2014, ha precisato che il sistema retributivo dei pubblici dipendenti “è basato sui due principi cardine di omnicomprensività della retribu-zione, sancito dall’art. 24, comma 3, del d.lgs. 30.03.2001, n. 165, nonché di definizione contrattuale delle componenti economiche, fissato dal successivo art. 45, comma 1. Principi alla luce dei quali nulla è dovuto oltre il trattamento economico fondamentale ed accessorio, stabilito dai contratti collettivi, al dipendente che abbia svolto una prestazione rientrante nei suoi doveri d’ufficio”.
Tanto premesso, per entrare nel merito del quesito sottoposto a questa Sezione, si deve far menzione del disposto dell’art. 13 della Legge 13.08.2010, n. 136 (“Piano straordinario contro le mafie, nonché delega al Governo in materia di normativa antimafia”), istitutivo della S.U.A. (Stazione Unica Appaltante), il quale recita: “Con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta dei Ministri dell'interno, dello sviluppo economico, delle infrastrutture e dei trasporti, del lavoro e delle politiche sociali, per i rapporti con le regioni e per la pubblica amministrazione e l'innovazione, da adottare entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, sono definite, previa intesa in sede di Conferenza unificata di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28.08.1997, n. 281, e successive modificazioni, le modalità per promuovere l'istituzione, in ambito regionale, di una o più stazioni uniche appaltanti (SUA), al fine di assicurare la trasparenza, la regolarità e l'economicità della gestione dei contratti pubblici e di prevenire il rischio di infiltrazioni mafiose.
2. Con il decreto di cui al comma 1 sono determinati:
a) gli enti, gli organismi e le società che possono aderire alla SUA;
b) le attività e i servizi svolti dalla SUA, ai sensi dell'articolo 33 del codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture, di cui al decreto legislativo 12.04.2006, n. 163;
c) gli elementi essenziali delle convenzioni tra i soggetti che aderiscono alla SUA;
d) le forme di monitoraggio e di controllo degli appalti, ferme restando le disposizioni vigenti in materia
”.
Come premette l’Ente quaerens, la Provincia di Salerno con deliberazione del Consiglio Provinciale 05.04.2013 n. 51 ha aderito alla Stazione Unica Appaltante, quale centrale di committenza, costituita presso il Provveditorato Interregionale alle Opere Pubbliche per la Campania ed il Molise, ratificando la convenzione sottoscritta in data 13.03.2013 tra Prefettura di Salerno, Provveditorato Interregionale OOPP. e Provincia di Salerno.
E’ opportuno ricordare che l’art. 33 del Decreto legislativo 12.04.2006, n. 163 (menzionato dalla normativa surriportata), al secondo periodo del comma 3, stabilisce che “...le amministrazioni aggiudicatrici possono affidare le funzioni di stazione appal-tante di lavori pubblici ai servizi integrati infrastrutture e trasporti (SIIT) o alle amministrazioni provinciali, sulla base di apposito disciplinare che prevede altresì il rim-borso dei costi sostenuti dagli stessi per le attività espletate, nonché a centrali di committenza”.
Il DPCM 30.06.2011, in applicazione dell’innanzi riportato art. 13 della Legge 13.08.2010, n. 136, prevede, al comma 3 dell’art. 6, che “In relazione allo specifico contratto, il Prefetto, senza nuovi o maggiori oneri, in conformità alla normativa vigente, qualora lo ritenga opportuno per rafforzare le misure di prevenzione delle infiltrazioni della criminalità organizzata, può richiedere il supporto tecnico del Provveditorato interregionale per le opere pubbliche competente per territorio e dell'Unità di verifica degli investimenti pubblici - Dipartimento dello sviluppo e coesione economica del Ministero dello sviluppo economico”.
Inoltre, detto DPCM, all’art. 2, stabilisce che “L'individuazione delle attività e dei servizi della SUA, unitamente all'indicazione degli elementi essenziali delle convenzioni tra i soggetti che vi aderiscono, mira ad agevolarne una maggiore diffusione, in modo da perseguire l'obiettivo di rendere più penetrante l'attività' di prevenzione e contrasto ai tentativi di condizionamento della criminalità mafiosa, favorendo al contempo la celerità delle procedure, l'ottimizzazione delle risorse e il rispetto della normativa in materia di sicurezza sul lavoro”.
Quanto alla convenzione sottoscritta in data 13.03.2013 tra Prefettura di Salerno, Provveditorato Interregionale OOPP. e Provincia di Salerno, regolativa del rapporto instaurato fra detti Organi ed Ente -e ratificata dalla Provincia di Salerno con deliberazione del Consiglio Provinciale 05.04.2013 n. 51, in forza della quale la medesima Provincia ha aderito alla Stazione Unica Appaltante, quale centrale di committenza, costituita presso il Provveditorato Interregionale alle Opere Pubbliche per la Campania ed il Molise– per lo svolgimento delle attività istituzionali de quibus, va sottolineato che, all’art. 1 della medesima, si legge “... E’ istituita una Stazione Unica Appaltante, di seguito denominata S.U.A., con il compito di curare tutte le procedure di aggiudicazione di contratti di lavori pubblici, di prestazioni di servizio,di acquisto di beni e forniture, dalla redazione e pubblicazione del bando di gara fino all’aggiudicazione definitiva per il soggetto sottoscrittore della presente convenzione”. Inoltre, l’articolo 3 “(Ambito di operatività della stazione unica appaltante)” di quest’ultima così recita: “1. L’ambito di operatività della stazione unica appaltante è relativa ai Lavori Pubblici di importo pari o superiore ad € 200.000, 00 ed a forniture di importo pari o superiore ad € 130.000,00 al netto d’IVA.
2. Previa diretta intesa tra la Stazione Unica Appaltante e l’Ente associato sarà possibile ampliare l’ambito di attività per lavori, servizi e forniture
”.
In applicazione del complesso delle disposizioni normative e contrattuali sopra riportate non può non rilevarsi come, con riferimento al caso di specie, la S.U.A. svolga attività rientrati nei fini istituzionali dell’Ente associato (nella specie: Provincia di Salerno), e come le relative funzioni vengano disimpegnate in favore di quest’ultimo e per la realizzazione di interessi facenti capo direttamente a quest’ultimo (cfr. il citato art. 2 del DPCM 30.06.2011, che annovera, tra le finalità dell’istituzione della S.U.A., la realizzazione della celerità delle procedure, l'ottimizzazione delle risorse ...), nonché condivisi fra lo Stato e l’Ente locale (quali quelli riferibili all’obiettivo di rendere più penetrante l'attività di prevenzione e contrasto ai tentativi di condizionamento della criminalità mafiosa, enunciato dallo stesso art. 2 del DPCM 30.06.2011).
In tali condizioni, dunque, non potrebbe farsi luogo, da parte dell’Ente interpellante, alla corresponsione, ai dipendenti della Provincia di Salerno, nominati nelle commissioni di gara per l'affidamento dei contratti pubblici della Stazione Unica Appaltante istituita ai sensi dell'art. 13 della legge 136/2010 presso il Provveditorato interregionale 00.PP. del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, di compensi aggiuntivi per lo svolgimento, in seno alla S.U.A., dei compiti rientranti nei fini istituzionali della Provincia di Salerno.
Va, infine, fatta espressa avvertenza che tutto quanto sopra osservato, riportato e motivato rimane nei limiti del carattere esterno ed imparziale della funzione consultiva svolta, ai sensi dell’art. 7, comma 8, della legge 05.06.2003, n. 131, da questa Corte, i cui pareri non si inseriscono nell’attività amministrativa dell’Ente quaerens, ma sono destinati esclusivamente a fornire elementi di riflessione di carattere tecnico-giuscontabilistico, non vincolanti per l’Ente interpellante, il quale, pertanto, rimane il dominus del proprio procedimento amministrativo-contabile, con tutte le conseguenziali implicazioni in termini di competenza e di responsabilità (Corte dei Conti, Sez. controllo Campania, parere 11.12.2014 n. 247).

APPALTI SERVIZI: Elementi che differenziano un appalto da una concessione.
Quando un operatore privato si assume i rischi della gestione del servizio, rifacendosi sostanzialmente sull'utente mediante la riscossione di un qualsiasi tipo di canone, tariffa o diritto, allora si ha concessione, ragione per cui può affermarsi che è la modalità di remunerazione il tratto distintivo della concessione dall'appalto di servizi.
Pertanto, si avrà concessione quando l'operatore si assume in concreto i rischi economici della gestione del servizio, rifacendosi essenzialmente sull'utenza, mentre si avrà appalto quando l'onere del servizio venga a gravare sostanzialmente sull'amministrazione.

Il Comune si pone il dubbio se sia possibile applicare l'istituto del 'project financing di servizi', previsto dall'art. 278 del DPR 207/2010 (per le concessioni di servizi) per l'affidamento del 'servizio di gestione della parte elettrica degli immobili comunali'; infatti il Comune precisa che, nel caso di specie, esso verserebbe all'affidatario un 'canone annuo onnicomprensivo' e ciò lo porterebbe a configurare il rapporto come appalto di servizi.
Il riscontro verrà quindi dato sul tratto distintivo tra concessioni ed appalti.
Sulla questione, una recente pronuncia del Giudice amministrativo di seconda istanza
[1], che conferma un filone giurisprudenziale maggioritario [2], si è così espressa: 'Quando un operatore privato si assume i rischi della gestione del servizio, rifacendosi sostanzialmente sull'utente mediante la riscossione di un qualsiasi tipo di canone, tariffa o diritto, allora si ha concessione, ragione per cui può affermarsi che è la modalità della remunerazione il tratto distintivo della concessione dall'appalto di servizi. Pertanto, si avrà concessione quando l'operatore si assume in concreto i rischi economici della gestione del servizio, rifacendosi essenzialmente sull'utenza, mentre si avrà appalto quando l'onere del servizio venga a gravare sostanzialmente sull'amministrazione. Nel caso di specie (ndr: affidamento di servizi relativi alla nautica di diporto) la remunerazione spettante alla società in conseguenza dell'affidamento consisteva unicamente nel corrispettivo stabilito in sede di lex specialis...a carico dell'amministrazione comunale e non si accompagnava in alcun modo con ulteriori forme di remunerazione direttamente o indirettamente ricadenti sui fruitori finali dei servizi. Ne consegue che l'affidamento operato dal Comune nei confronti della società deve qualificarsi non come concessione di servizi bensì come appalto di servizi ai sensi del comma 10 dell'art. 3 del d.lgs. 163/2006'.
Si ritiene altresì utile citare un pronunciamento
[3] dell'Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture (ora Autorità nazionale anti corruzione), la quale in relazione alla 'gestione della rete degli impianti elettrici di tutti gli edifici comunali, acquisto di energia elettrica, manutenzione ordinaria e straordinaria, adeguamento tecnologico, riqualificazione e risparmio energetico' ha così statuito: 'l'affidamento è da configurare quale appalto di lavori o di servizi a seconda della prevalenza dell'attività esercitata e non come concessione'.
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[1] C.St., sent. 21.05.2014, n. 2624.
[2] Ex multis: C. St., sent. 4.11.2012, n. 4682, 09.11.2011, n. 5068.
[3] Deliberazione n. 12 del 26.01.2011
(09.12.2014 -
link a www.regione.fvg.it).

APPALTI: Richiesta di rating ai garanti.
Domanda
Nei bandi di gara è possibile inserire la richiesta di rating ai garanti?
Risposta
La richiesta, da parte delle stazioni appaltanti, di rating pari o superiore a un determinato minimo attribuito dalle società di certificazione internazionale è una previsione che si pone in violazione dei principi di cui all'articolo 2 del Codice degli appalti. Infatti, una simile richiesta introduce restrizioni non previste dal Codice che non appaiono neppure correlate e proporzionate con gli obiettivi che si intende perseguire.
I correttivi introdotti da talune amministrazioni aggiudicatrici alleviano leggermente gli effetti delle restrizioni poste, ma non appaiono sufficienti a garantire condizioni di pari concorrenza tra le imprese sul mercato (Avcp Determinazione n. 1 del 29/07/2014 - Problematiche in ordine all'uso della cauzione provvisoria e definitiva - artt. 75 e 113 del Codice).
La richiesta di rating ai garanti, inserita nei bandi di gara, determina disparità tra i soggetti che operano nel mercato creditizio/finanziario e potrebbe limitare la partecipazione alle gare delle imprese che segnalano difficoltà a reperire le garanzie necessarie per accedere alla gara d'appalto.
Nella Determinazione n. 2 del 13.03.2013 -Questioni concernenti l'affidamento dei servizi assicurativi e di intermediazione assicurativa- l'Avcp ha osservato che, piuttosto che valutare la qualità delle imprese di assicurazione sulla base del rating, è preferibile ricorrere ad altri indicatori quali l'indice di solvibilità, congiuntamente alla raccolta premi specifica (articolo ItaliaOggi Sette dell'01.12.2014).

novembre 2014

APPALTISussiste la disapplicazione dell’obbligo di richiedere i diritti di segreteria, ai sensi dell’art. 40 della legge 08.06.1962, n. 604, nell’ipotesi di stipula di contratti stipulati a seguito del ricorso a gare telematiche di acquisto.
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Il sindaco del comune di Travedona Monate (VA) ha formulato alla Sezione una richiesta di parere in materia di diritti di segreteria e strumenti informatici di acquisto (art. 13 d.l. 52 del 06.07.2012, convertito dalla legge 94 del 06.07.2012) del seguente tenore: ”Qualora si debba procedere alla sottoscrizione con atto pubblico amministrativo per l'affidamento di un servizio o di un lavoro, la cui gara è stata espletata attraverso la piattaforma elettronica Sintel e quindi mediante strumenti informatici di acquisto, sono dovuti, da parte della Ditta aggiudicatrice i diritti di segreteria? Il mancato introito in percentuale dei diritti di segreteria comporta un danno erariale per il comune?”.
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L’applicazione della disciplina in tema di utilizzo degli strumenti informatici e telematici per l’acquisito di beni e servizi da parte delle pubbliche amministrazioni locali, appare scevra di dubbio interpretativi. La norma disciplina esattamente il caso prospettato dall’amministrazione interpellante. La normativa in tema di revisione della spesa è inderogabile e cogente per gli enti destinatari, trattandosi di espressa applicazione del principio di coordinamento della finanza pubblica locale.
Le disposizioni introdotte con il D.L. 07.05.2012, n. 52 (c.d. primo decreto in tema di revisione della spesa) hanno semplificato il ricorso agli strumenti telematici per l’acquisto di beni o servizi da parte delle amministrazioni locali. A seguito dell’obbligo di utilizzo delle gare gestite con strumenti informatici (ad es. Sistema Sintel predisposto da ARCA in Lombardia; Me.Pa.).
L’art. 13 del citato primo decreto “spending review” ha testualmente previsto la disapplicazione dell’obbligo di richiedere i diritti di segreteria, ai sensi dell’art. 40 della legge 08.06.1962 n. 604, nell’ipotesi di stipula di contratti stipulati a seguito del ricorso a gare telematiche di acquisto (Corte dei Conti, Sez. controllo Lombardia, parere 13.11.2014 n. 301).

APPALTIE’ principio consolidato quello secondo il quale ogni valutazione espressione dell’esercizio del potere tecnico-discrezionale dell’Amministrazione non sfugga al sindacato di legittimità ove risulti potenzialmente irragionevole, irrazionale, illogica, si fondi su un possibile travisamento dei fatti o comunque su dati non corrispondenti al vero o inattendibili ovvero non appaia adeguatamente motivata.
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   a) premesso che “non può considerarsi viziato il procedimento di verifica per il fatto che l'amministrazione appaltante e per essa la commissione di gara si sia limitata a chiedere le giustificazioni per le sole voci sospette di anomalia e non per le altre. Ciò in quanto il concorrente, per illustrare la propria offerta e dimostrane la congruità, può fornire, ex art. 87, comma 1, d.lgs. n. 163 del 2006, spiegazioni e giustificazioni su qualsiasi elemento dell'offerta … in grado di dimostrare l'equilibrio complessivo”;
   b) “nelle procedure indette per l'aggiudicazione di appalti con la Pubblica Amministrazione il sub procedimento di giustificazione dell'offerta anomala non è volto a consentire aggiustamenti dell'offerta per così dire in itinere ma mira, al contrario, a verificare la serietà di una offerta consapevolmente già formulata ed immutabile (art. 86, comma 5, d.lgs. 163/2006 - Codice degli appalti).
Da ciò discende, in generale, l'inaccettabilità delle giustificazioni che, nel tentativo di far apparire seria un'offerta, che viceversa non è stata adeguatamente meditata, risultino tardivamente dirette ad un'allocazione dei costi diversa rispetto a quella originariamente enunciata” “ovvero rimodulano le voci di costo al solo scopo di far quadrare i conti, al fine, cioè, di assicurare che il prezzo complessivo offerto resti immutato, superando in tal modo le contestazioni mosse dalla stazione appaltante sulle medesime voci di costo”.
“Nella specie, una quota di costo indicata nell'offerta a titolo di spese generali non può essere invocata, nel corso del subprocedimento di giustificazione, per coprire costi diversi”;
   c) se, infatti, vero è che “mentre l'offerta è immodificabile, modificabili sono le giustificazioni e sono ammesse giustificazioni sopravvenute e compensazioni tra sottostime e sovrastime purché l'offerta risulti nel suo complesso affidabile al momento dell'aggiudicazione e a tale momento dia garanzia di una seria esecuzione del contratto”, tuttavia, “nel caso in cui l'impresa non si sia limitata a rimaneggiamenti di taluni elementi delle giustificazioni, oppure di singole compensazioni tra sottostime e sovrastime, ma abbia modificato le voci si ravvisa proprio quella complessiva inaffidabilità dell'offerta che avrebbe dovuto indurre la stazione appaltante ad escludere l'aggiudicataria per anomalia dell'offerta o per inammissibilità delle giustificazioni prodotte”.
In altri termini, “la portata espansiva riconosciuta all'apporto chiarificatore che il concorrente è chiamato a fornire in sede di presentazione dei giustificativi … non consente che gli elementi compositivi dell'offerta originariamente presentata vengano mutati o diversamente articolati, sì da pervenire all'emersione di un “aliud pro alio” rispetto alle indicazioni inizialmente fornite dalla ditta”.

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V. Va preliminarmente disattesa l’eccezione d’inammissibilità sollevata dall’Amministrazione intimata sul presupposto della presunta insindacabilità del giudizio formulato in sede di verifica dell’anomalia dell’offerta.
V.1. E’, invero, principio consolidato quello secondo il quale ogni valutazione espressione dell’esercizio del potere tecnico-discrezionale dell’Amministrazione non sfugga al sindacato di legittimità ove risulti potenzialmente irragionevole, irrazionale, illogica, si fondi su un possibile travisamento dei fatti o comunque su dati non corrispondenti al vero o inattendibili ovvero non appaia adeguatamente motivata (Cons. di St., sez. V, 17.01.2014, n. 162; Ad. plen., 29.11.2012, n. 36).
VI. Tanto premesso in ordine all’ammissibilità dell’azione, il ricorso è, tuttavia, infondato.
VI.1. Il provvedimento di esclusione della ricorrente è stato adottato in ragione del giudizio di incongruità espresso a seguito della verifica delle giustificazioni.
Nel verbale della seduta riservata del 27.02.2014, in particolare, è riportato quanto segue.
"Le voci di costo di cui alle lettere A-F-G (rectius: manodopera, spese generali, altri costi ed imprevisti, utile d'impresa) sono verificate alla luce di quanto espresso nelle relazioni a firma del dr. Ma. D'An.. Al riguardo la Commissione rileva che a fronte di un costo retributivo (comprensivo dei costi per la sicurezza) calcolato dal consulente dr. Ma. D'An. in €. 3.427.288,06 la ditta DU. ha esplicitato un costo retributivo della manodopera pari a € 3.214.576,57 di cui € 20.100,00 a titolo di oneri per la sicurezza e € 3.194.576,57 quale costo del personale per le prestazioni da rendere. La Commissione, pertanto, considerati i costi retributivi del personale così come determinati dal dr. Ma. D'An., ritiene complessivamente anomala l'offerta presentata dalla ditta DU. in quanto la stessa non garantisce la completa copertura dei costi riferiti all'appalto in argomento. Di conseguenza, propone l'esclusione dalla ditta in esame dalla procedura di gara".
VI.2. Con il primo motivo di ricorso, la ricorrente deduce l’irragionevolezza della verifica dell’anomalia, asserendo che la stessa sia fondata su un evidente travisamento dei fatti: la valutazione sarebbe stata, infatti, incentrata su una singola voce di costo, quella del personale, ricostruita in modo inesatto.
VI.2.1. In particolare, nel verificare l’adeguatezza il costo del personale indicato, il Consulente nominato dalla Commissione avrebbe omesso di sommare alle voci “manodopera” (pari a € 3.194.476,56, annui) e “costi per la sicurezza” (pari €. 20.100,00 annui), ulteriori sottovoci che, pur ricomprese nella diversa macrovoce “Spese generali, altri costi ed imprevisti” sarebbero pur sempre attinenti al costo del lavoro.
All’interno di tale ultima voce (quantificata, in sede di offerta, per un totale di € 164.326,00), dovrebbero, infatti, intendersi ricomprese, come dettagliato, da ultimo, nelle giustificazioni del 05.12.2013, la "maggiorazione costo orario" (per €. 127.166,00 annui), il "sistema incentivante" (per €. 10.000,00 annui) e gli "imprevisti/festività" (per € 4.072,57 annui), il tutto per un totale di €. 3.355.770,14 annuo, sostanzialmente in linea con il costo minimo quantificato dal medesimo Consulente (€ 3.355.799,14, applicando le tabelle ministeriali del 2012).
VI.2.2. Il motivo è infondato.
VI.2.3. Il Collegio non ravvisa valide ragioni per scostarsi dall’orientamento giurisprudenziale consolidato secondo il quale l’operazione contabile proposta, come ritenuto dalla stazione appaltante, risulta inammissibile atteso che:
   a) premesso che “non può considerarsi viziato il procedimento di verifica per il fatto che l'amministrazione appaltante e per essa la commissione di gara si sia limitata a chiedere le giustificazioni per le sole voci sospette di anomalia e non per le altre. Ciò in quanto il concorrente, per illustrare la propria offerta e dimostrane la congruità, può fornire, ex art. 87, comma 1, d.lgs. n. 163 del 2006, spiegazioni e giustificazioni su qualsiasi elemento dell'offerta … in grado di dimostrare l'equilibrio complessivo” (Cons. di St., sez. V, 05.09.2014, n. 4516; TAR Puglia, Lecce, sez. I, 06.05.2014, n. 1140);
   b) “nelle procedure indette per l'aggiudicazione di appalti con la Pubblica Amministrazione il sub procedimento di giustificazione dell'offerta anomala non è volto a consentire aggiustamenti dell'offerta per così dire in itinere ma mira, al contrario, a verificare la serietà di una offerta consapevolmente già formulata ed immutabile (art. 86, comma 5, d.lgs. 163/2006 - Codice degli appalti).
Da ciò discende, in generale, l'inaccettabilità delle giustificazioni che, nel tentativo di far apparire seria un'offerta, che viceversa non è stata adeguatamente meditata, risultino tardivamente dirette ad un'allocazione dei costi diversa rispetto a quella originariamente enunciata
” (TAR Emilia Romagna, Bologna, sez. II, 01.03.2013, n. 161) “ovvero rimodulano le voci di costo al solo scopo di far quadrare i conti, al fine, cioè, di assicurare che il prezzo complessivo offerto resti immutato, superando in tal modo le contestazioni mosse dalla stazione appaltante sulle medesime voci di costo” (TAR Sardegna, Cagliari, sez. I, 01.04.2014 n. 250; Cons. di St., sez. V, 30.11.2012 n. 6117).
Nella specie, una quota di costo indicata nell'offerta a titolo di spese generali non può essere invocata, nel corso del subprocedimento di giustificazione, per coprire costi diversi” (Cons. di Stat., sez. V, 12.07.2010, n. 4483; TAR Puglia. Lecce, 13.11.2012, n. 1874);
   c) se, infatti, vero è che “mentre l'offerta è immodificabile, modificabili sono le giustificazioni e sono ammesse giustificazioni sopravvenute e compensazioni tra sottostime e sovrastime purché l'offerta risulti nel suo complesso affidabile al momento dell'aggiudicazione e a tale momento dia garanzia di una seria esecuzione del contratto” (TAR Lazio, Roma, sez. II, 05.03.2012 n. 2219; Cons. di St., sez. V, 20.02.2012 n. 875), tuttavia, “nel caso in cui l'impresa non si sia limitata a rimaneggiamenti di taluni elementi delle giustificazioni, oppure di singole compensazioni tra sottostime e sovrastime, ma abbia modificato le voci (come nel caso di specie) si ravvisa proprio quella complessiva inaffidabilità dell'offerta che avrebbe dovuto indurre la stazione appaltante ad escludere l'aggiudicataria per anomalia dell'offerta o per inammissibilità delle giustificazioni prodotte” (TAR Puglia, Bari, sez. II, 10 luglio 2014, n. 863).
In altri termini, “la portata espansiva riconosciuta all'apporto chiarificatore che il concorrente è chiamato a fornire in sede di presentazione dei giustificativi … non consente che gli elementi compositivi dell'offerta originariamente presentata vengano mutati o diversamente articolati, sì da pervenire all'emersione di un “aliud pro alio” rispetto alle indicazioni inizialmente fornite dalla ditta” (TAR Lazio, Roma, sez. II, 04.03.2013, n. 2282)
(TAR Campania-Napoli, Sez. V, sentenza 12.11.2014 n. 5807 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Per consolidata giurisprudenza:
   - “l'ausilio di un tecnico esterno di cui si è avvalsa la stazione appaltante al fine di verificare la sussistenza delle condizioni prescritte dal capitolato di gara non contrasta con le previsioni di norme primarie e secondarie, posto che è in facoltà della stazione appaltante servirsi di un esperto per effettuare valutazioni tecniche su cui basare le proprie discrezionali valutazioni, peraltro ampiamente specificate nel provvedimento impugnato”.
   - “va confermata la legittimità della nomina di un soggetto esterno all'Amministrazione appaltante, esperto in materia…, che si limiti a prestare attività di consulenza e di assistenza professionale all'organo collegiale”.

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VI.4. Con il terzo motivo di ricorso, la parte ricorrente si duole dell’incompetenza del consulente nominato, essendo il giudizio negativo sulla congruità demandato alla sola Commissione esaminatrice.
VI.4.1. La censura è parimenti infondata.
VI.4.2. Per consolidata giurisprudenza:
   - “l'ausilio di un tecnico esterno di cui si è avvalsa la stazione appaltante al fine di verificare la sussistenza delle condizioni prescritte dal capitolato di gara non contrasta con le previsioni di norme primarie e secondarie, posto che è in facoltà della stazione appaltante servirsi di un esperto per effettuare valutazioni tecniche su cui basare le proprie discrezionali valutazioni, peraltro ampiamente specificate nel provvedimento impugnato” (TAR Sicilia, Catania, sez. III, 29.11.2011, n. 2810; TAR Puglia, Bari, sez. I, 11.08.2011, n. 1209);
   - “va confermata la legittimità della nomina di un soggetto esterno all'Amministrazione appaltante, esperto in materia…, che si limiti a prestare attività di consulenza e di assistenza professionale all'organo collegiale” (Cons. di St., sez. V, 31.12.2008, n. 6765).
VI.4.3. Orbene, nel caso di specie, la Commissione ha ritenuto opportuno avvalersi di un consulente del lavoro limitatamente alla valutazione della voce relativa al costo del personale, formulando, poi, all’esito, il proprio giudizio complessivo e concludendo ragionevolmente e motivatamente nel senso che l’offerta, unitariamente intesa (e avuto particolare riguardo alla manodopera, alle spese generali, agli altri costi ed imprevisti nonché all’utile d’impresa), non garantisce la copertura dei costi
(TAR Campania-Napoli, Sez. V, sentenza 12.11.2014 n. 5807 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA - EDILIZIA PRIVATA - LAVORI PUBBLICI - PATRIMONIO: G.U. 11.11.2014 n. 262, suppl. ord. n. 85/L, "Testo del decreto-legge 12.09.2014, n. 133, coordinato con la legge di conversione 11.11.2014, n. 164, recante: «Misure urgenti per l’apertura dei cantieri, la realizzazione delle opere pubbliche, la digitalizzazione del Paese, la semplificazione burocratica, l’emergenza del dissesto idrogeologico e per la ripresa delle attività produttive»".
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Di particolare interesse si leggano:
Art. 2 (Semplificazioni procedurali per le infrastrutture strategiche affidate in concessione)
Art. 4 (Misure di semplificazione per le opere incompiute segnalate dagli Enti locali e misure finanziarie a favore degli Enti territoriali)
Art. 6 (Agevolazioni per la realizzazione di reti di comunicazione elettronica a banda ultralarga e norme di semplificazione per le procedure di scavo e di posa aerea dei cavi, nonché per la realizzazione delle reti di comunicazioni elettroniche)
Art. 6-ter (Disposizioni per l’infrastrutturazione degli edifici con impianti di comunicazione elettronica)
Art. 7 (Norme in materia di gestione di risorse idriche. Modifiche urgenti al decreto legislativo 03.04.2006, n. 152, per il superamento delle procedure di infrazione 2014/2059, 2004/2034 e 2009/2034, sentenze C-565-0 del 19.07.2012 e C-85-13 del 10.04.2014; norme di accelerazione degli interventi per la mitigazione del rischio idrogeologico e per l’adeguamento dei sistemi di collettamento, fognatura e depurazione degli agglomerati urbani; finanziamento di opere urgenti di sistemazione idraulica dei corsi d’acqua nelle aree metropolitane interessate da fenomeni di esondazione e alluvione)
Art. 8 (Disciplina semplificata del deposito preliminare alla raccolta e della cessazione della qualifica di rifiuto delle terre e rocce da scavo che non soddisfano i requisiti per la qualifica di sottoprodotto. Disciplina della gestione delle terre e rocce da scavo con presenza di materiali di riporto e delle procedure di bonifica di aree con presenza di materiali di riporto)
Art. 9 (Interventi di estrema urgenza in materia di vincolo idrogeologico, di normativa antisismica e di messa in sicurezza degli edifici scolastici e dell’Alta formazione artistica, musicale e coreutica - AFAM)
Art. 13 (Misure a favore dei project bond)
Art. 14 (Disposizioni in materia di standard tecnici)
Art. 16-bis (Disciplina degli accessi su strade affidate alla gestione della società ANAS Spa)
Art. 17 (Semplificazioni ed altre misure in materia edilizia)
Art. 17-bis (Regolamento unico edilizio)
Art. 21 (Misure per l’incentivazione degli investimenti in abitazioni in locazione)
Art. 22 (Conto termico)
Art. 22-bis (Interventi sulle tariffe incentivanti dell’elettricità prodotta da impianti fotovoltaici)
Art. 24 (Misure di agevolazione della partecipazione delle comunità locali in materia di tutela e valorizzazione del territorio)
Art. 25 (Misure urgenti di semplificazione amministrativa e di accelerazione delle procedure in materia di patrimonio culturale)
Art. 26 (Misure urgenti per la valorizzazione degli immobili demaniali inutilizzati)
Art. 31 (Misure per la riqualificazione degli esercizi alberghieri)
Art. 34 (Modifiche al decreto legislativo 12.04.2006, n. 163, per la semplificazione delle procedure in materia di bonifica e messa in sicurezza di siti contaminati. Misure urgenti per la realizzazione di opere lineari realizzate nel corso di attività di messa in sicurezza e di bonifica)
Art. 35 (Misure urgenti per la realizzazione su scala nazionale di un sistema adeguato e integrato di gestione dei rifiuti urbani e per conseguire gli obiettivi di raccolta differenziata e di riciclaggio. Misure urgenti per la gestione e per la tracciabilità dei rifiuti nonché per il recupero dei beni in polietilene)
Art. 38 (Misure per la valorizzazione delle risorse energetiche nazionali)
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Per una migliore comprensione della ratio sottesa ai vari articoli si leggano anche:
● Camera dei Deputati, dossier 27.10.2014
● Senato della Repubblica, dossier ottobre 2014
● Senato della Repubblica, dossier novembre 2014

APPALTI SERVIZIPrestazioni artistiche, promosso l'affido diretto under 40 mila. La Corte dei conti toglie le castagne dal fuoco a molte amministrazioni locali.
Legittimi gli affidamenti diretti di prestazioni artistiche, sotto la soglia dei 40 mila euro.

La Corte dei conti, Sezione regionale di controllo della Liguria col
parere 10.11.2014 n. 64, toglie le castagne dal fuoco per tutti i comuni che da sempre si arrovellano sulle modalità da seguire per assicurarsi le prestazione di artisti di vario genere, da mettere sotto contratto per assicurare la realizzazione delle tante manifestazioni turistiche o di intrattenimento da essi curate.
La Sezione Liguria ha risposto al quesito posto dal comune di Loano in merito alla possibilità di affidare direttamente, mediante procedura negoziata senza preventiva pubblicazione di bando, l'attività artistica, nell'ipotesi in cui un comune intenda organizzare un evento con un «determinato artista curato in esclusiva da un'agenzia di spettacoli non iscritta al Mepa».
Il parere della Sezione fa un excursus normativo, non pienamente coerente, sulla possibilità che le prestazioni contrattuali dei comuni siano ancora affidabili senza fare ricorso al Mepa, se di valore inferiore alla soglia comunitaria e, ulteriormente, se sotto la soglia dei 40 mila euro che, ai sensi dell'articolo 125 del dlgs 163/2006 consente l'affidamento diretto per cottimo fiduciario. In sostanza, la posizione della Sezione Liguria è favorevole. Nello specifico si può osservare che se nel Mepa non sono presenti prestazioni di servizi di una certa categoria, ovviamente il servizio può essere affidato mediante gli ordinari sistemi di gara.
Più specificamente, la Sezione ritiene comunque possibile affidare direttamente, senza gara, le prestazioni artistiche per due ordini di motivi.
In primo luogo, perché, secondo la Corte dei conti la prestazione artistica non rientra «di per sé nella materia dell'appalto di servizi, costituendo una prestazione di opera professionale disciplinata dall'art. 2229 c.c. Non sussistono pertanto, ab origine, le ragioni per l'applicazione del codice dei contratti pubblici alla fattispecie in esame».
Tale conclusione, tuttavia, appare fuorviante e non corretta. Le prestazioni artistiche, infatti, nel codice dei contratti, sono espressamente considerate come servizi. Lo dispone il punto 26 dell'Allegato IIB «Servizi ricreativi, culturali e sportivi» e il vocabolario comune degli appalti, che contempla una serie molto ampia di «servizi artistici».
La Sezione Liguria si ostina a ritenere applicabile alla fattispecie degli appalti la particolarità tutta italiana della prestazione d'opera professionale, come fosse cosa diversa dalle prestazioni di servizi, ignorando, come troppi altri giudici, l'articolo 3, comma 19, del dlgs 163/2006, norma di derivazione europea che travolge il diritto commerciale italiano e considera operatore economico anche la persona fisica, purché offra servizi sul mercato.
Infatti, la Sezione Liguria, in parziale contraddizione, in secondo luogo non esclude, indirettamente, che la prestazione artistica sia un appalto di servizi. Infatti, il parere afferma: «Quand'anche si dovesse ritenere che la medesima possa rientrare tra gli appalti di servizi, essa deve essere ricompresa nell'ambito di applicazione dell'art. 57, comma 2, dlgs 163/2006 che consente la procedura negoziata senza previa pubblicazione di un bando di gara ''qualora, per ragioni di natura tecnica o artistica... il contratto possa essere affidato unicamente a un operatore economico determinato''».
In effetti, come visto prima, le prestazioni artistiche sono certamente appalti di servizi, sottratti, comunque, alla piena applicazione del dlgs 163/2006, rientrando nell'allegato IIB al Codice. Il che significa che in ogni caso esse possono essere affidate con le procedure semplificate previste dall'articolo 27 del codice.
Tuttavia, la Sezione Liguria evidenzia correttamente «l'infungibilità della prestazione artistica», caratteristica tale da renderla inidonea a procedure comparative, siano esse elettroniche o tradizionali.
Dunque, anche il confronto semplificato tra 5 offerenti, previsto dall'articolo 27 del codice dei contratti, non sarebbe utile, nel caso di specie, vista l'inconfrontabilità concorrenziale della performance del singolo artista.
Occorre aggiungere che diverse conclusioni sarebbero da trarre se il comune intendesse acquisire il servizio di organizzazione della manifestazione. In questo caso, non si può dubitare che si tratti di un appalto di servizi vero e proprio (articolo ItaliaOggi Sette del 05.01.2015).

APPALTI SERVIZILegittimi gli affidamenti diretti agli artisti.
Legittimi gli affidamenti diretti di prestazioni artistiche, sotto la soglia dei 40.000 euro.

La Corte dei conti, sezione regionale di controllo della Liguria col
parere 10.11.2014 n. 64 toglie le castagne dal fuoco per tutti i comuni che da sempre si arrovellano sulle modalità da seguire per assicurarsi le prestazione di artisti di vario genere, da mettere sotto contratto per assicurare la realizzazione delle tante manifestazioni turistiche o di intrattenimento da essi curate.
La sezione Liguria ha risposto al quesito posto dal comune di Loano in merito alla possibilità di affidare direttamente, mediante procedura negoziata senza preventiva pubblicazione di bando, l'attività artistica, nell'ipotesi in cui un comune intenda organizzare un evento con un «determinato artista curato in esclusiva da un'agenzia di spettacoli non iscritta al Mercato elettronico della p.a. (Mepa)».
Il parere della sezione fa un excursus normativo, non pienamente coerente, sulla possibilità che le prestazioni contrattuali dei comuni siano ancora affidabili senza fare ricorso al Mepa, se di valore inferiore alla soglia comunitaria e, ulteriormente, se sotto la soglia dei 40.000 euro che, ai sensi dell'articolo 125 del dlgs 163/2006 consente l'affidamento diretto per cottimo fiduciario. In sostanza, la posizione della sezione Liguria è favorevole. Nello specifico si può osservare che se nel Mepa non sono presenti prestazioni di servizi di una certa categoria, ovviamente il servizio può essere affidato mediante gli ordinari sistemi di gara. Più specificamente, la sezione ritiene comunque possibile affidare direttamente, senza gara, le prestazioni artistiche per due ordini di motivi.
In primo luogo, perché, secondo la Corte dei conti la prestazione artistica non rientra «di per sé nella materia dell'appalto di servizi, costituendo una prestazione di opera professionale disciplinata dall'art. 2229 c.c. Non sussistono pertanto, ab origine, le ragioni per l'applicazione del codice dei contratti pubblici alla fattispecie in esame».
Tale conclusione, tuttavia, appare fuorviante e non corretta. Le prestazioni artistiche, infatti, nel codice dei contratti, sono espressamente considerate come servizi. Lo dispone il punto 26 dell'Allegato IIB «Servizi ricreativi, culturali e sportivi» e il vocabolario comune degli appalti, che contempla una serie molto ampia di «servizi artistici». La sezione Liguria si ostina a ritenere applicabile alla fattispecie degli appalti la particolarità tutta italiana della prestazione d'opera professionale, come fosse cosa diversa dalle prestazioni di servizi, ignorando, come troppi altri giudici, l'articolo 3, comma 19, del dlgs 163/2006, norma di derivazione europea che travolge il diritto commerciale italiano e considera operatore economico anche la persona fisica, purché offra servizi sul mercato.
Infatti, la sezione Liguria, in parziale contraddizione, in secondo luogo non esclude, indirettamente, che la prestazione artistica sia un appalto di servizi. Infatti, il parere afferma: «Quand'anche si dovesse ritenere che la medesima possa rientrare tra gli appalti di servizi, essa deve essere ricompresa nell'ambito di applicazione dell'art. 57, comma 2, dlgs 163/2006 che consente la procedura negoziata senza previa pubblicazione di un bando di gara qualora, per ragioni di natura tecnica o artistica il contratto possa essere affidato unicamente ad un operatore economico determinato».
In effetti, come visto prima, le prestazioni artistiche sono certamente appalti di servizi, sottratti, comunque, alla piena applicazione del dlgs 163/2006, rientrando nell'allegato IIB al Codice. Il che significa che in ogni caso esse possono essere affidate con le procedure semplificate previste dall'articolo 27 del codice.
Tuttavia, la sezione Liguria evidenzia correttamente «l'infungibilità della prestazione artistica», caratteristica tale da renderla inidonea a procedure comparative, siano esse elettroniche o tradizionali. Dunque, anche il confronto semplificato tra 5 offerenti, previsto dall'articolo 27 del codice dei contratti, non sarebbe utile, nel caso di specie, vista l'inconfrontabilità concorrenziale della performance del singolo artista (
articolo ItaliaOggi del 12.12.2014).

APPALTI FORNITURE E SERVIZI: Richiesta di parere inerente all’impatto derivante dall’applicazione degli artt. 9 d.l. 66/2014 – 23 d.l. 90/2014 sulle procedure di affidamento di servizi e di acquisto di beni e forniture - Ricorso alle centrali di committenza nelle ipotesi previste dall’art. 12511 d.lgs. 163/2006 e nelle ipotesi di cottimo fiduciario sotto i 40.000,00 euro – Ammissibilità - Possibilità di acquistare beni e servizi al di fuori del MEPA - Ammissibilità condizionata dal limite imperativo ed ablativo del rispetto dei limiti massimi dei prezzi presenti sul mercato elettronico - Possibilità, in caso di evento con artista curato da un’agenzia di spettacoli non iscritta al MEPA, di procedere all’affidamento diretto previsto dall’art. 57 d.lgs. 163/2006 – Ammissibilità - Possibilità di collaborazione diretta con associazioni di promozione culturale o sportiva, che non possono iscriversi al MEPA, con il pagamento di una prestazione di servizi in occasione di manifestazioni ed eventi inseriti nel calendario istituzionale - Ammissibilità con limiti.
L’ordinamento privilegia gli strumenti delle centrali di committenza e delle procedure selettive nel presupposto, imposto anche dal diritto comunitario, che la massima concorrenzialità consenta i migliori risparmi di spesa, contemperando però tale esigenza con il principio di efficienza dell’azione amministrativa in quanto –come è facile arguire– il ricorso a tali procedure implica sicuri costi temporali e procedimentali incompatibili con l’agere quotidiano di un ufficio pubblico.
Questa è la ragione per cui gli acquisti sotto i 40mila euro possono essere fatti direttamente dall’Ufficio economale senza attivazione di procedure concorrenziali. Nulla osta, pertanto, all’adozione delle procedure più garantistiche e al ricorso alle centrali di committenza ove l’ente locale, nel caso specifico, ritenga maggiormente opportuno intraprendere questa seconda strada.
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Si può ritenere che i Comuni siano legittimati ad acquistare beni e servizi al di fuori del MEPA con il limite imperativo ed ablativo dell’assoluto rispetto dei limiti massimi di prezzo presenti sul mercato elettronico.
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Il mero presupposto soggettivo, e cioè l’impossibilità di aderire al mercato elettronico non può essere da solo requisito sufficiente per derogare al medesimo, considerato che la ragione della sua istituzione risponde ad esigenze di carattere pubblicistico di trasparenza, imparzialità ed economicità che sono prevalenti rispetto a quelle del singolo soggetto associativo di collaborare con l’ente pubblico, quand'anche tale volontà non sia supportata da finalità lucrative ma dal perseguimento di scopi ideali, che però assumono rilevanza economica, trattandosi di prestazioni fornite a titolo oneroso.
Diverso è il caso in cui l’associazione sia in grado di fornire un servizio non rinvenibile sul mercato elettronico (ovvero, per quanto detto sopra, rinvenibile ad un prezzo/qualità superiore): in questo caso non sembrano esservi preclusioni a consentire tale collaborazione diretta, purché appunto limitata a prestazioni non altrimenti rinvenibili sui mercati elettronici.

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Con istanza in data 30.09.2014, trasmessa dal Presidente del Consiglio delle Autonomie Locali della Liguria con nota n. 89 del 10.10.2014 ed assunta al protocollo della Segreteria della Sezione regionale di controllo della Corte dei conti per la Liguria il 14 ottobre con il n. 0002842 – 14.10.2014 – SC _ LIG - T85 – A, il Sindaco del Comune di Loano ha inviato al Consiglio delle Autonomie Locali una richiesta di parere inerente all’impatto derivante dall’applicazione degli artt. 9 d.l. n. 66/2014 – 23 d.l. n. 90/2014 sulle procedure di affidamento di servizi e di acquisto di beni e forniture.
In particolare l’Ente chiede se:
a) sia da escludersi l’applicabilità del ricorso alle centrali di committenza nelle ipotesi previste dall’art. 12511 d.lgs. 163/2006 e nelle ipotesi di cottimo fiduciario sotto i 40.000,00 euro, in considerazione che in tali casi la normativa consente di non intraprendere la procedura concorsuale;
b) sia possibile acquistare beni e servizi al di fuori del MEPA qualora il ricorso all’esterno persegua l’obiettivo del contenimento della spesa pubblica;
c) sia possibile, qualora si debba organizzare un evento con un determinato artista curato in esclusiva da un’agenzia di spettacoli non iscritta al MEPA, procedere all’affidamento diretto previsto dall’art. 57 d.lgs. 163/2006, senza ricorrere al mercato elettronico;
d) sia ammissibile una collaborazione diretta con associazioni di promozione culturale o sportiva, che non possono iscriversi al MEPA, con il pagamento di una prestazione di servizi in occasione di manifestazioni ed eventi inseriti nel calendario istituzionale.
...
L’art. 333-bis d.lgs. 12.04.2006 n. 163, introdotto dall’art. 23-ter d.l. 24.06.2014, n. 90, conv. in l. 11.08.2014 n. 114, prevede che <<i Comuni non capoluoghi di provincia procedono all’acquisizione di lavori, beni e servizi nell’ambito delle unioni dei comuni di cui all’art. 32 del decreto legislativo 18.08.2000 n. 267, ove esistenti, ovvero costituendo un apposito accordo consortile tra i comuni medesimi e avvalendosi dei competenti uffici anche delle province, ovvero ricorrendo ad un soggetto aggregatore o alle province, ai sensi della legge 07.04.2014 n. 56. In alternativa, gli stessi Comuni possono acquisire beni e servizi attraverso gli strumenti elettronici di acquisto gestiti da Consip S.p.A. o da altro soggetto aggregatore di riferimento>>.
L’art. 12511 d.lgs. 163/2006 specifica che <<Per servizi o forniture inferiori a quarantamila euro è consentito l’affidamento diretto da parte del responsabile del procedimento>>.
L’art. 1449, 450 l. 27.12.2006 n. 296 indica che <<449. Nel rispetto del sistema delle convenzioni di cui agli articoli 26 della legge 23.12.1999 n. 488 e successive modificazioni, e 58 della legge 23.12.2000 n. 388, tutte le amministrazioni statali centrali e periferiche sono tenute ad approvvigionarsi utilizzando le convenzioni quadro. Le restanti amministrazioni pubbliche di cui all’articolo 1 del decreto legislativo 30.03.2001 n. 165 possono ricorrere alle convenzioni di cui al presente comma e al comma 456 del presente articolo, ovvero ne utilizzano i parametri di prezzo–qualità come limiti massimi per la stipulazione dei contratti. Gli enti del Servizio sanitario nazionale sono in ogni caso tenuti ad approvvigionarsi utilizzando le convenzioni stipulate dalle centrali regionali di riferimento ovvero, qualora non siano operative convenzioni regionali, le convenzioni quadro stipulate da Consip S.p.A.
450. Dal 01.07.2007, le amministrazioni statali centrali e periferiche per gli acquisti di beni e servizi al di sotto della soglia di rilievo comunitario sono tenute a fare ricorso al mercato elettronico della pubblica amministrazione di cui all’articolo 328, comma 1, del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 05.10.2010 n. 207. Fermi restando gli obblighi e le facoltà previsti dal comma 449 del presente articolo, le altre amministrazioni pubbliche di cui all’articolo 1 del decreto legislativo 30.03.2001 n. 165 per gli acquisti di beni e servizi di importo inferiore alla soglia di rilievo comunitario sono tenute a fare ricorso al mercato elettronico della pubblica amministrazione ovvero ad altri mercati elettronici istituiti ai sensi del medesimo articolo 328
>>.
L’art. 572 d.lgs. 163/2006 consente la procedura negoziata senza previa pubblicazione di un bando di gara <<qualora, per ragioni di natura tecnica o artistica ovvero attinenti alla tutela di diritti esclusivi, il contratto possa essere affidato unicamente ad un operatore economico determinato>>.
Il secondo e il quarto quesito formulato dal Comune di Loano sono già stati oggetto di approfondimento da parte delle Sezioni Regionali di controllo.
C.d.C. Sez. contr. Marche 27.11.2012 n. 169 e 25.03.2013 n. 17, C.d.C. Sez. contr. Lombardia 26.03.2013 n. 112 e C.d.C. Sez. contr. Piemonte 23.05.2013 n. 211 ritengono che
sussista un obbligo di ricorso ad un mercato elettronico, sia esso quello della pubblica amministrazione, ovvero quello realizzato direttamente dalla stazione appaltante o dalle centrali di committenza, al fine di garantire la tracciabilità dell’intera procedura di acquisto ed una maggiore trasparenza della stessa, con conseguente riduzione dei margini di discrezionalità dell’affidamento e la possibilità, da parte di imprese concorrenti che riescano ad offrire prezzi più convenienti, di aderire ai medesimi mercati. La Sezione piemontese, peraltro, ha specificato come tale obbligo venga meno nell’ipotesi di indisponibilità o inidoneità dei beni presenti su tali mercati a soddisfare le esigenze dell’ente locale richiedente.
C.d.C. Sez. contr. Toscana 30.05.2013 n. 151 e C.d.C. Sez. contr. Emilia Romagna 17.12.2013 n. 286 specificano che
i principi generali di economicità e di efficienza dell’azione amministrativa, perseguiti dalle disposizioni sopra richiamate, consentono di mitigare l’obbligo di ricorrere ai mercati elettronici ogni qualvolta il ricorso all’esterno persegua la ratio di contenimento della spesa pubblica insita nelle varie norme.
3. La valutazione della Sezione sulle questioni sottoposte
La richiesta di parere concerne distintamente cinque quesiti relativi, lato sensu, ai limiti di derogabilità alle procedure elettroniche, o comunque concorrenziali, per l’acquisto di beni e servizi da parte degli enti locali.
Con il primo quesito, in particolare, si chiede se l’art. 23-ter d.l. 24.06.2014, n. 90, conv. in l. 11.08.2014 n. 114, che ha introdotto l’art. 333-bis d.lgs. 163/2006, escluda <<l’applicabilità del ricorso alle centrali di committenza nelle ipotesi di una procedura di affidamento diretto in base all’art. 125 comma 11 del codice dei contratti e nelle ipotesi di cottimo fiduciario sotto i 40.000,00 euro, atteso che in tali casi la normativa ammette la non attivazione della procedura concorsuale>>.
In altre parole, il Comune intende sapere se sia possibile anche in questi casi ricorrere alle centrali di committenza –che in ipotesi dovrebbero assicurare risparmi di non minima entità avendo la possibilità di fare ordini di rilevante entità- anche nelle fattispecie in cui l’ordinamento consente l’acquisizione mediante amministrazione diretta per ragioni di semplificazione e di celerità, stante il ridotto importo della medesima.
La risposta è positiva.
L’ordinamento privilegia gli strumenti delle centrali di committenza e delle procedure selettive nel presupposto, imposto anche dal diritto comunitario, che la massima concorrenzialità consenta i migliori risparmi di spesa, contemperando però tale esigenza con il principio di efficienza dell’azione amministrativa in quanto –come è facile arguire– il ricorso a tali procedure implica sicuri costi temporali e procedimentali incompatibili con l’agere quotidiano di un ufficio pubblico.
Questa è la ragione per cui gli acquisti sotto i 40mila euro possono essere fatti direttamente dall’Ufficio economale senza attivazione di procedure concorrenziali. Nulla osta, pertanto, all’adozione delle procedure più garantistiche e al ricorso alle centrali di committenza ove l’ente locale, nel caso specifico, ritenga maggiormente opportuno intraprendere questa seconda strada.

Con il secondo e il quarto quesito, che possono essere affrontati congiuntamente, il Comune di Loano chiede se sia possibile acquistare beni e servizi al di fuori del MEPA (Mercato Elettronico delle Pubbliche Amministrazioni), eventualmente anche solo limitatamente alle spese economali.
La questione è più complessa della precedente.
L’art. 1450 l. 296/2006 dispone che <<fermi restando gli obblighi e le facoltà previsti dal comma 449 del presente articolo, le altre amministrazioni pubbliche di cui all’articolo 1 del decreto legislativo 30.03.2001 n. 165 [tra cui rientrano gli enti locali] per gli acquisti di beni e servizi di importo inferiore alla soglia di rilievo comunitario sono tenute a fare ricorso al mercato elettronico della pubblica amministrazione ovvero ad altri mercati elettronici istituiti ai sensi del medesimo articolo 328>>.
Il chiaro obbligo di ricorso ad un mercato elettronico (altro significato semantico non può assumere la locuzione <<sono tenuti>>), previsto dal comma 450, deve però tenere conto dell’espressa clausola di riserva prevista dalla disposizione che si pone in una evidente posizione di sussidiarietà rispetto alle <<facoltà previst[e] dal comma 449 del presente articolo>>, le quali ricomprendono la possibilità per gli enti locali di rivolgersi al libero mercato con il limite imperativo, soggetto alla eterointegrazione prevista dall’art. 1339 c.c., dello stesso prezzo – qualità/quantità previsto dal sistema delle convenzioni CONSIP e dei mercati elettronici.
Tale interpretazione congiunta, oltre a coordinarsi sistematicamente con il principio generale di economicità dell’attività amministrativa, codificato nell’art. 11 l. 7.08.1990 n. 241, trova ulteriore conferma letterale nell’ultima parte dell’art. 1449 l. cit. che espressamente stabilisce che i soli <<enti del Servizio sanitario nazionale sono in ogni caso tenuti ad approvvigionarsi utilizzando le convenzioni stipulate dalle centrali regionali di riferimento ovvero, qualora non siano operative convenzioni regionali, le convenzioni quadro stipulate da Consip S.p.A.>>.
Pertanto
si può ritenere che i Comuni siano legittimati ad acquistare beni e servizi al di fuori del MEPA con il limite imperativo ed ablativo dell’assoluto rispetto dei limiti massimi di prezzo presenti sul mercato elettronico.
Con il terzo quesito il Comune di Loano chiede se sia possibile procedere all’affidamento diretto mediante trattativa privata senza pubblicazione di bando qualora si intenda organizzare un evento con un determinato artista curato in esclusiva da un’agenzia di spettacoli non iscritta al MEPA.
La risposta è ugualmente positiva.
In primo luogo
si deve rilevare come la prestazione artistica non possa rientrare di per sé nella materia dell’appalto di servizi, costituendo una prestazione di opera professionale disciplinata dall’art. 2229 c.c. Non sussistono pertanto, ab origine, le ragioni per l’applicazione del codice dei contratti pubblici alla fattispecie in esame.
Quand’anche si dovesse ritenere che la medesima possa rientrare tra gli appalti di servizi, essa deve essere ricompresa nell’ambito di applicazione dell’art. 572 d.lgs. 163/2006 che consente la procedura negoziata senza previa pubblicazione di un bando di gara <<qualora, per ragioni di natura tecnica o artistica … il contratto possa essere affidato unicamente ad un operatore economico determinato>>. E’ di tutta evidenza che l’infungibilità della prestazione artistica rende la medesima inidonea ad essere oggetto di procedure comparative o elettroniche (le quali, tra l’altro, possono essere utilizzate solo per acquistare beni e servizi tra cui certamente non può rientrare quella in questione).
Infine, con il quarto quesito l’Ente locale chiede se, in presenza di manifestazioni ed eventi inseriti nel calendario istituzionale, sia possibile la collaborazione diretta con associazioni di promozione culturale e sportiva che, in quanto tali, non possono iscriversi al MEPA, con il pagamento di una prestazione di servizi.
Anche in quest’ultimo caso la risposta è positiva, seppure con alcune precisazioni.
Il mero presupposto soggettivo, e cioè l’impossibilità di aderire al mercato elettronico non può essere da solo requisito sufficiente per derogare al medesimo, considerato che la ragione della sua istituzione risponde ad esigenze di carattere pubblicistico di trasparenza, imparzialità ed economicità che sono prevalenti rispetto a quelle del singolo soggetto associativo di collaborare con l’ente pubblico, quand'anche tale volontà non sia supportata da finalità lucrative ma dal perseguimento di scopi ideali, che però assumono rilevanza economica, trattandosi di prestazioni fornite a titolo oneroso.
Diverso è il caso in cui l’associazione sia in grado di fornire un servizio non rinvenibile sul mercato elettronico (ovvero, per quanto detto sopra, rinvenibile ad un prezzo/qualità superiore): in questo caso non sembrano esservi preclusioni a consentire tale collaborazione diretta, purché appunto limitata a prestazioni non altrimenti rinvenibili sui mercati elettronici
(Corte dei Conti, Sez. controllo Liguria, parere 10.11.2014 n. 64).

APPALTI - PUBBLICO IMPIEGOUna volta impugnati il bando e/o l’esclusione dal concorso (o da una procedura ad evidenza pubblica), occorre poi impugnare anche l’atto conclusivo del procedimento nel frattempo intervenuto, pena l’improcedibilità del ricorso avverso l’atto presupposto.
Tale conclusione trova conforto nel condiviso orientamento giurisprudenziale secondo il quale la non necessità di impugnazione dell’atto finale, quando sia stato già contestato quello preparatorio, opera unicamente quando tra i due atti vi sia un rapporto di presupposizione-consequenzialità immediata, diretta e necessaria, nel senso che l’atto successivo si pone quale inevitabile conseguenza di quello precedente, perché non vi sono nuove ed autonome valutazioni di interessi, né del destinatario dell’atto presupposto, né di altri soggetti.
Diversamente, quando l’atto finale, pur partecipando della medesima sequenza procedimentale in cui si colloca l’atto preparatorio, non ne costituisce conseguenza inevitabile perché la sua adozione implica nuove ed ulteriori valutazioni di interessi, l’immediata impugnazione dell’atto preparatorio non fa venir meno la necessità di impugnare l’atto finale.
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Sul punto di diritto controverso la Sezione non intende discostarsi dai principi elaborati dalla giurisprudenza di questo Consiglio, secondo cui una volta impugnati il bando e/o l’esclusione dal concorso (o da una procedura ad evidenza pubblica), occorre poi impugnare anche l’atto conclusivo del procedimento nel frattempo intervenuto, pena l’improcedibilità del ricorso avverso l’atto presupposto (Consiglio di Stato, Sezione V, 11.08.2010, n. 5618, 17.09.2008, n. 4400, 10.05.2010 n. 2766, 26.08.2008, n. 4053).
Tale conclusione trova conforto nel condiviso orientamento giurisprudenziale, secondo il quale la non necessità di impugnazione dell’atto finale, quando sia stato già contestato quello preparatorio, opera unicamente quando tra i due atti vi sia un rapporto di presupposizione-consequenzialità immediata, diretta e necessaria, nel senso che l’atto successivo si pone quale inevitabile conseguenza di quello precedente, perché non vi sono nuove ed autonome valutazioni di interessi, né del destinatario dell’atto presupposto, né di altri soggetti. Diversamente, quando l’atto finale, pur partecipando della medesima sequenza procedimentale in cui si colloca l’atto preparatorio, non ne costituisce conseguenza inevitabile perché la sua adozione implica nuove ed ulteriori valutazioni di interessi, l’immediata impugnazione dell’atto preparatorio non fa venir meno la necessità di impugnare l’atto finale (Consiglio di Stato, Sezione V, 11.08.2010; 22.01.2014, n. 329) (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 05.11.2014 n. 5463 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ottobre 2014

APPALTI: Comunicazioni via Pec.
Domanda
In caso di aggiudicazione comunicata via Pec, quando inizia a decorrere il termine per impugnare?
Risposta
L'art. 79 del dlgs 163/2006, comma 5-bis, prevede che le comunicazioni del provvedimento di aggiudicazione «sono fatte per iscritto, con lettera raccomandata con avviso di ricevimento o mediante notificazione o mediante posta elettronica certificata»
Sulla base di tali disposizioni normative il Tar Lombardia, con sentenza 2677/2013, ha precisato che la posta elettronica certificata costituisce uno strumento di comunicazione di per sé idoneo a determinare la conoscenza rilevante per la decorrenza del termine di impugnazione.
L'art. 6, comma terzo, del Dpr n. 68/2005 precisa che «la ricevuta di avvenuta consegna fornisce al mittente prova che il suo messaggio di posta elettronica certificata è effettivamente pervenuto all'indirizzo elettronico dichiarato dal destinatario e certifica il momento della consegna tramite un testo, leggibile dal mittente, contenente i dati di certificazione».
Pertanto, la comunicazione dell'aggiudicazione effettuata a mezzo di posta elettronica certificata, si intende avvenuta nella data indicata nella ricevuta di avvenuta consegna fornita al mittente dal gestore di posta elettronica certificata.
La ricevuta di avvenuta consegna è rilasciata contestualmente alla consegna del messaggio di posta elettronica certificata e il momento in cui il destinatario legge il messaggio è irrilevante ai fini della conoscenza legale del documento trasmesso (articolo ItaliaOggi Sette del 27.10.2014).

APPALTI FORNITURE E LAVORI PUBBLICI: In tema di qualificazione del contratto misto di lavori e forniture e di conseguente conformità a legge della selezione del contraente a mezzo di cottimo fiduciario con procedura d’urgenza.
In caso di contratti pubblici misti la disciplina da applicare è quella del contratto con causa prevalente, a nulla rilevando la definizione –nel caso di specie di lavoro o di fornitura– che ne sia stata data dall’amministrazione.
L’individuazione della prevalenza causale è compito del giudice e deve essere effettuata caso per caso secondo un criterio funzionale, ritenuto anche dalla giurisprudenza amministrativa preponderante rispetto a quello meramente economico, basato sul valore monetario della parte lavoro rispetto alla parte forniture.
In particolare, quando l’appalto è funzionale alla realizzazione o alla modificazione di un’opera di ingegneria civile si applica la normativa dei lavori pubblici, quale sia l’importo economico della fornitura e del lavoro.
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1. Sui presupposti dell’affidamento in economia secondo le forme del cottimo fiduciario:
1.1. Natura del contratto affidato.
Considerato che il contratto di affidamento approvato nelle sue procedure dal decreto in esame è da qualificare contratto misto, di lavori e forniture, il Collegio osserva in via preliminare che il nomen iuris ad esso dato dall’Amministrazione non è in alcun modo determinante della sua effettiva natura. Al contrario, questa è rimessa alla valutazione del giudice in concreto. In tal senso soccorre anche la giurisprudenza amministrativa, costante nell’affermare che “l’interpretazione degli atti amministrativi soggiace alle stesse regole dettate dagli artt. 1362 c.c. per l’interpretazione dei contratti, fra le quali ha carattere preminente quella collegata all’elemento letterale, centrale restando comunque l’obbligo del giudice d’individuare l’intento perseguito dall’Amministrazione ed il potere che ha inteso effettivamente esercitare in base al contenuto complessivo dell’atto, e ciò privilegiando gli aspetti sostantivi della vicenda, indipendentemente dal nomen iuris attribuito ad esso da parte dell’Amministrazione procedente” (cfr., ex multis, Trga Trento, 09.02.2010, n. 50; Cons. St., sez. IV, 30.05.2001, n. 2953, e sez. V, 15.10.2003, n. 6316).
Peraltro, “nei contratti misti la fusione delle cause fa sì che gli elementi distintivi di ciascun negozio vengono assunti quali elementi di un negozio unico, a mezzo del quale le parti perseguono un risultato economico unitario e complesso, il che comporta che l’entità, le modalità e le conseguenze del collegamento negoziale debbano essere considerate in relazione all’interesse perseguito dal soggetto appaltante” (TAR Lombardia, Milano, sez. I, 12.09.2011, n. 2204).
Osserva, inoltre, il Collegio, che la disciplina da applicare alle fattispecie di contratti pubblici misti è quella riferita al contratto con causa prevalente.
In particolare, sul punto la Corte di giustizia delle Comunità europee si è pronunciata affermando che “nel caso di contratto misto l’operazione di cui trattasi deve essere esaminata nel suo insieme, in modo unitario, ai fini della sua qualifica giuridica, e dev’essere valutata sulla base delle regole che disciplinano la parte che costituisce l’oggetto principale, o l’elemento preponderante del contratto” (CG, sez. IV, 06.05.2010, n. 149. Nello stesso senso, CG 05.12.1989, causa C-3/88, Commissione c. Italia; 19.04.1994, causa C- 331/92, Gestion Hotelera Internacional, 18.01.2007, causa C-220/05, Auroux e a.; 21.02.2008, causa C-412/2004 Commissione c. Italia). Identico orientamento si registra in ambito nazionale ove il criterio della prevalenza “secondo le caratteristiche specifiche del contratto” e della valutazione dell’”accessorietà” della prestazione è riconosciuto sia a livello normativo, (art. 14, comma 1, lett. a) e comma 3, del Codice dei contratti pubblici), che giurisprudenziale, nel momento in cui si afferma che, nel caso di contratti misti, la disciplina applicabile è quella del “tipo contrattuale prevalente”, da individuare caso per caso, in base all’analisi approfondita della documentazione di gara (Cfr. TAR Puglia, Bari, sez. I, 10.03.2011, n. 418).
Detta prevalenza deve essere valutata sia dal punto di vista economico che funzionale, assicurando maggiore rilievo a quest’ultimo.
Al riguardo, viene in considerazione il disposto dell’art. 14 del Codice dei contratti. La norma, da un lato, fa riferimento alla valutazione della “accessorietà”, e in tal caso privilegia l’elemento funzionale del contratto, secondo un approccio di valutazione sostanziale. Dall’altro lato, richiama anche il criterio della valutazione della percentuale di costo, che tuttavia, viene utilizzato, nel contratto misto di lavori e forniture, per introdurre una presunzione a favore del contratto di lavori ove questi impegnino economicamente l’Amministrazione per oltre il 50% del valore dell’appalto.
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Venendo al caso di specie, osserva il Collegio che, dal computo metrico estimativo del progetto esecutivo si evince che i due gruppi frigo sono iscritti per un valore complessivo pari a € 149.177,90, su un totale dei lavori, a lordo del ribasso (non muta l’incidenza percentuale), pari a € 188.535,62. L’incidenza della fornitura sui lavori è pari al 79% (e, di converso, dei lavori sulla fornitura pari al 21%).
Poiché le percentuali sono inverse rispetto a quelle di cui all’art. 14, comma 3, del Codice dei contratti, la disposizione ivi contenuta potrebbe essere letta “a contrario” e, cioè, per escludere la presunzione di prevalenza dei lavori ivi sancita per i casi, opposti a quello in esame, in cui siano i lavori ad essere percentualmente prevalenti nel costo rispetto alla fornitura dei beni.
Tuttavia, rivolgendosi all’applicazione del criterio qualitativo-funzionale, il Collegio afferma la necessità di verificare in concreto se la fornitura dei gruppi frigo, così economicamente preponderante rispetto al lavoro di posa in opera, sia o meno elemento accessorio rispetto all’attività di installazione.
Al riguardo soccorre il principio invocato dal Provveditorato in sede istruttoria e sancito dall’AVCP con la delibera n. 81/2011, come riletto alla luce della documentazione depositata e delle dichiarazioni rese dallo stesso Provveditorato nel corso dell’Adunanza pubblica.
Nel caso richiamato, l’AVCP ribadisce la preferenza del criterio funzionale rispetto a quello economico ai fini della valutazione di prevalenza tra lavori e forniture nei contratti misti.
In particolare, osserva l’Autorità, “quando l’appalto è funzionale alla realizzazione o alla modificazione di un’opera di ingegneria civile si applica la normativa dei lavori pubblici, quale sia l’importo economico della fornitura e del lavoro. Viceversa è configurabile un contratto di fornitura con posa in opera nel caso in cui con il contratto di fornitura si intenda conseguire una prestazione avente per oggetto una merce, un prodotto, che autonomamente soddisfano il bisogno per la loro stessa natura. In tal caso gli eventuali lavori di posa e istallazione del bene fornito sono di carattere accessorio e strumentale rispetto all’uso dello stesso”.
Pertanto, conclude per la natura di contratto di lavori della procedura sottoposta al suo esame, motivando in base alla sua qualità specifica, di realizzazione di opere e impianti “inseriti in un organismo di ingegneria civile, commerciale, industriale”. In casi simili a questo, osserva l’Autorità, non è consentito dare rilievo alle forniture, anche se di valore superiore al 50%. “Ciò in quanto in ogni appalto di lavori vi è una componente, talora economicamente prevalente, di forniture, ma detto appalto non muta natura quando l’opera si realizza o si modifica per consentire un’attività che costituisce finalità della iniziativa della pubblica Amministrazione” (Deliberazione AVCP n. 81 del 06.10.2011).
Tale ricostruzione dei criteri da seguire nell’individuazione della disciplina da applicare ai contratti misti di lavori e forniture resa dall’AVCP appare al Collegio conforme alla legge e all’interpretazione della giurisprudenza nella materia “de qua” e, conseguentemente, condivisibile.
Pertanto, ritiene il Collegio di dover tenere in considerazione la natura specifica dell’oggetto della fornitura, la cui denominazione di “gruppi frigo” indicata nel provvedimento in esame potrebbe essere in sé sola fuorviante.
Infatti, come chiarito dall’Amministrazione più puntualmente in sede di adunanza pubblica, nel caso di specie non si trattava semplicemente di fornire al Tribunale civile condizionatori caldo/freddo, bensì si trattava di realizzare il nuovo impianto di condizionamento/raffreddamento, al fine di consentire il servizio pubblico di amministrazione della giustizia in uno stabile che, per sua struttura (realizzato interamente a vetrate non apribili), non avrebbe permesso lo svolgimento della funzione in assenza di locali resi agibili.
Alla luce di tali chiarimenti il Collegio ritiene applicabile il principio di prevalenza nei termini espressi dall’AVCP con la determinazione succitata, rilevando che, nel caso di specie, sussiste una preponderanza solo economica del materiale fornito rispetto ai costi dei lavori di costruzione del sistema di condizionamento dell’intero stabile, mentre questi ultimi risultano, invece, prevalenti dal punto di vista funzionale.
Conclude perciò il Collegio per la conformità a legge della procedura adottata secondo le forme del cottimo fiduciario, stante il rispetto dei limiti di valore di cui all’art. 125, comma 8, del Codice dei contratti applicabile nei casi di contratti di lavori.
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Ritiene, invece, il Collegio di dover precisare che non appare in alcun modo dirimente la considerazione addotta dal Provveditorato in ordine ad una qualche portata argomentativa della necessità di attestazione SOA per lo svolgimento dei lavori in questione, quasi che la richiesta di detta attestazione alla ditta affidataria sia elemento idoneo a dimostrare la prevalenza della parte “lavori” su quella “forniture”.
Infatti, proprio in punto di qualificazione e capacità economica e tecnica, l’ordinamento positivo fa eccezione al principio della prevalenza sin qui illustrato, e dispone che “l’operatore economico che concorre alla procedura di affidamento di un contratto misto, deve possedere i requisiti di qualificazione e capacità prescritti dal presente codice per ciascuna prestazione di lavori, servizi, forniture prevista dal contratto” (art. 15 del Codice dei contratti).
Ne discende che nel caso in esame, per quanto riguarda la parte relativa ai lavori, rimane comunque ferma la necessità delle attestazioni SOA, a prescindere dal fatto che questi si presentino come prevalenti o meramente accessori alla fornitura (cfr. Cons. St. sez. V, 28.02.2012, n. 1153). Pertanto, il fatto di avere richiesto il possesso dello specifico requisito non incide sull’interpretazione data circa la natura del contratto all’esame (Corte dei Conti, Sez. controllo Lazio, deliberazione 20.10.2014 n. 174).

LAVORI PUBBLICILa procedura di somma urgenza non può configurarsi in caso di inerzia dell’amministrazione, mentre essa può ricorrervi quando dimostri di essersi tempestivamente attivata.
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1.2. Il presupposto della somma urgenza.
Osserva il Collegio che il legislatore ha individuato tra i presupposti che legittimano il ricorso ad affidamenti in economia quello della situazione di urgenza o di somma urgenza anche a prescindere dalla qualificazione del contratto misto come contratto di forniture o di lavori.
In particolare, per le forniture, l’art. 125, comma 10, del Codice dei contratti, afferma che il ricorso all’acquisizione in economia “è… consentito nell’ipotesi di…. d) urgenza, determinata da eventi oggettivamente imprevedibili, al fine di scongiurare situazioni di pericolo per persone, animali o cose, ovvero per l’igiene e la salute pubblica…”. Per i lavori pubblici, lo stesso art. 125, al comma 6, individua le ipotesi di affidamento in economia in una serie di categorie generali di fattispecie che si caratterizzano per l’imprevedibilità e la non programmabilità degli interventi. Più specificamente, poi, gli artt. 175 e 176 del d.P.R. n. 207/2010 prevedono i casi dell’urgenza e della somma urgenza, indicando la procedura da seguire.
Osserva, peraltro, il Collegio che la nozione di urgenza trova radici ben più remote nel tempo, individuandosi una simile categorizzazione anche ai sensi del precedente d.P.R. n. 554/1999, secondo linee interpretative sin da allora consolidate in giurisprudenza.
In particolare, il principio espresso dalla giurisprudenza amministrativa, e che nella fattispecie rileva, appare al Collegio adeguatamente riassunto dall’AVCP nella determinazione resa il 05.04.2000, n. 18, ove si afferma che “l’urgenza deve essere qualificata e non generica, deve corrispondere ad esigenze eccezionali e contingenti e deve essere tale da far ritenere che il rinvio dell’intervento comprometterebbe irrimediabilmente il raggiungimento degli obiettivi che la stazione appaltante si è posta mediante la realizzazione dell’intervento stesso, non deve essere imputabile all’inerzia della stazione appaltante stessa che deve attuare una corretta pianificazione degli interventi da eseguire”.
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Invero, sin dalla fase istruttoria, il maggiore dubbio in ordine alla sussistenza, nel caso di specie, del presupposto della procedura di affidamento in economia, dato dall’urgenza di provvedere, ha riguardato il carattere dell’imprevedibilità degli eventi e, insieme ad esso, della non riconducibilità della situazione di urgenza all’inerzia dell’Amministrazione.
Infatti, sulla base degli atti, in precedenza allegati il venir meno della funzionalità dei gruppi frigo appariva fatto ampiamente prevedibile dall’Amministrazione dato che risultavano essere decorsi più di vent’anni dalla data delle loro istallazione. Peraltro, la necessità della sostituzione avrebbe ben potuto essere presa in considerazione anche a prescindere dalla vetustà dell’impianto, dato che con Regolamento (CE) 1005/2009 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 16.09.2009, il gas R22, utilizzato per il funzionamento dei gruppi frigo in questione, era stato riconosciuto tra le sostanze che riducono lo strato di ozono e, pertanto, dichiarato utilizzabile solo fino a 2015.
Il Collegio ritiene che, grazie all’integrazione documentale e alle dichiarazioni rese dall’Amministrazione in sede di adunanza pubblica, i suddetti dubbi di legittimità possano ritenersi superati.
Al riguardo, infatti, il Collegio ritiene che assuma fondamentale rilevanza il documento di programmazione intitolato “Adeguamento d.lgs. 81/2008 –prevenzione antisismica- altro”, depositato nella sede della pubblica adunanza dei 21.07.2014 dal Provveditorato interregionale.
Detto documento, prodotto nella versione finale del 12.07.2010, dimostra che i lavori di sostituzione dei gruppi frigo erano stati programmati a valere sul capitolo di bilancio 7200 già per l’esercizio finanziario 2009, sin da allora, peraltro, con i caratteri della somma urgenza.
L’Amministrazione ha, poi, dato conto dell’incapienza, all’epoca, del capitolo di bilancio, con conseguente impossibilità oggettiva di poter procedere ai lavori richiesti.
Alla luce di tale nuova prospettazione dei fatti, il Collegio ritiene che si debba considerare venuto meno il rilievo della mancanza dei presupposti della somma urgenza sub specie di inerzia dell’Amministrazione nel provvedere, ravvisandosi piuttosto la doverosa attivazione della stessa in tempi utili e l’ascrivibilità del ritardo nel provvedere a ragioni di oggettiva impossibilità ad assumere le decisioni del caso (Corte dei Conti, Sez. controllo Lazio, deliberazione 20.10.2014 n. 174).

APPALTI - LAVORI PUBBLICI: Responsabile unico del procedimento. Momento della nomina.
Sia la normativa statale che quella regionale in materia di lavori pubblici collocano il momento della nomina del responsabile unico del procedimento (RUP) in un momento antecedente a quello dell'avvio della fase di progettazione.
Il Comune chiede un parere con riferimento al momento in cui deve avvenire la nomina del responsabile unico del procedimento (RUP). In particolare chiede se sia più corretto conferire l'incarico 'nella fase di approvazione del progetto preliminare ovvero in quelle, successive, di approvazione del progetto definitivo od ancora di quello esecutivo, momento nel quale la volontà dell'amministrazione di andare a realizzare l'opera pubblica diviene concreta e attuale'.
Attesa la specifica competenza in materia del Servizio lavori pubblici della Direzione centrale infrastrutture, mobilità, pianificazione territoriale, lavori pubblici, università, si esprimono in via collaborativa alcune osservazioni di carattere generale, rimettendosi alle eventuali ulteriori considerazioni che detto Servizio vorrà esprimere.
Come noto, il responsabile unico del procedimento viene nominato dalla stazione appaltante per ogni singolo appalto: ad esso sono attribuiti specifici compiti e funzioni nelle fasi della progettazione, dell'affidamento e dell'esecuzione dell'appalto.
La figura del RUP è disciplinata dall'art. 10 del decreto legislativo 12.04.2006, n. 163 (Codice dei contratti) e dagli articoli 9 e 10 del relativo regolamento di esecuzione e attuazione, il dPR 05.10.2010, n. 207. Per la Regione Friuli Venezia Giulia occorre inoltre fare riferimento alla legge regionale 31.05.2002, n. 14, art. 5, e al decreto del Presidente della Regione 05.06.2003, n. 0165/Pres., articoli 3 e 4.
Il Codice dei contratti stabilisce che per ogni singolo intervento da realizzarsi attraverso un contratto pubblico le amministrazioni aggiudicatrici devono individuare un responsabile unico del procedimento, e ne elenca i compiti e le caratteristiche.
L'art. 9 del regolamento fornisce ulteriori indicazioni sul responsabile del procedimento per la realizzazione di lavori pubblici. In particolare, dispone, al comma 1, che la nomina del RUP avvenga 'prima della fase di predisposizione dello studio di fattibilità o del progetto preliminare da inserire nell'elenco annuale di cui all'articolo 128, comma 1, del codice; per lavori non assoggettati a programmazione ai sensi dell'articolo 128 del codice, il responsabile del procedimento è nominato contestualmente alla decisione di realizzare i lavori'.
L'art. 3, comma 1, del Regolamento di attuazione della legge regionale 14/2002 dispone inoltre che 'L'Amministrazione aggiudicatrice nomina il Responsabile unico del procedimento di attuazione di ogni singolo intervento previsto dal programma di cui all'articolo 7 della legge prima dell'avvio della fase di progettazione'.
L'AVCP (ora ANAC) ha affermato che il responsabile unico del procedimento riveste un ruolo propositivo-pianificatore, al punto da arrivare addirittura a suggerire alla propria amministrazione l'opera e studiarne la convenienza e la fattibilità: 'il codice infatti e l'attuale regolamento indicano che il RUP deve essere nominato ancor prima della fase di predisposizione dello studio di fattibilità', o comunque prima dell'avvio della progettazione
[1].
Pertanto, sia la normativa statale che quella regionale collocano la nomina del RUP in un momento antecedente a quello dell'avvio della fase di progettazione.
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[1] Deliberazione n. 93, Adunanza del 07.11.2012 (20.10.2014 -
link a www.regione.fvg.it).

APPALTI FORNITURE E SERVIZI: S. Calvetti, È davvero ammissibile il rinnovo “espresso” dei contratti pubblici? (Urbanistica e appalti n. 10/2014).
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Il rinnovo “espresso” dei contratti pubblici rimane un tema di grande attualità. La decisione in rassegna offre lo spunto per una riflessione dalla portata più generale circa l'effettiva sussistenza nel nostro ordinamento della possibilità di rinnovo “espresso” dei contratti pubblici. Possibilità che invero è stata posta in discussione dalla stessa giurisprudenza.
Non mancano infatti decisioni del Consiglio di Stato che addirittura considerano illegittime le clausole, dei bandi e dei capitolati, che espressamente prevedono (rectius: prevedevano) la possibilità del rinnovo. Fermo in ogni caso, e pacifico, il divieto di rinnovo “tacito”.

settembre 2014

APPALTI: Cessione di ramo d'azienda relativo a servizi cimiteriali.
Atteso che il codice dei contratti ha coordinato e chiarito il rapporto tra le fattispecie di 'cessione del contratto' e di 'cessione di ramo d'azienda', riaffermando il divieto di cessione del contratto ex art. 118, comma 1 e facendo al contempo espressamente salva la disciplina sulle modificazioni soggettive dell'appaltatore-esecutore del contratto ex art. 116, la cessione del ramo d'azienda non pare configurare una violazione della clausola del capitolato speciale d'appalto, relativa alla previsione del divieto di cessione e subcessione del contratto.
Il Comune, che ha in essere un contratto per i servizi cimiteriali con una società la quale ha di recente operato una cessione di ramo d'azienda relativamente a tali servizi, chiede di conoscere se detta cessione costituisca violazione della clausola contrattuale del capitolato speciale d'appalto che vieta espressamente la cessione e la sub-cessione del contratto.
Esaminato il quadro normativo di riferimento, si formulano le seguenti considerazioni.
La cessione di ramo di azienda, così come l'azienda è definita dall'art. 2555 del codice civile, comporta il trasferimento del 'complesso dei beni organizzati dall'imprenditore per l'esercizio dell'impresa'. La cessione del contratto, invece, riguarda il solo mutamento del soggetto esecutore dello stesso.
Il divieto di cessione del contratto è previsto dall'articolo 118, comma 1 del codice dei contratti, ai sensi del quale: '1. I soggetti affidatari dei contratti di cui al presente codice sono tenuti ad eseguire in proprio le opere o i lavori, i servizi, le forniture compresi nel contratto. Il contratto non può essere ceduto, a pena di nullità, salvo quanto previsto nell'articolo 116.'.
[1]
La disciplina del mutamento dell'esecutore del contratto, determinata dalla cessione del ramo di azienda da parte dell'aggiudicatario, è contenuta, invece, nell'articolo 116 del d.lgs. 163/2006. In particolare, ai fini dell'odierno quesito, rilevano i commi 1 e 2 e 3 del citato articolo 116, i quali prevedono che '1. Le cessioni di azienda e gli atti di trasformazione, fusione e scissione relativi ai soggetti esecutori di contratti pubblici non hanno singolarmente effetto nei confronti di ciascuna stazione appaltante fino a che il cessionario, ovvero il soggetto risultante dall'avvenuta trasformazione, fusione o scissione, non abbia proceduto nei confronti di essa alle comunicazioni previste dall'articolo 1 del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 11.05.1991, n. 187, e non abbia documentato il possesso dei requisiti di qualificazione previsti dal presente codice.
2. Nei sessanta giorni successivi la stazione appaltante può opporsi al subentro del nuovo soggetto nella titolarità del contratto, con effetti risolutivi sulla situazione in essere, laddove, in relazione alle comunicazioni di cui al comma 1, non risultino sussistere i requisiti di cui all'articolo 10-sexies della legge 31 maggio 1965, n. 575, e successive modificazioni.
3. Ferme restando le ulteriori previsioni legislative vigenti in tema di prevenzione della delinquenza di tipo mafioso e di altre gravi forme di manifestazione di pericolosità sociale, decorsi i sessanta giorni di cui al comma 2 senza che sia intervenuta opposizione, gli atti di cui al comma 1 producono, nei confronti delle stazioni appaltanti, tutti gli effetti loro attribuiti dalla legge
.'.
Come osservato dall'Autorità di Vigilanza sui contratti pubblici
[2], 'L'articolo 116 citato, quindi, non esclude mutamenti soggettivi in fase di esecuzione del contratto, ma prevede un'ipotesi di inefficacia relativa, perché subordina l'efficacia della cessione nei confronti dell'amministrazione all'adempimento di obblighi informativi e all'assolvimento di oneri probatori per comprovare il possesso dei requisiti. La possibilità di subentro nel contratto da parte del cessionario di un ramo d'azienda è, dunque, normativamente subordinata al positivo accertamento del possesso dei requisiti di ordine generale e speciale, al fine di garantire la stazione appaltante circa la permanenza, in caso di modificazione soggettiva dell'esecutore del contratto, dei requisiti accertati in capo al soggetto affidatario del contratto.'.
Con le disposizioni di cui agli articoli 118, comma 1 e 116, il codice dei contratti ha definitivamente operato un coordinamento e chiarito il rapporto tra le due fattispecie 'cessione del contratto' e 'cessione di ramo d'azienda' riaffermando per un verso il divieto di cessione del contratto ex art. 118, comma 1 e facendo al contempo espressamente salva la disciplina sulle modificazioni soggettive dell'appaltatore-esecutore del contratto ex art. 116 del codice stesso.
Per quanto in premessa, la cessione di ramo d'azienda in commento non pare configurare una violazione della clausola del capitolato speciale d'appalto, relativamente al divieto di cessione e sub-cessione del contratto ivi previsto.
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[1] Per un approfondimento si veda il parere AVCP AG35-08, 06.11.2008, Oggetto: cessione di ramo di azienda ex art. 116 D.Lgs. n. 163/2006 relativo al servizio di pulizia, consultabile al sito internet: http://www.avcp.it .
[2] Così AVCP, parere 24.10.2012 (AG 20/12)
(30.09.2014 -
link a www.regione.fvg.it).

APPALTI: Gara telematica offerta illeggibile.
Domanda
Una stazione appaltante ha indetto una procedura di gara telematica attraverso una piattaforma informatica. Può essere escluso il concorrente nel caso in cui il file dell'offerta risulti illeggibile?
Risposta
Il «caricamento» del file contenente l'offerta presenta fasi di competenza del privato e fasi di competenza del gestore del sistema. Il rischio connesso al malfunzionamento del sistema deve essere attribuito alla parte che, rispetto alla singola fase, è competente a gestire l'operazione di caricamento.
In particolare il Consiglio di stato, sez. III, sentenza 02/07/2014 n. 3329 ha precisato che: «Stante la netta distinzione delle fasi di competenza del mittente e di Sintel, ognuno di tali soggetti assume su di sé il solo rischio afferente al segmento di sua propria e precipua spettanza, senza poterlo riversare sull'altro».
Questo criterio, in base alla motivazione riportata nella sentenza del Consiglio di stato, sarebbe perfettamente compatibile con il principio del favor partecipationis in quanto «la gestione interamente informatizzata della procedura di gara ben può implicare l'esclusione dalla gara della domanda che risulti illeggibile per un guasto non dei comandi di trasmissione, ma dell'originazione del relativo file» (articolo ItaliaOggi Sette del 22.09.2014).

APPALTI FORNITURE: Limitazioni di spesa per acquisto arredi.
Il testo vigente dell'art. 1, comma 141, della l. 24.12.2012, n. 228, nel limitare la spesa per l'acquisto di mobili e arredi da parte delle amministrazioni pubbliche al 20 per cento della spesa sostenuta in media negli anni 2010 e 2011, consente una deroga, qualora l'acquisto sia funzionale alla riduzione delle spese connesse alla conduzione degli immobili previa verifica che i risparmi realizzabili con l'acquisto degli arredi siano maggiori rispetto alla minor spesa che deriverebbe dall'applicazione del citato limite.
Compete, quindi, a ciascuna amministrazione verificare, nell'ambito della propria autonomia, la presenza delle condizioni per l'applicazione della deroga descritta, tenendo conto che la violazione della norma in commento è valutabile ai fini della responsabilità amministrativa e disciplinare.

Il Comune formula una serie di quesiti in ordine alla possibilità di arredare i locali di un edificio in procinto di essere ristrutturato, per essere utilizzato come centro civico polifunzionale, atteso che nell'ambito della progettazione non risulta contemplato l'arredamento delle sale.
In particolare chiede di conoscere:
- se trovano applicazione le previsioni di cui all'articolo 1, comma 141 della l. 228/2012 e s.m.i., che, per gli anni 2013 e 2014, limitano la spesa per l'acquisto di mobili e arredi ad un importo non superiore al 20% di quella media sostenuta per il medesimo fine negli anni 2010 e 2011;
- se sia possibile 'impiegare, per l'acquisto degli arredi in argomento, il probabile ribasso d'asta, da applicare con una perizia di variante';
- se vi siano altre soluzioni praticabili;
- se, operando il divieto normativo per gli anni 2013 e 2014, nel corso dell'anno 2015 sia possibile procedere liberamente ai necessari acquisti.
Si formulano al riguardo le seguenti considerazioni di carattere generale.
La restrizione delle spese in argomento è stata introdotta dall'art. 1, comma 141, della l. 24 dicembre 2012, n. 228, successivamente modificato dall'art. 18, comma 8-sexies, del d. l. 21.06.2013, n. 69, convertito con modificazioni dalla l. 09.08.2013, n. 98. La norma, nella sua attuale versione, prescrive: 'Ferme restando le misure di contenimento della spesa già previste dalle vigenti disposizioni, negli anni 2013 e 2014, le amministrazioni pubbliche inserite nel conto economico consolidato della pubblica amministrazione, come individuate dall'Istituto nazionale di statistica (ISTAT) ai sensi dell'articolo 1, comma 3, della l. 31.12.2009, n. 196, e successive modificazioni, nonché le autorità indipendenti e la Commissione nazionale per le società e la borsa (CONSOB) non possono effettuare spese di ammontare superiore al 20 per cento della spesa sostenuta in media negli anni 2010 e 2011 per l'acquisto di mobili e arredi, se non destinati all'uso scolastico e dei servizi all'infanzia, salvo che l'acquisto sia funzionale alla riduzione delle spese connesse alla conduzione degli immobili. In tal caso il collegio dei revisori dei conti o l'ufficio centrale di bilancio verifica preventivamente i risparmi realizzabili, che devono essere superiori alla minore spesa derivante dall'attuazione del presente comma. La violazione della presente disposizione è valutabile ai fini della responsabilità amministrativa e disciplinare dei dirigenti'.
La norma in discorso consente di derogare al limite in questione qualora 'l'acquisto sia funzionale alla riduzione delle spese connesse alla conduzione degli immobili', prevedendo, all'uopo, la verifica preventiva che i risparmi realizzabili con l'acquisto degli arredi siano effettivamente maggiori rispetto alla minor spesa che deriverebbe dall'applicazione del divieto di acquisto disposto in via generale dallo stesso comma 141.
Si osserva che la Corte dei conti, Sezione Regionale di Controllo per la Toscana, con riferimento ad analoga questione ha stabilito (Del. n. 277/2013/PAR) che: 'Resta da chiarire il punto del quesito inerente la possibilità di derogare al limite di cui al citato art. 1, comma 141, in relazione all'acquisto di arredi che si configuri quale intervento funzionale e indispensabile all'utilizzo di opere pubbliche ultimate, ma non ancora arredate.
La norma in discorso consente di derogare al limite in questione qualora 'l'acquisto sia funzionale alla riduzione delle spese connesse alla conduzione degli immobili', prevedendo, all'uopo, la verifica preventiva che i risparmi realizzabili con l'acquisto degli arredi siano effettivamente maggiori rispetto alla minor spesa
[1] che deriverebbe dall'applicazione del divieto di acquisto disposto in via generale dallo stesso comma 141.
Ritiene il collegio che spetti all'ente richiedente di verificare, nell'ambito della propria autonomia, la presenza delle condizioni per l'applicazione alla fattispecie della deroga appena descritta, tenendo conto, a tal fine, che la violazione della norma di cui si discute è valutabile ai fini della responsabilità amministrativa e disciplinare
.'.
Tali affermazioni sembrano portare a ritenere che il termine 'conduzione', utilizzato dalla norma in commento, si riferisca alle diverse spese cui l'Ente andrebbe incontro per l'effettivo utilizzo dell'immobile da arredare
[2]. In questi termini, atteso che per l'effettivo utilizzo dell'immobile sembra necessario dotare i relativi locali (sala riunioni, la sala feste e le stanze destinate alle associazioni locali, sale per corsi ecc.) di idoneo mobilio, l'Ente potrà effettuare l'acquisto in deroga degli arredi in commento solo previa valutazione e quantificazione dei risparmi di spesa che potrebbero o meno derivare dalla scelta di acquistare i beni mobili (seppur eccedendo il limite del 20% indicato dalla norma) rispetto ad esempio a quella alternativa di noleggiare i medesimi per il periodo di vigenza del vincolo di finanza.
Si tenga tuttavia presente che, da quanto si evince dalla parafrasi della norma operata dalla Corte dei conti, pare potersi ritenere che l'effettivo risparmio derivante dall'acquisto in deroga debba essere superiore a quello derivante dall'applicazione della norma (quantificato nell'80% della spesa media sostenuta negli anni 2010 e 2011).
A parere di chi scrive, inoltre, il periodo di riferimento per la valutazione del risparmio dovrebbe essere quello indicato dalla norma per ciascuno degli anni 2013 e 2014. Infatti, scopo della norma è quello di conseguire i risparmi di spesa indicati nell'arco temporale da essa considerato.
Sembra, pertanto, che nel caso in commento l'effettivo risparmio da conseguirsi, in caso di acquisto in deroga, debba essere superiore all'importo corrispondente all'80% della spesa media sostenuta nel biennio 2010-2011.
[3]
Con riferimento alla possibilità di un eventuale ribasso d'asta da effettuarsi con perizia di variante, nell'osservare che le varianti progettuali sono consentite soltanto nei casi previsti alle lettere a), b), c), d) ed e) del comma 1 dell'articolo 132 del Codice dei contratti di cui al d.lgs. 163/2006, cui il caso in questione non pare poter essere ricondotto
[4], resta fermo che il comma 141 prevede espressamente le deroghe alle limitazioni finanziarie ivi previste, nei contenuti sopra rappresentati, non suscettibili di interpretazione estensiva.
Infine, circa la possibilità a partire dall'anno 2015 di effettuare o meno gli acquisti in commento senza restrizioni, essa dipenderà, ovviamente, dall'intervento di eventuali disposizioni legislative che stabiliscano anche per tale annualità limitazioni di spesa per l'acquisto di arredi.
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[1] Dalla lettura del Dossier DV0028-I della Camera dei Deputati sulla l. 228/2012, paragrafo rubricato 'ARTICOLO 1, comma da 141 a 145 Acquisto di mobili, arredi ed autovetture' si evince che il termine 'minor spesa' viene utilizzato nel senso di 'risparmio' per ciascuno degli anni 2013 e 2014.
[2] Un tanto è confermato dall'Ufficio Studi CODAU (www.codau.it/ufficio_studi/commenti.php) nel Commento sintetico del decreto-legge 21.06.2013, n. 69 (decreto del fare), in cui esaminando l'articolo 18 di tale decreto, con riferimento all'art. 1, comma 141, della legge di stabilità 2013 afferma che: «Inoltre è possibile derogare al limite imposto dalla disposizione alla presenza di acquisti finalizzati alla valorizzazione del patrimonio a condizione che gli immobili siano entrati nella disponibilità dell'Ateneo prima dell'entrata in vigore della legge di stabilità per l'anno 2013 e che a seguito della verifica degli organi di controllo i risparmi siano superiori alla minore spesa derivante dall'attuazione del comma 141. In questo caso, infatti, può essere applicata l'eccezione prevista con il termine 'conduzione' dove per conduzione si intende non la conduzione nell'ambito della locazione degli immobili ma come sinonimo di 'utilizzo'.»
[3] Per esemplificare: se la spesa media nel biennio 2010-11 è stata 1.000, il comma 141 prescrive un risparmio annuo di 800. Qualora si proceda ad un acquisto in deroga, funzionale alla riduzione delle spese di utilizzo dell'immobile, il risparmio (risultante dalla differenza tra le spese che si sosterrebbero senza procedere all'acquisto e quelle che si sosterrebbero procedendo all'acquisto) deve risultare maggiore di 800 per ciascuno degli anni.
[4] Per un approfondimento, si veda l'articolo 'Codice dei contratti: perizie di variante e ribassi d'asta' di Paolo Oreto, consultabile sulla rivista on-line 'Lavori Pubblici.it'
(19.09.2014 -
link a www.regione.fvg.it).

APPALTI: Le regole di invio della fattura elettronica.
Domanda
Quali sono le regole procedurali che devono essere osservate per inviare la fattura elettronica? È proprio un obbligo l'accordo preventivo tra l'emittente e il destinatario?
Risposta
La circolare 24.06.2014, n. 18/E, dell'Agenzia delle entrate ha fornito opportuni chiarimenti.
L'emittente (o il suo delegato) mette a disposizione del destinatario la fattura elettronica «tramite accesso a un sito internet, server o altro supporto informatico, ove la stessa è reperibile, nonché tramite messaggio (e-mail) contenente un protocollo di comunicazione e un link di collegamento che permetta, previo accordo delle parti di effettuare in qualsiasi momento il download della fattura. È possibile individuare ulteriori strumenti idonei alla trasmissione».
La norma non richiede l'obbligatoria presenza di un «previo accordo» con il destinatario per cui per avvalersi della trasmissione elettronica «è sufficiente l'accettazione da parte del destinatario del mezzo di trasmissione utilizzato», cioè l'utilizzazione di procedure informatizzate (ad esempio, sistema di trasmissione Edi, posta elettronica, posta elettronica certificata, telefax o via modem).
L'accordo preventivo tra le parti non è un requisito indispensabile.
Se il cedente i beni (o il prestatore del servizio) conferisce ad un soggetto terzo (outsourcer) l'incarico di trasmissione della fattura elettronica, è necessaria la presenza del preventivo accordo «in tale senso, che potrà essere desunto, indirettamente, anche dal tipo di incarico conferito da ciascuna di esse al terzo» (articolo ItaliaOggi Sette del 15.09.2014).

APPALTI: Il lotto di fatture elettroniche.
Domanda
Vorrei sapere se è possibile effettuare l'invio di più fatture elettroniche in un unico lotto o se, invece, è necessario inviare distintamente ciascuna fattura.
Risposta
La circolare 24.06.2014, n. 18/E, ha precisato che è possibile eseguire la trasmissione di più fatture elettroniche raccolte in un unico lotto, avendo cura affinché i requisiti richiesti e le procedure siano riferiti non ad ogni singola fattura ma al lotto.
In altri termini, la norma permette «di inserire una sola vota le informazioni comuni (come, ad esempio, le generalità dell'emittente e del ricevente, la partita Iva, la residenza o il domicilio, la data di emissione, l'annotazione che la fattura è completata dal cliente o da un terzo per conto del cedente), purché per ogni fattura sia possibile accedere alla generalità delle informazioni» (articolo ItaliaOggi Sette del 15.09.2014).

APPALTI: Fattura elettronica.
Domanda
Quali sono le regole procedurali che devono essere seguite per procedere alla conservazione della fattura elettronica?
Risposta
Le fatture elettroniche devono essere conservate in modalità elettronica attenendosi a quanto è indicato nel Dm 17.06.2014 (e, in precedenza, dal Dm 23.01.2004).
Le fatture create in formato elettronico e le fatture cartacee possono essere conservate elettronicamente (art. 39, ultimo comma, del Dpr 26.10.1972, n. 633).
In pratica, l'operatore che emette una fattura elettronica ha l'obbligo di garantire l'origine informatica e l'integrità del contenuto del documento e deve procedere alla sua conservazione elettronica.
La posizione del destinatario, invece, è differente poiché egli può scegliere tra le seguenti alternative:
a) «non accettare» la procedura, procedendo alla conservazione della fattura su supporto cartaceo, quindi procedendo alla materializzazione del documento;
b) «accettare» la procedura mediante la stampa e la conservazione analogica del documento ricevuto elettronicamente; in pratica, il suo comportamento concludente concretizza l'avvenuta accettazione della fattura con il requisito di «fattura elettronica» (pur effettuandone la registrazione e il pagamento).
Il destinatario che non accetta il documento elettronico, non preclude all'emittente di integrare la procedura di fatturazione elettronica con quella di conservazione elettronica.
«Anche al fine di non creare vincoli alla diffusione della fatturazione elettronica, si ritiene che tale processo non debba mantenere un obbligo di simmetria tra emittente e destinatario della fattura» (circolare 24.06.2014, n. 18/E).
Va osservato che l'emittente ha l'obbligo di conservare elettronicamente le fatture emesse nei confronti della Pubblica amministrazione. Questa regola deve essere osservata anche dall'ufficio che riceve la fattura elettronica (art. 1, comma 209, della L. 24.12.2007, n. 244) (articolo ItaliaOggi Sette del 15.09.2014).

LAVORI PUBBLICI - SICUREZZA LAVORO: M. Trapè, I compiti del responsabile unico del procedimento in materia di sicurezza dei cantieri dopo l’entrata in vigore del regolamento sui contratti pubblici (01.09.2014 - link a www.studiocataldi.it).

agosto 2014

APPALTI: Artt. 56 e 57. D.Lgs. n. 163/2006. Procedura negoziata senza previa pubblicazione di bando di gara.
L'art. 56, comma 1, lett. a), D.Lgs. n . 163/2006, disciplina la procedura negoziata previa pubblicazione di un bando di gara alla quale è possibile ricorrere quando, in esito all'esperimento di una procedura aperta o ristretta o di un dialogo competitivo, tutte le offerte presentate siano risultate irregolari ovvero inammissibili, secondo quanto disposto dal D.Lgs. 163 in relazione ai requisiti degli offerenti e delle offerte.
La disposizione in argomento consente, inoltre, che le stazioni appaltanti possano omettere la pubblicazione del bando di gara a condizione che alla procedura negoziata siano invitati tutti i concorrenti in possesso dei requisiti di qualificazione di cui agli articoli da 35 a 45 del D.Lgs. n.163/2006, i quali, nella procedura precedente, hanno presentato offerte rispondenti ai requisiti formali della procedura medesima.
L'art. 57, comma 2, lett. a), D.Lgs. 163, prevede che possa farsi ricorso a procedura negoziata senza previa pubblicazione del bando qualora non sia stata presentata 'nessuna offerta appropriata', oltre che in caso di presentazione di nessuna offerta.

Il Comune riferisce di aver indetto una procedura di gara aperta per l'affidamento di un appalto, assistito da finanziamento regionale da rendicontare entro il 31.12.2016, conclusasi con una prima aggiudicazione provvisoria alla ditta risultata prima in graduatoria e poi esclusa ai sensi dell'art. 38, comma 2, D.Lgs. n. 163/2006, ed una seconda aggiudicazione provvisoria alla ditta seconda classificata, allo stesso modo successivamente esclusa ai sensi dell'art. 38, c. 2, richiamato
[1]. L'Ente riferisce inoltre che le altre 6 ditte partecipanti sono state escluse per non aver raggiunto il punteggio minimo per accedere alle fasi di apertura dell'offerta economica.
Nel quadro rappresentato il Comune prospetta tre ipotesi di ricorso alla procedura negoziata
[2] senza pubblicazione del bando, in relazione alle quali chiede un parere di percorribilità:
a) applicazione dell'art. 56, comma 1, lett. a), D.Lgs. n. 163/2006, con invito rivolto a tutte le 8 ditte già partecipanti
[3];
b) applicazione dell'art. 57, comma 2, lett. a), sempre estendendo l'invito agli ex partecipanti;
c) applicazione dell'art. 57, comma 2, lett. c), per 'estrema urgenza non imputabile alla stazione appaltante'.
L'art. 56 disciplina le ipotesi di procedura negoziata previa pubblicazione di un bando di gara nei casi ivi elencati; in particolare la fattispecie di cui al comma 1, lett. a), si verifica quando in esito all'esperimento di una procedura aperta o ristretta o di un dialogo competitivo, tutte le offerte presentate siano risultate irregolari ovvero inammissibili, secondo quanto disposto dal D.Lgs. n. 163/2006 in relazione ai requisiti degli offerenti e delle offerte. La disposizione in argomento consente, inoltre, che le stazioni appaltanti possano omettere la pubblicazione del bando di gara a condizione che alla procedura negoziata siano invitati tutti i concorrenti in possesso dei requisiti di qualificazione di cui agli articoli da 35 a 45 del D.Lgs. n. 163/2006, i quali, nella procedura precedente, hanno presentato offerte rispondenti ai requisiti formali della procedura medesima. In questa procedura negoziata non possono essere modificate in modo sostanziale le condizioni iniziali del contratto.
Posto che nel caso di specie l'Ente istante riferisce di volere estendere l'invito a tutti i partecipanti alla gara aperta, il ricorso alla procedura negoziata di cui all'art. 56 richiamato da un lato è subordinato alla circostanza che le offerte presentate in sede di gara aperta siano tutte irregolari o inammissibili, e dall'altro lato non consente modifiche sostanziali delle condizioni iniziali del contratto.
La norma non fornisce alcuna definizione di irregolarità ed inammissibilità, per cui si può muovere in via interpretativa, anche dal confronto con l'art. 57, co. 2, lett. a), il quale prevede che possa farsi ricorso a procedura negoziata senza previa pubblicazione del bando qualora non sia stata presentata 'nessuna offerta appropriata', oltre che in caso di presentazione di nessuna offerta. Anche in questo caso non possono essere modificate in modo sostanziale le condizioni iniziali del contratto.
La giurisprudenza amministrativa ha precisato che l'offerta è irregolare quando manchi o risulti incompleto od irregolare uno dei documenti richiesti
[4], ed ha specificato l'inammissibilità delle offerte carenti dei requisiti tecnici per la partecipazione alla gara o inadeguate dal punto di vista tecnico [5].
L'Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture, ha affermato che presupposto per l'applicabilità dell'art. 56, comma 1, lett. a) è che vi siano state offerte presentate in gara ma che tutte siano state irregolari o inammissibili, avuto riguardo, rispettivamente, ai requisiti prescritti per le offerte (requisiti di forma e di validità delle stesse, posti a tutela della par condicio dei concorrenti) e per gli offerenti; presupposto di applicabilità, invece, dell'art. 57, comma 2, lett. a) (procedura negoziata senza bando), è che non sia stata presentata alcuna offerta o che tutte le offerte presentate siano state giudicate inappropriate, intendendosi per tali le offerte formalmente valide ma irrilevanti sul piano economico, assimilate dal legislatore alle offerte non presentate
[6].
In questi stessi termini è tracciata la distinzione tra la fattispecie di cui all'art. 56, comma 1, lett. a), e quella di cui all'art. 57, comma 2, lett. a), dalla giurisprudenza
[7] e dalla dottrina [8], nel senso di ritenere che le offerte inappropriate sono quelle che, sebbene formalmente valide, non sono state considerate convenienti dalla stazione appaltante sotto il profilo tecnico o economico, vale a dire che non sono state valutate come idonee a soddisfare le esigenze per le quali l'amministrazione si è determinata a bandire la gara [9].
Nel caso di specie, le offerte delle ditte risultate prima e seconda in graduatoria, dunque reputate adeguate sul piano tecnico ed economico, sono state escluse per omessa indicazione di una condanna penale che è d'obbligo dichiarare ai sensi dell'art. 38, comma 2, D.Lgs. n. 163/2006, mentre le altre (sei) offerte presentate sono state escluse per non aver raggiunto il punteggio minimo previsto dal disciplinare di gara.
Si tratta di casi di esclusione che paiono riconducibili alle ipotesi di offerte irregolari ed inammissibili, e che sembrano dunque poter legittimare il ricorso alla procedura negoziata senza previa pubblicazione del bando di gara, ai sensi dell'art. 56, comma 1, lett. a), richiamato. Un tanto, tenuto conto dell'intenzione manifestata dall'Ente di invitare alla (eventuale) procedura negoziata tutte le ditte che nella precedente gara hanno presentato offerte rispondenti ai requisiti formali richiesti e fermo restando il divieto di apportare modifiche sostanziali alle condizione iniziali del contratto.
Mentre non sembrano ravvisarsi, nel caso di specie, le condizioni legittimanti il ricorso alla procedura negoziata senza previa pubblicazione del bando di gara ai sensi dell'art. 57, comma 2, lett. a), che presuppone che la gara sia andata deserta o che tutte le offerte siano non appropriate, avuto riguardo all'interpretazione delle offerte inappropriate, che sembra avere maggior seguito, nel senso di offerte formalmente valide, ma inadeguate sul piano tecnico ed economico.
Un tanto osservato, si sottolinea la previsione già ricordata secondo cui nelle ipotesi di procedura negoziata di cui agli artt. 56, comma 1, lett. a) e 57, comma 2, lett. a), non possono essere modificate in modo sostanziale le condizioni iniziali del contratto
[10].
Ciò significa, osserva il Giudice amministrativo
[11], che l'amministrazione non può stabilire una diversa base d'asta né può modificare le altre condizioni del contratto che influiscono sul sinallagma perché la norma mira ad evitare una elusione delle disposizioni sulla concorrenza, volendo impedire che un'amministrazione possa avvalersi della procedura negoziata proponendo condizioni più favorevoli rispetto alla procedura aperta non andata a buon fine.
Si tratta di una disposizione molto significativa a garanzia della reale parità di condizioni tra i concorrenti, finalizzata a garantire parità di trattamento tra gli operatori economici ammessi alla nuova gara rispetto a quelli che hanno partecipato alla prima procedura di gara
[12].
Al riguardo, anche la dottrina
[13] osserva che, a fronte di condizioni contrattuali sostanzialmente diverse e più favorevoli, non è affatto da escludere, da un lato, che altri imprenditori sarebbero potuti essere interessati all'aggiudicazione dell'appalto, dall'altro, che sarebbero state presentate offerte di tenore diverso da quelle in presenza delle quali si sono verificati i presupposti della procedura negoziata. Di talché, ove si intenda modificare in modo sostanziale le condizioni iniziali del contratto (ad esempio, per quanto attiene al prezzo [14], alla durata, alla prestazione da fornire), il presupposto previsto dalla legge per poter legittimamente ricorrere alla procedura negoziata non sussiste e la stazione appaltante è tenuta ad espletare una ordinaria procedura aperta o ristretta in modo da consentire ad ogni operatore economico del settore di valutare, in presenza delle mutate condizioni, la propria convenienza a partecipare alla gara, nel rispetto dei principi di par condicio tra le imprese, di libertà di concorrenza, di trasparenza e buon andamento dell'azione amministrativa [15].
La lett. c) del comma 2 dell'art. 57 prevede la possibilità di ricorrere alla procedura negoziata senza previa pubblicazione di un bando, nella misura strettamente necessaria, quando l'estrema urgenza, risultante da eventi imprevedibili per le stazioni appaltanti, non è compatibile con i termini imposti dalle procedure aperte, ristrette o negoziate previa pubblicazione di un bando di gara, sempreché le circostanze invocate a giustificazione della estrema urgenza non siano imputabili alle stazioni appaltanti.
La fattispecie giuridica appena descritta, in quanto eccezione al principio generale della pubblicità e della massima concorsualità, è subordinata all'accertamento con il massimo rigore dei suoi presupposti, insuscettibili di interpretazione estensiva e, in particolare, per quanto riguarda l'urgenza di provvedere, essa non deve essere addebitabile in alcun modo all'amministrazione per carenza di adeguata organizzazione o programmazione ovvero per sua inerzia o responsabilità
[16]. Si tratta, inoltre, di un sistema di scelta del contraente ammissibile solo in funzione meramente strumentale all'espletamento di una gara pubblica e nella misura temporale strettamente necessaria [17].
Dalla casistica giurisprudenziale emerge che l'urgenza deve essere correlata all'oggetto del contratto di appalto. In particolare, è stata ritenuta legittima l'applicazione della norma in argomento per far fronte all'urgenza di assicurare la continuità di servizi essenziali improrogabili, causata da eventi imprevedibili e non addebitabili alla stazione appaltante (gara deserta; contenzioso sviluppatosi sulla gara)
[18].
Nel caso in esame, se da un lato si può affermare che l'esito infruttuoso della gara aperta non è addebitabile alla stazione appaltante, compete all'Ente accertare l'urgenza di esecuzione dei lavori oggetto dell'appalto, tale da renderne indifferibile l'affidamento e, quindi, da non consentire assolutamente di attendere i tempi necessari allo svolgimento di una delle procedure ordinarie o anche di una procedura negoziata previa pubblicazione di un bando
[19].
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[1] In entrambi i casi, il certificato del casellario giudiziale ha fatto emergere a carico di un legale rappresentante della ditta una sentenza di condanna, non dichiarata in sede di gara, non rientrante tra le fattispecie di reato depenalizzato ovvero di reato estinto dopo la condanna ovvero di revoca della condanna medesima.
[2] Ai sensi dell'art. 3, comma 40, D.Lgs. n. 163/2006, le 'procedure negoziate' sono le procedure in cui le stazioni appaltanti consultano gli operatori economici da loro scelti e negoziano con uno o più di essi le condizioni dell'appalto.
[3] Il Comune specifica che i reati non dichiarati riguardavano casistiche minimali, per le quali la commissione di gara non avrebbe assunto provvedimenti di esclusione.
[4] Cfr. Consiglio di Stato, sez. V, 02.04.2002, n. 1798, con riferimento ad un appalto di lavori ai sensi dell'(abrogata) L. n. 109/1994. Per il Supremo Giudice amministrativo, in una procedura improntata al rigore formale il rispetto delle modalità di presentazione delle domande e delle offerte è garanzia di affidabilità delle stesse e la correttezza e completezza della documentazione nonché la carenza di errori od omissioni costituisce un elemento di confronto tra i partecipanti.
[5] TAR Roma, sez. II, 09.10.2002, n. 8442, che richiama Consiglio di Stato, sez. VI, n. 1513/1998.
[6] AVCP, deliberazione n. 7 del 28.01.2009.
[7] Cfr. Consiglio di Stato sez. V, 29 maggio 2006, n. 3245, con riferimento all'art. 7 del D.Lgs. n. 157/1995 (oggi trasfuso negli artt. 56 e 57 del D.Lgs. n. 163/2006) disciplinante -negli appalti di servizi- la procedura negoziata previa (comma 1) e senza (comma 2) preliminare pubblicazione di un bando di gara. Ebbene, per il Supremo Giudice amministrativo la distinzione fra le due fattispecie si basa sulla differenza sostanziale, che viene evidenziata, nella procedura aperta che precede la procedura negoziata, tra la presentazione di offerte irregolari e la presentazione di offerte inappropriate.
Nel primo caso, infatti, la presentazione di offerte irregolari lascia supporre che il prezzo massimo indicato dall'amministrazione sia congruo rispetto ai prezzi di mercato effettivamente esistenti, per cui è utile sollecitare la presentazione di nuove offerte e che, quindi, vi sia spazio per un nuovo confronto concorrenziale. Nel secondo caso, invece, la mancanza di offerte appropriate lascia supporre che il prezzo indicato dall'amministrazione sia troppo basso rispetto alla realtà del mercato e che quindi sarebbe inutile un ulteriore appello pubblico per la presentazione di nuove offerte.
Per completezza espositiva, si segnalano, in senso differente, due pronunce della giurisprudenza amministrativa riferite all'art. 13, comma 1, lett. a), D.Lgs. n. 158/1995 (oggi abrogato dal D.Lgs. n. 163/2006), in materia di appalti nei settori esclusi. Per il Consiglio di Stato, sez. VI, n. 1513/1998, l'espressione 'offerta non appropriata' va intesa in una accezione lata, comprensiva sia della offerta irregolare, cioè quella viziata nella forma, sia quella inammissibile, cioè quella in cui vi sia carenza dei requisiti sostanziali per la partecipazione alla gara.
Si osserva, però, che il Consiglio di Stato specifica di ricavare questa interpretazione da una ricostruzione sistematica interna alla disciplina dei settori esclusi. Nello stesso senso, sempre con riferimento ai settori esclusi, il TAR Lazio, Roma, sez. II, 09.10.2002, n. 8442, afferma che il requisito della mancanza di offerte appropriate è da reputarsi integrato sia nella ipotesi di mancanza assoluta di offerte (cioè di gara andata deserta) sia in ipotesi di offerte irregolari, viziate cioè nella forma, sia infine in caso di offerte inammissibili, ossia carenti dei requisiti tecnici per la partecipazione alla gara o inadeguate dal punto di vista tecnico.
[8] Cfr. Salvatore Alberto Romano, L'affidamento dei contratti pubblici di lavori, servizi e forniture, Giuffrè, Milano, 2011, pp. 100-101). L'autore rileva che la differenza tra la procedura negoziata previa pubblicazione di un bando, di cui all'art. 56, e quella senza previa pubblicazione di un bando, di cui all'art. 57, consiste nel fatto che nella prima (art. 56) sono state presentate offerte, anche se irregolari o inammissibili, e quindi vi è la possibilità, almeno potenziale, di un ampliamento della competizione negoziale attraverso la previa pubblicazione di un bando, ovvero direttamente invitando alla negoziazione tutti gli operatori formalmente idonei. Mentre nel secondo caso (art. 57), la gara si è conclusa senza che siano state presentate offerte o candidature (cioè richieste di partecipazione di sorta), ovvero quelle presentate sono tutte inappropriate in quanto non convenienti o inidonee in relazione all'oggetto del contratto.
[9] Stefano Baccarini, Codice dell'appalto pubblico, Giuffrè, Milano, 2011, p. 693.
[10] Cfr. Autorità Nazionale Anticorruzione, determinazione n. 8 del 14.12.2011.
[11] TAR Aosta, sez. I, 28.04.2009, n. 37.
[12] Consiglio di Stato, n. 1090/2011, cit..
[13] Cfr. Stefano Baccarini, op. cit., p. 688.
[14] Si osserva, peraltro, che con riferimento all'(abrogato) art. 7 , D.Lgs. n. 157/1995 (appalti di servizi), e specificamente in ordine alla procedura negoziata senza previa pubblicazione di un bando di gara (comma 2), il Consiglio di Stato ha affermato che in questa ipotesi (che non sembra ricorrere nel caso in esame, ove risultano essere state presentate due offerte congrue sul piano tecnico), sarebbe illogico far rientrare il prezzo massimo indicato nel bando di gara tra le condizioni iniziali dell'appalto non modificabili, perché proprio la mancanza di offerte appropriate dimostra come tale prezzo sia inadeguato rispetto alla realtà effettiva del mercato. (Cfr. Consiglio di Stato n. 3245/2006, cit.).
[15] La giurisprudenza (TAR Sardegna, sez. I, 23.12.2005, n. 2445) ha ritenuto legittima una modifica riguardante il maggior peso attribuito, in termini di punteggio, al profilo tecnico del progetto a scapito del peso originariamente riconosciuto all'offerta economica, in quanto mera modifica di dettaglio che non comporta un'alterazione dell'oggetto dell'appalto e del suo contenuto ed è dunque insuscettibile di incidere sulla ratio della disposizione, volta ad evitare l'arbitrario ricorso alla trattativa privata rispetto alla gara pubblica. (La pronuncia è riferita, invero, all'(abrogato) art. 7, D.Lgs. n. 157/1995, ma si rivela utile anche nel caso di specie, poiché postula, allo stesso modo dei vigenti art. 56 e 57, il mantenimento delle condizioni sostanziali iniziali del contratto).
[16] TAR Campania Napoli, sez. I, 29.05.2012, n. 2528; Consiglio di Stato, sez. V, 10.11.2010, n. 8006.
[17] TAR Veneto, sez. I, 06.03.2013, n. 350; TAR Campania, Napoli, sez. I, 29.05.2012, n. 2528; Consiglio di Stato, sez. V, 10.11.2010, n. 8006.
[18] Cfr. TAR Campania Napoli, sez. I, 11.07.2007, n. 6654, che ha riconosciuto l'urgenza di provvedere all'affidamento del servizio improrogabile di trasporto scolastico per alunni di scuola materna e dell'obbligo senza che l'amministrazione ne avesse colpa, non potendosi prevedere che la gara precedente sarebbe andata deserta; TAR Campania Napoli, sez. I, 29.05.2012, n. 2528, che, in presenza di un contenzioso sviluppatosi su una gara per l'affidamento del servizio triennale di gestione e manutenzione ordinaria e straordinaria delle apparecchiature elettromedicali di un'azienda sanitaria, ha riconosciuto i presupposti dell'urgenza di assicurare la continuità del servizio e dell'imprevedibilità della complessa vicenda giurisdizionale; TAR Catania, sez. III, 01.03.2011, n. 524, che ha riconosciuto l'urgenza di affidare, a mezzo trattativa privata, il servizio di raccolta dei rifiuti nelle more dell'espletamento della gara pubblica.
[19] Cfr. TAR Veneto, sez. I, 06.03.2013, n. 350. In dottrina, v. Stefano Baccarini, op. cit., pp. 695-696.
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L'Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture ha affermato che presupposto per l'applicabilità dell'art. 56, comma 1, lett. a) è che vi siano state offerte presentate in gara ma che tutte siano state irregolari o inammissibili, avuto riguardo, rispettivamente, ai requisiti prescritti per le offerte (requisiti di forma e di validità delle stesse, posti a tutela della par condicio dei concorrenti) e per gli offerenti; presupposto di applicabilità, invece, dell'art. 57, comma 2, lett. a) (procedura negoziata senza bando), è che non sia stata presentata alcuna offerta o che tutte le offerte presentate siano state giudicate inappropriate, intendendosi per tali le offerte formalmente valide ma irrilevanti sul piano economico, assimilate dal legislatore alle offerte non presentate.
In entrambe le ipotesi di procedura negoziata richiamate non possono essere modificate in modo sostanziale le condizioni iniziali del contratto
(14.08.2014 -
link a www.regione.fvg.it).

APPALTI: Partecipazione negli appalti.
Domanda
Quali sono i limiti dell'Amministrazione pubblica nel determinare i requisiti di partecipazione a una gara d'appalto?
Risposta
Il Consiglio di stato, con la sentenza 28.05.2014, n. 2775, ha precisato che, nei limiti della proporzionalità e della ragionevolezza, c'è un potere discrezionale della stazione appaltante nel fissare, nel capitolato speciale di gara, i requisiti soggettivi specifici di partecipazione alla gara.
I giudici amministrativi evidenziano che, ai sensi degli artt. 41 e 42 del dlgs 163/2006, c.d. Codice dei contratti pubblici, le stazioni appaltanti hanno il potere discrezionale di fissare, nel disciplinare di gara, i requisiti soggettivi specifici di partecipazione attraverso l'esercizio di un potere discrezionale che conosce i limiti della ragionevolezza e della proporzionalità.
Il Consiglio di stato ha affermato che la stazione appaltante può introdurre nella gara d'appalto disposizioni che limitano la platea dei concorrenti, al fine di consentire la partecipazione di soggetti particolarmente qualificati, specialmente per ciò che attiene al possesso di requisiti di capacità tecnica e finanziaria, se tale scelta non sia eccessivamente o irragionevolmente limitativa della concorrenza.
Una simile scelta può essere sindacata dal giudice amministrativo in sede di legittimità solo in quanto sia manifestamente irragionevole, irrazionale, arbitraria, sproporzionata, illogica o contraddittoria
(articolo ItaliaOggi Sette dell'11.08.2014).

luglio 2014

APPALTI: Nelle aggiudicazioni, il principio generale è sempre quello della gara e l’affidamento diretto è sempre una deroga a tale principio, deroga consentita in casi di stretta interpretazione.
A tale proposito, la società mista si giustifica quale forma di partenariato pubblico-privato costituito per la gestione di uno specifico servizio per un tempo determinato. In questi casi non si ha una esenzione dal principio della gara, ma muta l’oggetto della gara, che deve sempre essere esperita ma non più per trovare il terzo gestore del servizio, bensì il partner privato con cui gestire il servizio.
È evidente quindi che le società miste cosiddette aperte, costituite cioè per finalità specifiche ma indifferenziate, non possono essere affidatarie dirette in quanto non soddisfano le condizioni a cui è ancorata la deroga. Pertanto, l’acquisizione di una partecipazione azionaria di una società costituita in precedenza, ancorché avente ad oggetto la gestione dei rifiuti, non è sufficiente a legittimare l’affidamento diretto e ad escludere la necessità della gara.

Il ricorso era, comunque, infondato anche nel merito, atteso che, come affermato dal Consiglio di Stato (sez. V, 15.10.2010, n. 7533), “Nelle aggiudicazioni, il principio generale è sempre quello della gara e l’affidamento diretto è sempre una deroga a tale principio, deroga consentita in casi di stretta interpretazione. A tale proposito, la società mista si giustifica quale forma di partenariato pubblico-privato costituito per la gestione di uno specifico servizio per un tempo determinato. In questi casi non si ha una esenzione dal principio della gara, ma muta l’oggetto della gara, che deve sempre essere esperita ma non più per trovare il terzo gestore del servizio, bensì il partner privato con cui gestire il servizio. È evidente quindi che le società miste cosiddette aperte, costituite cioè per finalità specifiche ma indifferenziate, non possono essere affidatarie dirette in quanto non soddisfano le condizioni a cui è ancorata la deroga. Pertanto, l’acquisizione di una partecipazione azionaria di una società costituita in precedenza, ancorché avente ad oggetto la gestione dei rifiuti, non è sufficiente a legittimare l’affidamento diretto e ad escludere la necessità della gara” (TAR Lombardia-Milano, Sez. IV, sentenza 29.07.2014 n. 2120 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI SERVIZI: Oggetto del contratto pubblico.
Domanda
In una gara per affidamenti di servizi è possibile prevedere, nell'oggetto dell'appalto, anche servizi a richiesta dell'amministrazione e tariffati a costo orario?
Risposta
L'Avcp con deliberazione n. 1 del 29.01.2014 ha precisato che il contratto, per affidamenti di servizi, non può essere caratterizzato da un contenuto prettamente «variabile» ossia determinabile in ragione delle necessità manifestate di volta in volta dall'Amministrazione nel periodo di efficacia del contratto stesso.
Infatti nei contratti pubblici l'oggetto, a differenza di quello dei contratti privatistici (che può anche essere «determinabile») deve essere sempre determinato.
L'esigenza di identificare in modo esatto e preciso l'oggetto del contratto pubblico è divenuta più stringente a seguito dell'entrata in vigore dpr 207/2010 il quale ha regolamentato, anche per gli appalti di servizi, la fase della progettazione nel presupposto che una carente progettazione comporta l'imprecisa definizione dell'oggetto del contratto.
L'Avcp, con determinazione n. 5/2013 ha evidenziato che «...la predisposizione di un progetto preciso e di dettaglio, atto a descrivere in modo puntuale le prestazioni necessarie a soddisfare specifici fabbisogni della stazione appaltante, appare come uno strumento indispensabile per ovviare al fenomeno di porre in gara non specifici servizi ma categorie di servizi».
Tale circostanza, peraltro, può rivelarsi limitativa della concorrenza, disincentivando la partecipazione alle gare d'appalto per le piccole e medie imprese che non sono in grado di garantire l'ampia gamma dei servizi compresi nelle categorie oggetto di gara (articolo ItaliaOggi Sette del 14.07.2014).

APPALTI FORNITURE E SERVIZIIl quesito posto dal comune volto a conoscere se, stante l’obbligo previsto (all’atto della formulazione della richiesta di parere) dall’articolo 33, comma 3-bis, del Codice dei contratti pubblici, del ricorso ad una unica centrale di committenza, la stessa centrale (qualora costituita mediante accordo convenzionale, ai sensi dell’articolo 30 del “d.p.r. 267/2000”) potesse comunque far riferimento ad altri mercati elettronici presenti nell’ambito della pubblica amministrazione, senza costituirne uno proprio sembra, ad oggi, avere trovato risposta attraverso la nuova formulazione del comma 3-bis del sopra citato articolo 33, come sostituito dall’articolo 9, comma 4, d.l. 66/2014, convertito dalla l. n. 89 del 23.06.2014), il quale non prevede più l’esclusivo affidamento ad una unica centrale di committenza, da costituirsi obbligatoriamente tra i comuni fino a cinquemila abitanti ricadenti nel territorio di ciascuna provincia, potendo gli enti in oggetto, pur continuando a procedere all’acquisizione nell’ambito delle unioni di comuni di cui all’articolo 32 del TUEL, ove esistenti, ovvero costituendo un apposito accordo consortile tra i comuni medesimi e avvalendosi dei competenti uffici, anche ricorrere ad altro soggetto aggregatore o alle province stesse, ai sensi della l. 07.04.2014 n. 56, ferma restando l’alternativa dell’acquisizione di beni e servizi attraverso gli strumenti elettronici di acquisto gestiti da altre centrali di committenza di riferimento (che, con questa ultima formulazione della norma, sono individuati negli “strumenti elettronici gestiti da Consip spa o da altro soggetto aggregatore di riferimento”).
Ciò che, in definitiva, sembra emergere dalla novella legislativa ad ancor più chiare lettere,
è la rafforzata esigenza di tutela delle pubbliche risorse, che ogni ente deve poter perseguire, anche attraverso forme di acquisizione di beni e servizi basate su gestioni che rispettino il più possibile il miglior rapporto prezzo-qualità, attuate attraverso l’ampia gamma di possibilità poste a loro disposizione dalla legge per la gestione dei propri contratti.

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Il Sindaco del comune di Atena Lucana chiede a questa Corte un parere in merito alle esatte modalità di applicazione dell’articolo 33, comma 3-bis, del decreto legislativo 163/2006 (codice degli appalti), nei termini che seguono.
Il Comune istante, considerando che l’articolo sopracitato obbliga i comuni con popolazione inferiore ai cinquemila abitanti, ai fini dell’acquisto di beni e servizi, al ricorso a una centrale di committenza, chiede se la stessa, costituita mediante accordo convenzionale “ai sensi dell’articolo 30 del d.p.r. n. 267/2000”, laddove non voglia realizzare ad hoc un proprio mercato elettronico, possa far riferimento al mercato elettronico MEPA (mercato elettronico della pubblica amministrazione), gestito da Consip o ad altri mercati elettronici realizzati da altre centrali di committenza, istituite da altri enti pubblici territoriali o organismi di diritto pubblico, possibilità prevista dalla norma quale alternativa alla costituzione di una centrale di committenza specificamente dedicata.
...
La richiesta di parere in esame (formulata dall’ente in data 12.03.2014) si pone a valle delle numerose modifiche, fino ad allora apportate all’art. 33 del d.lgs. n. 163/2006 ad opera di susseguenti interventi legislativi dei quali si intende, di seguito, dare conto.
Il comma 3-bis è stato inserito nell’art. 33 del d.lgs. 163/2006 ai sensi dell’art. 23, comma 4 e 5, del d.l. 06.12.2011 n. 201, convertito con modificazioni nella legge 22.12.2011, n. 214, nell’ambito di un complessivo programma (poi proseguito con le statuizioni previste dall’articolo 1, comma 4, del d.l. 06.07.2012 n. 95, convertito dalla l. 07.08.2012 n. 135, e dall’articolo 1, comma 343, della l. 27.12.2013, n. 147), volto, tra l’altro, alla riduzione della spesa e dei costi degli apparati pubblici.
La novella del 2011 introduce un regime speciale per gli acquisti di lavori, servizi e forniture da parte dei Comuni con popolazione non superiore a 5.000 abitanti (quale quello di Atena Lucana), a norma del quale i suddetti enti “... ricadenti nel territorio di ciascuna Provincia affidano obbligatoriamente ad un’unica centrale di committenza l’acquisizione di lavori, servizi e forniture nell’ambito delle unioni dei comuni, di cui all’articolo 32 del testo unico di cui al decreto legislativo 18.08.2000, n. 267, ove esistenti, ovvero costituendo un apposito accordo consortile tra i comuni medesimi e avvalendosi dei competenti uffici”.
La ratio sottesa al disposto in questione, come emerge dalla relativa relazione tecnica, è “limitare l’elevata frammentazione del sistema degli appalti pubblici e la concentrazione delle procedure di evidenza pubblica, al fine di ridurre i costi di gestione delle procedure e di far ottenere risparmi di spesa, quantificabili a consuntivo, per le conseguenti economie di scala”.
Il comma 5 dell’art. 23 del D.L. 201/2011 aveva originariamente previsto che il comma 3-bis della norma in questione, si applicasse alle “gare bandite” successivamente al 31.03.2012. Detto termine è stato da ultimo posticipato al 30.06.2014 (cfr. d.l. 30.12.2013 n. 150, convertito con modificazioni dalla l. 27.02.2014, n. 15).
Nel 2012, il legislatore, con il d.l. 95/2012 (“spending review”) ha ulteriormente inciso su tale disposto, concedendo ai suddetti comuni la possibilità di adempiere all’obbligo di acquisto centralizzato ricorrendo anche agli “strumenti elettronici di acquisto gestiti da altre centrali di committenza di riferimento, ivi comprese le convenzioni di cui all'articolo 26 della legge 23.12.1999, n. 488 e il mercato elettronico della pubblica amministrazione di cui all'articolo 328 del decreto del Presidente della Repubblica 05.10.2010, n. 207”.
Nel 2013, con la legge di stabilità 2014 (l. 27.12.2013 n. 147, art. 1, comma 343), anche in considerazione dei dubbi sorti in merito alla latitudine applicativa del complesso di norme in questione, ne sono stati chiariti i connotati precettivi,
stabilendo che il regime di acquisto centralizzato prescritto ai sensi del comma 3-bis non si applica nel caso di acquisti in economia, mediante amministrazione diretta e nei casi di affidamento diretto di cui ai commi 8, seconda parte e 11, seconda parte dell’art. 125 del d.lgs. 163/2006.
Appare utile ricordare in che modo la disciplina sopra descritta si integri con le coesistenti norme, previste e più volte variate da interventi legislativi, in materia di acquisto di beni e servizi delle pubbliche amministrazioni, norme tutte volte, a partire dalla citata l. 488/1999 (art. 26), alla centralizzazione degli acquisti in vista della riduzione dei costi della pubblica amministrazione, ed in particolare:
- il suddetto articolo 26 della l. 488/2009, nella prima versione, nel prevedere l’adesione necessaria delle amministrazioni statali alle convenzioni centralizzate, lasciava nella disponibilità di quelle non statali, tra cui quelle locali, la scelta di aderirvi o meno obbligandole, però, a utilizzarne i parametri di qualità prezzo e, nella seconda versione (riformulata con d. l. 168/2004), escludeva i comuni con popolazione fino a mille abitanti e quelli montani fino a 5000 abitanti;
- successivamente la materia veniva ridisciplinata dalla l. 27.12.2006 n. 296 (finanziaria 2007, art. 1, comma 449), sia con riguardo agli appalti sopra soglia che quelli sotto soglia stabilendo, per i primi, l’obbligo per le amministrazioni statali di approvvigionarsi attraverso le convenzioni-quadro Consip, limitatamente ad alcune categorie di beni e servizi ben individuati, ribadendo la facoltà delle restanti amministrazioni di ricorrere alle convenzioni (quelle stipulate da Consip o da centrali di committenza regionali – di cui al comma 456, dell’art. 1, stessa legge, e il vincolo di utilizzarne alternativamente i parametri di prezzo-qualità come limiti massimi negli acquisti) e, per i secondi –comma 450- imponendo l’obbligo alle amministrazioni dello Stato di ricorrere al mercato elettronico della pubblica amministrazione, nulla disponendo riguardo alle altre amministrazioni;
- i due commi (449 e 450) dell’articolo 1 della l. n. 296 del 2006 venivano poi modificati dall’articolo 7 del d. l. 07.05.2012 n. 52, convertito dalla l. 06.07.2012 n. 94, nel senso (comma 449) di estendere l’obbligo di approvvigionamento attraverso le convenzioni quadro Consip a tutte le tipologie di beni e servizi acquistabili dalle amministrazioni statali e innovando (comma 450) la disciplina prevista per le amministrazioni diverse da quelle statali, e quindi anche per le autonomie locali, cui è stato imposto il ricorso al mercato della pubblica amministrazione, analogamente alle amministrazioni dello Stato, fatto salvo il rispetto del sistema delle convenzioni previsto nel ridetto comma 449;
- si ricorda, da ultimo, il dpr 207/2010 - Regolamento di esecuzione del codice dei contratti pubblici che, all’articolo 328 prevede, fatti salvi i casi di ricorso obbligatorio al mercato elettronico di cui alle norme in vigore, che la stazione appaltante “può stabilire di procedere all’acquisto di beni e servizi attraverso il mercato elettronico della pubblica amministrazione realizzato dal Ministero dell’economia e delle finanze sulle proprie infrastrutture tecnologiche avvalendosi di Consip s.p.a., ovvero attraverso il mercato elettronico realizzato dalle centrali di committenza di riferimento di cui all’articolo 33 del codice”.
Ebbene,
il quesito posto dal comune istante, come sopra rappresentato, volto a conoscere se, stante l’obbligo previsto (all’atto della formulazione della richiesta di parere) dall’articolo 33, comma 3-bis, del Codice dei contratti pubblici, del ricorso ad una unica centrale di committenza, la stessa centrale (qualora costituita mediante accordo convenzionale, ai sensi dell’articolo 30 del “d.p.r. 267/2000”) potesse comunque far riferimento ad altri mercati elettronici presenti nell’ambito della pubblica amministrazione, senza costituirne uno proprio sembra, ad oggi, avere trovato risposta attraverso la nuova formulazione del comma 3-bis del sopra citato articolo 33, come sostituito dall’articolo 9, comma 4, d.l. 66/2014, convertito dalla l. n. 89 del 23.06.2014), il quale non prevede più l’esclusivo affidamento ad una unica centrale di committenza, da costituirsi obbligatoriamente tra i comuni fino a cinquemila abitanti ricadenti nel territorio di ciascuna provincia, potendo gli enti in oggetto, pur continuando a procedere all’acquisizione nell’ambito delle unioni di comuni di cui all’articolo 32 del TUEL, ove esistenti, ovvero costituendo un apposito accordo consortile tra i comuni medesimi e avvalendosi dei competenti uffici, anche ricorrere ad altro soggetto aggregatore o alle province stesse, ai sensi della l. 07.04.2014 n. 56, ferma restando l’alternativa dell’acquisizione di beni e servizi attraverso gli strumenti elettronici di acquisto gestiti da altre centrali di committenza di riferimento (che, con questa ultima formulazione della norma, sono individuati negli “strumenti elettronici gestiti da Consip spa o da altro soggetto aggregatore di riferimento”).
Ciò che, in definitiva, sembra emergere dalla novella legislativa ad ancor più chiare lettere,
è la rafforzata esigenza di tutela delle pubbliche risorse, che ogni ente deve poter perseguire, anche attraverso forme di acquisizione di beni e servizi basate su gestioni che rispettino il più possibile il miglior rapporto prezzo-qualità, attuate attraverso l’ampia gamma di possibilità poste a loro disposizione dalla legge per la gestione dei propri contratti (Corte dei Conti, Sez. controllo Campania, parere 10.07.2014 n. 180).

APPALTICentrale unica acquisti senza scappatoie.
Sulla centralizzazione degli acquisti, niente da fare per i comuni non capoluogo di provincia. Infatti, in assenza di deroghe legislative, la disposizione contenuta nel decreto legge n. 66/2014 che impone il ricorso ad una centrale di committenza escludendo l'affidamento diretto, deve intendersi tassativa e di carattere speciale, quindi prevalente alle disposizioni in materia contenute nel codice dei contratti pubblici.

La querelle sull'obbligo di centralizzazione degli acquisti prevista dall'articolo 9 del decreto Irpef, pertanto, si completa con un nuovo tassello che giunge dal parere 02.07.2014 n. 144 rilasciato pochi giorni fa dalla sezione regionale di controllo della Corte dei conti Piemonte.
Come si ricorderà la norma sopra richiamata prevede che i comuni non capoluogo di provincia procedono all'acquisizione di lavori, beni e servizi nell'ambito delle unioni dei comuni, ove esistenti, ovvero costituendo un apposito accordo consortile tra i comuni medesimi e avvalendosi dei competenti uffici anche delle province, residuando lo spazio per negoziazioni dirette solo a mezzo degli strumenti elettronici di acquisto gestiti dalla Consip o da altro soggetto aggregatore di riferimento. Che il quadro sia prossimo alla paralisi è anche dato dal fatto che la norma in questione ha cancellato la deroga introdotta dalla legge di stabilità 2014 per gli acquisti inferiori a 40 mila euro spiazzando, di fatto, la maggior parte dei comuni, tenuto conto che l'obbligo sino ad oggi ha riguardato i comuni con meno di 5 mila abitanti.
È pur vero (si veda ItaliaOggi di ieri) che, per sbloccare l'impasse dopo l'allarme lanciato dal presidente Anci, Piero Fassino, il legislatore si sta muovendo con una soluzione. Ovvero l'inserimento di un emendamento ad hoc, al testo di conversione di un decreto legge attualmente in discussione in parlamento (i boatos danno favorito il ddl di riforma della p.a.), che rinvii l'operatività della norma del decreto Irpef in due scadenze. La prima, al 1° gennaio del prossimo anno, per quanto riguarda gli acquisti di beni e servizi, la seconda al 30.06.2015 per l'acquisizione di lavori.
A chiudere il cerchio, come detto, il parere della Corte dei conti piemontese che, in risposta ad una richiesta del comune di Torre Canavese (To), ha giustamente sottolineato il carattere tassativo della disposizione richiamata, non potendo ammettere deroghe a favore dell'affidamento diretto, così come previsto dall'articolo 125 del codice dei contratti pubblici.
Secondo la magistratura contabile piemontese, la ratio della nuova disciplina è quella di soddisfare le esigenze di semplificazione dei centri di acquisto, inserendosi nel solco dell'indirizzo comunitario (il riferimento è alla direttiva Appalti 2014/24), che ha registrato nei mercati degli appalti pubblici della Ue, «una forte tendenza all'aggregazione della domanda da parte dei committenti pubblici, al fine di ottenere economie di scala». Quindi, ha rilevato la Corte, dal tenore letterale della disposizione si conferma l'aggregazione obbligatoria per i comuni non capoluogo di provincia, per le procedure contrattuali relative all'affidamento dei contratti di lavori, servizi e forniture.
Non ci sono pertanto margini che possano aprire ad alcuna deroga. I comuni interessati sono tenuti a costituire la centrale di committenza nell'ambito delle unioni di comuni, ove esistenti, oppure si siedono attorno ad un tavolo e sottoscrivono un accordo consortile avvalendosi dei propri uffici.
In conclusione, per rispondere al parere formulato dal primo cittadino di Torre Canavese, la Corte ha rilevato che la nuova disposizione di finanza pubblica ex articolo 9 del dl n. 66/2014, assume nell'ordinamento carattere di specialità e, quindi, di prevalenza rispetto alla norma generale ex art. 125 del codice dei contratti pubblici che, allo stato attuale, non è percorribile (articolo ItaliaOggi del 09.07.2014).

APPALTIIn assenza di deroghe legislative, deve ritenersi che il Comune (non capoluogo di provincia) non può procedere ad acquisire autonomamente neppure lavori, servizi e forniture d’importo inferiore ad euro 40.000 mediante affidamento diretto, poiché la nuova disposizione di finanza pubblica, che ha novellato il comma 3-bis dell'articolo 33 del Codice dei contratti pubblici, assume nell’ordinamento carattere di specialità, e quindi di prevalenza, rispetto alla norma generale di cui all’art. 125, commi 8 e 11, dello stesso Codice.
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Le opzioni organizzative previste dalla norma per costituire la centrale di committenza a cui possono rivolgersi i Comuni sono:
(1) nell'ambito delle unioni dei comuni di cui all'articolo 32 del TUEL, ove esistenti, ovvero
(2) costituendo un apposito accordo consortile tra i comuni medesimi e avvalendosi dei competenti uffici, oppure
(3) ricorrendo ad un soggetto aggregatore o alle province, ai sensi della legge 07.04.2014, n. 56, residuando lo spazio per negoziazioni autonome solo a mezzo gli strumenti elettronici di acquisto gestiti da Consip S.p.A. o da altro soggetto aggregatore di riferimento.

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Con la nota richiamata in epigrafe il Sindaco del Comune di Torre Canavese (TO) chiede alla Sezione un parere in merito alla corretta interpretazione dell’art. 33, comma 3-bis, del d.lgs. 12.04.2006 n. 163, come riformulato dal decreto-legge 24.04.2014, n. 66, convertito in legge 23.06.2014, n. 89.
In particolare, chiede se sia corretto ritenere che un Comune non capoluogo di provincia, avente popolazione inferiore a mille abitanti, non possa acquisire autonomamente lavori, servizi e forniture d’importo inferiore ad euro 40.000, mediante affidamento diretto, come invece previsto dall’art. 125, commi 8 e 11, dello stesso Codice dei contratti pubblici.
...
Il comma 3-bis dell'articolo 33 del decreto legislativo 12.04.2006, n. 163 (Codice dei contratti pubblici), aggiunto all’originario articolato dall'art. 23, comma 4, D.L. 06.12.2011, n. 201, conv. in L. 22.12.2011, n. 214, ha subìto una prima modifica da parte dell'art. 1, comma 4, D.L. 06.07.2012, n. 95, conv. in L. 07.08.2012, n. 135 e, successivamente, da parte dell'art. 1, comma 343, L. 27.12.2013, n. 147, a decorrere dal 01.01.2014.
Con l’art. 9, comma 4, del decreto-legge 24.04.2014, n. 66, convertito in legge 23.06.2014, n. 89, il Legislatore è nuovamente intervenuto sul testo normativo in discorso, sostituendolo con il seguente: «3-bis. I Comuni non capoluogo di provincia procedono all'acquisizione di lavori, beni e servizi nell'ambito delle unioni dei comuni di cui all'articolo 32 del decreto legislativo 18.08.2000, n. 267, ove esistenti, ovvero costituendo un apposito accordo consortile tra i comuni medesimi e avvalendosi dei competenti uffici anche delle province, ovvero ricorrendo ad un soggetto aggregatore o alle province, ai sensi della legge 07.04.2014, n. 56. In alternativa, gli stessi Comuni possono acquisire beni e servizi attraverso gli strumenti elettronici di acquisto gestiti da Consip S.p.A. o da altro soggetto aggregatore di riferimento. L’Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture non rilascia il codice identificativo gara (CIG) ai comuni non capoluogo di provincia che procedano all’acquisizione di lavori, beni e servizi in violazione degli adempimenti previsti dal presente comma.».
Il nuovo testo dell’articolo è volto a soddisfare le esigenze di semplificazione dei centri d’acquisto e si inserisce nella direzione auspicata, a livello comunitario, nella recente Direttiva Appalti 2014/24/UE (59° considerando) che ha registrato nei mercati degli appalti pubblici dell’Unione una forte tendenza all’aggregazione della domanda da parte dei committenti pubblici, al fine di ottenere economie di scala, come prezzi e costi delle transazioni più bassi, nonché un miglioramento e una maggior professionalità nella gestione degli appalti.
Il comma in questione conferma, dunque, l’aggregazione obbligatoria per i Comuni, con esclusione degli enti locali capoluogo di provincia, per le procedure contrattuali per l’affidamento dei contratti di lavori, servizi e forniture.
Peraltro, nel testo novellato non è stata riprodotta la deroga alla disciplina in discorso, che era stata recentemente introdotta dall’art. 1, comma 343, della Legge 27.12.2013, n. 147 (Legge di stabilità per il 2014) il quale aveva aggiunto, alla fine del richiamato comma 3-bis, il seguente periodo: «Le disposizioni di cui al presente comma non si applicano alle acquisizioni di lavori, servizi e forniture, effettuate in economia mediante amministrazione diretta, nonché nei casi di cui al secondo periodo del comma 8 e al secondo periodo del comma 11 dell'articolo 125».
Le opzioni organizzative previste dalla norma per costituire la centrale di committenza a cui possono rivolgersi i Comuni sono, pertanto:
(1) nell'ambito delle unioni dei comuni di cui all'articolo 32 del TUEL, ove esistenti, ovvero
(2) costituendo un apposito accordo consortile tra i comuni medesimi e avvalendosi dei competenti uffici, oppure
(3) ricorrendo ad un soggetto aggregatore o alle province, ai sensi della legge 07.04.2014, n. 56, residuando lo spazio per negoziazioni autonome solo a mezzo gli strumenti elettronici di acquisto gestiti da Consip S.p.A. o da altro soggetto aggregatore di riferimento.

Conclusivamente,
in assenza di deroghe legislative, deve ritenersi che il Comune richiedente il parere non possa procedere ad acquisire autonomamente neppure lavori, servizi e forniture d’importo inferiore ad euro 40.000 mediante affidamento diretto, poiché la nuova disposizione di finanza pubblica, che ha novellato il comma 3-bis dell'articolo 33 del Codice dei contratti pubblici, assume nell’ordinamento carattere di specialità, e quindi di prevalenza, rispetto alla norma generale di cui all’art. 125, commi 8 e 11, dello stesso Codice (Corte dei Conti, Sez. controllo Piemonte, parere 02.07.2014 n. 144).

APPALTI SERVIZI: Affidamento gestione rete di distribuzione energia a servizio di immobili comunali.
La giurisprudenza afferma, in generale, per tutti i contratti in cui sia parte una p.a. il necessario rispetto dei principi dell'evidenza pubblica.
In particolare, l'affidamento a ditta privata dell'attività di gestione della rete di distribuzione di energia elettrica per immobili comunali, in ragione della sua natura di servizio svolto a favore del Comune, che ne fruisce alla stregua di un qualsiasi altro soggetto, e non alla collettività, deve qualificarsi come appalto di servizi e richiede il ricorso ad una procedura di gara di appalto.

Il Comune chiede un parere in ordine alle modalità di affidamento della gestione di una rete di distribuzione di energia elettrica, di sua proprietà, realizzata a servizio di proprie strutture malghive.
In via preliminare, è importante far osservare che per tutti i contratti in cui sia parte una p.a. la giurisprudenza ha affermato il necessario rispetto dei principi dell'evidenza pubblica. Osserva infatti il Supremo Giudice amministrativo che il principio di concorrenza e quelli -che ne rappresentano attuazione e corollario- di trasparenza, non discriminazione e parità di trattamento, costituendo principi fondamentali del diritto comunitario, si elevano a principi generali di tutti i contratti pubblici e sono direttamente applicabili a prescindere dalla ricorrenza di specifiche norme comunitarie o interne e in modo prevalente su eventuali disposizioni di segno contrario
[1].
Ciò premesso, la tipologia di procedura da utilizzare per l'affidamento del servizio di gestione della rete elettrica è condizionata dall'atteggiarsi del rapporto contrattuale tra l'Ente e la ditta privata e dall'essere o meno coinvolta, in detto rapporto, l'utenza.
Su tali fattori, invero, l'Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture (AVCP)
[2] ha fondato le proprie considerazioni in ordine alla qualificazione della natura del rapporto giuridico intervenuto tra un comune e una ditta privata per le attività di gestione del servizio elettrico su immobili comunali.
L'AVCP ha innanzitutto delineato i tratti distintivi del contratto di concessione di pubblico servizio rispetto a quello di appalto di servizio, e dunque: assunzione del rischio economico relativo alla gestione del servizio a carico del concessionario, a differenza che nell'appalto, ove l'esecutore è remunerato dalla stazione appaltante; versamento di un canone all'amministrazione concedente, diversamente da quanto avviene nell'appalto, ove è la stazione appaltante a versare un corrispettivo alla ditta esecutrice dei servizi/lavori; rapporto trilaterale che coinvolge l'amministrazione, il gestore e gli utenti destinatari del pubblico servizio, mentre nell'appalto il rapporto è bilaterale, esaurendosi tra erogatore del servizio e amministrazione
[3].
Un tanto precisato, l'AVCP ha configurato quale appalto il contratto con cui un comune ha affidato la gestione degli impianti elettrici di immobili comunali ad una ditta privata, argomentando dalla circostanza che, nella fattispecie al suo esame, il rischio della gestione non appare a carico del concessionario, che in realtà riceve un canone annuale dall'amministrazione, e dal fatto che il rapporto appare essere bilaterale, coinvolgendo solamente la p.a. e la ditta, per cui le prestazioni del servizio sono dirette unicamente al comune e non alla collettività, e pertanto non rientrano nella nozione di servizio pubblico locale
[4].
Del pari, il Consiglio di Stato muove dalla natura del servizio oggetto di affidamento per derivarne la relativa modalità di affidamento. In particolare, il Supremo Giudice amministrativo ha osservato che il servizio 'gestione calore' per immobili comunali, comprensivo, per quanto qui di interesse, anche dei lavori di manutenzione degli impianti, non presenta i caratteri di servizio pubblico, in quanto trattasi di un servizio che non viene svolto dal comune a favore della collettività, ma viene erogato in senso inverso cioè a favore del Comune. Pertanto, l'affidamento a ditta privata di un siffatto servizio deve avvenire previo il necessario espletamento di una procedura concorsuale di appalto
[5].
Allo stesso modo, il Tribunale regionale di giustizia amministrativa, sezione Bolzano, ha affermato che il 'servizio energia' per edifici comunali, comprensivo, per quanto qui di interesse, della gestione degli impianti, non possa qualificarsi come 'servizio pubblico', poiché le prestazioni sono dirette unicamente al comune, che ne fruisce alla stregua di un qualsiasi altro soggetto, e non alla collettività. Dunque, l'affidamento del 'servizio energia' deve qualificarsi come appalto di servizi, non come concessione di un pubblico servizio
[6].
Venendo al caso di specie e alla luce delle considerazioni espresse, si ritiene che l'affidamento dell'attività di gestione della rete di distribuzione di energia elettrica per immobili comunali, in ragione della sua natura di servizio svolto a favore del Comune
[7], richieda il ricorso ad una procedura di gara di appalto [8].
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[1] TAR Emilia Romagna, Bologna, Sez. II, 21.05.2008, n. 1978, che richiama Consiglio di Stato, sez. VI, 30.01.2007, n. 362; 30.12.2005, n. 7616; 25.01.2005, n. 168.
[2] AVCP, deliberazione n. 12 del 26.01.2011.
[3] Sulla distinzione tra concessione e appalto, cfr. anche Consiglio di Stato, 16.04.2014, n . 1863.
[4] In tal senso, l'AVCP richiama il Parere dell'Autorità n. 201 del 17.07.2008 e il Consiglio di Stato, sez. V, 10.03.2003, n. 1289.
[5] Consiglio di Stato, sez. V, 10.03.2003, n. 1289.
[6] Tribunale regionale di giustizia amministrativa, sezione Bolzano, 08.03.2007, n. 91. Sull'argomento di recente anche la Corte di Cassazione (Cass. civ., S.U., ord. n. 12252/2009) ha osservato che 'la linea di demarcazione tra appalti pubblici di servizi e concessioni di servizi [...] è netta, poiché l'appalto pubblico di servizi, a differenza della concessione, riguarda di regola i servizi resi alla pubblica amministrazione e non al pubblico degli utenti'. Conclusivamente, osserva l'AVCP, nella concessione di servizi il destinatario del servizio pubblico è l'utenza, la quale paga un ticket al concessionario (Cfr. AVCP, deliberazione n. 47 del 04.05.2011, che richiama l'ordinanza della Cassazione n. 12252/2009).
[7] Cfr. Cons. St., n. 1289/2003, cit..
[8] Si ritiene comunque di precisare, richiamando quanto espresso in premessa sui contratti pubblici in generale, che anche le concessioni di servizi devono garantire il più ampio confronto concorrenziale; a tal fine è pertanto auspicabile un regime pubblicitario degli affidamenti in concessione che, in ragione della rilevanza dell'importo dell'affidamento, si estenda anche a livello europeo in linea con i principi di adeguata pubblicità e trasparenza, applicabili anche alle concessioni di servizi in quanto espressamente richiamati dall'art. 30 del D.Lgs. n. 163/2006 (Cfr. AVCP, deliberazione n. 47/2011, cit.)
(01.07.2014 - link a www.regione.fvg.it).

giugno 2014

APPALTI FORNITURE E SERVIZI: Decreto legge 24.04.2014, n. 66, articolo 8, commi 8 e 9. Applicazione delle riduzioni di spesa ai nuovi contratti.
In sede di conversione del decreto legge 66/2014 ad opera della legge 23.06.2014, n. 89, sono state soppresse le previsioni di cui all'art. 8, comma 8, lett. b) e comma 9, che disponevano, rispettivamente, l'obbligo in capo alle pubbliche amministrazioni di assicurare riduzioni agli importi dei contratti futuri, ai fini del contenimento della spesa pubblica, e la nullità dei contratti sottoscritti in violazione di tale vincolo.
Il Comune, trovandosi nella necessità riappaltare, per l'anno scolastico 2014/2015, i servizi di supporto alle scuole locali (mensa e trasporti) ha chiesto chiarimenti in ordine all'applicazione di quanto disposto dall'art. 8, commi 8 e 9, del decreto legge 24.04.2014, n. 66 'Misure urgenti per la competitività e la giustizia sociale'.
Preliminarmente si osserva che, nel frattempo, con la legge 23.06.2014, n. 89, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 143 della stessa data, è avvenuta la conversione, con modifiche, del decreto in parola.
Prima della conversione, l'art. 8 del D.L. 66/2014 disponeva al comma 8, lettere a) e b): '8. Le amministrazioni pubbliche di cui al comma 1, per realizzare l'obiettivo loro assegnato ai sensi dei commi da 4 a 7, sono:
a) autorizzate, a decorrere dalla data di entrata in vigore del presente decreto, a ridurre gli importi dei contratti in essere aventi ad oggetto acquisto o fornitura di beni e servizi, nella misura del 5 per cento, per tutta la durata residua dei contratti medesimi. Le parti hanno facoltà di rinegoziare il contenuto dei contratti, in funzione della suddetta riduzione. E' fatta salva la facoltà del prestatore dei beni e dei servizi di recedere dal contratto entro 30 giorni dalla comunicazione della manifestazione di volontà di operare la riduzione senza alcuna penalità da recesso verso l'amministrazione. Il recesso è comunicato all'Amministrazione e ha effetto decorsi trenta giorni dal ricevimento della relativa comunicazione da parte di quest'ultima. In caso di recesso, le Amministrazioni di cui al comma 1, nelle more dell'espletamento delle procedure per nuovi affidamenti, possono, al fine di assicurare comunque la disponibilità di beni e servizi necessari alla loro attività, stipulare nuovi contratti accedendo a convenzioni-quadro di Consip S.p.A., a quelle di centrali di committenza regionale o tramite affidamento diretto nel rispetto della disciplina europea e nazionale sui contratti pubblici;
b) tenute ad assicurare che gli importi e i prezzi dei contratti aventi ad oggetto acquisto o fornitura di beni e servizi stipulati successivamente alla data di entrata in vigore del presente decreto non siano superiori a quelli derivati, o derivabili, dalle riduzioni di cui alla lettera a), e comunque non siano superiori ai prezzi di riferimento, ove esistenti, o ai prezzi dei beni e servizi previsti nelle convenzioni quadro stipulate da Consip S.p.A, ai sensi dell'articolo 26 della legge 23.12.1999, n. 488.
'
Al successivo comma 9 si stabiliva la nullità degli atti e dei relativi contratti adottati in violazione delle disposizioni di cui al comma 8, lettera b), e la rilevanza di tale violazione ai fini della performance individuale e della responsabilità dirigenziale del sottoscrittore.
Come anticipato, in sede di conversione il decreto ha subito alcune importanti correzioni, anche all'articolo in esame. Il Legislatore è infatti intervenuto modificando parzialmente la lettera a) ed eliminando la lett. b) dell'art. 8, comma 8, e, di conseguenza anche il comma 9.
Ne deriva che la disciplina attualmente in vigore è la seguente: '8. Fermo restando quanto previsto dal comma 10 del presente articolo e dai commi 5 e 12 dell'articolo 47, le pubbliche amministrazioni di cui all'articolo 11, comma 1, del decreto legislativo 14.03.2013, n. 33, per realizzare l'obiettivo loro assegnato ai sensi dei commi da 4 a 7, sono:
a) autorizzate, a decorrere dalla data di entrata in vigore del presente decreto e nella salvaguardia di quanto previsto dagli articoli 82, comma 3-bis, e 86, comma 3-bis, del decreto legislativo 12.04.2006, n. 163, a ridurre gli importi dei contratti in essere nonché di quelli relativi a procedure di affidamento per cui sia già intervenuta l'aggiudicazione, anche provvisoria, aventi ad oggetto acquisto o fornitura di beni e servizi, nella misura del 5 per cento, per tutta la durata residua dei contratti medesimi. Le parti hanno facoltà di rinegoziare il contenuto dei contratti, in funzione della suddetta riduzione. E' fatta salva la facoltà del prestatore dei beni e dei servizi di recedere dal contratto entro 30 giorni dalla comunicazione della manifestazione di volontà di operare la riduzione senza alcuna penalità da recesso verso l'amministrazione. Il recesso è comunicato all'Amministrazione e ha effetto decorsi trenta giorni dal ricevimento della relativa comunicazione da parte di quest'ultima. In caso di recesso, le pubbliche amministrazioni di cui all'articolo 11, comma 1, del decreto legislativo 14.03.2013, n. 33, nelle more dell'espletamento delle procedure per nuovi affidamenti, possono, al fine di assicurare comunque la disponibilità di beni e servizi necessari alla loro attività, stipulare nuovi contratti accedendo a convenzioni-quadro di Consip S.p.A., a quelle di centrali di committenza regionale o tramite affidamento diretto nel rispetto della disciplina europea e nazionale sui contratti pubblici;
b) (Soppressa).
9. (Soppresso).
'
Pertanto, sono venuti meno l'obbligo di assicurare la riduzione dell'importo a base di gara per i contratti futuri e la conseguente nullità per i contratti adottati in violazione di tale disposizione.
Permane invece la facoltà, in capo alle amministrazioni, di procedere alla rinegoziazione dei contratti in essere, nei termini risultanti dalle modifiche apportate dalla legge di conversione all'art. 8, comma 8, lett. a), del DL 66/2014
(25.06.2014 - link a www.regione.fvg.it).

LAVORI PUBBLICI: Il progetto esecutivo deve essere conforme al definitivo e redatto nel pieno rispetto di quest’ultimo: su tale dato (art. 35, comma 1, del dPr n. 554/1999: “il progetto esecutivo costituisce la ingegnerizzazione di tutte le lavorazioni e, pertanto, definisce compiutamente ed in ogni particolare architettonico, strutturale ed impiantistico l'intervento da realizzare. Restano esclusi soltanto i piani operativi di cantiere, i piani di approvvigionamenti, nonché i calcoli e i grafici relativi alle opere provvisionali. Il progetto è redatto nel pieno rispetto del progetto definitivo nonché delle prescrizioni dettate in sede di rilascio della concessione edilizia o di accertamento di conformità urbanistica, o di conferenza di servizi o di pronuncia di compatibilità ambientale ovvero il provvedimento di esclusione delle procedure, ove previsti.”) non è dato controvertere.
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E' corretta la deduzione del primo giudice secondo la quale non la legittimità, ma l’attuabilità del progetto esecutivo è condizionata all’effettivo perfezionamento del c.d. raccordo urbanistico, stante il chiaro tenore dell’art. 19 ult. co. (“si intende approvata”), che consente di non ritenere attuale il risalente orientamento, discendente dalla antevigente legislazione, secondo il quale è illegittima l'approvazione del progetto esecutivo di una ferrovia metropolitana con un tracciato conforme ad una variante al piano regolatore solo adottata dal comune e non ancora approvata dalla regione.
La vigente legislazione (art. 12 del TU) non ricollega, a differenza della precedente, la nozione di atto comportante la pubblica utilità alla approvazione del progetto esecutivo, ma la ricollega al progetto definitivo (ex aliis Cons. Stato Sez. IV, 04.06.2013, n. 3087: “a norma dell'art. 12, D.P.R. n. 327 del 2001 la dichiarazione di pubblica utilità si intende disposta con l'approvazione o la definizione, da parte dell'autorità procedente, di determinati strumenti, ivi elencati. La dichiarazione di pubblica utilità, pertanto, non richiede una particolare dichiarazione, con la conseguenza che l'eventuale dichiarazione della pubblica utilità delle opere al momento dell'approvazione del progetto esecutivo è un di più, che non può alterare il quadro legale di riferimento e non è suscettibile di inficiare la regolarità e la legittimità della procedura.”).
Ne consegue la non applicabilità del detto risalente orientamento e la correttezza dell’approdo del primo giudice che ha ritenuto che, nella fattispecie in esame, potesse, al più, raffigurarsi una mera irregolarità non viziante e non già il vizio di illegittimità prospettato.

1. L’appello è nel merito infondato e va disatteso.
2. Le doglianze articolate dall’appellante verranno separatamente esaminate.
2.1. La prima censura muove dal consolidato orientamento della giurisprudenza che ancora di recente configura l’ordinario fluire della procedura di adozione ed approvazione dei progetti delle opere pubbliche attraverso il succedersi di tre fasi della progettazione, scandite da differenti peculiarità (progettazione preliminare, definita, ed esecutiva) corrispondenti a differenti livelli di approfondimento.
Si è detto infatti, ancora di recente che (TAR Marche Ancona Sez. I, 24.01.2013, n. 70) “ai sensi dell'art. 93 D.Lgs. n. 163/2006 (Codice degli appalti) la progettazione in materia di lavori pubblici si articola secondo tre livelli di successivi approfondimenti tecnici, in preliminare, definitiva ed esecutiva. Il progetto preliminare definisce le caratteristiche qualitative e funzionali dei lavori, il quadro delle esigenze da soddisfare e delle specifiche prestazioni da fornire e consiste in una relazione illustrativa delle ragioni della scelta della soluzione prospettata in base alle valutazioni delle soluzioni possibili. Il progetto definitivo individua compiutamente i lavori da realizzare, nel rispetto delle esigenze, dei criteri, dei vincoli, degli indirizzi e delle indicazioni stabiliti nel progetto preliminare e contiene tutti gli elementi necessari ai fini del rilascio delle prescritte autorizzazioni e approvazioni. Il progetto esecutivo, redatto in conformità al progetto definitivo, determina in ogni dettaglio i lavori da realizzare e il relativo costo previsto e deve essere sviluppato ad un livello di definizione tale da consentire che ogni elemento sia identificabile in forma, tipologia, qualità, dimensione e prezzo.”.
Muovendo da tale punto di partenza, sostanzialmente ricognitivo anche della legislazione previgente, l’appellante perviene a conclusioni non condivisibili.
Il sillogismo da questi proposto è il seguente: posto che il comune agiva in dichiarata applicazione dell’art. 19 del TU Espropriazione –dPR n. 327/2001- esso adottò il progetto definitivo, con deliberazione consiliare 08.02.2005 n. 4.
L’approvazione di tale deliberazione, giusta previsione di cui appunto all’art. 19 del TU Espropriazione (“Quando l'opera da realizzare non risulta conforme alle previsioni urbanistiche, la variante al piano regolatore può essere disposta con le forme di cui all'articolo 10, comma 1, ovvero con le modalità di cui ai commi seguenti. L'approvazione del progetto preliminare o definitivo da parte del consiglio comunale costituisce adozione della variante allo strumento urbanistico. Se l'opera non è di competenza comunale, l'atto di approvazione del progetto preliminare o definitivo da parte della autorità competente è trasmesso al consiglio comunale, che può disporre l'adozione della corrispondente variante allo strumento urbanistico. Nei casi previsti dai commi 2 e 3, se la Regione o l'ente da questa delegato all'approvazione del piano urbanistico comunale non manifesta il proprio dissenso entro il termine di novanta giorni, decorrente dalla ricezione della delibera del consiglio comunale e della relativa completa documentazione, si intende approvata la determinazione del consiglio comunale, che in una successiva seduta ne dispone l'efficacia”) era differita di novanta giorni, e dipendeva dalla omessa manifestazione di dissenso della Regione (dissenso che, come è incontroverso tra le parti, nella fattispecie in esame non intervenne mai).
Ne consegue quindi che, alla data dell’08.02.2005 (in cui intervenne la delibera n. 4 di adozione del progetto definitivo) non poteva aversi un progetto definitivo “conforme allo strumento urbanistico” e la variante suddetta non era ancora né approvata, né efficace.
In tale quadro, quindi, ad avviso di parte appellante, posto che il progetto esecutivo (conforme al definitivo adottato: anche tale circostanza è incontestata) è stato parimenti adottato alla data dell’08.02.2005, esso si sarebbe conformato ad un definitivo non (ancora) conforme allo strumento urbanistico: ciò concreterebbe irrimediabile illegittimità.
2.2. La detta tesi assembla dati normativi diversi, ma muove da un dato congetturale e non trova concorde il Collegio.
2.2.1. Il progetto esecutivo deve essere conforme al definitivo e redatto nel pieno rispetto di quest’ultimo: su tale dato (art. 35, comma 1, del dPr n. 554/1999: “il progetto esecutivo costituisce la ingegnerizzazione di tutte le lavorazioni e, pertanto, definisce compiutamente ed in ogni particolare architettonico, strutturale ed impiantistico l'intervento da realizzare. Restano esclusi soltanto i piani operativi di cantiere, i piani di approvvigionamenti, nonché i calcoli e i grafici relativi alle opere provvisionali. Il progetto è redatto nel pieno rispetto del progetto definitivo nonché delle prescrizioni dettate in sede di rilascio della concessione edilizia o di accertamento di conformità urbanistica, o di conferenza di servizi o di pronuncia di compatibilità ambientale ovvero il provvedimento di esclusione delle procedure, ove previsti.”) non è dato controvertere.
Ma nel caso in esame non v’è dubbio che tale pieno rispetto vi fosse.
Nessuna norma, invece, esprime la necessità che il progetto esecutivo debba essere conforme ad un progetto definitivo “approvato ed efficace”.
Sebbene non possa ignorare il Collegio che tale evenienza debba costituire la normalità nella stragrande maggioranza dei casi (discendendo dalla sequenzialità cronologica imposta dalla legge), nulla vieta che, nel rispetto di detta sequenza (nel caso di specie non obliata, posto che l’adozione del progetto esecutivo seguì, seppur di poche ore, l’adozione del definitivo), l’Amministrazione, per le evenienze più disparate (nel caso di specie per la lodevole esigenza di non perdere lo stanziamento dei contributi decisi a proprio favore), si assuma il rischio di approvare, coevamente all’adozione del progetto definitivo, il progetto esecutivo al primo conforme.
E’ ovvio che di “rischio” si tratta, perché, nell’ipotesi in cui ex art. 19 ult. co. la Regione o l'ente da questa delegato all'approvazione del piano urbanistico comunale manifesti il proprio dissenso entro il termine di novanta giorni, decorrente dalla ricezione della delibera del consiglio comunale e della relativa completa documentazione, la delibera di adozione del progetto esecutivo “cade” in quanto quest’ultima rimane senza oggetto, posto che “cade” anche quella di adozione del progetto definitivo, non essendosi concluso l’iter approvativo del medesimo.
Ma, nella ipotesi in cui tale evenienza non si verifichi (e, lo si ripete, nel caso de quo ciò non avvenne certamente), nessuna disposizione di legge sanziona con la illegittimità tale “anticipata” (rispetto all’approvazione del definitivo) approvazione del progetto esecutivo.
Ed è sintomatico rilevare, peraltro, che in concreto l’appellante di nulla si duole se non dell’omesso rispetto di tale “ordine”, non deducendo infatti che da tale “anticipazione” sia discesa alcuna lesione sostanziale alla propria sfera giuridica.
Ma se così è, in assenza di un dato formale univoco che sanzioni detta “anticipazione” dell’approvazione del progetto esecutivo e nell’assenza di alcun vulnus sostanziale alla posizione di parte appellante, la censura si risolve nella constatazione che al momento dell’approvazione del progetto esecutivo il progetto definitivo era soltanto adottato e quindi l’opera pubblica non era “conforme allo strumento urbanistico”.
Ma la conformità sopravvenne con l’omesso dissenso della Regione nei termini di legge, ed è corretta la deduzione del primo giudice secondo la quale non la legittimità, ma l’attuabilità del progetto esecutivo è condizionata all’effettivo perfezionamento del c.d. raccordo urbanistico, stante il chiaro tenore dell’art. 19 ult. co. (“si intende approvata”), che consente di non ritenere attuale il risalente orientamento, discendente dalla antevigente legislazione, secondo il quale (TAR Lazio Sez. II, 27.06.1988, n. 907) è illegittima l'approvazione del progetto esecutivo di una ferrovia metropolitana con un tracciato conforme ad una variante al piano regolatore solo adottata dal comune e non ancora approvata dalla regione.
La vigente legislazione (art. 12 del TU) non ricollega, a differenza della precedente, la nozione di atto comportante la pubblica utilità alla approvazione del progetto esecutivo, ma la ricollega al progetto definitivo (ex aliis Cons. Stato Sez. IV, 04.06.2013, n. 3087: “a norma dell'art. 12, D.P.R. n. 327 del 2001 la dichiarazione di pubblica utilità si intende disposta con l'approvazione o la definizione, da parte dell'autorità procedente, di determinati strumenti, ivi elencati. La dichiarazione di pubblica utilità, pertanto, non richiede una particolare dichiarazione, con la conseguenza che l'eventuale dichiarazione della pubblica utilità delle opere al momento dell'approvazione del progetto esecutivo è un di più, che non può alterare il quadro legale di riferimento e non è suscettibile di inficiare la regolarità e la legittimità della procedura.”); ne consegue la non applicabilità del detto risalente orientamento e la correttezza dell’approdo del primo giudice che ha ritenuto che, nella fattispecie in esame, potesse, al più, raffigurarsi una mera irregolarità non viziante e non già il vizio di illegittimità prospettato
(Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 19.06.2014 n. 3116 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Appalti, autorità spacchettata. Piano Cantone, entro il 2014 competenze spartite tra Anac e Infrastrutture.
Non sarà una transizione né facile né breve quella che porterà a un riordino del sistema di vigilanza degli appalti targata Raffaele Cantone. Chi pensava che in quattro e quattr'otto si sarebbe chiusa l'attuale Autorità di vigilanza sui contratti pubblici (Avcp) per trasferire con un colpo di bacchetta magica tutto nelle mani del neo presidente dell'Autorità nazionale anticorruzione (Anac) deve aver sottovalutato il groviglio di competenze che è necessario districare per dare un assetto razionale ai nuovi poteri.
Anche perché a giocare la partita sono in molti. A partire dalla vecchia Avcp, che non si rassegna a passare la mano completamente al ministero delle Infrastrutture, che da mesi ha messo nel mirino soprattutto le competenze sulla qualificazione. Senza dimenticare che anche la magistratura ha messo sotto inchiesta il sistema Soa (società organismo di attestazione) e in particolare le finte cessioni di ramo d'azienda con un'inchiesta che a marzo ha portato la Guardia di Finanza nelle sedi di tutte le 26 società attive in Italia.
Ecco allora che le ultime versioni del decreto legge, quelle in cui evidentemente è passata la mano esperta di Cantone, sembrano assumere una maggiore dose di realismo e delineare un percorso che può ridare razionalità al sistema. La bacchetta magica è sostituita da un piano che Cantone, in veste di commissario, dovrà mettere a punto entro il 31.12.2014 con l'ausilio di un vice-commissario.
Ad approvare il piano sarà il Consiglio dei ministri e solo in quel momento l'Avcp sarà soppressa. Oggi Cantone, che va in audizione alla commissione Lavori pubblici della Camera, comincerà forse a dire come la pensa. Il testo del decreto, che peraltro è ancora oggetto di messe a punto a Palazzo Chigi, comincia già ad abbozzare la spartizione delle future competenze, ma sarà necessario definire con precisione anche le categorie stesse che il provvedimento usa.
In particolare alle Infrastrutture andranno le attività di «precontenzioso» (cioè i pareri non vincolanti sulle gare in corso rilasciati su richiesta di imprese e Pa, con l'obiettivo di ridurre il ricorso ai giudici amministrativi) e di «attività consultiva», che al momento si sostanzia negli atti di segnalazione che Via Ripetta invia a Governo e Parlamento sulla normativa (necessità di modifiche o difficoltà di applicazione).
Un po' paradossale che sia il ministero a dare pareri a se stesso. Secondo l'ultima versione del testo, all'Anac andrebbero invece le «funzioni di vigilanza» sul mercato, le banche dati sui contratti pubblici e i «poteri sanzionatori». Sembrerebbe doversi desumere che sia il controllo sulle Soa e sui requisiti delle imprese, sia l'Avcpass, la banca dati dei requisiti delle imprese che partecipano alla gara (ancora largamente lacunosa), rientrino nelle competenze da trasferire all'Anac, anche se le categorie prescelte non danno certezze in questo senso. Così come non è chiaro a chi spettino altre attività, soprattutto di regolazione del mercato, decisive per l'efficientamento degli appalti: i costi standard, per esempio, o i bandi tipo che imprese e amministrazioni invocano da anni o i nuovi compiti in materia di trasparenza e controllo della spesa pubblica che la legge Severino e l'ultimo decreto Irpef assegnano proprio all'Authority in via di "soppressione".
Se per l'eredità dell'Avcp le ultime bozze fanno comunque pensare a un passo avanti, con la cancellazione subordinata a un piano di riordino, sembra tornare in alto mare il capitolo sulla riforma delle norme sugli appalti. Clamorosa sarebbe l'uscita dal testo dell'articolo forse più significativo, quello che prevedeva la stretta sulle varianti, con un obbligo di comunicazione proprio all'Anac. Ma nel lavoro di revisione delle ultime ore, che evidentemente tiene conto anche di eventuale obiezioni del Quirinale sulla eterogeneità del provvedimento, rischiano di saltare anche la cancellazione dell'incentivo del 2% per i progetti interni alla Pa e l'ammorbidimento dei requisiti per le gare di progettazione. Confermata la cancellazione della responsabilità solidale negli appalti. Scende all'1% la sanzione per le liti temerarie
(articolo Il Sole 24 Ore del 18.06.2014 - tratto da www.centrostudicni.it).

APPALTI: Controllo requisiti.
Domanda
Negli atti di gara (bando o lettera di invito) è obbligatorio indicare l'attivazione della procedura dei controlli di cui all'art. 48 del dlgs 163/2006?
Risposta
L'art. 48 del dlgs 163/2006 stabilisce che le stazioni appaltanti, prima di procedere all'apertura delle buste delle offerte presentate, richiedono a un numero di offerenti non inferiore al 10% delle offerte presentate, di comprovare, entro dieci giorni dalla data della richiesta medesima, il possesso dei requisiti di capacità economico-finanziaria e tecnico-organizzativa, eventualmente richiesti nel bando di gara, presentando la documentazione indicata in detto bando o nella lettera di invito.
L'Avcp con Determinazione n. 1 del 15.01.2014 avente a oggetto: «Linee guida per l'applicazione dell'art. 48 del dlgs 12.04.2006, n. 163» ha precisato che il procedimento di verifica di cui all'art. 48 del dlgs 163/2006 è obbligatorio, senza alcun margine di discrezionalità da parte della stazione appaltante, per tutti i contratti aventi a oggetto lavori, servizi e forniture, nei settori ordinari, sia sopra che sotto soglia comunitaria, aggiudicati con procedura aperta, ristretta, negoziata, con o senza pubblicazione di un bando di gara, o con dialogo competitivo.
Ne consegue che non occorre preventivamente indicare negli atti di gara né l'attivazione della procedura di verifica né il numero di soggetti sottoposti a verifica.
Le sole indicazioni, destinate a essere espresse nel bando o nella lettera di invito, riguardano i mezzi di prova che gli operatori economici sono tenuti a produrre per dimostrare la veridicità di quanto dichiarato nonché i requisiti minimi di partecipazione previsti nel bando di gara e i criteri per la valutazione degli stessi (articolo ItaliaOggi Sette del 16.06.2014).

LAVORI PUBBLICI: Sul risarcimento del danno per le colpevoli sospensioni dei lavori.
Deve rammentarsi che la disciplina generale sulle opere pubbliche recata dal R.D. n. 350 del 1895 affida all’ingegnere capo e al direttore dei lavori una molteplicità di attribuzioni volte a far sì che l’opera sia compiuta senza intralci, a perfetta regola d’arte e senza oneri aggiuntivi per la stazione appaltante.
Di particolare importanza, a tal fine, sono gli adempimenti che la legge affida ai tecnici dell’amministrazione nella fase antecedente all’indizione delle gare o all’apertura della trattativa privata (ove consentita), nonché al momento della consegna dei lavori alla ditta che dovrà eseguirli.
In particolare, l’art. 5, comma 1, prevede che, prima di bandire la gara per l’assegnazione dell’appalto o di aprire la trattativa privata, l’ingegnere capo deve provvedere, tramite il direttore dei lavori, alla «verificazione del progetto, in relazione al terreno, al tracciamento, al sottosuolo, alle cave, alle fornaci ed a quant’altro occorre per l’esecuzione dell’opera, affinché sia accertato che, all’atto della consegna, non si riscontreranno variazioni nelle condizioni di fatto sulle quali il progetto è basato o, riscontrandosene alcuna, si abbia tempo a prevenire l’apertura delle aste pubbliche o delle licitazioni, ovvero, quando trattasi di trattativa privata, la stipulazione del contratto, in base al progetto inesatto o non più esatto».
La finalità di tale disposizione è ovvia, mirando ad evitare che –salvo il caso di estrema urgenza ovvero quando «le condizioni del terreno sono naturalmente mutabili» (comma 3 dell’art. 5)– la mancata verificazione del progetto rispetto alla situazione oggettiva dei luoghi interessati non determini rallentamenti o sospensioni dei lavori, ovvero lievitazione dei costi per opere non previste.
Nello stesso senso milita l’art. 11, comma 1, del R.D. n. 350 del 1895, che obbliga l’ingegnere capo a sospendere la consegna dei lavori (salvo le ipotesi indicate nel comma 2) «qualora nonostante le disposizioni di cui al precedente art. 5, si riscontrassero all’atto della consegna delle differenze fra le condizioni locali ed il progetto …».
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Gli obblighi imposti all’ingegnere capo e al direttore dei lavori nella fase antecedente alla consegna dei lavori sono precipuamente finalizzati ad evitare che si verifichino le condizioni del ricorso alla sospensione dei lavori, che –è bene rammentarlo– è disciplinata dall’art. 16 del R.D. n. 350 del 1895 quale evenienza che appartiene alla patologia dell’esecuzione dell’opera, essendo autorizzabile «qualora circostanze speciali impediscano temporaneamente che i lavori procedano a regola d’arte».
Nella specie, se certamente sussistevano i presupposti per la sospensione dei lavori, va però rilevato che le «circostanze speciali» legittimanti la sospensione sono state provocate anche dalle gravi omissioni dell’appellante nell’esercizio delle funzioni di ingegnere capo e di direttore dei lavori.
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Le considerazioni fin qui svolte valgono, ovviamente, anche per la questione delle indagini geologiche, avendo queste determinato la sospensione dei lavori per non essere state effettuate –come dovuto– prima di dar corso all’appalto o, quanto meno, prima della consegna dei lavori.
E, comunque, in considerazione di quanto sostenuto dalla difesa, si deve precisare che all’appellante non si addebitano le spese sostenute per le indagini, ma il danno (pro quota) conseguente alle sospensioni dei lavori.

La Procura regionale per la Basilicata ha contestato all’ing. C. la somma di euro 64.446,98, pari alla metà del danno complessivo, ravvisando il pari contributo causale del progettista non chiamato in giudizio in quanto deceduto. La Sezione territoriale ha imputato al convenuto l’importo ridotto di euro 25.000,00 comprensivi della rivalutazione monetaria, ritenendo di dover equamente valorizzare -a scomputo della condanna– altri concorsi causali oltre che le oggettive difficoltà dell’appalto.
La sentenza merita condivisione, per le motivazioni di seguito indicate, sia per quanto concerne il nesso di causalità sia per l’affermata sussistenza della colpa grave.
Circa il nesso di causalità, si osserva che le sospensioni dei lavori –la prima delle quali prese inizio (12.10.1993) quando erano intercorsi appena due-tre mesi dalla consegna dei lavori (16.07.1993) e dal concreto inizio degli stessi (05.08.1993)– si resero necessarie per la sottovalutazione, in sede progettuale, delle problematiche derivanti dalla esistenza di alcuni manufatti del Consorzio di bonifica della Val d’Agri, che interferivano con una parte del tracciato originario della strada. Si tratta, con ogni evidenza, come del resto dedotto dallo stesso appellante, di problematiche che dovevano essere prese in considerazione dal progettista, il quale -nella elaborazione del progetto esecutivo- avrebbe dovuto prevedere nel dettaglio, affinché fossero immediatamente eseguibili, le lavorazioni che si rendevano necessarie proprio in ragione della interferenza tra l’opera da realizzare e i manufatti esistenti.
Sennonché, dalla documentazione in atti (vedi deliberazione del Consiglio comunale n. 6 del 20.03.1991 e allegata relazione tecnica) risulta che il progettista aveva indicato tra le somme a disposizione gli importi previsti per «indagini geologiche» e «spostamento condotte irrigue», senza che a ciò corrispondesse la previsione delle opere da realizzare per tale spostamento e, soprattutto, rinviando alcune indagini geologiche alla fase dell’esecuzione dei lavori.
Da quanto fin qui evidenziato non discende, peraltro, che le sospensioni (e il conseguente risarcimento del danno riconosciuto all’impresa appaltatrice dal Collegio arbitrale) siano imputabili esclusivamente al progettista, dovendo invece affermarsi che l’appellante –prima, quale responsabile dell’Ufficio tecnico e ingegnere capo e, poi, quale direttore dei lavori- aveva l’obbligo giuridico e la concreta possibilità di evitare che l’appalto incorresse in quelle sospensioni.
Deve, in primo luogo, rammentarsi che la disciplina generale sulle opere pubbliche recata dal R.D. n. 350 del 1895 affida all’ingegnere capo e al direttore dei lavori una molteplicità di attribuzioni volte a far sì che l’opera sia compiuta senza intralci, a perfetta regola d’arte e senza oneri aggiuntivi per la stazione appaltante. Di particolare importanza, a tal fine, sono gli adempimenti che la legge affida ai tecnici dell’amministrazione nella fase antecedente all’indizione delle gare o all’apertura della trattativa privata (ove consentita), nonché al momento della consegna dei lavori alla ditta che dovrà eseguirli.
In particolare, l’art. 5, comma 1, prevede che, prima di bandire la gara per l’assegnazione dell’appalto o di aprire la trattativa privata, l’ingegnere capo deve provvedere, tramite il direttore dei lavori, alla «verificazione del progetto, in relazione al terreno, al tracciamento, al sottosuolo, alle cave, alle fornaci ed a quant’altro occorre per l’esecuzione dell’opera, affinché sia accertato che, all’atto della consegna, non si riscontreranno variazioni nelle condizioni di fatto sulle quali il progetto è basato o, riscontrandosene alcuna, si abbia tempo a prevenire l’apertura delle aste pubbliche o delle licitazioni, ovvero, quando trattasi di trattativa privata, la stipulazione del contratto, in base al progetto inesatto o non più esatto».
La finalità di tale disposizione è ovvia, mirando ad evitare che –salvo il caso di estrema urgenza ovvero quando «le condizioni del terreno sono naturalmente mutabili» (comma 3 dell’art. 5)– la mancata verificazione del progetto rispetto alla situazione oggettiva dei luoghi interessati non determini rallentamenti o sospensioni dei lavori, ovvero lievitazione dei costi per opere non previste.
Nello stesso senso milita l’art. 11, comma 1, del R.D. n. 350 del 1895, che obbliga l’ingegnere capo a sospendere la consegna dei lavori (salvo le ipotesi indicate nel comma 2) «qualora nonostante le disposizioni di cui al precedente art. 5, si riscontrassero all’atto della consegna delle differenze fra le condizioni locali ed il progetto …».
Sennonché, emerge dagli atti che l’appellante non ha operato nel rispetto delle fondamentali disposizioni sopra richiamate.
Va, al riguardo, rilevato che, se è vero –come questi sostiene– che il progetto venne approvato con deliberazione del Consiglio comunale dell’08.03.1989 senza il parere dell’Ufficio tecnico, è però altrettanto vero che quella deliberazione venne adottata al fine di sottoporre il progetto alla valutazione della Regione. A tale deliberazione seguì quella del 20.03.1991, con la quale il Consiglio comunale pervenne ad una nuova approvazione che si era resa necessaria –come risulta dal preambolo della deliberazione n. 6 del 1991- dalla circostanza che il progetto era stato rielaborato per tener conto dell’aumento dell’importo finanziato.
Orbene, risulta pacificamente dagli atti che il progetto rielaborato è stato approvato dal Consiglio comunale di Marsicovetere con deliberazione n. 6 del 1991 adottata previo parere favorevole, espresso in data 15.11.1990, dall’Ufficio tecnico nella persona del responsabile dell’Ufficio, ing. C.. Peraltro, l’ing. C. –nell’esaminare il progetto e i relativi allegati– espresse parere favorevole senza evidenziare, come avrebbe dovuto quale responsabile dell’Ufficio tecnico e, quindi, svolgendo le funzioni di ingegnere capo, che il progetto si presentava carente per l’omessa indicazione delle opere da eseguire in ragione della interferenza con i manufatti del Consorzio di bonifica e in quanto rinviava alla fase dell’esecuzione dei lavori le indagini geologiche connesse con tali (non specificate) opere.
Quindi, su quello stesso progetto approvato nel 1991 venne indetta la licitazione privata nel luglio del 1993, senza che si provvedesse alla previa verificazione imposta dall’art. 5, comma 1, del R.D. n. 350 del 1895; inoltre, la consegna dei lavori venne effettuata il 16.07.1993, senza che –neppure in quell’occasione– si prendesse atto «delle differenze fra le condizioni locali ed il progetto» ai fini di quanto prescritto dall’art. 11 dello stesso R.D. n. 350 del 1895.
Le circostanze sopra evidenziate –oltre ad indicare la sussistenza del nesso di causalità tra la condotta dell’appellante e il danno subito dall’ente locale– valgono anche a connotare la condotta in termini di gravità, emergendo dagli atti di causa una significativa divergenza tra la condotta esigibile al professionista rispetto a quella in concreta tenuta.
Innanzitutto, non può dirsi –come ventilato dall’appellante- che l’interferenza tra la nuova opera e i manufatti del sistema irriguo fosse percepibile solo dal progettista, che aveva redatto anche il progetto per le opere del “Peschiera”.
Al riguardo, è sufficiente richiamare quanto evidenziato dallo stesso ing. C. nella nota diretta al Sindaco in data 16.11.1993 (prot. n. 2263), laddove è detto: «nel quadro economico relativo al progetto “esecutivo” approvato con delibera Consiglio Comunale n. 6 del 20/03/1991 … è prevista la somma di L. 30.000.000 genericamente riferita allo spostamento di condotte irrigue e ciò tra le somme a disposizione dell’Amministrazione. Tale lavoro non trova riscontro in nessun elaborato di progetto e pertanto va inteso a forfait senza alcun riferimento specifico al tipo di intervento da eseguire. Dai rilievi di consegna dell’impresa esecutrice, in contraddittorio con la Direzione dei Lavori, si è evidenziata l’esistenza di un insieme di tubazioni irrigue, in esercizio, di vario diametro … appartenenti al sistema irriguo “Peschiera”, che interessano parallelamente il tracciato della costruenda strada e in particolare le opere di fondazione del viadotto da realizzarsi. Per lo spostamento di tali condotte (vedi elaborati approvati dal Consorzio di Bonifica Alta Val D’Agri) nonché per gli interventi complementari e necessari, occorre una spesa presunta a preventivo di L. 202.995.238 …».
In sostanza, l’ing. C. ha rilevato solo dopo aver effettuato la consegna dei lavori quello che era doverosamente e agevolmente rilevabile prima che il progetto venisse approvato e avviato all’esecuzione e, cioè, che: il progetto non poteva qualificarsi come “esecutivo” in quanto lo spostamento delle condotte irrigue non trovava riscontro in nessun elaborato (tanto che i costi erano stati indicati a forfait solo tra le somme a disposizione); l’esistenza di condotte irrigue risultava dallo stesso progetto, ove si prevedeva (sia pur genericamente) lo «spostamento» delle stesse.
In ogni caso, anche ammesso che il percorso delle condotte non fosse agevolmente rilevabile nella sua interezza, l’esistenza di «un insieme di tubazioni irrigue» è stata riscontrata -come risulta dalla già menzionata nota del 16.11.1993 e dalla precedente informativa del 12.10.1993– durante le operazioni propedeutiche alla consegna dei lavori e in contraddittorio tra l’impresa e il direttore dei lavori. Sennonché, l’ing. C. (che ha cumulato le funzioni di ingegnere capo e di direttore dei lavori) non ha provveduto –come imposto dall’art. 11, comma 1, del R.D. n. 350 del 1895– a sospendere la consegna dei lavori, ma ha dato corso alla consegna senza considerare le conseguenze che ne sarebbero attendibilmente derivate. E, infatti, la consegna dei lavori -disposta nonostante le riscontrate «differenze fra le condizioni locali ed il progetto»- ha determinato la pressoché immediata necessità di sospendere i lavori per effettuare le indagini geognostiche omesse in sede progettuale e per elaborare varianti al progetto.
Tanto quanto fin qui chiarito, non si vede come possa disconoscersi la sussistenza di una colpevolezza grave, dovendosi rilevare che gli obblighi imposti all’ingegnere capo e al direttore dei lavori nella fase antecedente alla consegna dei lavori sono precipuamente finalizzati ad evitare che si verifichino le condizioni del ricorso alla sospensione dei lavori, che –è bene rammentarlo– è disciplinata dall’art. 16 del R.D. n. 350 del 1895 quale evenienza che appartiene alla patologia dell’esecuzione dell’opera, essendo autorizzabile «qualora circostanze speciali impediscano temporaneamente che i lavori procedano a regola d’arte». Nella specie, se certamente sussistevano i presupposti per la sospensione dei lavori, va però rilevato che le «circostanze speciali» legittimanti la sospensione sono state provocate anche dalle gravi omissioni dell’appellante nell’esercizio delle funzioni di ingegnere capo e di direttore dei lavori.
Le considerazioni fin qui svolte valgono, ovviamente, anche per la questione delle indagini geologiche, avendo queste determinato la sospensione dei lavori per non essere state effettuate –come dovuto– prima di dar corso all’appalto o, quanto meno, prima della consegna dei lavori. E, comunque, in considerazione di quanto sostenuto dalla difesa, si deve precisare che all’appellante non si addebitano le spese sostenute per le indagini, ma il danno (pro quota) conseguente alle sospensioni; in ogni caso, deve evidenziarsi che i primi giudici –nel mitigare congruamente l’addebito (da euro 64.446,98 oltre rivalutazione monetaria ad euro 25.000,00 comprensivi di rivalutazione)– hanno tenuto conto del fatto che i ritardi sono in parte dipesi dalle «carenze tecniche professionali riscontrate a carico della ditta» incaricata delle indagini geologiche.
3. In definitiva, per tutte le ragioni sopra evidenziate, l’appello va respinto, con conseguente integrale conferma della sentenza impugnata (Corte dei Conti, Sez. II giurisdiz. centrale d'appello, sentenza 10.06.2014 n. 397).

maggio 2014

APPALTI - EDILIZIA PRIVATA: G.U. 19.05.2014 n. 114 "Testo del decreto-legge 20.03.2014, n. 34, coordinato con la legge di conversione 16.05.2014, n. 78, recante: “Disposizioni urgenti per favorire il rilancio dell’occupazione e per la semplificazione degli adempimenti a carico delle imprese”.".
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Di interesse si legga:
Art. 4. - Semplificazioni in materia di documento unico di regolarità contributiva

APPALTI - EDILIZIA PRIVATA: Niente stop agli incentivi se il Durc è negativo.
Il Durc dice addio alla carta. Il dl n. 34/2014, infatti, ha trasformato in versione telematica il documento unico di regolarità contributiva. Perciò, ferma restando la validità di quattro mesi, il documento unico di regolarità contributiva si potrà scaricare da internet tagliando in questo modo circa cinque milioni di certificazioni su carta. Altra novità interessante è il diritto, per le imprese prive di regolarità contributiva, di ricevere comunque le agevolazioni. Tuttavia, prima di finire nelle casse aziendali, gli incentivi salderanno le scoperture contributive.
Per regolarità contributiva s'intende la correttezza nei pagamenti e adempimenti previdenziali, assistenziali e assicurativi (Inps e Inail, nonché casse edili nel caso di imprese di tale settore) con riferimento ai tutti gli obblighi ricadenti sull'intera situazione aziendale. Il Durc è un certificato che attesta tale regolarità per un'impresa. La regolarità contributiva (ossia il possesso del Durc da parte dell'azienda) è richiesta in diversi casi: appalti, lavori edili ecc. La Finanziaria 2007 (art. 1, comma 1175, della legge n. 296/2007) ha esteso tale vincolo anche ai benefici normativi e contributivi previsti dalla normativa in materia di lavoro e legislazione sociale, fermo restando il rispetto degli accordi e contratti collettivi nazionali nonché di quelli regionali, territoriali o aziendali.
La legge n. 98/2013 (conversione del dl n. 69/2013) ha previsto che alle erogazioni di sovvenzioni, contributi, sussidi, ausili finanziari e vantaggi economici, di qualunque genere, compresi quelli di cui all'art. 1, comma 553, della legge n. 266/2005 (cioè i benefici e le sovvenzioni comunitarie per la realizzazione d'investimenti), da parte di pubbliche amministrazioni, per le quali e «prevista» l'acquisizione del Durc, si applicano «in quanto compatibili» le previsione del comma 3 dell'art. 31 della stessa legge.
Quest'ultima norma disciplina il c.d. «intervento sostitutivo», vale a dire l'obbligo per le pubbliche amministrazioni di trattenere dal pagamento da fare a un'impresa non in regolarità contributiva, l'importo corrispondente alle inadempienze evidenziate dal Durc. In pratica è previsto che in presenza di un Durc negativo con irregolarità nei versamenti dovuti a Inail, Inps o casse edili, le stazioni appaltanti si sostituiscano all'impresa debitrice (appaltatrice o subappaltatrice avente) e procedano a pagare, in tutto o in parte, il debito contributivo (a Inps, Inail o casse edili) trattenendo il relativo importo dal corrispettivo dovuto in forza dell'appalto.
La legge n. 98/2013, dunque, ha esteso l'utilizzo di questa disciplina (l'intervento sostitutivo) prevedendone l'applicazione «in quanto compatibile» anche alle amministrazioni pubbliche che erogano contributi, sovvenzioni, sussidi, ausili finanziari e vantaggi economici di qualunque genere per i quali sia «prevista» l'acquisizione d'ufficio del Durc.
Il dl n. 34/2014 interviene proprio su questa norma della legge n. 98/2013. Due le novità. La prima rende obbligatorio il Durc a tutte le erogazioni di sovvenzioni, contributi, sussidi, ausili finanziarie e vantaggi economici di qualunque genere, compresi benefici e sovvenzioni Ue per la realizzazione d'investimenti. La seconda rende obbligatoria negli stessi casi l'intervento sostitutivo. La conseguenza più interessante sembra quella a favore delle aziende. Fino al 21 marzo, infatti, era previsto che in caso di Durc negativo l'azienda non avesse diritto a incentivi per un mese ovvero, in caso di Durc positivo, ne avesse diritto per quattro mesi.
In altri casi, l'assenza di regolarità contributiva negava addirittura l'accesso a un bando di assegnazione di agevolazioni: è il caso, per esempio, dei finanziamenti Inail (Isi). In questi due esempi, allora, le modifiche del dl n. 34/2014 comportano che l'azienda è comunque e sempre ammessa agli incentivi, cioè anche se in possesso di Durc negativo. Però, con l'obbligatorietà dell'intervento sostitutivo, Inps o Inail prima di erogare materialmente gli incentivi, copriranno le scoperture contributive (articolo ItaliaOggi Sette del 19.05.2014).

APPALTI - EDILIZIA PRIVATASPECIALE JOBS ACT - PER I CONTRIBUTI L'OK ARRIVA ON-LINE - Cresce il plafond degli incentivi destinati ai contratti di solidarietà.
Tra le varie misure contenute nel decreto legge 34/2014 a vantaggio delle imprese, appaiono particolarmente interessanti i provvedimenti con cui si interviene sulla disciplina del documento unico di regolarità contributiva (Durc) e sull'impianto a sostegno degli incentivi connessi ai contratti di solidarietà (Cds).
Le due norme sono orientate da logiche ben chiare: semplificazione e trasformazione per il Durc, destinato a smaterializzarsi; rivisitazione della normativa riferita alle agevolazioni per i contratti di solidarietà, stanziamento di maggiori risorse per i relativi incentivi e uniformazione della misura.
La rivisitazione del Durc è disciplinata dall'articolo 4 del decreto, con cui il governo si prefigge di far rivivere un progetto non nuovo: convertire il documento unico di regolarità contributiva in una semplice interrogazione online che ognuno, compresa l'impresa interessata, potrà eseguire dal proprio computer.
La sua realizzazione passa, in pratica, attraverso l'apertura delle banche dati in cui sono memorizzate le informazioni che servono a controllare se un determinato soggetto è in regola con i vari versamenti. Sarà possibile verificare, in tempo reale, la posizione dei contribuenti nei riguardi di Inps e Inail nonché, per le imprese interessate, anche della Cassa edile. Al momento, in realtà, si tratta soltanto di una previsione: sarà, infatti, un decreto interministeriale (Lavoro-Economia) –la cui emanazione è prevista entro 60 giorni dall'entrata in vigore del Dl 34, avvenuta il 21.03.2014– a dettare le regole.
Una volta che l'impianto sarà funzionante, l'interessato potrà controllare online la regolarità. L'esito varrà 120 giorni e le sue risultanze sostituiranno a ogni effetto il Durc, in tutti i casi in cui lo stesso è previsto, ad eccezione delle ipotesi di esclusione individuate dal decreto. Saranno, altresì, eseguibili le verifiche disposte in materia dal codice dei contratti pubblici. In tale ambito è determinante acquisire informazioni relative ai soggetti coinvolti che, se hanno commesso violazioni gravi definitivamente accertate alle norme in materia di contributi previdenziali e assistenziali, potranno essere esclusi dalle gare di affidamento delle concessioni, degli appalti e dei subappalti.
La norma, inoltre, aggiunge che dalla data di entrata in vigore del decreto interministeriale di regolamentazione, ogni disposizione di legge incompatibile con le previsioni del decreto lavoro sarà abrogata.
Attualmente le stazioni appaltanti possono verificare online il possesso dei requisiti di capacità generale e tecnico-economica delle imprese. Il controllo si esegue accedendo alla Banca dati nazionale dei contratti pubblici (Bdncp) operativa presso l'Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici (Avcp). Per rendere possibile lo scambio di informazioni telematiche tra le stazioni appaltanti e le imprese che vogliono partecipare a pubbliche gare d'appalto di lavori, forniture e servizi, è stata realizzata una piattaforma telematica denominata Avcpass. Previa registrazione, il sistema permette alle stazioni appaltanti/enti aggiudicatori l'acquisizione della documentazione comprovante il possesso dei requisiti di carattere generale, tecnico-organizzativo ed economico-finanziario per l'affidamento dei contratti pubblici; consente, inoltre, agli operatori economici di inserire a sistema i documenti richiesti dalle procedure di affidamento.
Nella delibera 111/2012, l'Autorità ha, tra l'altro, affermato che nella documentazione comprovante il possesso dei requisiti generali (articoli 38 e 39 del codice) figura anche il Durc fornito dall'Inail. Stante, dunque, quanto previsto dal Dl 34/2014, quando sarà pronto il decreto di regolamentazione del Durc smaterializzato, il passaggio all'Avcpass non dovrebbe più essere obbligatorio in quanto sarà sufficiente l'interrogazione online.
Il decreto lavoro si interessa anche dei contratti di solidarietà accompagnati da Cigs. La crisi economica che ha coinvolto il nostro Paese in questi ultimi anni ha visto crescere in maniera esponenziale il ricorso all'istituto del contratto di solidarietà come possibile strumento per la salvaguardia occupazionale.
Preso atto di questa realtà, con le nuove disposizioni si prevede un piccolo ma interessante maquillage delle regole inerenti l'accesso alle agevolazioni contributive a supporto dei Cds, si aumenta (triplicandolo) il plafond per finanziare gli incentivi e, parallelamente, si prevede un'agevolazione con misura uniformata che non tiene più conto delle diverse percentuali di riduzione dell'orario contrattuale, né della collocazione territoriale delle imprese
(articolo Il Sole 24 Ore del 17.05.2014).

APPALTI: Nei comuni acquisti centralizzati. Causa mafia.
Scioglimento dei comuni per mafia, si cambia: per quelli «riabilitati» scatterà l'obbligo di realizzare centrali uniche per acquisti e appalti. E un salto di qualità lo faranno i segretari comunali, la cui figura (di controllo) avrà «un senso» nell'assicurare la correttezza delle procedure.

È Filippo Bubbico, viceministro all'interno, ad anticipare i contenuti di un provvedimento in tempi stretti all'esame del Cdm, nel corso di una visita effettuata ieri, a Reggio Calabria.
Non manca molto alla messa in opera del restyling sullo scioglimento delle giunte in cui le organizzazioni criminali hanno allungato i tentacoli, condizionandone l'andamento e i servizi, giacché, riferisce, «siamo nella fase conclusiva della concertazione», laddove il Viminale da un lato ed il dicastero della giustizia dall'altro «hanno già condiviso un testo. Ora aspettiamo il passaggio conclusivo del Mef per gli aspetti relativi alla copertura delle spese conseguenti, anche in relazione alle innovazioni introdotte», quali, appunto, il vincolo di canali unici per il controllo delle forniture, degli incarichi e l'assegnazione delle concessioni per effettuare i lavori pubblici.
Nuova vita, dunque, per gli enti su cui le mafie hanno avuto influenza (il cui numero aumenta, sottolinea nel capoluogo calabrese), mediante un iter di «riabilitazione democratica», esteso anche ad «organismi istituzionali e ai momenti decisionali propri delle amministrazioni locali, a partire dalla gestione degli appalti e dell'affidamento di commesse all'esterno».
Necessarie, secondo l'esponente governativo, «procedure di qualità, di verifica costante sulla correttezza dei procedimenti amministrativi, e occorre dare anche un senso al ruolo ed alla funzione dei segretari comunali e restituire anche momenti di controllo non sul merito delle decisioni, ma sulla legittimità degli atti e anche il controllo di natura contabile e di natura finanziaria».
E, all'orizzonte, c'è anche la Carta dei diritti dei testimoni di giustizia che, prosegue Bubbico, sarà stilata da una commissione composta da sociologi, avvocati, magistrati e funzionari del servizio centrale di Protezione, che nei prossimi sei mesi rivaluterà strumenti per garantire loro sicurezza e «risarcirli» per i disagi tollerati (articolo ItaliaOggi del 17.05.2014).

APPALTIFattura elettronica, il Senato chiede i codici solo dal 2015. Dl Irpef. Emendamenti bipartisan.
Lavori in corso per evitare che la partenza della fatturazione elettronica si trasformi in un boomerang per i fornitori della Pa. Una serie di emendamenti trasversali al decreto Irpef presentati al Senato punta a prorogare e correggere le norme che rischiano di bloccare i pagamenti nel caso in cui le nuove fatture telematiche non contengano il Codice identificativo di gara (Cig) e il Codice unico di progetto (Cup).
Come noto, il 6 giugno prossimo scatta l'obbligo dell'utilizzo della fattura nei rapporti con ministeri, agenzie fiscali ed enti di previdenza. Il Dl anticipa inoltre al 31.03.2015 (dal 06.06.2015) l'obbligo per forniture verso tutte le altre Pa. Ma un'altra delle novità introdotte dal decreto, cioè l'obbligo per i fornitori di inserire nelle fatture il Cig e il Cup, ha fatto scattare nelle ultime settimane l'allarme delle imprese, dai più piccoli ai più grandi fornitori della Pa.
Il problema è finito al centro di alcuni emendamenti che mirano in prima battuta a rinviare l'obbligo di riportare i codici dal 06.06.2014 al 31.03.2015 (in subordine, le imprese propongono di spostarlo fino a 180 giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione). E, inoltre, secondo emendamenti analoghi presentati da Pd, Ncd, Forza Italia e gruppo Per l'Italia, in assenza di codici la Pa sono legittimate a non pagare solo se in precedenza avevano comunicato queste informazioni ai fornitori.
Su questi aspetti ci sono stati diversi incontri a livello tecnico, anche con Ragioneria dello Stato, Agenzia delle entrate, Agenzia per l'Italia digitale e con gli altri attori che partecipano al Forum italiano sulla fatturazione elettronica. Il decreto introduce l'obbligo di prevedere nei documenti digitali Cig e Cup con l'obiettivo, sollecitato dalla Ragioneria, di avere in automatico un continuo monitoraggio dell'avanzamento della spesa per singoli progetti e unità organizzative. Un fine condivisibile, secondo le stesse imprese, perché consentirebbe di avere finalmente un quadro certo dei pagamenti arretrati e di mettere fine al fenomeno dei debiti fuori bilancio.
Il problema è rappresentato dai tempi, estremamente stretti per chi ha già effettuato investimenti per adeguare i sistemi informatici, e soprattutto dalla previsione del divieto di pagamento da parte delle Pa in caso di mancato inserimento dei codici. I fornitori potrebbero in realtà non disporne, dal momento che la normativa di riferimento (relativa alla tracciabilità finanziaria) ne prevede solo l'inserimento nelle operazioni di pagamento da parte delle Pa ma non dispone un esplicito obbligo di comunicarli ai fornitori.
Insomma: in assenza di modifiche, da giugno le imprese potrebbero avere l'obbligo di mettere in fattura dati che non hanno mai ricevuto e che per altro sono in già possesso dei committenti
 (articolo Il Sole 24 Ore del 16.05.2014).

APPALTICodice degli appalti da abolire. Sufficiente applicare le direttive europee disponibili. Da Pinto (presidente Asmel) idea shock contro la corruzione e per rilanciare l'economia.
L'idea è stata lanciata dal presidente Asmel, Francesco Pinto, durante l'assemblea dell'associazione che raggruppa 1861 enti locali in tutt'Italia svoltasi presso la sede del Tar Campania e che ha visto la presenza attiva di oltre 400 comuni.
Nel corso della tavola rotonda su «Appalti e Legalità», cui hanno partecipato, tra gli altri, il presidente dell'Avcp Santoro e quello del Tar Campania Mastrocola, è stata proposta l'integrale e immediata abolizione del Codice degli appalti.
Una ragnatela di norme (vedi riquadro) che rendono la vita difficile, se non impossibile, alle stazioni appaltanti e che, anziché contrastare corruttela e malaffare di fatto li «coprono».
D'altra parte, l'integrale abolizione di questa giungla di disposizioni, non creerebbe un vuoto normativo. Le stazioni appaltanti sarebbero chiamate ad applicare le direttive sugli appalti appena entrate in vigore a livello europeo, di fatto già autoapplicative (cosiddette self-executive) senza attendere il loro recepimento nella legislazione italiana, previsto entro due anni. Si tratta di testi scritti in un italiano fluente e già tradotti in inglese con gran soddisfazione di operatori e investitori esteri che, come noto, si tengono alla larga dal mercato italiano, principalmente, a causa della farraginosità della nostra normativa. Una miriade di precetti bizantini e prescrittivi capaci di produrre solo deresponsabilizzazione e smarrimento negli uffici acquisti.
 La loro abolizione, assieme all'introduzione delle nuove norme sulla centralizzazione delle committenze, porterebbe gli uffici comunali, composti per la stragrande maggioranza da persone perbene e motivate, a impegnarsi solo sui risultati. In questo senso con Asmel la possibilità di costituire centrali di committenza tra comuni mediante «accordi consortili avvalendosi dei competenti uffici» viene declinata lasciando ampia autonomia agli stessi nei compiti da delegare alla centrale, che possono essere limitati a «pezzi» dell'attività o prevedere la delega completa. Esattamente come previsto dalle nuove direttive europee che lasciano libere le stazioni appaltanti di affidarsi alle centrali di committenza anche limitatamente a funzioni «ausiliarie».
Una simile proposta è in grado di ridurre drasticamente il contenzioso. Le statistiche dimostrano che esso è alimentato per la gran parte proprio dalle intricatissime norme che regolano le cosiddette «buste amministrative», e di dare una forte accelerazione agli investimenti pubblici e privati. Tenuto conto che il volume annuo degli appalti pubblici in Italia ammonta a circa 100 miliardi di euro, pari a circa l'8% del Pil, è sufficiente un'accelerazione della spesa nel settore pari al 15 per cento annuo per raddoppiare il tasso di crescita della nostra economia attualmente stimato per il 2015 nell'1,2%.
Di certo, una simile proposta andrà corredata dal rafforzamento del ruolo di vigilanza sull'attività delle Stazioni appaltanti già oggi svolto dall'Avcp in maniera incisiva, ma che, liberata dai vari orpelli, avrà maggiori poteri per perseguire i comportamenti dolosi. Nei comuni andrà rafforzato, invece, il ruolo dei segretari comunali, per affiancare gli uffici acquisti orfani della normativa di riferimento.
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Una ragnatela di norme.
Il Codice degli appalti è un testo di legge composto da 273 articoli, 1.560 commi e corredato da rinvii ad altre 148 norme di legge. Dal 2006, data di entrata in vigore, i suoi articoli hanno subito modifiche per 563 volte senza contare quelle entrate in vigore per un periodo limitato nei decreti legge che poi non hanno trovato conversione.
Per la sua corretta applicazione occorre far riferimento alle 6.155 pronunce dell'Autorità di vigilanza sui contratti pubblici e dei tribunali amministrativi, che fanno giurisprudenza e dunque obbligano di fatto le stazioni appalti ad uniformarsi. Per non parlare delle migliaia di pronunce emanate in «sede consultiva» dalle sezioni regionali della Corte dei conti, che, come tutti sanno, hanno un potere molto incisivo sull'azione dei pubblici funzionari. Non basta, al Codice va aggiunto il Regolamento attuativo, con i suoi 358 articoli e 1392 commi, e i Regolamenti regionali, anch'essi con valore di legge.
Infine, le stazioni appaltanti sono chiamate anche a uniformarsi alle intricate norme sulla privacy, sui «protocolli di integrità», «patti di legalità», e sul programma triennale anticorruzione, oltre a tutta la normativa sui procedimenti amministrativi (articolo ItaliaOggi del 16.05.2014 - tratto da www.centrostudicni.it).

COMPETENZE GESTIONALI - LAVORI PUBBLICI: L'approvazione di progetti di opere pubbliche e di atti inerenti alla correlata procedura espropriativa rientra nella competenza gestoria dirigenziale, come disegnata dall'art. 107, comma 2, del d.lgs. 18.08.2000, n. 267 in relazione a "...tutti i compiti, compresa l'adozione degli atti e provvedimenti amministrativi che impegnano l'amministrazione verso l'esterno, non ricompresi espressamente dalla legge o dallo statuto tra le funzioni di indirizzo e controllo politico-amministrativo degli organi di governo dell'ente o non rientranti tra le funzioni del segretario o del direttore generale...", in quanto non riconducibile alle competenze consiliari o delle giunte municipali, di cui, rispettivamente, ai precedenti art. 42, comma 2, e 48, commi 2 e 3, e anche tenendo in disparte il rilievo che l'ampliamento era previsto nel programma triennale delle opere pubbliche e inserito nel bilancio di previsione, e quindi in atti fondamentali di Giunta e Consiglio Comunale, con conseguente ulteriore radicamento della competenza dirigenziale ai sensi del comma 3 dell'art. 107, concernente appunto "... tutti i compiti di attuazione degli obiettivi e dei programmi definiti con gli atti di indirizzo adottati dai medesimi organi" (di governo).
Non hanno maggior pregio le censure dedotte con il secondo motivo d'appello, perché l'approvazione di progetti di opere pubbliche e di atti inerenti alla correlata procedura espropriativa rientra nella competenza gestoria dirigenziale, come disegnata dall'art. 107, comma 2, del d.lgs. 18.08.2000, n. 267 in relazione a "...tutti i compiti, compresa l'adozione degli atti e provvedimenti amministrativi che impegnano l'amministrazione verso l'esterno, non ricompresi espressamente dalla legge o dallo statuto tra le funzioni di indirizzo e controllo politico-amministrativo degli organi di governo dell'ente o non rientranti tra le funzioni del segretario o del direttore generale...", in quanto non riconducibile alle competenze consiliari o delle giunte municipali, di cui, rispettivamente, ai precedenti art. 42, comma 2, e 48, commi 2 e 3 (in tal senso vedi, Cons. Stato, Sez. IV, 16.03.2010, n. 1532), e anche tenendo in disparte il rilievo che l'ampliamento era previsto nel programma triennale delle opere pubbliche e inserito nel bilancio di previsione, e quindi in atti fondamentali di Giunta e Consiglio Comunale, con conseguente ulteriore radicamento della competenza dirigenziale ai sensi del comma 3 dell'art. 107, concernente appunto "... tutti i compiti di attuazione degli obiettivi e dei programmi definiti con gli atti di indirizzo adottati dai medesimi organi" (di governo) (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 12.05.2014 n. 2405 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Sul c.d. "potere di soccorso" della stazione appaltante, ex art. 46, c. 1, del d.lgs. 163/2006 (fattispecie inerente una procedura di gara per l'individuazione dell'affidatario della sede farmaceutica di nuova istituzione).
L'art. 46, c. 1, del d.lgs. 163/2006 (codice dei contratti), disciplina il c.d. "potere di soccorso" della stazione appaltante consentendo, nei limiti previsti dagli artt. da 38 a 45, se necessario, che i concorrenti siano invitati a completare o fornire chiarimenti in ordine al contenuto dei certificati, documenti e dichiarazioni presentati, riguardanti i requisiti generali per l'ammissione a gara. Essa rappresenta un'espressione, nel settore delle gare pubbliche, del più generale principio di cui all'art. 6, c. 1, lett. b), l. n. 241 del 1990, secondo cui il responsabile del procedimento adotta ogni misura per l'adeguato e sollecito svolgimento dell'istruttoria e può chiedere "il rilascio di dichiarazioni e la rettifica di dichiarazioni o istanze erronee o incomplete...". Il principio soddisfa la primaria esigenza di consentire la massima partecipazione alla selezione, consentendo di correggere l'eccessivo rigore delle forme insito nella logica "della caccia all'errore" e di eliminare quelle situazioni di esclusioni dalle gare anche per violazioni puramente formali.
Nelle procedure di gara il "potere di soccorso", sostanziandosi unicamente nel dovere della stazione appaltante di regolarizzare certificati, documenti o dichiarazioni già esistenti, ovvero di completarli ma solo in relazione ai requisiti soggettivi di partecipazione, chiedere chiarimenti, rettificare errori materiali o refusi, fornire interpretazioni di clausole ambigue nel rispetto della par condicio dei concorrenti, non consente la produzione tardiva del documento o della dichiarazione mancante o la sanatoria della forma omessa, ove tali adempimenti siano previsti a pena di esclusione dal codice dei contratti pubblici, dal regolamento di esecuzione e dalle leggi statali.
L'omessa dichiarazione della sussistenza o meno della causa di impedimento di cui all'art. 13 della l. n. 475 del 1968, che concerne l'incompatibilità con il pubblico impiego dell'attività di propagandista di medicinali, nonché della causa interdittiva di cui all'art. 12 della stessa legge, per aver ceduto la titolarità di altra farmacia da almeno dieci anni, sono cause di esclusione essendo insito nelle citate previsioni di legge il carattere cogente dei divieti discendenti dalle norme. Tuttavia, l'omessa dichiarazione non è sanzionata, nel caso di specie, dalla clausola del bando con l'espressa comminatoria di esclusione; ne consegue che, secondo principi consolidati in giurisprudenza sulle conseguenze della non offensività delle omesse dichiarazioni in tema di requisiti generali di partecipazione alle gare, la stazione appaltante era tenuta ad esercitare il potere di soccorso nei confronti dei concorrenti, ammettendoli a fornire la dichiarazione mancante, in quanto gli stessi potevano essere esclusi solo in difetto del requisito sostanziale, ovvero se non avessero reso, nel termine indicato dalla stazione appaltante, l'integrazione della dichiarazione mancante. La stazione appaltante, dunque, ha correttamente accertato in concreto la posizione degli interessati, richiedendo il completamento della documentazione e ne ha disposto la riammissione in gara (Consiglio di Stato, Sez. III, sentenza 09.05.2014 n. 2376 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTIContratti pubblici. Al setaccio le gare bandite prima del 12 maggio.
Entro il mese di agosto le stazioni appaltanti dovranno verificare i dati delle gare bandite prima del 12.05.2014 e comunicare le informazioni alla banca dati delle amministrazioni pubbliche che il Mineconomia avvierà a ottobre; previste sanzioni disciplinari per i responsabili del procedimento.

È quanto prevede l'Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici con il comunicato del Presidente 08.05.2014, Sergio Santoro, che detta nuove modalità operative di invio dei dati a carico delle stazioni appaltanti.
Si tratta dei dati che devono alimentare la Banca dati delle amministrazioni pubbliche (Bdap) istituita in seno al ministero dell'economia con la legge n. 196/2009. L'Autorità precisa che dal 12.05.2014 le amministrazioni dovranno obbligatoriamente indicare sul sistema Simog (Sistema informativo monitoraggio gare), in sede di creazione del Cig (codice identificativo gara), il Cup (codice unico progetto) identificativo del progetto nell'ambito del quale si colloca lo specifico appalto.
Inoltre si specifica che per tutti i contratti per i quali alla data del 12.05.2014 risultino già trasmesse le relative schede di aggiudicazione, il responsabile unico del procedimento dovrà verificare che per le fattispecie per le quali è necessaria l'acquisizione del Cup, quest'ultimo risulti associato al Cig cui si riferisce, nell'ambito del sistema Simog (articolo ItaliaOggi del 14.05.2014).

LAVORI PUBBLICI: Sulla questione dei lavori di somma urgenza: chi li può ordinare e come si regolarizzano dal punto di vista contabile.
  
I. Con il primo quesito, premesso che l’inciso del comma 3 dell’art. 191 TUEL (“qualora i fondi specificamente previsti in bilancio si dimostrino insufficienti”) determina l’applicazione della procedura di riconoscimento dei debiti fuori bilancio nel caso di assenza o insufficienza di fondi, ma nulla dispone nel caso in cui in bilancio vi siano risorse sufficienti, il Sindaco chiede quando la Giunta possa ritenere sussistenti i predetti fondi. In particolare solo nel caso in cui esista in bilancio una voce di spesa avente ad oggetto specificamente somme urgenze oppure anche in presenza di un capitolo di spesa avente un oggetto conforme alla natura dei lavori eseguiti in somma urgenza.
La valutazione della sufficienza o meno dei fondi per l’esecuzione di lavori di somma urgenza dipende dalla strutturazione del singolo bilancio, come approvato dal Consiglio comunale e specificato, con il piano esecutivo di gestione, dalla Giunta.
Pertanto il responsabile del procedimento, competente all’ordinazione dei lavori (ex art. 176 DPR n. 207/2010), deve valutare (assieme al responsabile del servizio economico e finanziario, ex art. 153, comma 5, TUEL) la presenza di risorse sufficienti negli interventi a lui assegnati o, se necessario, promuovere la variazione del piano esecutivo di gestione da parte della Giunta (ex art. 169 TUEL).
Nel caso in cui invece non vi siano nei capitoli o interventi assegnati sufficienti risorse, per reperirne di ulteriori, il responsabile del servizio, ai sensi dell’art. 191, comma 3, del TUEL deve proporre alla Giunta di investire della competenza il Consiglio in aderenza ai principi generali
(specificati, per il caso di specie dei lavori di somma urgenza, dal novellato art. 191, comma 3).
   II. Con il secondo quesito
il Comune chiede quale procedura debba seguire, considerato che la regolarizzazione dell’ordinazione fatta senza impegno era prevista dal testo previgente dell’art. 191, comma 3, riformulato nel 2012.
La Sezione ritiene che il dubbio afferisca alla sola ipotesi in cui il bilancio presenti disponibilità sufficienti.
In presenza in bilancio di fondi sufficienti (come definiti nel precedente paragrafo), il RUP (o altro tecnico competente, ai sensi dell’art. 176 del DPR n. 207/2010) contestualmente all’ordinazione dei lavori, deve procedere all’assunzione di impegno ed alla richiesta di attestazione della relativa copertura al responsabile del servizio economico e finanziario (ex art. 153, comma 5, TUEL), comunicando i relativi estremi al terzo appaltatore (tendendo conto che, come prevede l’art. 191, comma 1, TUEL, fino alla ricezione di tale comunicazione quest’ultimo può rifiutarsi di eseguire la prestazione).
   III. Con il terzo quesito
il Comune chiede, ove sussista somma urgenza e vi sia un fondo specificamente disponibile, se spetti al RUP procedere tempestivamente ad assumere il relativo impegno (con propria determinazione) oppure possa farlo solo dopo l’atto deliberativo della Giunta (di autorizzazione). In alternativa, il Sindaco chiede se debba essere la Giunta stessa ad assumere l’impegno.
E' possibile precisare che,
ove le risorse presenti sul pertinente intervento di bilancio assegnato al responsabile del servizio siano capienti, spetta a quest’ultimo assumere l’impegno di spesa (in aderenza alla previsione generale posta dall’art. 183, comma 9, del TUEL), cui accede, ai fini della regolarizzazione necessaria per la corretta ordinazione della spesa, l’attestazione della copertura da parte del responsabile del servizio economico e finanziario.
L’assunzione dell’impegno da parte del RUP prescinde in tale ipotesi, come esposto, dall’intervento di una delibera di Giunta (o di Consiglio), essendo già presenti e disponibili a bilancio i relativi fondi.

   IV. Con il quarto quesito
il Comune chiede se la Giunta, nel caso in cui non ritenga sussistente la somma urgenza dichiarata dal RUP o, ancora, in caso di inerzia o ritardo del RUP per un intervento da quest’ultimo non qualificato come di somma urgenza, possa, avendo adeguato stanziamento, regolarizzare l’ordinazione fatta a terzi. E, in questo caso, quale procedura debba essere seguita.
La Giunta può compiere tutti gli atti rientranti, ai sensi dell'articolo 107, commi 1 e 2, del TUEL nelle funzioni degli organi di governo. Quest’ultima disposizione rimette a statuti e regolamenti i criteri per la direzione degli uffici e dei servizi (atti di normazione secondaria che devono uniformarsi al principio per cui i poteri di indirizzo e di controllo politico-amministrativo spettano agli organi di governo, mentre la gestione amministrativa, finanziaria e tecnica è attribuita ai dirigenti), specificando che comunque spetta ai dirigenti l'adozione degli atti e dei provvedimenti che impegnano l'amministrazione verso l'esterno, non ricompresi espressamente dalla legge o dallo statuto tra le funzioni di indirizzo e controllo politico-amministrativo degli organi di governo dell'ente.
Di conseguenza
solo nel caso in cui lo statuto dell’ente abbia rimesso alla Giunta, nell’esercizio della funzione di controllo amministrativo, la possibilità di ordinare lavori di somma urgenza in caso di inerzia o ritardo da parte del competente responsabile del procedimento, quest’ultima può esercitare (in via sostitutiva) tale potere, seguendo per il resto la procedura prevista dagli artt. 191 e 194 del TUEL (che, come visto, va distinta secondo vi sia o meno capienza nelle disponibilità di bilancio).
Naturalmente, in caso di ingiustificata inerzia o ritardo da parte del RUP, potranno essere avviate nei suoi confronti le ordinarie procedure di responsabilità (penale, amministrativa, disciplinare, dirigenziale).

   V. Con il quinto quesito
il Sindaco chiede se, nel caso in cui sia superato il termine di venti giorni, dato alla Giunta dall’art. 191, comma 3, TUEL, si debba sempre procedere ad applicare la procedura del riconoscimento dei debiti fuori bilancio ex art. 194, comma 1, lett. e), TUEL.
La novella legislativa pone un preciso obbligo di attivazione da parte della Giunta nel caso in cui, a fronte dell’ordinazione dei lavori a terzi effettuata dal RUP per rimuovere lo stato di pregiudizio alla pubblica incolumità, i fondi specificamente previsti in bilancio si dimostrino insufficienti.
In questo caso, entro venti giorni dalla predetta ordinazione, deve sottoporre al Consiglio il provvedimento di riconoscimento della spesa con le modalità previste dall'articolo 194, comma 1, lettera e), TUEL, prevedendo la relativa copertura finanziaria.
Nel caso in cui la Giunta non vi provveda, l’art. 176, comma 5, del DPR n. 207/2010 impone, come già esposto, per il caso in cui un'opera o un lavoro intrapreso per motivi di somma urgenza non riporti l'approvazione del competente organo della stazione appaltante, la liquidazione delle spese relative alla sola parte dell'opera o dei lavori realizzati.
In questo caso, inoltre, sulla scorta della regola di carattere generale posta dall’art. 194, comma 1, lett. e), il Consiglio, ove investito della procedura, deve mantenere responsabile della spesa (ex art. 191, comma 4, TUEL) il solo funzionario ordinatore ove ritenga assenti i presupposti per l’ordinario riconoscimento di debito (utilità della quota parte dei lavori effettuati e conseguente arricchimento per l’ente locale).
   VI. Con l’ultimo quesito
il Sindaco chiede se, nel caso di esercizio provvisorio, concesso ai sensi dell’art. 163, comma 3, del TUEL, sussistano limiti all’applicazione degli artt. 191, comma 3, e 194 del TUEL.
Il dettato legislativo non pone limiti all’applicazione degli artt. 191, comma 3, e 194 del TUEL in caso di esercizio provvisorio, se non quelli esplicitati dal medesimo articolo 163, comma 3, alcuni dei quali fissati in maniera puntuale (misura non superiore mensilmente ad un dodicesimo delle somme previste nel bilancio, salvo le spese tassativamente regolate dalla legge), altri suscettibili di margini di autonoma valutazione da pare dei competenti organi dell’ente locale (le spese non suscettibili di pagamento frazionato in dodicesimi, fra le quali possono rientrare, valutate le circostanze del caso concreto, quelle ordinate per far fronte a lavori di somma urgenza).

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Il Sindaco del Comune di Arcola ha formulato una richiesta di parere avente ad oggetto la corretta interpretazione del nuovo testo dell’art. 191, comma 3, del TUEL, come sostituito dall’art. 3, comma 1, lett. i), del d.l. n. 174/2012, convertito con legge n. 213/2012.
Nello specifico evidenzia come l’inciso “qualora i fondi specificamente previsti in bilancio si dimostrino insufficienti”, contenuto nella predetta norma, determina l’applicazione della procedura del riconoscimento dei debiti fuori bilancio nel caso specifico di assenza o insufficienza di fondi, ma nulla dispone nel caso in cui in bilancio vi siano i fondi previsti e con sufficiente disponibilità. Sulla base di tale premessa, il Sindaco pone vari quesiti, distinti sostanzialmente in tre gruppi.
A) Il primo si compone di due quesiti, con i quali chiede:
   1) quando la Giunta possa ritenere sussistenti i predetti fondi, se nel caso in cui esista in bilancio una voce di spesa avente ad oggetto specificamente lavori di somma urgenza oppure anche solo un capitolo di spesa avente oggetto conforme alla natura dei lavori eseguiti in somma urgenza;
   2) quale procedura debba essere seguita, considerato che la regolarizzazione dell’ordinazione fatta senza impegno era prevista dal testo previgente dell’art. 191, comma 3, del TUEL, ora sostituito.
B) Il secondo gruppo di quesiti attiene al coordinamento fra gli artt. 191-194 TUEL e l’art. 176 del DPR n. 207/2010 (Regolamento di esecuzione ed attuazione del d.lgs. n. 163/2006, recante Codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture) che prevede l’obbligo di trasmissione alla stazione appaltante, da parte del responsabile del procedimento o del tecnico, della relazione di somma urgenza, insieme ad una perizia giustificativa, entro dieci giorni dall’ordine di eseguire i lavori. In particolare tale gruppo si suddivide in tre quesiti:
   3) ove sussista somma urgenza e vi sia un fondo specificamente disponibile con sufficiente capienza, se spetti al RUP procedere ad assumere il relativo impegno con propria determinazione oppure possa farlo solo dopo l’atto deliberativo della Giunta che lo autorizzi in tal senso. In alternativa, se debba essere la Giunta stessa ad assumere l’impegno;
   4) se la Giunta, nel caso in cui non ritenga sussistente la somma urgenza dichiarata dal RUP o, anche, in caso di inerzia o ritardo per un intervento non qualificato dal RUP medesimo come di somma urgenza, possa, avendo adeguato stanziamento, regolarizzare l’ordinazione fatta a terzi, e quale sia la procedura da seguire;
   5) se, nel caso in cui sia superato il termine di venti giorni dato alla Giunta dall’art. 191, comma 3, del TUEL, si debba sempre procedere ad applicare la procedura del riconoscimento dei debiti fuori bilancio ai sensi del successivo art. 194, comma 1, lett. e).
C) Il terzo gruppo si sostanzia, infine, in un solo quesito, con il quale il Sindaco chiede:
   6) se, nel caso di esercizio provvisorio, concesso ai sensi dell’art. 163, comma 3, del TUEL, sussistano limiti all’applicazione degli artt. 191, comma 3, e 194 del TUEL.
...
Al fine di analizzare i quesiti avanzati dal Comune, appare opportuna una breve premessa di carattere generale.
Occorre ricordare, infatti, come l’art. 191, comma 1, del TUEL, “Regole per l'assunzione di impegni e per l'effettuazione di spese”, dispone che gli enti locali possono effettuare spese solo se sussiste l'impegno contabile registrato sul competente intervento o capitolo del bilancio di previsione e l'attestazione della copertura finanziaria da parte del responsabile del servizio economico e finanziario (art. 153, comma 5, TUEL).
Il medesimo comma dispone, altresì, che il responsabile del servizio, conseguita l'esecutività del provvedimento di spesa, comunichi al terzo interessato l'impegno e la copertura finanziaria, contestualmente all'ordinazione della prestazione, con l'avvertenza che la successiva fattura deve essere completata con gli estremi della suddetta comunicazione. Il terzo interessato, in mancanza della comunicazione, ha facoltà di non eseguire la prestazione sino a quando i dati non gli vengano comunicati.
Il successivo comma 4 dell’art. 191 TUEL introduce poi specifica sanzione per il caso in cui vi sia stata l'acquisizione di beni e servizi in violazione degli obblighi indicati nel comma 1 (oltre che nei commi 2 e 3, di seguito esaminati) disponendo che il rapporto obbligatorio intercorra, ai fini della controprestazione (per la parte non riconoscibile ai sensi del successivo articolo 194, comma 1, lettera e), tra il privato fornitore e l'amministratore, funzionario o dipendente che hanno consentito la fornitura (per le esecuzioni reiterate o continuative detto effetto si estende a coloro che hanno reso possibili le singole prestazioni).
Lo scopo della norma è quello di proteggere il bilancio degli enti locali dall’ordinazione di spese in assenza della regolare assunzione di impegni e della relativa copertura finanziaria. Tale tutela opera non solo sul piano amministrativo, ma soprattutto su quello civilistico, prevedendo la norma che, in caso di sua violazione, gli effetti del rapporto obbligatorio fra il funzionario dell’ente e l’impresa privata rimangano a carico del primo, senza riverberarsi sul patrimonio dell’ente. Tutto ciò fatto salvo il caso in cui il Consiglio (organo sovrano in materia di bilancio) riconosca l’utilità delle prestazioni fornite e, nei limiti di queste ultime, ritenga legittimo il debito assunto riportandolo all’interno del bilancio dell’ente (art. 194, comma 1, lett. e).
Il comma 3 dell’art. 191 del TUEL reca poi una disciplina specifica per l’assunzione di impegni e l’ordinazione di spese relativamente ai lavori di somma urgenza.
Il testo del predetto comma, previgente alla novella apportata dalla legge n. 213/2012, disponeva che, per i lavori pubblici di somma urgenza, cagionati dal verificarsi di un evento eccezionale o imprevedibile, l'ordinazione fatta a terzi fosse regolarizzata, a pena di decadenza, entro trenta giorni (e comunque entro il 31 dicembre dell'anno in corso se a tale data non era scaduto il predetto termine). Il medesimo testo prevedeva che la comunicazione al terzo interessato fosse data contestualmente alla regolarizzazione.
In sostanza, alla luce della particolare tipologia di spesa (lavoro di somma urgenza), la norma prevedeva la possibilità di regolarizzare l’ordinazione effettuata dal RUP (o da altro tecnico legittimato dalle norme in materia di lavori pubblici), ossia di assumere l’impegno sul pertinente capitolo di bilancio e acquisire l’attestazione della copertura finanziaria da parte del servizio economico e finanziario, entro 30 giorni. Disponeva, inoltre, che la comunicazione al terzo fornitore (che, ai sensi del primo comma, nelle altre fattispecie di spesa viene effettuata contestualmente all’ordinazione) venisse invece effettuata contestualmente alla regolarizzazione (una volta assunto l’atto di impegno e l’attestazione della copertura finanziaria).
Tale discrasia temporale fra l’ordinazione dei lavori (che abilita il terzo appaltatore all’esecuzione) e la comunicazione della regolarizzazione (che consolida il rapporto obbligatorio fra l’ente e il terzo appaltatore) risultava del resto conforme alla disciplina generale dettata in tema di esecuzione di lavori di somma urgenza. L’art. 176, comma 5, del DPR n. 207/2010 (Regolamento di esecuzione del codice dei contratti pubblici, d.lgs. n. 163/2006) dispone, infatti, che qualora un'opera o un lavoro intrapreso per motivi di somma urgenza non riporti l'approvazione del competente organo della stazione appaltante (per quanto concerne gli enti locali concretantesi nella regolarizzazione prevista dall’art. 191, comma 3, del TUEL), si procede alla liquidazione delle sole spese relative alla parte dell'opera o dei lavori realizzati (nel caso di specie, l’effetto sul bilancio dell’ente locale discende da apposita previsione normativa).
Il nuovo testo dell’art. 191, comma 3, del d.lgs. n. 267/2000, come sostituito dall’art. 3, comma 1, lett. i), del d.l. n. 174/2012, convertito con legge n. 213/2012, specifica l’ambito applicativo della disposizione rispetto alla previgente formulazione, prevedendo che, per i lavori pubblici di somma urgenza, la Giunta, qualora i fondi specificamente previsti in bilancio si dimostrino insufficienti, entro venti giorni dall'ordinazione fatta a terzi, su proposta del responsabile del procedimento, sottoponga al Consiglio il provvedimento di riconoscimento della spesa con le modalità previste dall'articolo 194, comma 1, lettera e), prevedendo la relativa copertura finanziaria nei limiti delle accertate necessità per la rimozione dello stato di pregiudizio alla pubblica incolumità.
Il comma prosegue precisando che il provvedimento di riconoscimento sia adottato dal Consiglio entro 30 giorni dalla data di deliberazione della proposta da parte della Giunta (e comunque entro il 31/12 dell'anno in corso se a tale data non sia scaduto il predetto termine).
Infine, circa la comunicazione al terzo interessato, la norma dispone che sia data contestualmente all'adozione della deliberazione consiliare.
La novella legislativa ha disciplinato in maniera specifica l’ipotesi (abbastanza ricorrente) in cui, a fronte della necessità di ordinare lavori di somma urgenza per prevenire il rischio di pericoli o riparare il danno per l‘incolumità pubblica, i fondi specificamente previsti in bilancio si dimostrino insufficienti.
Mentre la formulazione originaria del comma non distingueva le due ipotesi, lasciando nell’ombra la disciplina da adottare nel caso in cui i fondi di bilancio fossero incapienti, la nuova norma si occupa proprio di tale ipotesi. Per quanto concerne, invece, la fattispecie dell’ordinazione di lavori di somma urgenza in presenza di adeguati fondi nel bilancio, in assenza di specifica previsione normativa, si deve ritenere che la fattispecie sia regolata dalla disciplina generale in tema di impegni e ordinazione di spesa (artt. 191, commi 1 e 4, e 194 TUEL) in combinato disposto con quella, richiamata anche dal Comune istante, prevista nel Regolamento attuativo del codice dei contratti pubblici (art. 176 DPR n. 207/2010).
Il procedimento prefigurato dal legislatore nel novellato art. 191, comma 3, del TUEL si sviluppa secondo un iter che vede il RUP (o altro tecnico abilitato), alla ricorrenza dei presupposti previsti dalla legge (cfr. art. 176 DPR n. 207/2010), ordinare al privato appaltatore l’esecuzione di lavori di somma urgenza.
In questo caso, solo ove i fondi di bilancio si rivelino insufficienti a coprire le relative spese (come da accertamento condotto, ex art. 153 e 191 TUEL, dal responsabile del procedimento e dal responsabile del servizio economico e finanziario), la Giunta, entro 20 giorni dall’ordinazione dei lavori, deve sottoporre al Consiglio una proposta di riconoscimento della spesa ai sensi dell’art. 194, comma 1, lett. e (norma che, come noto, disciplina il riconoscimento dell’acquisizione di beni e servizi, in violazione degli obblighi posti dai commi 1, 2 e 3 dell'articolo 191, in presenza di dimostrata utilità ed arricchimento per l'ente) prevedendo la relativa copertura finanziaria nei limiti delle accertate necessità per la rimozione dello stato di pregiudizio alla pubblica incolumità.
La norma, in sostanza, in assenza di adeguati stanziamenti a bilancio, rimette al Consiglio, organo sovrano in materia, la responsabilità di verificare la necessità della spesa ordinata per la rimozione dello stato di pregiudizio alla pubblica incolumità e di approvare la relativa copertura finanziaria proposta dalla Giunta (utilizzando le risorse previste dall’art. 193, comma 3, e 194, comma 3, del TUEL).
Nel caso in cui il Consiglio, invece, non provveda al predetto riconoscimento, troverà applicazione il citato art. 176, comma 5, del DPR n. 207/2010 (liquidazione al terzo appaltatore delle spese relative alla parte dell'opera o dei lavori realizzati). Queste ultime, inoltre, potrebbero rimanere a carico del solo funzionario ordinatore in assenza del riconoscimento, da parte del Consiglio (ai sensi dell’ordinaria regola posta dall’art. 194, comma 1, lett. e, del TUEL) dell’utilità di tale quota parte di lavori e del conseguente arricchimento per l’ente locale.
Effettuato tale sommaria illustrazione della disciplina legislativa, è possibile procedere all’esame specifico dei quesiti posti dal Comune.
   I. Con il primo quesito,
premesso che l’inciso del comma 3 dell’art. 191 TUEL (“qualora i fondi specificamente previsti in bilancio si dimostrino insufficienti”) determina l’applicazione della procedura di riconoscimento dei debiti fuori bilancio nel caso di assenza o insufficienza di fondi, ma nulla dispone nel caso in cui in bilancio vi siano risorse sufficienti, il Sindaco chiede quando la Giunta possa ritenere sussistenti i predetti fondi. In particolare solo nel caso in cui esista in bilancio una voce di spesa avente ad oggetto specificamente somme urgenze oppure anche in presenza di un capitolo di spesa avente un oggetto conforme alla natura dei lavori eseguiti in somma urgenza.
Sotto tale profilo va richiamata la normativa in materia di struttura del bilancio e di competenza alla relativa approvazione. L’art. 165 TUEL prevede, al comma 5, che la spesa del bilancio degli enti locali sia ordinata gradualmente in titoli, funzioni, servizi ed interventi (in relazione, rispettivamente, ai principali aggregati economici, alle funzioni degli enti, ai singoli uffici che gestiscono un complesso di attività ed alla natura economica dei fattori produttivi nell'ambito di ciascun servizio).
L’art. 165, comma 8, del TUEL dispone poi che a ciascun servizio sia correlato un reparto organizzativo, composto da persone e mezzi, cui è preposto un responsabile e, a tale servizio, ai sensi del successivo comma 9, è affidato, col bilancio di previsione, un complesso di mezzi finanziari (specificati negli interventi assegnati) del quale risponde il responsabile del servizio (nel caso di specie del servizio tecnico o di altro competente all’ordinazione di lavori di somma urgenza).
L’art. 169 TUEL dispone inoltre che, sulla base dell’annuale bilancio di previsione, deliberato dal Consiglio, l'organo esecutivo (Giunta) definisca il piano esecutivo di gestione, determinando gli obiettivi ed affidando gli stessi, unitamente alle dotazioni necessarie, ai responsabili dei servizi. Il piano esecutivo di gestione contiene inoltre un’ulteriore graduazione, per quanto concerne la spesa, degli interventi in capitoli.
Il bilancio, approvato sino al livello degli “interventi” dal Consiglio comunale, è variabile dal medesimo organo (e, in tal senso, dispone l’art. 175, comma 2, del TUEL), mentre le variazioni al piano esecutivo di gestione sono di competenza della Giunta (sempre simmetricamente alla competenza all’approvazione, cfr. art. 169 TUEL).
La medesima strutturazione del bilancio è fatta propria nel DPR n. 194/1996 (e allegati schemi di bilancio).
Alla luce di quanto esposto,
la valutazione della sufficienza o meno dei fondi per l’esecuzione di lavori di somma urgenza dipende dalla strutturazione del singolo bilancio, come approvato dal Consiglio comunale e specificato, con il piano esecutivo di gestione, dalla Giunta.
Pertanto il responsabile del procedimento, competente all’ordinazione dei lavori (ex art. 176 DPR n. 207/2010), deve valutare (assieme al responsabile del servizio economico e finanziario, ex art. 153, comma 5, TUEL) la presenza di risorse sufficienti negli interventi a lui assegnati o, se necessario, promuovere la variazione del piano esecutivo di gestione da parte della Giunta (ex art. 169 TUEL).
Nel caso in cui invece non vi siano nei capitoli o interventi assegnati sufficienti risorse, per reperirne di ulteriori, il responsabile del servizio, ai sensi dell’art. 191, comma 3, del TUEL deve proporre alla Giunta di investire della competenza il Consiglio in aderenza ai principi generali
(specificati, per il caso di specie dei lavori di somma urgenza, dal novellato art. 191, comma 3).
   II. Con il secondo quesito
il Comune chiede quale procedura debba seguire, considerato che la regolarizzazione dell’ordinazione fatta senza impegno era prevista dal testo previgente dell’art. 191, comma 3, riformulato nel 2012.
Pur rilevando la mancata chiarezza del quesito proposto,
la Sezione ritiene che il dubbio afferisca alla sola ipotesi in cui il bilancio presenti disponibilità sufficienti. Si tratta di una delle due fattispecie, non esplicitate, presenti nell’originaria formulazione del comma 3 dell’art. 191 TUEL (che, come visto, per l’ordinazione di lavori di somma urgenza imponeva la regolarizzazione entro trenta giorni, con comunicazione contestuale al terzo interessato degli estremi di impegno e attestazione di copertura finanziaria).
Il dubbio posto dal Comune può essere risolto applicando i principi di carattere generale, quali esplicitati dal comma 1 dell’art. 191 TUEL (di cui il comma 3 non è altro che una specificazione).
In presenza in bilancio di fondi sufficienti (come definiti nel precedente paragrafo), il RUP (o altro tecnico competente, ai sensi dell’art. 176 del DPR n. 207/2010) contestualmente all’ordinazione dei lavori, deve procedere all’assunzione di impegno ed alla richiesta di attestazione della relativa copertura al responsabile del servizio economico e finanziario (ex art. 153, comma 5, TUEL), comunicando i relativi estremi al terzo appaltatore (tendendo conto che, come prevede l’art. 191 comma 1, TUEL, fino alla ricezione di tale comunicazione quest’ultimo può rifiutarsi di eseguire la prestazione).
   III. Come accennato, il secondo gruppo di quesiti attiene al coordinamento fra gli artt. 191 e 194 TUEL e l’art. 176 del DPR n. 207/2010, che prevede l’obbligo di trasmissione alla stazione appaltante, da parte del responsabile del procedimento o di altro tecnico competente, della relazione di somma urgenza, insieme alla perizia giustificativa, entro dieci giorni dall’ordine di eseguire i lavori.
In particolare, con il terzo quesito
il Comune chiede, ove sussista somma urgenza e vi sia un fondo specificamente disponibile, se spetti al RUP procedere tempestivamente ad assumere il relativo impegno (con propria determinazione) oppure possa farlo solo dopo l’atto deliberativo della Giunta (di autorizzazione). In alternativa, il Sindaco chiede se debba essere la Giunta stessa ad assumere l’impegno.
Sulla scorta di quanto sinora esposto, è possibile precisare che,
ove le risorse presenti sul pertinente intervento di bilancio assegnato al responsabile del servizio siano capienti, spetta a quest’ultimo assumere l’impegno di spesa (in aderenza alla previsione generale posta dall’art. 183, comma 9, del TUEL), cui accede, ai fini della regolarizzazione necessaria per la corretta ordinazione della spesa, l’attestazione della copertura da parte del responsabile del servizio economico e finanziario.
L’assunzione dell’impegno da parte del RUP prescinde in tale ipotesi, come esposto, dall’intervento di una delibera di Giunta (o di Consiglio), essendo già presenti e disponibili a bilancio i relativi fondi.

   IV. Con il quarto quesito
il Comune chiede se la Giunta, nel caso in cui non ritenga sussistente la somma urgenza dichiarata dal RUP o, ancora, in caso di inerzia o ritardo del RUP per un intervento da quest’ultimo non qualificato come di somma urgenza, possa, avendo adeguato stanziamento, regolarizzare l’ordinazione fatta a terzi. E, in questo caso, quale procedura debba essere seguita.
In proposito vanno richiamate le regole procedurali previste dall’art. 176 del DPR n. 207/2010 che
rimettono al “soggetto fra il responsabile del procedimento e il tecnico che si reca prima sul luogo” il potere di disporre (contemporaneamente alla redazione del verbale di cui al precedente art. 175) l’immediata esecuzione dei lavori entro il limite di 200.000 euro o comunque di quanto indispensabile per rimuovere lo stato di pregiudizio alla pubblica incolumità.
Allo stesso modo
l’art. 191, comma 3, del TUEL (sia nella formulazione attuale che in quella precedente) rimette l’iniziativa dell’ordinazione dei lavori e dell’avvio dell’eventuale procedura di regolarizzazione al responsabile del procedimento, alla luce della natura prettamente tecnica della relativa valutazione (si ricorda, per inciso, che ai sensi dell’art. 9 del DPR n. 207/2010, il responsabile del procedimento nelle procedure di realizzazione di lavori pubblici deve essere un tecnico, di regola abilitato all’esercizio della professione).
La ripartizione appare in linea con l’attribuzione delle competenze spettanti agli organi politici rispetto a quelle dei dirigenti (o dei funzionari negli enti in cui non è prevista la dirigenza), delineata in linea generale dal d.lgs. n. 165/2011 e, nello specifico, dagli artt. 107 e 183 (definenti le attribuzioni, amministrative e contabili, dei dirigenti e dei responsabili dei servizi) e 48 del TUEL (definente le competenze della Giunta).
Sotto tale ultimo profilo può ricordarsi
come la Giunta possa compiere tutti gli atti rientranti, ai sensi dell'articolo 107, commi 1 e 2, del TUEL nelle funzioni degli organi di governo. Quest’ultima disposizione rimette a statuti e regolamenti i criteri per la direzione degli uffici e dei servizi (atti di normazione secondaria che devono uniformarsi al principio per cui i poteri di indirizzo e di controllo politico-amministrativo spettano agli organi di governo, mentre la gestione amministrativa, finanziaria e tecnica è attribuita ai dirigenti), specificando che comunque spetta ai dirigenti l'adozione degli atti e dei provvedimenti che impegnano l'amministrazione verso l'esterno, non ricompresi espressamente dalla legge o dallo statuto tra le funzioni di indirizzo e controllo politico-amministrativo degli organi di governo dell'ente (sulla ripartizione di competenze fra dirigenti e organi di governo dell’ente locale si rinvia a TAR Puglia, Bari, n. 1131/2008; TAR Lazio, Roma, n. 1236/2012; TAR Campania, Napoli, n. 2610/2012).
Di conseguenza
solo nel caso in cui lo statuto dell’ente abbia rimesso alla Giunta, nell’esercizio della funzione di controllo amministrativo, la possibilità di ordinare lavori di somma urgenza in caso di inerzia o ritardo da parte del competente responsabile del procedimento, quest’ultima può esercitare (in via sostitutiva) tale potere, seguendo per il resto la procedura prevista dagli artt. 191 e 194 del TUEL (che, come visto, va distinta secondo vi sia o meno capienza nelle disponibilità di bilancio).
Naturalmente, in caso di ingiustificata inerzia o ritardo da parte del RUP, potranno essere avviate nei suoi confronti le ordinarie procedure di responsabilità (penale, amministrativa, disciplinare, dirigenziale).

   V. Con il quinto quesito
il Sindaco chiede se, nel caso in cui sia superato il termine di venti giorni, dato alla Giunta dall’art. 191, comma 3, TUEL, si debba sempre procedere ad applicare la procedura del riconoscimento dei debiti fuori bilancio ex art. 194, comma 1, lett. e), TUEL.
La novella legislativa pone un preciso obbligo di attivazione da parte della Giunta nel caso in cui, a fronte dell’ordinazione dei lavori a terzi effettuata dal RUP per rimuovere lo stato di pregiudizio alla pubblica incolumità, i fondi specificamente previsti in bilancio si dimostrino insufficienti. In questo caso, entro venti giorni dalla predetta ordinazione, deve sottoporre al Consiglio il provvedimento di riconoscimento della spesa con le modalità previste dall'articolo 194, comma 1, lettera e), TUEL, prevedendo la relativa copertura finanziaria.
Nel caso in cui la Giunta non vi provveda, l’art. 176, comma 5, del DPR n. 207/2010 impone, come già esposto, per il caso in cui un'opera o un lavoro intrapreso per motivi di somma urgenza non riporti l'approvazione del competente organo della stazione appaltante, la liquidazione delle spese relative alla sola parte dell'opera o dei lavori realizzati.
In questo caso, inoltre, sulla scorta della regola di carattere generale posta dall’art. 194, comma 1, lett. e), il Consiglio, ove investito della procedura, deve mantenere responsabile della spesa (ex art. 191, comma 4, TUEL) il solo funzionario ordinatore ove ritenga assenti i presupposti per l’ordinario riconoscimento di debito (utilità della quota parte dei lavori effettuati e conseguente arricchimento per l’ente locale).
   VI. Con l’ultimo quesito
il Sindaco chiede se, nel caso di esercizio provvisorio, concesso ai sensi dell’art. 163, comma 3, del TUEL, sussistano limiti all’applicazione degli artt. 191, comma 3, e 194 del TUEL.
Il richiamato art. 163, comma 3, del TUEL dispone che, ove la scadenza del termine per la deliberazione del bilancio di previsione sia stata fissata da norme statali in un periodo successivo all'inizio dell'esercizio finanziario di riferimento (come usualmente ormai da tempo avviene; da ultimo il DM Interno del 29/04/2014 ha prorogato la scadenza per la presentazione del bilancio di previsione per il 2014 al 31/07/2014), l'esercizio provvisorio si intende automaticamente autorizzato sino a tale termine. In questo caso si applicano le modalità di gestione previste dal comma 1 della medesima norma, intendendosi come riferimento l'ultimo bilancio definitivamente approvato.
Il predetto comma 1 dispone che, in caso di esercizio provvisorio, gli enti locali possano effettuare, per ciascun intervento, spese in misura non superiore mensilmente ad un dodicesimo delle somme previste nel bilancio, con esclusione di quelle tassativamente regolate dalla legge o non suscettibili di pagamento frazionato in dodicesimi.
Il dettato legislativo non pone limiti all’applicazione degli artt. 191, comma 3, e 194 del TUEL in caso di esercizio provvisorio, se non quelli esplicitati dal medesimo articolo 163, comma 3, alcuni dei quali fissati in maniera puntuale (misura non superiore mensilmente ad un dodicesimo delle somme previste nel bilancio, salvo le spese tassativamente regolate dalla legge), altri suscettibili di margini di autonoma valutazione da pare dei competenti organi dell’ente locale (le spese non suscettibili di pagamento frazionato in dodicesimi, fra le quali possono rientrare, valutate le circostanze del caso concreto, quelle ordinate per far fronte a lavori di somma urgenza) (Corte dei Conti, Sez. controllo Liguria, parere 09.05.2014 n. 31).

APPALTI: Sull'esercizio del potere sanzionatorio da parte dell'Autorità per la Vigilanza sui Contratti Pubblici di Lavori, Servizi e Forniture (Avcp) .
L'esercizio del potere sanzionatorio da parte dell' Autorità per la Vigilanza sui Contratti Pubblici di Lavori, Servizi e Forniture (Avcp) deve riguardare per essere giustificato sul piano della razionalità e della ragionevolezza, un comportamento più grave ed ulteriore rispetto al mancato possesso dei requisiti o alla falsa attestazione degli stessi, che espone già l'operatore economico partecipante alla gara all'esclusione dalla stessa e all'escussione della cauzione provvisoria.
In effetti, l'ordinamento attribuisce all'Autorità di Vigilanza il potere sanzionatorio, in particolare quello di irrogare la sanzione pecuniaria, nel caso in cui vengano rese informazioni non veritiere o forniti documenti non veritieri, qualora a detta falsità corrisponda una "lacuna sostanziale", ossia l'effettiva mancanza del requisito falsamente dichiarato esistente.
Proprio la diversità dei presupposti del potere sanzionatorio della stazione appaltante ex art. 48 del d.lgs. n. 163 del 2006 e dell'Avcp ex art. 6, comma 11, del medesimo testo legislativo comporta che l'archiviazione del procedimento dinnanzi alla'Autorità di vigilanza non comporta l'illegittimità delle sanzioni irrogate dalla stazione appaltante (TAR Abruzzo-L'Aquila, sentenza 02.05.2014 n. 404 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

aprile 2014

LAVORI PUBBLICICds e requisiti. Gare, ok avvalimento parziale.
Legittimo l'avvalimento parziale dei requisiti anche nelle gare di lavori pubblici.

In attesa dell'adeguamento normativo previsto nella legge europea 2013-bis, per il Consiglio di Stato non c'è più dubbio alcuno che possa essere ammesso l'avvalimento parziale dei requisiti nelle gare di lavori pubblici e in tal senso è perentorio il contenuto della sentenza 28.04.2014 n. 2200 della V Sez..
In primo grado il Tar Calabria (sent. 868/2013) aveva invece riconosciuto la carenza, in capo all'aggiudicataria, della qualificazione nella categoria OG11, classifica III, e non aveva ammesso ai sensi dell'art. 61, dpr 207/2010, l'aumento del quinto in favore dell'impresa ausiliaria (in possesso del requisito di categoria OG 11, classifica II), ostandovi il divieto di frazionamento dei requisiti di qualificazione tra l'impresa ausiliaria e quella ausiliata.
Per il Cds, invece, dopo la sentenza della Corte di giustizia Ue, 10/10/2013, n. C-94/12, «deve ritenersi definitivamente superata la tesi che vieta l'uso dell'avvalimento per conseguire il cosiddetto “cumulo parziale dei requisiti”; la Corte di Giustizia, infatti, ha considerato del tutto legittimo che le capacità di terzi soggetti ausiliari (uno o più d'uno), si aggiungano alle capacità del concorrente, al fine di soddisfare –attraverso il cumulo di referenze singolarmente insufficienti– il livello minimo di qualificazione prescritto dalla stazione appaltante nella legge di gara».
Va considerato che nel frattempo lo stesso Cds (cfr. sez. V, 09.12.2013, n. 5874) aveva già accolto le indicazioni europee. Appare quindi ormai consolidato e certo l'orientamento del Consiglio di Stato teso a recepire i contenuti della sentenza europea e quindi ad affermare il riconoscimento del diritto al cumulo dei requisiti all'interno della medesima categoria con il corollario dell'aumento del quinto.
Va peraltro considerato che anche il legislatore si sta adeguando: con un emendamento al disegno di legge europea 2013-bis è stata prevista la sostituzione del comma 6 dell'articolo 49 del Codice dei contratti pubblici al fine di eliminare il divieto di ricorrere a più di una impresa ausiliaria per lavori compresi nella stessa categoria di qualificazione (articolo ItaliaOggi del 16.05.2014 - tratto da www.centrostudicni.it).

APPALTI: L'art. 84, c. 4, D.Lgs. 12.04.2006 n. 163, esprime una regula iuris di portata generale volta a dare concreta attuazione ai principi di imparzialità e di buona amministrazione contenuti dall'art. 97 della Costituzione
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La previsione di legge di cui all'art. 84, c. 4 previene il pericolo concreto di possibili effetti distorsivi prodotti dalla partecipazione alle commissioni giudicatrici di soggetti che siano intervenuti a diverso titolo nella procedura concorsuale.

L'art. 84, c. 4, D.Lgs. 12.04.2006 n. 163, prevede che nella gare da aggiudicare con il criterio dell'offerta economicamente più vantaggiosa, "i commissari diversi dal Presidente non devono aver svolto né possono svolgere alcun'altra funzione o incarico tecnico o amministrativo relativamente al contratto del cui affidamento si tratta".
Alla stregua di un consolidato insegnamento giurisprudenziale, il dettato di cui al 4° c. dell'art. 84 D.Lgs. 12.04.2006 n. 163 esprime una regula iuris di portata generale volta a dare concreta attuazione ai principi di imparzialità e di buona amministrazione contenuti dall'art. 97 della Costituzione.
La norma esprime la necessità di conciliare i principi di economicità, di semplificazione e di snellimento dell'azione amministrativa con quelli di trasparenza, efficacia ed adeguatezza, regolando la scelta dei componenti delle commissioni di cui è demandata l'individuazione dell'offerta economicamente più vantaggiosa in guisa da depotenziare profili di incidenza negativa sulla trasparenza e sull' imparzialità della commissione giudicatrice.
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L'Adunanza Plenaria con decisione 07.05.2013, n. 13 ha ritenuto che l'art. 84, c. 4, d.lgs. 12.04.2006, n. 163, risponde all'esigenza di rigida separazione della fase di preparazione della documentazione di gara con quella di valutazione delle offerte in essa presentate, a garanzia della neutralità del giudizio ed in coerenza con la ratio generalmente sottesa alle cause di incompatibilità dei componenti degli organi amministrativi; è pertanto incompatibile il componente della commissione giudicatrice che era stato precedentemente incaricato della redazione del bando e del disciplinare di gara.
La previsione di legge di cui all'art. 84, c. IV, è, in definitiva, destinata a prevenire il pericolo concreto di possibili effetti distorsivi prodotti dalla partecipazione alle commissioni giudicatrici di soggetti (progettisti, dirigenti che abbiano emanato atti del procedimento di gara e così via) che siano intervenuti a diverso titolo nella procedura concorsuale definendo i contenuti e le regole della procedura. In base alla consolidata giurisprudenza amministrativa, una volta accertata l'illegittimità dell'azione della P.A., è a quest'ultima che spetta, al fine di vincere una presunzione insita nell'illegittimità dell'azione amministrativa, provare l'assenza di colpa attraverso la deduzione di circostanze integranti gli estremi del c.d. errore scusabile, ovvero l'inesigibilità di una condotta alternativa lecita.
Nel caso di specie, nella valutazione del comportamento dell'amministrazione rilevano, quali indici sintomatici di una condotta colposa non vinti dalla deduzione di un errore scusabile, il mancato rispetto dei principi in tema di composizione della commissione e la violazione di una chiara normativa di gara (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 28.04.2014 n. 2191 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

LAVORI PUBBLICI: Società consortile e appalto.
Domanda
Gradirei qualche delucidazione in merito all'interpello recente, presentato dall'Ance al ministero del lavoro e delle politiche sociali, concernente l'impresa affidataria dei lavori edili e una società consortile.
La lettura della risposta ministeriale è abbastanza complessa ed è opportuno che se ne chiariscano i contorni per non cadere in errore. L'ho interpretata in un certo verso ma gradirei la conferma da parte del vostro esperto.
Risposta
Nell'ordine, rileggendo l'interpello (Ministero del lavoro delle Politiche Sociali 27/03/2014), già nell'oggetto troviamo un primo richiamo legislativo (art. 12, dlgs n. 81/2008). È la premessa che autorizza anche l'organizzazione dei datori di lavoro, soggetto comparativamente fra i più rappresentativi sul piano nazionale (in questo caso l'Ance), a inoltrare interpelli alla Commissione per gli interpelli Poi, nel decreto si precisa che «impresa affidataria [è l']impresa titolare del contratto di appalto con il committente che, nell'esecuzione dell'opera appaltata, può avvalersi di imprese subappaltatrici o di lavoratori autonomi...».
Il quesito specifico concerne l'individuazione dell'impresa affidataria, nel caso di costituzione (dopo l'aggiudicazione dell'appalto pubblico o privato) di una società consortile, subentrante ma né «subappaltata» né cessionaria del contratto, nell'esecuzione per l'attuazione unitaria dei lavori; operazione consentita dall'art. 93 del dpr n. 207/2010 (Regolamento appalti). Alla società consortile devono aderire «tutti i concorrenti riuniti, nella medesima percentuale di partecipazione al raggruppamento». La risposta dell'adita Commissione per gli interpelli precisa che:
- la società consortile esecutrice dei lavori ha il potere di subappaltarli, assumendo l'onere dei rapporti con i terzi, mentre le singole imprese costituenti l'Ati sono escluse dall'esecuzione diretta dei lavori;
- il contratto resta in capo all'Ati ma la gestione dei lavori compete alla società consortile (articolo ItaliaOggi Sette del 28.04.2014).

EDILIZIA PRIVATAIn gara nonostante il concordato. Avcp: in assenza del decreto di ammissione.
Le imprese di costruzioni che hanno fatto domanda di concordato preventivo con continuità aziendale, ma ancora non hanno ricevuto il decreto di ammissione, possono partecipare alle gare, autorizzate dal tribunale, eseguire i contratti e conseguire attestati Soa.

È quanto precisa l'Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici con la determinazione 23.04.2014 n. 3 che segue il comunicato n. 68 del 29.11.2011.
In particolare l'Autorità precisa che al di fuori dei confini indicati dal citato articolo 186-bis, le imprese sottoposte a concordato preventivo «ordinario» rientrano nell'operatività della causa ostativa prevista dall'art. 38, comma 1, lett. a), del Codice, con conseguente incapacità di conseguire l'attestazione in forza del rinvio contenuto nell'art. 78 del dpr n. 207/2010 ai requisiti di carattere generale previsti per la partecipazione alle gare.
Invece per le imprese già qualificate, sottoposte a concordato preventivo «ordinario», l'Autorità chiarisce che sono soggette ai procedimenti di decadenza dell'attestazione per sopravvenuta perdita del requisito di ammissione alla gara di ordine generale. Inoltre la causa ostativa in caso di concordato preventivo «ordinario» si precisa che decorre dalla domanda di ammissione al concordato, e cessa con il decreto di omologazione del concordato preventivo ai sensi dell'articolo 180 della legge fallimentare.
La determina afferma inoltre che la presentazione della domanda di ammissione al concordato preventivo con le caratteristiche proprie del concordato «con continuità aziendale», non comporta la decadenza dell'attestazione di qualificazione, perché impedisce la risoluzione dei contratti in corso e consente, previa autorizzazione del Tribunale, la partecipazione alle procedure di affidamento di contratti pubblici. Inoltre la domanda di ammissione non impedisce la verifica triennale o il rinnovo (per le imprese attestate) o il conseguimento dell'attestazione di qualificazione (per le imprese non attestate).
Occorre però che la Soa proceda a monitorare lo svolgimento della procedura concorsuale in atto e a verificare il mantenimento del requisito con l'intervenuta ammissione al concordato preventivo con continuità aziendale. Dopo l'emissione del decreto di ammissione alla procedura di concordato preventivo con continuità aziendale, le imprese, dice la determina, possono dimostrare il possesso del requisito di ordine generale precisando chele prescrizioni di cui all'art. 186-bis, comma 5 l.f. sono espressamente riferite alla sola fase di gara (articolo ItaliaOggi del 20.05.2014 - tratto da www.centrostudicni.it).
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Criteri interpretativi in ordine alle disposizioni contenute nell’art. 38, comma 1, lett. a), del D. Lgs. n. 163/2006 afferenti alle procedure di concordato preventivo a seguito dell’entrata in vigore dell’articolo 186-bis della legge fallimentare (concordato con continuità aziendale).
L’art. 186-bis della legge fallimentare, che disciplina il concordato preventivo con continuità aziendale, prevede, tra l’altro, al ricorrere di determinate condizioni, la prosecuzione dei contratti stipulati con pubbliche amministrazioni. L’introduzione di tale fattispecie ha comportato la modifica dell’articolo 38, comma 1, lettera a), del D.Lgs. n. 163/2006, confermando tra le cause di esclusione dalla partecipazione alle procedure di affidamento l’assoggettamento dell’impresa ad una procedura di concordato preventivo, ma facendo salvo il caso del concordato preventivo con continuità aziendale.
Al di fuori dei confini indicati dall’articolo 186-bis, della legge fallimentare, le imprese sottoposte a concordato preventivo “ordinario” rientrano nell’operatività della causa ostativa prevista dall’art. 38, comma 1, lett. a), del D.Lgs. n. 163/2006, e non possono partecipare alle gare né conseguire l’attestazione di qualificazione e, ove già qualificate, sono soggette ai procedimenti ex art. 40, comma 9-ter del D.Lgs. n. 163/2006, di decadenza dell’attestazione per sopravvenuta perdita del requisito di cui all’art. 38, comma 1, lett. a), del medesimo D.Lgs. La causa ostativa decorre dalla domanda di ammissione al concordato preventivo “ordinario”, e cessa con il decreto di omologazione del concordato preventivo ai sensi dell’articolo 180 della legge fallimentare.
Il cd. “concordato in bianco”, riconosce al debitore la facoltà di depositare, presso la cancelleria del Tribunale competente, un ricorso per l'ammissione alla procedura di concordato preventivo, riservandosi di produrre successivamente, nel termine fissato con decreto dal giudice, la proposta e il piano concordatario e i documenti previsti dall'articolo 161, della legge fallimentare.
Detta fattispecie non risulta idonea a permettere la prosecuzione dell’attività e costituisce causa ostativa per la qualificazione nonché presupposto per la soggezione dell’impresa al procedimento ex art. 40, comma 9-ter del D.Lgs. n. 163/2006, per perdita del corrispondente requisito. La presentazione della domanda di ammissione al concordato preventivo con continuità aziendale, consente, previa autorizzazione del Tribunale, la partecipazione alle procedure di affidamento di contratti pubblici e non comporta la decadenza dell’attestazione di qualificazione.
In tale ipotesi, la domanda di ammissione non costituisce elemento ostativo ai fini della verifica triennale o del rinnovo (per le imprese attestate) o del conseguimento dell’attestazione di qualificazione (per le imprese non attestate), fermo restando l’obbligo della SOA di monitorare lo svolgimento della procedura concorsuale in atto e di verificare il mantenimento del requisito con l’intervenuta ammissione al concordato preventivo con continuità aziendale. Successivamente al decreto di ammissione alla procedura di concordato preventivo con continuità aziendale, le imprese possono dimostrare il possesso del requisito di cui all’art. 38, c. 1, lett. a), in sede di rilascio dell’attestazione di qualificazione, con la precisazione che le prescrizioni di cui all’art. 186-bis, comma 5, della L.F. sono espressamente riferite alla sola fase di gara.

APPALTI FORNITURE E SERVIZIMini-enti, solo acquisti online. Mercato elettronico anche se operano con strutture proprie. La Corte conti Basilicata pone i paletti per l'approvvigionamento di beni e servizi.
I comuni con meno di 5.000 abitanti sono tenuti a utilizzare sistemi elettronici per gli acquisti sotto soglia comunitaria, anche nel caso di amministrazione diretta. L'obbligo generalizzato di cui all'art. 1, comma 450, legge 296/2006, è infatti ulteriore e autonomo rispetto a quanto previsto dal novellato art. 33, co. 3-bis, dlgs 163/2006 in materia di acquisizione centralizzata di beni e servizi.

È questo il principale chiarimento fornito dalla Corte dei conti, sezione regionale di controllo per la Basilicata, nella deliberazione 09.04.2014 n. 67, diffusa nei giorni scorsi, che affronta nuovamente il tema dell'acquisto di beni e servizi dopo le disposizioni introdotte nell'ambito del dl 95/2012 spending review sul ricorso obbligato a sistemi elettronici (es. Mepa).
Per i comuni sotto i 5.000 abitanti, l'obbligo di mercato elettronico si affianca a quello previsto dall'art. 33, co. 3-bis, del dlgs 163/2006, che prevede (con decorrenza rinviata al 01.07.2014 per effetto del dl 150/2013 art. 3 comma 1-bis) l'acquisizione di lavori, beni e servizi tramite unica centrale di committenza nell'ambito delle Unioni o mediante apposito accordo consortile. In alternativa, gli stessi enti possono effettuare i propri acquisti attraverso gli strumenti elettronici gestiti da altre centrali di committenza di riferimento o attraverso il Mepa.
Il mercato elettronico si configura, in tale contesto, come modalità di acquisto accentrato alternativa e obbligatoria, se e nella misura in cui lo sarà il ricorso alle centrali di committenza. Tuttavia, l'art. 1, co. 343, della legge n. 147/2013, ha escluso dalla sua applicazione gli acquisti in economia mediante amministrazione diretta e le ipotesi di affidamento diretto, per importi inferiori ai 40.000 euro. Da qui la richiesta di parere se la novella abbia fatto venire meno l'obbligo, per detti comuni, di acquistare servizi e forniture in economia, mediante amministrazione diretta, sui mercati elettronici della p.a. o altri strumenti elettronici di acquisto gestiti da altre centrali di committenza di riferimento.
In realtà, la modifica normativa codifica un principio già espresso dalla Corte dei conti: le forme di acquisizione che non presuppongono l'espletamento di gare non rientrano comunque nell'alveo dell'art. 33 co. 3-bis. In particolare, l'amministrazione diretta esula dal Codice dei contratti, in quanto ipotesi di «autoproduzione» o «in house», limitatamente ai casi in cui le acquisizioni avvengono attraverso personale e mezzi propri dell'amministrazione. Rientrano invece nell'ambito del Codice i casi in cui, per l'esecuzione, si ricorre comunque all'esterno, avvalendosi di mezzi appositamente acquisiti o noleggiati.
Con riferimento quindi all'obbligo di ricorrere a centrali di committenza e/o agli strumenti o mercati elettronici di approvvigionamento di cui all'art. 33, co. 3-bis, se non sarà possibile procedere ad affidamenti diretti ex art. 125, co. 8 e 11, si dovrà (una volta entrato in vigore l'obbligo) procedere all'acquisto centralizzato; diversamente, si potrà operare autonomamente. In ogni caso, però, per il disposto dell'art. 1, co. 450, legge n. 296/2006, si dovrà obbligatoriamente fare ricorso ai mercati elettronici e/o agli strumenti telematici.
Per tutte le amministrazioni locali il ricorso al mercato elettronico potrà essere escluso nelle sole residuali ipotesi di non reperibilità ovvero inidoneità dei beni o servizi rispetto alle necessità dell'ente o, privilegiando un'interpretazione sistematica della disposizione, nel caso in cui quel determinato bene o materiale sia reperibile all'esterno a condizioni economiche migliorative, sempre previa prudente istruttoria e valutazione e adeguata motivazione della stessa nell'ambito della determinazione a contrarre. In tutti gli altri casi, il mancato ricorso alle modalità di acquisto prescritte comporta le conseguenze di cui all'art. 1, co. 1, legge 135/2012, cioè la nullità del contratto e le responsabilità a questo correlate.
Gli obblighi per i comuni in tema di acquisti non sono comunque circoscritti agli enti con popolazione inferiore a 5.000 abitanti. Oltre alle disposizioni generali e ai vincoli del dl 95/2012 art. 1 non possono passare inosservate le norme del dl 101/2013 che all'art. 3-bis impone di rivedere i contratti di servizio, con riduzione di oneri, anche con le proprie aziende partecipate (articolo ItaliaOggi del 18.04.2014).
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Si ritiene che nel caso di acquisti in economia, mediante amministrazione diretta, i Comuni con popolazione inferiore a 5.000 abitanti non siano tenuti a ricorrere agli strumenti e/o mercati elettronici di acquisto previsti dal comma 3-bis dell’art. 33 del Dlgs 163/2006, e ciò indipendentemente dalla novella di cui al comma 343 dell’art. 1 della legge 147/2013, in quanto tale fattispecie è per sua stessa natura, ontologicamente estranea al portato precettivo della norma in questione.
Diverso discorso deve essere fatto se tale sistema di autoproduzione viene effettuato con il ricorso a mezzi e/o materiali acquistati o noleggiati all’esterno.
In tale caso, trattandosi di veri e propri appalti, seppure strumentali all’esecuzione dell’amministrazione diretta, dovranno essere rispettati i precetti propri del settore, ivi incluso l’obbligo di acquisto accentrato di cui al comma 3-bis dell’art 33 del Dlgs 163/2006 e, quindi, il ricorso agli strumenti elettronici di approvvigionamento ivi previsti, in alternativa al ricorso alle centrali uniche di committenza.
Fermo quanto sopra, qualora sussistano i presupposti per acquisire detti beni mediante affidamento diretto, ai sensi del comma 11, seconda parte dell’art. 125 del Dlgs 163/2006, il ricorso ai sopra citati strumenti telematici e/o mercati elettronici di approvvigionamento:
a) non sarà più dovuto ai sensi del comma 3-bis dell’art. 33 del Dlgs 163/2006, in quanto fattispecie espressamente derogata dalla novella del 2013;
b) ma sarà dovuto ai sensi del comma 450 della legge 296/2006, in quanto acquisti sotto soglia comunitaria e, per tale motivo, attratti dal precetto in argomento.
Per l’effetto, detti enti (al pari di tutte le restanti amministrazioni di cui all’art. 1 del Dlgs 165/2001), dovranno acquistare i suddetti beni strumentali, mediante ricorso al mercato elettronico della pubblica amministrazione ovvero ad altri mercati elettronici istituiti ai sensi del medesimo articolo 328 ovvero al sistema telematico messo a disposizione dalla centrale regionale di riferimento per lo svolgimento delle relative procedure.
E ciò senza deroghe di sorta.
Uniche eccezioni, sono rappresentate dalle ipotesi residuali di non reperibilità ovvero inidoneità dei beni o servizi rispetto alle necessità dell’ente locale procedente, e ciò previa prudente istruttoria e valutazione di tale evenienza ed adeguata motivazione della stessa nell’ambito della determinazione a contrarre (cfr. Corte Conti, sez. Marche, n. 169/2012/PAR, ripresa ex plurimis da Sez. Lombardia n. 92/2013/PAR, Sez. Piemonte n. 211/2013/PAR), nonché, privilegiando un’interpretazione sistematica dell’articolato in questione, anche l’ipotesi in cui per quel determinato bene o materiale siano reperibili, all’esterno del sistema elettronico e/o telematico, condizioni economiche migliorative.
Anche in tale caso, la circostanza dovrà essere prudentemente valutata e motivata, e ciò anche alla luce dei principi e delle prescrizioni in tema di sana gestione finanziaria e buon andamento della pubblica amministrazione, in termini di efficienza, efficacia ed economicità.
In tutti gli altri casi, il mancato ricorso alle modalità di acquisto prescritte, comporta le conseguenze di cui al comma 1 dell’art. 1 della legge 135/2012, e cioè la nullità del contratto stipulato in violazione del suddetto obbligo e le responsabilità a questo conseguenti (cfr. Sez. Lombardia, n. 92/2013/PAR).

APPALTI SERVIZI: C. Volpe, L’affidamento in house di servizi pubblici locali e strumentali: origine ed evoluzione più recente dell’istituto alla luce della normativa e della giurisprudenza europea e nazionale (07.04.2014 - tratto da www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Gare telematiche.
Domanda
In qualità di Amministrazione aggiudicatrice, vorremmo sapere se, nelle gare gestite in via telematica, le dichiarazioni e le offerte sottoscritte con la firma digitale devono essere accompagnate da una copia del documento di identità.
Risposta
Il Consiglio di Stato con sentenza n. 4676/2013 ha precisato che l'apposizione della firma digitale, nelle gare gestite in forma telematica, «è di per sé idonea a soddisfare i requisiti dichiarativi di cui al comma 3 dell'articolo 38 del dpr 445 del 2000, anche in assenza dell'allegazione in atti di copia del documento di identità del dichiarante».
In linea di principio le dichiarazioni rese, ai sensi degli articoli 38 e 47 del dpr 445 del 2000, attraverso l'apposizione di una firma digitale, non esonerano il dichiarante dall'onere di allegare copia di un proprio documento di identità.
Tuttavia la gara in questione è stata interamente gestita in forma telematica e l'articolo 77, comma 6, lettera b, del dlgs 163/2006 stabilisce che «le offerte presentate per via elettronica possono essere effettuate solo utilizzando la firma elettronica digitale come definita e disciplinata dal decreto legislativo 07.03.2005, n. 82».
Il comma 1 dell'articolo 65 del dlgs 82 del 2005 precisa che le istanze e le dichiarazioni, presentate alle pubbliche amministrazioni per via telematica, sono valide se sottoscritte mediante la firma digitale il cui certificato è rilasciato da un certificatore accreditato. La norma di riferimento non subordina in alcun modo il riconoscimento di tale validità alla condizione che l'apposizione della firma digitale sia accompagnata dalla copia del documento di identità (articolo ItaliaOggi Sette del 07.04.2014).

marzo 2014

APPALTI: In caso di procedure ristrette o negoziate le imprese ammesse singolarmente possono partecipare alla gara sotto forma di riunioni temporanee.
L'art. 37, c. 12, d.lgs. 163/2006, prevede che: "In caso di procedure ristrette o negoziate, ovvero di dialogo competitivo, l'operatore economico invitato individualmente, o il candidato ammesso individualmente nella procedura di dialogo competitivo, ha la facoltà di presentare offerta o di trattare per sé o quale mandatario di operatori riuniti".
La norma in questione, ha una ratio profondamente proconcorrenziale, consentendo un più ampio accesso al mercato dei contratti pubblici anche a soggetti che singolarmente non avrebbe i requisiti necessari per risultare aggiudicatari. Ne consegue che, nel caso di procedure ristrette o negoziate, le imprese ammesse singolarmente, possono partecipare alla gara sotto forma di riunioni temporanee.
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In tema di appalti pubblici, ai sensi dell'art. 13, c. 5-bis, L. 11.02.1994 n. 109, il cui contenuto è stato trasfuso nell'art. 37 D.L.vo 12.04.2006 n. 163, il divieto di modificazione della compagine delle Associazioni temporanee di imprese nella fase procedurale corrente tra la presentazione delle offerte e la definizione della procedura di aggiudicazione è finalizzato a impedire l'aggiunta o la sostituzione di Imprese partecipanti all'a.t.i. e non anche a precludere il recesso di una o più di esse, a condizione che quelle che restano a farne parte risultino titolari, da sole, dei requisiti di partecipazione e di qualificazione e che ciò avvenga per esigenze organizzative proprie dell'a.t.i. o Consorzio, e non invece per eludere la legge di gara (in particolare, per evitare una sanzione di esclusione dalla gara per difetto dei requisiti in capo al componente dell'a.t.i. venuto meno per effetto dell'operazione riduttiva).
Pertanto, in assenza di un esplicito divieto contenuto nella lex specialis, stante la riconosciuta possibilità per gli operatori economici invitati di costituire associazioni temporanee di imprese, sarebbe irragionevole ritenere possibile una modificazione soggettiva delle a.t.i. costituende o costituite e non consentire che gli operatori economici invitati possano utilizzare lo stesso strumento (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 31.03.2014 n. 1548 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI: L'art. 83, c. 5, del d.lgs. n. 163/2006 demanda alla stazione appaltante l'individuazione del giusto equilibrio fra merito tecnico e convenienza economica delle offerte.
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Sul criterio dell'offerta economicamente più vantaggiosa.

L'art. 83, c. 5, del d.lgs. 12.04.2006, n. 163, stabilisce che: "per attuare la ponderazione o comunque attribuire il punteggio a ciascun elemento dell'offerta le stazioni appaltanti utilizzano metodologie tali da consentire di individuare con un unico parametro finale l'offerta più vantaggiosa". La norma quindi espressamente prevede che il bando di gara indichi i criteri di valutazione e precisi la ponderazione attribuita a ciascuno di essi, ed altrettanto espressamente dispone che i partecipanti alla gara devono essere messi nella condizione di conoscere prima della formulazione dell'offerta tutti gli elementi che possono incidere sulla determinazione della stessa.
La norma è finalizzata a garantire l'esclusione di offerte che, pur convenienti sotto il profilo economico, non siano tecnicamente adeguate e, quindi, idonee ad assicurare uno standard qualitativo minimo. La norma demanda quindi alla stazione appaltante l'individuazione del giusto equilibrio fra merito tecnico e convenienza economica delle offerte, e quindi l'articolazione dei punteggi attribuibili in relazione alle diverse voci.
In altri termini, il legislatore rimette alla stazione appaltante la facoltà di determinare i criteri di valutazione delle offerte, precisando che questi vanno prefissati nella lex specialis e ciò al fine di consentire a tutti i partecipanti alla procedura di aver sin dall'inizio contezza di tutti gli elementi che incidono sulla partecipazione, sulla valutazione delle offerte e, quindi, in ultima analisi sull'aggiudicazione.
Ne consegue che, rientra nella discrezionalità della stazione appaltante predeterminare l'incidenza del prezzo, in rapporto alla qualità della proposta, nella valutazione dell'offerta.
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Il criterio dell'offerta economicamente più vantaggiosa consiste nell'individuare un ponderato bilanciamento tra le varie componenti dell'offerta ed essa discende dalla valutazione comparativa di più fattori previamente e discrezionalmente individuati dalla stazione appaltante e consiste altresì nel definire i pesi ponderali da assegnare a ciascun criterio e sub-criterio di valutazione, cioè il livello di utilità per la stazione appaltante connessa a ciascun profilo in cui si scompone l'offerta (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 31.03.2014 n. 1537 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI: Offerta più vantaggiosa.
Domanda
Vorrei sapere se, negli appalti di servizi, l'amministrazione ha piena discrezionalità nella scelta del punteggio da attribuire ai criteri di valutazione dell'offerta economicamente più vantaggiosa.
Risposta
Secondo la giurisprudenza, la stazione appaltante ha piena discrezionalità nel peso da attribuire a ciascun criterio di valutazione. L'unico limite è rappresentato dalla «manifesta irrazionalità» della distribuzione dei punteggi rispetto allo scopo dell'intervento.
Tale ipotesi si verifica quando il valore attribuito a un criterio sia tale da precostituire, nei confronti dei concorrenti, illegittime posizioni di vantaggio o quando venga assegnato, a uno dei criteri di valutazione, un peso talmente elevato da rendere praticamente superflui tutti gli altri
La scelta del peso da attribuire a ciascun criterio di valutazione dell'offerta è rimessa all'amministrazione in relazione alle peculiarità dell'appalto e all'importanza che, nella specifica ipotesi, hanno il fattore prezzo e i contenuti qualitativi.
Unico vincolo posto dal legislatore, comunitario e nazionale, è che tanto il prezzo quanto gli aspetti di carattere qualitativo dell'offerta siano oggetto di valutazione.
Come specificato dall'Autorità di vigilanza sui contratti pubblici, con determinazione n. 7 del 24.11.2011 «l'impostazione corretta tra il peso dei criteri qualitativi e quello dei criteri quantitativi, in particolare del prezzo, deve essere, nei riguardi del peso complessivo, in rapporto di prevalenza a favore dei criteri qualitativi rispetto ai criteri quantitativi».
L'aggiudicazione, con il sistema dell'offerta economicamente più vantaggiosa, è ritenuta quella che tende a garantire il miglior rapporto tra qualità e prezzo (articolo ItaliaOggi Sette del 31.03.2014).

APPALTI: Incompletezza dell'offerta.
Domanda
In qualità di Amministrazione aggiudicatrice, vorremmo sapere se le stazioni appaltanti devono escludere dalla gara le imprese che non hanno indicato gli oneri della sicurezza nell'offerta economica. Si precisa che è stato allegato al bando un modello di offerta economica che non prevedeva gli oneri della sicurezza.
Risposta
Non sono da escludere le offerte delle imprese partecipanti prive dell'indicazione degli oneri della sicurezza, a causa di circostanze di fatto riconducibili alla erroneità dei facsimili predisposti dalla Stazione appaltante (Parere di precontenzioso n. 169 23/10/2013 dell'Avcp)
Le partecipanti a una gara devono includere nella loro offerta, a pena di esclusione per incompletezza, sia gli oneri di sicurezza per interferenze, sia quelli relativi al rischio specifico (o aziendale). Tuttavia è rilevante la circostanza della mancanza della relativa voce nel modello predisposto dalla Stazione Appaltante e reso obbligatorio ai fini della predisposizione dell'offerta.
In particolare l'Amministrazione ha allegato al bando un modello di offerta economica che non prevedeva l'indicazione degli oneri della sicurezza non soggetti a ribasso, mentre prevedeva l'indicazione del prezzo totale offerto per l'esecuzione dell'intero contratto.
In questi casi il Consiglio di Stato ha affermato che «l'esigenza di apprestare tutela all'affidamento preclude alla stazione appaltante di escludere dalla gara un'impresa che abbia compilato l'offerta in conformità al facsimile all'uopo da essa predisposto» (Cons. Stato, Sez. V, 05.07.2011, n. 4029);
Inoltre la circostanza che un concorrente abbia puntualmente seguito le indicazioni fornite dalla Stazione Appaltante non può risultare a danno del medesimo, anche se la modulistica non risulti esattamente conforme alle prescrizioni di legge (articolo ItaliaOggi Sette del 31.03.2014).

APPALTI: Sulla distinzione tra consorzi stabili e ordinari e sul danno da mancato utile.
La distinzione tra consorzi stabili e ordinari, ai fini dell'ammissione alle procedure ad evidenza pubblica, risiede, al di là degli aspetti nominalisti e formali, nella circostanza che, a differenza di quello ordinario, il consorzio stabile ha una durata e una composizione consortile minima prefissata e, soprattutto, è caratterizzato dalla presenza di una comune impresa effettivamente costituita.
Da ciò deriva che i consorzi stabili sono destinati per loro natura allo svolgimento di una serie di attività permanenti nel tempo e non legate al singolo appalto; al contrario i consorzi ordinari sono di regola costituiti al fine di partecipare ad una singola gara o alla realizzazione di un singolo appalto.
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La giurisprudenza consolidata e meritevole di condivisione rileva che il mancato utile nella misura integrale, nel caso di annullamento dell'aggiudicazione e di certezza dell'aggiudicazione in favore del ricorrente, spetta solo se quest'ultimo dimostri di non aver potuto altrimenti utilizzare maestranze e mezzi, mentre, in difetto di tale dimostrazione, è da ritenere che l'impresa possa aver ragionevolmente riutilizzato mezzi e manodopera per altri lavori e servizi; pertanto, in tale ipotesi deve operarsi una decurtazione del risarcimento di una misura per l'aliunde perceptum vel percipiendum.
Si tratta, in particolare, di fare applicazione del principio emergente dall'art. 1227 c.c., in forza del quale il danneggiato ha un puntuale dovere di non concorrere ad aggravare il danno, principio ripreso ed ampliato nella sua concreta portata applicativa dall'art. 30 c.p.a., ove si stabilisce che il giudice nella determinazione del risarcimento valuta tutte le circostanze di fatto ed il comportamento complessivo delle parti e, comunque, esclude il risarcimento dei danni che si sarebbero potuti evitare usando l'ordinaria diligenza, anche attraverso l'esperimento degli strumenti di tutela previsti (TAR Lombardia-Milano, Sez. III, sentenza 27.03.2014 n. 823 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI: Sull'art. 38 del D.Lgs. n. 163 del 2006.
L'art. 38 del D.Lgs. n. 163 del 2006 non contiene nessuna previsione preclusiva della partecipazione di soggetti societari che hanno soci di maggioranza che, nello svolgimento della loro attività tramite altre forme giuridiche e in differenti contesti, siano risultati inaffidabili.
L'art. 38, commi 1, lett. c), e 2, del D.Lgs. n. 163 del 2006 non consente di ritenere estinto un reato in assenza di un provvedimento giurisdizionale, facendo discendere un tale effetto dal semplice trascorrere del tempo (TAR Lombardia-Milano, Sez. III, sentenza 26.03.2014 n. 795 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI SERVIZI: G. P. Belloni, Alcune questioni operative afferenti il ciclo dei rifiuti: ambiti territoriali ottimali, affidamenti della gestione, obbligo di associazione per i piccoli comuni (25.03.2014 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI: Sull'indicazione degli oneri per la sicurezza.
Secondo un orientamento giurisprudenziale le imprese partecipanti ad un appalto devono necessariamente includere nella loro offerta, a pena di illegittimità, oltreché gli oneri di sicurezza per le interferenze, anche i detti oneri di sicurezza da rischio specifico, o aziendali (tale conseguenza viene fatta derivare dal combinato disposto degli artt. 86, c. 3-bis, e 87, c. 4, del D.Lgs. n. 163/2006), tuttavia, come affermato dalla più recente giurisprudenza l'applicazione della regola enunciata non si presta a conclusioni assolutiste, ma risente della tipologia di appalto in considerazione.
In particolare, con specifico riguardo alle modalità di verifica dell'adeguatezza di detti oneri -operazione che ovviamente va effettuata per tutti i contratti pubblici ai sensi dell'art. 86, c. 3-bis- occorre distinguere i lavori da una parte ed i servizi e forniture dall'altra. Solo per questi ultimi l'art. 87, c. 4, impone infatti uno specifico obbligo dichiarativo alle imprese concorrenti, laddove per i lavori si deve invece fare riferimento alla quantificazione effettuata dalla stazione appaltante.
Più precisamente, il secondo periodo della disposizione in esame prescrive di indicare nell'offerta l'ammontare dei costi per la sicurezza interna onde consentire all'amministrazione di apprezzarne la congruità "rispetto all'entità e alle caratteristiche dei servizi o delle forniture".
Per i lavori, al conperiore al cinquanta per cento, salvo che, secondo le caratteristiche specifiche dell'appalto, i lavori abbiano carattere meramente accessorio rispetto ai servizi o alle forniture, che costituiscano l'oggetto principale del contratto (TAR Sicilia-Palermo, Sez. III, sentenza 24.03.2014 n. 852 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI: Sui criteri per istituire il canone previsto dal Codice della Strada (ex art. 27 del Dlgs. 30.04.1992 n. 285, per l'uso o l'occupazione delle strade comunali in particolare per la posa delle reti per servizi pubblici.
L'imposizione di prestazioni patrimoniali sui servizi a rete non deve trasformarsi in un dazio che ostacola e rende più onerosa la circolazione delle merci (v. art. 120 Cost.). L'eventuale previsione di un canone per l'uso o l'occupazione delle strade comunali strutturato come tributo ambientale violerebbe inoltre i principi comunitari.
Per evitare la qualificazione come tributo ambientale, il canone deve essere riferito a un uso particolare di uno specifico bene pubblico. Occorre inoltre che tale uso non sia già remunerato mediante altre prestazioni patrimoniali, perché se il canone costituisse mera duplicazione di queste ultime non potrebbe che essere considerato, per residualità, come tributo ambientale.
Se l'atto di concessione del servizio prevede il pagamento di un canone, come nel caso della distribuzione del gas, il canone per l'uso o l'occupazione delle strade comunali può essere considerato assorbito solo se sia stato preso in considerazione come voce a sé dell'offerta (sotto forma di somma in aumento nella parte economica dell'offerta, o come equivalente monetario di prestazioni accessorie di manutenzione della rete stradale descritte nell'offerta tecnica).
Diversamente, vi sono ancora margini per esigere un corrispettivo per l'uso particolare delle strade comunali; occorre però differenziare il canone dalla TOSAP/COSAP, che ha come presupposto l'occupazione di spazi pubblici. Non è sufficiente il fatto che la TOSAP/COSAP sia parametrata sul numero di utenze (v. art. 63, c. 2-f, del Dlgs. 15.12.1997 n. 446), né la mera sottrazione della TOSAP/COSAP al canone, ma è necessario individuare per quest'ultimo un'autonoma "base imponibile".
I criteri per questa operazione sono contenuti nell'art. 27 c. 8 del codice della strada, la cui attuazione, mancando le direttive nazionali ex 67, c. 5, del DPR 495/1992, è rimessa all'iniziativa dei singoli enti proprietari delle strade. I criteri sono le soggezioni che derivano alla strada, il valore economico risultante dal provvedimento che autorizza l'occupazione, e il vantaggio che l'utente ne ricava.
In sostanza sembra necessario individuare una quota del costo di manutenzione delle strade che possa essere riferita all'esclusivo vantaggio dei gestori dei servizi a rete e una quota dell'utile di questi ultimi (per l'attività di distribuzione svolta sul territorio comunale) che possa essere destinata a remunerare l'uso particolare delle strade, tenendo conto del risparmio conseguito rispetto alla collocazione delle reti al di fuori del tracciato stradale (TAR Lombardia-Brescia, Sez. I, ordinanza 21.03.2014 n. 156 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

LAVORI PUBBLICI: Sull'istituto del project financing.
In materia di finanza di progetto, la procedura di scelta del promotore presenta caratteri peculiari, in quanto è volta alla ricerca non solo di un 'contraente' ma di una 'proposta', che integri l'individuazione e la specificazione dell'interesse pubblico. Il legislatore, nel disciplinare l'istituto del project financing, ha invero distinto le fasi in cui si articola il complesso procedimento volto alla realizzazione di opere pubbliche senza oneri finanziari da parte della amministrazione. La legge prevede in particolare che, in seguito alla presentazione di una proposta da parte dei soggetti cui è riconosciuta detta facoltà, l'amministrazione deve operare una valutazione della medesima a sua volta propedeuetica all'indizione delle procedure di gara per l'aggiudicazione della concessione.
La fase di valutazione della proposta era nel caso di specie ratione temporis disciplinata dall'art. 37-ter della l. n. 109/1994, che, nella formulazione allora vigente, prevedeva che "entro il 31 ottobre di ogni anno la amministrazioni aggiudicatrici valutano la fattibilità delle proposte presentate ... verificano la assenza di elementi ostativi alla loro realizzazione e, esaminate le proposte stesse anche comparativamente, sentiti i promotori che ne facciano richiesta, provvedono ad individuare quelle che ritengono di pubblico interesse". Quindi, alla verifica della fattibilità del progetto e dell'assenza di elementi ostativi alla realizzazione dell'opera, doveva necessariamente seguire la individuazione della proposta di pubblico interesse e solo a seguito di tale individuazione le amministrazioni avrebbero potuto procedere alla indizione della gara di cui all'art. 37-quater, co. 1, lett. a), della l.n. 109/1994 ed alla successiva aggiudicazione della concessione mediante una procedura negoziata, da svolgersi tra il soggetto che avesse presentato la proposta progettuale iniziale (cd promotore) e i soggetti presentatori delle due migliori offerte della gara in precedenza indetta.
In materia di "project financing", anche nella vigenza della precedente disciplina di cui agli art. 37-bis, ter e quater della cit. l. n. 109/1994, l'amministrazione -una volta individuato il promotore e ritenuto di pubblico interesse il progetto dallo stesso presentato (dichiarazione nella fattispecie non intervenuta ), non era tenuta a dare corso alla procedura di gara, essendo libera di scegliere -attraverso valutazioni attinenti al merito amministrativo e non sindacabili in sede giurisdizionale- se, per la tutela dell'interesse pubblico, fosse più opportuno affidare il progetto per la sua esecuzione ovvero rinviare la sua realizzazione ovvero non procedere affatto.
L'amministrazione è titolare del potere, riconosciuto dall'art. 21-quinquies della legge n. 241 del 1990, di revocare, per sopravvenuti motivi di pubblico interesse ovvero nel caso di mutamento della situazione di fatto o di una nuova valutazione dell'interesse pubblico originario, un proprio precedente provvedimento amministrativo quando ciò avvenga prima del consolidarsi delle posizioni delle parti (Consiglio di Stato, Sez. III, sentenza 20.03.2014 n. 1365 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI: In caso di ati costituenda la garanzia provvisoria deve essere intestata alla capogruppo e a tutte le partecipanti all'associazione.
In caso di a.t.i. costituenda la garanzia dev'essere intestata a tutte le associande, atteso che il soggetto da garantire non è l'a.t.i. nel suo complesso, non ancora costituita, né la sola capogruppo, ma tutte le imprese associande che durante la gara operano individualmente e responsabilmente negli impegni connessi alla partecipazione alla gara stessa, ivi compreso, in caso di aggiudicazione, quello di conferire mandato collettivo alla capogruppo che stipulerà il contratto con l'Amministrazione.
Principio, questo, per il quale non occorre espressa previsione nella lex specialis di gara e la cui inosservanza non abbisogna di essere sanzionata con esplicita clausola di esclusione, discendendo da regole generalissime desumibili dall'art. 75 del D.Lgs. n. 163/2006 (codice dei contratti), nonché dall'intero contesto della normativa in materia di procedure ad evidenza pubblica (Consiglio di Stato, Sez. III, sentenza 20.03.2014 n. 1364 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTISì alla «gara» per l'impresa ammessa al concordato. Appalti. Partecipazione subordinata al via libera del tribunale.
Nuovi spazi negli appalti pubblici per le imprese in concordato preventivo.
È la conseguenza dell'articolo 11-bis del decreto legge 145/2013 (legge 9/2014), che risolve una serie di casi, l'ultimo dei quali deciso dalla sentenza 18.03.2014 n. 463 del TAR Piemonte, Sez. I.
L'ipotesi tipica è quella che vede partecipare a una gara pubblica un'impresa che successivamente presenti al Tribunale un'istanza di ammissione a concordato preventivo con continuità aziendale (articolo 186-bis legge fallimentare).
L'innovazione varata con il Dl 145/2013 prevede che –dopo il deposito del ricorso con il quale si chiede l'ammissione al concordato con continuità aziendale– l'impresa possa partecipare a procedure di affidamento di contratti (per appalti, servizi e forniture), se autorizzata dal Tribunale. È necessario il parere del commissario giudiziale, se già nominato, e in mancanza provvede il Tribunale. In questo modo dovrebbe diminuire il contenzioso che contrappone le imprese in concordato preventivo ad altri concorrenti, contenzioso che derivava da uno sbarramento di generica idoneità posto dall'articolo 38 Dlgs 163/2006 (Codice appalti).
Il Tar Piemonte, con sentenza 463/2014 aveva ad esempio impedito a un'impresa di proseguire in una gara perché, dopo la domanda di partecipazione all'appalto, l'impresa stessa aveva presentato istanza di ammissione al concordato preventivo con continuità aziendale. Secondo il Tar, per restare in gara occorreva che intervenisse una formale autorizzazione alla continuità aziendale, a mezzo di provvedimento giurisdizionale del Tribunale fallimentare; senza tale autorizzazione, la presentazione della domanda di ammissione a concordato preventivo determinava un'incapacità a partecipare alla gara.
Oggi, superando questo orientamento, il deposito del ricorso per concordato (con la clausola di continuità) consente la partecipazione alla gara, purché vi sia l'autorizzazione espressa del giudice fallimentare. L'autorizzazione è poi collegata a un piano (articolo 161, comma 2, lettera e, legge fallimentare), che prevede la continuazione dell'impresa, la cessione della stessa o il conferimento dell'azienda in esercizio in una o più società. A questo piano, per la presenza in gara, vanno aggiunte le garanzie previste dall'articolo 186-bis comma 5, cioè un'accertata «capacità di adempimento del contratto» e la dichiarazione di impegno al subentro di altra impresa idonea.
Spetta quindi al giudice valutare l'utilità dell'eventuale aggiudicazione, per l'impresa, ad esempio considerando le disponibilità di materiali a magazzino necessari per l'esecuzione del contratto, la possibilità del pagamento della manodopera, la regolarità previdenziale e fiscale, la conoscenza dei luoghi e precedenti esperienze. Se l'articolo 11-bis del Dl 145/2013 consente la partecipazione con autorizzazione alle gare, restano valide sia l'istanza di partecipazione sia l'eventuale successiva aggiudicazione della gara stessa a favore di chi abbia presentato istanza di concordato preventivo.
Nell'idoneità a offrire sono infatti comprese sia la partecipazione alla gara, sia l'aggiudicazione. Non sarebbe infatti logico far partecipare un'impresa se non si consentisse anche la successiva gestione dell'opera, del servizio o fornitura aggiudicata. Anzi, proprio perché la partecipazione alla gara è stata meditata, autorizzata dal Tribunale e assistita da una relazione di un qualificato professionista o di un soggetto ausiliario, il concordato con continuità restituisce una completa idoneità all'impresa
(articolo Il Sole 24 Ore del 26.03.2014).

APPALTI: Sull'applicazione dell'art. 38, c. 1, lett. c), d.lgs. n. 163/2006, in caso di cessione di ramo d'azienda.
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L'integrazione dei requisiti minimi di capacità imposti dall'amministrazione aggiudicatrice può essere dimostrata, sia utilizzando l'avvalimento frazionato che l'avvalimento plurimo.

La dichiarazione circa l'insussistenza di sentenze di condanna passate in giudicato (o di decreti penali di condanna irrevocabili, o di sentenze di applicazione della pena su richiesta) per determinati reati nei confronti di amministratori e direttori tecnici, prevista dall'art. 38 del d.lgs. 12.04.2006, n. 163 (codice degli appalti pubblici), va resa, a pena di esclusione, in caso di cessione d'azienda in favore del concorrente nel triennio anteriore al bando (un anno, a seguito delle modifiche introdotte dalla legge 12.07.2011, n. 106), anche con riferimento agli amministratori ed ai direttori tecnici che hanno operato presso la impresa cedente nell'ultimo triennio (nell'ultimo anno, a seguito delle suddette modifiche)".
Se la cessione del ramo d'azienda non determina di per sé una discontinuità nella gestione tale da sottrarre gli amministratori e direttori tecnici dell'impresa ceduta agli obblighi dichiarativi di cui all'art. 38, c. 1, lett. c), d.lgs. n. 163/2006, qualora ciò avvenga per il tramite di una procedura di concordato preventivo, e salvo che non sia desumibile da ulteriori elementi un intento elusivo della prescrizione ivi contenuta, non può ritenersi che l'impresa cessionaria concorrente nella procedura di gara sia tenuta a rendere le dichiarazioni in questione.
La cessione dell'azienda o del ramo d'azienda a seguito del concordato preventivo determina, infatti, una cesura nella gestione dei beni dell'impresa, tale da escludere un'influenza dei comportamenti degli amministratori e dei direttori tecnici della cedente, senza che risulti rilevante che quest'ultimi ex art. 2487-bis, terzo comma c.c., avvenuta l'iscrizione nel registro delle imprese dei liquidatori, a differenza di quanto accade per gli amministratori, non cessino dalla carica.
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L'integrazione dei requisiti minimi di capacità imposti dall'amministrazione aggiudicatrice può essere dimostrata, sia utilizzando l'avvalimento frazionato che l'avvalimento plurimo, poiché ciò che rileva è la dimostrazione da parte del candidato o dell'offerente, che si avvale delle capacità di uno o di svariati altri soggetti, di poter disporre effettivamente dei mezzi di questi ultimi che sono necessari all'esecuzione dell'appalto.
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Nelle gare d'appalto, l'art. 38 D.L.vo 12.04.2006, n. 163, nella parte in cui elenca i soggetti tenuti ad effettuare le dichiarazioni di sussistenza dei requisiti morali e professionali ha come destinatari dell'obbligo non soltanto coloro che rivestono formalmente le cariche di amministratori, ma anche coloro che, in qualità di procuratore ad negotia, abbiano poteri di rappresentanza dell'impresa e possono compiere atti decisionali (c.d. amministratori di fatto), con l'avvertenza che qualora la lex specialis non contenga al riguardo una specifica comminatoria di esclusione, quest'ultima può essere disposta non già per la mera omessa dichiarazione, ma solo quando sia effettivamente riscontrabile l'assenza del requisito in questione (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 17.03.2014 n. 1327 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI FORNITURE SERVIZI: La Pa può recedere se il servizio è «caro». Spending review. La gestione dei contratti alla luce del Dl 95/2012.
Prime applicazioni della spending review nei contratti della pubblica amministrazione (articolo 1, comma 13, Dl 95/2012).
Un servizio prestato al ministero per i Beni culturali, con oneri economici superiori a quelli previsti dalla Consip (centrale acquisti) è giunto nelle aule del Consiglio di Stato, che nella sentenza 17.03.2014 n. 1312 fornisce una serie di indicazioni. Da gennaio 2013, infatti, forniture e servizi vedono la Pa autorizzata sostituire in corsa l'impresa aggiudicataria, anche se il contratto è già stato stipulato e l'erogazione è in corso: basta che vi siano condizioni economiche più vantaggiose per l'ente pubblico.
I parametri di convenienza sono offerti dalle convenzioni Consip: se nel corso dell'esecuzione della fornitura o del servizio il corrispettivo supera i parametri della Centrale acquisti, l'ente pubblico si deve attivare per cambiare il contratto. Spetta poi all'aggiudicataria valutare se accettare le nuove condizioni economiche o subire il recesso. L'impresa ha 15 giorni di tempo per decidere, potendo scegliere se accettare il recesso (con indennizzo pari a un decimo dell'utile sulle prestazioni non ancora eseguite) oppure abbassare il prezzo del servizio o della fornitura ai parametri Consip.
Il meccanismo previsto dall'articolo 1, comma 13, del Dl 95/2012, secondo la sentenza del Consiglio di Stato, colloca sullo stesso piano le pubbliche amministrazioni e i privati, in un rapporto di tipo civilistico in cui l'amministrazione non si svincola affermando esigenze di interesse pubblico, ma esercita quel diritto di recesso che ogni privato può utilizzare quando lo ritenga opportuno, a norma dell'articolo 1671 del Codice civile.
La norma del Codice civile impone che l'esecutore sia tenuto indenne dalle spese sostenute, dai lavori eseguiti e del mancato guadagno; in precedenti regimi, il contenzioso amministrativo rendeva possibili (Consiglio di Stato 662/2012) richieste di maggior calibro, come il 2% del valore dell'appalto o il danno curriculare (perdita di qualificazione). Se oggi l'amministrazione si può comportare come un privato, il giudice competente non è più quello amministrativo, bensì quello dei privati, e cioè il tribunale ordinario.
Ciò genera un notevole snellimento delle liti perché dinanzi al giudice amministrativo si discuteva ad ampio spettro, ad esempio verificando motivi di interesse pubblico che potevano fondare la scelta dell'importo da pagare: ad esempio, dietro un particolare costo economico della fornitura, vi poteva essere un vantaggio all'indotto, o una particolare qualità del servizio, oppure un'esigenza di incentivo.
Tutto ciò poteva essere fatto valere sotto forma di difetto di motivazione del recesso, innescando un contenzioso in cui l'importo economico regrediva ad elemento secondario, per di più cristallizzato con riferimento all'epoca della gara. Ora che Consip redige parametri di costo per categorie omogenee, basta uno scostamento da tali parametri per obbligare la Pa (se si tratta di acquisto di beni, per i servizi è invece una facoltà) a recedere dal contratto, se il fornitore non accetta i parametri Consip.
Nel caso specifico esaminato dalla sentenza 17.03.2014 n. 1312 del Consiglio di Stato, Sez. VI, si discuteva di un servizio di gestione della sicurezza sui luoghi di lavoro, prestazioni che Consip offriva, attivando economie di scala, con un contenimento di spesa di 5 milioni in tre anni. Oggi basta questo risparmio per innescare il meccanismo di recesso, offrendo al contraente l'alternativa tra adeguarsi ai costi Consip o abbandonare il servizio (o la fornitura) ottenendo il pagamento di un decimo degli utili futuri. Non conta più aver vinto una gara contro altri agguerriti concorrenti: basta il sopravvenire di più vantaggiosi parametri Consip per consentire a un soggetto pubblico di sostituire il prestatore di servizi
 (articolo Il Sole 24 Ore del 23.03.2014).

APPALTI FORNITURE E SERVIZI: Sulla ratio dell'art. 1, c. 13, del d.l. n. 95/2012, che consente alle stazioni appaltanti il recesso unilaterale dai contratti di fornitura o di servizi per ragioni di riduzione della spesa.
L'art. 1, c. 13, del d.l. 06.07.2012, n. 95, conv. dalla l. 07.08.2012, n. 135, attribuisce alle amministrazioni pubbliche, "che abbiano validamente stipulato un autonomo contratto di fornitura o di servizi […] il diritto di recedere in qualsiasi tempo dal contratto, previa formale comunicazione all'appaltatore, con preavviso non inferiore a quindici giorni e previo pagamento delle prestazioni già eseguite, oltre al decimo delle prestazioni non ancora eseguite"; quanto sopra, quando "i parametri delle convenzioni stipulate da Consip s.p.a., ai sensi dell'art. 26, c. 1, della l. 23.12.1999, n. 488, successivamente alla stipula del predetto contratto, siano migliorativi rispetto a quelli del contratto stipulato e l'appaltatore non acconsenta ad una modifica delle condizioni economiche, tale da rispettare il limite, di cui all'art. 26, c. 3, della l. 23.12.1999, n. 488".
Nella medesima disposizione è anche precisato che il diritto di recesso di cui trattasi "si inserisce automaticamente nei contratti in corso, ai sensi dell'art. 1339 del Cod. civ.". L'art. 1, c. 13, del d.l. n. 95/2012 cit. non attribuisce una potestà, che consenta all'Amministrazione -già parte di un rapporto contrattuale a regolazione civilistica- di intervenire ab extra sul rapporto stesso in forma e modalità autoritativa, in modo tale da svincolarsi dagli obblighi contrattuali assunti per affermate esigenze di interesse pubblico.
Non confermano tale indirizzo, infatti, né il testo, né la ratio della norma in esame: il primo, in quanto assegna in modo esplicito all'Amministrazione un "diritto" di recesso e la seconda (coincidente con la possibilità di ottenere prestazioni "migliorative", in base ai parametri delle convenzioni stipulate da Consip), poiché detta finalità viene perseguita con una fattispecie di recesso unilaterale del contratto, che costituisce mera specificazione di quanto comunque consentito al committente, nell'ambito dei contratti di appalto, a norma dell'art. 1671 Cod. civ..
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Dalla norma ricognitiva del diritto in questione (lex specialis rispetto al citato art. 1671 Cod. civ.), sono assicurate le finalità di interesse pubblico al perseguimento di economie di scala ed alla omogeneità dei costi delle forniture e dei servizi, commissionati da pubbliche amministrazioni tramite un centro specializzato per i loro approvvigionamenti con inerente contrattazione centralizzata, in capo a una figura, organizzativa (oggi la Consip s.p.a.) istituita per un tale scopo.
Una volta formalizzate le convenzioni, che dovrebbero assicurare detti parametri di maggiore convenienza, ogni altra forma di contrattazione è dichiarata nulla (art. 1, c. 1, d.l. n. 95 del 2012) e solo in via transitoria -per i contratti stipulati prima della data di entrata in vigore del ricordato d.l. n. 95 del 2012 (conv. dalla l. 07.08.2012, n. 135)- si attribuisce appunto al contraente pubblico il diritto di recesso in questione, con successiva adesione alla convenzione Consip, ove l'appaltatore non acconsenta a modificare in senso conforme le condizioni contrattuali (con pagamento comunque, in caso di non adesione di detto appaltatore, delle prestazioni già eseguite e di un decimo di quelle da eseguire: art. 1 cit., comma 13).
Costituisce, pertanto, esercizio di un potere a carattere contrattuale dell'Amministrazione -in forza di una clausola contrattuale inserita ex lege, a norma dell'art. 1339 Cod. civ.- e non espressione di una potestà pubblica, che sarebbe in sé estrinseca al sinallagma contrattuale, l'esercizio del diritto di recesso, che la legge riconosce nella situazione anzidetta.
Ne consegue che, nel caso di specie, l'appello deve essere dichiarato inammissibile per difetto di giurisdizione, ai sensi e per gli effetti dell'art. 11 del Codice del processo amministrativo, con declaratoria della cognizione del giudice ordinario sulla questione (Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 17.03.2014 n. 1312 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI: Sulle varianti progettuali migliorative nell'appalto integrato.
Con specifico riferimento all'appalto integrato le "varianti progettuali migliorative", qualora ammesse dalla legge di gara, pur incidendo normalmente su aspetti in grado di incidere in maniera rilevante e consistente sulla qualità dell'opera (sul piano strutturale, prestazionale e funzionale), non devono tuttavia alterare l'essenza strutturale e prestazionale, così come fissate dal progetto definitivo, onde non ledere lo stesso interesse della stazione appaltante al conseguimento delle funzionalità perseguite (TAR Sardegna, Sez. I, sentenza 15.03.2014 n. 218 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI: Sull'applicabilità anche alle concessioni di servizi della disciplina ex art. 84, c. 10, dlgs. 163/2006.
L'art. 84, c. 10, del d.lgs. n. 163 del 2006 dispone che "la nomina dei commissari e la costituzione della commissione devono avvenire dopo la scadenza del termine fissato per la presentazione delle offerte".
L'Adunanza plenaria del Consiglio di Stato, con decisione n. 13 del 2013, ha affermato che, in sede di affidamento di una concessione di servizi con il criterio dell'offerta economicamente più vantaggiosa, sono applicabili, tra l'altro, le disposizioni di cui al citato art. 84, c. 10, in quanto espressive dei principi di trasparenza e di parità di trattamento, richiamati dall'art. 30, c. 3, del medesimo decreto legislativo.
Nel caso di specie, riguardante una procedura di gara, con il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, per l’affidamento del servizio di somministrazione di alimenti e bevande tramite distributori automatici, l'atto di appello non contesta, in punto di fatto, il momento temporale di nomina della commissione ma si è limitato ad affermare che il citato art. 84, c. 10, non può trovare applicazione.
Pertanto, una volta ritenuto, alla luce dell'orientamento interpretativo espresso dall'Adunanza plenaria, che tale norma trova, invece, applicazione, ne discende l'infondatezza dell'appello (Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 14.03.2014 n. 1296 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTISulle Centrali di committenza un rinvio che fa chiarezza.
In principio fu il Piemonte, con il parere 06.07.2012 n. 271 con il quale la Corte dei conti della regione definì l'ambito di operatività delle Centrali di committenza cui sono obbligati i piccoli comuni. Per la Corte, anche se in presenza di importi irrisori, resta obbligatorio il ricorso alla Centrale se si tratta di una procedura comparativa tra più soggetti.
Posizione non pienamente accolta dalla Corte dei conti della Lombardia,
col parere 23.04.2013 n. 165, che ha ritenuto di dover escludere dall'obbligatorietà anche il cottimo fiduciario, oltre gli affidamenti diretti. La novella del comma 3-bis dell'art. 33 (art. 1, comma 343, legge n. 147 del 2013) ha chiarito che «le disposizioni di cui al presente comma non si applicano alle acquisizioni di lavori, servizi e forniture, effettuate in economia mediante amministrazione diretta, nonché nei casi di cui al secondo periodo del comma 8 e al secondo periodo del comma 11 dell'articolo 125»: prevale quindi la Corte dei conti del Piemonte: restano esclusi i soli affidamenti diretti.
Altra questione chiarita dalle Corti dei conti è stata la natura dell'accordo consortile. Unanime in questo caso l'orientamento: la dicitura «accordo consortile» non indica un atto istitutivo di un nuovo Consorzio (Umbria,
parere 04.06.2013 n. 112). Infatti la gestione consortile della centrale di committenza non può essere confusa né con l'idea di costituire un consorzio di funzioni tra enti (vietato dalla legge); né con le funzioni associate fondamentali (Lazio parere 26.06.2013 n. 138 e parere 26.06.2013 n. 139).
Il legislatore ha ribadito di non voler sovrapporre l'obbligo delle funzioni associate con l'obbligo di centralizzazione della committenza, rigettando la proposta di emendamento che voleva equiparare l'obbligatorietà della Centrale unica di committenza (Cuc) al completamento (teorico) della gestione associata delle funzioni (31/12/2014). L'accorpamento delle funzioni fondamentali è del resto ben diverso dalla razionalizzazione delle spese attraverso il ricorso alle centrali di committenza.
In definitiva, quindi, il Milleproroghe ha tenuto separati i due processi fissando l'obbligatorietà della Cuc al 30/06/2014. Ultima questione da segnalare è quella della mancata sovrapponibilità delle attività della Centrale di committenza con quelle introdotte dalla legge n. 136/2010 istitutiva delle Stazioni uniche appaltanti (Sua). Come ha ben chiarito la Corte dei conti della Basilicata,
deliberazione 01.07.2013 n. 98, «entrambe le figure organizzative hanno la natura di centrali di committenza (art. 3, n. 34, «Codice»).
Tuttavia, l'una non è perfettamente sovrapponibile in quanto «alla Sua non è consentito rendersi, essa stessa, acquirente di lavori, servizi e forniture destinate ad altre amministrazioni aggiudicatrici, come è consentito alle centrali di committenza previste dall'art. 33 del Codice».
Su questa linea è molto chiara la nuova direttiva appalti dell'Unione europea che disciplina in maniera puntuale l'ambito di operatività e i vantaggi competitivi che possono essere raggiunti attraverso un ricorso diffuso alle centrali di committenza (articolo ItaliaOggi del 14.03.2014).

APPALTIL’art. 118, co. 2, del D.Lgs. n. 163/2006 sottopone l’affidamento in subappalto alla condizione, fra le altre, che i concorrenti all’atto dell’offerta abbiano indicato i lavori o le parti di opere ovvero i servizi e le forniture o parti di servizi e forniture che intendono subappaltare o concedere in cottimo.
La disposizione –che non richiede espressamente l’indicazione preventiva del nominativo del subappaltatore– va peraltro interpretata nel senso che la dichiarazione in questione deve contenere anche l’indicazione del subappaltatore unitamente alla dimostrazione del possesso, in capo a costui, dei requisiti di qualificazione, ogniqualvolta il ricorso al subappalto si renda necessario a cagione del mancato autonomo possesso, da parte del concorrente, dei necessari requisiti di qualificazione, potendo essere limitata alla mera indicazione della volontà di concludere un subappalto nelle sole ipotesi in cui il concorrente disponga autonomamente delle qualificazioni necessarie per l’esecuzione delle lavorazioni oggetto dell’appalto, ossia nelle sole ipotesi in cui il ricorso al subappalto rappresenti per lui una facoltà, non la via necessitata per partecipare alla gara.
L’affermazione appare pienamente coerente con lo speculare e consolidato indirizzo giurisprudenziale che circoscrive i casi di legittima esclusione del concorrente autore di una incompleta o erronea dichiarazione di subappalto alle sole ipotesi in cui il concorrente stesso risulti sfornito in proprio della qualificazione per le lavorazioni che ha dichiarato di voler subappaltare, mentre negli altri casi gli unici effetti negativi si avrebbero in fase esecutiva, sotto il profilo dell’impossibilità di ricorrere al subappalto come dichiarato.
La ratio di tale orientamento risiede nell’esigenza, ricavabile in via sistematica, che la stazione appaltante sia posta in condizione di valutare sin dall’inizio l’idoneità di un’impresa, la quale dimostri di possedere in proprio, o attraverso l’apporto altrui, le qualificazioni necessarie per l’aggiudicazione del contratto, mentre non può ammettersi che l’aggiudicazione venga disposta “al buio” in favore di un soggetto pacificamente sprovvisto dei necessari requisiti di qualificazione, al quale dovrebbe accordarsi la possibilità non soltanto di dimostrare, ma addirittura di acquisire i requisiti medesimi a gara conclusa, in violazione del principio della par condicio e con il rischio per l’amministrazione procedente che l’appaltatore così designato non onori l’impegno assunto, rendendo necessaria la ripetizione della gara.
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Senza negare le differenze strutturali che intercorrono tra l’avvalimento, istituto elaborato dalla giurisprudenza comunitaria, recepito dall’art. 47 della direttiva 2004/18/CE e trasfuso nell’art. 49 del decreto legislativo n. 163 del 2006, volto a consentire ad un imprenditore il possesso mediato ed indiretto dei requisiti di partecipazione ad una gara, ed il subappalto, contratto secondario o derivato, posto “a valle” del contratto di appalto ed attinente alla sua esecuzione, devono rilevarsi numerosi profili della disciplina di cui agli artt. 37, comma 11 e 118 del codice sui contratti pubblici che, sotto il profilo funzionale, possono essere considerati indici di un sostanziale inserimento del subappalto tra gli strumenti idonei a garantire la maggiore concorrenza tra gli operatori economici e l’allargamento del mercato, nella prospettiva propria dell’art. 47 della direttiva 2004/18, al pari dell’avvalimento.
Tra questi meritano rilievo:
- l’inserimento del subappalto tra gli strumenti che consentono la realizzazione di lavori ad elevato contenuto tecnologico da parte di soggetti affidatari non in grado di eseguirli nell’art. 37, disciplinante i raggruppamenti temporanei;
- l’obbligo a carico dei concorrenti, all’atto dell’offerta, di indicare i lavori o le parti di opere che intendono subappaltare, con la conseguenza, in caso di mancata indicazione, che l’autorizzazione al subappalto non potrà essere accordata;
- l’obbligo di deposito presso la stazione appaltante del contratto di appalto e della certificazione attestante il possesso da parte del subappaltatore dei requisiti di qualificazione prescritti in relazione alla prestazione subappaltata oltre alla dichiarazione relativa al possesso dei requisiti di ordine generale;
- l’insussistenza nei confronti del subappaltatore dei divieti previsti dall’art. 10 della legge n. 575/1965 e successive modificazioni;
- l’autorizzazione al subappalto da parte della stazione appaltante, previa verifica dei requisiti in capo al subappaltatore; la possibilità che la stazione appaltante stabilisca nel bando di gara di corrispondere direttamente al subappaltatore l’importo dovuto per le sue prestazioni;
- l’obbligo per il subappaltatore di praticare per le prestazioni affidate in subappalto gli stessi prezzi unitari risultanti dall’aggiudicazione;
- la responsabilità solidale dell’appaltatore degli adempimenti da parte del subappaltatore relativi agli obblighi di sicurezza.
Si tratta di disposizioni e condizioni che, nell’intento di ridurre i margini di autonomia del rapporto appaltatore–subappaltatore, attraendolo sotto il controllo diretto della stazione appaltante ed imponendo il rispetto di regole di trasparenza volte a scongiurare i rischi di aggiramento della disciplina dell’evidenza pubblica tramite il subingresso di un soggetto diverso da quello scelto tramite la gara, tendono a stabilire una relazione diretta tra committente e subappaltatore.
Nel contempo esse soddisfano la finalità dell’art. 47, p.2, della direttiva 2004/18/CE («Un operatore economico può, se del caso e per un determinato appalto, fare affidamento sulle capacità di altri soggetti, a prescindere dalla natura giuridica dei suoi legami con questi ultimi. In tal caso deve dimostrare alla amministrazione aggiudicatrice che disporrà dei mezzi necessari, ad esempio mediante presentazione dell’impegno a tal fine di questi soggetti»), già sottolineata dalla giurisprudenza comunitaria, di consentire all’autorità aggiudicatrice la verifica delle capacità dei terzi ai quali un prestatore, che non soddisfi da solo i requisiti minimi prescritti per partecipare alla procedura di aggiudicazione di un appalto, intenda ricorrere, con lo scopo di fornire garanzia che l’offerente avrà effettivamente a disposizione i mezzi di cui si avvarrà durante il periodo di durata dell’appalto “a prescindere dalla natura giuridica dei suoi legami” con l’ausiliario e, quindi, anche in virtù di un contratto di subappalto.
Correttamente, quindi, va considerato il subappalto come strumento negoziale che, pur differenziandosi dall’avvalimento sotto il profilo strutturale, ha tuttavia in comune la funzione di allargare la possibilità di partecipazione alle gare da parte di soggetti sforniti dei requisiti di partecipazione.

Reputa, tuttavia il Collegio, in accoglimento delle tesi esposte dall’appellante, che l’art. 118, co. 2, del D.Lgs. n. 163/2006 sottopone l’affidamento in subappalto alla condizione, fra le altre, che i concorrenti all’atto dell’offerta abbiano indicato i lavori o le parti di opere ovvero i servizi e le forniture o parti di servizi e forniture che intendono subappaltare o concedere in cottimo.
Secondo la giurisprudenza prevalente, la disposizione –che non richiede espressamente l’indicazione preventiva del nominativo del subappaltatore– va peraltro interpretata nel senso che la dichiarazione in questione deve contenere anche l’indicazione del subappaltatore unitamente alla dimostrazione del possesso, in capo a costui, dei requisiti di qualificazione, ogniqualvolta il ricorso al subappalto si renda necessario a cagione del mancato autonomo possesso, da parte del concorrente, dei necessari requisiti di qualificazione, potendo essere limitata alla mera indicazione della volontà di concludere un subappalto nelle sole ipotesi in cui il concorrente disponga autonomamente delle qualificazioni necessarie per l’esecuzione delle lavorazioni oggetto dell’appalto, ossia nelle sole ipotesi in cui il ricorso al subappalto rappresenti per lui una facoltà, non la via necessitata per partecipare alla gara (cfr. Cons. St., sez. V, 21.11.2012, n. 5900; id., sez VI, 02.05.2012, n. 2508; id., sez. V, 20.06.2011, n. 3698).
L’affermazione appare pienamente coerente con lo speculare e consolidato indirizzo giurisprudenziale che circoscrive i casi di legittima esclusione del concorrente autore di una incompleta o erronea dichiarazione di subappalto alle sole ipotesi in cui il concorrente stesso risulti sfornito in proprio della qualificazione per le lavorazioni che ha dichiarato di voler subappaltare, mentre negli altri casi gli unici effetti negativi si avrebbero in fase esecutiva, sotto il profilo dell’impossibilità di ricorrere al subappalto come dichiarato (cfr., per tutte, Cons. St., sez. V, 26.03.2012, n. 1726; id., sez. IV, 30.10.2009, n. 6708; id., sez. IV, 12.06.2009, n. 3696).
La ratio di tale orientamento –che il Collegio ritiene di dover condividere, non ravvisando valide argomentazioni per discostarsene– risiede nell’esigenza, ricavabile in via sistematica, che la stazione appaltante sia posta in condizione di valutare sin dall’inizio l’idoneità di un’impresa, la quale dimostri di possedere in proprio, o attraverso l’apporto altrui, le qualificazioni necessarie per l’aggiudicazione del contratto, mentre non può ammettersi che l’aggiudicazione venga disposta “al buio” in favore di un soggetto pacificamente sprovvisto dei necessari requisiti di qualificazione, al quale dovrebbe accordarsi la possibilità non soltanto di dimostrare, ma addirittura di acquisire i requisiti medesimi a gara conclusa, in violazione del principio della par condicio e con il rischio per l’amministrazione procedente che l’appaltatore così designato non onori l’impegno assunto, rendendo necessaria la ripetizione della gara (cfr., in particolare, Cons. St., n. 5900/2012 e 2508/2012, citt.).
Non convince, di contro, l’opposto orientamento, abbracciato dal giudice di prime cure ed invocato dalla difesa degli appellati, pure emerso in giurisprudenza, che, sulla scorta del dato testuale, non rinviene nell’art. 118 D.Lgs. n. 163/2006 alcun obbligo di indicare –tanto meno a pena di esclusione– il nominativo dell’impresa subappaltatrice, ancorché si tratti di lavorazioni per le quali la concorrente sia priva di qualificazione; e rifiuta, di conseguenza, la possibilità che la stessa legge di gara debba ritenersi di volta in volta eterointegrata dalla previsione di un siffatto, inesistente, obbligo (così Cons. St., sez. V, 16.01.2012, n. 139).
La lettera dell’art. 118 è, infatti, compatibile, come già osservato, con la sola ipotesi “fisiologica” in cui il partecipante alla gara, essendo autonomamente in possesso dei requisiti di aggiudicazione, può riservarsi per la fase esecutiva del contratto la facoltà di subappaltare una parte delle lavorazioni; nel caso in cui il subappalto rappresenti, invece, lo strumento per acquisire requisiti obbligatori mancanti, la riserva sul nome del subappaltatore finisce per collidere con la ragion d’essere e con il funzionamento del sistema di qualificazione delineato dal legislatore, tale apparente contraddizione dovendo allora essere superata facendo ricorso a criteri sistematici e teleologici che valorizzino, piuttosto, la funzione e i limiti connaturati all’istituto del subappalto, attraverso il quale non possono eludersi le norme tassative sul possesso dei requisiti di partecipazione alla gara.
Non può dirsi d’altro canto, come, invece, erroneamente ritenuto dai primi giudici, che, aderendo all’opzione ermeneutica che distingue il subappalto “facoltativo” da quello “necessario”, ne risulti violato il principio di tassatività delle cause di esclusione sancito dall’art. 46, co. 1-bis, del D.Lgs. n. 163/2006. Nell’accezione sostanzialista fatta propria dall’Adunanza Plenaria con la sentenza 07.06.2012, n. 21, il principio di tassatività va inteso nel senso che l’esclusione dalle gare possa essere disposta non nei soli casi in cui disposizioni del codice o del regolamento la prevedano espressamente, ma anche nei casi in cui dette disposizioni impongano adempimenti doverosi ai concorrenti o candidati, pur senza prevedere una espressa sanzione di esclusione: e fra tali ipotesi rientra senz’altro quella del possesso dei titoli di qualificazione indispensabili per l’esecuzione dei lavori oggetto dell’appalto.
Merita, tuttavia, una espressa confutazione l’obiezione con cui si lamenta che la tesi, sin qui seguita dal Collegio, erroneamente finirebbe per equiparare il subappalto all’avvalimento sotto il profilo della qualificazione.
A riguardo, va richiamata quella consolidata giurisprudenza (Cons. St. Sez. IV, 30.10.2009, n. 6708; 12.06.2009, n. 3696; 22.09.2008, n. 4572) che, nel circoscrivere i casi di esclusione dell’impresa offerente che abbia dichiarato di volersi avvalere di un subappaltatore alle sole fattispecie in cui essa non disponga della qualificazione in relazione ai lavori interessati dal subappalto, implicitamente ammette che, legittimamente, l’offerente possa ricorrere al subappalto proprio allo scopo di integrare requisiti di qualificazione di cui non sia in possesso.
Peraltro, senza negare le differenze strutturali che intercorrono tra l’avvalimento, istituto elaborato dalla giurisprudenza comunitaria, recepito dall’art. 47 della direttiva 2004/18/CE e trasfuso nell’art. 49 del decreto legislativo n. 163 del 2006, volto a consentire ad un imprenditore il possesso mediato ed indiretto dei requisiti di partecipazione ad una gara, ed il subappalto, contratto secondario o derivato, posto “a valle” del contratto di appalto ed attinente alla sua esecuzione, devono rilevarsi numerosi profili della disciplina di cui agli artt. 37, comma 11 e 118 del codice sui contratti pubblici che, sotto il profilo funzionale, possono essere considerati indici di un sostanziale inserimento del subappalto tra gli strumenti idonei a garantire la maggiore concorrenza tra gli operatori economici e l’allargamento del mercato, nella prospettiva propria dell’art. 47 della direttiva 2004/18, al pari dell’avvalimento.
Tra questi meritano rilievo:
   - l’inserimento del subappalto tra gli strumenti che consentono la realizzazione di lavori ad elevato contenuto tecnologico da parte di soggetti affidatari non in grado di eseguirli nell’art. 37, disciplinante i raggruppamenti temporanei;
   - l’obbligo a carico dei concorrenti, all’atto dell’offerta, di indicare i lavori o le parti di opere che intendono subappaltare, con la conseguenza, in caso di mancata indicazione, che l’autorizzazione al subappalto non potrà essere accordata;
   - l’obbligo di deposito presso la stazione appaltante del contratto di appalto e della certificazione attestante il possesso da parte del subappaltatore dei requisiti di qualificazione prescritti in relazione alla prestazione subappaltata oltre alla dichiarazione relativa al possesso dei requisiti di ordine generale;
   - l’insussistenza nei confronti del subappaltatore dei divieti previsti dall’art. 10 della legge n. 575/1965 e successive modificazioni;
   - l’autorizzazione al subappalto da parte della stazione appaltante, previa verifica dei requisiti in capo al subappaltatore; la possibilità che la stazione appaltante stabilisca nel bando di gara di corrispondere direttamente al subappaltatore l’importo dovuto per le sue prestazioni;
   - l’obbligo per il subappaltatore di praticare per le prestazioni affidate in subappalto gli stessi prezzi unitari risultanti dall’aggiudicazione;
   - la responsabilità solidale dell’appaltatore degli adempimenti da parte del subappaltatore relativi agli obblighi di sicurezza.
Si tratta di disposizioni e condizioni che, nell’intento di ridurre i margini di autonomia del rapporto appaltatore–subappaltatore, attraendolo sotto il controllo diretto della stazione appaltante ed imponendo il rispetto di regole di trasparenza volte a scongiurare i rischi di aggiramento della disciplina dell’evidenza pubblica tramite il subingresso di un soggetto diverso da quello scelto tramite la gara, tendono a stabilire una relazione diretta tra committente e subappaltatore.
Nel contempo esse soddisfano la finalità dell’art. 47, p.2, della direttiva 2004/18/CE («Un operatore economico può, se del caso e per un determinato appalto, fare affidamento sulle capacità di altri soggetti, a prescindere dalla natura giuridica dei suoi legami con questi ultimi. In tal caso deve dimostrare alla amministrazione aggiudicatrice che disporrà dei mezzi necessari, ad esempio mediante presentazione dell’impegno a tal fine di questi soggetti»), già sottolineata dalla giurisprudenza comunitaria (Corte di Giustizia C.E. 02.12.1999, n. 176), di consentire all’autorità aggiudicatrice la verifica delle capacità dei terzi ai quali un prestatore, che non soddisfi da solo i requisiti minimi prescritti per partecipare alla procedura di aggiudicazione di un appalto, intenda ricorrere, con lo scopo di fornire garanzia che l’offerente avrà effettivamente a disposizione i mezzi di cui si avvarrà durante il periodo di durata dell’appalto “a prescindere dalla natura giuridica dei suoi legami” con l’ausiliario e, quindi, anche in virtù di un contratto di subappalto.
Correttamente, quindi, va considerato il subappalto come strumento negoziale che, pur differenziandosi dall’avvalimento sotto il profilo strutturale, ha tuttavia in comune la funzione di allargare la possibilità di partecipazione alle gare da parte di soggetti sforniti dei requisiti di partecipazione (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 13.03.2014 n. 1224 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTIIl Collegio, pur dando conto del contrasto esistente in giurisprudenza circa le conseguenze dell’omissione dell’indicazione degli oneri per i rischi propri all’interno dell’offerta economica, non ravvisa ragione di discostarsi dai propri precedenti, in cui si è aderito all’orientamento che consente l’applicazione del potere di soccorso, a tutela della buona fede dei concorrenti, quando l’omessa indicazione degli oneri per i rischi propri sia imputabile alla stazione appaltante come conseguenza dell’imperfetta redazione della lex specialis, così facendo proprio il principio espresso nella sentenza del Cons. Stato, n. 3706/2013).
Più precisamente, si è affermato che la quantificazione a posteriori degli oneri per i rischi è ammissibile a condizione che i relativi costi siano desumibili in modo oggettivo da documenti predisposti anteriormente alla procedura. In tal caso, la commissione di gara, verificato che tali costi non siano stati sottostimati, deve procedere alla loro aggiunta, fittiziamente, all’offerta economica, così da rideterminare di conseguenza il punteggio.
Ritenuto, dunque, di non abbandonare tale orientamento, anche nel caso in esame si è constatato, in sede cautelare, che il bando di gara richiedeva la formulazione dell’offerta economica al netto dei costi per la sicurezza, nonostante ciò non fosse corretto, essendo gli oneri per i rischi propri una componente necessaria dell’offerta, da scorporare solo per valutarne la congruità. Si è dunque ritenuto che la lex specialis avesse indirizzato erroneamente i concorrenti e che, in ragione di ciò, la commissione di gara fosse tenuta a riesaminare l’offerta della ricorrente, previa convocazione della stessa.

Ritenendo illegittima l’esclusione e gli atti conseguenti, la ricorrente ha dedotto:
1. con riferimento all’esclusione, la violazione della lex specialis, che non solo non conteneva indicazioni sull’obbligo di esporre gli oneri per la sicurezza, ma, al punto 8 del bando, prevedeva che l’offerta economica fosse formulata con il massimo ribasso sull’importo a base di gara “al netto degli oneri per l’attuazione dei piani della sicurezza”;
2. l’illegittimità dell’invito a partecipare rivolto alla controinteressata, in quanto quest’ultima, essendo il gestore uscente, avrebbe dovuto essere pretermessa per il principio di rotazione ex art. 57, comma 6, del Dlgs. 163/2006.
Rispetto al primo profilo, il Collegio, pur dando conto del contrasto esistente in giurisprudenza circa le conseguenze dell’omissione dell’indicazione degli oneri per i rischi propri all’interno dell’offerta economica (cfr. Tar Milano Sez. IV 09.01.2014 n. 36), non ravvisa ragione di discostarsi dai propri precedenti, in cui si è aderito all’orientamento che consente l’applicazione del potere di soccorso, a tutela della buona fede dei concorrenti, quando l’omessa indicazione degli oneri per i rischi propri sia imputabile alla stazione appaltante come conseguenza dell’imperfetta redazione della lex specialis, così facendo proprio il principio espresso nella sentenza del Cons. Stato, Sez. III, 10.07.2013 n. 3706).
Più precisamente, con le sentenze TAR Brescia Sez II 08.05.2013 n. 442 e TAR Brescia Sez. II 13.01.2014 n. 18, si è affermato che la quantificazione a posteriori degli oneri per i rischi è ammissibile a condizione che i relativi costi siano desumibili in modo oggettivo da documenti predisposti anteriormente alla procedura. In tal caso, la commissione di gara, verificato che tali costi non siano stati sottostimati, deve procedere alla loro aggiunta, fittiziamente, all’offerta economica, così da rideterminare di conseguenza il punteggio.
Ritenuto, dunque, di non abbandonare tale orientamento, anche nel caso in esame si è constatato, in sede cautelare (ordinanza n. 45/2014), che il bando di gara richiedeva la formulazione dell’offerta economica al netto dei costi per la sicurezza, nonostante ciò non fosse corretto, essendo gli oneri per i rischi propri una componente necessaria dell’offerta, da scorporare solo per valutarne la congruità. Si è dunque ritenuto che la lex specialis avesse indirizzato erroneamente i concorrenti e che, in ragione di ciò, la commissione di gara fosse tenuta a riesaminare l’offerta della ricorrente, previa convocazione della stessa, determinando a posteriori gli oneri per i rischi propri e valutandone la congruenza, come sopra precisato (TAR Lombardia-Brescia, Sez. II, sentenza 12.03.2014 n. 250 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Centrale di committenza.
Domanda
Buongiorno, scrivo dall'Abruzzo e volevo chiedere se è corretto che due Comuni che insieme non arrivano a 2.500 abitanti possono firmare una convenzione ad hoc creando tra loro una centrale di committenza. Se non ho male interpretato la legge del codice degli appalti, all'art. 33, comma 3-bis, parla di minimo 5.000 abitanti.
Faccio presente che i due comuni condividono lo stesso segretario comunale.
Risposta
L'art. 33, comma 3-bis, del dlgs n. 163/2006 stabilisce che: «I Comuni con popolazione non superiore a 5.000 abitanti ricadenti nel territorio di ciascuna Provincia affidano obbligatoriamente ad un'unica centrale di committenza l'acquisizione di lavori, servizi e forniture_».
Tale previsione normativa si applica ai Comuni con popolazione fino a 5.000 abitanti indipendentemente dalla distinzione tra Comuni «piccolissimi» (sino a 1.000 abitanti) e «piccoli» (da 1.001 a 5.000 abitanti).
Sotto il profilo territoriale è necessario che si tratti di enti della medesima Provincia essendo esclusa la gestione associata tra amministrazioni limitrofe site in due diversi territori provinciali.
Il legislatore ha introdotto una forma di accentramento della gestione delle gare al fine di eliminare i costi inutili connessi alla frammentazione della fase di acquisizione di lavori, servizi e forniture.
La normativa prevede che i piccoli Comuni debbano effettuare i propri acquisti attraverso una Centrale di Committenza associandosi nell'ambito di una Unione di Comuni o consorziandosi con un apposito accordo consortile. Se le Amministrazioni decidono di stipulare una convenzione ex art. 30 Tuel, per la gestione associata delle funzioni fondamentali, graverà su di esse l'obbligo di stipulare un accordo consortile.
È in capo al Consorzio istituito l'obbligo di dare vita a un proprio ufficio di committenza accentrata o comunque di attribuire tale funzione ad uno dei Comuni consorziati quale «capo-fila». In alternativa è possibile far ricorso a strumenti elettronici, gestiti da altre centrali di committenza, tra i quali la normativa stessa include le convenzioni Consip e il Mercato elettronico della p.a.
Anche le acquisizioni in economia mediante procedura di cottimo fiduciario, che quindi prevedono l'indizione di una gara informale, devono essere effettuate attraverso le centrali di committenza. Possano escludersi, dalla gestione obbligatoria delle Centrali uniche di committenza, le acquisizioni in economia mediante amministrazione diretta e l'affidamento diretto per importi inferiori ai 40 mila euro così come previsto dall'art. 125, commi 8 e 11, del dlgs n. 163/2006 (articolo ItaliaOggi Sette del 10.03.2014).

APPALTI: L'istituto dell'avvalimento deve essere pur sempre contemperato con la esigenza di assicurare idonee garanzie alla stazione appaltante per la corretta esecuzione degli appalti.
Pur essendo pacifico in giurisprudenza il carattere generalizzato dell'istituto dell'avvalimento, finalizzato a favorire la massima partecipazione nelle gare di appalto e la effettività della concorrenza secondo i principi di rilievo comunitario, tale istituto deve essere pur sempre contemperato con la esigenza di assicurare idonee garanzie alla stazione appaltante per la corretta esecuzione degli appalti.
Pertanto, nel caso di specie, è illegittima l'ammissione in una gara di appalto di progettazione e di esecuzione lavori di una ati, facente capo alla società che ha fatto ricorso all'istituto dell'avvalimento (art. 49, del d lgs. n. 163/2006), in quanto:
   a ) il criterio letterale posto dall'art. 49, per il quale solo "il concorrente" singolo, consorziato o raggruppato può ricorrere all'avvalimento trattandosi di un istituto di soccorso al concorrente in sede di gara per cui va escluso chi si avvale di soggetto ausiliario a sua volta privo del requisito richiesto dal bando;
   b) se il progettista indicato non è legato da un vincolo negoziale con la stazione appaltante, a maggior ragione non è legato il suo ausiliario che è soggetto terzo che non può offrire alcuna garanzia alla amministrazione.
Solo il concorrente assume infatti obblighi contrattuali con la p.a. appaltante tanto che l'ausiliario, a mente dell'art. 49, co. 2, lett. d), si obbliga verso il concorrente e la stazione appaltante a mettere a disposizione le risorse necessarie di cui è carente il concorrente mediante apposita dichiarazione; inoltre l'ausiliario diventa ex lege responsabile in solido con il concorrente in relazione alle prestazioni oggetto del contratto (art. 49, co. 4). La responsabilità solidale, che è garanzia di buona esecuzione dell'appalto, può sussistere solo in quanto la impresa ausiliaria sia collegata contrattualmente al concorrente tant'è che l'art. 49 prescrive l'allegazione, già in occasione della domanda di partecipazione, del contratto di avvalimento mentre tale vincolo contrattuale diretto con il concorrente e con la stazione appaltante non sussiste nel caso in cui sia lo stesso ausiliario che ricorre ai requisiti posseduti da terzi.
D'altro canto la estensione della categoria di "concorrente" sino a comprendere l'ausiliario e/o il soggetto indicato dal concorrente per la progettazione, comportando potenzialmente una catena di avvalimenti di "ausiliari dell'ausiliario" non consente un controllo agevole da parte della stazione appaltante in sede di gara sul possesso dei requisiti dei partecipanti (Consiglio di Stato, Sez. III, sentenza 07.03.2014 n. 1072 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

LAVORI PUBBLICINon appare illegittimo l’operato dell’amministrazione che approvi in un’unica soluzione il progetto definitivo ed esecutivo dell’opera pubblica.
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L'approvazione del progetto preliminare è adempimento previsto, ai sensi dell’art. 128 del D.Lgs n. 163/2006, per le sole opere pubbliche di importo superiore a euro 1.000.000,00.

Quanto al primo ricorso per motivi aggiunti, in relazione alle tre censure ivi dedotte, è sufficiente richiamare quanto rilevato nel provvedimento cautelare e quindi: che in relazione alle opere da realizzare (cfr. per tutte TAR Puglia Bari, sez. 2^ n. 594/2005 e 2919/2005) non appare illegittimo l’operato dell’amministrazione che approvi in un’unica soluzione il progetto definitivo ed esecutivo dell’opera pubblica; che non risulta smentito che il progetto preliminare sia stato approvato con delibera C.C. del 31.03.2006, pur trattandosi di adempimento previsto, ai sensi dell’art. 128 del D.Lgs n. 163/2006, per le sole opere pubbliche di importo superiore a euro 1.000.000,00 (laddove l’opera in questione è di importo ampiamente inferiore a detto limite).
E, infine, quanto allo studio di fattibilità va richiamato il disposto dell’art. 128 del d.Lgs. 163/2006, il quale prevede che “Il programma triennale costituisce momento attuativo di studi di fattibilità e di identificazione e quantificazione dei propri bisogni che le amministrazioni aggiudicatrici predispongono nell'esercizio delle loro autonome competenze e, quando esplicitamente previsto, di concerto con altri soggetti, in conformità agli obiettivi assunti come prioritari”.
La norma non si riferisce quindi al singolo progetto ma allo stesso programma triennale, che non è oggetto di impugnativa e quindi la censura appare non solo generica ma inconferente, ove indirizzata nei confronti del progetto approvato
(TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 06.03.2014 n. 602 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: La stazione appaltante che opera nei settori speciali, seppur non vincolata all'applicazione delle norme non espressamente indicate dall'art. 206 del D.Lgs. n. 163/2006, deve conformare la disciplina di gara ai principi fondamentali in materia di appalti.
La stazione appaltante che opera nei settori speciali, seppur non vincolata all'applicazione delle norme non espressamente indicate dall'art. 206 del D.Lgs. n. 163 del 2006, deve tuttavia conformare la disciplina di gara, nell'esercizio della facoltà discrezionale alla stessa riconosciuta, coerentemente con i principi di proporzionalità e di ragionevolezza, in modo da dettare una disciplina congrua con l'oggetto della gara e con le relative caratteristiche, non potendo la mera riconducibilità dell'oggetto ai settori esclusi giustificare l'applicazione della disciplina derogatoria a discapito degli ulteriori principi, immanenti in materia di appalti, del favor partecipationis, di non discriminazione, della concorrenza e della economicità, quest'ultimo costituente articolazione del principio generalissimo di buon andamento, non essendo la scelta del contraente finalizzata all'esclusivo interesse dell'Amministrazione, ma volta anche alla tutela degli interessi degli operatori a poter concorrere per il mercato e a potervi accedere.
L'art. 27 del D.Lgs. n. 163 del 2006 delinea, infatti, attraverso l'indicazione dei principi fondamentali, la disciplina generale degli appalti pubblici, che costituisce parametro di legittimità delle relative procedure, anche con riferimento ai settori speciali, in relazione ai quali occorre comunque verificare se ricorra lo scopo di tutela sotteso alla disciplina speciale e se la riconosciuta non applicabilità di determinate disposizioni del Codice sia coerente e compatibile con l'interesse sotteso alla gara.
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L'art. 206 del D.Lgs. n. 163 del 2006 presenta, in tema di cauzioni, un 'vuoto normativo' nell'escludere dalle disposizioni applicabili ai settori speciali l'art. 75 del D.Lgs. n. 163 del 2006, conseguentemente potendo le gare in tali settori anche prescindere del tutto dalla necessità della cauzione a garanzia dell'offerta.
Ne discende che essendo rimessa alla lex specialis di ogni singolo appalto la predisposizione della normativa al riguardo, tale facoltà deve essere esercitata nel rispetto del nesso di necessarietà della deroga rispetto all'oggetto dell'appalto e del principio di proporzionalità, da coniugarsi con il perseguimento della tutela della concorrenza e del principio di massima partecipazione, dovendo la stazione appaltante stabilire le modalità di prestazione della cauzione ed il relativo ammontare in modo coerente con la natura e l'oggetto dell'appalto, dovendo garantire ai partecipanti analoghe -rispetto a quelle dei settori classici- condizioni di accesso alla gara laddove la stessa non abbia quel carattere di specificità che ne giustifica la deroga alla disciplina generale.
Se, quindi, l'art. 75 cit. non trova applicazione nei settori esclusi e la stazione appaltante è libera di determinarsi in merito, potendo addirittura escludere del tutto legittimamente che venga prestata una cauzione, la stessa stazione appaltante, nella determinazione della lex specialis, deve orientare l'esercizio del proprio potere discrezionale in senso coerente con i principi che presiedono alle gare, la cui razionalità intrinseca è soggetta al sindacato di legittimità (TAR Lazio-Roma, Sez. II, sentenza 05.03.2014 n. 2550 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI: Committente pubblico con solidarietà limitata. Appalti. Nessuna corresponsabilità sugli adempimenti previdenziali.
Il Dl 76/03, come ha ricordato una recente sentenza 05.03.2014 n. 1033 della Corte d'appello di Milano (si legga anche il Sole 24 Ore di ieri), ha previsto che le norme della legge Biagi non si applicano ai contratti d'appalto stipulati dalle pubbliche amministrazioni.
Tale esclusione comporta significative differenze con riferimento al regime di responsabilità solidale applicabile se il committente è privato o pubblico.
Per i contratti di appalto stipulati da un committente privato, la legge prevede la responsabilità solidale del committente per i crediti di lavoro dei dipendenti impiegati nell'appalto, maturati dall'impresa appaltatrice (e dalle eventuali subappaltatrici) in relazione al periodo di esecuzione del contratto di appalto, entro il limite di due anni dalla cessazione di quest'ultimo; tale solidarietà comprende i trattamenti retributivi (comprese le quote di Tfr), nonché i contributi previdenziali e i premi assicurativi.
Il regime solidaristico è derogabile ad opera della contrattazione collettiva, ma soltanto per i trattamenti retributivi; la deroga è, infatti, esclusa con riferimento ai contributi previdenziali e assicurativi.
Il quadro della responsabilità solidale è completato dalla previsione di cui all'articolo 35, comma 28, della legge 248/2006 che disciplina l'ambito fiscale, coobbligando in solido l'appaltatore e il subappaltatore, nel limite del corrispettivo dovuto, per le ritenute sui redditi da lavoro dipendente dovute da quest'ultimo.
Il committente non è responsabile in solido ma soggiace a sanzioni amministrative per una sorta di culpa in vigilando; dal regime solidaristico è escluso il versamento dell'Iva a carico del subappaltatore e dell'appaltatore.
Il quadro normativo muta qualora il committente dell'appalto sia una Pubblica amministrazione; in questo caso, infatti, con l'introduzione del del Dl 76/2013 l'unica forma di solidarietà sussistente tra committente e appaltatore è quella contenuta nell'articolo 1676 del codice civile, la quale soffre di significative limitazioni rispetto a quella contenuta nella legge Biagi, in quanto non solo l'oggetto è circoscritto esclusivamente al trattamento economico dovuto dall'appaltatore ai propri dipendenti, con conseguente esclusione degli adempimenti previdenziali, ma la quantificazione del debito solidale si riferisce solo alla somma ancora dovuta dal committente all'appaltatore al momento della domanda dei lavoratori.
Con riferimento, invece, al regime di solidarietà applicabile all'appaltatore e al subappaltatore di un appalto pubblico, l'articolo 118 del Dl 163/2006 sancisce la responsabilità solidale dell'affidatario in merito all'osservanza del trattamento economico e normativo stabilito dai contratti collettivi da parte dei subappaltatori nei confronti dei loro dipendenti per le prestazioni rese nell'ambito del subappalto
(articolo Il Sole 24 Ore del 20.03.2014 - tratto da www.centrostudicni.it).

APPALTIPer il pubblico solidarietà nelle gare fino a luglio 2013. L'obbligo è venuto meno solo con l'arrivo del Dl 76/2013. Appalti. La Corte d'appello di Milano sulla responsabilità per i crediti dei lavoratori.
Il regime della responsabilità solidale negli appalti previsto dalla legge Biagi (articolo 29, comma 2, decreto legislativo 276/03) si applica anche nelle ipotesi in cui il committente dell'appalto di servizi sia un ente pubblico, quanto meno per i periodi antecedenti l'approvazione del Dl 76/2013.
Lo ha stabilito la Corte d'appello di Milano, con sentenza 05.03.2014 n. 1033, con la quale ha respinto l'appello dell'Inpdap (oggi Inps), committente nell'ambito di un appalto di servizi, condannata in primo grado al pagamento delle differenze retributive e del Tfr dei dipendenti dell'appaltatore, in solido con quest'ultimo.
L'Istituto appellante lamentava l'erroneità della decisione del Tribunale di Milano per non avere quest'ultimo interpretato correttamente l'articolo 1 del Dlgs 276/2003, che esclude l'applicabilità del decreto legislativo alle pubbliche amministrazioni e al suo personale.
La Corte d'appello di Milano ha respinto questo argomento, sostenendo che l'articolo 29, comma 2, del Dlgs 276/03, disciplina un regime unitario di responsabilità solidale tra appaltatore e committente, senza operare alcuna distinzione tra committente pubblico e committente privato, né tra contratto pubblico di appalto di servizi e contratto di appalto di diritto comune.
Secondo la Corte, la norma invocata dall'ente pubblico (articolo 1, comma 2, Dlgs 276/2003) si limita ad escludere l'appplicabilità della riforma Biagi ai rapporti di lavoro dei dipendenti delle Pa; il legislatore delegato, quindi, con tale norma si è limitato ad escludere l'applicazione della riforma al personale delle Pa.
La norma, aggiunge la sentenza, esclude dal campo di applicazione del Dlgs 276/2003 le pubbliche amministrazioni solo quando operano come datori di lavoro; nessuna esclusione, invece, viene sancita per l'attività contrattuale degli operatori, che sono considerati come tutti gli altri agenti contrattuali.
In virtù di tali considerazioni, la Corte conclude per la sussistenza della responsabilità solidale anche per l'ente pubblico che ha stipulato un appalto di servizi.
La Corte esclude, inoltre, la possibilità di applicare al caso sottoposto al suo esame la riforma legislativa contenuta nell'articolo 9 del Dl 76/1913. Questa norma, dopo avere esteso il regime di solidarietà di cui all'articolo 29 anche ai trattamenti retributivi dei lavoratori autonomi, esclude l'applicabilità di tale regime ai contratti di appalto stipulati dalle Pa.
Per la Corte di Milano, tuttavia, tale chiarimento non ha natura interpretativa, posto che la stessa non si esprime in termini di chiarificazione di una precedente statuizione legislativa, e quindi è destinato a valere solo per i rapporti contrattuali instaurati o comunque proseguiti dopo la sua entrata in vigore, mentre non ha alcun impatto per i rapporti iniziati e conclusi prima
(articolo Il Sole 24 Ore del 19.03.2014).

APPALTI: L'omessa indicazione in sede di offerta economica del separato costo da sostenere per gli oneri di sicurezza non comporta di per sé l'esclusione dalla gara.
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Sugli obblighi di dichiarazione dei requisiti di moralità ex art. 38, del d.lgs. n. 163 del 2006, nelle fattispecie relative alla cessione di azienda o di ramo di azienda.

Nel caso di appalti non aventi ad oggetto l'esecuzione di lavori pubblici -nei cui confronti si applica la norma dettata ad hoc dall'art. 131 d.lgs. n 163 del 2006- ed il cui bando di gara non contenga una comminatoria espressa, l'omessa indicazione nell'offerta dello scorporo matematico degli oneri di sicurezza per rischio specifico non comporta di per sé l'esclusione dalla gara, ma rileva ai soli fini dell'anomalia del prezzo offerto, nel senso che, per scelta della stazione appaltante, il momento di valutazione dei suddetti oneri non è eliso, ma è posticipato al sub-procedimento di verifica della congruità dell'offerta nel suo complesso.
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Nelle fattispecie relative alla cessione di azienda o di ramo di azienda, stante la non univocità della norma circa l'onere dichiarativo dell'impresa (cui va aggiunta l'incertezza degli indirizzi giurisprudenziali), in assenza nella disciplina di gara di una specifica comminatoria di esclusione, quest'ultima potrà essere disposta non già per la mera omessa dichiarazione dei requisiti di moralità ex art. 38 del d.lgs. n. 163 del 2006, prescritti per l'ammissione alle procedure di affidamento di concessioni e di appalti pubblici, ma soltanto là dove sia effettivamente riscontrabile l'assenza del requisito in questione (Consiglio di Stato, Sez. III, sentenza 04.03.2014 n. 1030 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

LAVORI PUBBLICI: Sulla partecipazione alle gare anche alle imprese prive della qualificazione nelle categorie scorporabili, se in possesso della qualificazione nella categoria prevalente.
I concorrenti, a prescindere dalla forma che rivestano (impresa singola, R.T.I. orizzontale o R.T.I. verticale), ai fini della dimostrazione del possesso dei requisiti di partecipazione alla gara, e per colmare eventuali carenze sul piano delle qualificazioni prescritte dalla lex specialis per le categorie scorporabili, possono limitarsi a dichiarare di voler ricorrere al subappalto [come prescritto dall'art. 118, c. 2, n. 1 del D.Lgs. n. 163/2006), che impone una generica dichiarazione in tal senso], ove non si tratti di categorie scorporabili a qualificazione obbligatoria (o categorie di opere speciali) e ove venga dimostrato il possesso (da parte dell'impresa singola o dell'impresa mandataria) della qualificazione nella categoria prevalente con classifica idonea a ricomprendere anche l'importo dei lavori delle categorie scorporabili.
La conclusione trova riscontro nell'indirizzo recentemente affermato dal Consiglio di Stato, che, muovendo dalla premessa che "l'identificazione del subappaltatore e (la) verifica del possesso da parte di questi di tutti i requisiti richiesti dalla legge e dal bando (…)attiene solo al momento dell'esecuzione" rileva (richiamando a sostegno anche la determinazione dell'AVCP n. 4 del 10.10.2012) che "come voluto dall'art. 92 del d.p.r. n. 207 del 2010, "i requisiti relativi alle categorie scorporabili non posseduti dall'impresa devono da questa essere posseduti con riferimento alla categoria prevalente".
La stessa determinazione precisa che la normativa "non comporta l'obbligo di indicare i nominativi dei subappaltatori in sede di offerta, ma solamente di indicare le quote che il concorrente intende subappaltare, qualora non in possesso della qualificazione per le categorie scorporabili".
Non può, quindi, nel caso che trovare applicazione la regola generale dettata dall'art. 118 del d.lgs. n. 163 del 2006 e dall'art. 109 del d.p.r. n. 207 del 2010, che non impongono di indicare già in sede di qualificazione l'appaltatore, rimandano anche il controllo dei requisiti al momento in cui verrà depositato il contratto di subappalto.
Il principio generale ricavabile dall'art. 92, commi 1, 3 e 7, del D.P.R. n. 207/2010, consente -quindi- la partecipazione anche alle imprese prive della qualificazione nelle categorie scorporabili, se in possesso della qualificazione nella categoria prevalente con classifica adeguata a ricomprendere anche le lavorazioni appartenenti a categorie scorporabili; e, dunque, consente in tal modo di supplire, in sede di partecipazione, agli eventuali requisiti mancanti per le categorie scorporabili (salva la possibilità di subappaltare in fase di esecuzione dei lavori) (TAR Sardegna, Sez. I, sentenza 03.03.2014 n. 1969 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

febbraio 2014

APPALTI: Non ha carattere direttamente interdittivo l'informativa antimafia c.d. "atipica".
L'informativa antimafia c.d. "atipica", a differenza di quella c.d. "tipica", non ha carattere direttamente interdittivo, consentendo al più alla stazione appaltante di valutare discrezionalmente se avviare o proseguire i rapporti contrattuali, alla luce dell'idoneità morale dell'imprenditore d'assumere la posizione di contraente con la P.A. Sicché tal efficacia interdittiva può se del caso scaturire dall'autonoma valutazione discrezionale della P.A. (o, il che è lo stesso, nel caso di specie dell'ente appaltante, qual è l'ANAS s.p.a,) destinataria della predetta informativa prefettizia atipica. È dunque assodato che quest'ultima, ancorché non priva di effetti nei confronti della P.A., non ne comprime interamente l'autonoma capacità di apprezzamento del dato fornito, onde il mantenimento o la risoluzione del rapporto contrattuale dev'esser comunque il frutto di una scelta motivata della stazione appaltante.
È ben noto in giurisprudenza, il principio per cui non serve, anche a fronte di un'informativa "atipica" una motivazione molto ampia, se non quando la stazione appaltante decidesse d'instaurare o di proseguire il rapporto con l'impresa, pur a seguito dell'informativa che la riguardi. La ragione di ciò risiede nella natura dell'accertamento antimafia (prescindendo dagli effetti automatici che la legge, a seconda dei casi, gli accorda, o no), nonché nella correlata esigenza di tutelare in via preferenziale, quand'anche con meccanismi di tipo indiziario, la trasparenza e l'immunità del settore dei pubblici appalti da fenomeni invasivi, anche interposti, da parte della criminalità organizzata (Consiglio di Stato, Sez. III, sentenza 28.02.2014 n. 944 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTIIn mancanza di una specifica previsione della lex specialis va rilevato che non può identificarsi un obbligo di inclusione nell'intestazione della cauzione provvisoria, riferito alle imprese ausiliarie discendente dall'art. 49, d.lgs. n. 163 del 2006, posto che ivi, dopo aver contemplato un regime di responsabilità solidale tra l'impresa avvalente e quella ausiliaria, si dispone che il contratto di appalto è comunque eseguito dall'impresa avvalente, a nome della quale è rilasciato il certificato di esecuzione dei lavori.
Dunque, se lo stesso legislatore individua dunque nell'impresa avvalente l'unico soggetto titolare del contratto di appalto, risulta allora del tutto illogico affermare che l'onere cauzionale deve gravare su di un soggetto ulteriore e diverso, in ordine al quale rileva solo il rapporto interno con l'avvalente medesimo, ferma restando la predetta responsabilità solidale ex lege dell'ausiliario nei confronti dell'amministrazione aggiudicatrice.

Con il secondo motivo di ricorso si contesta la regolarità della polizza fideiussoria, presentata a titolo di cauzione provvisoria, in quanto non estesa anche all'impresa ausiliaria.
Il motivo è infondato.
In mancanza di una specifica previsione della lex specialis va rilevato che non può identificarsi un obbligo di inclusione nell'intestazione della cauzione provvisoria, riferito alle imprese ausiliarie discendente dall'art. 49, d.lgs. n. 163 del 2006, posto che ivi, dopo aver contemplato un regime di responsabilità solidale tra l'impresa avvalente e quella ausiliaria, si dispone che il contratto di appalto è comunque eseguito dall'impresa avvalente, a nome della quale è rilasciato il certificato di esecuzione dei lavori.
Dunque, se lo stesso legislatore individua dunque nell'impresa avvalente l'unico soggetto titolare del contratto di appalto, risulta allora del tutto illogico affermare che l'onere cauzionale deve gravare su di un soggetto ulteriore e diverso, in ordine al quale rileva solo il rapporto interno con l'avvalente medesimo, ferma restando la predetta responsabilità solidale ex lege dell'ausiliario nei confronti dell'amministrazione aggiudicatrice (cfr. in termini Tar Salerno 2517/2013, Tar Catanzaro 868/2013, Tar L’Aquila 817/2013, Tar Catania 27/2013) (TAR Puglia-Lecce, Sez. III, sentenza 26.02.2014 n. 659 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTIAppalti, nessuno sconto. In 10 giorni il vincitore deve provare i requisiti. Il Consiglio di stato sulla natura dei termini in capo all'aggiudicatario.
Anche il vincitore di un appalto ha l'obbligo di provare i requisiti dichiarati, senza possibilità di deroga. Il termine dei dici giorni è perentorio.
Lo afferma l'adunanza plenaria del Consiglio di Stato nella sentenza 25.02.2014 n. 10, risolvendo una questione dibattuta da tempo.
In particolare, l'art. 48, primo comma, del Codice dei contratti pubblici, prevede che entro dieci giorni gli offerenti sorteggiati (per la verifica a campione) debbano produrre i documenti a comprova dei requisiti dichiarati, pena l'esclusione dalla gara, la segnalazione all'Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici e l'escussione della cauzione provvisoria. Nel secondo comma si stabilisce che la richiesta dei documenti «è, altresì, inoltrata, entro dieci giorni dalla conclusione delle operazioni di gara, anche all'aggiudicatario e al concorrente che segue in graduatoria, qualora gli stessi non siano compresi fra i concorrenti sorteggiati».
La giurisprudenza del Consiglio di stato è stata fino ad oggi costante nel ritenere che il termine previsto dal primo comma dell'art. 48 del Codice, in relazione alla verifica a campione, abbia natura perentoria (tranne il caso di un oggettivo impedimento alla produzione della documentazione non in disponibilità), mentre si è divisa sulla natura del termine che viene assegnato dall'amministrazione all'aggiudicatario nella procedura prefigurata dal secondo comma dello stesso art. 48.
Secondo un orientamento il secondo comma dell'art. 48, a differenza del primo comma, non contempla un termine legale entro il quale la documentazione richiesta dall'amministrazione deve essere prodotta e quindi il termine non è perentorio. Il termine di cui al secondo comma dovrebbe essere considerato, mancando esigenze acceleratorie, meramente sollecitatorio, e in tal senso si era espressa anche l'Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici con la determinazione n. 5 del 21.05.2009. Secondo un altro orientamento, invece, il termine, anche del secondo comma, ha natura perentoria.
La pronuncia dell'adunanza plenaria sposa questa seconda tesi affermando che in tal senso depone, a detta dei giudici, il fatto che l'esigenza di celerità del procedimento è propria anche della fase specifica in cui si inserisce l'adempimento di cui all'art. 48, comma 2, che è quella conclusiva della procedura che inizia con l'aggiudicazione provvisoria e si conclude con la stipula del contratto. Ad avviso dei giudici, inoltre, l'esigenza di celerità e certezza deriva anche dalla «previsione del condizionamento sequenziale degli adempimenti e dalla preordinazione di termini per la verifica e approvazione dell'aggiudicazione provvisoria, per l'inoltro della richiesta di verifica dei requisiti da parte dell'amministrazione e per la stipulazione, approvazione e controlli del contratto».
Infine, il Consiglio di stato afferma che assumono comunque particolare rilevanza i «principi generali di tempestività ed efficacia delle procedure di affidamento, di cui all'art. 2 del Codice, nel momento della conclusione utile della lunga e complessa attività svolta in precedenza per la scelta del contraente». Quindi il vincitore deve entro dieci giorni provare i requisiti pena l'esclusione dalla gara (articolo ItaliaOggi dell'01.03.2014 - tratto da www.centrostudicni.it).

APPALTILimiti al pagamento dei subappaltatori. Crisi d'impresa. Crediti non prededucibili.
Nelle procedure concorsuali non sono sempre prededucibili i crediti dei subappaltatori.
Lo ha affermato il TRIBUNALE di Bolzano che, con la sentenza 25.02.2014, prendendo le distanze dalla Cassazione, ha negato la prededucibilità del credito di un subappaltatore per lavori affidati in base a un contratto di appalto con un ente pubblico.
Il tribunale ricorda che il Codice degli appalti impone all'ente pubblico appaltante di sospendere i pagamenti verso l'appaltatore che non trasmetta le fatture quietanzate del subappaltatore, dimostrando così di aver regolarmente adempiuto ai propri obblighi nei confronti di quest'ultimo. In forza di tale previsione, la Cassazione con la sentenza 3402/2012 ha riconosciuto il carattere prededucibile –e quindi "preferenziale" rispetto agli altri crediti verso la società fallita– del credito vantato dal subappaltatore.
Secondo la Cassazione, infatti, il pagamento in favore del subappaltatore sarebbe «funzionale» al buon esito della procedura (come richiesto dalla legge fallimentare), costituendo la condizione di esigibilità del credito vantato dalla società fallita nei confronti dell'ente pubblico appaltante. In altre parole: se non sono soddisfatti i subfornitori, l'ente pubblico non può a propria volta pagare la società fallita; pertanto, il pagamento preferenziale dei primi è un vantaggio per tutti i creditori sociali, che beneficiano dell'incasso da parte della fallita.
Il tribunale di Bolzano contesta alle fondamenta il percorso logico seguito dalla Cassazione.
Secondo il tribunale, in presenza di un fallimento prevalgono rispetto al Codice dei contratti i principi cardine che regolano lo svolgimento della procedura concorsuale e che sanciscono la parità di trattamento tra i diversi creditori sociali, fatte salve le cause legittime di prelazione. Di conseguenza, la prededuzione potrà essere riconosciuta (se sussistono i presupposti di legge) solo per crediti sorti nel corso della procedura, mentre quelli sorti in precedenza dovranno essere assoggettati alle regole del concorso con tutti gli altri crediti.
Unica eccezione a questo criterio si può avere, per il tribunale, quando permane il contratto tra ente pubblico appaltante e società affidataria. In particolare, si tratta del caso in cui la società sia assoggettata a una procedura di concordato con continuità aziendale. In questo caso infatti i contratti in corso di esecuzione non si sciolgono ed è tutelato l'interesse della pubblica amministrazione alla realizzazione dell'opera pubblica nei termini e alle condizioni previste nell'appalto.
Infine, il tribunale sottolinea che non è scontato che le somme dovute dall'ente appaltante siano sufficienti a coprire le prestazioni dei subappaltatori. In questo caso, riesce difficile immaginare un vantaggio per la procedura fallimentare che giustifichi un trattamento preferenziale di alcuni creditori (i subappaltatori) rispetto agli altri
(articolo Il Sole 24 Ore del 31.03.2014).

APPALTI FORNITURE - CONSIGLIERI COMUNALI - ENTI LOCALI: Va accertata la non conformità a legge delle spese di rappresentanza relative all’acquisto di panettoni e pandori da donare ad anziani over 75 anni.
La nozione di spesa di rappresentanza si configura quale voce di costo essenzialmente finalizzata ad accrescere il prestigio e la reputazione della singola pubblica amministrazione verso l’esterno. Le relative spese devono assolvere il preciso scopo di consentire all’ente locale di intrattenere rapporti istituzionali e di manifestarsi all’esterno in modo confacente ai propri fini pubblici.
Dette spese devono dunque rivestire il carattere dell’inerenza, nel senso che devono essere strettamente connesse con il fine di mantenere o accrescere il ruolo, il decoro e il prestigio dell’ente medesimo, nonché possedere il crisma dell’ufficialità, nel senso che esse finanziano manifestazioni della pubblica amministrazione idonee ad attrarre l’attenzione di ambienti qualificati o dei cittadini amministrati al fine di ricavare i vantaggi correlati alla conoscenza dell’attività amministrativa.
L’attività di rappresentanza ricorre in ogni manifestazione ufficiale attraverso gli organi muniti, per legge o per statuto, del potere di spendita del nome della pubblica amministrazione di riferimento.
La violazione dei criteri finalistici testé indicati conduce all’illegittimità della spesa sostenuta dall’ente per finalità che fuoriescono dalla rappresentanza.
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La Sezione ha individuato i seguenti principi di carattere procedimentale e sostanziale:
1) ciascun ente locale deve inserire, nell'ambito della programmazione di bilancio, apposito capitolo in cui vengono individuate le risorse destinate all'attività di rappresentanza, anche nel rispetto dei vincoli di finanza pubblica fissati dal legislatore; capitolo di bilancio che deve essere reso autonomo rispetto ad altri al fine di evitare commistioni contabili;
2) esulano dall’attività di rappresentanza quelle spese che non siano strettamente finalizzate a mantenere o accrescere il prestigio dell'ente verso l’esterno nel rispetto della diretta inerenza ai propri fini istituzionali;
3) non rivestono finalità rappresentative verso l'esterno le spese destinate a beneficio dei dipendenti o amministratori appartenenti all'Ente che le dispongono;
4) le spese di rappresentanza devono essere congrue sia ai valori economici di mercato sia rispetto alle finalità per le quali la spesa è erogata;
5) l’attività di rappresentanza non deve porsi in contrasto con i principi di imparzialità e di buon andamento, di cui all'art. 97 della Costituzione.
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Le spese di rappresentanza non possono risolversi in regalie ricorrenti per le festività, né essere a beneficio di soggetti interni all’ente.
Sono prive della qualificazione di spese di rappresentanza quelle erogate in occasione e nell’ambito di normali rapporti istituzionali a favore di soggetti che non sono rappresentativi degli organi di appartenenza, ancorché estranei all’Ente, e in generale quelle prive di funzioni rappresentative verso l’esterno, quali quelle destinate a beneficio dei dipendenti o amministratori appartenenti all’Ente che le dispone
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Devono inoltre essere rigorosamente giustificate con l’esposizione dell’interesse istituzionale perseguito, della dimostrazione del rapporto tra l’attività dell’ente e la spesa erogata, della qualificazione del soggetto destinatario e dell’occasione della spesa.
Resta ferma la necessità di una congruità della spesa sostenuta che va misurata senz’altro in riferimento ai valori economici di mercato (“non è comunque congruo mostrare prodigalità attraverso celebrazioni e rinfreschi, e semmai è richiesto il contrario, ossia l’evidenza di una gestione accorta che rifugga gli sprechi e si concentri sull’adeguato espletamento delle funzioni sue proprie”).
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L'amministrazione comunale deve dunque essere ristorata degli esborsi sostenuti per l’effettuazione di tale tipologia di spese (e cioè l’acquisto di 105 panettoni e 105 pandori in occasione delle festività natalizie 2012 per gli anziani over 75 del comune).

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In via preliminare la Sezione osserva che nell’attuale contesto congiunturale di coordinamento della finanza pubblica e di crisi economica, le spese di rappresentanza, in quanto non necessarie, sono da considerarsi come recessive rispetto ad altre voci di spesa pubblica.
L’art. 6 comma 8 del D.L. 31.05.2010, n.78, convertito con modificazioni nella legge 30.07.2010, n.122 ha disposto che “A decorrere dall'anno 2011 le amministrazioni pubbliche inserite nel conto economico consolidato della pubblica amministrazione, come individuate dall'Istituto nazionale di statistica (ISTAT) ai sensi del comma 3 dell'articolo 1 della legge 31.12.2009, n. 196, incluse le autorità indipendenti, non possono effettuare spese per relazioni pubbliche, convegni, mostre, pubblicità e di rappresentanza, per un ammontare superiore al 20 per cento della spesa sostenuta nell'anno 2009 per le medesime finalità”.
La legislazione finanziaria ha infatti previsto un taglio lineare a regime di oltre l’80% rispetto alla spesa sostenuta nell’anno 2009 per le seguenti tipologie: relazioni pubbliche, convegni, mostre, pubblicità e rappresentanza.
La normativa non ha definito le singole categorie di spesa, per la concettualizzazione delle quali si deve far riferimento al linguaggio comune e ai criteri elaborati dalla giurisprudenza contabile ed amministrativa.
Dal punto di vista definitorio, si osserva che
la nozione di spesa di rappresentanza si configura quale voce di costo essenzialmente finalizzata ad accrescere il prestigio e la reputazione della singola pubblica amministrazione verso l’esterno. Le relative spese devono assolvere il preciso scopo di consentire all’ente locale di intrattenere rapporti istituzionali e di manifestarsi all’esterno in modo confacente ai propri fini pubblici.
Dette spese devono dunque rivestire il carattere dell’inerenza, nel senso che devono essere strettamente connesse con il fine di mantenere o accrescere il ruolo, il decoro e il prestigio dell’ente medesimo, nonché possedere il crisma dell’ufficialità, nel senso che esse finanziano manifestazioni della pubblica amministrazione idonee ad attrarre l’attenzione di ambienti qualificati o dei cittadini amministrati al fine di ricavare i vantaggi correlati alla conoscenza dell’attività amministrativa.
L’attività di rappresentanza ricorre in ogni manifestazione ufficiale attraverso gli organi muniti, per legge o per statuto, del potere di spendita del nome della pubblica amministrazione di riferimento.

La violazione dei criteri finalistici testé indicati conduce all’illegittimità della spesa sostenuta dall’ente per finalità che fuoriescono dalla rappresentanza.
Sotto il profilo gestionale, l’economicità e l’efficienza dell’azione della pubblica amministrazione impongono il carattere della sobrietà e della congruità della spesa di rappresentanza sia rispetto al singolo evento finanziato, sia rispetto alle dimensioni e ai vincoli di bilancio dell’ente locale che le sostiene.
La violazione dei criteri che presiedono alla sana gestione finanziaria comporta il venir meno dei requisiti di razionalità ed economicità cui l’attività amministrativa deve sempre tendere ai sensi dell’art. 97 Cost.
Sotto il profilo contabile, l’art. 6, comma 8, del D.L. citato impone una riduzione lineare dei singoli capitoli di bilancio rispetto alla spesa sostenuta nell’anno 2009 per i medesimi fini. La violazione del vincolo si traduce in una grave irregolarità contabile per violazione diretta di principi di ordine pubblico economico volti a salvaguardare la tenuta dei conti pubblici della Repubblica Italiana.
Infine, sotto il profilo regolamentare, ogni pubblica amministrazione dovrebbe dotarsi di regole che disciplinano i casi e i modi in cui è sostenibile la spesa di rappresentanza.
In maggior dettaglio, nell’autodeterminare le linee guida per la propria attività,
la Sezione ha individuato i seguenti principi di carattere procedimentale e sostanziale:
1) ciascun ente locale deve inserire, nell'ambito della programmazione di bilancio, apposito capitolo in cui vengono individuate le risorse destinate all'attività di rappresentanza, anche nel rispetto dei vincoli di finanza pubblica fissati dal legislatore; capitolo di bilancio che deve essere reso autonomo rispetto ad altri al fine di evitare commistioni contabili.
2) esulano dall’attività di rappresentanza quelle spese che non siano strettamente finalizzate a mantenere o accrescere il prestigio dell'ente verso l’esterno nel rispetto della diretta inerenza ai propri fini istituzionali.
3) non rivestono finalità rappresentative verso l'esterno le spese destinate a beneficio dei dipendenti o amministratori appartenenti all'Ente che le dispongono.
4) le spese di rappresentanza devono essere congrue sia ai valori economici di mercato sia rispetto alle finalità per le quali la spesa è erogata.
5) l’attività di rappresentanza non deve porsi in contrasto con i principi di imparzialità e di buon andamento, di cui all'art. 97 della Costituzione.

...
Dal prospetto redatto secondo lo schema tipo individuato da D.M. 23.01.2012, sulla scorta della documentazione acquisita nel corso dell’istruttoria, risultano non conformi a legge e ai criteri individuati dalla Sezione, le voci di spesa che seguono: Acquisto panettoni per anziani oltre 75 anni, euro 987,00.
Nel merito del caso in esame, la Sezione osserva che
la spesa per l’acquisto di dolciumi natalizi si configura come mero atto di liberalità nei confronti di soggetti che l’amministrazione comunale indica come persone ultra settantacinquenni in condizioni di difficoltà. L’atto di donazione da parte della P.A. ai privati è sempre possibile qualora si ravvisino ragioni di particolare interesse pubblico, posto che alla prestazione resa con denaro pubblico non corrisponde un sacrificio del beneficiario. Tuttavia, la mera liberalità in occasione di festività natalizie non rientra nel novero delle spese di rappresentanza, nei termini sopra indicati e deve trovare altra allocazione nel bilancio dell’ente.
La predetta spesa si riferisce all’acquisto di 105 panettoni e 105 pandori in occasione delle festività natalizie 2012 per gli anziani over 75 del comune di Idro. Ad ogni buon conto si osserva che i residenti con età uguale o superiore a 75 anni risultano essere (nel 2012) 167 al 31.12.2012 (Fonte Istat).
Al riguardo, la Sezione ribadisce che
le spese di rappresentanza non possono risolversi in regalie ricorrenti per le festività, né essere a beneficio di soggetti interni all’ente.
Sono prive della qualificazione di spese di rappresentanza quelle erogate in occasione e nell’ambito di normali rapporti istituzionali a favore di soggetti che non sono rappresentativi degli organi di appartenenza, ancorché estranei all’Ente, e in generale quelle prive di funzioni rappresentative verso l’esterno, quali quelle destinate a beneficio dei dipendenti o amministratori appartenenti all’Ente che le dispone
(Corte dei Conti - Sez. Giurisdizionale Regione Veneto, 22.11.1996 n. 456 e Sez. Giurisdizionale Emilia Romagna, 05.06.1997 n. 326).
Devono inoltre essere rigorosamente giustificate con l’esposizione dell’interesse istituzionale perseguito, della dimostrazione del rapporto tra l’attività dell’ente e la spesa erogata, della qualificazione del soggetto destinatario e dell’occasione della spesa.
Resta ferma la necessità di una congruità della spesa sostenuta che va misurata senz’altro in riferimento ai valori economici di mercato (“non è comunque congruo mostrare prodigalità attraverso celebrazioni e rinfreschi, e semmai è richiesto il contrario, ossia l’evidenza di una gestione accorta che rifugga gli sprechi e si concentri sull’adeguato espletamento delle funzioni sue proprie” – Sez. Giurisdizionale Abruzzo n. 394/2008).
La Sezione osserva che
l’amministrazione comunale deve dunque essere ristorata degli esborsi sostenuti per l’effettuazione di tale tipologia di spese (Corte dei Conti, Sez. controllo Lombardia, deliberazione 24.02.2014 n. 93).

APPALTISubappalti, pagamenti diretti. Se l'appaltatore è in crisi, può provvedere l'appaltante. DESTINAZIONE ITALIA/Le novità relative al settore infrastrutture e opere pubbliche
Possibile il pagamento diretto dei subappaltatori da parte della stazione appaltante se l'appaltatore è in crisi finanziaria e ritarda i pagamenti oppure se si è in pendenza di una procedura di concordato preventivo con continuità aziendale; previsti indennizzi per le imprese che subiscono danni nei cantieri delle opere infrastrutturali (con due milioni per il 2014 e 5 per il 2015); al via l'anagrafe delle risorse Cipe revocate.

Sono queste alcune delle previsioni contenute nell'articolo 13 del decreto-legge 145/2013 «Destinazione Italia», convertito nella legge n. 9/2014 (pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 43 del 21/02/2014) relative al settore delle infrastrutture e delle opere pubbliche.
Una delle norme di maggiore rilievo è quella che prevede indennizzi in caso di danneggiamenti nei cantieri in cui si realizzano opere infrastrutturali ricomprese nel programma delle infrastrutture strategiche (Pis) della ex legge Obiettivo.
Si tratta di una disposizione che ha subito modifiche nei diversi passaggi parlamentari; in particolare, alla Camera è stato previsto che l'indennizzo si possa disporre non in automatico, ma attraverso un decreto ad hoc del ministero delle infrastrutture. Si introduce quindi la possibilità di assegnare un indennizzo alle imprese che subiscono danni ai materiali, alle attrezzature e ai beni strumentali «come conseguenza di delitti non colposi commessi al fine di ostacolare o rallentare l'ordinaria esecuzione delle attività di cantiere».
Dal momento che questi fatti finiscono per pregiudicare il corretto adempimento delle obbligazioni assunte per la realizzazione dell'opera, il legislatore dispone la possibilità di indennizzo, ma ne subordina l'effettiva operatività all'emanazione di un apposito decreto del ministro delle infrastrutture e dei trasporti, di concerto con il ministro dell'economia e delle finanze, con il quale si disporrà l'indennizzo. Come vincolo si precisa che l'indennizzo potrà essere concesso per una quota della parte eccedente le somme liquidabili dall'assicurazione stipulata dall'impresa o, se l'impresa non fosse assicurata, per una quota del danno subito. Per la concreta applicazione della norma si stanziano due milioni per il 2014 e cinque per il 2015.
Un'altra disposizione di particolare rilievo è prevista, sempre all'articolo 13, per la disciplina del subappalto (contenuta nell'articolo 118 del Codice dei contratti). In particolare si consente alla stazione appaltante, in particolari condizioni, anche in deroga alle previsioni del bando di gara, di provvedere al pagamento diretto delle prestazioni effettuate dal subappaltatore, dal cottimista nonché dalle società, anche consortili, eventualmente costituite per l'esecuzione unitaria dei lavori. Si tratta in particolare dei casi in cui l'impresa titolare del contratto principale versi in situazione di crisi di liquidità finanziaria, comprovata da reiterati ritardi nei pagamenti dei subappaltatori, o dei cottimisti e accertata dalla stazione appaltante.
L'articolo 13 stabilisce inoltre, nella pendenza di una procedura di concordato preventivo con continuità aziendale, la possibilità per la stazione appaltante, anche per i contratti di appalto in corso, di provvedere ai pagamenti dovuti per le prestazioni eseguite dagli eventuali diversi soggetti che costituiscano l'affidatario,quali le mandanti, e dalle società, anche consortili, eventualmente costituite per l'esecuzione unitaria dei lavori dai subappaltatori e dai cottimisti, secondo le determinazioni del Tribunale competente per l'ammissione alla procedura di concordato.
Viene poi estesa l'applicazione delle norme sullo svincolo automatico delle garanzie di buona esecuzione relative alle opere in esercizi a tutti i contratti aventi ad oggetto opere pubbliche, anche se stipulati anteriormente all'entrata in vigore del Codice dei contratti pubblici. In particolare la disposizione, che tende ad assicurare uniformità di disciplina per tutte le opere pubbliche, comprende nell'ambito di applicazione della disciplina sullo svincolo delle cauzioni, anche i cosiddetti «settori esclusi», o sarebbe meglio dire «speciali», cioè quelli dell'acqua, dell'energia e dei trasporti che non applicano integralmente le disposizioni del codice dei contratti pubblici e del regolamento attuativo.
Infine si introduce l'anagrafe pubblica delle revoche dei fondi Cipe, che dovranno essere pubblicate su un sito internet del Cipe stesso con riferimento ai singoli provvedimenti normativi con i quali, a partire dal 01.01.2010, sono state revocate le assegnazioni (articolo ItaliaOggi Sette del 24.02.2014 - tratto da www.centrostudicni.it).

APPALTIMilleproroghe. Centrale unica a rischio.
L'entrata in vigore dell'obbligatorietà della costituzione della Centrale unica di committenza per i comuni con popolazione inferiore a 5 mila abitanti è stata nuovamente prorogata al 30.06.2014 da un emendamento approvato in senato al decreto milleproroghe.

È bene ricordare che l'art. 33, comma 3-bis, del Codice unico degli appalti il stabilisce l'obbligo per i comuni con popolazione non superiore a 5 mila abitanti (ricadenti nel territorio di ciascuna provincia) di costituire un'unica centrale di committenza per l'acquisizione di lavori, servizi e forniture nell'ambito delle unioni dei comuni, di cui all'articolo 32 del dlgs n. 267/2000 ovvero costituire un apposito accordo consortile tra i comuni stessi.
La ratio della disposizione risiede nella volontà del Legislatore di favorire la gestione delle attività, delle funzioni e dei compiti in forma associata, favorendo -nel contempo- un processo di razionalizzazione della spesa, un più efficiente impiego delle risorse umane e strumentali a disposizione ed una maggiore efficacia dell'azione amministrativa.
Tuttavia, tale proroga (introdotta anche su richiesta dell'Anci) potrebbe non entrare in vigore definitivamente; infatti la caduta del governo Letta a seguito delle dimissioni del presidente del consiglio e la conseguente procedura di nomina di un nuovo esecutivo e l'ottenimento della fiducia da parte del parlamento possono mettere a repentaglio il percorso del decreto Milleproroghe attualmente alla camere il quale dovrà essere convertito definitivamente in legge entro il prossimo 28 febbraio. In caso di mancata conversione, gli enti locali dovranno provvedere immediatamente alla costituzione della Centrale unica al fine di ottemperare agli obblighi di legge.
Per quanto riguarda i bandi pubblicati dal 1° gennaio ad oggi, si ritiene che, anche in caso di mancata conversione del decreto, agli stessi possano essere applicate le norme precedenti in quanto l'annullamento delle procedure per il venir meno della proroga potrebbe comportare una lesione dell'interesse pubblico generale sotteso all'azione amministrativa (articolo ItaliaOggi del 21.02.2014).

AMBIENTE-ECOLOGIA - APPALTI - EDILIZIA PRIVATA - LAVORI PUBBLICI: G.U. 21.02.2014 n. 43 "Testo del decreto-legge 23.12.2013, n. 145, coordinato con la legge di conversione 21.02.2014, n. 9, recante: «Interventi urgenti di avvio del piano “Destinazione Italia”, per il contenimento delle tariffe elettriche e del gas, per l’internazionalizzazione, lo sviluppo e la digitalizzazione delle imprese, nonché misure per la realizzazione di opere pubbliche ed EXPO 2015»".

APPALTI: Esclusa dalla gara l’impresa che omette la sigillatura del plico contenente l'offerta.
Oggetto del contendere, in questa pronuncia della quinta sezione del Consiglio di Stato, è la legittimità dell'esclusione dalla gara dell'impresa che abbia omesso la sigillatura del plico contenente l'offerta.
Su questo argomento, i giudici di Palazzo Spada ricordano che l'art. 46. c.1-bis, del D.L.vo 163 del 2006, dispone che "la stazione appaltante esclude i candidati o i concorrenti in … in caso di non integrità del plico contenente l'offerta o la domanda di partecipazione o altre irregolarità relative alla chiusura dei plichi, tali da far ritenere, secondo le circostanze concrete, che sia stato violato il principio di segretezza delle offerte".
Nel caso in commento, senza timbratura e controfirma, quindi, non può sussistere certezza che la sigillatura su quel lembo sia stata opposta all'origine dal mittente che dispone del timbro e della firma; né può sussistere la certezza che, dopo la spedizione, un lembo del plico non sia stato aperto e solo successivamente sigillato con il nastro adesivo.
Gli adempimenti prescritti assicurano, infatti, secondo i giudici d’appello, l'autenticità della chiusura originaria proveniente dal mittente e, evitando la manomissione del contenuto del plico, garantiscono la segretezza dell'offerta, con la conseguente legittimità dell'esclusione dalla gara dell'impresa che abbia omesso la sigillatura del plico contenente l'offerta medesima; e che rientra nel potere dell'Amministrazione fissare le regole di svolgimento della gara pubblica, comprese quelle che attengono alle modalità di presentazione delle offerte; tale potere sfugge al sindacato giurisdizionale salva la sua manifesta irragionevolezza, irrazionalità ed illogicità, che non sussistono nel caso in cui sia per essa richiesta una doppia formalità, e cioè la sigillatura del plico e la controfirma sui lembi di chiusura, in quanto ragionevolmente finalizzata non solo ad evitare il rischio della manomissione del plico e dell'alterazione del suo contenuto, garanzia alla quale è preposta la sigillatura, ma anche a garantire la effettiva provenienza del plico e dell'offerta, garanzia cui è preposta la controfirma sui lembi di chiusura (commento tratto da www.documentazione.ancitel.it -
Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 20.02.2014 n. 828 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI FORNITURE - CONSIGLIERI COMUNALI - ENTI LOCALI: Le spese di rappresentanza non possono essere destinate a beneficio personale dei dipendenti e/o amministratori dell’ente che le dispone.
Infatti, non è configurabile il presupposto della “rappresentatività” quando le spese sono effettuate in favore dei dipendenti o degli amministratori operanti per l’ente medesimo.
Le spese devono essere caratterizzate da un legame con il fine istituzionale dell’ente, oltre alla necessità effettiva per il medesimo di ottenere una proiezione esterna dell’amministrazione o di intrattenere relazioni pubbliche con soggetti estranei nell’ambito dei normali rapporti istituzionali.

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Quanto alle spese prese in considerazione dall’istruttoria e dalla presente deliberazione, sul punto è consolidato l’orientamento della Magistratura contabile secondo cui
le spese in questione non possono essere destinate a beneficio personale dei dipendenti e/o amministratori dell’ente che le dispone. Infatti, non è configurabile il presupposto della “rappresentatività” quando le spese sono effettuate in favore dei dipendenti o degli amministratori operanti per l’ente medesimo. Le spese di rappresentanza devono essere caratterizzate da un legame con il fine istituzionale dell’ente, oltre alla necessità effettiva per il medesimo di ottenere una proiezione esterna dell’amministrazione o di intrattenere relazioni pubbliche con soggetti estranei nell’ambito dei normali rapporti istituzionali.
Tali spese sono pertanto finalizzate ad apportare vantaggi che l’ente trae dall’essere conosciuto, quindi, non possono risolversi in mera liberalità né essere a beneficio di soggetti interni all’ente.
Sono prive della qualificazione di spese di rappresentanza quelle erogate in occasione e nell’ambito di normali rapporti istituzionali a favore di soggetti che non sono rappresentativi degli organi di appartenenza, ancorché estranei all’Ente, e in generale quelle prive di funzioni rappresentative verso l’esterno, quali quelle destinate a beneficio dei dipendenti o amministratori appartenenti all’Ente che le dispone (Corte dei Conti - Sez. Giurisdizionale Regione Veneto, 22.11.1996 n. 456 e Sez. Giurisdizionale Emilia Romagna, 05.06.1997 n. 326).
Devono inoltre essere rigorosamente giustificate con l’esposizione dell’interesse istituzionale perseguito, della dimostrazione del rapporto tra l’attività dell’ente e la spesa erogata, della qualificazione del soggetto destinatario e dell’occasione della spesa.
Resta ferma la necessità di una congruità della spesa sostenuta che va misurata senz’altro in riferimento ai valori economici di mercato
(“non è comunque congruo mostrare prodigalità attraverso celebrazioni e rinfreschi, e semmai è richiesto il contrario, ossia l’evidenza di una gestione accorta che rifugga gli sprechi e si concentri sull’adeguato espletamento delle funzioni sue proprie” – Sez. Giurisdizionale Abruzzo n. 394/2008) (Corte dei Conti, Sez. controllo Lombardia, deliberazione 20.02.2014 n. 88).

APPALTI: S. Metrangolo, Processo amministrativo: sull’ammissibilità di un’azione risarcitoria e sulla responsabilità della Pubblica Amministrazione in punto di procedure di aggiudicazione dei contratti pubblici (20.02.2014 - link a www.filodiritto.com).

ENTI LOCALIFatturazione elettronica obbligata da giugno 2015. Agenda digitale. Comuni, province e regioni hanno 16 mesi per adeguarsi.
L'obbligo della fatturazione elettronica per le amministrazioni locali decorre dal 06.06.2015. Comuni, province e regioni avranno dunque oltre 16 mesi per adeguarsi e cominciare a far viaggiare le fatture sulle piattaforme informatiche messe a punto da Entrate e Sogei per tutti i loro fornitori.
A fissare nero su bianco la data da cui decorrerà l'obbligo previsto dalla Finanziaria 2008 sia per le amministrazioni centrali sia per quelle locali, è ora un decreto attuativo messo a punto dal ministro dell'Economia e da quello per la Pubblica amministrazione e la Semplificazione e domani al parere definitivo della conferenza unificata.
Poche righe ma che completano il quadro normativo per far decollare una volta per tutte la "terza gamba" dell'Agenda digitale italiana: quella della fatturazione elettronica (Identità digitale e anagrafe nazionale della popolazione residente sono le altre due). E su cui a scommetterci non è solo la macchina amministrativa ma anche i privati. Tra questi il Consorzio Cbi cui aderiscono 600 istituti finanziari che offrono servizi a oltre 920mila imprese. In un contesto in cui la priorità per recuperare risorse passa per il taglio dei costi nella Pa, come ricorda il direttore generale del Consorzio, Liliana Fratini Passi «con l'introduzione della fatturazione elettronica verso la Pa si possono ottenere risparmi diretti per oltre un miliardo di euro l'anno (se si considerano solo gli impatti interni alle Pa) e di circa 1,6 miliardi se si vogliono considerare anche i potenziali effetti sui fornitori della Pa stessa».
C'è poi un risvolto difficile da quantificare ma che potrebbe dare comunque risultati eclatanti: la trasparenza e la tracciabilità dei pagamenti con la fatturazione elettronica sono un'arma in più per il contrasto all'evasione fiscale e al sommerso. Ma come sempre accade i buoni propositi e le best practices in Italia non sempre trovano riscontri immediati. Il Direttore generale del Consorzio precisa che gli «enti che si sono dichiarati disponibili alla ricezione di fatture elettroniche attualmente sono al di sotto delle aspettative. Da una verifica al 12 febbraio scorso le ammministrazioni registrate ai servizi di fattura elettronica sono soltanto 50 e di queste solo 14 Pa centrali».
Eppure la macchina e gli istituti finanziari che aderiscono al Consorzio sono pronti. Già dal 6 dicembre scorso, conclude il Dg di Cbi, è disponibile la funzione «Fattura PA» che consente a un consorziato di interfacciarsi con il sistema di interscambio dell'agenzia delle Entrate gestito da Sogei per l'invio delle fatture elettroniche per conto dei propri clienti aziende creditrici, così come la ricezione di fatture elettroniche per conto delle proprie clienti pubbliche amministrazioni debitrici.
Tutto pronto dunque, ora tocca alla macchina statale e locale mettersi in gioco
(articolo Il Sole 24 Ore del 19.02.2014).

APPALTI: Sulla scelta del criterio più idoneo per l'aggiudicazione di un appalto.
La scelta del criterio più idoneo per l'aggiudicazione di un appalto costituisce espressione tipica della discrezionalità amministrativa e, in quanto tale, è sottratta al sindacato del giudice amministrativo, tranne che, in relazione alla natura ed all'oggetto del contratto, non sia manifestamente illogica o basata su travisamento di fatti.
Le stazioni appaltanti, in sostanza, scelgono tra i due criteri (criterio del prezzo più basso o il criterio dell'offerta economicamente più vantaggiosa) quello più adeguato in relazione alle caratteristiche dell'oggetto del contratto in quanto la specificazione del tipo di prestazione richiesta e delle sue caratteristiche peculiari consente di determinare correttamente ed efficacemente il criterio più idoneo all'individuazione della migliore offerta.
Va da sé che il criterio del prezzo più basso, in cui assume rilievo la sola componente prezzo, può presentarsi adeguato esclusivamente quando l'oggetto del contratto abbia connotati di ordinarietà e sia caratterizzato da elevata standardizzazione in relazione alla diffusa presenza sul mercato di operatori in grado di offrire in condizioni analoghe il prodotto richiesto, mentre nelle altre fattispecie è arduo ipotizzare che un sia pur minimo rilievo agli aspetti qualitativi della prestazione offerta sia indifferente per la scelta del contraente (TAR Lazio-Roma, Sez. II-ter, sentenza 17.02.2014 n. 1871 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI: Sull'inesistenza dell'obbligo di dichiarare, ai sensi dell'art. 38 del d.lgs. n. 163/2006, le pronunce di condanna per cui è intervenuta la riabilitazione o l'estinzione del reato.
Ai sensi dell'art. 38, c. 1, lett. c), del d.lgs. n. 163/2006, non sussiste l'obbligo di dichiarare le pronunce di condanna per cui è intervenuta la riabilitazione o l'estinzione del reato. Pertanto, nel caso di specie, deve essere esclusa la legittimità della previsione della "lex specialis" di dichiarare anche le sentenze di condanna per le quali sia intervenuta la riabilitazione, in quanto ingiustificatamente gravatoria (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 17.02.2014 n. 736 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI: L'onere di immediata impugnazione del bando di concorso è circoscritto al caso della contestazione di clausole escludenti, riguardanti requisiti di partecipazione che siano ex se ostative all'ammissione dell'interessato ovvero, al più, impositive, ai fini della partecipazione, di oneri manifestamente incomprensibili o del tutto sproporzionati per eccesso, rispetto ai contenuti della procedura concorsuale o che comportino l'impossibilità, per l'interessato, di accedere alla procedura e il conseguente arresto procedimentale.
Infatti, i bandi di gara, di concorso e le lettere di invito vanno di regola impugnati unitamente agli atti che di essi fanno applicazione, dal momento che sono questi ultimi ad identificare in concreto il soggetto leso dal provvedimento e a rendere attuale e concreta la lesione della situazione soggettiva dell'interessato. Ogni diversa questione riguardante l'illegittimità della procedura di gara può e deve essere proposta unitamente agli atti che facciano diretta applicazione delle clausole dimostratesi lesive (provvedimento di esclusione o dell'aggiudicazione del contratto o di altro provvedimento che segni comunque, per l'interessato, un arresto procedimentale), rendendo attuale e concreta la lesione della situazione soggettiva dell'interessato.

L’eccezione non merita accoglimento.
La giurisprudenza amministrativa ha da tempo chiarito (Cfr. Cons. stato, Ad. Plen., 29.01.2003, n. 1) che l'onere di immediata impugnazione del bando di concorso è circoscritto al caso della contestazione di clausole escludenti, riguardanti requisiti di partecipazione che siano ex se ostative all'ammissione dell'interessato ovvero, al più, impositive, ai fini della partecipazione, di oneri manifestamente incomprensibili o del tutto sproporzionati per eccesso, rispetto ai contenuti della procedura concorsuale o che comportino l'impossibilità, per l'interessato, di accedere alla procedura e il conseguente arresto procedimentale (ex plurimis, Cons. Stato, Sez. V, 21.11.2011, n. 6135).
Infatti, i bandi di gara, di concorso e le lettere di invito vanno di regola impugnati unitamente agli atti che di essi fanno applicazione, dal momento che sono questi ultimi ad identificare in concreto il soggetto leso dal provvedimento e a rendere attuale e concreta la lesione della situazione soggettiva dell'interessato. Ogni diversa questione riguardante l'illegittimità della procedura di gara può e deve essere proposta unitamente agli atti che facciano diretta applicazione delle clausole dimostratesi lesive (provvedimento di esclusione o dell'aggiudicazione del contratto o di altro provvedimento che segni comunque, per l'interessato, un arresto procedimentale), rendendo attuale e concreta la lesione della situazione soggettiva dell'interessato (cfr. TAR Molise, 05.02.2013, n. 36).
Nel caso di specie, la clausola di cui all’art. I.10, comma 3.b dell’avviso non rientrava tra quelle dettate in materia di requisiti di partecipazione, né imponeva obblighi sproporzionati o incomprensibili, limitandosi a dettare una regola di natura meramente operativa relativa alle modalità concrete di presentazione della domanda di ammissione.
Tale clausola ha assunto efficacia lesiva dell’interesse della ricorrente solo allorquando è stata concretamente applicata all’offerta della ricorrente, determinandone l’esclusione per violazione dell’adempimento contestato.
Ne deriva che la clausola doveva essere impugnata unitamente al provvedimento attuativo, come puntualmente ed espressamente fatto dalla ricorrente (TAR Molise, sentenza 17.02.2014 n. 119 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: A. Giardetti, Principali interventi normativi in materia di centrali di committenza (17.02.2014 - link a www.diritto.it).

APPALTIOperativa la procedura per il rilascio. Crediti p.a., parte il Durc.
Via libera alle richieste del Durc da parte delle imprese creditrici nei confronti delle pa. Sul sito del ministero dell'economia, dov'è operativa la piattaforma per la certificazione dei crediti (cd sistema Pcc), è stata attivata la nuova funzionalità che consente di produrre e ottenere il codice attraverso il quale Inail, Inps ed eventualmente casse edili (per le imprese di questo settore) possono rilasciare il documento di regolarità contributiva.

Lo rende noto l'Inail nella
nota 13.02.2014 n. 1123 di prot. che porta in allegato una guida predisposta dallo stesso ministero dell'economia.
In pratica, le imprese interessate dovranno registrarsi sul sistema Pcc ed effettuare la «Richiesta di rilascio del Durc» nella piattaforma. Fatto ciò dovranno salvare la richiesta, identificata da un numero di protocollo, su un dispositivo elettronico, oppure stamparlo. All'interno della richiesta è riportato il «codice di verifica» senza il quale Inps, Inail e casse edili non possono effettuare la verifica della sussistenza e dell'importo dei crediti certificati per attestare la regolarità ai fini del rilascio del Durc.
A questo punto, l'impresa può effettuare la richiesta del Durc nella maniera tradizionale, cioè sul sito www.sportellounicoprevidenziale.it e trasmettere a Inps, Inail e cassa edile la «richiesta di emissione Durc» effettuata nel sistema Pcc. Gli istituti avviano i controlli; l'Inail, in particolare, esamina la situazione dell'impresa richiedente e in presenza di titoli insoluti quantifica l'ammontare dei debiti e comunica via Pec a Inps e cassa edile l'importo dell'irregolarità. Lo stesso faranno Inps e cassa edile. Una volta che è stato quantificato l'ammontare complessivo dei debiti dell'impresa nei confronti di Inail, Inps e cassa edile, scatterà la «verifica capienza per l'emissione del Durc».
Se l'importo dei crediti certificati è almeno pari all'importo dell'irregolarità contributiva, la procedura terminerà con l'emissione del Durc, altrimenti ci sarà l'emissione di un Durc negativo. La stessa procedura, precisa infine l'Inail, vale anche nel caso in cui il Durc venga richiesto da una stazione appaltante o da un'amministrazione procedente (acquisizioni d'ufficio) (articolo ItaliaOggi del 15.02.2014).

APPALTI SERVIZI: Contratti di appalto di servizi - Violazione degli obblighi assunti - Inadempimento di un contratto con la Pubblica Amministrazione - Frode nelle pubbliche forniture - Elementi per la configurabilità - Natura - Giurisprudenza.
Ai fini della configurabilità del delitto di frode nelle pubbliche forniture non è sufficiente il semplice inadempimento del contratto, richiedendo la norma incriminatrice un "quid pluris" che va individuato nella malafede contrattuale, ossia nella presenza di un espediente malizioso o di un inganno, tali da far apparire l'esecuzione del contratto conforme agli obblighi assunti (Cass. Sez. 6, Sentenza n. 36567 del 09/05/2001; Sez. 6, Sentenza n. 11144 del 25/02/2010; Sez. 6, Sentenza n. 5317 del 10/01/2011).
Quanto all'elemento soggettivo, esso è costituito dalla consapevolezza di effettuare una prestazione diversa per quantità e qualità da quella dovuta, a meno che vengano scoperti ed allegati ulteriori elementi che attribuiscano all'oggettivo inadempimento una valenza colposa (Cass. Sez. 6, Sentenza n. 34952 del 23/05/2003). La giurisprudenza non è, invece, univoca nella affermare se si tratti di reato di evento, ritenendo tale anche il mero pericolo, (Cass. Sentenza n. 16428 del 05/12/2007) ovvero di pura condotta: in tale secondo caso, non è ipotizzabile in relazione ad esso una responsabilità da causalità omissiva (Cass. Sez. 6, Sentenza n. 771 del 31/10/2006).
Inadempimento di un contratto e frode nelle pubbliche forniture - Natura civile e penale dell'inadempimento - Elementi per la configurabilità.
Nella accezione civilistica del termine per inadempimento contrattuale si intende la mancata esecuzione della prestazione da cui dipende la realizzazione del diritto del creditore. La prestazione potrà dirsi esattamente eseguita in quanto realizzata in conformità del contenuto dell'obbligazione descritta nel contratto ed il diritto del creditore sia integralmente e tempestivamente soddisfatto.
In generale, l'inadempimento può essere anche parziale, allorquando la prestazione venga resa in modo difforme da come dovuto e con realizzazione di una frazione più o meno limitata dell'interesse del creditore. In tal caso occorrerà valutare l'importanza dell'inadempimento in relazione all'incidenza che abbia avuto sul piano della realizzazione dello jus credendi ed andrà quindi esclusa la rilevanza penale di quelle condotte che, quantunque integrative di una inesatta prestazione contrattuale, abbiano però consentito al committente una pur imperfetta, ma sostanziale soddisfazione del bisogno cui è finalizzato l'obbligo di fare del contratto di fornitura.
Di sicuro, poi, l'inadempimento rilevante è solo quello privo di giustificazioni. Lo stesso deve, invece, escludersi quando la prestazione del privato sia divenuta impossibile per caso fortuito o forza maggiore, ovvero per altra causa non imputabile al debitore, secondo la formula dell'ad 1256 cc. (Cass. Sentenza n. 1174 del 17/11/1998). D'altra parte, la fattispecie penalistica, attraverso il richiamo che l'art. 356 cp. fa al precedente articolo 355, descrive l'inadempimento penalmente rilevante nella condotta in conseguenza della quel vengano a mancare cose o opere che siano necessarie ad uno stabilimento pubblico o ad un pubblico servizio.
Il requisito della necessità delle cose od opere deve essere inteso in senso assoluto: le cose od opere sono quelle che in via immediata soddisfano le necessità del pubblico servizio (Cass. Sentenza n. 9525 del 19/06/1998). Ciò fa sì che rientri nell'alveo della fattispecie incriminatrice non qualsiasi difficoltà operativa ma ciò che rende inattingibile lo scopo cui Il servizio era demandato. Non ogni inesatto adempimento o ritardo vale a concretare un fatto lesivo, dovendosi invece determinare un rapporto di congruità offensiva tra inadempimento ed il venir meno delle opere necessarie per la PA.
Da un punto di vista squisitamente penalistico, v'è da aggiungere che la giurisprudenza sul 356 cp. indica un criterio rigoroso di valutazione dell'inadempimento: si richiede una speciale intensità lesiva dell'interesse del creditore.
Occorre, quindi, una valutazione sulla intensità lesiva dell'inadempimento. Dev'esservi una intollerabilità verificando che l'inadempimento deve tener conto anche della natura del contratto in questione.
Clausole generali di buona fede - Prestazione divenuta inesigibile - Artt. 1175, 1256, 1218 e 1375 c.c..
Non può dirsi sussistente un'ipotesi di inadempimento, neppure colposo, a ragione dell'impossibilità sopravvenuta della prestazione (artt. 1256 e 1218 c.c.) o -quanto meno- della sua inesigibilità da parte del presunto creditore committente alla stregua delle clausole generali di buona fede e di doverosa collaborazione del creditore artt. 1175 e 1375 c.c.).
Infatti, gli artt., 1175 e 1375 cc. spiegano con chiarezza, che è contraria alla correttezza la pretesa del creditore di voler ottenere l'inadempimento anche quando la prestazione è divenuta inesigibile (Cass. 2007 n 26958; n 21994/20121; Cost. 19/1994).
Contratto di appalto e quello di trasporto - Differenze.
Il discrimen tra il contratto di appalto e quello di trasporto prevede che il primo ha per oggetto il risultato di un facere, il quale può concretarsi nel compimento di un'opera o di un servizio che l'appaltatore assume verso il committente dietro corrispettivo; esso, inoltre, è contrassegnato dall'esistenza di un'organizzazione d'impresa presso l'appaltatore e dal carico esclusivo del rischio economico nella persona del medesimo; invece, si ha contratto di trasporto, quando un soggetto si obbliga nei confronti di un altro soggetto a trasferire persone e cose da un luogo ad un altro mediante una propria organizzazione di mezzi e di attività personali e con l'assunzione a suo carico del rischio esclusivo del trasporto e della direzione tecnica dello stesso (Cassazione 17.10.1992 n. 11430; Cass.: 16.10.1979 n. 539) (TRIBUNALE di Napoli, Sez. V, sentenza 10.02.2014 n. 16316 - link a www.ambientediritto.it).

APPALTI: Il termine di decadenza per l’impugnazione della lex specialis di gara decorre dalla pubblicazione della stessa solo nel caso in cui contenga clausole immediatamente escludenti, ma mai nell’ipotesi in cui, per la sua formulazione, dall’applicazione della stessa non possa discendere l’immediata ed automatica esclusione della domanda formulata dal partecipante alla procedura.
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Sussiste l'onere dell'interessato all'immediata impugnazione delle clausole del bando o della lettera di invito sia che prescrivano il possesso di requisiti di ammissione o di partecipazione alla gara la cui carenza determina immediatamente l'effetto escludente, configurandosi il successivo atto di esclusione come meramente dichiarativo e ricognitivo di una lesione già prodotta, sia che impongano oneri manifestamente incomprensibili o del tutto sproporzionati rispetto ai contenuti della procedura concorsuale, assimilabili al possesso dei requisiti soggettivi al cui difetto consegue automaticamente l'esclusione dalla gara.
Per contro il carattere dubbio, equivoco o ambiguo della clausola, nel senso cioè di non rendere immediatamente percepibile l'effetto preclusivo della partecipazione per chi sia privo di un determinato requisito soggettivo richiesto dal bando, ne esclude l'immediata lesività e ne consente l'impugnazione unitamente all'atto di esclusione, applicativo della clausola stessa suscettibile di diverse interpretazioni.

Deve, in proposito, richiamarsi il costante orientamento elaborato dalla giurisprudenza amministrativa in tema di procedure concorsuali pubbliche, in base al quale il termine di decadenza per l’impugnazione della lex specialis di gara decorre dalla pubblicazione della stessa solo nel caso in cui contenga clausole immediatamente escludenti, ma mai nell’ipotesi in cui, per la sua formulazione, dall’applicazione della stessa non possa discendere l’immediata ed automatica esclusione della domanda formulata dal partecipante alla procedura.
E’ stato, invero, affermato che “Sussiste l'onere dell'interessato all'immediata impugnazione delle clausole del bando o della lettera di invito sia che prescrivano il possesso di requisiti di ammissione o di partecipazione alla gara la cui carenza determina immediatamente l'effetto escludente, configurandosi il successivo atto di esclusione come meramente dichiarativo e ricognitivo di una lesione già prodotta, sia che impongano oneri manifestamente incomprensibili o del tutto sproporzionati rispetto ai contenuti della procedura concorsuale, assimilabili al possesso dei requisiti soggettivi al cui difetto consegue automaticamente l'esclusione dalla gara; per contro il carattere dubbio, equivoco o ambiguo della clausola, nel senso cioè di non rendere immediatamente percepibile l'effetto preclusivo della partecipazione per chi sia privo di un determinato requisito soggettivo richiesto dal bando, ne esclude l'immediata lesività e ne consente l'impugnazione unitamente all'atto di esclusione, applicativo della clausola stessa suscettibile di diverse interpretazioni” (Cons. Stato, sez. V, 14.07.2011, n. 4274) (TAR Lombardia-Milano, Sez. IV, sentenza 07.02.2014 n. 423 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Via libera al Durc per i creditori della p.a.. L'Inps ha spiegato le modalità per il rilascio del documento.
Con la circolare 30.01.2014 n. 164, sono state previste le modalità per il rilascio del documento unico di regolarità contributiva (c.d. Durc), che può essere consegnato al richiedente in presenza di certificazione dei crediti certi, liquidi ed esigibili, vantati nei confronti delle pubbliche amministrazioni ed emessa tramite la «Piattaforma per la certificazione dei crediti».
Come è noto, il problema della riscossione dei crediti che i soggetti privati vantano nei confronti della pubblica amministrazione, ha trovato la modalità di attuazione dell'art. 13-bis, comma 5, del dl 07/05/2012, n. 52 convertito, con modificazioni, dalla legge 6/7/2012, n. 94. Successivamente sono stati emanati alcuni decreti ministeriali di attuazione per consentire l'ottenimento della certificazione.
Il suddetto comma 5 prevede che il ... (articolo ItaliaOggi del 07.02.2014 - tratto da www.cenctrostudicni.it).

APPALTI: Se è vero che il potere di soccorso istruttorio non può ledere la par condicio, così da consentire la presentazione, anche oltre il termine previsto dal bando, di documenti o dichiarazioni che avrebbero dovuto essere presentati entro detto termine a pena di esclusione, non può essere inibito alla stazione appaltante di richiedere o alla concorrente di provare, anche con integrazioni documentali, che la propria domanda fosse, sin dal principio e nella realtà effettuale, conforme a quanto richiesto dalla lex specialis; ciò nella prospettiva di non sacrificare l'esigenza della più ampia partecipazione per carenze meramente formali.
Si richiama, al riguardo, il costante principio giurisprudenziale secondo cui, se è vero che il potere di soccorso istruttorio non può ledere la par condicio, così da consentire la presentazione, anche oltre il termine previsto dal bando, di documenti o dichiarazioni che avrebbero dovuto essere presentati entro detto termine a pena di esclusione, non può essere inibito alla stazione appaltante di richiedere o alla concorrente di provare, anche con integrazioni documentali, che la propria domanda fosse, sin dal principio e nella realtà effettuale, conforme a quanto richiesto dalla lex specialis (cfr., ex multis, Cons. St., Sez. III, 28.11.2013, n. 5694); ciò nella prospettiva di non sacrificare l'esigenza della più ampia partecipazione per carenze meramente formali (TAR Campania-Napoli, Sez. II, sentenza 06.02.2014 n. 780 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Sull'applicabilità della teoria c.d. falso innocuo alle procedure d'evidenza pubblica.
La teoria del c.d. "falso innocuo" nelle gare ad evidenza pubblica presuppone che la lex specialis non preveda una sanzione espulsiva espressa per la mancata osservanza di puntuali prescrizioni sulle modalità e sull'oggetto delle dichiarazioni da fornire.
L'art. 45, § 2, lett. g), della dir. n. 2004/18/CE, che fa conseguire l'esclusione dalla gara alle sole ipotesi di grave colpevolezza e di false dichiarazioni (e non anche incomplete) nel fornire informazioni s'appalesa d'immediata applicazione nell'ordinamento nazionale e, quindi, nelle procedure di gara solo qualora l'esclusione da esse non sia sancita, in base all'art. 38, c. 1, del Dlgs 163/2006, in modo espresso nella legge di gara. Infatti, per un verso, non si può predicare l'applicabilità mera del c.d. "falso innocuo" alle procedure d'evidenza pubblica, perché la completezza delle dichiarazioni consente, anche in ossequio al principio di buon andamento dell'azione amministrazione e di proporzionalità, la celere decisione sull'ammissione dell'operatore economico alla gara. Per altro verso, la dimostrazione dell'assenza di elementi ostativi alla partecipazione ad una gara di appalto in capo ad uno degli amministratori della società (nella specie, il vicepresidente del CDA), costituisce elemento essenziale dell'offerta (o comunque è dovuta ai sensi dell'art. 38, c. 2, del Dlgs 163/2006), sì che la sua mancanza produce l'esclusione automatica ai sensi del successivo art. 46, c. 1-bis, quand'anche in assenza di espressa comminatoria da parte della legge di gara (Consiglio di Stato, Sez. III, sentenza 06.02.2014 n. 583 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

APPALTI: In sede di dichiarazione dei requisiti, la referenza economica è stata dichiarata in forma sintetica, contestualmente sono però stati elencati tutti i servizi svolti. In tal modo la stazione appaltante avrebbe dovuto già in sede di verifica delle offerte, rilevare l’assenza del requisito relativo alla capacità economica, alla luce di quanto dichiarato a riprova della capacità professionale: per tale ragione la stazione appaltante avrebbe dovuto estromettere la società fin dall’inizio, senza giungere alla fase di verifica di cui all’art 48 D.lgs. 163/2006.
La censura non può trovare accoglimento, poiché nessuna disposizione impone alla stazione appaltante di verificare la sussistenza dei requisiti di partecipazione, ovvero la veridicità delle dichiarazioni.
Al contrario il sistema normativo, al fine di garantire la celerità delle operazioni di gara, prevede che la capacità economicO-finanziaria sia dimostrata attraverso la autodichiarazione, demandando poi alla verifica a campione l’effettiva sussistenza dei requisiti e la corrispondenza alle autodichiarazioni.
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L’art. 48 del D.lgs. 136/2006 configura l'incameramento della cauzione provvisoria come una conseguenza del tutto automatica, di carattere sanzionatorio non suscettibile di alcuna valutazione discrezionale, con riguardo ai fatti che determinano la loro applicazione.
Ugualmente anche la segnalazione all’Autorità è un atto che la stazione appaltante ha l’obbligo di adottare, in quanto conseguenza tassativamente prevista per l'ipotesi della mancanza dei requisiti di capacità economico-finanziaria e tecnico-organizzativa previsti dall'art. 48, d.lgs. n. 163 del 2006, con la precisazione, rispetto a detto atto, che la giurisprudenza ha avuto modo, anche recentemente, di precisare come l’atto effettivamente lesivo non sia l’atto di trasmissione, qualificato come atto prodromico, ma solo l’eventuale provvedimento dell’Autorità.

1) Il presente ricorso è stato proposto avverso gli atti con cui la stazione appaltante ha escluso la società ricorrente, per assenza del requisito di capacità economico-finanziaria, ha disposto l’escussione della cauzione provvisoria e ha segnalato il fatto all’Autorità di vigilanza sui contratti.
Il ricorso è infondato e deve essere respinto.
Il primo motivo attiene al provvedimento di esclusione: sostiene la difesa di Omnia che, in sede di dichiarazione dei requisiti, la referenza economica è stata dichiarata in forma sintetica, contestualmente sono però stati elencati tutti i servizi svolti. In tal modo la stazione appaltante avrebbe dovuto già in sede di verifica delle offerte, rilevare l’assenza del requisito relativo alla capacità economica, alla luce di quanto dichiarato a riprova della capacità professionale: per tale ragione la stazione appaltante avrebbe dovuto estromettere la società fin dall’inizio, senza giungere alla fase di verifica di cui all’art 48 D.lgs. 163/2006.
La censura non può trovare accoglimento, poiché nessuna disposizione impone alla stazione appaltante di verificare la sussistenza dei requisiti di partecipazione, ovvero la veridicità delle dichiarazioni.
Al contrario il sistema normativo, al fine di garantire la celerità delle operazioni di gara, prevede che la capacità economicO-finanziaria sia dimostrata attraverso la autodichiarazione, demandando poi alla verifica a campione l’effettiva sussistenza dei requisiti e la corrispondenza alle autodichiarazioni.
Tra l’altro, come ha osservato la difesa della società Sogemi, i requisiti di capacità economica da provare con il fatturato, erano differenti rispetto ai requisiti di capacità professionale, da provare con l’indicazione dei servizi svolti, per cui anche il controllo “incrociato” non permetteva di verificare l’assenza del requisito di capacità economico finanziaria.
2) Nel secondo motivo parte ricorrente lamenta la violazione dei principi che regolano il procedimento amministrativo, la violazione del secondo considerando introduttivo alla Direttiva CEE 2004/18/CE, nonché degli artt. 2, 20, 27, 41, 42 e 48 D. L.gs. 163/2006, perché è stata applicata una sanzione sproporzionata, proprio considerando che la società Omnia ha reso dichiarazioni veritiere.
Anche questo motivo non è fondato.
Secondo l’interpretazione prevalente, cui anche questa Sezione ritiene di aderire, l’art. 48 del D.lgs. 136/2006 configura l'incameramento della cauzione provvisoria come una conseguenza del tutto automatica, di carattere sanzionatorio non suscettibile di alcuna valutazione discrezionale, con riguardo ai fatti che determinano la loro applicazione.
Ugualmente anche la segnalazione all’Autorità è un atto che la stazione appaltante ha l’obbligo di adottare, in quanto conseguenza tassativamente prevista per l'ipotesi della mancanza dei requisiti di capacità economico-finanziaria e tecnico-organizzativa previsti dall'art. 48, d.lgs. n. 163 del 2006, con la precisazione, rispetto a detto atto, che la giurisprudenza ha avuto modo, anche recentemente, di precisare come l’atto effettivamente lesivo non sia l’atto di trasmissione, qualificato come atto prodromico, ma solo l’eventuale provvedimento dell’Autorità (ex multis TAR Torino sez. I, 01/06/2012 n. 642).
3) L’orientamento sopra citato, circa la natura dell’art 48 è sufficiente a respingere anche il terzo motivo, in cui parte ricorrente sostiene la tesi della non automaticità dell’applicazione delle sanzioni.
Le stesse argomentazioni valgono per ritenere infondato il motivo successivo, ripetitivo del precedente, in cui parte ricorrente invoca i principi di buona fede e di correttezza, partendo però sempre dall’errata convinzione che la stazione appaltante possa effettuare una valutazione autonoma dei fatti, che invece la norma esclude a priori, configurando le sanzioni come automatiche conseguenze (TAR Lombardia-Milano, Sez. III, sentenza 06.02.2014 n. 382 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI- l'interdittiva prefettizia antimafia cd. interdittiva antimafia "tipica", prevista dall’art. 4 del d.lgs. n. 490 del 1994 e dall’art. 10 del D.P.R. 03.06.1998, n. 252 (ed oggi dagli articoli 91 e segg. del d.lgs. 06.09.2011, n. 159, recante il Codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione), costituisce una misura preventiva volta a colpire l'azione della criminalità organizzata impedendole di avere rapporti contrattuali con la pubblica amministrazione;
   - l’interdittiva, trattandosi di una misura a carattere preventivo, prescinde dall'accertamento di singole responsabilità penali nei confronti dei soggetti che, nell’esercizio di attività imprenditoriali, hanno rapporti con la pubblica amministrazione e si fonda sugli accertamenti compiuti dai diversi organi di polizia valutati, per la loro rilevanza, dal Prefetto territorialmente competente;
   - tale valutazione costituisce espressione di ampia discrezionalità che può essere assoggettata al sindacato del giudice amministrativo solo sotto il profilo della sua logicità in relazione alla rilevanza dei fatti accertati;
   - la misura interdittiva, essendo il potere esercitato espressione della logica di anticipazione della soglia di difesa sociale, finalizzata ad assicurare una tutela avanzata nel campo del contrasto alle attività della criminalità organizzata, non deve necessariamente collegarsi ad accertamenti in sede penale di carattere definitivo e certi sull'esistenza della contiguità dell’impresa con organizzazione malavitose, e quindi del condizionamento in atto dell'attività di impresa, ma può essere sorretta da elementi sintomatici e indiziari da cui emergano sufficienti elementi del pericolo che possa verificarsi il tentativo di ingerenza nell’attività imprenditoriale della criminalità organizzata;
   - anche se occorre che siano individuati (ed indicati) idonei e specifici elementi di fatto, obiettivamente sintomatici e rivelatori di concrete connessioni o possibili collegamenti con le organizzazioni malavitose, che sconsigliano l’instaurazione di un rapporto dell’impresa con la pubblica amministrazione, non è necessario un grado di dimostrazione probatoria analogo a quello richiesto per dimostrare l’appartenenza di un soggetto ad associazioni di tipo camorristico o mafioso, potendo l’interdittiva fondarsi su fatti e vicende aventi un valore sintomatico e indiziario e con l’ausilio di indagini che possono risalire anche ad eventi verificatisi a distanza di tempo;
   - il mero rapporto di parentela con soggetti risultati appartenenti alla criminalità organizzata di per sé non basta a dare conto del tentativo di infiltrazione (non potendosi presumere in modo automatico il condizionamento dell’impresa), ma occorre che l’informativa antimafia indichi (oltre al rapporto di parentela) anche ulteriori elementi dai quali si possano ragionevolmente dedurre possibili collegamenti tra i soggetti sul cui conto l’autorità prefettizia ha individuato i pregiudizi e l’impresa esercitata da loro congiunti;
   - gli elementi raccolti non vanno considerati separatamente dovendosi piuttosto stabilire se sia configurabile un quadro indiziario complessivo, dal quale possa ritenersi attendibile l’esistenza di un condizionamento da parte della criminalità organizzata.

Al riguardo, si deve ricordare che, secondo la consolidata giurisprudenza di questa Sezione (fra le tante n. 4663 del 03.09.2012, n. 1068 del 23.02.2012):
   - l'interdittiva prefettizia antimafia cd. interdittiva antimafia "tipica", prevista dall’art. 4 del d.lgs. n. 490 del 1994 e dall’art. 10 del D.P.R. 03.06.1998, n. 252 (ed oggi dagli articoli 91 e segg. del d.lgs. 06.09.2011, n. 159, recante il Codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione), costituisce una misura preventiva volta a colpire l'azione della criminalità organizzata impedendole di avere rapporti contrattuali con la pubblica amministrazione;
   - l’interdittiva, trattandosi di una misura a carattere preventivo, prescinde dall'accertamento di singole responsabilità penali nei confronti dei soggetti che, nell’esercizio di attività imprenditoriali, hanno rapporti con la pubblica amministrazione e si fonda sugli accertamenti compiuti dai diversi organi di polizia valutati, per la loro rilevanza, dal Prefetto territorialmente competente;
   - tale valutazione costituisce espressione di ampia discrezionalità che può essere assoggettata al sindacato del giudice amministrativo solo sotto il profilo della sua logicità in relazione alla rilevanza dei fatti accertati;
   - la misura interdittiva, essendo il potere esercitato espressione della logica di anticipazione della soglia di difesa sociale, finalizzata ad assicurare una tutela avanzata nel campo del contrasto alle attività della criminalità organizzata, non deve necessariamente collegarsi ad accertamenti in sede penale di carattere definitivo e certi sull'esistenza della contiguità dell’impresa con organizzazione malavitose, e quindi del condizionamento in atto dell'attività di impresa, ma può essere sorretta da elementi sintomatici e indiziari da cui emergano sufficienti elementi del pericolo che possa verificarsi il tentativo di ingerenza nell’attività imprenditoriale della criminalità organizzata;
   - anche se occorre che siano individuati (ed indicati) idonei e specifici elementi di fatto, obiettivamente sintomatici e rivelatori di concrete connessioni o possibili collegamenti con le organizzazioni malavitose, che sconsigliano l’instaurazione di un rapporto dell’impresa con la pubblica amministrazione, non è necessario un grado di dimostrazione probatoria analogo a quello richiesto per dimostrare l’appartenenza di un soggetto ad associazioni di tipo camorristico o mafioso, potendo l’interdittiva fondarsi su fatti e vicende aventi un valore sintomatico e indiziario e con l’ausilio di indagini che possono risalire anche ad eventi verificatisi a distanza di tempo;
   - il mero rapporto di parentela con soggetti risultati appartenenti alla criminalità organizzata di per sé non basta a dare conto del tentativo di infiltrazione (non potendosi presumere in modo automatico il condizionamento dell’impresa), ma occorre che l’informativa antimafia indichi (oltre al rapporto di parentela) anche ulteriori elementi dai quali si possano ragionevolmente dedurre possibili collegamenti tra i soggetti sul cui conto l’autorità prefettizia ha individuato i pregiudizi e l’impresa esercitata da loro congiunti;
   - gli elementi raccolti non vanno considerati separatamente dovendosi piuttosto stabilire se sia configurabile un quadro indiziario complessivo, dal quale possa ritenersi attendibile l’esistenza di un condizionamento da parte della criminalità organizzata.
A ciò si deve aggiungere che gli accertamenti preventivi sulla non permeabilità dell’impresa alla malavita organizzata devono essere effettuati in modo particolarmente rigoroso nei casi in cui, come nella fattispecie, è richiesta l’erogazione di contributi pubblici (Consiglio di Stato, Sez. III, sentenza 05.02.2014 n. 570 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: D. Benedet, Da Palazzo Spada ancora incertezza sulla legittimità della partecipazione alle gare pubbliche in attesa di concordato preventivo con continuità aziendale (05.02.2014 - link a www.diritto.it).

APPALTI: Sulla scusabilità dell'errore riconducibile a formulazioni degli atti di gara che possono indurre dubbi interpretativi.
In materia di cause di esclusione dalle gare per reati incidenti sulla moralità professionale, la verifica dell'incidenza dei reati commessi dal legale rappresentante dell'impresa sulla moralità professionale della stessa attiene all'esercizio del potere discrezionale della P.A. e deve essere valutata attraverso la disamina in concreto delle caratteristiche dell'appalto, del tipo di condanna, della natura e delle concrete modalità di commissione del reato, non potendo la stessa concorrente valutare da sé quali reati siano rilevanti ai fini della dichiarazione da rendere, ciò implicando un giudizio inevitabilmente soggettivo, inconciliabile con la finalità della norma.
Tuttavia, allorché la dichiarazione sia resa sulla scorta di modelli predisposti dalla stazione appaltante ed il concorrente incorre in errore indotto dalla formulazione ambigua o equivoca del modello, non può determinarsi l'esclusione dalla gara per l'incompletezza della dichiarazione resa. Il rigore formalistico, dunque, cede in presenza di una scusabilità dell'errore riconducibile a formulazioni degli atti di gara che possono indurre dubbi interpretativi, tanto più che vige oggi la regola della tassatività delle cause di esclusione, di cui all'art. 46, c. 1-bis, Codice dei contratti, che s'ispira ad un criterio sostanzialistico e riafferma il favor partecipationis (Consiglio di Stato, Sez. III, sentenza 04.02.2014 n. 507 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

LAVORI PUBBLICIIl difetto di inserimento dell'opera nel programma triennale non rende illegittima la sua realizzazione nel caso in cui sia finanziata attraverso fondi differenti rispetto a quelli contemplati in ambito di redazione del programma stesso, in quanto in base all'art. 14 n. 9, L. n. 109 dell'11.02.1994, sost. dall'art. 4, L. n. 413 del 1998, le opere pubbliche, non inserite nel programma triennale, possono essere realizzate sulla base di un autonomo piano di finanziamento che non utilizzi risorse già previste tra i mezzi finanziari dell'amministrazione al momento della formazione dell'elenco.
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La progettazione in materia di lavori pubblici si articola secondo tre livelli di successivi approfondimenti tecnici, in preliminare, definitiva ed esecutiva.
Il progetto preliminare definisce le caratteristiche qualitative e funzionali dei lavori, il quadro delle esigenze da soddisfare e delle specifiche prestazioni da fornire e consiste in una relazione illustrativa delle ragioni della scelta della soluzione prospettata in base alle valutazioni delle soluzioni possibili.
Il progetto definitivo individua compiutamente i lavori da realizzare, nel rispetto delle esigenze, dei criteri, dei vincoli, degli indirizzi e delle indicazioni stabiliti nel progetto preliminare e contiene tutti gli elementi necessari ai fini del rilascio delle prescritte autorizzazioni e approvazioni.
Il progetto esecutivo, redatto in conformità al progetto definitivo, determina in ogni dettaglio i lavori da realizzare e il relativo costo previsto e deve essere sviluppato ad un livello di definizione tale da consentire che ogni elemento sia identificabile in forma, tipologia, qualità, dimensione e prezzo (ex aliis Cons. Stato Sez. VI, 11.11.2013, n. 5365, ma si veda anche Cons. Stato Sez. IV, 21.10.2013, n. 5094 per l’affermazione secondo cui solo nel caso di approvazione di un progetto definitivo o esecutivo è connessa la dichiarazione di pubblica utilità dell'opera).

Quanto (terza censura) alla affermata carenza di copertura finanziaria la circostanza che l’opera in questione non risultasse inserita nel programma triennale dei lavori pubblici 2009/2011 (d.lgs. n. 163/2006 e d.P.R. n. 554/1999) non è dirimente.
E’ rimasto infatti incontestato che all’atto dell’approvazione del progetto preliminare non era ancora intervenuta la dichiarazione di pubblica utilità dell’opera.
Per altro verso, l’appellante non pare avere inteso l’ulteriore sviluppo motivo del Tar allorché si duole che il primo giudice non avesse verificato la sussistenza o meno del piano finanziario autonomo.
E’ insegnamento consolidato della ante vigente giurisprudenza –di inalterata validità- quello per cui “il difetto di inserimento dell'opera nel programma triennale non rende illegittima la sua realizzazione nel caso in cui sia finanziata attraverso fondi differenti rispetto a quelli contemplati in ambito di redazione del programma stesso, in quanto in base all'art. 14 n. 9, L. n. 109 dell'11.02.1994, sost. dall'art. 4, L. n. 413 del 1998, le opere pubbliche, non inserite nel programma triennale, possono essere realizzate sulla base di un autonomo piano di finanziamento che non utilizzi risorse già previste tra i mezzi finanziari dell'amministrazione al momento della formazione dell'elenco” (TAR Toscana Firenze Sez. III, 16.04.2004, n. 1162 ).
Ciò implica che l’opera, ovviamente ed a fortiori, sia progettabile ma soprattutto che affermazione della doverosità della “ricerca“ del piano finanziario autonomo antecedentemente alla emissione dichiarazione di pubblica utilità costituisca affermazione frutto di un evidente errore: la sentenza è in parte qua immune da censure.
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Il quarto motivo va disatteso (esso sarebbe certamente inammissibile perché in nulla critica la sentenza reiterando la stessa obiezione motivatamente disattesa in primo grado) alla stregua del principio per cui il progetto preliminare "deve consentire l'avvio della procedura espropriativa", ma non prescrive il presupposto dell'attuale conformità urbanistica, mentre tale presupposto deve necessariamente sussistere soltanto al momento dell'approvazione del progetto definitivo, poiché solo tale livello di progettazione costituisce dichiarazione di pubblica utilità dell'opera pubblica o di pubblica utilità.
Detto corollario è armonico alla previsione di cui all’art. 93 D.Lgs. n. 163/2006 (Codice degli appalti) secondo il quale la progettazione in materia di lavori pubblici si articola secondo tre livelli di successivi approfondimenti tecnici, in preliminare, definitiva ed esecutiva.
Il progetto preliminare definisce le caratteristiche qualitative e funzionali dei lavori, il quadro delle esigenze da soddisfare e delle specifiche prestazioni da fornire e consiste in una relazione illustrativa delle ragioni della scelta della soluzione prospettata in base alle valutazioni delle soluzioni possibili. Il progetto definitivo individua compiutamente i lavori da realizzare, nel rispetto delle esigenze, dei criteri, dei vincoli, degli indirizzi e delle indicazioni stabiliti nel progetto preliminare e contiene tutti gli elementi necessari ai fini del rilascio delle prescritte autorizzazioni e approvazioni. Il progetto esecutivo, redatto in conformità al progetto definitivo, determina in ogni dettaglio i lavori da realizzare e il relativo costo previsto e deve essere sviluppato ad un livello di definizione tale da consentire che ogni elemento sia identificabile in forma, tipologia, qualità, dimensione e prezzo (ex aliis Cons. Stato Sez. VI, 11.11.2013, n. 5365, ma si veda anche Cons. Stato Sez. IV, 21.10.2013, n. 5094 per l’affermazione secondo cui solo nel caso di approvazione di un progetto definitivo o esecutivo è connessa la dichiarazione di pubblica utilità dell'opera)
(Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 04.02.2014 n. 493 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI FORNITURE: L’art. 1, comma 141, della l. 24.12.2012, n. 228, nel disporre limiti puntuali alle spese per l’acquisto di mobili e arredi, obbliga gli Enti locali al rispetto del tetto complessivo di spesa risultante dall’applicazione dell’insieme dei coefficienti di riduzione della spesa per consumi intermedi previsti da norme in materia di coordinamento della finanza pubblica, consentendo che lo stanziamento in bilancio tra le diverse tipologie di spese soggette a limitazione avvenga in base alle necessità derivanti dalle attività istituzionali dell’Ente.
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Con la nota indicata in epigrafe il Sindaco del Comune di Cuneo, richiamate le disposizioni contenute nell’art. 5, comma 2, del D.L. n. 95/2012, convertito nella L. n. 135/2012 (limite di spesa per autovetture), nell’art. 6, commi 7, 8, 12, 13, del D.L. n. 78/2010, convertito nella L. n. 122/2010 (limite di spesa per studi e consulenze; per relazioni pubbliche, convegni, mostre, pubblicità e rappresentanza; per missioni; per attività di formazione), nell’art. 1, comma 141, della L. n. 228/2012 (limite di spesa per mobili ed arredi), e richiamata la sentenza della Corte costituzionale n. 139/2012 in base alla quale le disposizioni di cui all’art. 6 del D.L. n. 78/2010, convertito nella L. n. 122/2010 “prevedono puntuali misure di riduzione parziale o totale di singole voci di spesa, ma ciò non esclude che da esse possa desumersi un limite complessivo, nell’ambito del quale le Regioni (e gli Enti locali) restano libere di allocare le risorse tra i diversi ambiti e obiettivi di spesa”, ha formulato i seguenti quesiti:
1) E’ possibile esercitare l’autonomia finanziaria del Comune distribuendo i “tagli”, nell’ambito delle tipologie di spesa individuate dai citati provvedimenti legislativi, in modo diverso rispetto a quanto puntualmente disposto dal legislatore, a condizione che venga rispettato il limite complessivo?
2) E’ possibile intendere che dal concetto di “mobili ed arredi”, oggetto di limitazione di spesa all’art. 1, comma 141, della L. n. 228/2012, possano escludersi quelle suppellettili (banchi e cattedre), qualificabili come attrezzature indispensabili per la fruizione delle strutture scolastiche?

Con delibera n. 393/2013 questa Sezione, dopo aver ritenuto ammissibile la richiesta di parere, ha espresso il proprio avviso in ordine al quesito n. 2).
Con riferimento al quesito n. 1) questa Sezione ha sospeso la pronuncia, avendo già la Sezione regionale di controllo per la Lombardia, con delibera n. 296/2013, a seguito di quesito posto dalla Provincia di Sondrio su analoga fattispecie, sospeso la pronuncia e rimesso gli atti al Presidente della Corte dei conti per le valutazioni di competenza ai sensi dell’art. 6, comma 4, del D.L. n. 174/2012, convertito nella L. n. 213/2012.
Con deliberazione n. 26/2013 la Sezione delle Autonomie si è pronunciata sulla questione posta dalla Sezione regionale di controllo per la Lombardia.
...
La questione posta dalla Sezione regionale di controllo per la Lombardia all’esame della Sezione Autonomie ha riguardato la corretta interpretazione dell’art. 1, comma 141, della Legge 24.12.2012, n. 228 (legge di stabilità per il 2013), il quale, nel prevedere la riduzione puntuale della spesa per mobili ed arredi, così dispone: “
Ferme restando le misure di contenimento della spesa già previste dalle vigenti disposizioni, negli anni 2013 e 2014 le amministrazioni pubbliche inserite nel conto economico consolidato della pubblica amministrazione, come individuate dall'Istituto nazionale di statistica (ISTAT) ai sensi dell'articolo 1, comma 3, della legge 31.12.2009, n. 196, e successive modificazioni, nonché le autorità indipendenti e la Commissione nazionale per le società e la borsa (CONSOB) non possono effettuare spese di ammontare superiore al 20 per cento della spesa sostenuta in media negli anni 2010 e 2011 per l'acquisto di mobili e arredi, salvo che l'acquisto sia funzionale alla riduzione delle spese connesse alla conduzione degli immobili. In tal caso il collegio dei revisori dei conti o l'ufficio centrale di bilancio verifica preventivamente i risparmi realizzabili, che devono essere superiori alla minore spesa derivante dall'attuazione del presente comma. La violazione della presente disposizione è valutabile ai fini della responsabilità amministrativa e disciplinare dei dirigenti.”
La Sezione regionale di controllo per la Lombardia ha altresì richiamato il disposto dell’art. 6, commi 7, 8, 12, 13, 14, del D.L. n. 78/2010, convertito nella L. n. 122/2010, nonché dell’art. 5, comma 2, del D.L. n. 95/2012, convertito nella L. n. 135/2012, per prospettare la possibilità di conseguire l’obiettivo di riduzione delle spese per mobili e arredi mediante la gestione unitaria e consolidata dei budget inerenti le varie tipologie di spese di funzionamento oggetto di limitazione da parte di distinte previsioni di legge.
Con deliberazione n. 26/2013 la Sezione delle Autonomie, risolvendo la questione di massima che le è stata sottoposta, ha enunciato il seguente principio di diritto: “
L’art. 1, comma 141, della l. 24.12.2012, n. 228, nel disporre limiti puntuali alle spese per l’acquisto di mobili e arredi, obbliga gli Enti locali al rispetto del tetto complessivo di spesa risultante dall’applicazione dell’insieme dei coefficienti di riduzione della spesa per consumi intermedi previsti da norme in materia di coordinamento della finanza pubblica, consentendo che lo stanziamento in bilancio tra le diverse tipologie di spese soggette a limitazione avvenga in base alle necessità derivanti dalle attività istituzionali dell’Ente”.
L’art. 6, comma 4, del D.L. n. 174/2012, convertito nella L. n. 213/2012 dispone che “In presenza di interpretazioni discordanti delle norme rilevanti per l’attività di controllo o consultiva o per la risoluzione di questioni di massima di particolare rilevanza, la Sezione delle autonomie emana delibera di orientamento alla quale le Sezioni regionali di controllo si conformano. Resta salva l'applicazione dell'articolo 17, comma 31, del decreto-legge 01.07.2009, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 03.08.2009, n. 102, nei casi riconosciuti dal Presidente della Corte dei conti di eccezionale rilevanza ai fini del coordinamento della finanza pubblica ovvero qualora si tratti di applicazione di norme che coinvolgono l’attività delle Sezioni centrali di controllo”.
Conseguentemente questa Sezione rende il parere richiesto dal Comune di Cuneo con la nota indicata in epigrafe richiamando e conformandosi al suddetto principio di diritto enunciato dalla Sezione Autonomie
(Corte dei Conti, Sez. controllo Piemonte, parere 03.02.2014 n. 26).

APPALTI: Circa le formalità da rispettare per la redazione dei verbali di gara, l’Adunanza Plenaria ha rilevato l’assenza di disposizioni normative di dettaglio ed ha condiviso l’orientamento già seguito da Cons. St., sez. V, 22.02.2011 n. 1094; Cons. St., sez. V, 25.07.2006 n. 4657; Id., sez. IV, 05.10.2005 n. 5360; Id., sez. V, 10.05.2005 n. 2342; Id. sez. V, 20.09.2001 n. 4973.
Invero, la mancata dettagliata indicazione nei verbali di gara delle specifiche modalità di custodia dei plichi e degli strumenti utilizzati per garantire la segretezza delle offerte non costituisce di per sé motivo di illegittimità delle operazioni di gara, dovendo invece aversi riguardo al fatto che, in concreto, non si sia verificata l’alterazione della documentazione.
Sul punto controverso la Sezione remittente innesta la seconda questione che è posta all’esame dell’Adunanza Plenaria ed investe le modalità di custodia in corso di gara dei plichi contenenti gli atti del procedimento allo scopo di preservarli da indebita manomissione, nonché alle modalità di verbalizzazione.
Con attento e compiuto esame l’ordinanza di remissione pone in rilievo che la giurisprudenza si presenta in prevalenza rigorosa in ordine alle misure da adottare per garantire la conservazione e l’integrità dei plichi contenenti le offerte, in modo che ne sia assicurata la segretezza, e richiede che le cautele adottate siano menzionate ed indicate nel verbale. di gara (Cons. St., sez. VI, 27.07.2011 n. 4487; Cons. St., sez. V, 21.05.2010, n. 3203; id.,12.12.2009 n. 7804). L'integrità dei plichi contenti le offerte costituisce garanzia della segretezza delle stesse e della par condicio di tutti i concorrenti, assicurando il rispetto dei principi di buon andamento e di imparzialità cui deve conformarsi l'azione amministrativa (Cons. St., sez. V, 21.05.2010 n. 3203; Id., 20.03.2008 n. 1219).
Il su riferito orientamento comporta in particolare:
- l’individuazione di un soggetto responsabile della custodia dei plichi o di un consegnatario degli stessi;
- l’insufficienza di verbalizzazioni con generico riferimento ai locali di custodia dei plichi, senza precisare se gli stessi (e in particolare le buste con l’offerta tecnica) siano stati nuovamente risigillati o comunque richiusi in modo adeguato così da evitare qualsivoglia ipotesi di manomissione (Cons. St., sez. V, 21.05.2010 n. 3203);
- l’obbligo della commissione di adottare le cautele idonee a garantire la segretezza degli atti di gara ed a prevenire rischi di manomissioni, indicando nel verbale tali cautele e dando atto a verbale della integrità dei plichi;
- nel verbale deve risultare il nominativo di colui cui siano materialmente consegnati i plichi, che ne assume le conseguenti responsabilità, ovvero –con chiarezza e univocità– deve essere indicato l’ufficio cui sono consegnati e all’interno del quale essi vanno conservati (con individuazione immediata del suo responsabile); in qualsiasi momento, ogni autorità giurisdizionale o amministrativa (a seconda dei casi e delle relative funzioni, anche di vigilanza) dalla lettura dei verbali di consegna deve poter agevolmente accertare quali siano stati i passaggi dei plichi, ove essi siano stati collocati nel corso del tempo, chi abbia posto mano su di essi e ogni altra circostanza attinente alla loro integrità e conservazione.
Le cautele osservate possono reputarsi idonee allo scopo solo se assicurano la conservazione dei plichi in luogo chiuso, non accessibile al pubblico, e con individuazione di un soggetto o ufficio responsabile dell’inaccessibilità del luogo a terzi. Anche se non occorrono formule sacramentali la verbalizzazione è legittima se, oltre ad elencare le cautele adottate, indica, sotto la responsabilità dei verbalizzanti, che le cautele sono state efficaci in quanto i plichi sono integri (Cons. St., sez. VI, 23.06.2011 n. 3803; Cons. St., sez. VI, 30.06.2011 n. 3902; Cons. St., sez. VI, 27.07.2011 n. 4487).
Secondo l’orientamento giurisprudenziale in esame le garanzie a cautela della integrità dei plichi integrerebbero una fattispecie di pericolo, non una fattispecie di danno. Sarebbe sufficiente che dalle risultanze processuali emerga che, per inosservanza di norme precauzionali, la documentazione di gara sia rimasta esposta al rischio di manomissione per ritenere invalide le operazioni di gara, senza che a carico dell’interessato possa configurarsi un onere di provare un concreto evento di danno (Cons. St., sez. V, 21.05.2010 n. 3203). E’sufficiente, quindi, la sola esposizione al rischio di manomissione della documentazione per ritenere invalide le operazioni di gara (Cons. St., sez. V, 16.03.2011 n. 1617).
Un secondo orientamento reputa che la mancata emersione dagli atti di gara dell’osservanza delle su elencate cautele assume solo un ruolo indiziario rispetto alla dimostrazione di elementi che facciano dubitare della c.d. genuinità dei plichi, occorrendo comunque provare che vi sia stata una violazione dell’integrità e segretezza dei plichi.
Si è affermato che la mancata dettagliata indicazione nei verbali di gara delle specifiche modalità di custodia dei plichi e degli strumenti utilizzati per garantire la segretezza delle offerte non costituisce di per sé motivo di illegittimità delle operazioni di gara, dovendo invece aversi riguardo al fatto che, in concreto, non si sia verificata l’alterazione della documentazione (Cons. St., sez. V, 22.02.2011 n. 1094; Cons. St., sez. V, 25.07.2006 n. 4657; Id., sez. IV, 05.10.2005 n. 5360; Id., sez. V, 10.05.2005 n. 2342; Id. sez. V, 20.09.2001 n. 4973).
Siffatto contesto giurisprudenziale ripudia il più rigoroso orientamento perché espressione di un indirizzo formale, con la conseguenza che la mancata dettagliata indicazione nei verbali di gara delle specifiche modalità di custodia dei plichi e degli strumenti utilizzati per garantire la segretezza delle offerte non costituisce di per sé motivo di illegittimità del verbale e della complessiva attività posta in essere dalla commissione di gara, laddove il concreto andamento della medesima ovvero ulteriori elementi non inducano a dubitare della corretta conservazione.
2.3. La questione sottoposta all’esame dell’Adunanza concerne gli adempimenti della commissione preposta all’esame delle offerte che devono accompagnare le determinazioni di valutazione delle offerte, ove queste non si esauriscano in un’unica seduta. Detti adempimenti investono le modalità di conservazione e di custodia dei plichi a prevenzione di manomissioni da cui possa derivare l’alterazioni di atti del procedimento quali inizialmente introdotti dai partecipati alla gara.
Si tratta di operazioni materiali che non coinvolgono la volontà negoziale dell’Amministrazione, ma sono finalizzate, come prima accennato, a garantire la genuinità dell’oggetto su cui la commissione è chiamata ad esprimersi.
Sia il codice dei contratti pubblici, approvato con d.lgs. n. 163 del 2006, che il regolamento di attuazione di cui al d.P.R. n. 207 del 2010, non recano prescrizioni di dettaglio in ordine all’espletamento di dette operazioni. Il regolamento contiene un limitato rifermento alle sedute di gara (art. 117) per le quali è, in particolare, prevista la possibilità di sospensione e di aggiornamento a data successiva, con esclusione della fase di apertura delle buste contenenti l’offerta economica.
In assenza, quindi, di specifiche regole procedimentali a livello di disciplina generale –salvo i casi di una più puntuale regolamentazione da parte di atti generali delle singole amministrazioni aggiudicatrici, cui la commissione esaminatrice deve rigorosamente attenersi– non può essere elevato di per sé a vizio del procedimento (nel profilo della violazione di legge) l’omessa indicazione in verbale di operazioni singolarmente prese in considerazioni quali, a titolo di esemplificazione, l’identificazione del soggetto responsabile della custodia dei plichi, ovvero il luogo di custodia dei plichi stessi, nel tempo che separa ogni seduta dalla successiva.
L’attenzione si sposta, quindi, sugli adempimenti complessivamente osservati dalla commissione a salvaguardia della segretezza delle offerte, dell’integrità degli atti di gara e del pericolo di manomissione.
Il veicolo per l’espressione di un giudizio di sufficienza in ordine a dette operazioni -che investe cioè l’assenza di elementi e circostanze che possano viziare, sul piano sintomatico, per eccesso di potere la condotta del collegio giudicante in quanto contraria ai principi trasparenza, buon andamento e parità di trattamento dei concorrenti- è il verbale che deve accompagnare le operazioni di gara.
Il verbale è redatto in via ordinaria per ogni adunanza dell’organo collegiale ed ha funzione ricognitiva e documentale delle operazioni compiute e delle deliberazioni assunte.
L’art. 78 del codice degli appalti elenca, al comma 1, elementi informativi essenziali e minimali da cui deve essere assistito il verbale da redigersi per “ogni contratto”. Essi non prendono, tuttavia, in considerazione le modalità di custodia dei plichi nella fase che intercorre fra una seduta e l’altra. Ancora una volta non si rinviene un puntuale dato normativo cui raccordare il giudizio di sufficienza della verbalizzazione, cui l’ordinanza di remissione raccorda l’effetto invalidane del concorso.
Deve quindi pervenirsi alla conclusione che -fermi di massima sul piano funzionale i principi di sufficienza ed esaustività del verbale- la mancata e pedissequa indicazione in ciascun verbale delle operazioni finalizzate alla custodia dei plichi non può tradursi, con carattere di automatismo, in effetto viziante della procedura concorsuale, in tal modo collegandosi per implicito all’insufficienza della verbalizzazione il pregiudizio alla segretezza ed all’integrità delle offerte. Ciò in anche in ossequio al principio di conservazione dei valori giuridici, il quale porta ad escludere che l’atto deliberativo possa essere viziato per incompletezza dell’atto descrittivo delle operazioni materiali, tecniche ed intellettive ad esso preordinate, salvo i casi in cui puntuali regole dettate dall’amministrazione aggiudicatrice indichino il contenuto essenziale del verbale.
Ogni contestazione del concorrente volta ad ipotizzare una possibile manomissione, o esposizione a manomissione dei plichi, idonea ad introdurre vulnus alla regolarità del procedimento di selezione del contraente non può, quindi, trovare sostegno nel solo dato formale delle indicazioni che si rinvengono nel verbale redatto per ogni adunanza della commissione preposta all’esame delle offerte, ma deve essere suffragata da circostanze ed elementi che, su un piano di effettività e di efficienza causale, abbiano inciso sulla c.d. genuinità dell’offerta, che va preservata in corso di gara. Peraltro per quanto le modalità di conservazione siano state accurate e rigorose (ad es. chiusura in cassaforte o altro) non si potrà mai escludere che vi sia stata una dolosa manipolazione (ad es. ad opera di chi conosceva la combinazione per aprire la cassaforte) e che chi sia interessato a farlo possa darne la prova. Viceversa, il fatto che le modalità di conservazione siano state meno rigorose non autorizza a presumere che la manipolazione vi sia stata, a meno che non vengano prodotte in tal senso prove o quanto meno indizi.
Si ha, quindi, un vizio invalidante qualora sia positivamente provato, o quanto meno vi siano seri indizi, che le carte siano state manipolate negli intervalli fra un’operazione e l’altra. In siffatto contesto l’annotazione a verbale delle modalità di conservazione ha semplicemente l’effetto di precostituire una prova dotata di fede privilegiata (artt. 2699 e 2700 cod. civ.), e quindi di prevenire o rendere più difficili future contestazioni; ma così come tali annotazioni, per quanto accurate, non impediranno mai a chi vi abbia interesse a dare la prova dell’avvenuta manipolazione (passando anche attraverso il procedimento di querela di falso, ove necessario), allo stesso modo la mancanza o l’incompletezza delle stesse annotazioni, ovvero la scarsa (in ipotesi) efficacia delle modalità di custodia, avranno solo l’effetto di rendere meno arduo il compito di chi voglia raggiungere quella prova, o rappresentare quegli indizi.
Applicando i su riferiti principi alla fattispecie di cui si controverte, dalle risultanze delle operazioni compiute dalla commissione giudicatrice non emergono inadempimenti idonei a mettere in gioco la genuinità delle offerte, ove si consideri che tutti i verbali dal numero 1 al 7 recano attestazioni sull’integrità dei plichi e sull’adozione di presidi a salvaguardia del loro deposito e custodia in condizioni di sicurezza. La circostanza che la formula di rito impiegata nei precedenti verbali non sia stata pedissequamente ripetuta nel verbale n. 8 non assurge ad elemento viziante la procedura, la cui regolarità va desunta con approccio complessivo alle operazioni compiute dalla commissione e tenuto conto che il verbale da ultimo menzionato reca la formale attestazione che, in sede di apertura del plico relativo alle offerte tempi (plico C) ed economiche (plico B), “tutte le buste ivi contenute, di ciascuno dei concorrenti, risultano integre e recano la dicitura prescritta dal disciplinare di gara”.
Né possono essere elevati a sintomo di interventi manomissivi dell’integrità dei plichi, con incisione sulla genuinità delle offerte, fatti successivi alla conclusione della gara (nella specie non leggibilità del timbro dell’impresa e della data sui modelli dell’offerta tempi ed economica dell’impresa aggiudicataria in esito ad un primo accesso documentale rispetto alle risultanze di una rinnovata esibizione dei medesimi documenti) che per di più non mettono in discussione gli elementi contenutistici dell’offerta ed, in conseguenza, l’oggetto su cui si è attestato il giudizio valutativo della commissione di gara.
Il motivo va, quindi, respinto (Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria,
sentenza 03.02.2014 n. 8 -  link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI - PUBBLICO IMPIEGO: B.U.R. Lombardia, serie ordinaria n. 6 del 03.02.2014, "Patto di integrità in materia di contratti pubblici regionali" (deliberazione 30.01.2014 n. 1299).

gennaio 2014

APPALTI: A. Mancini, Riepilogo delle soglie di rilevanza comunitaria degli appalti pubblici nei settori ordinari e speciali (Bollettino di Legislazione Tecnica n. 1/2014).

APPALTILa responsabilità precontrattuale prescinde dall’eventuale illegittimità del provvedimento amministrativo di autotutela che formalizza la volontà dell’Amministrazione di annullare o revocare gli atti di gara. La responsabilità precontrattuale non discende infatti dalla violazione delle norme di diritto pubblico che disciplinano l’agire autoritativo della pubblica amministrazione e dalla cui violazione discende l’illegittimità dell’atto.
Essa, al contrario, deriva dalla violazione delle regole comuni (in particolare del principio generale di buona fede in senso oggettivo dell’art. 1337 Cod. civ..) che trattano del “comportamento” precontrattuale, ponendo in capo alla pubblica amministrazione doveri di correttezza e di buona fede analoghi a quelli che gravano su un comune soggetto nel corso delle trattative precontrattuali.
Invero, nello svolgimento della sua attività di ricerca del contraente l’Amministrazione è tenuta non soltanto a rispettare le norme dettate nell’interesse pubblico (la cui violazione implica l’annullamento del provvedimento ed una eventuale responsabilità da attività provvedimentale illegittima), ma anche le norme generali sulla correttezza di cui all’art. 1337 Cod. civ. prescritte dal diritto comune (la violazione delle quali fa nascere appunto la responsabilità precontrattuale).

Il Collegio condivide, a tale riguardo, il principio giurisprudenziale secondo il quale “la responsabilità precontrattuale prescinde dall’eventuale illegittimità del provvedimento amministrativo di autotutela che formalizza la volontà dell’Amministrazione di annullare o revocare gli atti di gara. La responsabilità precontrattuale non discende infatti dalla violazione delle norme di diritto pubblico che disciplinano l’agire autoritativo della pubblica amministrazione e dalla cui violazione discende l’illegittimità dell’atto. Essa, al contrario, deriva dalla violazione delle regole comuni (in particolare del principio generale di buona fede in senso oggettivo dell’art. 1337 Cod. civ..) che trattano del “comportamento” precontrattuale, ponendo in capo alla pubblica amministrazione doveri di correttezza e di buona fede analoghi a quelli che gravano su un comune soggetto nel corso delle trattative precontrattuali. Invero, nello svolgimento della sua attività di ricerca del contraente l’Amministrazione è tenuta non soltanto a rispettare le norme dettate nell’interesse pubblico (la cui violazione implica l’annullamento del provvedimento ed una eventuale responsabilità da attività provvedimentale illegittima), ma anche le norme generali sulla correttezza di cui all’art. 1337 Cod. civ. prescritte dal diritto comune (la violazione delle quali fa nascere appunto la responsabilità precontrattuale)” (cfr., in questi termini, Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 01.02.2013, n. 633, e Cons. Stato, Ad. Plen., 05.09.2005, n. 6) (TAR Lombardia-Milano, Sez. I, sentenza 31.01.2014 n. 361 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA - LAVORI PUBBLICI: Il partenariato pubblico–privato, secondo i principi sottostanti le risoluzioni del Parlamento europeo di maggiore interesse in parte qua, recepite dal codice dei contratti, si realizza anche attraverso la formula organizzatoria della concessione di servizi che dà vita ad un partenariato non istituzionale (ovvero senza la creazione di enti ad hoc preposti alla gestione della collaborazione e del servizio).
A sua volta, l’art. 3, co. 12, del codice dei contratti pubblici, definisce la concessione di servizi come «un contratto che presenta le stesse caratteristiche di un appalto pubblico di servizi, ad eccezione del fatto che il corrispettivo della fornitura di servizi consiste unicamente nel diritto di gestire i servizi o in tale diritto accompagnato da un prezzo».
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L’housing sociale si è sviluppato alla metà del secolo scorso, nei paesi dell’Europa settentrionale, in conseguenza dell’evoluzione della scienza urbanistica, come tentativo di ampliare, qualificandola, l’offerta degli alloggi in affitto (e in misura minore anche in vendita), mettendo a disposizione nuove unità abitative a favore di quelle persone che, escluse per ragioni di reddito dall’accesso all’edilizia residenziale pubblica, non sono tuttavia in grado di sostenere i costi del libero mercato.
Tale istituto nasce, pertanto, dalla necessità di ripensare gli insediamenti di edilizia sociale sul territorio non solo sotto un profilo quantitativo ma anche sul versante economico-qualitativo: l’housing sociale si presenta, quindi, come una modalità d’intervento nella quale gli aspetti immobiliari vengono studiati in funzione dei contenuti sociali, offrendo una molteplicità di risposte per le diverse tipologie di bisogni, dove il contenuto sociale è prevalentemente rappresentato dall’accesso a una casa dignitosa per coloro che non riescono a sostenere i prezzi di mercato, ma anche da una specifica attenzione alla qualità dell’abitare.
La finalità dell’housing sociale è di migliorare la condizione di queste persone, favorendo la formazione di un contesto abitativo e sociale dignitoso all’interno del quale sia possibile, non solo accedere ad un alloggio adeguato, ma anche a relazioni umane ricche e significative. Data la sostanziale assenza di sovvenzioni pubbliche, l'housing sociale si focalizza su quella fascia di cittadini che sono disagiati in quanto impossibilitati a sostenere un affitto di mercato, ma che non lo sono al punto tale da poter accedere all’edilizia residenziale pubblica, finendo con il rappresentare, nel contempo, una politica volta all'incremento del patrimonio in affitto a prezzi calmierati o controllati.
L’housing sociale si sostanzia in un programma attraverso il quale si progetta di realizzare un insieme di alloggi e servizi, di eseguire azioni e strumenti, tutti rivolti a coloro che non riescono a soddisfare sul mercato il proprio bisogno abitativo, per ragioni economiche o per l’assenza di un’offerta adeguata. Tra le molteplicità di risposte offerte dall’housing sociale vi sono l’affitto calmierato, l’acquisto della casa mediante l’auto-costruzione e le agevolazioni finanziarie, nonché soluzioni integrate per le diverse tipologie di bisogni.
In Italia, il progressivo ritiro della mano pubblica dagli investimenti immobiliari a fini sociali e la bolla speculativa del mercato immobiliare, che ha toccato insieme vendita e locazioni, hanno contribuito non poco ad allargare l’area del disagio, sbarrando o rendendo impervio l’accesso alla casa a vaste categorie di persone (giovani coppie, pensionati, famiglie monoparentali, ecc.).
In questo contesto socio economico si è inserito il legislatore attraverso alcune disposizioni normative che hanno individuato, fra l’altro, i destinatari di tali progetti, ovvero le categorie alle quali possono essere destinati gli alloggi realizzati mediante tale programma: l'art. 11, co. 2, del d.l. 25.06.2008 n. 112 convertito con la legge 06.08.2008 n. 133 –recante la disciplina generale per la realizzazione del c.d. Piano casa al fine di garantire su tutto il territorio nazionale i livelli minimi essenziali di fabbisogno abitativo per il pieno sviluppo della persona umana- ha segnalato le seguenti categorie di destinatari:
a) nuclei familiari a basso reddito, anche monoparentali o monoreddito;
b) giovani coppie a basso reddito;
c) anziani in condizioni sociali o economiche svantaggiate;
d) studenti fuori sede;
e) soggetti sottoposti a procedure esecutive di rilascio;
f) altri soggetti in possesso dei requisiti di cui all’art. 1 della legge 08.02.2007 n. 9 (particolari categorie sociali, soggette a procedure esecutive di rilascio per finita locazione degli immobili adibiti ad uso di abitazioni e residenti nei comuni capoluoghi di provincia, nei comuni con essi confinanti con popolazione superiore a 10.000 abitanti e nei comuni ad alta tensione abitativa);
g) immigrati regolari a basso reddito, residenti da almeno dieci anni nel territorio nazionale ovvero da almeno cinque anni nella medesima regione.

6. LA NATURA GIURIDICA DELLA PROCEDURA DI GARA DI HOUSING SOCIALE.
6.1. Anticipando le conclusioni tratte dagli argomenti che saranno esposti nel presente § 6, l’Adunanza plenaria ritiene che dall’esame del contenuto degli elementi essenziali del programma di housing sociale intrapreso da Roma Capitale (retro §§ 1.1.–1.3.), emerge che è stata posta in essere una iniziativa di partenariato pubblico–privato per la gestione di un servizio pubblico locale di rilievo economico e a domanda individuale, mediante lo strumento della concessione di servizio pubblico.
Il partenariato pubblico–privato, secondo i principi sottostanti le risoluzioni del Parlamento europeo di maggiore interesse in parte qua (14.01.2004 concernente il libro verde sui servizi di interesse generale, 26.10.2006 concernente i partenariati pubblico–privati e il diritto comunitario degli appalti pubblici e delle concessioni), recepite dal codice dei contratti (art. 3, co. 15-ter, introdotto dal d.lgs. 11.09.2008, n. 152, c.d. terzo correttivo, e dunque applicabile ratione temporis alla procedura in oggetto), si realizza anche attraverso la formula organizzatoria della concessione di servizi che dà vita ad un partenariato non istituzionale (ovvero senza la creazione di enti ad hoc preposti alla gestione della collaborazione e del servizio).
A sua volta, l’art. 3, co. 12, del codice dei contratti pubblici, definisce la concessione di servizi come «un contratto che presenta le stesse caratteristiche di un appalto pubblico di servizi, ad eccezione del fatto che il corrispettivo della fornitura di servizi consiste unicamente nel diritto di gestire i servizi o in tale diritto accompagnato da un prezzo».
6.1.1. L’housing sociale si è sviluppato alla metà del secolo scorso, nei paesi dell’Europa settentrionale, in conseguenza dell’evoluzione della scienza urbanistica, come tentativo di ampliare, qualificandola, l’offerta degli alloggi in affitto (e in misura minore anche in vendita), mettendo a disposizione nuove unità abitative a favore di quelle persone che, escluse per ragioni di reddito dall’accesso all’edilizia residenziale pubblica, non sono tuttavia in grado di sostenere i costi del libero mercato.
Tale istituto nasce, pertanto, dalla necessità di ripensare gli insediamenti di edilizia sociale sul territorio non solo sotto un profilo quantitativo ma anche sul versante economico-qualitativo: l’housing sociale si presenta, quindi, come una modalità d’intervento nella quale gli aspetti immobiliari vengono studiati in funzione dei contenuti sociali, offrendo una molteplicità di risposte per le diverse tipologie di bisogni, dove il contenuto sociale è prevalentemente rappresentato dall’accesso a una casa dignitosa per coloro che non riescono a sostenere i prezzi di mercato, ma anche da una specifica attenzione alla qualità dell’abitare.
La finalità dell’housing sociale è di migliorare la condizione di queste persone, favorendo la formazione di un contesto abitativo e sociale dignitoso all’interno del quale sia possibile, non solo accedere ad un alloggio adeguato, ma anche a relazioni umane ricche e significative. Data la sostanziale assenza di sovvenzioni pubbliche, l'housing sociale si focalizza su quella fascia di cittadini che sono disagiati in quanto impossibilitati a sostenere un affitto di mercato, ma che non lo sono al punto tale da poter accedere all’edilizia residenziale pubblica, finendo con il rappresentare, nel contempo, una politica volta all'incremento del patrimonio in affitto a prezzi calmierati o controllati.
L’housing sociale si sostanzia in un programma attraverso il quale si progetta di realizzare un insieme di alloggi e servizi, di eseguire azioni e strumenti, tutti rivolti a coloro che non riescono a soddisfare sul mercato il proprio bisogno abitativo, per ragioni economiche o per l’assenza di un’offerta adeguata. Tra le molteplicità di risposte offerte dall’housing sociale vi sono l’affitto calmierato, l’acquisto della casa mediante l’auto-costruzione e le agevolazioni finanziarie, nonché soluzioni integrate per le diverse tipologie di bisogni.
In Italia, il progressivo ritiro della mano pubblica dagli investimenti immobiliari a fini sociali e la bolla speculativa del mercato immobiliare, che ha toccato insieme vendita e locazioni, hanno contribuito non poco ad allargare l’area del disagio, sbarrando o rendendo impervio l’accesso alla casa a vaste categorie di persone (giovani coppie, pensionati, famiglie monoparentali, ecc.).
In questo contesto socio economico si è inserito il legislatore attraverso alcune disposizioni normative che hanno individuato, fra l’altro, i destinatari di tali progetti, ovvero le categorie alle quali possono essere destinati gli alloggi realizzati mediante tale programma: l'art. 11, co. 2, del d.l. 25.06.2008 n. 112 convertito con la legge 06.08.2008 n. 133 –recante la disciplina generale per la realizzazione del c.d. Piano casa al fine di garantire su tutto il territorio nazionale i livelli minimi essenziali di fabbisogno abitativo per il pieno sviluppo della persona umana- ha segnalato le seguenti categorie di destinatari:
a) nuclei familiari a basso reddito, anche monoparentali o monoreddito;
b) giovani coppie a basso reddito;
c) anziani in condizioni sociali o economiche svantaggiate;
d) studenti fuori sede;
e) soggetti sottoposti a procedure esecutive di rilascio;
f) altri soggetti in possesso dei requisiti di cui all’art. 1 della legge 08.02.2007 n. 9 (particolari categorie sociali, soggette a procedure esecutive di rilascio per finita locazione degli immobili adibiti ad uso di abitazioni e residenti nei comuni capoluoghi di provincia, nei comuni con essi confinanti con popolazione superiore a 10.000 abitanti e nei comuni ad alta tensione abitativa);
g) immigrati regolari a basso reddito, residenti da almeno dieci anni nel territorio nazionale ovvero da almeno cinque anni nella medesima regione.
In attuazione della normativa primaria, il d.P.C.M. 16.07.2009 -recante l’approvazione del Piano nazionale di edilizia abitativa c.d. Piano casa– ha previsto espressamente, quale prima linea di intervento, la costituzione di un sistema integrato nazionale e locale di fondi immobiliari per l’acquisizione e la realizzazione di immobili per l’edilizia residenziale ovvero la promozione di strumenti finanziari immobiliari innovativi, con la partecipazione di soggetti pubblici e privati per la valorizzazione e l’incremento dell’offerta abitativa in locazione (art. 1)
(Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria, sentenza 30.01.2014 n. 7 -  link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: La norma sancita dall’art. 37, co. 13, codice dei contratti pubblici (d.lgs. 12.04.2006, n. 163), che impone ai concorrenti riuniti, già in sede di predisposizione dell’offerta, l’indicazione della corrispondenza fra quota di partecipazione al raggruppamento e quota di esecuzione delle prestazioni (per i contratti di appalto di lavori, servizi e forniture fino al 14.08.2012 e per i soli contratti di appalto di lavori a decorrere dal 15.08.2012) -pur integrando un precetto imperativo capace di imporsi anche nel silenzio della legge di gara come requisito di ammissione dell’offerta a pena di esclusione- non esprime un principio generale desumibile dal Trattato sul funzionamento dell’Unione europea ovvero dalla disciplina dei contratti pubblici di appalto e come tale, a mente dell’art. 30, co. 3, del medesimo codice, non può trovare applicazione ad una selezione per la scelta del concessionario di un pubblico servizio.
7. LA NATURA GIURIDICA E LA PORTATA APPLICATIVA DELLA NORMA SANCITA DALL’ART. 37, CO. 13, CODICE DEI CONTRATTI PUBBLICI.
7.1. L’art. 37, co. 13, cit., nel testo vigente alla data del bando, era il seguente: <<13. I concorrenti riuniti in raggruppamento temporaneo devono eseguire le prestazioni nella percentuale corrispondente alla quota di partecipazione al raggruppamento >>.
Successivamente tale disposizione è stata novellata dalla lettera a), del comma 2-bis dell’art. 1 del decreto legge 06.07.2012, n. 95, introdotto dalla legge di conversione 07.08.2012, n. 135 (con decorrenza dal 15.08.2012 data di entrata in vigore della legge di conversione): <<13. Nel caso di lavori, i concorrenti riuniti in raggruppamento temporaneo devono eseguire le prestazioni nella percentuale corrispondente alla quota di partecipazione al raggruppamento.>>.
7.2. Prima della novella del 2012, la giurisprudenza amministrativa (cfr. da ultimo Cons. St., sez. V, 29.09.2013, n. 4753; sez. VI, 20.09.2013, n. 4676), per alcuni aspetti corroborata da recenti pronunce dell’Adunanza plenaria (cfr. 13.06.2012, n. 22 e 05.07.2012, n. 26 in tema di appalti di servizi), si era consolidata -sulla scorta di una lettura unitaria della norma sancita dal comma 13 cit. con quella di cui al comma 4 del medesimo articolo 37, secondo cui: <<4. Nel caso di forniture o servizi nell’offerta devono essere specificate le parti del servizio o della fornitura che saranno eseguite dai singoli operatori economici riuniti o consorziati>>- nell’affermazione dei seguenti principi, da cui questa Adunanza non intende decampare:
a) corrispondenza sostanziale, già nella fase dell'offerta, tra le quote di partecipazione all’a.t.i. e le quote di esecuzione delle prestazioni, costituendo la relativa dichiarazione requisito di ammissione alla gara, e non contenuto di obbligazione da far valere solo in sede di esecuzione del contratto;
b) funzione dell’obbligo di corrispondenza fra quote di partecipazione ed esecuzione ravvisata nelle seguenti esigenze: I) conoscenza preventiva, da parte della stazione appaltante, del soggetto incaricato di eseguire le prestazioni e della misura percentuale, al fine di rendere più spedita l’esecuzione del rapporto individuando ciascun responsabile; II) agevolare la verifica della competenza dell’esecutore in relazione alla documentazione di gara; III) prevenire la partecipazione alla gara di imprese non qualificate;
c) trattandosi di un precetto imperativo che introduce un requisito di ammissione, quand'anche non esplicitato dalla lex specialis, la eterointegra ai sensi dell’art. 1339 c.c. sicché la sua inosservanza determina l'esclusione dalla gara (sulla non necessità, ai sensi dell’art. 46, co. 1-bis, codice dei contratti pubblici, che la sanzione della esclusione sia espressamente prevista dalla norma di legge allorquando sia certo il carattere imperativo del precetto che impone un determinato adempimento ai partecipanti ad una gara, cfr. Adunanza plenaria 16.10.2013, n. 23; 07.06.2012, n. 21);
d) tale obbligo di dichiarazione in sede di offerta si impone per tutte le tipologie di a.t.i. (costituite, costituende, verticali, orizzontali), per tutte le tipologie di prestazioni (scorporabili o unitarie, principali o secondarie), e per tutti i tipi di appalti (lavori, servizi e forniture), indipendentemente dall’assoggettamento della gara alla disciplina comunitaria;
e) poiché l’obbligo di simmetria tra quota di esecuzione e quota di effettiva partecipazione all’a.t.i. scaturisce e si impone ex lege, è necessaria e sufficiente, in sede di formulazione dell’offerta, la dichiarazione delle quote di partecipazione a cui la legge attribuisce un valore predeterminato che è quello della assunzione dell’impegno da parte delle imprese di eseguire le prestazioni in misura corrispondente.
7.3. All’interno del su riferito indirizzo giurisprudenziale si è sviluppato un filone esegetico che ha divisato un ulteriore necessario parallelismo, in modo congiunto, anche fra quote di partecipazione, requisiti di qualificazione e quote di esecuzione.
Tale impostazione deve essere respinta perché:
a) in contrasto con il tenore testuale delle disposizioni del codice dei contratti pubblici (e segnatamente, i commi 4 e 13 dell’articolo 37), che non consentono di avallare una siffatta opzione interpretativa;
b) in contrasto con la sistematica del codice (e del regolamento attuativo), che disciplina in maniera completa e nella sede propria il regime della qualificazione delle imprese anche riunite in a.t.i., per i lavori, mentre affida alla legge di gara ogni determinazione in materia per gli appalti di servizi e forniture, salvi i limiti sanciti dagli artt. 41–45;
c) si rileva, inoltre, che una siffatta opzione (volta a superare e, di fatto, integrare l’espressa previsione di legge –comma 13 dell’articolo 37– la quale si limita ad imporre il parallelismo fra le quote di partecipazione e quelle esecuzione), determinerebbe in molti casi l’effetto di escludere dalle pubbliche gare raggruppamenti ai cui partecipanti sarebbe ascritto null’altro se non una sorta di eccesso di qualificazione; l'approccio in questione si porrebbe in contrasto con i principi del favor partecipationis e della libertà giuridica di impresa, negando in radice la possibilità per taluni operatori economici (in particolare quelli maggiormente qualificati), di individuare in modo autonomo la configurazione organizzativa ottimale per partecipare alle pubbliche gare.
7.4. Il quadro unitario così faticosamente ricostruito dalla giurisprudenza, ha subito, successivamente alla novella introdotta dal d.l. n. 95 del 2012, una frattura che conduce ad una lettura atomistica delle norme sancite dai più volte richiamati commi 4 e 13 dell’art. 37 codice dei contratti pubblici.
Deve ritenersi, invero, che:
a) giusta il tenore letterale della nuova disposizione e la sua finalità di semplificare gli oneri di dichiarazione incombenti sulle imprese raggruppate che operano nel mercato dei contratti pubblici, l’obbligo di corrispondenza fra quote di partecipazione e quote di esecuzione sancito dal più volte menzionato comma 13, sia rimasto circoscritto ai soli appalti di lavori;
b) per gli appalti di servizi e forniture continua a trovare applicazione unicamente la norma sancita dal comma 4 dell’art. 37, che impone alle imprese raggruppate il più modesto obbligo di indicare le parti del servizio o della fornitura facenti capo a ciascuna di esse, senza pretendere anche l’obbligo della corrispondenza fra quote di partecipazione e quote di esecuzione, fermo restando, però, che ciascuna impresa deve essere qualificata per la parte di prestazioni che si impegna ad eseguire, nel rispetto delle speciali prescrizioni e modalità contenute nella legge di gara;
c) rimane inteso, in entrambi i casi, che le norme in questione continuano ad esprimere un precetto imperativo da rispettarsi a pena di esclusione e sono dunque capaci di eterointegrare i bandi silenti.
7.5. Una volta ricostruito il compendio delle norme (anche nella loro evoluzione diacronica), e dei principi costitutivi del micro ordinamento di settore, è agevole riscontrare che il dovere di corrispondenza fra quote di partecipazione e quote di esecuzione in capo alle imprese raggruppate, sancito dall’art. 37, co. 13, cit., non esprime un principio generale del Trattato e della disciplina dei contratti, segnatamente a tutela del valore della trasparenza, poiché l’esigenza che soddisfa, pur meritevole di apprezzamento per scelta della legge, si esaurisce completamente all’interno della sfera di interessi della stazione appaltante, in funzione di esigenze di semplice correntezza dell’azione amministrativa, rendendo più agevoli i compiti di accertamento e controllo da parte del seggio di gara.
Pertanto, all’esito dello scrutinio rigoroso di indagine basato sull’accertamento della natura dell’interesse presidiato dal precetto e della sua ampiezza applicativa (retro § 6.5.), non si può affermare che la ratio essendi di tale norma sia incentrata, in via immediata e diretta, nella tutela di valori immanenti al sistema dei contratti pubblici.
Anche la novella introdotta dal d.l. n. 95 del 2012, pur non applicabile ratione temporis alla fattispecie per cui è causa, avvalora e rafforza le su esposte conclusioni esegetiche perché dimostra che il legislatore, nel circoscrivere la portata applicativa dell’obbligo di corrispondenza fra quote di partecipazione e quote di esecuzione ai soli appalti di lavori, ha mostrato di ritenerlo una precetto vincolante non per l’intero settore dei contratti (comprensivo di forniture e servizi), ma solo per il più ristretto ambito dei lavori pubblici col che facendo venir meno anche il profilo soggettivo (inteso quale comunanza della regola a tutti gli appalti), del principio generale, residuando un precetto che se pure è imperativo rimane confinato ai soli appalti di lavori.
7.6. In conclusione, avuto riguardo alla seconda questione sottoposta all’Adunanza plenaria, deve enunciarsi il seguente principio di diritto: <<la norma sancita dall’art. 37, co. 13, codice dei contratti pubblici (d.lgs. 12.04.2006, n. 163), che impone ai concorrenti riuniti, già in sede di predisposizione dell’offerta, l’indicazione della corrispondenza fra quota di partecipazione al raggruppamento e quota di esecuzione delle prestazioni (per i contratti di appalto di lavori, servizi e forniture fino al 14.08.2012 e per i soli contratti di appalto di lavori a decorrere dal 15.08.2012) -pur integrando un precetto imperativo capace di imporsi anche nel silenzio della legge di gara come requisito di ammissione dell’offerta a pena di esclusione- non esprime un principio generale desumibile dal Trattato sul funzionamento dell’Unione europea ovvero dalla disciplina dei contratti pubblici di appalto e come tale, a mente dell’art. 30, co. 3, del medesimo codice, non può trovare applicazione ad una selezione per la scelta del concessionario di un pubblico servizio>>
(Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria, sentenza 30.01.2014 n. 7 -  link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: A. Giardetti, Discrezionalità delle stazioni appaltanti sulla sussistenza di cause di esclusione dalla gara pubblica (29.01.2014 - link a www.diritto.it).

APPALTI: Non basta l'antimafia per sciogliere l'associazione d'impresa. Ati con boss in terra di gomorra, sentenza del Tar Campania.
Associazione temporanea sì, cointeressenza economica (forse) no. Non basta l'interdittiva antimafia atipica del prefetto a far scattare la rescissione del contratto di affidamento dei lavori all'impresa che, in terra di Gomorra, è stata in Ati con una società in odore di camorra e con una persona poi arrestata per associazione mafiosa: la nota dell'ufficio territoriale del governo costituisce soltanto un punto di partenza e non uno sviluppo investigativo. E l'esclusione dall'appalto non si può basare sulla base di soli sospetti, per quanto legittimi in una molto zona difficile per l'edilizia come quella fra Napoli e Caserta.

È quanto emerge dalla sentenza 23.01.2014 n. 487 del TAR Campania-Napoli, Sez. I.
Elementi insufficienti. Accolto il ricorso della società difesa dall'avvocato Renato Labriola. Non bastano gli elementi raccolti dalla prefettura, che pure nell'interdittiva antimafia atipica ha potere di svolgere autonome indagini. La mera partecipazione alle gare pubbliche in formazioni soggettivamente complesse come l'Ati -osservano i giudici- non costituisce di per sé indice di permeabilità mafiosa: la circostanza deve essere corroborata da altri elementi che indicano un legame sospetto fra l'impresa pulita e quella già nota alle forze dell'ordine.
Insomma: bisogna dimostrare la cointeressenza economica fra le varie società nominate nel provvedimento interdittivo. È peraltro lo stesso articolo 37 del codice dei contratti pubblici a stabilire che in caso di inibitoria emanata nei confronti dell'azienda mandante, la società mandataria può ben continuare a eseguire l'appalto, previa estromissione dall'altra. L'interdittiva atipica, poi, risulta liberamente valutabile dalla stazione appaltante, che nella pratica però difficilmente evita di prendere provvedimenti contro l'impresa segnalata.
Le notizie segnalate dalla prefettura sulle due compartecipazioni contestate, però, non sono sufficienti a stabilire che è in corso un'infiltrazione mafiosa perché non provano che vi sia un clan in grado di dirigere le scelte dell'azienda: costituiscono solo un «elemento isolato» che avrebbe richiesto «più robuste emergenze di indagine». Spese compensate, contributo unificato a carico dell'ente appaltante (articolo ItaliaOggi del 25.02.2014).

LAVORI PUBBLICI - PATRIMONIO: G.U. 23.01.2014 n. 18, suppl. ord. n. 8, "Criteri ambientali minimi per l’acquisto di lampade a scarica ad alta intensità e moduli led per illuminazione pubblica, per l’acquisto di apparecchi di illuminazione per illuminazione pubblica e per l’affidamento del servizio di progettazione di impianti di illuminazione pubblica - aggiornamento 2013" (Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, decreto 23.12.2013).

APPALTIResponsabili. Requisiti morali.
In un appalto pubblico di servizi il responsabile tecnico dell'impresa deve dichiarare a pena di esclusione il possesso dei requisiti generali, anche di moralità professionale, laddove la disciplina di settore associ a tale figura particolari responsabilità e funzioni.

Lo afferma il TAR Lazio-Roma con sentenza 22.01.2014 n. 828 della Sez. III-quater che ha preso in esame una fattispecie relativa a un appalto di servizi, settore in cui, generalmente, non è previsto l'obbligo di un «direttore tecnico» tenuto a dichiarare il possesso dei requisiti cosiddetti di ordine generale per l'ammissione alla gara.
La norma del codice (art. 38) prevede l'obbligo per gli amministratori muniti di poteri di rappresentanza e per il direttore tecnico (figura prevista nel settore dei lavori per le imprese di costruzioni e nel settore dei servizi di ingegneria e architettura per le società di ingegneria).
In base al tenore letterale della norma, quindi, il Responsabile tecnico di una impresa operante nel settore dei servizi non sarebbe tenuto a rilasciare le dichiarazioni dal momento che verrebbe ritenuto -dall'art. 38- un soggetto privo di qualunque significativo ruolo decisionale e gestionale. Il Tar del Lazio, però offre una lettura estensiva della norma partendo dalla considerazione che la figura del responsabile tecnico, soprattutto in strutture che operano in un settore di attività in cui la relativa normativa attribuisce una funzione centrale ai compiti tecnico-organizzativi affidati a tale figura, deve nella sostanza essere equiparato alla figura del direttore tecnico di una impresa di costruzioni o di una società di ingegneria.
La sentenza richiama anche un caso normativamente previsto come è quello della disciplina in tema di smaltimento dei rifiuti in cui viene prevista come obbligatoria la figura del responsabile tecnico (o del legale rappresentante) nella persona di un soggetto in possesso di precisi requisiti professionali e tecnici che la stessa disciplina dettaglia in concreto.
Pertanto in questi casi (cioè quando al responsabile tecnico la normativa settoriale assegna responsabilità e funzioni particolari) è necessario che in sede di gare anche il responsabile tecnico dichiari il possesso dei requisiti di ordine generale (assenza di condanne, moralità professionale ecc.) (articolo ItaliaOggi del 20.02.2014).

APPALTI: La valutazione operata dall’amministrazione appaltante circa la congruità delle offerte costituisce espressione tipica della discrezionalità tecnica che, come tale, sfugge al sindacato giurisdizionale, salvo che non sia macroscopicamente inficiata da arbitrarietà, irragionevolezza, irrazionalità ovvero travisamento dei fatti.
Sempre in tema di verifica delle offerte sospette di anomalia, è stato affermato che tale verifica è finalizzata non sono in astratto all’apprezzamento della serietà e dell’affidabilità dell’offerta, ma anche a garantire in concreto, secondo un giudizio di ragionevolezza fondato sull’id quod plerumque accidit”, l’effettiva, corretta ed utile esecuzione dei lavori o fornitura di beni e servizi, facendo in modo che gli appalto siano affidati ad un prezzo che consenta un adeguato margine di guadagno per l’impresa aggiudicataria, “…nella convinzione che le acquisizioni in perdita portino gli affidatari ad una negligente esecuzione, oltre ad un probabile contenzioso; infatti, il consentire la presentazione di offerte senza adeguato utile finirebbe con l’alterare il sistema di libera concorrenza del mercato, permettendo la sopravvivenza alle sole imprese fornite di maggiori risorse economiche, che possono consentirsi contratti in perdita".

E’ noto che la valutazione operata dall’amministrazione appaltante circa la congruità delle offerte costituisce espressione tipica della discrezionalità tecnica che, come tale, sfugge al sindacato giurisdizionale, salvo che non sia macroscopicamente inficiata da arbitrarietà, irragionevolezza, irrazionalità ovvero travisamento dei fatti (ex plurimis, Cons. Stato, sez. V, 26.09.2013, n. 4761; 18.02.2013, n. 974; 19.11.2012, n. 5846; 23.07.2012, n. 4206; 26.06.2012, n. 3737).
Sempre in tema di verifica delle offerte sospette di anomalia, è stato affermato che tale verifica è finalizzata non sono in astratto all’apprezzamento della serietà e dell’affidabilità dell’offerta, ma anche a garantire in concreto, secondo un giudizio di ragionevolezza fondato sull’id quod plerumque accidit”, l’effettiva, corretta ed utile esecuzione dei lavori o fornitura di beni e servizi, facendo in modo che gli appalto siano affidati ad un prezzo che consenta un adeguato margine di guadagno per l’impresa aggiudicataria, “…nella convinzione che le acquisizioni in perdita portino gli affidatari ad una negligente esecuzione, oltre ad un probabile contenzioso; infatti, il consentire la presentazione di offerte senza adeguato utile finirebbe con l’alterare il sistema di libera concorrenza del mercato, permettendo la sopravvivenza alle sole imprese fornite di maggiori risorse economiche, che possono consentirsi contratti in perdita (cfr. fra le tante, Cons. Stato, sez. V, 18.02.2003, n. 863)” (Cons. Stato, sez. V, 15.04.2013, n. 2063) (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 17.01.2014 n. 210 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Poiché il legale rappresentante non ha sottoscritto l’offerta, la sua esclusione si appalesa legittima.
L’art. 46 del d.lgs. 12.04.2006, n. 163, al comma 1-bis recita: “la stazione appaltante esclude i candidati o i concorrenti in caso di mancato adempimento alle prescrizioni previste dal presente codice e dal regolamento e da altre disposizioni di legge vigenti, nonché nei casi di incertezza assoluta sul contenuto o sulla provenienza dell’offerta, per difetto di sottoscrizione o di altri elementi essenziali ovvero in caso di non integrità del plico contenente l'offerta o la domanda di partecipazione o altre irregolarità relative alla chiusura dei plichi, tali da far ritenere, secondo le circostanze concrete, che sia stato violato il principio di segretezza delle offerte; i bandi e le lettere di invito non possono contenere ulteriori prescrizioni a pena di esclusione. Dette prescrizioni sono comunque nulle”.
La norma, quindi, espressamente include la sottoscrizione fra gli elementi essenziali dell’offerta, ed altrettanto espressamente dispone che la sua mancanza determina l’esclusione del concorrente dalla gara.
L’univoco enunciato della norma impone di ritenere che il legislatore, nel risolvere il bilanciamento tra “favor partecipationis” ed esigenza di chiarezza nell’espressione della volontà delle parti, abbia dato la prevalenza a tale ultima esigenza, disponendo –appunto– l’esclusione delle offerte prive di sottoscrizione.
Il legislatore, in altri termini, ha ritenuto la sottoscrizione elemento necessario dell’offerta, la cui mancanza rende dubbia la sua riferibilità al partecipante alla gara; di conseguenza ha sancito la nullità dell’offerta che, in quanto non sottoscritta, pone un elemento di incertezza circa la possibilità di concludere il contratto.
E’ noto, infatti, che secondo la costante giurisprudenza del giudice amministrativo, la sottoscrizione dell’offerta si configura come lo strumento mediante il quale l’autore fa propria la dichiarazione contenuta nel documento, serve a renderne nota la paternità ed a vincolare l’autore alla manifestazione di volontà in esso contenuta. Essa assolve la funzione di assicurare provenienza, serietà, affidabilità e insostituibilità dell’offerta e costituisce elemento essenziale per la sua ammissibilità, sia sotto il profilo formale che sotto quello sostanziale, potendosi solo ad essa riconnettere gli effetti dell’offerta come dichiarazione di volontà volta alla costituzione di un rapporto giuridico.
L’espressa comminatoria di nullità impedisce poi di seguire il ragionamento dell’appellante, volto a dimostrare che l’offerta non sottoscritta risultava ad essa riferibile in base ad altri elementi.

L’appello è infondato; il Collegio prescinde quindi dall’esame delle questioni di ammissibilità proposte dalle parti resistenti.
L’appellante è stata esclusa dalla gara di cui al paragrafo 1 che precede non avendo sottoscritto la propria offerta.
Contesta il relativo provvedimento, nonché la sentenza con la quale il primo giudice ha respinto l’impugnazione, affermando che la sua volontà di formulare la proposta contrattuale consacrata nell’offerta risulta con chiarezza dalla sottoscrizione e dalle sigle apposte in diversi documenti, predisposti per la partecipazione alla gara, e che la normativa di gara, che impone appunto la sottoscrizione dell’offerta, deve essere dichiarata nulla per violazione dell’art. 46 del d.lgs. 12.04.2006, n. 163.
La tesi non può essere condivisa.
L’invocato art. 46 del d.lgs. 12.04.2006, n. 163, al comma 1-bis recita: “la stazione appaltante esclude i candidati o i concorrenti in caso di mancato adempimento alle prescrizioni previste dal presente codice e dal regolamento e da altre disposizioni di legge vigenti, nonché nei casi di incertezza assoluta sul contenuto o sulla provenienza dell’offerta, per difetto di sottoscrizione o di altri elementi essenziali ovvero in caso di non integrità del plico contenente l'offerta o la domanda di partecipazione o altre irregolarità relative alla chiusura dei plichi, tali da far ritenere, secondo le circostanze concrete, che sia stato violato il principio di segretezza delle offerte; i bandi e le lettere di invito non possono contenere ulteriori prescrizioni a pena di esclusione. Dette prescrizioni sono comunque nulle”.
La norma quindi espressamente include la sottoscrizione fra gli elementi essenziali dell’offerta, ed altrettanto espressamente dispone che la sua mancanza determina l’esclusione del concorrente dalla gara.
L’univoco enunciato della norma impone di ritenere che il legislatore, nel risolvere il bilanciamento tra “favor partecipationis” ed esigenza di chiarezza nell’espressione della volontà delle parti, abbia dato la prevalenza a tale ultima esigenza, disponendo –appunto– l’esclusione delle offerte prive di sottoscrizione.
Il legislatore, in altri termini, ha ritenuto la sottoscrizione elemento necessario dell’offerta, la cui mancanza rende dubbia la sua riferibilità al partecipante alla gara; di conseguenza ha sancito la nullità dell’offerta che, in quanto non sottoscritta, pone un elemento di incertezza circa la possibilità di concludere il contratto.
E’ noto, infatti, che secondo la costante giurisprudenza del giudice amministrativo, la sottoscrizione dell’offerta si configura come lo strumento mediante il quale l’autore fa propria la dichiarazione contenuta nel documento, serve a renderne nota la paternità ed a vincolare l’autore alla manifestazione di volontà in esso contenuta. Essa assolve la funzione di assicurare provenienza, serietà, affidabilità e insostituibilità dell’offerta e costituisce elemento essenziale per la sua ammissibilità, sia sotto il profilo formale che sotto quello sostanziale, potendosi solo ad essa riconnettere gli effetti dell’offerta come dichiarazione di volontà volta alla costituzione di un rapporto giuridico.
L’espressa comminatoria di nullità impedisce poi di seguire il ragionamento dell’appellante, volto a dimostrare che l’offerta non sottoscritta risultava ad essa riferibile in base ad altri elementi.
Atteso che nel caso di specie è pacifico, in punto di fatto, che il legale rappresentante dell’appellante non ha sottoscritto l’offerta, la sua esclusione si appalesa legittima.
In conclusione, l’appello principale deve essere respinto, mentre deve essere dichiarato improcedibile l’appello incidentale (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 17.01.2014 n. 174 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: L’art. 48 del Codice dei contratti pubblici prevede che, quando le dichiarazioni contenute nella domanda di partecipazione o nell’offerta circa il possesso dei requisiti di capacità non siano state comprovate dalla documentazione all’uopo presentata, e per ciò stesso, “le stazioni appaltanti procedono all’esclusione del concorrente dalla gara, alla escussione della relativa cauzione provvisoria e alla segnalazione del fatto all’Autorità”.
Con il che si rende evidente che le predette misure discendenti dall’esclusione si rivelano strettamente vincolate e consequenziali alla verifica dell’omissione di cui si tratta, e prive di qualsivoglia contenuto discrezionale. La giurisprudenza prevalente è difatti attestata nel senso che l’incameramento della cauzione provvisoria sia una conseguenza sanzionatoria automatica del provvedimento di esclusione, come tale non suscettibile di alcuna valutazione discrezionale con riguardo ai singoli casi concreti.
L’Adunanza Plenaria di questo Consiglio, inoltre, ha riconosciuto che la possibilità di incamerare la cauzione provvisoria può trarre fondamento anche dall'art. 75, comma 6, d.lgs. n. 163 del 2006, che riguarda tutte le ipotesi di mancata sottoscrizione del contratto per fatto dell'affidatario, intendendosi per “fatto dell'affidatario” qualunque ostacolo alla stipulazione a lui riconducibile, e dunque non solo il rifiuto di stipulare o il difetto di requisiti speciali, ma anche il difetto di requisiti generali di cui all'art. 38 dello stesso Codice.

Quanto all’escussione della cauzione, la Sezione osserva che le deduzioni di parte, notevolmente scarne sul punto (agitandosi le sole critiche sopra esposte al paragr. 1 e di seguito già confutate), non sono idonee ex se a far escludere l’avvenuta integrazione dei presupposti per l’incameramento della cauzione provvisoria.
D’altra parte, non è inutile ricordare che l’art. 48 del Codice dei contratti pubblici prevede che, quando le dichiarazioni contenute nella domanda di partecipazione o nell’offerta circa il possesso dei requisiti di capacità non siano state comprovate dalla documentazione all’uopo presentata, e per ciò stesso, “le stazioni appaltanti procedono all’esclusione del concorrente dalla gara, alla escussione della relativa cauzione provvisoria e alla segnalazione del fatto all’Autorità”. Con il che si rende evidente che le predette misure discendenti dall’esclusione si rivelano strettamente vincolate e consequenziali alla verifica dell’omissione di cui si tratta, e prive di qualsivoglia contenuto discrezionale. La giurisprudenza prevalente è difatti attestata nel senso che l’incameramento della cauzione provvisoria sia una conseguenza sanzionatoria automatica del provvedimento di esclusione, come tale non suscettibile di alcuna valutazione discrezionale con riguardo ai singoli casi concreti (v. C.d.S., V, 01.10.2010, n. 7263, 18.04.2012, n. 2232, e 10.09.2012, n. 4778; nello stesso senso v. anche, tra le altre, IV, 16.02.2012, n. 810; 24.05.2013, n. 2832; VI, 27.12.2006, n. 7948; III, 16.03.2012, n. 1471).
L’Adunanza Plenaria di questo Consiglio (04.05.2012, n. 8), inoltre, ha riconosciuto che la possibilità di incamerare la cauzione provvisoria può trarre fondamento anche dall'art. 75, comma 6, d.lgs. n. 163 del 2006, che riguarda tutte le ipotesi di mancata sottoscrizione del contratto per fatto dell'affidatario, intendendosi per “fatto dell'affidatario” qualunque ostacolo alla stipulazione a lui riconducibile, e dunque non solo il rifiuto di stipulare o il difetto di requisiti speciali, ma anche il difetto di requisiti generali di cui all'art. 38 dello stesso Codice
(Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 17.01.2014 n. 169 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Verifica dell'offerta anomala, intervento del giudice solo in casi ''straordinari''.
L'esame delle giustificazioni presentate dal soggetto che e' tenuto a dimostrare la non anomalia dell'offerta è vicenda che rientra nella discrezionalità tecnica dell'Amministrazione.
Soltanto in caso di macroscopiche illogicità, vale a dire di errori di valutazione evidenti e gravi, oppure di valutazioni abnormi o affette da errori di fatto, il giudice può intervenire, restando per il resto la capacità di giudizio confinata entro i limiti dell'apprezzamento tecnico proprio di tale tipo di discrezionalità.

Il Consiglio di Stato ha respinto il ricorso di una società che contestava l’aggiudicazione dell’appalto ad una cooperativa che , secondo il suo parere, aveva presentato una offerta anomala; i giudici amministrativi del Consiglio di Stato, tuttavia, condividono la conclusione a cui è pervenuto il TAR il quale ha sostenuto che se il procedimento di verifica dell’anomalia, condotto dall’Amministrazione appaltante con il dovuto scrupolo istruttorio, è sfociato in un giudizio non manifestamente illogico né irragionevole sull’attendibilità dell’offerta nel suo complesso, l’aggiudicazione è da intendersi pienamente legittima.
Il caso
Una stazione appaltante aveva indetto una procedura aperta per l’affidamento, secondo il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, del servizio di preparazione, confezionamento ed eventuale trasporto dei pasti per gli utenti dei servizi socio-assistenziali da essa gestiti, per la durata di tre anni e con possibilità di proroga per un ulteriore anno alle medesime condizioni.
Alla gara partecipavano diverse ditte; alcune di queste venivano escluse e rimanevano in gara una SPA ed una cooperativa specializzata nel settore.
La stazione appaltante procedeva all’aggiudicazione definitiva nei confronti della cooperativa; a fronte della determinazione di aggiudicazione la SPA, seconda classificata, procedeva al ricorso sostenendo principalmente che l’offerta della ditta aggiudicataria doveva essere esclusa dalla gara, perché ritenuta anomala. Il TAR, tuttavia, dopo l’esame del ricorso lo rigettava nel merito; la società ricorreva al Consiglio di Stato.
L’analisi dei giudici amministrativi di secondo grado
Il Consiglio di Stato osserva come il giudice di prime cure abbia opportunamente anteposto, alla disamina degli specifici rilievi della società ricorrente, un richiamo ai principi di elaborazione giurisprudenziale in tema di sindacato sulla verifica di anomalia delle offerte.
Per i giudici di Palazzo Spada da una parte si assiste al fatto che la verifica della congruità di un'offerta ha natura globale e sintetica, riguardando l’attendibilità della medesima nel suo insieme, e quindi sulla sua idoneità a fondare un serio affidamento sulla corretta esecuzione dell'appalto, onde il relativo giudizio non ha per oggetto la ricerca di singole inesattezze dell'offerta economica; dall’altro, quello che il Giudice amministrativo può sindacare le valutazioni della Stazione appaltante in sede di verifica dell'anomalia delle offerte sotto il profilo della loro logicità e ragionevolezza e della congruità della relativa istruttoria, ma non può operare autonomamente la stessa verifica senza con ciò stesso invadere la sfera propria della discrezionalità della Pubblica Amministrazione.
La giurisprudenza amministrativa del Consiglio di Stato ha precisato che il giudizio di verifica della congruità di un'offerta potenzialmente anomala ha natura globale e sintetica, vertendo sulla serietà, o meno, dell'offerta nel suo insieme.
L'attendibilità dell’offerta deve , cioè, essere valutata nel suo complesso, e non con riferimento alle singole voci di prezzo ritenute incongrue, avulse dall’incidenza che potrebbero avere sull'offerta economica nel suo insieme: questo, ferma restando la possibile rilevanza del giudizio di inattendibilità che dovesse investire voci che, per la loro importanza ed incidenza complessiva, renderebbero l'intera operazione economica implausibile e, per l'effetto, insuscettibile di accettazione da parte dell’Amministrazione, in quanto insidiata da indici strutturali di carente affidabilità.
Quali le anomalie dell’offerta contestate dalla società ricorrente
Nel ricorso la società evidenzia, in merito all’ipotizzata anomalia dell’offerta della ditta aggiudicataria, che tale l’offerta economica avrebbe dovuto essere giudicata anomala per il fatto che era stato omesso di indicare e quantificare, nelle giustificazioni presentate in seno al procedimento di verifica della stessa offerta, la voce relativa alle “spese generali”.
I giudici di prime cure, tuttavia, hanno ritenuto che la mancata indicazione delle spese generali non costituisse, nel caso concreto, un elemento idoneo ad inficiare la valutazione della Commissione di complessiva attendibilità dell’offerta dell’aggiudicataria, facendo principalmente notare che:
- la società aveva dettagliatamente indicato in sede di giustificazione tutti gli elementi di costo dell’offerta praticata, con riferimento sia al costo del personale , sia al costo di gestione;
- le limitate dimensioni dell’aggiudicataria facevano ragionevolmente presumere un’incidenza modesta delle spese generali.
Per i giudici di Palazzo Spada le “osservazioni” del TAR sono pienamente coerenti con gli orientamenti giurisprudenziali del Consiglio di Stato.
La seconda contestazione relativa all’anomalia dell’offerta, riguarda il numero di addetti che l’aggiudicataria prevede di utilizzare, per il servizio.
In riferimento alle contestazioni della società ricorrente il Consiglio di Stato evidenzia che la legge di gara non fissava un numero minimo di addetti, limitandosi a prescrivere che il servizio fosse gestito dall’appaltatore con “personale in numero sufficiente”; ed ha aggiunto che il relativo dato rilevava, ai sensi dell’art. 12 del disciplinare di gara, ai fini dell’attribuzione del punteggio relativo al momento della “composizione del team proposto per lo svolgimento del servizio”, aspetto in relazione al quale, l’aggiudicataria aveva indicato 4 addetti e conseguito complessivamente 12,5 punti, sul massimo di 15 previsti.
Il TAR ha poi osservato che i dubbi sollevati dalla Commissione circa la sufficienza di soli quattro addetti a gestire il servizio erano stati superati dai chiarimenti forniti dall’interessata in sede di verifica di anomalia, “alla luce della caratteristiche tecniche del centro cottura (tecnologicamente avanzato), delle competenze professionali del team proposto e della natura del servizio appaltato (relativamente semplice, contemplando solo la preparazione dei pasti, non anche la consegna ed il trasporto degli stessi) e all’organizzazione dello stesso (incentrato su un unico centro di cottura, più agevole da gestire anche con poco personale in luogo di più centri di cottura sparsi sul territorio).”.
Un'altra contestazione, nel ricorso al Consiglio di Stato, riguardava il fatto che la ditta aggiudicataria avesse previsto nella propria offerta tecnica che talune prestazioni proprie del servizio affidato, incluse quelle relative alla preparazione dei pasti e alla sanificazione del centro cottura, sarebbero state svolte anche da volontari non retribuiti, con ciò violando sia l’art. 25 del capitolato d’appalto (concernente l’obbligo di gestire il servizio con “proprio personale, professionalmente qualificato e costantemente aggiornato e addestrato”), sia la L. 266/1991, sulle attività di volontariato.
Su tale aspetto, tuttavia, il giudice di prime cure ha rilevato che era stato proprio il disciplinare di gara ad ammettere il possibile impiego di volontari, in aggiunta al lavoro degli operatori professionali, vedendo in ciò un possibile “arricchimento del progetto” e, inoltre, che l’aggiudicataria aveva previsto, sì, la possibilità di avvalersi di personale volontario ad integrazione del personale retribuito stabilmente assunto, ma in sede di valutazione per tale voce dell’offerta aveva conseguito zero punti.
Il TAR ha ritenuto che, poiché la presenza di volontari nel progetto dell’aggiudicataria non aveva avuto influenza sulla valutazione della sua offerta, e quindi sull’esito della gara, la critica non poteva che risultare recessiva.
Le conclusioni del Consiglio di Stato
Il Consiglio di Stato condivide la conclusione a cui è arrivata la sentenza del TAR e, cioè, che il procedimento di verifica dell’anomalia, condotto dall’Amministrazione appaltante con il dovuto scrupolo istruttorio, è sfociato in un giudizio non manifestamente illogico né irragionevole sull’attendibilità dell’offerta nel suo complesso.
Il ricorso è, pertanto, respinto; per la complessità della materia , tuttavia , vi sono validi motivi per giustificare la compensazioni tra le parti delle spese processuali (commento tratto da www.ipsoa.it - Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 17.01.2014 n. 162 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Il primo Giudice ha richiamato i principi di elaborazione giurisprudenziale in tema di sindacato sulla verifica di anomalia delle offerte. Da un lato, quello per cui la verifica della congruità di un'offerta ha natura globale e sintetica, vertendo sull’attendibilità della medesima nel suo insieme, e quindi sulla sua idoneità a fondare un serio affidamento sulla corretta esecuzione dell'appalto, onde il relativo giudizio non ha per oggetto la ricerca di singole inesattezze dell'offerta economica; dall’altro, quello che il Giudice amministrativo può sindacare le valutazioni della Stazione appaltante in sede di verifica dell'anomalia delle offerte sotto il profilo della loro logicità e ragionevolezza e della congruità della relativa istruttoria, ma non può operare autonomamente la stessa verifica senza con ciò stesso invadere la sfera propria della discrezionalità della Pubblica Amministrazione.
In maniera più articolata, le principali acquisizioni giurisprudenziali che connotano il sindacato giudiziale attivabile in questa materia possono essere così sintetizzate.
Nelle procedure per l'aggiudicazione di appalti pubblici, l'esame delle giustificazioni presentate dal soggetto che è tenuto a dimostrare la non anomalia dell'offerta è vicenda che rientra nella discrezionalità tecnica dell'Amministrazione, per cui soltanto in caso di macroscopiche illogicità, vale a dire di errori di valutazione evidenti e gravi, oppure di valutazioni abnormi o affette da errori di fatto, il giudice della legittimità può intervenire, restando per il resto la capacità di giudizio confinata entro i limiti dell'apprezzamento tecnico proprio di tale tipo di discrezionalità.
La giurisprudenza è altresì saldamente orientata nel senso che, nel caso di ricorso proposto avverso il giudizio di anomalia dell'offerta presentata in una pubblica gara, il Giudice amministrativo possa sindacare le valutazioni compiute dall’Amministrazione sotto il profilo della loro logicità e ragionevolezza e della congruità dell'istruttoria, mentre non possa invece operare autonomamente la verifica della congruità dell'offerta presentata e delle sue singole voci, sovrapponendo così la sua idea tecnica al giudizio -non erroneo né illogico- formulato dall'organo amministrativo cui la legge attribuisce la tutela dell'interesse pubblico nell'apprezzamento del caso concreto, poiché, così facendo, il Giudice invaderebbe una sfera propria della P.A..
E’ ormai acquisito anche l’ulteriore punto per cui il giudizio di anomalia postula una motivazione rigorosa ed analitica ove si concluda in senso sfavorevole all’offerente, mentre non si richiede, di contro, una motivazione analitica nell’ipotesi di esito positivo della verifica di anomalia, nel qual caso è sufficiente motivare per relationem con riferimento alle giustificazioni presentate dal concorrente (sempre che a loro volta adeguate).
Di conseguenza, in questa seconda evenienza incombe su chi contesti l'aggiudicazione l'onere di individuare gli specifici elementi da cui il Giudice amministrativo possa evincere che la valutazione tecnico-discrezionale dell'Amministrazione sia stata manifestamente irragionevole, ovvero basata su fatti erronei o travisati.
Viene precisato, infine, che il giudizio di verifica della congruità di un'offerta potenzialmente anomala ha natura globale e sintetica, vertendo sulla serietà o meno dell'offerta nel suo insieme. L'attendibilità della offerta va, cioè, valutata nel suo complesso, e non con riferimento alle singole voci di prezzo ritenute incongrue, avulse dall’incidenza che potrebbero avere sull'offerta economica nel suo insieme: questo ferma restando la possibile rilevanza del giudizio di inattendibilità che dovesse investire voci che, per la loro importanza ed incidenza complessiva, renderebbero l'intera operazione economica implausibile e, per l'effetto, insuscettibile di accettazione da parte dell’Amministrazione, in quanto insidiata da indici strutturali di carente affidabilità.

L’appello è infondato.
Il primo Giudice ha opportunamente anteposto alla disamina degli specifici rilievi della SODEXO un richiamo ai principi di elaborazione giurisprudenziale in tema di sindacato sulla verifica di anomalia delle offerte. Da un lato, quello per cui la verifica della congruità di un'offerta ha natura globale e sintetica, vertendo sull’attendibilità della medesima nel suo insieme, e quindi sulla sua idoneità a fondare un serio affidamento sulla corretta esecuzione dell'appalto, onde il relativo giudizio non ha per oggetto la ricerca di singole inesattezze dell'offerta economica; dall’altro, quello che il Giudice amministrativo può sindacare le valutazioni della Stazione appaltante in sede di verifica dell'anomalia delle offerte sotto il profilo della loro logicità e ragionevolezza e della congruità della relativa istruttoria, ma non può operare autonomamente la stessa verifica senza con ciò stesso invadere la sfera propria della discrezionalità della Pubblica Amministrazione.
In maniera più articolata, le principali acquisizioni giurisprudenziali che connotano il sindacato giudiziale attivabile in questa materia possono essere così sintetizzate.
Nelle procedure per l'aggiudicazione di appalti pubblici, l'esame delle giustificazioni presentate dal soggetto che è tenuto a dimostrare la non anomalia dell'offerta è vicenda che rientra nella discrezionalità tecnica dell'Amministrazione, per cui soltanto in caso di macroscopiche illogicità, vale a dire di errori di valutazione evidenti e gravi, oppure di valutazioni abnormi o affette da errori di fatto, il giudice della legittimità può intervenire, restando per il resto la capacità di giudizio confinata entro i limiti dell'apprezzamento tecnico proprio di tale tipo di discrezionalità (C.d.S., Ad. Pl., 29.11.2012, n. 36; V, 26.09.2013, n. 4761; 18.08.2010, n. 5848; 23.11.2010, n. 8148; 22.02.2011, n. 1090).
La giurisprudenza è altresì saldamente orientata nel senso che, nel caso di ricorso proposto avverso il giudizio di anomalia dell'offerta presentata in una pubblica gara, il Giudice amministrativo possa sindacare le valutazioni compiute dall’Amministrazione sotto il profilo della loro logicità e ragionevolezza e della congruità dell'istruttoria, mentre non possa invece operare autonomamente la verifica della congruità dell'offerta presentata e delle sue singole voci, sovrapponendo così la sua idea tecnica al giudizio -non erroneo né illogico- formulato dall'organo amministrativo cui la legge attribuisce la tutela dell'interesse pubblico nell'apprezzamento del caso concreto, poiché, così facendo, il Giudice invaderebbe una sfera propria della P.A. (C.d.S., IV, 27.06.2011, n. 3862; V, 28.10.2010, n. 7631).
E’ ormai acquisito anche l’ulteriore punto per cui il giudizio di anomalia postula una motivazione rigorosa ed analitica ove si concluda in senso sfavorevole all’offerente, mentre non si richiede, di contro, una motivazione analitica nell’ipotesi di esito positivo della verifica di anomalia, nel qual caso è sufficiente motivare per relationem con riferimento alle giustificazioni presentate dal concorrente (sempre che a loro volta adeguate). Di conseguenza, in questa seconda evenienza incombe su chi contesti l'aggiudicazione l'onere di individuare gli specifici elementi da cui il Giudice amministrativo possa evincere che la valutazione tecnico-discrezionale dell'Amministrazione sia stata manifestamente irragionevole, ovvero basata su fatti erronei o travisati (VI, 03.11.2010, n. 7759; V, 22.02.2011, n. 1090; 23.11.2010, n. 8148).
Viene precisato, infine, che il giudizio di verifica della congruità di un'offerta potenzialmente anomala ha natura globale e sintetica, vertendo sulla serietà o meno dell'offerta nel suo insieme. L'attendibilità della offerta va, cioè, valutata nel suo complesso, e non con riferimento alle singole voci di prezzo ritenute incongrue, avulse dall’incidenza che potrebbero avere sull'offerta economica nel suo insieme (Ad.Pl. n. 36/2012 cit.; V, 14.06.2013, n. 3314; 01.10.2010, n. 7262; 11.03.2010 n. 1414; IV, 22.03.2013, n. 1633; III, 14.02.2012, n. 710): questo ferma restando la possibile rilevanza del giudizio di inattendibilità che dovesse investire voci che, per la loro importanza ed incidenza complessiva, renderebbero l'intera operazione economica implausibile e, per l'effetto, insuscettibile di accettazione da parte dell’Amministrazione, in quanto insidiata da indici strutturali di carente affidabilità (V, 15.11.2012, n. 5703; 28.10.2010, n. 7631).
I principi appena ricordati conducono linearmente alla reiezione delle doglianze di parte ricorrente (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 17.01.2014 n. 162 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI SERVIZI - INCARICHI PROFESSIONALI: Se le spese relative alla predisposizione degli atti di gara e alla successiva gestione della gara stessa per l’affidamento del servizio di distribuzione del gas naturale siano riconducibili nei limiti stabiliti dal decreto legge n. 101/2013 (convertito, con modificazioni, dalla legge n. 125/2013) per studi e incarichi di consulenza.
Per quanto concerne il presupposto che giustifica il conferimento, da parte del Comune, di incarichi di studio e consulenza, occorre rilevare che il ricorso, da parte del Comune, quale stazione appaltante, all’affidamento di incarichi di studio e consulenza necessari alla predisposizione degli atti di gara e alla gestione di questa dovrà in ogni caso avvenire nel rispetto della disciplina (art. 7, comma 6, d.lgs. n. 165/2001) che prevede il ricorso a tali istituti nei soli casi in cui l’amministrazione non disponga, al suo interno, di soggetti dotati delle necessarie professionalità e competenze per l’espletamento degli incarichi.
Nel caso in esame, quindi,
perché il Comune di possa conferire a un soggetto esterno l’attività necessaria alla predisposizione degli atti di gara (comprensiva della valutazione preliminare degli impianti) e alla successiva gestione della gara stessa, occorre che il Comune non disponga di uffici o strutture deputati, tra l’altro, alle attività di valutazione preliminare degli impianti e alla gestione della gara.
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La copertura degli oneri di gara è a carico del gestore aggiudicatario, che è tenuto, al pagamento del corrispettivo una tantum ai sensi dell’art. 8, comma 1, d.m. 12.11.2011, n. 226, e a una serie di altri oneri, compresi quelli connessi agli interventi di efficienza energetica
(art. 8, commi 2-6, d.m. 12.11.2011, n. 226).
Pertanto, tali spese non rientrano nei limiti di cui al decreto legge n. 101/2013 nella misura in cui siano strettamente e imprescindibilmente connesse alla definizione e gestione della gara che il legislatore impone per l’attività di distribuzione del gas naturale (art. 14, comma 1, d.lgs. n. 164/2000) e, in ogni caso, è necessario che oggetto del conferimento dell’incarico da parte del Comune siano attività che non gravino già sul gestore uscente, il quale è tenuto ad adempiere una serie di obblighi nei confronti dell’ente locale
(ad esempio, art. 4, “Obblighi informativi dei gestori”, d.m. 12.11.2011, n. 226).
Naturalmente, tali spese sono soggette al rispetto dei generali criteri della ragionevolezza e della proporzionalità.
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Quanto alla rappresentazione contabile delle somme anticipate dal Comune quale stazione appaltante e, successivamente, corrisposte al Comune dal gestore aggiudicatario a copertura degli oneri della gara, la Sezione concorda sulla necessità che tali somme vengano registrate in un capitolo di spesa ad hoc –diverso dal capitolo “servizi per conto terzi”– e con un’opportuna specificazione relativamente alle modalità e ai tempi del loro “rimborso” al Comune da parte del gestore aggiudicatario.
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Il sindaco del Comune di Brescia, mediante nota n. 126111 del 28.11.2013, chiede se le spese relative alla predisposizione degli atti di gara e alla successiva gestione della gara stessa per l’affidamento del servizio di distribuzione del gas naturale siano riconducibili nei limiti stabiliti dal decreto legge n. 101/2013 (convertito, con modificazioni, dalla legge n. 125/2013) per studi e incarichi di consulenza.
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L’art. 1, comma 5, decreto legge 31.08.2013, n. 103, convertito, con modificazioni, dalla legge 30.10.2013, n. 125, dispone limiti alle spese, relativamente agli anni 2014 e 2015, per studi e incarichi di consulenza, incluse quelle relative a studi e incarichi di consulenza conferiti a pubblici dipendenti, sostenute dalle amministrazioni pubbliche inserite nel conto economico consolidato della pubblica amministrazione e dalle autorità indipendenti.
La ratio della norma, così come di altre simili, previste in precedenti provvedimenti (ad esempio, l’art. 6, comma 7, decreto legge 31.05.2010, n. 78, convertito dalla legge 30.07.2010, n. 122), è quella di operare un consistente contenimento di dette spese, la cui entità ha raggiunto, nel corso degli anni, dimensioni che il legislatore ha valutato esorbitanti rispetto alle effettive esigenze delle amministrazioni.
L’estensione dell’ambito applicativo della norma alle amministrazioni pubbliche inserite nel conto economico consolidato della pubblica amministrazione rende evidente che anche le autonomie locali sono chiamate a partecipare, nel rispetto degli articoli 117, comma 3, e 119, comma 2, della Costituzione, al raggiungimento degli obiettivi di sana gestione finanziaria pubblica che la Repubblica si è impegnata a realizzare.
L’art. 1, comma 5, decreto legge n. 101/2013 fa espresso riferimento alla spesa annua sostenuta, dalle amministrazioni pubbliche di cui s’è detto, per studi e incarichi di consulenza, conferiti sia a soggetti esterni alla pubblica amministrazione, sia a pubblici dipendenti.
Gli incarichi di studio e consulenza cui la norma si riferisce sono quelli conferiti per approfondire tematiche di interesse dell’amministrazione; si tratta, inoltre, di prestazioni di cui l’amministrazione, nell’esercizio della sua discrezionalità, decide di avvalersi per il conseguimento delle proprie finalità.

Al fine di valutare se le spese relative alla predisposizione degli atti di gara e alla successiva gestione della gara stessa per l’affidamento del servizio di distribuzione del gas naturale, sostenute dal Comune di Brescia quale stazione appaltante, rientrino o meno nei limiti di cui all’art. 1, comma 5, decreto legge n. 101/2013, occorre esaminare il contenuto delle prestazioni professionali oggetto dell’incarico e se i relativi oneri siano determinati da servizi o adempimenti cui l’ente è tenuto per legge (cfr. Corte conti, SS.RR. in sede di controllo, delibera n. 6/CONTR/05).
Nel caso in esame, fra le spese che il comune di Brescia, quale stazione appaltante dell’Atem Brescia 3 Città e impianto di Brescia per la gara unica avente ad oggetto l’affidamento del servizio di distribuzione del gas naturale, si propone di sostenere rientrano quelle di valutazione preliminare degli impianti (di cui, però, la richiesta di parere non specifica in che cosa consistano), oltre alle spese connesse alla gestione della gara (anche in tal caso, su tali spese non sono forniti ulteriori elementi).
Si tratterebbe, nella prospettazione del Comune di Brescia, di spese funzionalmente connesse alla procedura di gara, sia nella fase preliminare al suo svolgimento, sia in quella successiva della gestione della gara.
Per quanto concerne il presupposto che giustifica il conferimento, da parte del Comune di Brescia, di incarichi di studio e consulenza, occorre rilevare che
il ricorso, da parte del Comune, quale stazione appaltante, all’affidamento di incarichi di studio e consulenza necessari alla predisposizione degli atti di gara e alla gestione di questa dovrà in ogni caso avvenire nel rispetto della disciplina (art. 7, comma 6, d.lgs. n. 165/2001) che prevede il ricorso a tali istituti nei soli casi in cui l’amministrazione non disponga, al suo interno, di soggetti dotati delle necessarie professionalità e competenze per l’espletamento degli incarichi.
Nel caso in esame, quindi,
perché il Comune di Brescia possa conferire a un soggetto esterno l’attività necessaria alla predisposizione degli atti di gara (comprensiva della valutazione preliminare degli impianti) e alla successiva gestione della gara stessa, occorre che il Comune non disponga di uffici o strutture deputati, tra l’altro, alle attività di valutazione preliminare degli impianti e alla gestione della gara.
Quanto alla riconducibilità o meno di tali spese nei limiti di cui al decreto legge n. 101/2013, si rileva che le spese vengono anticipate dal Comune, stazione appaltante, per essere poi a questo rimborsate dall’aggiudicatario-gestore mediante un corrispettivo che quest’ultimo dovrà versare al Comune.
L’art. 8, comma 1, del decreto del Ministero dello sviluppo economico 12.11.2011, n. 226 chiarisce, infatti, che “il gestore aggiudicatario della gara corrisponde alla stazione appaltante un corrispettivo una tantum per la copertura degli oneri di gara, ivi inclusi gli oneri di funzionamento della commissione di gara”. Il riferimento alla “copertura degli oneri di gara” appare essere comprensivo di tutte le spese necessarie alla predisposizione e gestione della gara (il legislatore ha, inoltre, specificato che vi rientrano anche gli oneri per il funzionamento della commissione di gara).
La copertura degli oneri di gara è a carico, quindi, del gestore aggiudicatario, che è tenuto, al pagamento del corrispettivo una tantum ai sensi dell’art. 8, comma 1, d.m. 12.11.2011, n. 226, e a una serie di altri oneri, compresi quelli connessi agli interventi di efficienza energetica (art. 8, commi 2-6, d.m. 12.11.2011, n. 226).
Pertanto,
tali spese non rientrano nei limiti di cui al decreto legge n. 101/2013 nella misura in cui siano strettamente e imprescindibilmente connesse alla definizione e gestione della gara che il legislatore impone per l’attività di distribuzione del gas naturale (art. 14, comma 1, d.lgs. n. 164/2000) e, in ogni caso, è necessario che oggetto del conferimento dell’incarico da parte del Comune siano attività che non gravino già sul gestore uscente, il quale è tenuto ad adempiere una serie di obblighi nei confronti dell’ente locale (ad esempio, art. 4, “Obblighi informativi dei gestori”, d.m. 12.11.2011, n. 226).
Naturalmente, tali spese sono soggette al rispetto dei generali criteri della ragionevolezza e della proporzionalità.
Inoltre, nella quantificazione del corrispettivo che il gestore dovrà versare alla stazione appaltante, lo stesso art. 8, comma 1, d.m. 12.11.2011, n. 226 dispone che i criteri per la definizione del corrispettivo siano definiti dall’Autorità per l’energia elettrica e il gas (l’Autorità vi ha provveduto con delibera 11.10.2012, n. 407/2012/R/gas, “Criteri per la definizione del corrispettivo una tantum per la copertura degli oneri di gara per l’affidamento del servizio di distribuzione del gas naturale”); nello stabilire il quantum del corrispettivo, la stazione appaltante dovrà, quindi, rispettare tali criteri.
Del resto, la verifica di ragionevolezza e proporzionalità delle spese che il Comune si propone di sostenere per la definizione e gestione della gara per l’affidamento dell’attività di distribuzione del gas naturale è funzionale ad evitare che vengano caricati sul gestore oneri ulteriori ed eccedenti a quelli strettamente necessari. In caso contrario, potrebbe verificarsi una traslazione (almeno di parte) degli oneri sostenuti dal gestore sui consumatori, quali utenti tenuti al pagamento del prezzo per il servizio.
Quanto alla rappresentazione contabile delle somme anticipate dal Comune quale stazione appaltante e, successivamente, corrisposte al Comune dal gestore aggiudicatario a copertura degli oneri della gara, la Sezione concorda sulla necessità che tali somme vengano registrate in un capitolo di spesa ad hoc –diverso dal capitolo “servizi per conto terzi”– e con un’opportuna specificazione relativamente alle modalità e ai tempi del loro “rimborso” al Comune da parte del gestore aggiudicatario (Corte dei Conti, Sez. controllo Lombardia, parere 17.01.2014 n. 23).

APPALTI SERVIZI: G.U. 17.01.2014 n. 13 "Criteri ambientali minimi per l’affidamento del servizio di gestione del verde pubblico, per acquisto di Ammendanti - aggiornamento 2013, acquisto di piante ornamentali e impianti di irrigazione (Allegato 1) e forniture di attrezzature elettriche ed elettroniche d’ufficio - aggiornamento 2013 (Allegato 2)" (Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, decreto 13.12.2013).

APPALTI: Mercoledì 15.01.2014 il Parlamento europeo, in seduta plenaria ha approvato tre nuove direttive e precisamente quelle relative ad appalti pubblici e servizi in sostituzione delle due direttive 2004/18/CE e 2004/17/CE e la nuovissima direttiva concessioni.
Alleghiamo alla presente notizia le tre direttive nel testo approvato dal Parlamento europeo, precisando che si tratta:
della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio sugli appalti pubblici (COM (2011) 896 def.) che sostituirà la Direttiva 2004/18/CE;
della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio sulle procedure d'appalto degli enti erogatori nei settori dell'acqua, dell'energia, dei trasporti e dei servizi postali (COM (2011) 895 def.) che sostituirà la direttiva 2004/17/CE;
della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio sull'aggiudicazione dei contratti di concessione (COM (2011) 897 def.).
I prossimi passaggi saranno quelli dell’approvazione da parte del Consiglio dei Ministri Ue, che rappresenta gli stati membri, e la successiva pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale dell’Unione europea. E’ presumibile, quindi, che tutto si concluda entro il prossimo mese di febbraio e che gli Stati membri saranno, quindi, obbligati, nei successivi 24 mesi a recepire le nuove disposizioni nella legislazione nazionale.
Si profila, quindi, un nuovo e pesante intervento sul Codice dei Contratti e sul Regolamento.
Sul sito del parlamento Europeo viene precisato che le nuove direttive in materia di appalti pubblici e concessioni garantiranno una qualità e un rapporto qualità-prezzo migliori. Sarà inoltre più facile per le piccole e medie imprese presentare offerte mentre le nuove regole contengono disposizioni più severe in materia di subappalto.
Le nuove direttive modificano le norme attuali sugli appalti pubblici comunitari e per la prima volta, sono stabilite norme comuni UE in materia di contratti di concessione (commento tratto da www.lavoripubblici.it).

APPALTILa giurisprudenza consolidata ha delineato tre differenti tipi di informative prefettizie:
- quelle “ricognitive” di cause di per sé interdittive di cui all'art. 4, comma 4, del d.lgs. 08.08.1994, n. 490 (art. 10, comma 7, lett. a) e b) del d.P.R. n. 252/1998);
- quelle relative ad eventuali tentativi di infiltrazione mafiosa e la cui efficacia interdittiva discende da una valutazione del prefetto (art. 10, comma 7, lett. c) d.P.R. n. 252/1998);
- quelle “supplementari” (o atipiche), la cui efficacia interdittiva scaturisce da una valutazione autonoma e discrezionale dell’amministrazione destinataria dell’informativa prevista dall’art. 1-septies, del decreto legge 06.09.1982, n. 629, convertito dalla legge 12.10.1982, n. 726, ed aggiunto dall’art. 2 della legge 15.11.1988, n. 486.
In linea generale, si rileva che il legislatore, attraverso la normativa cosiddetta “antimafia”, ha inteso garantire un ruolo di massima anticipazione all’azione di prevenzione in ordine ai pericoli di inquinamento mafioso, con la conseguenza che l’emissione di una comunicazione prefettizia ostativa prescinde dal concreto accertamento di responsabilità penali, essendo sufficiente che vi siano degli elementi indiziari in grado di generare un ragionevole convincimento sulla sussistenza di un “condizionamento mafioso”.
A tali principi consegue che il Prefetto, all’atto della valutazione in ordine alla sussistenza dell’infiltrazione mafiosa e della conseguente adozione della informativa ostativa, non è tenuto al raggiungimento della piena prova della intervenuta infiltrazione, essendo questo un quid pluris non richiesto, ma deve solo sufficientemente dimostrare la sussistenza di elementi sintomatici ed indiziari dai quali è deducibile il tentativo di ingerenza.
Relativamente a detta valutazione, l’Autorità Prefettizia gode di ampia ed autonoma discrezionalità, come tale sindacabile in sede giurisdizionale solo in caso di manifesta illogicità e/o irrazionalità. Tale valutazione deve, peraltro, essere sufficientemente motivata in ordine alla sussistenza degli elementi dai quali possa ragionevolmente desumersi il tentativo di infiltrazione mafiosa.
In definitiva, l’informativa prefettizia costituisce uno strumento, con funzione spiccatamente cautelare e preventiva, teso a contrastare la criminalità organizzata, che deve pur sempre fondarsi su elementi di fatto che inducano a ritenere esistente il pericolo di infiltrazioni mafiose, pur prescindendo dall’accertamento di responsabilità penali.
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Se in caso di informativa prefettizia c.d. “atipica” l’efficacia interdittiva può conseguire a seguito di una valutazione autonoma e discrezionale dell’Amministrazione destinataria, nel caso di informativa c.d. “tipica”, diversamente, l’efficacia interdittiva discende direttamente dalla valutazione del Prefetto, con la conseguenza che alla Amministrazione destinataria non residua alcun potere di decisione, derivando l’effetto preclusivo direttamente dall’atto del Prefetto, con conseguente autonoma capacità lesiva.

Come noto, alla luce della normativa applicabile, ratione temporis, alla fattispecie in esame (oggi abrogata –ma sostanzialmente riprodotta- dal D.Lgs. 06.09.2011, n. 159, recante Codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, nonché nuove disposizioni in materia di documentazione antimafia a norma degli articoli 1 e 2 della legge 13.08.2010, n. 136), la giurisprudenza consolidata ha delineato tre differenti tipi di informative prefettizie:
- quelle “ricognitive” di cause di per sé interdittive di cui all'art. 4, comma 4, del d.lgs. 08.08.1994, n. 490 (art. 10, comma 7, lett. a) e b) del d.P.R. n. 252/1998);
- quelle relative ad eventuali tentativi di infiltrazione mafiosa e la cui efficacia interdittiva discende da una valutazione del prefetto (art. 10, comma 7, lett. c) d.P.R. n. 252/1998);
- quelle “supplementari” (o atipiche), la cui efficacia interdittiva scaturisce da una valutazione autonoma e discrezionale dell’amministrazione destinataria dell’informativa prevista dall’art. 1-septies, del decreto legge 06.09.1982, n. 629, convertito dalla legge 12.10.1982, n. 726, ed aggiunto dall’art. 2 della legge 15.11.1988, n. 486.
In linea generale, si rileva che il legislatore, attraverso la normativa cosiddetta “antimafia”, ha inteso garantire un ruolo di massima anticipazione all’azione di prevenzione in ordine ai pericoli di inquinamento mafioso, con la conseguenza che l’emissione di una comunicazione prefettizia ostativa prescinde dal concreto accertamento di responsabilità penali, essendo sufficiente che vi siano degli elementi indiziari in grado di generare un ragionevole convincimento sulla sussistenza di un “condizionamento mafioso” (a titolo esemplificativo, in ordine a tali consolidati principi, si segnala Consiglio di Stato, sez. III, 19.01.2012, n. 245, id, sez. VI, 15.06.2011, n. 3647; id, 08.06.2009, n. 3491; id, 19.06.2009, n. 4132; id 14.04.2009, n. 2276; id 27.01.2009, n. 510; id, sez. V, 26.11.2008, n., 5846; id, sez. VI, 19.08.2008, n. 3958; id, sez. V, 27.05.2008, n. 2512; id, sez. IV, 16.03.2004, n. 2783.).
A tali principi consegue che il Prefetto, all’atto della valutazione in ordine alla sussistenza dell’infiltrazione mafiosa e della conseguente adozione della informativa ostativa, non è tenuto al raggiungimento della piena prova della intervenuta infiltrazione, essendo questo un quid pluris non richiesto, ma deve solo sufficientemente dimostrare la sussistenza di elementi sintomatici ed indiziari dai quali è deducibile il tentativo di ingerenza (cit. sez. VI, 08.06.2009, n. 3491). Relativamente a detta valutazione, l’Autorità Prefettizia gode di ampia ed autonoma discrezionalità, come tale sindacabile in sede giurisdizionale solo in caso di manifesta illogicità e/o irrazionalità. Tale valutazione deve, peraltro, essere sufficientemente motivata in ordine alla sussistenza degli elementi dai quali possa ragionevolmente desumersi il tentativo di infiltrazione mafiosa (Consiglio di Stato, sez. IV, 02.10.2006, n. 5753).
In definitiva, l’informativa prefettizia costituisce uno strumento, con funzione spiccatamente cautelare e preventiva, teso a contrastare la criminalità organizzata, che deve pur sempre fondarsi su elementi di fatto che inducano a ritenere esistente il pericolo di infiltrazioni mafiose, pur prescindendo dall’accertamento di responsabilità penali.
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Come sopra già precisato, se in caso di informativa prefettizia c.d. “atipica” l’efficacia interdittiva può conseguire a seguito di una valutazione autonoma e discrezionale dell’Amministrazione destinataria, nel caso di informativa c.d. “tipica”, diversamente, l’efficacia interdittiva discende direttamente dalla valutazione del Prefetto, con la conseguenza che alla Amministrazione destinataria non residua alcun potere di decisione, derivando l’effetto preclusivo direttamente dall’atto del Prefetto, con conseguente autonoma capacità lesiva (questo Tribunale, sez. I, 25.03.2013, n. 323; Consiglio di Stato, sez. VI, 19.08.2008, n. 3958).
Alla autonoma capacità lesiva, consegue, come è evidente, l’immediata impugnabilità
(TAR Calabria-Catanzaro, Sez. II, sentenza 16.01.2014 n. 85 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ENTI LOCALI - LAVORI PUBBLICI - PUBBLICO IMPIEGO: G.U. 13.01.2014 n. 9, suppl. ord. n. 4, "Ripubblicazione del testo della legge 27.12.2013, n. 147, recante: «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (Legge di stabilità 2014).», corredato delle relative note (Legge pubblicata nel Supplemento ordinario n. 87 alla Gazzetta Ufficiale n. 302 del 27.12.2013)".

LAVORI PUBBLICI: E' ormai consolidato in giurisprudenza il principio per cui la realizzazione di un’opera pubblica su fondo illegittimamente occupato, ovvero legittimamente occupato ma non espropriato nei termini di legge, non è di per sé in grado di determinare il trasferimento della proprietà del bene a favore della Amministrazione.
Deve infatti ritenersi ormai superato l’orientamento che riconnetteva alla costruzione dell’opera pubblica ed alla irreversibile trasformazione del fondo che ad essa consegue effetti preclusivi o limitativi della tutela in forma specifica del privato, dovendo invece affermarsi che la suddetta trasformazione su fondo illegittimamente occupato integra un mero fatto non in grado di assurgere a titolo d’acquisto..
Il diritto di proprietà, d’altro canto, non può essere fatto oggetto di atti abdicativi, e quindi anche la richiesta di risarcimento formulata dal privato, finalizzata ad ottenere il mero controvalore del fondo compromesso dalla realizzazione dell’opera pubblica, ancorché interpretata quale manifestazione della volontà di rinunciare alla proprietà del fondo, non può valere a determinare in capo al privato la perdita di proprietà del fondo illegittimamente occupato dall’opera pubblica.
Discende da quanto sopra che in tali casi solo un formale atto di acquisizione del fondo riconducibile ad un negozio giuridico, o ad un decreto espropriativo adottato all’esito di un rinnovato procedimento di pubblica utilità, ovvero, se del caso, ad un provvedimento ex art. 42-bis D.P.R. 327/2001, può precludere la restituzione del bene: di guisa che, in assenza di un tale atto, è obbligo primario della Amministrazione quello di restituire il fondo illegittimamente appreso.
Correlativamente, mantenendo il privato la proprietà di quest’ultimo, egli non ha alcun titolo per chiedere un risarcimento commisurato alla perdita della proprietà o della disponibilità fondo, potendo invece agire per la restituzione di esso e per il risarcimento del danno conseguente al mancato godimento del bene durante il periodo di occupazione illegittima.
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La persistente occupazione dei terreni di proprietà del ricorrente in assenza di un valido titolo idoneo a trasferirne la proprietà alla P.A. (decreto di esproprio, cessione volontaria, atto di acquisizione ex art. 42-bis) configura un illecito permanente che obbliga la P.A. alla restituito in integrum, oltre che al risarcimento del danno per il mancato godimento dei beni durante il periodo di occupazione illegittima.
La restituito in integrum non può essere paralizzata dalla presenza dell’opera pubblica, la quale non dà titolo per opporre l’eccessiva onerosità della rimozione delle opere nel frattempo realizzate né per invocare il principio di cui al comma 2 dell’art. 2933 cod. civ.: infatti l’eccessiva onerosità di cui all’art. 2058 cod. civ. non è opponibile nelle azioni intese a far valere un diritto reale, il cui carattere assoluto non lascia margini a modalità di reintegrazione diverse da quella in forma specifica, salva diversa volontà del titolare.
La Pubblica Amministrazione è tenuta a far cessare tale occupazione illecita in una delle forme attualmente previste dall’ordinamento (restituzione e risarcimento del danno; accordo col privato proprietario; decreto di acquisizione ex art. 42-bis D.P.R. n. 327/2001), anche perché la persistente occupazione abusiva non fa che aggravare l’entità del risarcimento del danno che l’Amministrazione sarà necessariamente chiamata a pagare al privato proprietario, e quindi, correlativamente, anche la consistenza del danno erariale causato da tale comportamento illecito.

Questa Sezione ha già avuto modo di rilevare che è ormai consolidato in giurisprudenza il principio per cui la realizzazione di un’opera pubblica su fondo illegittimamente occupato, ovvero legittimamente occupato ma non espropriato nei termini di legge, non è di per sé in grado di determinare il trasferimento della proprietà del bene a favore della Amministrazione.
Deve infatti ritenersi ormai superato l’orientamento che riconnetteva alla costruzione dell’opera pubblica ed alla irreversibile trasformazione del fondo che ad essa consegue effetti preclusivi o limitativi della tutela in forma specifica del privato, dovendo invece affermarsi che la suddetta trasformazione su fondo illegittimamente occupato integra un mero fatto non in grado di assurgere a titolo d’acquisto (TAR Piemonte, sez. I, 10.05.2013, n. 607; TAR Piemonte, sez. I, 30.08.2012 n. 985).
Il diritto di proprietà, d’altro canto, non può essere fatto oggetto di atti abdicativi, e quindi anche la richiesta di risarcimento formulata dal privato, finalizzata ad ottenere il mero controvalore del fondo compromesso dalla realizzazione dell’opera pubblica, ancorché interpretata quale manifestazione della volontà di rinunciare alla proprietà del fondo, non può valere a determinare in capo al privato la perdita di proprietà del fondo illegittimamente occupato dall’opera pubblica (TAR Piemonte, sez. I, sentenze citate).
Discende da quanto sopra che in tali casi solo un formale atto di acquisizione del fondo riconducibile ad un negozio giuridico, o ad un decreto espropriativo adottato all’esito di un rinnovato procedimento di pubblica utilità, ovvero, se del caso, ad un provvedimento ex art. 42-bis D.P.R. 327/2001, può precludere la restituzione del bene: di guisa che, in assenza di un tale atto, è obbligo primario della Amministrazione quello di restituire il fondo illegittimamente appreso.
Correlativamente, mantenendo il privato la proprietà di quest’ultimo, egli non ha alcun titolo per chiedere un risarcimento commisurato alla perdita della proprietà o della disponibilità fondo, potendo invece agire per la restituzione di esso e per il risarcimento del danno conseguente al mancato godimento del bene durante il periodo di occupazione illegittima.
Ciò posto, va rilevato che nel caso sottoposto all’attenzione del collegio non risulta che gli enti resistenti e la parte ricorrente siano addivenuti alla sottoscrizione di un accordo per la cessione volontaria della proprietà dei terreni in questione, né risulta che la procedura espropriativa sia stata rinnovata e conclusa con un decreto di esproprio, né infine consta che gli enti procedenti abbiano acquisito la proprietà dei fondi con decreto ex art. 43 D.P.R. 327/2001 (ora non più applicabile per effetto della declaratoria di incostituzionalità della norma pronunciata con sentenza della Corte Costituzionale n. 293/2010) ovvero ex art. 42-bis D.P.R. 327/2001, introdotto con D.L. 98/2011.
Di conseguenza, fatta applicazione dei principi esposti al precedente paragrafo, il collegio ritiene infondata e respinge la domanda risarcitoria da “occupazione appropriativa” formulata con il ricorso introduttivo, perdurando il diritto di proprietà che la ricorrente vanta sui fondi occupati per la realizzazione dell’opera pubblica.
Peraltro, l’occupazione del terreno della ricorrente da parte della Pubblica Amministrazione perdura attualmente per effetto della realizzazione dell’infrastruttura stradale, e costituisce un fatto illecito permanente, a fronte del quale l’interessata è tuttora in condizione e nei termini per proporre le opportune azioni di restituzione e di risarcimento del danno per il periodo di occupazione illegittima (decorrente, quest’ultimo, dalla data di scadenza del periodo di occupazione legittima stabilito nel decreto di occupazione d’urgenza).
Tali azioni non possono essere esaminate nel presente giudizio:
- in primo luogo perché non sono state proposte dalla ricorrente, sicché ogni eventuale decisione del giudice su tali domande dovrebbe necessariamente fondarsi su un inammissibile stravolgimento del thema decidendum, così come definito dal petitum e dalla causa petendi della domanda effettivamente proposta in giudizio dalla ricorrente;
- in secondo luogo perché, quanto ai profili restitutori, non è affatto certo che un’eventuale domanda in tal senso potrebbe oggi essere accolta nei confronti degli odierni convenuti, nessuno dei quali sembra attualmente nel possesso o nella detenzione del bene di cui si controverte (secondo le non contestate deduzioni della difesa comunale, la gestione delle strade realizzate sul terreno di proprietà della ricorrente sembrerebbe essere passata prima alla Regione Piemonte, e attualmente alle Provincie di Novara e del VCO).
Nel contempo, peraltro, va anche considerato che la persistente occupazione dei terreni di proprietà del ricorrente in assenza di un valido titolo idoneo a trasferirne la proprietà alla P.A. (decreto di esproprio, cessione volontaria, atto di acquisizione ex art. 42-bis) configura un illecito permanente che obbliga la P.A. alla restituito in integrum, oltre che al risarcimento del danno per il mancato godimento dei beni durante il periodo di occupazione illegittima.
La restituito in integrum non può essere paralizzata dalla presenza dell’opera pubblica, la quale non dà titolo per opporre l’eccessiva onerosità della rimozione delle opere nel frattempo realizzate né per invocare il principio di cui al comma 2 dell’art. 2933 cod. civ.: infatti l’eccessiva onerosità di cui all’art. 2058 cod. civ. non è opponibile nelle azioni intese a far valere un diritto reale, il cui carattere assoluto non lascia margini a modalità di reintegrazione diverse da quella in forma specifica, salva diversa volontà del titolare (TAR Piemonte, sez. I. 30.08.2012, n. 985; Cass. Civ. sez. II n. 2359/2012).
La Pubblica Amministrazione è tenuta a far cessare tale occupazione illecita in una delle forme attualmente previste dall’ordinamento (restituzione e risarcimento del danno; accordo col privato proprietario; decreto di acquisizione ex art. 42-bis D.P.R. n. 327/2001), anche perché la persistente occupazione abusiva non fa che aggravare l’entità del risarcimento del danno che l’Amministrazione sarà necessariamente chiamata a pagare al privato proprietario, e quindi, correlativamente, anche la consistenza del danno erariale causato da tale comportamento illecito.
Allo stato non è chiaro chi detenga attualmente il terreno: da quanto è emerso in giudizio, sembrerebbe di comprendere le Province di Novara e del VCO.
Pertanto, la presente sentenza sarà comunicata dalla Segreteria di questo TAR anche alle Province di Novara e del VCO affinché provvedano, nel caso in cui detengano il terreno di proprietà della ricorrente in qualità di gestori (di distinte porzioni) della strada realizzata sullo stesso, ad adottare le opportune iniziative volte a far cessare l’illecita occupazione del terreno medesimo.
In relazione ai profili di danno erariale allo stato già insiti nella vicenda esaminata, copia della presente sentenza sarà trasmessa anche alla Procura regionale della Corte dei Conti, per quanto di competenza.
Conclusivamente, sulla scorta di tali considerazioni e con le predette puntualizzazioni, il ricorso va respinto, salva la facoltà della ricorrente di introdurre autonomo giudizio nei confronti degli aventi titolo per la restituzione del bene e per il risarcimento del danno per il periodo di occupazione illegittima (TAR Piemonte, Sez. I, sentenza 10.01.2014 n. 43 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

LAVORI PUBBLICI: Oggetto: Ripristinati gli articoli del regolamento sui contratti pubblici (DPR 207/2010) riguardanti i subappalti delle categorie super specializzate ed i criteri di affidamento delle categorie a qualificazione obbligatoria (ANCE Bergamo, circolare 10.01.2014 n. 14).

LAVORI PUBBLICI: B.U.R. Lombardia, serie ordinaria n. 2 del 10.01.2014, "Procedure e modalità di accesso al finanziamento regionale delle opere di pronto intervento attivate dai comuni e loro forme associative, in applicazione della d.g.r. 1033/2013" (decreto D.U.O. 24.12.2013 n. 12775).

APPALTI: Il giudizio di verifica della congruità di un’offerta anomala ha natura globale e sintetica sulla serietà o meno dell’offerta nel suo insieme e costituisce espressione di un potere tecnico-discrezionale dell’amministrazione di per sé insindacabile in sede di legittimità, salva l’ipotesi in cui le valutazioni siano manifestamente illogiche o fondate su insufficiente motivazione o affette da errori di fatto.
Al contempo occorre rilevare che la verifica di anomalia non ha per oggetto la ricerca di specifiche e singole inesattezze dell’offerta economica, mirando, invece, ad accertare se l’offerta, nel suo complesso, sia attendibile o inattendibile, e dunque se dia o meno serio affidamento circa la corretta esecuzione dell’appalto.

Il terzo motivo di ricorso con il quale è contestata la valutazione di anomalia dell’offerta è infondato.
In merito occorre rammentare che il complesso delle contestazioni economiche delle ricorrenti, oltre ad essere generalmente prive di prova, raggiungono a malapena il complesso degli utili dichiarati dall’aggiudicataria. E’ sufficiente quindi che una sola di esse sia infondata per ritenere infondato l’intero motivo di ricorso.
In merito la giurisprudenza prevalente ha infatti ripetutamente osservato che il giudizio di verifica della congruità di un’offerta anomala ha natura globale e sintetica sulla serietà o meno dell’offerta nel suo insieme (Consiglio di Stato, sez. V – 08/09/2010 n. 6495) e costituisce espressione di un potere tecnico-discrezionale dell’amministrazione di per sé insindacabile in sede di legittimità, salva l’ipotesi in cui le valutazioni siano manifestamente illogiche o fondate su insufficiente motivazione o affette da errori di fatto (TAR Lazio Roma, sez. I-ter – 14/10/2011 n. 7957; Consiglio di Stato, sez. V – 11/03/2010 n. 1414; sez. IV – 20/05/2008 n. 2348).
Al contempo occorre rilevare che la verifica di anomalia non ha per oggetto la ricerca di specifiche e singole inesattezze dell’offerta economica, mirando, invece, ad accertare se l’offerta, nel suo complesso, sia attendibile o inattendibile, e dunque se dia o meno serio affidamento circa la corretta esecuzione dell’appalto (Consiglio di Stato, sez. VI – 21/05/2009 n. 3146; stessa Sezione 08/02/2012 n. 195; TAR Lombardia-Brescia, Sez. II, sentenza 10.08.2012 n. 1445).
Nel merito è infondato il primo profilo del motivo nella parte in cui contesta che in un appalto siffatto sarebbe impossibile offrire alcune figure professionali non remunerative a fronte di altre in largo attivo. In merito occorre rilevare che non è contestato che l’aggiudicataria abbia correttamente imputato tutti i costi del personale secondo le tabelle ministeriali e che l’offerta richiesta dalla stazione appaltante avesse carattere globale.
In questo quadro è legittimo che l’offerente distribuisca i costi del personale tra le varie figure in modo da offrire il mix più conveniente per la stazione appaltante. Né coglie nel segno la contestazione relativa alla creazione di scenari di utilizzo del personale irragionevoli in quanto si tratta di valutazioni del tutto apodittiche e prive di riscontri concreti.
In applicazione del principio di globalità della verifica di anomalia dell’offerta il motivo di ricorso dev’essere quindi respinto (TAR Lombardia-Milano, Sez. III, sentenza 08.01.2014 n. 21 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

APPALTI: Oggetto: AVCPASS (Authority Virtual Company Passport) - Le innovazioni nelle procedure di gara per l’affidamento di lavori, servizi e forniture, dettate dalla Deliberazione dell’AVCP n. 111/2013, in vigore da Gennaio 2014 (Consiglio Nazionale degli Architetti Pianificatori, Paesaggisti e Conservatori, circolare 08.01.2014 n. 3).

EDILIZIA PRIVATA - LAVORI PUBBLICI: Corte dei Conti: Il Direttore Lavori è sempre responsabile dei difetti dell’opera.
Con sentenza 03.01.2014 n. 3, la Corte dei Conti (Sez. III centrale di appello), ha stabilito un punto fermo circa la responsabilità del direttore dei lavori per l’impossibilità di fruizione di un’opera nella quale sono stati riscontrati dei vizi.
Il caso in esame riguarda la mancata fruizione di un campo sportivo per la quale il direttore dei lavori ne additava la responsabilità all’impresa appaltatrice ed al Responsabile del Procedimento. Contraddicendone la tesi, invece, la Corte dei Conti ha ritenuto responsabile il direttore dei lavori in quanto direttamente designato per la vigilanza nella corretta esecuzione dei lavori: se così non fosse, infatti, quale sarebbe il suo ruolo specifico in ordine a responsabilità?
A carico del direttore dei lavori pesa la responsabilità connessa al controllo nell’esecuzione dei lavori. I giudici asseriscono che “rientrava pienamente nei compiti in capo alla direzione lavori la vigilanza sulla corretta esecuzione dei lavori e sulla conformità qualitativa e quantitativa dei materiali utilizzati, ed i fatti dimostrano chiaramente che ciò non è avvenuto e che, di conseguenza, si è verificato l'evento lesivo. Competeva al direttore dei lavori verificare l'idoneità dei materiali, la rispondenza alle regole dell'arte delle modalità esecutive degli interventi e la verifica dell'adeguatezza del piano di posa” (commento tratto da www.lavoripubblici.it).

APPALTI: C. Volpe, La Corte di Giustizia dà il via libera all’avvalimento plurimo e frazionato (link a www.giustizia-amministrativa.it).

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